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Francesca.Pisa
00martedì 27 marzo 2007 14:44
Il debutto di Bagnasco

Debutto ufficiale del presidente della Cei: stile pastorale, apertura alla collegialità

di Mattia Bianchi/ 27/03/2007

Mons. Bagnasco al Consiglio permanente: approccio meno politico e nessun excursus a 360 gradi sulla situazione nazionale e internazionale. Resta il no ai Dico: "Inaccettabili". Oggi lettera di Bertone al vescovo di Genova, mentre il papa scrive a Ruini.

ROMA - Se parlare di svolta è esagerato, sicuramente la Cei di mons. Angelo Bagnasco userà uno stile diverso da quello degli ultimi anni. Un programma espresso dal nuovo presidente dei vescovi nella prolusione al Consiglio permanente, aperto ieri pomeriggio a Roma: non più un excursus sulla situazione nazionale e internazionale, ma un approccio pastorale per spiegare il ruolo della conferenza episcopale, riaffermare il valore della collegialità dei vescovi e l’autonomia di ogni pastore e ribadire che sui temi come la famiglia le preoccupazioni della Chiesa sono pastorali e non politiche. Manca così l'accenno alle questioni legate al dibattito parlamentare, mancano le questioni economiche, i temi sociali, l'attenzione al Mezzogiorno, al fenomeno delle morti bianche. Mancano infine le questioni internazionali. Non manca invece il tema della famiglia, con un nuovo giudizio negativo sul ddl sui Dico ("inaccettabile" e "pericoloso sul piano sociale ed educativo") e il via libera al Family Day del 12 maggio. Stesse posizioni del predecessore cardinale Camillo Ruini, espresse tuttavia con toni più dialoganti che sulla carta dovrebbero favorire un clima meno conflittuale.

LETTERE. Frattanto stamane lavoro straordinario per le poste vaticane che hanno dovuto recapitare due lettere, una scritta da Benedetto XVI all'ex presidente Cei Camillo Ruini (leggi qui) e l'altra indirizzata dal segretario di stato Bertone alla nuova guida dei vescovi italiani Bagnasco (vedi qui). Un "gioco di squadra" per esprimere apprezzamento per il lavoro svolto nel passato e garantire appoggio e vicinanza in previsione di quello che appare all'orizzonte. La chiusura del cerchio dopo il saluto e l'omaggio reso ieri da Bagnasco allo stesso Ruini (vedi sotto).

UN RUOLO DI RESPONSABILITA’ E IL GRAZIE AL PAPA. La prolusione dell’arcivescovo di Genova si è aperta con un cenno alla nomina. “Muovo oggi, insieme a Voi, - ha detto - i primi passi nel nuovo incarico che il Santo Padre ha voluto inaspettatamente affidarmi: una responsabilità grande”. Eppure “quando il Papa chiama, si risponde", anche se "il carico che viene affidato appare ad uno sguardo umano, sproporzionato rispetto alle personali risorse". "Il di più che manca - afferma - so di doverlo chiedere al Signore, e di poterlo chiedere anche a voi, per un'opera che è effettivamente comune". Bagnasco esprime inoltre uno speciale ringraziamento "per gli innumerevoli segni di vicinanza e d'augurio che i Confratelli mi hanno inviato, commosso e grato anche a tantissimi sacerdoti e laici che da ogni parte mi hanno espresso fraternità e assicurato preghiera". Quanto al papa, il presidente della Cei, ricorda "l'attaccamento singolare che unisce le nostre Chiese al Papa". Egli di è particolarmente vicino, dice, “e noi siamo con lui una sola voce e un solo cuore”.

IL SALUTO AL CARDINALE RUINI. Immancabile il saluto al predecessore, cardinale Camillo Ruini, presente al Consiglio permanente come presidente della Conferenza episcopale del Lazio. La richiesta è quella di “non farci mancare tutto il suo aiuto e tutto il suo consiglio” e di “continuare a svolgere, con la competenza che gli è propria, quell'opera di animazione culturale che è stato un capitolo non irrilevante di tutta la sua vita sacerdotale e di cui il "Progetto culturale" della CEI è una espressione profetica quanto mai qualificata”. “Impossibile contenere in poche parole – prosegue la guida dei vescovi italiani - il carico di lavoro e di iniziative che la CEI ha sviluppato negli ultimi tre lustri; non ci mancheranno le occasioni in cui dovremo farlo proprio per dare continuità all'opera svolta”.

IL RUOLO DELLA CEI. Bagnasco ha poi tratteggiato la dimensione di servizio propria della Conferenza episcopale. “Oggi possiamo dire che la fase dello sviluppo può ritenersi sostanzialmente compiuta: quella organizzativa, incentrata sulle esigenze eminentemente pastorali oltre che sugli adempimenti previsti dagli Accordi di revisione del Concordato, e l’altra più connessa alla necessità di una presenza pubblica della Chiesa, la quale non può non avere una sua adeguata dimensione nazionale, ruolo che in via principale, anche se certamente non esclusiva, può essere esercitato più efficacemente dal Corpo episcopale”. Chiari e coincisi i punti fermi dell’azione dei prossimi anni: “il rispetto rigoroso della funzione dei Vescovi nelle proprie Diocesi, l’esercizio effettivo della responsabilità collegiale nelle scelte che afferiscono al cammino della Conferenza nazionale, la sua articolazione interna e la valorizzazione delle nostre Conferenze episcopali regionali”.

VALORE DELLA FAMIGLIA E IL NO AI DICO. Entrando nel dibattito sulla famiglia, mons. Bagnasco è tornato a parlare del disegno di legge sui Dico, definito "inaccettabile" e "pericoloso sul piano sociale ed educativo". Su tutto, la preoccupazione pastorale rispetto al tema della famiglia, “fondamentale per l'individuo, per la società e il suo futuro”. "La famiglia - prosegue - ha bisogno oggi di tutta la premura che la Chiesa, con la sua esperienza e la sua libertà, vi può riversare". In tal senso, per Bagnasco, "il matrimonio" deve essere "elevato alla dignità di sacramento. È una sensibilità, questa, che il Concilio Vaticano II ha reso particolarmente acuta - scandisce - tanto da stimolare il nostro episcopato a operare a più riprese delle messe a punto dottrinali e pastorali sul tema dell'evangelizzazione del matrimonio". E richiamando il passo della Genesi, il presidente dei vescovi ricorda che "nel disegno primigenio del Creatore: 'maschio e femmina li creò, disegno che noi siamo parimenti impegnati ad annunciare e servire".

IL FAMILY DAY. In questa prospettiva, dai vescovi arriva pieno sostegno al Family day del 12 maggio: una “festa della famiglia”, dice Bagnasco, da “apprezzare e incoraggiare”. “Nello stesso tempo, è stata prospettata – com’è pure noto – l’utilità che i Vescovi dicano in questo frangente una parola meditata e impegnativa. Nell’attuale sessione del Consiglio Permanente metteremo a punto una “Nota pastorale” che, ponendosi sulla stessa linea di ciò è stato fatto in passato in altre cruciali evenienze, possa essere di serena, autorevole illuminazione sulle circostanze odierne”.

L’EUCARISTIA AL CENTRO. Spazio poi a temi più ecclesiali come la recente esortazione post sinodale del papa sull’Eucaristia. “La ricchezza dottrinale, spirituale e pastorale (ndr. del documento) – ha detto mons. Bagnasco - ci indica la strada di una spiritualità e di una pastorale eucaristiche, cioè fortemente centrate sulla divina Eucaristia che ne è fonte e culmine, nonché sostegno sempre vivo: “prima di ogni attività e di ogni nostro programma – diceva ancora il papa a Verona - deve esserci l’adorazione che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire”. Un invito raccolto anche dai vescovi italiani, che prima del Consiglio permanente di oggi, hanno voluto raccogliersi per mezzora di adorazione, nella cappella della sede della Cei. Riflettendo sulle dimensioni della Chiesa, madre e maestra, il presidente dei vescovi ha ricordato che “la Chiesa non ha come fine se stessa, ma il bene della persona nell’orizzonte dell’eternità e del tempo”. “Nel segno del Crocifisso Risorto, essa è alleata dell’uomo; – ha detto - il Magistero della Chiesa, pertanto, è servizio all’uomo che vive i vari e complessi ambiti dell’esistenza”. In che modo? Attraverso l’annuncio della “gioia del Vangelo e la piena dignità di ogni uomo, i valori che lo costituiscono, il mistero della vita umana, la bellezza dell’amore e della famiglia, la dura ma decisiva scuola della libertà, la responsabilità educativa, fino all’urgenza della giustizia sociale, della pace, di un ambiente più rispettato e accogliente”.

I MEDIA E I MISSIONARI. Mons. Bagnasco ha concluso il suo discorso con un pensiero rivolto ai media chiedendo che “l’opinione pubblica possa essere sempre correttamente informata sul magistero della Chiesa nella sostanziale integralità dei suoi singoli interventi”. Infine, il ricordo dei missionari italiani uccisi nell’ultimo anno: don Andrea Santoro, mons. Bruno Baldacci, sr. Leonella Sgorbati. “Il Signore Gesù ci faccia degni di questi servitori, - ha detto l’arcivescovo - e dia a tutta la Chiesa di vivere alla loro scuola l’imprescindibile vocazione missionaria”. Al termine, c'è l'applauso dei presenti, a cui segue la lettura del messaggio di Benedetto XVI al cardinale Ruini, per ringraziarlo dei 16 anni di presidenza.


Sempre a fianco di Benedetto XVI.
Francesca






Sihaya.b16247
00martedì 27 marzo 2007 14:45
Da: La Repubblica
Bagnasco nel solco di Ruini
di MARCO POLITI



Angelo Bagnasco
L'entrata in scena del neo-presidente della Cei monsignor Angelo Bagnasco marca uno stile nuovo, più pacato e meno autoritario. Sparisce, rispetto all'era precedente, la rigidezza del leader che decide per tutti e sparisce anche - almeno nella forma - quell'implicita avversione pregiudiziale all'Ulivo, che caratterizzava la linea del cardinale Ruini.

È un segnale importante che Bagnasco abbia voluto depotenziare il Family Day da qualsiasi valenza anti-governativa, dandogli il sigillo di una "festa" a sostegno della famiglia. È questa, d'altronde, la linea del segretario di Stato cardinale Bertone, resosi conto del fatto che lo scontro frontale irrita vasti strati della società italiana.

Ma se il nuovo approccio appare più soft, sulla questione concreta delle coppie di fatto vi è un'intransigenza di fondo, che promana direttamente da papa Ratzinger e che pretende di vincolare i parlamentari cattolici. Intransigenza riassunta nel pronunciamento papale: "Nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore". Dov'è scontato che sulla qualità di una legge decide la gerarchia ecclesiastica. Infatti il presidente della Cei si è affrettato subito a definire "inaccettabile e pericoloso" il disegno sui Dico.

Inutile fingere. Il Family Day è la seconda tappa, dopo il referendum sulla procreazione assistita, dell'escalation della Chiesa come soggetto politico.
Inutile nascondersi che la manifestazione del 12 maggio ha il suo fulcro nell'essere contro i Dico, cioè contro l'affermazione di un diritto civile: la regolamentazione delle convivenze e il riconoscimento delle unioni gay.

La storia è testimone. Nel 1980 Giovanni Paolo II convocò il sinodo internazionale di vescovi per discutere della famiglia.

Successivamente il pontefice pubblicò il documento Familiaris Consortio. In un quarto di secolo la Chiesa italiana non sentì mai il bisogno di organizzare una simile mobilitazione di massa per la famiglia. Avviene solo oggi che si tratta di impedire il varo di una legislazione già adottata tranquillamente nella maggioranza dei paesi europei, spesso con il concorso o su iniziativa di partiti democristiani.

Corre adesso la versione che la manifestazione del 12 maggio sarebbe frutto dell'iniziativa "laica" dell'associazionismo cattolico. Non è così. E' vero che l'idea è balenata per primi ai leader di Rinnovamento nello Spirito e dei Neo-catecumenali sull'esempio dello scontro frontale ingaggiato dalla Chiesa spagnola contro Zapatero. Ma né loro né il Forum delle famiglie avrebbero mai avuto la capacità di riunire la galassia bianca. Al contrario, il progetto stava per andare all'aria per le divergenze interne al mondo cattolico.

Chi ha portato con ferrea determinazione i movimenti attorno al tavolo, con il traguardo prefissato di un documento unitario e di una manifestazione di massa, è stata la leadership della Cei. D'altronde è difficile resistere al ricatto sussurrato: il Papa lo vuole. Si è ripetuto pari pari lo schema leninista della campagna anti-referendum del 2005. Con aspetti anche surreali.
Quando ancora le associazioni discutevano se fare o no il Family Day, monsignor Rino Fisichella - da sempre in perfetta sintonia con Ruini - preannunciava già una dimostrazione e indicava pure il luogo.

Emerge qui una particolarità esclusiva dell'Italia, che Benedetto XVI ha scelto quale sua trincea nell'Occidente secolarizzato. Il nostro Paese ha un ventaglio enorme di iniziative di impegno religioso. Chi aderisce all'Azione cattolica crede nella "mediazione" tra vangelo e società, chi segue Cl è fautore della "presenza", chi è nelle Acli si batte per il rapporto tra fede e mondo del lavoro, chi sta con Rinnovamento è attratto dalla relazione con lo Spirito, chi segue i Neo-catecumenali ripercorre un cammino di iniziazione, e si potrebbe continuare. Nessuno di questi cattolici impegnati ha dato delega ai propri leader di entrare nel dettaglio legislativo di una regolamentazione delle coppie di fatto. Nessuno di loro - eppure hanno esistenze tanto variegate - è stato mai nemmeno interrogato sulla questione.

E' dall'alto, è dalla cattedra vaticana che l'associazionismo cattolico viene piegato alle esigenze di una strategia, che entra direttamente nelle aule parlamentari italiane per dire cosa si può o non si deve fare. Così come dal palazzo vaticano è giunta la singolare telefonata di plauso del Vicario di Cristo ad un capopartito, il ministro Mastella, per la sua opera di sabotaggio dei Dico. Episodio unico nella storia contemporanea del cattolicesimo.

Ben diversa è la situazione in America, così spesso citata per la sua religiosità da vescovi, teocon o atei devoti. Perché negli States ogni gruppo religioso si guadagna il consenso all'aperto.

Ci sono i battisti fondamentalisti e quelli liberal, gli episcopaliani la pensano diversamente dagli avventisti e così via.

E nessun Capo dall'alto obbliga gli uni a manifestare insieme agli altri né si permette di dare indicazioni di voto imperative.

C'è tuttavia un dettaglio nello scenario italiano: i cittadini da anni ripetono nei sondaggi che rispettano la Chiesa, ma non vogliono che sia essa a fare le leggi. Tocca ora alla classe politica rivendicare decisamente la propria autonomia.

Francesca.Pisa
00martedì 27 marzo 2007 14:48
dal Giornale di stamani

Cei, l’esordio di Bagnasco: "Il decreto sui Dico? Inaccettabile e pericoloso"

di Andrea Tornielli - martedì 27 marzo 2007, 09:21

Roma - Quello sui Dico è un disegno di legge «inaccettabile sul piano dei principi» e «pericoloso sul piano sociale ed educativo». È un giudizio netto sul ddl del governo che riconosce le coppie di fatto quello contenuto nella prima prolusione del nuovo presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco. Una prolusione più corta e meno «politica» rispetto a quelle dell’era Ruini: non ci sono accenni alla situazione internazionale, al dibattito sull’Afghanistan, al rapimento di Mastrogiacomo, né sono citati gli altri temi del dibattito politico interno. Sulla valorizzazione della famiglia e sulla sua difesa, la linea però è la stessa.

Bagnasco, che ieri ha aperto i lavori del Consiglio permanente della Cei, il «parlamentino» dei vescovi, definisce «emergente» questo tema. Spiega che l’attenzione della Chiesa su questo argomento «non è in alcun modo sbilanciata né unilaterale», ed è mossa da una preoccupazione «per nulla politica, ma eminentemente pastorale». L’arcivescovo presenta quindi i fondamenti della legge naturale riguardo la famiglia e cita il Concilio, quando ribadisce che il matrimonio «ha stabilità per ordinamento divino» e perciò «questo vincolo sacro, in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio umano». «Nessuna legge fatta dagli uomini – afferma Bagnasco riprendendo parole di Benedetto XVI – può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita».

Il presidente della Cei respinge le accuse di ingerenza, perché è dovere dei vescovi «parlare del matrimonio come invalicabile bene dato agli uomini». Non c’è «sopruso o invadenza di campo», né tantomeno «ricerca di potere temporale», perché «se la Chiesa cercasse il potere, basterebbe imboccare la via facile dell’accondiscendenza». Bisogna invece essere solleciti, aggiunge citando nuovamente Ratzinger «affinché le famiglie più esposte non cedano sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi». Parlando più esplicitamente dei Dico, Bagnasco rileva «la convergente, accorata preoccupazione espressa dai vescovi su questo disegno legislativo inaccettabile sul piano dei principi ma anche pericoloso sul piano sociale ed educativo». E registra la preoccupazione che i Dico hanno suscitato «in seno al nostro laicato» appoggiando il «Family Day»: «Si tratterà di una festa della famiglia come è successo anche in altri Paesi, come vescovi non possiamo che apprezzare e incoraggiare questo dinamismo volto al bene comune».

Bagnasco accenna poi alla Nota pastorale sui Dico che il Consiglio permanente discuterà questa settimana, una «parola meditata e impegnativa» che «possa essere di serena, autorevole illuminazione sulle circostanze odierne», e ricorda le parole del Papa di sabato scorso, sulla necessità di guardarsi dal pragmatismo che «giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l’inevitabile accettazione di un presunto male minore».

Le prime cinque pagine della prolusione del nuovo presidente della Cei sono quasi un manifesto programmatico: l’arcivescovo di Genova ribadisce di voler valorizzare la collegialità e, in linea con il suo predecessore, attenersi all’idea della Cei presente nello statuto, senza «eccedere o abbondare rispetto a quella struttura di servizio», evitando anche «la burocratizzazione degli uffici e delle commissioni». Bagnasco ha quindi ricordato tutti coloro che lo hanno preceduto, soffermandosi in particolare sul contributo di Camillo Ruini, chiedendogli di continuare a svolgere «quell’opera di animazione culturale» che ha caratterizzato la sua presidenza.

Colpisce, alla fine della prolusione l’invito ai giornalisti a dare la «giusta rilevanza» al comunicato finale del Consiglio permanente, «in quanto resoconto di un qualificato incontro collegiale della nostra conferenza». L’esito della discussione, insomma, non è stato già prestabilito.


Sempre a fianco di Benedetto XVI.
Francesca
LadyRatzinger
00mercoledì 28 marzo 2007 16:45
Da Petrus
La nota della Cei sui DICO: "Pericolosa la legalizzazione delle coppie di fatto, i politici cristiani siano coerenti e votino contro"


CITTA’ DEL VATICANO - “La legalizzazione delle unioni di fatto” è “inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo”; avrebbe effetti deleteri sulla famiglia perché toglierebbe “al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro”. E’ quanto si legge nella Nota del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (presieduta da Monsignor Angelo Bagnasco, nella foto con il Papa), diffusa oggi. “Un problema ancor più grave – sottolineano i vescovi - sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”. “Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale”. Con riferimento, tuttavia, alla “presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto”, i presuli ricordano che “il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza”. “Siamo consapevoli”, proseguono i vescovi, dell’esistenza di “situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare”. “Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune” e “siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera” affermano ancora i vescovi nella Nota. “Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio” e “aperta alla vita” che la Costituzione italiana tutela perché “risorsa insostituibile anche per la società”. Per questo, si legge nella Nota, la Chiesa “da sempre chiede che il legislatore promuova e difenda” la famiglia, e al riguardo i vescovi desiderano rivolgere “una parola impegnativa” specialmente “ai cattolici che operano in ambito politico”. Ad essi, richiamando l’insegnamento del Papa nella Sacramentum Caritatis, i vescovi rammentano: “Sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto”. In particolare, i vescovi ricordano l’affermazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, “nel caso di un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro” tale progetto. Il cristiano “è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero” precisa ancora la Nota; pertanto, come ribadisce la Congregazione, “non può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società”. “Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale” in cui “la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale” osservano i vescovi, “ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica”. Di qui l’invito conclusivo “alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni”.

LadyRatzinger
00mercoledì 28 marzo 2007 16:58
Presentato il Family Day: "Sarà una festa di popolo"

ROMA - Il raduno delle famiglie “vuole essere una manifestazione di popolo, a cui parteciperanno quanti sottoscrivono il nostro manifesto. Deliberatamente abbiamo escluso il coinvolgimento di esponenti politici”. Così il presidente del Forum delle associazioni familiari, Giovanni Giacobbe, ha presentato oggi a Roma il “family day” che si terrà nella capitale il 12 maggio. Ministri e parlamentari non saranno tuttavia banditi dalla piazza: potranno partecipare, a titolo personale, “quanti sottoscrivono il manifesto”, mentre si auspica un “comportamento civile, nel rispetto della manifestazione” da parte di coloro che dissentono. “Sarebbe bene che le bandiere dei partiti non ci fossero: le uniche ammesse saranno quelle della società civile e del laicato”, ha precisato Savino Pezzotta, portavoce del manifesto “Più Famiglia” assieme a Eugenia Roccella. Secondo Giacobbe, “non si tratta di un segno di disprezzo verso la politica, ma ci devono essere distinzioni di ruoli e di momenti”. “E il 12 maggio – ha concluso – è il momento della società civile”.

dipl
00mercoledì 28 marzo 2007 17:52
Benedetto: gli 80 anni di un Papa che conquista
LA FRASE
Agli operatori della comunicazione esprimo gratitudine e apprezzamento per il loro lavoro, chiedendo l’aiuto perché l’opinione pubblica possa essere sempre correttamente informata sul magistero della Chiesa nell’integralità dei suoi singoli interventi (Monsignor Angelo Bagnasco al Consiglio permanente Cei, 26 marzo 2007)


Benedetto:
80 anni tutti da leggere


Il 16 aprile è il compleanno del Papa Per onorarlo un inserto speciale allegato ad «Avvenire» domenica 15

Di Matteo Liut

Ha stupito tutti con la sua capacità di dialogare, di suscitare interesse, di incrociare con umiltà esistenze ed esperienze umane. Con misurata saggezza ha raccolto, valorizzato e rilanciato i messaggi del suo predecessore, già venerato come santo da quel popolo che due anni fa «in maniera inaspettata» - come da sua stessa ammissione - ha «ereditato» da Karol Wojtyla. Benedetto XVI il 16 aprile compirà 80 anni, 78 dei quali passati lontano da quei riflettori che in questi due anni hanno rivelato un Papa molto diverso dalla falsa immagine creata dagli stessi mass-media.
Con uno speciale di oltre cento pagine a colori, formato rivista, in edicola il prossimo 15 aprile e dedicato a «Benedetto. Gli 80 anni di un Papa che conquista», Avvenire vuole trasformare questa ricorrenza in un'occasione per conoscere più approfonditamente l'uomo. Per entrare nel cuore delle sue parole, per svelare la profonda umanità che si manifesta, proprio «in maniera inaspettata», nei suoi gesti e nei suoi sguardi.
In pagine ricche di commenti, racconti, testimonianze, fotografie, citazioni, si scopre che questi ultimi due anni della vita di Joseph Ratzinger hanno tutto l'aspetto del frutto maturato da una storia fatta di studio, di passione per il dibattito, di fiducia sconfinata nell'incontro tra fede e ragione. Si scopre allora un lungo percorso che si è snodato accanto alle ferite di un mondo lacerato dalla guerra, nel cuore di un popolo animato dalla devozione e dalla costanza, nell'intimità di una famiglia fondata sugli affetti e sull'accoglienza.
Si scopre insomma una «trama celata» che è andata svolgendosi negli anni grazie al «soffio del Logos» e che ha dato forma a «un vero maestro», da sempre impegnato con umiltà «nella vigna del Signore». Filo dopo filo, pagina dopo pagina, immagine dopo immagine, Avvenire offre così non solo un "libro da conservare" ma un piccolo tesoro per impreziosire quello speciale legame che colloca il Successore di Pietro al cuore della vita di ogni comunità locale e di ogni singolo credente.
Attraverso la voce di chi lo conosce e di chi, laico o credente, abbia deciso di ingaggiare la sfida del confronto lanciata dallo stesso Ratzinger, sarà forse possibile comprendere perché egli abbia deciso di dedicare il suo primo documento magisteriale all'«amore cristiano». E capiremo, forse, anche il suo desiderio di servizio della verità, che si traduce in chiarezza e rifiuto di compromessi intellettuali ma anche in incondizionato ascolto dell'interlocutore, di sincero interesse per l'umano. Potremo allora festeggiare il compleanno del Papa guardando con luce "inaspettata" i suoi modi di fare, le sue scelte, le sue stesse parole. E alla fine, probabilmente, ci scopriremo non semplicemente "conquistati da lui" ma piuttosto "conquistati assieme a lui" da ciò che ha "rapito" anche lui: l'amore di Dio, l'unica risorsa che rende l'uomo veramente uomo.

(da Avvenire del 28/03/2007)




emma3
00venerdì 30 marzo 2007 19:18
editoriale del foglio


Essere cattolici non è obbligatorio

Ma non è neanche gratuito, specie per chi lo proclama pubblicamente


Si sta arrivando, sulla questione della regolamentazione delle coppie di fatto, allo “spartiacque” che era stato preannunciato da un autorevole editoriale del quotidiano dei vescovi. Su questa materia la chiesa chiede obbedienza ai suoi fedeli, compresi quelli che rivestono cariche politiche. E’ la chiesa cattolica nel suo insieme a farlo, senza distinzioni possibili tra l’episcopato italiano e la cattedra papale, visto il linguaggio se possibile più esplicito impiegato da Benedetto XVI, confortata dal sostegno delle organizzazioni del laicato, che manifesteranno in piazza San Giovanni a sostegno dell’unicità irripetibile della famiglia. Le reazioni dei sostenitori dei Dico a questa richiesta di obbedienza vanno dallo scandalo alla delusione allo sconcerto. L’argomento più ripetuto è che in questo modo i vescovi italiani ledono la libertà di coscienza dei credenti e l’autonomia della politica. Si tratta di un uso paralogistico, cioè inappropriato al caso, di nobili concetti. La coscienza è libera, libera di aderire o no a una religione, ma se lo fa assume liberamente un impegno. Essere cattolici non è obbligatorio, ma il cattolicesimo non è un supermarket nel quale si prende quel che serve e si lascia il resto. L’autonomia
della politica, poi, si esercita nelle istituzioni nelle quali gli eletti rispondono alla loro coscienza e ai loro elettori, peraltro senza un cogente vincolo di mandato. Se un esponente politico, però, vanta pubblicamente la sua adesione alla fede cattolica, traendone anche vantaggi elettorali che ne conseguono, non può negare a chi ha, per così dire, il copyright del cattolicesimo, cioè ai vescovi, di richiamarlo alla coerenza con i valori cui liberamente ma pubblicamente si è impegnato a ispirarsi.
L’autonomia della politica implica che i cattolici accettino le decisioni delle istituzioni anche quando non le condividono, rispettando le leggi dello stato. Una libertà di coscienza che implica la disobbedienza ai vescovi e al Papa non è una novità, si chiama protestantesimo, e com’è noto non fa parte del cattolicesimo.

LadyRatzinger
00domenica 1 aprile 2007 22:49
Da Petrus
E Benedetto si affaccia a sorpresa dalla finestra per salutare i fedeli

CITTA’ DEL VATICANO - Benedetto XVI si è affacciato a sorpresa dalla finestra del Palazzo Apostolico, per salutare nuovamente gli oltre 50mila fedeli arrivati a piazza San Pietro per partecipare alla solenne celebrazione della Domenica delle Palme. Questa mattina, Papa Ratzinger ha recitato la preghiera dell'Angelus dal sagrato di piazza San Pietro. Ma non ha voluto mancare l'appuntamento del saluto dalla finestra dello studio.

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LadyRatzinger
00domenica 1 aprile 2007 22:51
Da Petrus
Gli slogan dei fedeli, il giro in jeep e l'insolito Angelus del Santo Padre

CITTA’ DEL VATICANO - Alla fine della celebrazione presieduta in questa Domenica delle Palme, Benedetto XVI ha salutato i giovani presenti per la Giornata Mondiale della Gioventù in diverse lingue: francese, inglese, tedesca, spagnola, portoghese, polacca, italiana. Ogni gruppo gli ha risposto agitando palme, rami di ulivo, bandiere, applausi, slogan. Il Santo Padre ha dovuto faticare ad avere un po' di silenzio e iniziare la preghiera dell'Angelus, recitata insolitamente non alla finestra dello studio privato del Palazzo Apostolico ma direttamente dal sagrato della Basilica di San Pietro. L'entusiasmo dei giovani è però completamente esploso alla fine, quando il Papa, in jeep, come si può vedere dalla foto, ha fatto un giro di saluto in tutta la piazza, gremita da oltre 50.000 fedeli.



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LadyRatzinger
00lunedì 2 aprile 2007 11:41
Da Petrus
Quando il Concilio presentò i due futuri Papi


di Angela Ambrogetti

CITTA’ DEL VATICANO - Gianfranco Svidercoschi non è solo un vaticanista: è un testimone e un amico. Come giornalista ha raccontato per anni il Vaticano, come testimone ha raccontato il pontificato di Karol Wojtyla, come amico ha accetto di raccontarlo a me. Abbiamo parlato soprattutto di una amicizia speciale, “conciliare”. Quella tra un giovane vescovo polacco e un giovanissimo teologo tedesco, che si incontrano nella corrente dell’assise ecumenica e che dopo anni si incontrano, ambedue porporati, per eleggere il papa. Inizia così una collaborazione e una sintonia che ancora segna la vita della Chiesa cattolica. “Fu durante il Concilio che per la prima volta si conobbero Wojtyla e Ratzinger. Wojtyla era al Concilio come vescovo ausiliare e poi da arcivescovo di Cracovia, mentre invece Ratzinger era il perito dell’episcopato tedesco. Certamente presi dal turbinio dei lavoro conciliari, si videro poco, ma comunque anche se da lontano presero a stimarsi reciprocamente. Poi si ritrovarono alla vigilia del primo dei due conclavi del 1978, quello che portò alla elezione di Giovanni Paolo I. Nel frattempo, Ratzinger era diventato arcivescovo di Monaco, quindi cardinale e anche lui partecipava al conclave”. Gianfranco riporta i ricordi di un testimone davvero speciale: don Stanislao, ora cardinale di Cracovia, allora segretario di Wojtyla. Dziwisz lo racconta nel libro “Una vita con Karol” scritto proprio con Svidercoschi. Il polacco e il tedesco si incontrarono prima della elezione di Luciani e “si trattò di un incontro interessante. Parlarono del carattere propriamente cristiano che avrebbe dovuto avere la proposta della Chiesa cattolica al mondo contemporaneo nell’imminente passaggio di millennio. Una analisi della situazione del mondo e della Chiesa in cui loro concordavano soprattutto sul fatto che ci dovesse essere una proposta precisa chiara, un recupero di identità cristiana da parte del cattolicesimo”. E dopo quell’incontro? “Passarono poi tre anni dalla elezione di papa Wojtyla e Giovanni Paolo II chiamò il cardinale Ratzinger a Roma alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, cioè quello che una volta era chiamato il Sant’Uffizio”. Parleremo ancora dopo del rapporto dottrinale tra Ratzinger e Wojtyla, ma intanto continuo a chiedere a Gianfranco dell’amicizia tra i due. “Il loro era un rapporto personale e costante di affetto che riecheggia nelle testimonianza di Stanislao che lo cita varie volte come per suffragare le sue idee, i suoi sentimenti. Parla nell’ultima del libro del martirio che ha vissuto Giovanni Paolo II con la sua malattia; e forse pochi ricordano che i primi segni del Parkinson sono iniziati addirittura nel 1992 e quindi per tanti anni il papa è restato alla guida della Chiesa nonostante il male che si portava dietro. E don Stanislao cita una frase di Ratzinger: la croce Giovanni Paolo II l’aveva vissuta in prima persona”. Un rapporto quasi suggellato dall’omelia dei funerali di papa Wojtyla. “E’ bellissimo anche quell’episodio finale, quello dei funerali, e volevo ricordare proprio il discorso di Ratzinger come decano del Sacro Collegio. Ratzinger è sempre stato considerato un cardinale burbero e serioso per tutto quello che aveva fatto come Prefetto. Una volta gli chiesi - durante un incontro informale –: “Eminenza, ho qualche difficoltà a riconoscerLa nel teologo progressista del Concilio”, e lui mi guardò sorridendo e poi, eravamo al collegio Teutonico, indicò il palazzo della Congregazione e disse, “io sono stato mandato qui, questo è il mio ruolo”. Insomma, doveva per conto del papa e in nome della Chiesa difendere la fede, questo era il compito. La sua risposta mi fece subito capire come non fosse assolutamente quel conservatore che dicevano che fosse diventato, perché scoprii che era il primo contestatore di questo eccesso di burocratizzazione che la Curia con il tempo era diventata”. Torniamo in piazza San Pietro, ai funerali del papa polacco. “Ecco, questo cardinale considerato così, con questa immagine sbagliata di lui ma anche del suo ruolo, colpì con quel bellissimo discorso, quando cominciò a chiamare addirittura per nome il papa defunto e disse “Karol”. Poi quella bellissima, e ormai famosa chiusa, “Lui ci starà guardando dalla finestra della Casa del Padre, ci vede e ci benedice”. E Don Stanislao dice nel libro che, ancora quasi soverchiato da quello che gli era capitato, aver perduto il suo papa dopo 40 anni, ebbene dice: si anche io mi sono voltato per guardare ma poi non ho avuto il coraggio di guardare su in alto perché non volevo vedere quella finestra, quella del Palazzo Apostolico cui era soloito affacciarsi Wojtyla, che ormai era chiusa e che rimaneva vuota. Nel suo cuore pensava a questo”. La conversazione si interrompe. Tornano alla mente quei momenti dell’aprile di due anni fa. Proseguiremo un altro giorno. Dobbiamo ancora parlare di magistero, anzi, della consequenzialità di un magistero perfettamente “conciliare”: quello tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.





LadyRatzinger
00martedì 3 aprile 2007 21:05
Da Petrus
DICO, la Cei ribadisce: "La Chiesa ha il dovere di intervenire per illuminare i cristiani"

ROMA - “La Chiesa verrebbe meno al suo mandato se tacesse i valori fondamentali dell'esistenza individuale e sociale”. A ribadirlo sono i vescovi italiani, nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei. Riferendosi alla “presenza della Chiesa nel dibattito pubblico”, i presuli puntualizzano che “la speranza cristiana e il primato della dimensione spirituale costituiscono è l'intenzione profonda che guida l'ordinario magistero dei pastori e le scelte della comunità ecclesiale”. Il “ruolo della Chiesa”, dunque, è essere “madre e maestra, nell'illuminare il cammino degli uomini e delle donne di buona volontà, di fronte al rischio costante del prevalere di un pragmatismo di corto respiro, destinato a frustrare la persona e a inibire le potenzialità di crescita della società”. E’ in questo contesto, spiega la Cei, che si colloca la "Nota a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto", approvata il 28 marzo per "illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell'uomo e della società nell'impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune". "Il mistero della vita umana, la bellezza dell'amore e della famiglia, la dura e decisiva scuola della libertà, la responsabilità educativa, fino all'urgenza della giustizia sociale, della pace, di un ambiente più rispettato e accogliente": sono questi, si legge nel comunicato finale del Cep, i “principi” che ”vanno tutelati e difesi, sostenuti e promossi da ciascun credente, e da coloro che si riconoscono in tale orizzonte di valori, non solo sul piano personale ma anche in quello sociale e pubblico”. “Accanto al doveroso richiamo delle caratteristiche del matrimonio e della famiglia, cellula non surrogabile della società e dello Stato”, nel dibattito episcopale “non è mancata l'espressione della sollecitudine pastorale e della vicinanza solidale nei confronti di quanti si trovano in situazioni difficili e in particolare per le famiglie travagliate o divise”. Nello stesso tempo, i vescovi italiani “hanno espresso pieno sostegno alle aggregazioni laicali impegnate a sostenere la famiglia”, in particolare a quelle che hanno promosso la manifestazione nazionale "Più famiglia", che si terrà a Roma il 12 maggio prossimo. "Gesù Cristo, unico salvatore del mondo: la Chiesa in missione, ad gentes e tra noi". Sarà questo il tema della 57ma Assemblea generale dei vescovi italiani, che si svolgerà dal 21 al 25 maggio prossimo. Nell'occasione del 50° anniversario dell'enciclica Fidei donum – si legge infatti nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei - i vescovi “intendono sviluppare un'ampia riflessione sulla ricaduta nelle Chiese particolari in Italia dell'appello a una rinnovata missionarietà, più volte formulato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI”. In questo contesto, troverà spazio l'approvazione della Nota pastorale a seguito del Convegno ecclesiale nazionale di Verona, la cui bozza è stata ampiamente discussa in questa sessione del Cep. Oltre all'approvazione del Repertorio nazionale dei canti per la liturgia, nell’assemblea di maggio saranno fornite tra l’altro ai vescovi “informazioni circa le iniziative in atto nel campo delle comunicazioni sociali”; l'Agorà dei giovani italiani, che prevede quest'anno il pellegrinaggio nazionale a Loreto il 1-2 settembre, con la presenza del Papa; alcuni ragguagli circa la 23a Gmg (Sydney, 15-20 luglio 2008); una riflessione sui contenuti della 45a Settimana Sociale, prevista a Pistoia e Pisa dal 18 al 21 ottobre. “L'alta percentuale (91, 6%) di alunni che anche nell'anno scolastico 2005-2006 ha scelto di avvalersi di tale insegnamento nella scuola statale sta a dimostrare che genitori e studenti ritengono che esso possa aiutare a una corretta conoscenza della fede in Cristo e a maturare una personalità in grado di comprendere i processi culturali in atto, in un momento in cui si assiste anche in Italia a un rinnovato interesse nei confronti delle religioni”. E’ quanto si legge nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei (Roma, 26-29 marzo), in cui i vescovi italiani sottolineano “il notevole contributo” dato dall’Irc “alla formazione delle giovani generazioni”. L’Irc, per la Cei, è “un insegnamento quanto mai pertinente in vista della formazione globale della persona, perché favorisce la ricerca di senso, il confronto con la proprie radici storiche e l'apertura alla spiritualità”. In tale prospettiva, i vescovi chiedono che “le potenzialità dell'insegnamento della religione, non solo nella scuola statale ma anche in quella cattolica, siano adeguatamente valorizzate nell'azione pastorale”, e invitano i docenti a “sentirsi parte viva e integrante della comunità diocesana e a dare uno specifico contributo nel campo dell'educazione e della inculturazione della fede”.

LadyRatzinger
00martedì 3 aprile 2007 21:07
Da Petrus
Monsignor Betori conferma: "Al Family Day nessun Vescovo, ma pieno sostegno delle parrocchie"

ROMA - "Al Family Day non e' prevista nessuna partecipazione dei vescovi, che esprimono pero' il loro sostegno e sono contenti di questa espressione del laicato cattolico". Lo ha affermato il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori che, rispondendo ai giornalisti, ha detto che sara' invece possibile la partecipazionme delle parrocchie. "La parrocchia - ha spiegato - non e' una realta' privata del clero, la loro partecipazione al Family Day dipende da come si organizzeranno al loro interno, certo alcuni parroci vorranno esserci".

LadyRatzinger
00mercoledì 4 aprile 2007 10:33
Da Petrus
Bagnasco sotto scorta, la solidarietà di Betori: "Le sue parole sono state travisate"

GENOVA - “Bagnasco vergognati! ”. Questa la scritta che ieri è stata trovata sulla facciata della cattedrale di San Lorenzo a Genova. Subito dopo, il Presidente della Cei, nonché Arcivescovo del capoluogo ligure, è stato posto sotto scorta dalla Polizia. La scritta, vergata nella notte, rientra nella polemica scaturita dalle parole (fraintese) di Bagnasco sul riconoscimento delle coppie di fatto omosessuali contenuto nel disegno di legge dei Dico, che potrebbero costituire un passo verso il riconoscimento anche della pedofilia e dell’incesto. La polizia ha effettuato un sopralluogo, ma quando gli agenti sono arrivati, personale della chiesa aveva già coperto la scritta. "Mons. Bagnasco e' stato compreso male, anche a causa dei titoli scelti da agenzie di stampa. Ma il suo richiamo ai fondamenti dell'etica resta valido, al di la' degli esempi fatti, che non intendevano mettere sullo stesso piano cose che sono diverse". Il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Betori, ha chiarito l'equivoco nato sabato scorso dalle dichiarazioni del nuovo presidente dei vescovi italiani. "Lo ha detto anche Benedetto XVI - ha ricordato Betori - il rischio e' quello di seguire aspettative, desideri e brame. Il convergere sui desideri espone al rischio di un passaggio da comportamenti considerati illeciti a comportamenti leciti. Solo se fondiamo su una base forte il riferimento normativo siamo sicuri che questo non accada". "Mons. Bagnasco - ha spiegato Betori - utilizza espressioni sempre articolate e complesse che le agenzie devono ridurre a un titolo. Quel che dispiace e' che il dibattito poi prende per riferimento non la notizia ma addirittura il titolo dell'agenzia. Prima di intervenire invece bisognerebbe leggere i testi" In ogni caso, secondo il segretario della Cei, "se riandiamo al senso del discorso e' chiaro quello che vuol dire: il riferimento etico non puo' essere ancorato alla maggioranza ma ha bisogno di un fondamento antropologico. Gli esempi poi potrebbero essere 10 mila, conta la sostanza". Quanto alle misure di protezione prese dopo le scritte comparse sulla cattedrale di Genova, Betori ha affermato che "sono misure prese in sede locale, relative alla situazione di Genova. A livello nazionale non abbiamo notizie al riguardo".

[Modificato da LadyRatzinger 04/04/2007 10.35]

LadyRatzinger
00mercoledì 4 aprile 2007 18:44
Da Petrus
Il Cardinale Bertone nominato nuovo Camerlengo di Santa Romana Chiesa

CITTA’ DEL VATICANO - E' il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, il nuovo Camerlengo di Santa romana Chiesa. Lo rende noto un comunicato della sala stampa vaticana. Il Papa ha accolto le dimissioni del cardinale Eduardo Martinez Somalo. Il cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa è un cardinale della Chiesa Cattolica che ricopre fondamentalmente due incarichi. In primo luogo, quando il pontefice è in viaggio, o assente, amministra i beni temporali. Alla morte del pontefice, come incarico speciale, presiede il periodo della cosiddetta Sede vacante. "Il Santo Padre - si legge nel bollettino quotidiano della sala stampa vaticana - ha accolto la rinunzia presentata dall'Em.mo Card. Eduardo Martinez Somalo all'incarico di Camerlengo di Santa Romana Chiesa, in adempimento a quanto previsto nella Costituzione Apostolica Universi Dominici gregis, ed ha chiamato a succedergli nel medesimo incarico l'Em.mo Card. Tarcisio Bertone, S.D.B., Segretario di Stato". In una lettera inviata al Camerlengo uscente, il Papa scrive: "Nel giorno dedicato alla solennità dell'Annunciazione del Signore, approssimandosi il compimento del Suo ottantesimo genetliaco, Ella mi ha indirizzato una Lettera per comunicarmi la rinunzia all'incarico di Camerlengo di Santa Romana Chiesa, in adempimento a quanto previsto dalla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis". "Mentre mi è caro ricordare il lungo ed intenso servizio che ha intimamente legato il Suo ministero sacerdotale ed episcopale alla Sede Apostolica - scrive Benedetto XVI - desidero in particolare manifestarLe il mio sincero apprezzamento per la grande dignità e la solenne sobrietà con cui Ella ha esplicato il ruolo di Camerlengo di Santa Romana Chiesa, nel momento del pio trapasso del compianto Papa Giovanni Paolo II, in occasione della straordinaria dimostrazione di fede durante i funerali dell'amato Pontefice, durante tutto il periodo della Sede Vacante e nello svolgimento dei lavori del Conclave per l'elezione del nuovo Papa".

Paparatzifan
00mercoledì 4 aprile 2007 21:15
Da Avvenire, 4 marzo 2007
Benedetto visto da vicino

Nel magazine speciale tra pochi giorni in edicola (ma già prenotabile) un ritratto sorprendente del Santo Padre tracciato da amici e intellettuali, uomini di Chiesa e non credenti Già migliaia le prenotazioni per l’inserto del 15 aprile sugli ottant’anni del Papa


Il fratello Georg e il cardinale Bertone, Giuliano Ferrara e gli amici bavaresi, il cardinale Ruini ed Eugenia Roccella, e poi il neo-presidente della Cei Bagnasco, il biografo tedesco Peter Seewald, lo scrittore cattolico americano George Weigel, il cardinale Schönborn, Salvatore Mannuzzu... In 116 pagine si possono scrivere molte cose: quelle che questi personaggi ci hanno permesso di dire su Papa Ratzinger, con scritti o interviste, a proposito dei suoi ottant'anni ormai imminenti hanno il gusto di un'autentica primizia. Lette in sequenza, sono testimonianze che da differenti angolature e secondo la sensibilità di ciascuno svelano un uomo e un Pontefice al dunque ancora poco conosciuto, sebbene l'esposizione mediatica del cardinale Ratzinger prima e, ora, del Papa possano dare l'impressione che di Benedetto XVI si conosca praticamente tutto. Non è così: ce lo ha confermato in modo esemplare l'avventura giornalistica di realizzare l'inserto speciale Benedetto. Gli 80 anni di un Papa che conquista, che Avvenire allegherà il 15 aprile (Domenica in Albis, vigilia del compleanno del Papa). Attorno all'idea di provare a rendere più familiare ai lettori un personaggio straordinario per profilo umano, vigore di fede e spessore intellettuale è andato prendendo corpo un vero "viaggio" alla scoperta di Joseph Ratzinger, coinvolgendo amici e intellettuali, uomini di Chiesa e laici, scrittori e teologi. Abbiamo visto emergere una fisionomia che si credeva di conoscere e invece resta ancora da esplorare, piena di fascino e di aspetti poco noti. Nelle pagine di Benedetto - una rivista del formato di Luoghi dell'infinito, a colori, con un ampio corredo di foto - i lettori troveranno un ritratto in rilievo, che lascia il segno e rende più facile leggere e interiorizzare il magistero del Papa. Le numerosissime prenotazioni di copie di Avvenire con l'inserto speciale su Benedetto XVI giunte sinora da diocesi e parrocchie - un dato superiore alle attese - conferma che l'interesse per approfondire la conoscenza del Papa è molto vivo nella nostra comunità ecclesiale, che ha imparato a volergli bene come a un padre.
Il magazine è diviso in quattro sezioni. La prima esplora il disegno misterioso che ha condotto Ratzinger da Marktl am Inn, suo paese natale, al soglio pontificio, con le voci del fratello Georg, dell'arcivescovo di Vienna Schönborn, dell'amico di una vita Reinhard Richardi e di George Weigel, il grande biografo di Giovanni Paolo II che ora ha scritto un libro proprio su Papa Benedetto. Segue un capitolo corposo sulle radici e le suggestioni del suo pensiero, che raccoglie articoli di Giuliano Ferrara, Francesco Botturi, Salvatore Mannuzzu, don Pierangelo Sequeri, Eugenia Roccella e del cardinale Ruini. La terza parte entra nella sua peculiare capacità di comporre vette intellettuali e semplicità di tratto e di insegnamento: ne parlano Gian Maria Vian, Davide Rondoni, il liturgista Crispino Valenziano e il teologo Georges Cottier. Infine un'ampia sezione che traccia un percorso ideale tra quelle prime parole dalla loggia della basilica vaticana (quando si descrisse come «un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore») e alcuni aspetti del suo carattere e della sua formazione: qui le firme sono del suo prefetto agli studi in seminario nel 1946 Alfred Läpple, del "Messori tedesco" Peter Seewald, di Elio Guerriero, di monsignor Bruno Forte e del segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone. Completano la rivista (che costerà solo un euro, più altrettanto per il quotidiano, e sarà in edicola esclusivamente il 15 aprile) numerosi riquadri con storie, aneddoti, chiavi di lettura imprevedibili su un Papa che sta conquistando il cuore degli italiani.
Gli abbonati con formule che comprendono la domenica riceveranno l'inserto gratuitamente a casa.
Paparatzifan
00venerdì 6 aprile 2007 17:23
Dal blog di Lella...
Rassegna stampa del 6 aprile 2007

L’ultima cena senza agnello, il Papa risolve il giallo ed esorta: via la sporcizia dalla nostra vita

CITTA’ DEL VATICANO - Papa Ratzinger vuole mettere la parola fine alla disputa che divide gli esegeti sulla datazione dell’Ultima Cena. Disputa alimentata da una «apparente contraddizione» tra il Vangelo di Giovanni e i sinottici. Se Marco, Matteo e Luca informano che Gesù prima della sua cattura aveva già celebrato con gli apostoli la Cena, lasciando intendere che Cristo fu preso, processato e crocifisso nel giorno della Pasqua ebraica, Giovanni appare discorde e precisa che la mattina in cui Pilato giudicò Gesù gli ebrei non avevano ancora mangiato la Pasqua. «La scoperta degli scritti di Qumran ci ha condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso» ha detto il Papa teologo nell’omelia pronunciata nella basilica di San Giovanni in Laterano durante la Messa in Cena Domini dove ha preso il via il cosiddetto Triduo Pasquale, il culmine di tutto l’anno liturgico in cui si commemorano, da oggi fino a domenica, passione, morte e resurrezione di Cristo. Il Papa a ricordo del suo mandato a servire ha lavato, come è tradizione, i piedi a dodici sacerdoti poi, parlando della Pasqua ebraica, è entrato a gamba tesa nella discussione esegetica avvalorando di fatto la tesi di Annie Joubert, la grande specialista francese che nel 1953 risolse il busillis della datazione sostenendo (tra non poche polemiche) che i fatti avvennero non tanto seguendo il calendario lunare ma quello degli esseni. «Gesù ha celebrato la Pasqua coi suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima, l’ha celebrata senza agnello come la comunità di Qumran che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello» perché, ha spiegato Ratzinger, al posto dell’agnello «ha donato se stesso». In mattinata Benedetto XVI è stato protagonista di un altro rito di tradizione pasquale. Alla messa crismale ha parlato della cecità che alberga nel cuore dell’uomo. «Senza l’amore la persona è buia dentro» ed è proprio questo amore, ha aggiunto, che «può rendere candide le nostre vesti sporche». Stasera Benedetto XVI sarà al Colosseo per la pia pratica della Via Crucis. Quest’anno le meditazioni delle stazioni le ha volute affidare alla sapienza biblica di monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto della biblioteca ambrosiana.
F. Gia.

Il Messaggero, 6 aprile


Ieri la lavanda dei piedi a S. Giovanni

di MARINO COLLACCIANI

IL PAPA riannoda il filo del discorso aperto due anni anni fa e ieri, nell’immediata vigilia del Venerdì Santo, è tornato ad ammonire: la prima cosa da imparare è amare e servire, per vincere la «sporcizia della propria vita» e imitare veramente Gesù. E questo vale soprattutto per i sacerdoti. È la riflessione del Papa, che si fa messaggio concreto quando Benedetto XVI, ripetendo il gesto di Gesù nell'Ultima Cena, lava i piedi a dodici uomini, in San Giovanni in Laterano, per la messa «in Coena Domini» nella quale la Chiesa ricorda l'ultima cena di Gesù con i discepoli, a Gerusalemme. Un Giovedì Santo cominciato a San Pietro: nel corso della Messa Crismale delle 9,30, Papa Ratzinger aveva ricordato che senza amore non si entra nel regno dei cieli. Gli abiti del sacerdote, poi, «sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa», del dover «parlare e agire in persona Christi». Ma, ha osservato Benedetto XVI, proprio celebrando «ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da lui, quanta sporcizia esiste nella nostra vita». Davanti al Papa, sia nella messa del mattino sia in quella del pomeriggio, era presente quasi tutto il collegio cardinalizio e una miriade di vescovi e sacerdoti: è ai vertici della Chiesa, dunque, che Papa Ratzinger ricorda il comandamento dell'amore e i rischi della caduta. È una meditazione forte, anche se non ha i toni di severità di quando, ancora cardinale, disse durante le meditazioni della via crucis del 2005, alla fine del pontificato di Wojtyla. «Quanta sporcizia - disse - c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui. Quanta superbia, quanta autosufficienza». La durezza di quelle parole fece il paio in quelle settimane con la condanna della «dittatura del relativismo» che Ratzinger formulò nella «missa pro eligendo pontifice» all'apertura del conclave. All’epoca apparve ad alcuni troppo critica la decisione con la quale stigmatizzò le «correnti ideologiche» che hanno agitato «la piccola barca dei cristiani»: «marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo...»: Ad altri la pronuncia indicò che il cardinale bavarese non faceva sconti al proprio rigore neppure per conquistarsi benevolenza: si presentava con la propria identità chiara. E forse questa franchezza spinse molti, il giorno successivo, ad eleggerlo Papa. Per far rivivere anche drammaticamente l'amore di Gesù per i discepoli e invitare allo spirito di servizio, Benedetto XVI, nella cattedrale di Roma gremita di fedeli, ecclesiastici, membri del corpo diplomatico ha, dunque, ripetuto la lavanda dei piedi a 12 uomini in rappresentanza dei gruppi laici della diocesi di Roma. Durante la colletta della messa di ieri sera, detta «In Coena Domini» sono stati raccolti fondi a sostegno del dispensario medico di Baidoa, in Somalia. Nell'omelia papa Ratzinger - che ha ricordato come quella che la Chiesa celebra domanica per la resurrezione di Cristo era «una festa di primavera dei nomadi» - ha confrontato la cena pasquale del mondo ebraico con quella che è diventata la messa del giovedì santo per i cristiani. Ha anche ricordato come nel vangelo di Giovanni la datazione dell'ultima cena differisca da quella degli altri vangeli, i cosiddetti sinottici: secondo Giovanni, Gesù morì in croce il giorno in cui venivano immolati gli agnelli pasquali e quindi non potè personalmente celebrare la cena pasquale, secondo i sinottici invece la cena di Gesù fu una cena pasquale. Ebbene, il Papa suggerisce una soluzione a questa difformità, «una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità»: il racconto di Giovanni è «storicamente preciso», Gesù è morto nell'ora dell'immolazione degli agnelli, ma ha ha anche celebrato una cena pasquale, perché «probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima» e senza agnello: «in luogo dell'agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue».

Il Tempo, 6 aprile 2007


Al Colosseo la tradizionale Via Crucis
Il Pontefice la guiderà oggi a partire dalle 21,15 davanti a 67 televisioni di 47 Paesi


IL TRIDUO pasquale ha avuto inizio ieri con la Santa Messa nella Cena del Signore celebrata dal Papa nella Basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma: tre giorni che la Chiesa cattolica considera «il culmine di tutto l'anno liturgico» poiché commemorano la morte e risurrezione di Cristo. Con la celebrazione eucaristica di ieri pomeriggio Benedetto XVI ha fatto memoria dell'ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. Oggi alle ore 17 il Papa presiderà la celebrazione della Passione del Signore nella Cappella Vaticana alle ore 17 alle 21,15 guiderà la tradizioale Via Crucis al Colosseo. Quindi, domani, a partire dalle 22, il Pontefice darà inizio alla tradizionale veglia: è questa la seconda tappa del Triduo pasquale e segna il momento in cui i cattolici restano in attesa della resurrezione di Gesù. Domenica, infine, si annuncerà la presenza del risorto. La mattina, sempre nella basilica vaticana, Benedetto XVI celebrerà la Santa Messa (10,30) e impartirà la benedizione «Urbi et Orbi» (alla città e al mondo). Subito dopo, Ratzinger si trasferirà per una settimana di riposo nella residenza di Castel Gandolfo. Sul piano mediatico c’è da dire che saranno almeno 108 le reti televisive di 67 Paesi si collegheranno via-satellite per il messaggio pasquale di Benedetto XVI e per la benedizione «Urbi et Orbi»ì di domenica prossima alle 12. L'evento sarà preceduto dalla messa di Pasqua che il Pontefice presiederà nella basilica di San Pietro a partire dalle 10,30 e che sarà anch'essa trasmessa a un’audience globale. Lo ha reso noto il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali. Un totale di 67 televisioni di 41 paesi trasmetterà oggi anche la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, guidata da Benedetto XVI (inizio ore 21,15). I tradizionali collegamenti di Natale e Pasqua, trasmessi in tutto il pianeta in Mondovisione, sono resi liberamente disponibili attraverso una rete di satelliti dai quali i network tv rilanciano gli eventi al pubblico locale e nazionale: i costi delle tariffe sono coperti da un fondo dei «Cavalieri di Colombo», associazione benefica con membri in Canada, Stati Uniti, Messico e Filippine. Gli eventi televisivi della Settimana Santa in Vaticano sono una coproduzione del Centro Televisivo Vaticano (Ctv) e della Rai. Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali offre un commento in cinque lingue, tra cui quello in inglese fornito dal presidente dello stesso dicastero vaticano, l'arcivescovo John P. Foley. Mar. Coll.

Il Tempo, 6 aprile 2007


VERSO LA PASQUA

Colosseo, una «Via Crucis» nella luce della Scrittura


Da Roma Mimmo Muolo

Un viaggio nel dolore, nella solitudine, nella crudeltà, nel male e nella morte». Ma anche e soprattutto «un percorso nella fede, nella speranza e nell'amore, perché il sepolcro dell'ultima tappa del nostro cammino non rimarrà sigillato per sempre». Così nella preghiera iniziale viene riassunto il senso della Via Crucis che questa sera il Papa presiederà al Colosseo, le cui meditazioni sono state scritte da monsignor Gianfranco Ravasi. Il noto biblista, prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano, conduce in effetti per mano i fedeli lungo la via dolorosa, attualizzandone i diversi momenti e illuminando con profonde riflessioni gli aspetti della vita di tutti i giorni. Così, a leggere le sue parole, sempre perfettamente aderenti al testo evangelico, si ha quasi l'impressione di essere direttamente presenti e personalmente coinvolti in quegli eventi svoltisi «in una tarda mattinata primaverile di un anno tra il 30 e il 33 della nostra era». Monsignor Ravasi, seguendo la Passione secondo Luca, non utilizza il percorso tradizionale della Via Crucis. Non ci sono, ad esempio, le tre cadute di Gesù (anche se alla settima stazione - Gesù è caricato della Croce - l'autore ricorda che la «tradizione ha voluto simbolicamente costellare quell'itinerario di tre cadute). Tuttavia non è la prima che una simile scansione delle tappe della via dolorosa viene utilizzata nella Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo (successe ad esempio anche nel 1991). E alla fine l'effetto d'insieme fine risulta ugualmente efficace.
Si parte con la preghiera nel Getsemani. Nel Cristo «in lotta con l'angoscia - scrive l'autore delle meditazioni - ritroviamo noi stessi quando attraversiamo la notte del dolore lacerante, della solitudine degli amici, del silenzio di Dio». Si passa quindi al tradimento di Giuda «simbolo nei secoli di tutte le infedeltà, di tutte le apostasie, di tutti gli inganni». Gesù sperimenta così un'altra solitudine, che è quella di tante persone che «sono sole i n una stanza, davanti a una parete spoglia o a un telefono muto, dimenticati da tutti perché vecchi, malati, stranieri o estranei».
La scena si anima nella terza stazione, quella giudizio davanti al Sinedrio. Un giudizio dall'esito scontato, annota Ravasi, mentre di fuori sta per consumarsi un altro dramma, quello del triplice rinnegamento di Pietro (quarta stazione) Anche qui siamo di fronte a un tradimento, ma nella vicenda del principe degli apostoli, «si condensano tante storie di infedeltà e di conversione, di debolezza e di liberazione». Il biblista commenta con le parole di un convertito, François-René de Chateaubriand: «Ho pianto e ho creduto» (e non sarà questa l'unica citazione letteraria: da Charles Péguy a Marie Noel) e ammonisce i fedeli: «Anche a noi che ogni giorno consumiamo piccoli tradimenti, come per l'apostolo è aperta la strada dell'incontro con lo sguardo di Cristo». La stazione di Pilato (la quinta) fa dire a Ravasi: «Egli incarna un atteggiamento che sembra dominare nei nostri giorni, quello dell'indifferenza, del disinteresse, della convenienza personale». E la sua espressione («che cos'è la verità?») è l'eterna domanda tipica di ogni scetticismo e di ogni relativismo etico».
La flagellazione (sesta stazione) è l'occasione per riflettere sul dramma della tortura in tante carceri del mondo. Il Gesù caricato della croce (settima stazione) viene collegato all'immagine di «tante donne e uomini prostrati nella miseria o nella fame: bambini gracili, vecchi sfiniti, poveri debilitati». L'aiuto del Cireneo (ottava stazione) è «simbolo di tutti gli atti di solidarietà per i sofferenti, gli oppressi e gli affaticati», ma anche dell'«agguato» che Dio compie «sui sentieri della vita quotidiana», bussando alle nostre parte quando meno ce lo aspettiamo. Il pianto delle donne di Gerusalemme (nona stazione) diventa l'occasione per un inno al dolore delle tante «donne umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne, le don ne in crisi e sole di fronte alla loro maternità». E anche la crocifissione (decima stazione) mostra in controluce le contraddizioni della nostra epoca. «Sotto quel corpo agonizzante - annota Ravasi - sfila la folla che vuole «vedere» uno spettacolo macabro. È il ritratto della superficialità, della curiosità banale, della ricerca di emozioni forti. Un ritratto nel quale si può identificare anche una società come la nostra che sceglie la provocazione e l'eccesso quasi come una droga per eccitare un'anima ormai intorpidita, un cuore insensibile, una mente offuscata». La croce campeggia anche nelle meditazioni delle successiva tre stazioni: il buon ladrone; la madre e il discepolo; Gesù muore sulla croce. Da questa tredicesima stazione il prefetto della Biblioteca Ambrosiana coglie lo spunto per ribadire l'importanza del Crocifisso negli ambienti della vita di ogni giorno. Il Cristo che muore sul Golgota, ricorda, «non è più il Dio greco-romano impassibile e remoto». In Gesù crocifisso «si rivela ora il Dio appassionato, innamorato delle sue creature fino al punto di imprigionarsi liberamente nella loro frontiera di dolore e di morte. È per questo che il Crocifisso è un segno umano universale della solitudine della morte e anche dell'ingiustizia e del male. Ma è anche un segno divino universale di speranza per le attese di ogni centurione, cioè di ogni persona inquieta e in ricerca». Anche nell'ultima stazione, la deposizione, la luce di questa speranza è più forte del buio della morte. Perché già si pregusta la risurrezione.

Avvenire, 6 aprile 2007


Il coraggio di Papa Benedetto

Un Papa animalista nella Messa in coena Domini


Un nuovo sport: "sparare" su Ratzinger

Rassegna stampa del 6 aprile su "Gesu' di Nazaret"


Il pasto coi Dodici sarebbe avvenuto il giorno prima della festa ufficiale

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO
Benedetto XVI rilancia la questione dei rapporti di Gesù Cristo con la comunità essena di Qumran. E nello stesso tempo «sposa» una tesi di avanguardia per risolvere il problema dell’ultima Cena. Lo ha fatto ieri pomeriggio, nella sua omelia a San Giovanni in Laterano, durante la messa della lavanda dei piedi, detta «in Coena Domini». Nel racconto dei Vangeli, c’è un problema che ha tormentato gli studiosi per due millenni. San Giovanni racconta infatti che Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali. «Ciò significa, però, - ha detto papa Ratzinger - che Egli morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale, questo, almeno, è ciò che appare». Secondo i tre Vangeli sinottici, Matteo, Marco e Luca, invece l’Ultima Cena di Gesù fu una cena pasquale, come quella che gli ebrei erano soliti consumare alla vigilia della festa. Una contraddizione apparentemente «insolubile», ha detto Benedetto XVI.
«La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità». Infatti Gesù avrebbe celebrato la Pasqua, con la cena, non secondo il calendario lunare ufficiale, ma secondo il calendario solare che era seguito a Qumran dagli esseni, questa misteriosa comunità che ha alimentato e ancora nutre la curiosità degli storici. «Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – ha detto il Papa - l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio». È la tesi avanzata da una studiosa francese, Annie Jaubert; e anche se molti specialisti la rifiutano, altri la considerano affascinante. A questo punto si riaprirebbe però un interrogativo: quali erano i rapporti di Gesù con gli Esseni, e con Qumran, che non vengono mai citati nel Nuovo Testamento? Uno studioso tedesco, Ruckstuhl, afferma che «non è escluso che già i genitori di Gesù celebrassero a volte le feste ebraiche con gli esseni». E certamente le parole del Papa daranno nuovo vigore ai fans dell’ipotesi di un «Gesù esseno».

La Stampa, 6 aprile 2007


«L'agnello era lui Gesù non lo mangiò»

di CATERINA MANIACI

«Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso. Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell'ora dell'immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima - l'ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello - no, non senza agnello: in luogo dell'agnello ha donato se stesso, il suo corpo e
il suo sangue». Il Papa sta celebrando la messa "nella cena del Signore", la messa del Giovedì Santo e della lavanda dei piedi, nella basilica di San Giovanni in Laterano, e pronuncia l'omelia. Da teologo parla del senso della Pasqua, del rito ebraico, poi dei rotoli di Qumran e degli esseni. Pronuncia le parole sopra riportate e spiega, da esegeta, che la scoperta di Qumran ha risolto la contraddizione fra i Vangeli di Giovanni e quelli di Matteo, Marco e Luca. I rotoli danno ragione a Giovanni, secondo il quale Gesù veniva crocifisso nel momento stesso in cui nel Tempio erano sacrificati gli agnelli pasquali, dunque «la sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero». Secondo gli altri tre Vangeli invece prima avvenne la cena pasquale tradizionale, durante la quale «Egli inserì la novità del dono del suo corpo e del suo sangue». «Questa contraddizione», spiega il Pontefice, «fino a qualche anno fa sembrava insolubile. La maggioranza degli esegeti era dell'avviso che Giovanni non aveva voluto comunicarci la vera data storica della morte di Gesù, ma aveva scelto una data simbolica per rendere così evidente la verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello che ha sparso il suo sangue per tutti noi». Tuttavia, spiega Ratzinger, nel corso del Novecento è intervenuta una scoperta che ha contribuito a chiarire il quadro degli eventi: «La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità». Quindi ecco la prova della storicità del Vangelo di Giovanni, spiegata, appunto, attraverso «il calendario di Qumran», dunque, in sostanza, l'influsso della comunità degli esseni dimostra la storicità dei Vangeli. Perciò non esiste alcuna concessione alle svariate teorie che dilagano su Gesù semplice esponente del gruppo degli esseni e quindi unicamente uomo, non Figlio di Dio. Anzi, il Papa ribalta l'idea, tanto per intenderci, ribadita nel best-seller "Inchiesta su Gesù" di Corrado Augias e Mauro Pesce. Spieghiamo che cosa sono questi famosi rotoli di Qumran e chi erano gli esseni. Nel 1947 in alcune grotte del deserto di Giuda, a Khirbet Qumran, vicino al Mar Morto, furono casualmente scoperte da un giovane pastore alcune giare contenenti antichi manoscritti. Erano il prodotto della comunità religiosa ebraica degli esseni, appunto, che abitò quella regione fino al 70 d.C. Avevano abolito ogni proprietà personale e, di quanto producevano o possedevano in comune, facevano baratto. Dediti ai lavori di agricoltura, di apicoltura, di allevamento, e di artigianato, alternavano ore di attività con momenti di preghiera. Contrari alla violenza e attenti al rispetto degli animali, che non sacrificavano, rifiutavano di essere arruolati e di fabbricare armi, professando l'uguaglianza di tutti gli uomini. Alcuni studiosi hanno suggerito che Gesù fosse un esseno, e che il cristianesimo nacque da questa comunità. Secondo altri studi più puntuali Giovanni il Battista viene considerato come un ottimo esempio di esseno che aveva abbandonato la vita comunitaria. Senza contare che i rotoli del Mar Morto hanno dato vita anche a thriller tra religione e mistero, come, tra gli ultimi, "L'Ultimo testamento" di Philip De Roy.

Libero, 6 aprile 2007


Notti di preghiera attendendo la veglia pasquale

di CATERINA MANIACI

È cominciato il Triduo pasquale: il ruolo di Roma quale centro della cristianità è più che mai evidente in questo momento, con le celebrazioni che si susseguono a ritmo serrato. Tre sono i luoghi che rappresentano il cuore della Pasqua: la basilica di San Giovanni in Laterano, il Colosseo e, ovviamente, San Pietro. Ieri, dunque, il Triduo - i tre giorni della Pasqua - è cominciato celebrando la Messa "In Coena Domini". Il Papa ha lavato i piedi a dodici uomini, gesto simbolo di servizio che ripete quello compiuto da Gesù verso gli apostoli nell'ultima cena celebrata a Gerusalemme. Durante la messa celebrata a San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma, Benedetto XVI ha ripetuto così il gesto della lavanda dei piedi, nei confronti di dodici laici in rappresentanza delle aggregazioni laicali della diocesi di Roma. Oggi è il giorno della rievocazione dolorosa della Passio Christi, la passione di Cristo: il Venerdì Santo. Simbolicamente la Passione, con la morte di Gesù, vengono rievocati nella Via Crucis condotta dal Papa nel Colosseo, laddove si è consumata la persecuzione di migliaia di cristiani e la morte di uomini e donne solo perché schiavi e relegati al ruolo di "divertimento" per i giochi romani. Il testo della celebrazione quest'anno è stato affidato al noto biblista Gianfranco Ravasi prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Solitamente alla Via Crucis accorrono moltissimi pellegrini e anche tanti turisti, quest'ultimi attirati soprattutto dalla suggestione del rito: le fiaccole nella notte, la mole oscura del Colosseo rischiarata dal lento corteo, i canti, la gente in preghiera... Un'altra notte di preghiera, ma dallo spirito più felicemente sollevato nell'attesa della festa è quella che si celebra nel Sabato Santo, con la veglia pasquale. Lo scenario è quello di San Pietro. Il rito centrale del Sabato Santo è la Veglia pasquale, che papa Ratzinger presiederà nella basilica di San Pietro dalle 22 per commemorare la Notte della Risurrezione. All'inizio della celebrazione, il Papa benedice nell'atrio il fuoco nuovo. Dopo l'ingresso in processione in basilica con il cero pasquale, al canto dell'Exultet, presiederà le liturgie della parola, battesimale ed eucaristica, questa concelebrata con i cardinali. Si arriva così alla Domenica di Pasqua, quando Benedetto XVI presiederà la messa del Giorno, alle 10:30, sul sagrato di San Pietro. Alle 12 pronuncerà quindi il messaggio pasquale e impartirà la benedizione Urbi et Orbi dalla loggia centrale. Anche per riposarsi dalle fatiche della Settimana Santa, alle 16:30 di domenica Benedetto XVI si trasferirà nella residenza di Castel Gandolfo, dove rimarrà per una settimana, fino al pomeriggio di sabato 14 aprile. Dal Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo il Papa si affaccerà ai fedeli alle 12 del Lunedì dell'Angelo per la recita del "Regina Coeli".

Libero, 6 aprile 2007


Benedetto XVI lava i piedi a dieci uomini

Amare e servire contro la sporcizia

Manuela Scalpelli

CITTÀ DEL VATICANO
La prima cosa da imparare è l'amore, per vincere la «sporcizia della propria vita» ed imitare veramente Gesù. E questo vale soprattutto per i sacerdoti. È la riflessione del Papa, che si fa messaggio concreto quando Benedetto XVI, ripetendo il gesto di Gesù nell'ultima cena, lava i piedi a dieci uomini, in San Giovanni in Laterano, per la messa «in Coena Domini» nella quale la Chiesa ricorda l'ultima cena di Gesù con i discepoli, a Gerusalemme. Al mattino in San Pietro Papa Ratzinger ammonisce che senza amore non si entra nel regno dei cieli e la veste bianca richiesta da Dio è la veste dell'amore verso Dio stesso e verso i fratelli. Gli abiti del sacerdote, poi, «sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa», del dover «parlare e agire in persona Christi». Ma proprio celebrando, osserva il Papa, «ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da lui, quanta sporcizia esiste nella nostra vita». Davanti al Papa, sia nella messa del mattino che in quella del pomeriggio, ci sono quasi tutto il collegio cardinalizio e una miriade di vescovi e sacerdoti: è ai vertici della Chiesa dunque che Papa Ratzinger ricorda il comandamento dell'amore e i rischi della caduta. È una meditazione forte, anche se non ha i toni di severità di quando, ancora cardinale, disse durante le meditazioni della via crucis del 2005, alla fine del pontificato di Wojtyla. «Quanta sporcizia – disse – c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui. Quanta superbia, quanta autosufficienza». La durezza di quelle parole fece il paio in quelle settimane con la condanna della «dittatura del relativismo» che Ratzinger formulò nella «missa pro eligendo pontifice» all'apertura del conclave. La decisione con cui stigmatizzò le «correnti ideologiche» che hanno agitato «la piccola barca dei cristiani»: «marxismo, liberalismo, libertinismo, collettivismo, individualismo radicale, vago misticismo religioso, agnosticismo, sincretismo...» ad alcuni apparve troppo critica, ad altri indicò che il cardinale bavarese non faceva sconti al proprio rigore neppure per conquistarsi benevolenza: si presentava con la propria identità chiara. E forse questa franchezza spinse molti, il giorno successivo, ad eleggerlo Papa.

Gazzetta del sud, 6 aprile 2007


L'Ultima Cena

«A tavola Gesù non mangiò agnello»

CITTA' DEL VATICANO — Gesù potrebbe aver celebrato la Pasqua ebraica — sua «ultima cena» — nel giorno in cui la fissava il calendario degli Esseni, che erano vegetariani e quindi potrebbe aver fatto una Pasqua «senza agnello»: è un'ipotesi di alcuni studiosi che il Papa ha ricordato ieri durante la celebrazione in San Giovanni in Laterano, riconoscendole «un alto grado di probabilità». L'ipotesi si basa sugli «scritti di Qumran» scoperti nel 1947 che ci informano sulla setta degli Esseni. Gesù — ha detto ieri Benedetto XVI — «ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran — cioè almeno un giorno prima della Pasqua del Tempio — e l'ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran che non riconosceva il Tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio».

Il Corriere della sera, 6 aprile 2007


Stasera la celebrazione. Alla Nona stazione la meditazione scritta da Ravasi sulla condizione femminile

Papa, la Via Crucis delle donne «Con Cristo le umiliate e violentate»
La Pasqua e il richiamo ai sacerdoti: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa»

Luigi Accattoli

CITTA' DEL VATICANO — Nella «Via Crucis» di questa sera al Colosseo — che sarà guidata da Benedetto XVI ed è stata scritta dal biblista Gianfranco Ravasi — vengono ricordate, sullo sfondo dell'incontro di Gesù «con le donne di Gerusalemme», tutte le figure femminili tribolate di oggi e di ogni tempo: violentate, «sottoposte a pratiche tribali indegne», cioè infibulate o variamente vessate nella loro sessualità, «sole di fronte alla maternità», madri «ebree e palestinesi», vedove, anziane abbandonate.
Ogni anno tocca a un diverso autore scrivere la «Via Crucis» per il papa e due anni addietro, per l'ultimo Venerdì Santo di papa Wojtyla, l'autore era stato Joseph Ratzinger, che aveva proposto una severa riflessione sul peccato che «sfigura» il volto della Chiesa: «Quanta sporcizia — scrisse tra l'altro — c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui».
La parola «sporcizia» riferita al peccato dei consacrati è tornata ieri in bocca al papa, durante la messa celebrata in mattinata nella Basilica di San Pietro: «Quando ci accostiamo alla liturgia per agire nella persona di Cristo — ha detto rivolgendosi ai sacerdoti — ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da Lui; quanta sporcizia esiste nella nostra vita. Egli solo può donarci il vestito festivo, renderci degni di presiedere alla sua mensa, di stare al suo servizio».
Il papa ha scelto per la «Via Crucis» di quest'anno un autore creativo: monsignor Ravasi, biblista di gran nome e prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Le sue meditazioni sono puntuali sia nella lettura delle quattordici «stazioni» evangeliche, sia nella loro attualizzazione.
La «nona stazione» — dove Gesù incontra «un gruppo di donne, forse appartenenti a una confraternita dedita al conforto e al lamento rituale per i moribondi e i condannati a morte» — è forse quella che gli è riuscita meglio.
Il biblista parte dal ricordo delle donne di cui Gesù «si era spesso circondato» durante la sua vita, «superando convenzioni e pregiudizi»: dalla vedova di Nain alla «prostituta in lacrime», «dalla giovane figlia di Giairo all'anziana curva, dalla nobildonna Giovanna di Cusa alla vedova indigente e alle figure femminili della folla che lo seguiva». Accenna poi al «mondo di madri, di figlie e di sorelle» che «si stringe attorno a Gesù fino all'ultima sua ora», cioè appunto nelle diverse fasi della «via della croce».
Ecco infine il richiamo alle donne dolenti d'ogni tempo e luogo: «Accanto a lui noi ora immaginiamo anche tutte le donne umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne, le donne in crisi e sole di fronte alla loro maternità, le madri ebree o palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra, le vedove o le anziane dimenticate dai loro figli».
Creature dolenti e a un tempo consolanti, che insegnano agli uomini la «bellezza» della compassione: «È una lunga teoria di donne che testimoniano a un mondo arido e impietoso il dono della tenerezza e della commozione, come fecero per il figlio di Maria in quella tarda mattinata gerosolimitana. Esse ci insegnano la bellezza dei sentimenti: non ci si deve vergognare se il cuore accelera i battiti nella compassione, se talora affiorano sulle ciglia le lacrime, se si sente il bisogno di una carezza e di una consolazione».
La seconda stazione permette a Ravasi di dire qualcosa sull'intricante figura di Giuda, più che mai attuale oggi a seguito della pubblicazione dell'apocrifo «Vangelo di Giuda» e del romanzo di Jeffrey Archer appena tradotto in italiano da Mondadori: «Il Vangelo secondo Giuda. Beniamino Iscariota». Ravasi sembra fare spazio a un «pentimento» del traditore che potrebbe non essere stato solo disperazione: «Alla notte succederà l'alba, all'oscurità la luce, al tradimento il pentimento, anche per Giuda».

Il Corriere della sera, 6 aprile 2007

[Modificato da Paparatzifan 06/04/2007 17.25]

Paparatzifan
00sabato 7 aprile 2007 17:48
Dal blog di Lella...
QUELLA PASQUA MISTERIOSA

Papa Ratzinger getta luce su alcuni degli enigmi che avvolgono la vicenda storica di Cristo

C´è contraddizione fra i vangeli sugli ultimi giorni di Gesù. Ma secondo Benedetto XVI la chiave per risolverla è nei rotoli di Qumran e nei riti degli Esseni. Che Gesù stesso condivideva
Le ricerche del Pontefice sono contenute in un libro che uscirà la prossima settimana
All´inizio il Nazareno fu un seguace di Giovanni Battista e battezzava come lui

Città del Vaticano

Perché manca l´agnello sul tavolo dell´Ultima Cena? Sherlock Holmes non avrebbe saputo rispondere. «Perché l´Agnello è Gesù stesso», poteva ribattere un teologo. Ma la risposta non avrebbe risolto l´enigma, perché solo durante il pasto Cristo si è rivelato ai suoi seguaci come vittima sacrificale, offrendo loro il pane e il vino come suo corpo e suo sangue. Però gli apostoli, quando organizzarono la cena, non potevano saperlo e toccava a loro organizzare tutto. I vangeli parlano chiaro. Gli apostoli gli chiesero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?». E Gesù dà le sue istruzioni.

Sulla tavola di un ebreo osservante, all´epoca di Cristo, l´agnello non poteva mancare. Era così per volontà del Signore, che aveva detto a Mosè e ad Aronne nel giorno della fuga dall´Egitto: «Ciascuno si procuri un agnello per famiglia (e il giorno di Pasqua) tutta l´assemblea delle comunità di Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po´ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull´architrave delle case in cui lo dovranno mangiare». Quel segno rosso così inquietante doveva servire all´Angelo del Signore per riconoscere le abitazioni degli ebrei e salvarle, perché nelle case degli egiziani in quella notte fatale sarebbe morto il primogenito. Un rito da seguire scrupolosamente.

Mosè, così tramanda il libro dell´Esodo, lo inculcò agli israeliti: «Voi osserverete questo rito per sempre». E invece l´agnello non c´è, quando Gesù e gli apostoli si siedono per la cena dell´addio. E c´è ancora un altro mistero, che circonda quella riunione che per i cristiani è diventata fondante.
C´è una contraddizione di date. Gli evangelisti Marco, Luca e Matteo affermano senza esitazioni che l´ultima cena si verifica proprio nel giorno della Pasqua ebraica, mentre Giovanni nel suo vangelo dichiara che Cristo muore sul Calvario (e questo accade il giorno seguente dopo la notte del tradimento e del processo) esattamente nel momento in cui si immolavano gli agnelli».

Come risolvere i due indovinelli? Ci prova papa Ratzinger, il quale ha colto l´occasione di queste liturgie prepasquali per gettare una luce sulle sue ricerche intorno alla figura di Gesù Cristo, che vedranno la luce venerdì prossimo in un libro. Da sempre Ratzinger come teologo è stato affascinato dalla persona di Gesù. Quando nel 2002, ormai superati i settantacinque anni, chiedeva a Giovanni Paolo II di poter andare in pensione e di lasciare la carica gravosa di prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, era proprio per dedicarsi a tempo pieno a mettere nero su bianco le sue ricerche sul Messia. In pensione non ci è andato, invece lo hanno eletto papa. Ma con tenacia ha usato ogni momento di tempo libero in questo primo biennio di regno per scrivere le sue conclusioni.
Giovedì in San Pietro, durante la predica per la messa dedicata all´ultima cena, Benedetto XVI ha svelato gli enigmi. No, ha spiegato, non c´è contraddizione tra il resoconto dell´evangelista Giovanni e quello degli altri tre. «Siamo in grado di dire - ha esclamato con il tono chiaro e preciso che lo contraddistingue - che Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell´ora dell´immolazione degli agnelli». E il pasto nel Cenacolo? «Egli ha però celebrato la Pasqua con i suoi discepoli - ha soggiunto il pontefice - probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima: l´ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio».

Una dichiarazione clamorosa proprio perché fatta da un papa e non da un semplice studioso, un accenno quasi rivoluzionario ad uno scenario inedito, che ci riporta a quella stagione tumultuosa dell´ebraismo in cui è germogliato il cristianesimo. Qumran è la località desertica, tra le rupi del Mar Morto, dove sono stati trovati i celebri rotoli appartenenti ad una setta - gli Esseni - che erano in forte polemica con la tradizione religiosa ebraica come interpretata e praticata dai Farisei. Dire che Gesù seguiva il «calendario di Qumran» significa dire molto di più: vuol dire che Gesù condivideva il rito pasquale di una setta, che si era creato un mondo di idee tutto suo, vuol dire che almeno in parte Gesù si comportava da seguace di quel movimento, che respingeva i fedeli del Tempio ufficiale e si concepiva protagonista di una lotta apocalittica tra i Figli della Luce e i Figli delle Tenebre.

Molti dei temi trattati negli Inni di Qumran li ritroveremo poi nell´Apocalisse di san Giovanni e anche immagini come il Paraclito (cioè lo Spirito Santo) o l´avvento di un nuovo Regno dopo una catastrofe finale. Figure come il «Maestro di Verità» o la visione messianica del Giusto sofferente. «Chi è stato disprezzato come me? Chi è stato reietto come me? Chi ha portato tutte le afflizioni come me?», scandisce uno degli inni più emozionanti e sembra di vedere l´Agnello che porta i peccati del mondo.

«Gesù non è nato imparato», ha detto una volta la teologa Caterina Jacobelli. Fa parte del fascino della ricerca storica scoprire come il Nazareno è maturato e ha costruito il suo messaggio e indagare da quali fonti ha attinto. È interessante scoprire, ad esempio, che Gesù all´inizio fu un «seguace» di Giovanni Battista e battezzava come lui.
Ratzinger, dunque, ci riserva sorprese. Una sola cosa non troveremo nel suo libro. Un frase lapidaria che scrisse da teologo nella sua Introduzione al Cristianesimo più di un quarto di secolo fa: «La dottrina affermante la divinità di Gesù non verrebbe minimamente inficiata, quand´anche Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano. No, perché la filiazione divina di cui parla la fede non è un fatto biologico bensì ontologico». Sancire questo da parte del Papa (almeno oggi) sarebbe troppo.

Repubblica, 7 aprile 2007


Una lettura spirituale del sacrificio

Ma è un nodo di difficile soluzione
Il suo corpo diventa il tempio vivente

GIOVANNI FILORAMO

Nel discorso di Ratisbona il Pontefice aveva visto nel Logos, ragione donata da Dio a tutti gli uomini, ma anche, come insegna il Prologo del Vangelo di Giovanni, il Figlio preesistente, il fondamento della sintesi tra cristianesimo ed ellenismo. Dimostrando una singolare predilezione per quello che già gli antichi definivano il vangelo spirituale, nella omelia pronunciata per i riti del giovedì santo egli lo sceglie nuovamente, questa volta per fornire una lettura spirituale del sacrificio di Cristo.

Le fonti più antiche che ci parlano di questo - Paolo, i tre vangeli sinottici e, appunto, il quarto vangelo - ne hanno dato in sostanza due letture difficilmente conciliabili. Per i tre sinottici l´ultima cena di Gesù fu una tipica cena pasquale ebraica, ricordo dell´esodo dall´Egitto e dell´azione salvifica che Dio aveva compiuto nei confronti di Israele. All´interno di questa cerimonia tradizionale, atto rituale costitutivo della memoria culturale ebraica, Gesù avrebbe poi inserito la novità rappresentata dall´offerta sacrificale del suo corpo e del suo sangue per redimere l´uomo peccatore.

Secondo la cronologia seguita dall´autore del quarto vangelo, invece, Gesù sarebbe morto alla vigilia della Pasqua ebraica. Di conseguenza, egli non avrebbe potuto celebrare personalmente questa cena. Come risolvere questa contraddizione?

La proposta esegetica del Pontefice, in sé non nuova, ipotizza, in modo alquanto problematico, il ricorso da parte di Giovanni al calendario di Qumran e cioè di una setta giudaica, in genere identificata con gli Esseni, che aveva rotto con il Tempio di Gerusalemme, anche se non era ormai più attiva al momento della redazione del vangelo. Celebrando un sacrificio non cruento senza Tempio prima della pasqua ebraica, nella rilettura del Pontefice i settari di Qumran aprono la strada al modo spirituale in cui, per Giovanni, Gesù avrebbe celebrato un sacrificio ormai sganciato dalla religione sacrificale del Tempio. Il suo corpo diventa così il Tempio vivente in cui Egli celebra il sacrificio di sé. In questo modo il Pontefice sembra voler sottolineare la novità di una Pasqua, che Gesù celebra prendendo radicalmente le distanze dalla pratica ebraica tradizionale.

Repubblica, 7 aprile 2007


BENEDETTO XVI: IL NOSTRO DIO HA UN CUORE DI CARNE

BENEDETTO XVI COSÌ TORNA IL TIMORE DI DIO

Gianni Baget Bozzo

Da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI è passato non qualche anno, ma come un nuovo tempo della Chiesa nel mondo. Il Papa polacco viveva ancora nella visione del mondo del Concilio Vaticano II, cioè un concetto progressista della storia umana: il moderno trionfante nella democrazia e nel comunismo, l’uomo che entrava in possesso della sua storia. E la Chiesa non poteva che conciliarsi in quest’umanità maggiorenne «adulta», che prendeva in mano la realtà della natura e conduceva l’uomo a una signoria delle cose della natura e della società in una figura che aveva il significato di compimento escatologico. I «segni dei tempi» furono una categoria con cui il Vaticano II volle interpretare la società a lui contemporanea quasi come un evento degli ultimi tempi, applicando l’espressione del Vangelo «segni dei tempi», che ha un chiaro significato di avvento del regno e di compimento escatologico, alla dinamica progressiva della storia contemporanea.

Giovanni Paolo II mutò lentamente registro sul piano delle indicazioni spirituali, ma la sua apertura alle nazioni e ai mezzi di comunicazione sociale, la sua figura di star mondiale della televisione, espresse ancora una volta il messaggio della fiducia nei tempi espresso nel suo primo ammonimento papale: «Non abbiate paura». Spinse l’ecumenismo sino a chiedere alle Chiese separate dalla Chiesa cattolica le condizioni possibili per una loro accettazione di una qualche dimensione del primato romano; promosse, sino ai limiti dell’ortodossia, il dialogo con le altre religioni, sino agli incontri di Assisi con la preghiera comune, nel comune luogo ma in distinte comunità, per la pace nel mondo. In un certo modo bilanciò con la sua insistenza sulla vita e sul sesso le indicazioni fortemente conciliari che egli dava in altre direzioni. E si può dire che la parte frenante contro il senso del progressismo fu dovuta soprattutto all’azione del cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Con Benedetto XVI l’eone conciliare e postconciliare, il linguaggio escatologico dei «segni dei tempi» applicato alla civiltà moderna sparisce del tutto: e le parole del Papa ricordano più la stagione della Chiesa dei Pii e l’ultima figura di essa, Pio XII. La Chiesa non è più per Benedetto il sacramento della storia come appariva nell’eone conciliare e postconciliare. Ma sta di fronte alla storia come unica portatrice della grazia e della libertà del regno di Dio che opera e conclude la storia, ma è altro dalla vicenda dei poteri mondani e delle loro culture. Ratzinger non ha cercato i segni del regno nel tempo storico come codificazione di esso ma ha visto i messaggi storici del tempo come espressione della crisi del mondo, del pericolo che incombe sopra di esso. Papa Benedetto non dice «non abbiate paura», dice piuttosto «abbiate timore». Timore di Dio. Egli così può reggere efficacemente e laicamente la storia contemporanea perché non la ritiene compenetrata di una densità escatologica, non la vede come sacramento del regno. E la coscienza degli uomini manda segni del timore escatologico. Il riscaldamento del pianeta terra fa sì che le più raffinate analisi mondiali, espresse dalle Nazioni Unite, prevedano lo sconvolgimento della geografia e della storia del pianeta nei prossimi cent’anni, mentre le migrazioni dal Sud al Nord del mondo pongono in dubbio la permanenza delle nazioni europee. E inoltre l’Islam si addensa ancora una volta come sfida alla Cristianità sul piano della concezione della vita e della morte: una sfida politica e civile, giocata sul sentimento dell’eternità e della sorte beata dei combattenti per la propria fede.

Ratzinger è un buon profeta, se profeta vuol dire leggere il timore di Dio negli eventi e non le «magnifiche sorti e progressive». Un criterio che ci viene dalla Bibbia ebraica è che non si deve credere ai profeti che annunciano vittorie mentre si deve credere a quelli che annunciano il giudizio divino sulla storia. E incitano dunque al timor di Dio. Forse per questo, Papa Benedetto ha più uditori che Giovanni Paolo II e soprattutto li ha in modo diverso. Da lui non aspettano la speranza della storia, ma ascoltano il linguaggio del timore di Dio.

La Stampa, 7 aprile 2007


La Via Crucis del Papa dedicata alle donne

«Le madri coraggio non abbandonarono Gesù. Il nostro Dio non è lontano, ha un cuore di carne»

ALCESTE SANTINI

Città del Vaticano. Nella Via Crucis di ieri sera al Colosseo - guidata da Benedetto XVI che ha portato la croce alla prima e all'ultima stazione mentre nelle altre si sono alternati Ruini e giovani del Congo, Angola, Corea e Cile - è prevalso il racconto dell'evangelista Luca perché, secondo il biblista Gianfranco Ravasi che ha scritto i testi, è il più vicino ai fatti scritti nel Vangelo. Ma questa impostazione ha confermato pure che la ricerca sul «Gesù storico», rispetto a quello della fede e del dogma, rimane aperta, come stanno dimostrando molti saggi e film ispirati dall'esigenza di ricostruire la vita del Cristo vicina alla gente comune. Infatti, delle 14 stazioni solo l’ultima è rimasta immutata. Mentre nella prima stazione che rappresenta «Gesù condannato a morte», ha presentato «Gesù nell'orto degli ulivi» per sottolineare la notte di sofferenza e di preghiera vissuta con i suoi discepoli. C'è, quindi, uno sviluppo logico oltre che storico per cui alla seconda stazione è stato presentato «Gesù tradito da Giuda, ed è arrestato», al posto del «Gesù processato e condannato dal Sinedrio». Abolita anche la scena della Veronica e sostituita da «Gesù caricato della croce». Nella quinta stazione «Gesù giudicato da Pilato» al posto del Cireneo che lo aiuta e spostato più avanti, per far risaltare l'ignavia del governatore romano. Quattordici soste, presentate come altrettante icone dove la bestialità si contende con la misericordia con chiaro riferimento ai drammi del nostro tempo, consentendo a Benedetto XVI, una volta giunto sulla collina del Palatino di tornare a riflettere sulla figura di Gesù che, in quanto portatore di «amore», ha potuto condannare i mali che tormentano oggi i popoli. Papa Ratzinger ha detto che, in questa Via Crucis riviviamo non solo «la Passione di Gesù ma ci facciamo carico di tutti i sofferenti del mondo». Ed è questa «la parte centrale della preghiera della Via Crucis che ci spinge ad aprire i nostri cuori». Dopo aver ricordato che i Padri della Chiesa hanno considerato come «il più grande peccato del mondo pagano la loro insensibilità e la durezza del cuore», ha citato il profeta Ezechiele: «vi toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne». E ha aggiunto che «convertirsi a Cristo, farsi cristiano voleva dire ricevere un cuore di carne, sensibile per la passione e la sofferenza degli altri». Ecco perché c'è da chiarire che «il nostro Dio non è lontano, intoccabile nella sua beatitudine, ma ha un cuore di carne per poter soffrire con noi. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e risvegliare in noi l'amore per i sofferenti». Toccante è stata, poi, la riflessione fatta alla nona stazione dove «Gesù incontra le donne di Gerusalemme» perché hanno permesso al Papa di valorizzarle, attualizzandone il significato, condannando «le tante donne offese, umiliate e violentate, le donne ebree e palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra, le vedove e le anziane dimenticate dai loro figli, mentre esse ci insegnano la bellezza dei sentimenti». Lo stesso tema era stato trattato nel pomeriggio nella Basilica di San Pietro, dove il Papa si era prostrato davanti all’altare durante il rito dedicato alla Passione, dal predicatore del Papa, padre Raniero Cantalamessa, che si è soffermato sulle «donne coraggiose e sapienti che sono andate dietro a Gesù sulla via dolorosa». Esaltate le le «pie donne» che accompagnarono Gesù sulla croce - «madri coraggio» ante litteram, «le uniche che non si sono scandalizzate di lui», un condannato a morte rifiutato dai suoi stessi discepoli, e «le prime a vederlo risorto» - ma criticando poi gli eccessi del femminismo moderno. Una grande folla ha seguito la Via Crucis, diffusa in mondovisione da 67 tv e radio di 41 Paesi. Si è voluto far risaltare, riproponendo il Vangelo secondo Luca, che «la croce e il sepolcro non sono stati l'estuario ultimo» di Gesù, «bensì lo è stata la luce della sua Risurrezione e della sua gloria». Una storia avvenuta tra il 30 e il 33 della nostra era che consente, a credenti e non credenti, di riflettere sui vari Golgota e le piaghe sociali della nostra epoca nella speranza che un sussulto delle coscienze spinga i popoli a «rispettarsi e ad amarsi». Temi che Benedetto XVI riprenderà domani nel suo messaggio pasquale.

Il Mattino, 7 aprile 2007


Grande gesto del Papa

Iran:intervento Papa per marinai Gb
Ha scritto a Khamenei di intercedere per il loro rilascio

(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 7 APR - Anche Benedetto XVI e' intervenuto su Teheran per chiedere la liberazione dei marinai britannici. La notizia, data dal giornale britannico 'The Guardian', e' stata confermata ufficiosamente in Vaticano. Papa Ratzinger ha scritto una lettera alla guida suprema iraniana Ali Khamenei per intercedere per la liberazione dei 15 marinai britannici.


IRAN: GUARDIAN, LETTERA DEL PAPA A KHAMENEI DURANTE CRISI MARINAI

Londra, 7 apr. - (Adnkronos) - Nella crisi dei marinai britannici catturati dalle forze iraniane nelle acque dello Shatt al Arab sarebbe intervenuto anche il Vaticano. Lo rivela il "Guardian", secondo cui qualche ora prima del rilascio dei militari - avvenuto mercoledi' scorso, dopo 13 giorni di prigionia - all'Ayatollah Ali Khamenei sarebbe stata consegnata una lettera di papa Benedetto XVI, nella quale il Pontefice si diceva fiducioso che gli uomini di buona volonta' avrebbero potuto trovare una soluzione alla crisi.



ALESSIO II INVIA GLI AUGURI DI BUONA PASQUA A BENEDETTO XVI

MOSCA - Il patriarca della Chiesa ortodossa di Russia, Alessio II, ha inviato gli auguri di Pasqua a Papa Benedetto XVI: "Vi auguro una pace benedetta, buona salute e l'aiuto del Redentore per il vostro elevato servizio in occasione della sempre lieta festivita' di Pasqua". La notizia e' stata riportata dall'agenzia Interfax. Gli auguri del patriarca sono stati inviati anche all'armeno Garegin II e all'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams.


Pasqua, auguri Patriarca russo al Papa

10.50 Il Patriarca della Chiesa ortodossa russa, Alessio II, ha inviato a Papa Benedetto XVI un messaggio di auguri per la Pasqua, che quest'anno cade nello stesso giorno per entrambe le confessioni. Le due Chiese si stanno riavvicinando dopo lunghe polemiche da parte ortodossa su un presunto proselitismo cattolico in Russia. La Pasqua ortodossa verrà celebrata stasera dal Patriarca nella Chiesa del Cristo Salvatore a Mosca.

Rai televideo


Ratzinger "Un neo femminismo cattolico"

Via Crucis nel nome delle donne umiliate
In San Pietro omelia "femminista". "La Maddalena esempio di fede"

In migliaia al rito della Passione di Cristo, che sarà trasmesso anche dalla tv di Cuba
Il predicatore papale Cantalamessa: le "madri coraggio" salvano l´umanità

MARCO POLITI

CITTÀ DEL VATICANO - Elogio alla Donna sotto le volte della basilica vaticana. Lo intona il predicatore papale Raniero Cantalamessa, che auspica l´inizio di una pagina nuova nella storia dell´umanità. Dopo tante ere dedicate al maschio: homo erectus, homo faber, homo sapiens - scandisce il frate dal pizzo bianco, lo sguardo vivace e l´eloquio appassionato - dovrebbe aprirsi «finalmente un´era della donna: un´era del cuore, della compassione».

E´ probabile che Cantalamessa abbia concordato il tema dell´omelia del Venerdì Santo con papa Ratzinger. Perché è talmente forte l´accento neo-femminista (cattolico, beninteso) che anima le sue parole da lasciare immaginare l´intenzione di Benedetto XVI di imprimere una spinta verso una maggiore valorizzazione della donna nella Chiesa. Altro che «pie donne», incalza Cantalamessa riferendosi alle figure dolenti ai piedi della Croce. Erano «madri coraggio», che sfidavano il pericolo di farsi vedere accanto ad un condannato a morte. In ogni caso sono le uniche innocenti del sangue di Cristo. «Si discute animatamente - soggiunge padre Cantalamessa - su chi fu a volere la morte di Gesù: se i capi ebrei o Pilato o entrambi. Una cosa è certa: furono degli uomini, non delle donne».

Anche nella Via Crucis - guidata ieri sera da Benedetto XVI con grande partecipazione di fedeli, che recavano migliaia di fiaccole - è risuonata una meditazione del biblista Ravasi, dedicata a «tutte le donne umiliate e violentate, emarginate, sottoposte a pratiche tribali indegne, donne in crisi e sole dinanzi alla maternità, madri ebree e palestinesi... «. Molte giovani fedeli, fra cui una cinese (popolo al quale il Papa sta per mandare un messaggio), hanno portato la croce all´ombra del Colosseo durante la cerimonia ritrasmessa da un gran numero di televisioni, fra cui l´emittente nazionale di Cuba (che lo farà oggi in differita).

Il Dio dei cristiani, ha detto il Papa, non è un dio lontano, ma con un «cuore di carne», che spinge i fedeli ad avere «amore per tutti i sofferenti e i bisognosi».

La giornata si è svolta, comunque, sotto il segno della donna. Nella basilica di San Pietro padre Cantalamessa ha detto che anche gli apostoli fecero una figura meschina nell´ora cruciale. La loro fu una «storia ignominiosa della paura, della fuga, del rinnegamento». Da ogni parte, ha continuato il frate, emerge oggi l´esigenza di fare «più spazio alla donna», di liberarla da «antiche soggezioni».

Tuttavia, per non dare l´impressione di sposare il femminismo duro e puro, il frate ha dato un colpo di barra, lanciando una stilettata a Simone de Beauvoir, compagna dell´esistenzialista Sartre e teorica del "secondo sesso". «Noi non crediamo - ha esclamato - che l´eterno femminino ci salverà». E per non sbagliare ha aggiunto: «L´esperienza quotidiana dimostra che la donna può sollevarci in alto, ma può anche farci precipitare in basso».

Insomma, anche la donna necessita della redenzione di Gesù. Però una volta «redenta e liberata», può contribuire a salvare la nostra società dai mali peggiori: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita. A una condizione, tuttavia: che la donna rimanga se stessa e non cerchi di «trasformarsi in uomo».
Icona di questa rivalutazione, pronunciata davanti alla Curia dopo che Benedetto XVI si era prostrato in preghiera sul pavimento della basilica, è Maria Maddalena. Quadri e statue hanno trasmesso per secoli l´immagine della Maddalena pericolosa peccatrice, poi pentita. Ma il predicatore pontificio rammenta l´episodio cruciale dei vangeli: è Maria di Magdala, una donna, la prima testimone della Resurrezione. «Apostola degli apostoli», la definì san Tommaso d´Aquino. Papa Ratzinger è d´accordo.

Repubblica, 7 aprile 2007


Via Crucis, il Papa: «Vicino a chi soffre»

Ratzinger torna alla tradizione e, in segno di lutto, non indossa l'anello del Pescatore

Bruno Bartoloni

ROMA — Circondato da una folla eccezionale di pellegrini Benedetto XVI ha seguito senza l'anello pontificio al dito in segno di lutto e di mortificazione la sua seconda Via Crucis notturna al Colosseo.

Papa Ratzinger ha così ripreso una antica tradizione che voleva che il capo della Chiesa rinunciasse il venerdì santo a portare l'anello del Pescatore, simbolo del suo potere, che viene frantumato il giorno della morte.

Nella sua omelia il pontefice ha lanciato un appello in favore di tutti i sofferenti del mondo nei confronti dei quali i cristiani devono mostrare di aver un «cuore di carne». «Il nostro Dio non è lontano, ha un cuore di carne», ha commentato.
Ed ha ricordato che il più grande peccato del mondo pagano era la «durezza del cuore».

«Preghiamo in questo momento — ha detto — perché ci dia realmente un cuore di carne, ci faccia messaggeri del suo amore non solo con parole, ma con tutta la nostra vita».

Il pontefice ha portato la croce dalla prima alla seconda stazione all'interno del Colosseo e nell'ultima sulla terrazza del Palatino davanti al tempio di Venere e Roma. Nelle altre stazioni si sono alternati il cardinale vicario Camillo Ruini e una giovane cinese, alcuni giovani provenienti da Taiwan, dalla Repubblica democratica del Congo, dall'Angola, dalla Corea, dal Cile, da una famiglia romana e da due religiosi francescani della Custodia di Terra Santa.

Le meditazioni sono state affidate quest'anno a monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana di Milano, che ha ricordato alla nona stazione sullo sfondo dell'incontro di Gesù con le donne di Gerusalemme tutte le figure femminili tribolate di oggi e di ogni tempo.
Alla terza stazione, la condanna di Gesù da parte del Sinedrio, ha sottolineato monsignor Ravasi, «ricorda a tutti il dovere della testimonianza alla verità».

«Una testimonianza, ha commentato, da far risuonare anche quando forte è la tentazione di celarsi, di rassegnarsi, di lasciarsi condurre alla deriva dall'opinione dominante». Ed ha citato una «giovane ebrea destinata ad essere uccisa in un lager», Etty Hillesum, una ragazza olandese che morì ad Auschwitz a 29 anni e che scrisse in un drammatico e commovente Diario: «A ogni nuovo orrore o crimine dobbiamo opporre un nuovo frammento di verità e di bontà che abbiamo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere».

Il tradimento di Giuda, un Giuda che si pente, è una prova che «genera abbandono e isolamento», invita a riflettere, secondo monsignor Ravasi, sulla «esperienza aspra di tante persone che anche in quest'ora che ci vede riuniti, come in altri momenti del giorno, sono sole in una stanza, davanti ad una parete spoglia o a un telefono muto, dimenticati da tutti perché vecchi, malati, stranieri o estranei. Gesù beve con loro anche questo calice che contiene il veleno dell'abbandono, della solitudine, dell'ostilità».

Le decine di migliaia di pellegrini che hanno invaso Roma per le feste pasquali gremivano il piazzale con fiaccole e torce fra l'arco di Costantino ed il Colosseo fino ai piedi della colle Oppio.

Corriere della sera, 7 aprile 2007


RANIERO CANTALAMESSA

Elogio della Maddalena (non più peccatrice) E monito alle donne: attente al femminismo


Luigi Accattoli

CITTA' DEL VATICANO — Esaltazione delle donne dei Vangeli che non furono «coinvolte» nella condanna di Gesù e riscatto della figura della Maddalena dalla «errata identificazione» con la «peccatrice» di altro brano evangelico: lei anzi fu la prima a vedere «il Signore risorto» e a darne l'annuncio agli apostoli. Ma anche affermazione forte che occorre «fare più spazio alla donna», unita però al rigetto del neo-femminismo che riduce la differenza tra i sessi a un «prodotto della cultura».

Tutto questo e altro ancora ha detto, con la passione che lo caratterizza, il padre cappuccino Raniero Cantalamessa nella predica che ha tenuto ieri pomeriggio in San Pietro davanti al Papa. Un «elogio della donna», la sua predica, svolto nei toni più volte usati da Giovanni Paolo II, che in occasione dell'«anno internazionale della donna» (1995) arrivò a esprimere «rammarico» per l'incomprensione del «genio femminile» da parte degli uomini di Chiesa.

Cantalamessa ieri è partito dalla «Passione» di Gesù, osservando che «furono degli uomini non delle donne» a volere la sua morte: «Nessuna donna è coinvolta, neppure indirettamente, nella sua condanna». Anche per l'oggi il predicatore pontificio ritiene che la donna possa essere meno pericolosa dell'uomo e «contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita».
Ecco la messa in guardia dal femminismo radicale: «Bisogna solo evitare di ripetere l'antico errore gnostico secondo cui la donna, per salvarsi, deve cessare di essere donna e trasformarsi in uomo». Pregiudizio «tanto radicato» che le stesse donne per «affermare la loro dignità» a volte «hanno creduto necessario assumere atteggiamenti maschili, oppure minimizzare la differenza dei sessi, riducendola ad un prodotto della cultura». «Donna non si nasce, ma si diventa», ha citato a conferma da un famoso libro di Simone de Beauvoir, Il secondo sesso.

Anche nella confutazione del neofemminismo, padre Cantalamessa si è attenuto creativamente al magistero consolidato: l'affermazione della «differenza sessuale» come «insuperabile» è contenuta in un documento sulla «collaborazione» tra uomo e donna pubblicato nel 2004 dalla Congregazione per la dottrina della fede e firmato dal cardinale Ratzinger.

Il passaggio più suggestivo della predica è stato quello dedicato alla figura di Maria di Magdala, da non confondere con «la peccatrice« che compare nel Vangelo di Luca: «È un peccato che a causa di questa errata identificazione Maria Maddalena abbia finito per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel culto e nell'arte quasi solo nella veste di penitente, anziché in quella di prima testimone della resurrezione, "apostola degli apostoli", come la definisce San Tommaso D'Aquino».

Corriere della sera, 7 aprile 2007


E nella predica si cita Olmi

CITTÀ DEL VATICANO — Anche i Centochiodi,
l'ultimo film di Ermanno Olmi interpretato da Raz Degan, è finito nella predica pronunciata ieri davanti al Papa da padre Raniero Cantalamessa.
Il frate cappuccino ha rievocato la sequenza in cui il regista fa «inchiodare simbolicamente al pavimento i preziosi volumi di una biblioteca e fa dire al protagonista: "Tutti i libri non valgono una carezza"».

Corriere della sera, 7 aprile 2007


CELEBRAZIONE AL COLOSSEO CON LA MEDITAZIONE SCRITTA DA MONSIGNOR RAVASI

Anche la famiglia porta la croce

MARCO TOSATTI

Una Via Crucis fortemente attualizzata, quella che Benedetto XVI ha guidato ieri al Colosseo, in uno degli appuntamenti più suggestivi delle celebrazioni pasquali. Papa Ratzinger ha portato la croce nella prima e nell’ultima delle quattordici stazioni; l’hanno aiutato nelle altre tappe oltre al cardinale Camillo Ruini, suo Vicario per la città di Roma, alcuni giovani provenienti da diverse parti del mondo, fra cui una giovane cinese; probabilmente della Cina continentale, ma il suo nome è stato mantenuto segreto. Una famiglia italiana ha portato la croce nella quarta e quinta tappa, a simboleggiare le difficoltà che la famiglia tradizionale affronta nel mondo di oggi; mentre di forte valore simbolico anche la presenza di due frati francescani della Custodia di Terrasanta, che si sono caricati della croce nella decima e nell’undicesima stazione, per ricordare le sofferenze della terra che vide Gesù, e in particolare il dramma dei cristiani che vi abitano.

Quest’anno le meditazioni che accompagnano l’incedere della lunga processione al Colosseo sono state scritte dal biblista monsignor Gianfranco Ravasi, dell’Ambrosiana, che ipotizza anche un possibile pentimento di Giuda. Il valore simbolico del Calvario è stato fortemente attualizzato; vi compaiono i lager, la tortura e l’oppressione, e l’indifferenza come forma di amoralità nell’assenza di giudizio di Pilato. «Sotto la pressione dell’opinione pubblica Pilato incarna un atteggiamento che sembra dominare nei nostri giorni, quello dell’indifferenza, del disinteresse, della convenienza personale. Per quieto vivere e per proprio vantaggio, non si esita a calpestare verità e giustizia. L’immoralità esplicita - ha scritto Ravasi - genera almeno un sussulto o una reazione. L’indifferenza è la morte lenta della vera umanità». E poi il biblista fa entrare la cronaca, con un affondo verso il relativismo: «E come spesso facciamo anche noi, Pilato guarda dall’altra parte, se ne lava le mani e come alibi lanci l’eterna domanda tipica di ogni scetticismo e di ogni relativismo etico: “Che cos’è mai la verità?”».

Molto ampio lo spazio riservato alle donne, e al ruolo che queste hanno nella vita di Gesù e alle loro sofferenze, alle violenze che subiscono. «Accanto a lui noi ora immaginiamo anche tutte le donne umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne, le donne in crisi e sole di fronte alla loro maternità, le madri ebree e palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra, le vedove o le anziane dimenticate dai loro figli...». Ed è proprio di una donna, un’intellettuale ebrea olandese, Etty Hillesum, una forte testimonianza di eroismo: «a ogni nuovo orrore o crimine dobbiamo opporre un nuovo frammento di verità e di bontà che abbiamo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire, ma non dobbiamo soccombere». Delle donne ha parlato anche il predicatore della casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ieri in San Pietro, durante il ricordo della Passione, una delle poche cerimonie in cui il Pontefice non pronuncia un’omelia, ma ascolta solamente. «Dopo tante ere che hanno preso il nome dall’uomo, homo erectus, homo faber, fino all’homo sapiens-sapiens, cioè sapientissimo, di oggi, c’è da augurarsi che si apra finalmente, per l’umanità, un’era della donna: un’era del cuore, della compassione, e questa terra cessi finalmente di essere “l’aiuola che ci fa tanto feroci”», ha detto il religioso francescano davanti al Pontefice.

La Stampa, 7 aprile 2007


Il programma

Il riposo dopo la Santa Messa


Oggi
Il rito centrale del Sabato Santo è la Veglia pasquale, che papa Ratzinger presiederà nella basilica di San Pietro dalle 22 per commemorare la Notte della Risurrezione. All’inizio della celebrazione, il Papa benedice nell’atrio il fuoco nuovo. Dopo l’ingresso in processione in Basilica con il cero pasquale, al canto dell’Exsultet, presiederà le liturgie della parola, battesimale ed eucaristica.

Domani
Domenica di Pasqua. Benedetto XVI presiederà la messa del Giorno, alle 10,30, sul sagrato di San Pietro. Alle 12, pronuncerà il messaggio pasquale e impartirà la benedizione «Urbi et Orbi» dalla loggia centrale. Anche per riposarsi dalle «fatiche» della Settimana Santa, alle 16,30 Benedetto XVI si trasferirà nella residenza di Castel Gandolfo, dove rimarrà per una settimana.

La Stampa, 7 aprile 2007


La Via Crucis di Benedetto XVI: «Il nostro Dio non è lontano»

di Andrea Tornielli
«Il nostro Dio non è un Dio Lontano, ma ha un cuore e un cuore di carne per soffrire con noi». Con queste parole Benedetto XVI ha concluso la Via Crucis al Colosseo. «Seguendo Gesù nella via della sua passione – ha detto – ci fa vedere tutti i sofferenti di questo mondo e ci aiuta a vedere col cuore». La croce, portata dal Papa nella prima e nell’ultima stazione, è passata di mano in mano, da una famiglia romana a una giovane cinese a un giovane angolano.

Una delle meditazioni della Via Crucis scritte dal biblista Gianfranco Ravasi è stata dedicata alla condizione femminile e alla difesa delle donne «umiliate e violentate». E ieri pomeriggio, durante la solenne e suggestiva liturgia della croce, in San Pietro, hanno attirato l’attenzione le parole del predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, il quale ha auspicato che si apra «finalmente per l’umanità un’era della donna: un’era del cuore e della compassione». L’omelia di Cantalamessa, tenuta alla presenza di Benedetto XVI, ha esaltato le donne che hanno accompagnato Gesù sulla croce, «le uniche che non si sono scandalizzate di lui», le uniche ad aver «assimilato lo spirito del Vangelo».

«Da ogni parte emerge l’esigenza di fare più spazio alla donna», di liberarla da «antiche soggezioni», ha detto il frate predicatore, precisando, con un velato accenno al Codice da Vinci, che i cristiani non credono che «l’eterno femminino ci salverà». Certo, spiega Cantalamessa, anche la donna ha bisogno della redenzione di Cristo, «ma una volta redenta e liberata, sul piano umano, da antiche soggezioni, la donna può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano, violenza, volontà di potenza, aridità spirituale...». A condizione, ha spiegato, che la donna rimanga se stessa e non cerchi di «trasformarsi in uomo», come predicavano gli gnostici, o «minimizzare la differenza dei sessi, riducendola a un prodotto della cultura», come ha fatto la femminista Simone de Beauvoir. La grandezza delle donne sta nel loro cuore, come dimostra la passione di Gesù. «Una cosa è certa – ha detto ancora Cantalamessa – in ogni caso furono degli uomini, non delle donne» a volere la morte di Gesù. Il predicatore della Casa pontificia ha infine citato positivamente anche l’ultimo film di Ermanno Olmi Cento chiodi , rievocando la scena in cui il regista fa inchiodare simbolicamente al pavimento i preziosi volumi di una biblioteca e fa dire al protagonista: «Tutti i libri non valgono una carezza». Prima di lui, ha sottolineato Cantalamessa, San Paolo «aveva scritto: la scienza gonfia, l’amore edifica».

Il Giornale, 7 aprile 2007


6 aprile 2007
Al Colosseo in migliaia per Ratzinger

Per la seconda volta Papa Bendetto XVI guida la via dolorosa nel luogo simbolo del martirio cristiano
La solenne funzione diffusa attraverso le televisioni di 41 nazioni sparse in tutto il mondo

Via Crucis, un inno alla donna
Al Colosseo in migliaia per Ratzinger
Alla nona stazione la meditazione "femminista": "Preghiamo per le umiliate e le violentate"
Nel pomeriggio la Messa del venerdì santo a San Pietro: "Si apra un'era al femminile"

ROMA - E' stata la via Crucis delle donne, quelle "umiliate e violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche tribali indegne, le donne in crisi, e sole di fronte alla loro maternità, le madri ebree o palestinesi e quelle di tutte le terre in guerra le vedove e le anziane dimenticate dai loro figli". Un inno alle donne, quelle che erano sul Golgota e quelle a cui il Signore si rivelò per prime, le donne di ogni tempo. Benedetto XVI vuole imprimere una spinta verso una maggiore valorizzazione della donna nella Chiesa. Lo ha fatto attraverso le meditazioni affidate al biblista Gianfranco Ravasi, prefetto della biblioteca Ambrosiana, che alla nona stazione, quella dove Gesù incontra un gruppo di donne, si richiama alle donne dolenti d'ogni tempo e luogo, quelle "umiliate e violentate, di tutte le terre in guerra".

Molte giovani fedeli, tra cui una cinese, hanno portato la croce nella suggestiva cornice del Colosseo illuminato, da sempre legato per i cristiani alla memoria dei martiri. Davanti a migliaia di pellegrini che stringono tra le mani piccole croci in legno o ceri bianchi, osservato da milioni di spettatori in 41 nazioni sparse in tutto il mondo compresa Cuba, Papa Ratzinger ha dato il via al rito della via Crucis, portando personalmente la croce alla prima e all'ultima stazione.

E' stata la seconda volta che Papa Bendetto XVI è tornato all'Anfiteatro Flavio per ripercorrere la Passione di Gesù seguendo l'esempio di Paolo VI che nel 1964 riportò nel luogo simbolo del martirio cristiano l'antica tradizione della "via dolorosa", e di Giovanni Paolo II, che in 27 anni di pontificato saltò solo l'ultimo appuntamento del venerdì santo costretto dalla malattia a seguire il rito dalla sua cappella privata.

Alla seconda stazione, la croce è passata al cardinale vicario Camillo Ruini, e poi si sono susseguiti gli altri cirenei: una giovane della diocesi di Brazzaville in Congo; una famiglia della diocesi di Roma; un giovane cileno e due frati francescani della Custodia di Terra Santa.

Un venerdì santo che può essere definito speciale perché all'insegna del neofemminismo cattolico. "Dopo tante ere che hanno preso il nome dall'uomo, homo erectus, homo faber, fino all'homo sapiens-sapiens, cioè sapientissimo, di oggi, c'è da augurarsi che si apra finalmente, per l'umanità, un'era della donna". L'auspicio era già risuonato con forza nell'omelia pronunciata nella Basilica di San Pietro durante la solenne funzione che ricorda la Morte e la passione di Gesù Cristo. Papa, cardinali e vescovi hanno reso oggi omaggio alle donne: alla loro dignità e al ruolo sempre maggiore che hanno conquistato nella Chiesa e nella società. E si sono uniti alla più ferma condanna delle violenze di cui sono ancora troppo spesso vittime nel mondo.

Partendo dalle figure femminili del Vangelo, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, nell'omelia della tradizionale Adorazione delle Croce letta davanti a Benedetto XVI e all'intera Curia Romana, ha detto: "Con una certa condiscendenza maschile le chiamano le pie donne, ma esse sono ben di più: sono altrettante Madri Coraggio. Hanno sfidato il pericolo che c'era nel mostrarsi così apertamente in favore di un condannato a morte". L'invito di padre Cantalamessa è stato però quello di evitare nella Chiesa "di ripetere l'antico errore gnostico secondo cui la donna, per salvarsi, deve cessare di essere donna e trasformarsi in uomo".

Repubblica (sito)


PAPA: IL COLOSSEO ILLUMINATO DA MIGLIAIA DI FIACCOLE

Con una presenza massiccia e un calore straordinario, i fedeli hanno premiato Benedetto XVI che, alla vigilia ormai del suo 80esimo compleanno, non si e' sottratto a nessuno dei gesti delle impegnative liturgie del Triduo Pasquale: ieri ha lavato e asciugato i piedi a dodici fedeli in San Giovanni il Laterano, oggi pomeriggio in San Pietro si e' prostrato a terra, su un tappeto rosso, per l'Adorazione della Croce, stasera alla XIV stazione della Via Crucis del Colosseo, ha preso di nuovo a portare la croce, salendo fino alla terrazza del Palatino dove Giovanni Paolo II negli ultimi anni era costretto a fermarsi per assistere al rito. Le immagini suggestive del Colosseo illuminato dalle migliaia di fiaccole dei fedeli e l'emozione visibile sul volto del Papa sono riflesse negli occhi dei bambini africani, asiatici e europei che hanno seguito la croce in rappresentanza dei Continenti.


PAPA/ BENEDETTO XVI: IL NOSTRO DIO HA UN CUORE DI CARNE

Conclude la Via crucis al Colosseo: siamo vicini ai bisognosi

Roma, 6 apr. (Apcom) - Il Dio cristiano "ha un cuore di carne": con queste parole Papa Benedetto XVI ha concluso la Via crucis al Colosseo del venerdì santo. Un lungo applauso delle migliaia di fedeli ha salutato le parole conclusive di Ratzinger, che si è rivolto loro dalla terrazza che domina il monte palatino e l'Anfiteatro flavio.

"Seguendo Gesù nella via della sua passione - ha detto il Papa - vediamo non solo la passione di Gesù ma quella di tutti i sofferenti del mondo. Questa è la profonda intenzione della preghiera della Via crucis: aprire i nostri cuori e aiutarci a vedere col cuore. I padri della Chiesa - ha proseguito Benedetto XVI - hanno considerato come il più grande peccato del mondo pagando la insensiblità e la durezza del cuore. Per questo amavano il profeta Ezechiele, che diceva: 'Vi toglierò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne".

"Convertirsi a Cristo - ha detto il Papa - voleva dire ricevere un cuore di carne, sensibile per la passione e per la sofferenza degli altri. Il nostro Dio non è un Dio lontano, intoccabile nella sua beatitudine, ma ha un cuore. Anzi - ha precisato il Papa - ha un cuore di carne, si è fatto carne proprio per porter soffrire con noi e essere con noi nelle nostre sofferenze. Si è fatto uomo per darci un cuore di carne e risvegliare in noi l'amore per i sofferenti e i bisognosi. Preghiamo per tutti i sofferenti del mondo, perchè Dio ci dia realmente un cuore di carne, ci faccia messaggeri non solo con le parole ma con tutta nostra vita".


GRAZIE SANTITA'!

Un Venerdì Santo dedicato alle donne
OMAGGIO ALLE DONNE NELLA CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Arrivato all'altare della Confessione, il Santo Padre si e' prostrato a terra in segno di venerazione.

Stasera la via crucis al Colosseo

«Si apra per l'umanità l'era della donna»

CITTA DEL VATICANO - In attesa della Via Crucis di stasera al Colosseo dove il papa dedicherà alla nona stazione la meditazione scritta dal biblista Ravasi sulla condizione femminile ed in difesa delle donne «umiliate e violentate», il predicatore del Papa Raniero Cantalamessa nell'omelia del pomeriggio in San Pietro ha esaltato le "pie donne" (così chiamate "con una certa condiscendenza maschile") che accompagnarono Gesù Cristo sulla croce - "madri coraggio" ante litteram, "le uniche che non si sono scandalizzate di lui", un condannato a morte rifiutato dai suoi stessi discepoli, e "le prime a vederlo risorto" - ma critica gli eccessi del femminismo moderno, il predicatore .

Il cappuccino ha pronunciato l’omelia della messa che Benedetto XVI ha celebrato questo pomeriggio nella basilica di San Pietro. «Dopo tante ere che hanno preso il nome dell'uomo - homo erectus, homo faber, fino all'homo sapiens-sapiens, cioè sapientissimo di oggi - c'è da augurarsi che si apra finalmente, per l'umanità, un'era della donna: un'era del cuore e della compassione», afferma di fronte ad un auditorio impassibile. Ratzinger sembra assorto nelle sue riflessioni.

«Da ogni parte emerge l'esigenza di fare più spazio alla donna», di liberarla da «antiche soggezioni», incalza il cappuccino-predicatore, che però, a questo punto, sente il bisogno di precisare. «Noi non crediamo che l'eterno femminino ci salverà», afferma. «L'esperienza quotidiano - spiega - dimostra che la donna può sollevarci in altò, ma può anche farci precipitare in basso». Pure la donna ha bisogno della redenzione di Gesù. «Ma una volta redenta e liberata, sul piano umano, da antiche soggezioni, la donna può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano, violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita..». Ciò a condizione, sottolinea padre Cantalamessa, che la donna rimanga se stessa e non cerchi di «trasformarsi in uomo», come sostenevano le femministe d'epoca: il cappuccino non fa nomi, ma nelle note al suo discorso, tanto per non sbagliarsi, fa riferimento agli scritti di Simone de Beauvoir.

La grandezza delle donne - argomenta il religioso sta nel loro cuore, come dimostra proprio la passione di Gesù. «Pie donne» è un termine diminutivo, osserva. Furono le «madri coraggio» del vangelo a «sfidare il pericolo» e a «non abbandonare il condannato a morte». «Certo - ammette il predicatore - Gesù morì anche per i peccati delle donne, ma storicamente esse possono dire in verità 'noi siamo innocenti del sangue di costui'. Si discute animatamente da qualche tempo chi fu a volere la morte di Gesù: se i capi ebrei o Pilato, o entrambi. Una cosa è certa in ogni caso - scandisce il frate - furono degli uomini, non delle donne». Anche gli apostoli, ricorda, nei vangeli fanno una «figura meschina»: la loro è la «storia ignominiosa della propria paura, fuga rinnegamento, aggravata in più dal confronto con la condotta così diversa di alcune povere donne». A quelle donne, a cui è spettato il compito di annunciare poi la risurrezione di Cristo, 'l'umanità deve affidarsi», per ritrovare «le ragioni del cuore».

Padre Raniero Cantalamessa ha anche deplorato l«'errata identificazione» di Maria Maddalena con la donna peccatrice. La confusione - ha spiegato stasera durante il rito della passione, celebrato a San Pietro davanti a papa Benedetto XVI - è nata da un passo del vangelo di Luca, dove Maria Maddalena viene identificata con la donna peccatrice che lava e profuma i piedi a Gesù in una casa di farisei. «È un peccato», ha detto padre Cantalamessa, che a causa di questa «errata identificazione» «Maria Maddalena abbia finito per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel culto e nell'arte quasi solo nella veste di 'penitente', anzichè in quella di prima testimone della resurrezione, 'apostola degli apostoli', come la definisce San Tommaso D'Aquino».

Sito corriere della sera

[Modificato da Paparatzifan 07/04/2007 17.51]

LadyRatzinger
00domenica 8 aprile 2007 15:29
Da Petrus
Messaggio del Presidente Napolitano al Papa per la Pasqua


CITTA’ DEL VATICANO - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato a papa Benedetto XVI, in occasione della Pasqua, il seguente messaggio: ''Santita', la Pasqua celebra un messaggio di speranza, il cui valore e' ancor piu' apprezzato in una realta' che spesso ci mostra il volto della barbarie e della guerra: speranza e fiducia che nulla possa soffocare l'anelito dell'uomo verso un mondo piu' giusto e piu' libero. Nelle sue frequenti esortazioni alla pace, alla concordia e al rispetto reciproco il popolo italiano si riconosce pienamente. Di esse l'Italia e' da sempre convinta portatrice anche sulla scena internazionale. In questo spirito, certo di interpretare i sentimenti piu' profondi del popolo italiano, le rivolgo i piu' fervidi voti augurali in occasione della Pasqua, unitamente a sentiti auspici di benessere personale''.
LadyRatzinger
00domenica 8 aprile 2007 15:30
Da Petrus
Georg Ratzinger: "Il primo augurio che faccio a mio fratello è che goda sempre di ottima salute"

CITTA’ DEL VATICANO - Georg Ratzinger, fratello maggiore di papa Benedetto XVI, ha detto di voler regalare al Pontefice per il suo 80/mo compleanno, che ricorre il 16 aprile, un piviale, l'ampia mantella di vario colore che i prelati indossano in occasione di processioni o funzioni religiose solenni. ''Mio fratello avra' in regalo un piviale'', ha detto Georg Ratzinger, di tre anni piu' anziano del Papa, che e' anch'egli sacerdote e che abita a Regensburg (Ratisbona), la citta' bavarese dove Benedetto XVI in passato ha vissuto e insegnato. Si tratta, ha precisato Georg Ratzinger citato dall'agenzia Dpa, di un piviale tessuto e ricamato a mano con molta cura dalle suore di un convento nei pressi di Straubing (Baviera). L'anziano prelato - che accompagno' il Papa durante l'intera visita che Benedetto XVI effettuo' in Baviera lo scorso settembre - ha augurato al fratello in primo luogo di mantenersi in buona salute per poter espletare al meglio il suo alto compito. ''A mio fratello auguro sopratutto di rimanere in buona salute'', ha detto padre Georg, che si rechera' a Roma nei prossimi giorni per stare vicino al fratello sia per il suo compleanno sia per il secondo anniversario della sua elezione al soglio pontificio (19 aprile). Il 23 luglio, inoltre, il fratello del Papa festeggera' a Roma anche il suo onomastico. Durante il suo soggiorno a Roma Georg Ratzinger alloggera' nel Palazzo Apostolico in Vaticano, dove gli e' stato allestito un piccolo appartamento. ''Solo dopo tali ricorrenze faro' ritorno a Regensburg'', ha detto.
LadyRatzinger
00domenica 8 aprile 2007 15:31
Da Petrus
Gli auguri di Buona Pasqua di Alessio II a Benedetto XVI


MOSCA - Il patriarca della Chiesa ortodossa di Russia, Alessio II, ha inviato gli auguri di Pasqua a Papa Benedetto XVI: "Vi auguro una pace benedetta, buona salute e l'aiuto del Redentore per il vostro elevato servizio in occasione della sempre lieta festivita' di Pasqua". La notizia e' stata riportata dall'agenzia Interfax. Gli auguri del patriarca sono stati inviati anche all'armeno Garegin II e all'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams.

[Modificato da LadyRatzinger 08/04/2007 15.31]

Paparatzifan
00domenica 8 aprile 2007 22:23
Dal blog di Lella...
Rassegna stampa dell'8 aprile 2007


Messaggio a Khamenei

Marinai prigionieri, l'intervento del Papa

CITTÀ DEL VATICANO — Anche Benedetto XVI è intervenuto, con una lettera indirizzata alla guida suprema iraniana Alì Khamenei, per contribuire a risolvere la crisi dei marinai britannici tenuti prigionieri a Teheran. A liberazione ormai avvenuta, la Santa Sede ha confermato il passo diplomatico compiuto da papa Ratzinger a scopi — è stato spiegato — «esclusivamente umanitari». Poche ore prima che avvenisse il rilascio dei marinai, mercoledì scorso, la lettera del Pontefice era stata consegnata nelle mani di Khamenei. Nel messaggio — secondo quanto indicato in Vaticano — il Papa si diceva fiducioso che una soluzione sarebbe stata trovata, con una prova di buona volontà. Auspicava inoltre che i marinai britannici potessero fare ritorno a casa per Pasqua: ciò sarebbe stato un significativo gesto religioso da parte di Teheran, spiegava ancora Benedetto XVI.

Corriere della sera, 8 aprile 2007


IL CASO
La missiva di Benedetto XVI alla guida spirituale iraniana: "Consentite ai militari di trascorrere la Pasqua in famiglia"
"Liberate i marinai catturati" e il Papa scrisse a Khamenei

MARCO POLITI

CITTÀ DEL VATICANO - Papa Ratzinger è intervenuto personalmente presso il leader iraniano Ali Khamenei, esortando le autorità di Teheran a liberare i 15 marinai britannici, catturati dai pasdaran. Già martedì scorso aveva cominciato a circolare negli ambienti diplomatici londinesi la voce di un interessamento della Santa Sede, ma in Vaticano avevano negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda degli ostaggi. «Abbiamo voluto mantenere fino all´ultimo la massima discrezione», ha dichiarato a Repubblica un esponente di Curia.
Ieri, però, è giunta la conferma ufficiale. Benedetto XVI ha scritto una lettera all´ayatollah Khamenei, in cui esprimeva la sua fiducia nella possibilità che gli «uomini di buona volontà» avrebbero potuto trovare una soluzione alla crisi. È la formula tipica dei pontefici, specialmente quando fanno appello a governanti di altre religioni o ideologie. Lo stesso linguaggio fu usato da Giovanni XXIII, quando spinse Stati Uniti e Unione Sovietica a trovare un accordo per superare la crisi di Cuba.
«Abbiamo agito per fini esclusivamente umanitari» spiegano in Vaticano. Nella lettera, di cui ieri mattina ha riferito il quotidiano inglese Guardian, Benedetto XVI ha chiesto alla massima guida spirituale iraniana di fare quanto in suo potere per restituire alle loro famiglie i quindici militari britannici. Il Papa aveva accennato al periodo speciale di Pasqua, spiegando che la liberazione sarebbe stata considerata come un gesto religioso di buona volontà da parte dell´Iran.
Non è sfuggito agli osservatori che quando mercoledì scorso il presidente iraniano Ahmadinejad ha annunciato la liberazione degli ostaggi, ha usato espressamente un linguaggio religioso, parlando di "perdono" e sottolineando che la decisione era stata presa nel contesto di festività particolarmente importanti per l´islam e il cristianesimo: «In occasione della ricorrenza della nascita del grande Profeta (Maometto)...e in occasione della morte di Cristo».
L´intervento del Papa rivela che il premier Blair ha attivato tutti i canali possibili per risolvere diplomaticamente la vicenda. In pari tempo è una dimostrazione dell´ottimo posizionamento della Santa Sede nello scacchiere mediorientale: un´eredità della tenacia con cui Giovanni Paolo II ha contrastato fino all´ultimo l´invasione dell´Iraq da parte di Bush. Il mondo islamico considera complessivamente il Vaticano un ponte credibile nelle relazioni con l´Occidente. D´altronde la squadra Bertone (segretario di Stato) e Mamberti (ministro degli esteri vaticano) sta lavorando molto bene nel mantenere i rapporti con i leader arabi ed islamici in vista di uno svelenimento generale dei conflitti in Terrasanta, Libano, Iraq e della stessa crisi che coinvolge l´Iran.
Benedetto XVI, contrario alla corsa alle armi nucleari di Teheran, ha tuttavia sempre ricordato alle superpotenze che non stanno rispettando l´impegno al disarmo atomico e ha sottolineato in ogni occasione che va risolta pacificamente la crisi tra Iran e Nazioni Unite. Nel dicembre scorso il presidente Ahmadinejad aveva trasmesso al Papa una sua lettera, auspicando collaborazione tra le diverse religioni e lamentando l´equilibrio internazionale «ingiusto» ai danni di Teheran.

Repubblica, 8 aprile 2007


Per la liberazione dei marinai inglesi
Anche il Pontefice era intervenuto


Paolo Di Giannetti

Roma
Anche Benedetto XVI era intervenuto personalmente, con una lettera indirizzata alla guida suprema iraniana Ali Khamenei, per contribuire a risolvere la crisi dei marinai britannici catturati nello Shatt el Arab e tenuti prigionieri a Teheran. A liberazione ormai avvenuta, la Santa Sede ha confermato ieri il passo diplomatico compiuto da Papa Ratzinger a scopi – è stato spiegato – «esclusivamente umanitari».
Poche ore prima che avvenisse il rilascio dei marinai, mercoledì scorso, la lettera del pontefice era stata consegnata nelle mani di Khamenei. Nel messaggio – secondo quanto indicato ieri in Vaticano – il Papa si diceva fiducioso che una soluzione sarebbe stata trovata, con una prova di buona volontà. Auspicava inoltre che i marinai britannici potessero fare ritorno a casa per Pasqua: ciò sarebbe stato un significativo gesto religioso da parte di Teheran, spiegava ancora Benedetto XVI.
L'impatto della lettera di Ratzinger nella soluzione della crisi non è valutabile. Tuttavia, nella conferenza stampa tenuta per annunciare il rilascio dei 15 marinai britannici , il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad aveva spiegato che la decisione di «perdonare» il loro sconfinamento in acque territoriali iraniane era stata presa anche in occasione dell'anniversario della nascita di Maometto e della pasqua di Cristo.
Dopo la crisi provocata in tutto il mondo islamico dal discorso di Benedetto XVI su Maometto e l'Islam, tenuto a Ratisbona lo scorso autunno, i rapporti tra Teheran e Santa Sede si erano rasserenati a fine 2006. Anzi, l'Iran era stato tra i primi paesi musulmani a considerare «l'incidente» chiuso, e a parlare di equivoci e incomprensioni ormai chiariti.
Nel dicembre scorso poi, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad aveva scritto al Papa per chiedere, in nome della «cooperazione tra le differenti religioni», un aiuto diplomatico nella vicenda del programma nucleare iraniano osteggiato dall'Onu. Si trattava di una missiva tutta in chiave spirituale, in cui però il presidente iraniano parlava della necessità di porre rimedio alle «ingiuste relazioni» esistenti tra i Paesi del mondo.

La Gazzetta del sud, 8 aprile 2007


OGGI L'«URBI ET ORBI»

Terrorismo, fame e povertà L'appello del Papa al mondo

CITTA' DEL VATICANO — Ha raggiunto dimensioni record il gigantesco tappeto di fiori che venti floricoltori olandesi hanno preparato per le scenografia della messa pasquale che Benedetto XVI celebra stamane sul sagrato della piazza San Pietro prima d'impartire la benedizione «urbi et orbi», alla città ed al mondo.

Domineranno i colori pontifici, il bianco ed il giallo con le sfumature arancioni tradizionali olandesi, in un trionfo di tulipani, narcisi, giacinti, rose, azalee, ginestre, viole, garofani e gigli, gerbere ed iridi, distribuiti a migliaia su dieci terrazze artificiali, sull'altare e sulla loggia delle benedizioni.

La pace nel mondo, il terrorismo, i punti nevralgici della scena internazionale con una attenzione particolare al Medio Oriente e all'Africa dimenticata insieme ai suoi flagelli di povertà, fame, malattie, sfruttamento e conflitti saranno al centro del messaggio pontificio dopo l'annuncio della Resurrezione. L'indulgenza plenaria verrà assicurata dalla benedizione solenne ad una folla di fedeli che si preannuncia straordinaria — ieri la fila per raggiungere i musei vaticani ha superato il chilometro — ma anche ai milioni di telespettatori che la riceveranno per radio o per mondo mondovisione, a condizione di un «sincero pentimento», come stabilisce la formula letta dal cardinale protodiacono.

A conclusione della settimana santa il pontefice si trasferirà per alcuni giorni nella sua residenza sul lago di Castelgandolfo, dove terminerà i discorsi per il viaggio in Brasile del prossimo maggio, per le più vicine celebrazioni per i suoi 80 anni, che compirà il 16 aprile, e per la pubblicazione del motu-proprio che torna a liberalizzare la messa in latino di S. Pio V.

Decisione, questa, che spiegherà personalmente soprattutto in risposta alle resistenze dei vescovi francesi ed alle possibili interpretazioni «politiche» oltralpe e non solo di questo ritorno al passato.

Ieri notte Benedetto XVI ha celebrato la tradizionale lunghissima Veglia Pasquale, la «madre di tutte le veglie», secondo S. Agostino, aperta dal suggestivo rito della benedizione del fuoco, dell'accensione del cero nella basilica buia e del canto dell'Exultet, uno dei più belli ed antichi inni gregoriani.

Il papa ha amministrato il battesimo a due bambini e alle loro madri cinesi e ad altre quattro catecumene originarie di Cuba, del Camerun e del Giappone. Al battesimo ha consacrato la sua omelia per sottolineare che, grazie a questo sacramento dell'iniziazione cristiana, i fedeli non sono più soli neppure nella morte. «Nel battesimo, ha affermato, insieme con Cristo abbiamo già fatto il viaggio cosmico fin nelle profondità della morte». Ed ha invitato i fedeli a pregare perché il Signore dimostri «anche oggi che l'amore è più forte dell'odio e più forte della morte» e perché «discenda anche nelle notti e negli inferi di questo nostro tempo moderno e prenda per mano coloro che aspettano portandoli alla luce».

Corriere della sera, 8 aprile 2007
LadyRatzinger
00lunedì 9 aprile 2007 19:04
Da Petrus
Benedetto XVI “conquista” il New York Times


CITTA’ DEL VATICANO - Da «Rotweiler di Dio» come veniva chiamato il cardinale Joseph Ratzinger quando guidava l’ex Sant’Uffizio per l’inflessibilità dottrinale, al riconoscimento del ruolo di Pastore e di Padre universale. Benedetto XVI conquista il New York Times dedicando al Papa tedesco la cover story del magazine domenicale in occasione del secondo anniversario di pontificato. L’autorevole giornale d’oltreoceano argomenta convinto come in questi due anni di regno Papa Ratzinger abbia mostrato una evidente morbidità rispetto alle aspettative. Disarmando nei fatti «l’ala sinistra della Chiesa». Salvo alcune eccezioni egli si è concentrato meno «sulla chiamata alle armi contro i mali dell’aborto e della contraccezione che non sull’occupazione di posizioni sicure di alto profilo morale». La pace nel mondo, la difesa della liberta’ religiosa e la lotta alla povertà sono stati al centro di innumerevoli discorsi ed interventi pubblici. Persino il teologo Hans Kueng che aveva salutato l’elezione di Ratzinger con «enorme disappunto» se n’è accorto e dopo un anno di pontificato aveva notato «segni di speranza». Ratzinger viene descritto come un uomo dai «curiosi contrasti». Timido, gentile d’animo, modesto secondo chi lo conosce bene, più un nonno-buono che non un guerriero della fede. L’analisi del NYT si concentra poi sui timori del pontefice davanti ad una Europa portata ad emarginare progressivamente la religione dalla sfera pubblica. Un’Europa affetta da relativismo che dimentica persino di riconoscere le sue radici cristiane. L’obiettivo di Benedetto XVI e’ di ricristianizzare il vecchio continente. La sua predicazione e’ efficace, rileva il NYT, e cattura l’attenzione dei pellegrini tanto che le catechesi del mercoledì risultano decisamente più affollate che non ai tempi di Giovanni Paolo II. «Un fatto curioso» tenendo conto del suo stile professorale, meno «teatrale» paragonato a quello di Papa Wojtyla.



LadyRatzinger
00lunedì 9 aprile 2007 19:06
Da Petrus
Genova, nuove minacce a Monsignor Bagnasco


GENOVA - Nuove scritte contro monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sono state scoperte in due zone del quartiere di Sampierdarena, nel Ponente genovese. Utilizzando in entrambi i casi una vernice rossa, ignoti hanno disegnato sui muri delle case che affiancano due chiese il simbolo della falce e martello e poi scritto «Bagnasco attento» e «Bagnasco a morte». Le scritte sono state trovate in vico delle Catene e in piazza del Monastero. I nuovi graffiti contro l'arcivescovo di Genova seguono quello trovato nei giorni scorsi sul portone della cattedrale di San Lorenzo («Bagnasco vergogna») in seguito al quale prefetto e questore hanno deciso di affiancare costantemente al prelato una scorta di agenti.



Che idioti! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] (scusate la parola [SM=g27821] [SM=g27826] )

LadyRatzinger
00martedì 10 aprile 2007 15:57
Da Petrus
Messa solenne per gli 80 anni e il secondo anniversario da Papa di Joseph Ratzinger

CITTA' DEL VATICANO - Messa solenne per il Papa, che il 16 aprile compie ottanta anni e il 19 festeggia l'elezione, due anni fa, al soglio di Pietro. Per rimarcare queste importanti date Benedetto XVI celebrera' domenica prossima, 15 aprile, una messa sul sagrato di San Pietro, alla quale sono invitati cardinali, arcivescovi e vescovi capidicastero della curia romana, ausiliari, preti e fedeli. ''La Chiesa che e' in Roma e nelle varie parti del mondo - spiega una nota della sala stampa vaticana - e' invitata a unirsi al Santo Padre Benedetto XVI per elevare a Dio Padre un'intensa preghiera di ringraziamento per il suo 80.mo genetliaco e secondo anniversario della sua elezione''.
Paparatzifan
00martedì 10 aprile 2007 21:31
Dal blog di Lella...
Rassegna stampa del 10 aprile 2007

NUOVE SCRITTE A GENOVA

A preoccupare il brodo di coltura

Paolo Viana

La Chiesa è prepotente, loro sono democratici. È questo lo schema che spesso ricorre nei ragionamenti (parola impegnativa) che vengono mossi da certo estremismo politico. Le accuse alla Chiesa le leggiamo su taluni giornali, le ascoltiamo nei cortei, le scorgiamo nelle vignette: violenta, aggressiva, addirittura razzista. Sono accuse che si intensificano in alcune stagioni, come quest'ultima, contrassegnata dal dibattito sui destini della famiglia insidiata dai tentativi di legalizzazione delle coppie di fatto. Accuse che erano pretestuose fino a ieri, ma che diventano grottesche oggi, perché provengono all'incirca dagli stessi ambienti culturali in cui, è lecito presumerlo, si collocano gli autori delle ripetute scritte genovesi contro il presidente della Cei.

Per ora è solo terrorismo spray, d'accordo, il rosso e il nero sono solo vernice; ma è inevitabile domandarsi come tenterà di giustificare queste minacce chi nelle scorse settimane ha tacciato la Chiesa italiana di avere scarsa inclinazione alla vita democratica. Purtroppo, non è la prima volta che si appalesa questo rancore sgrammaticato, e non è la prima volta che il messaggio fortemente etico della Chiesa attizza la reazione di chi sul disorientamento sociale ci campa. Se non di sentimento anti-cattolico, si può parlare certamente di un "fastidio" da parte di taluni milieu culturali e politici; un fastidio che rischia di essere emulato con iniziative criminali.

Il caso genovese, per il momento, mantiene i contorni di un "episodio", sulla cui pesantezza tuttavia non ci sono dubbi, soprattutto se confrontato con la mitezza del "bersaglio", che è lo stile proprio del pastore di quella città, "colpevole" solo di essere stato volgarmente equivocato dieci giorni fa, durante una conversazione condotta in un incontro pastorale. Gli si sono attribuiti esempi ed accostamenti che tali erano solamente nella fantasia di un giovane cronista, e poi nel pressapochismo dei colleghi di agenzia che di quell'amaro equivoco si sono fatti rapidi diffusori. Da quel momento, l'arcivescovo Bagnasco è diventato un bersaglio sensibile: ma è mai possibile che viviamo in un Paese così eccitato ed eccitabile, così isterico ed intollerante?

Non sappiamo se dietro certi volantini distribuiti la vigilia di Natale e dietro le scritte violente comparse ieri mattina in un quartiere di Genova vi siano solo dei delinquentelli da vicolo o un gruppo un po' più organizzato. Per ora nulla lascia intendere che questo episodio vada collegato alla recrudescenza del fenomeno brigatista, pure emersa a livello nazionale nelle scorse settimane. Quel che tuttavia sappiamo è che il salto tra la microcriminalità politica e l'avventurismo di indole terroristica è più probabile se il brodo di coltura è abbondante e caldo al punto giusto. Se gli obiettivi più sensibili sono abitualmente lasciati soli, rispetto allo scherno pubblico e alla maldicenza generalizzata. Se la "strana" propensione cattolica a coniugare il rispetto dei valori con la carità e il dialogo anche nei confronti di chi non li condivide viene sistematicamente fraintesa da quanti considerano l'etica alla stregua di un abito reversibile.

Quel che impressiona è la frequenza con cui questo fastidio si trasforma in parola estremistica e travalica la critica o la satira per diventare attacco personale, derisione gratuita, urlo che vuole zittire, falsificazione storica. Avviene ormai quotidianamente nel Paese in cui qualcuno - l'ha fatto Liberazione - paragona il clero al Ku Klux Klan, o vien permesso di salire in cattedra a un Oreste Scalzone così che "spieghi" ai giovani la storia del terrorismo, o ci si straccia le vesti se viene catturato un superlatitante del calibro di Cesare Battisti. È lo stesso Paese che, guarda caso, viene invitato dalla tv pubblica a ridere delle giullarate di Dario Fo, che sfrutta il palcoscenico di Rai Tre per colpire i vescovi italiani con toni che fanno rimpiangere tutti i saltimbanchi precedenti. È una violenza fatta solo di parole, certo, ma che proprio per questo può passare rapidamente di bocca in bocca, di mente in mente, e finire su un muro di Genova.

Avvenire, 10 aprile 2007


C'È UN CAMBIAMENTO IN ATTO NELLA SENSIBILITÀ GENERALE

Francia, corsa ai valori e nessuno si vergogna

Gabriella Sartori

«Aiuto, anche in certi Paesi della laica Europa tornano i "valori"», si inquietava nei giorni scorsi, dalle pagine di un quotidiano italiano, una famosa opinionista che vive e scrive da Parigi, cuore storico della "laicité": perché, secondo lei, se le masse popolari tornano a chiedere che la politica si occupi di valori quali "famiglia", "religione", tutto questo non può che intimidire la politica stessa e quindi indebolire lo Stato e la "laicità" che lo deve distinguere. Nell'articolo si diceva che oggi tocca vedere cose dell'altro mondo, non solo nella povera Italia dove sempre più la politica è paralizzata dal Papa che parla solo della famiglia, per non dire di cosa combina la Cei, ma perfino nella Francia d'oggi, dove anche una candidata di sinistra come Ségolène Royal, per poter aspirare all'Eliseo, è costretta a rincorrere un centrista come Sarkozy o, peggio, un cattolico come Bayrou, sul deprecabile terreno di "valori privati" quali la famiglia e dintorni. Ma qui sarebbe interessante sapere se la giornalista in questione si sia mai chiesta come e perché queste esigenze - che a lei sembrano tanto deprecabili e pericolose - vadano riaffiorando con la "pericolosa" forza popolare che lei stessa vi attribuisce, anche nel cuore dell'Europa più laica; e non come conseguenza dei mutamenti indotti dagli imponenti flussi migratori musulmani, ma proprio perché così vuole o un certo "zoccolo duro" di origine per così dire "indigena". E dunque, se popoli da così lungo tempo governati da Stati profondamente "laici" esprimono questo genere di "bisogni", non sarà perché un certo modo di interpretare la laicità dello Stato lascia grande spazio a questo genere di "insoddisfazioni"? Non sarà che valori quali famiglia, religione, educazione e così via, richiedono alla politica e agli Stati risposte diverse da quelle che sono state "laicamente" fin qui date, o che ci si propone di dare d'ora in poi? Sono domande logiche, razionali. Cioè laiche: perché chi parla così ad alta voce in nome di questi principi si guarda bene dal porle anche a se stesso e alla propria parte? Se tante voci "laiche" avessero il coraggio di metter in dubbio la "loro" idea della laicità dello Stato cui attribuiscono valore di indiscutibile dogma, sarebbe meglio. Si potrebbe, per esempio, aprire un vero e laico confronto fra diversi, legittimi, modi di interpretare la laicità dello Stato. Si "abbasserebbero" beneficamente i toni della discussione in corso sui delicati temi valoriali di cui si parla, non solo in Italia. Si smetterebbe, una buona volta, di "attaccare l"avversario" ricorrendo al sistema di alterare o travisare sistematicamente il senso, e a volte anche le parole di quello che dice. Un sistema che, a partire dal Discorso fatto da papa Ratzinger a Ratisbona in poi, ha conosciuto, un indegno crescendo ai danni soprattutto del capo della Chiesa cattolica e dei vescovi italiani (visti come un "pericolo" in quanto capaci di meritare un forte tasso di "ascolto", di dare risposte "diverse"). Al punto da non temere neppure le più clamorose smentite nel momento stesso in cui si lancia un'accusa: proprio mentre i lettori leggevano la reiterata accusa a papa Ratzinger di parlare solo di morale sessuale e non di guerre, di legalità, di lotta alla corruzione, proprio di questo altro lo stesso "accusato" stava parlando in Piazza S. Pietro. Se tale modo di pensare e di procedere sia esemplarmente "laico", lasciamo giudicare all'infinito esercito delle persone normalmente non prevenute. Certo è che una domanda rimane: andar avanti così, si può? Soprattutto: chi può immaginare che serva ad affrontare positivamente i gravi problemi che i più, ne siamo certi, hanno a cuore?

Avvenire, 10 aprile 2007

La fede cristiana nasce non dall’accoglienza di una dottrina, ma dall’incontro con una Persona, con Cristo morto e risuscitato


BOOM DI ASCOLTI: 42.27 DI SHARE PER IL MESSAGGIO URBI ET ORBI

Il Papa

«Diffondete il Vangelo senza paura»

Bruno Bartoloni

ROMA — Benedetto XVI rilancia la responsabilità missionaria di tutti i cristiani ai quali ha rivolto ieri un appello a diffondere «senza paura» il messaggio evangelico fino «agli estremi confini del mondo». Proprio a questi «confini», la Cina, che rappresenta ancora un mondo dove l'evangelizzazione si scontra con sospetti d'ordine politico, il Papa ha appena inviato un messaggio nel quale spiega le intenzioni esclusivamente spirituali degli apostoli della Chiesa di Roma, senza per questo cercare «compromessi» con Pechino, come ha commentato il cardinale Zen Ze-kiun, arcivescovo di Hong Kong. L'appello sembra voler ricordare a tutti i fedeli, sacerdoti o laici, quel compito missionario che la priorità data negli ultimi anni al dialogo ecumenico e al dialogo interreligioso o all'impegno sociale ed in favore della pace è andato affievolendo.

Giunge mentre, in coincidenza con la data simbolica del suo ottantesimo genetliaco, papa Ratzinger cerca di recuperare anche gli ambienti tradizionalisti, i più rigorosi nell'impegno evangelizzatore, con un motu proprio che liberalizza la messa in latino di san Pio V, atteso nei prossimi giorni. «Anche a noi — ha detto il pontefice che si è trasferito nella sua residenza di Castelgandolfo subito dopo le cerimonie pasquali — il Risorto ripete di non aver paura nel farci messaggeri dell'annunzio della sua risurrezione». «Non ha nulla da temere chi incontra Gesù risuscitato e a lui si affida docilmente», ha aggiunto riproponendo un concetto che ha sviluppato nella sua lettera aperta ai cattolici cinesi delle «due» Chiese, clandestina ed ufficiale, ormai sempre più vicine. «E' quanto mai urgente — ha affermato — che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da lui».

Corriere della sera, 10 aprile


Il Papa: diffondete il Vangelo senza paura

di Andrea Tornielli

Roma - I cristiani oggi non devono aver paura nell’annunciare il Vangelo «sino agli estremi confini del mondo». Lo ha detto ieri Papa Ratzinger ai pellegrini riuniti a Castelgandolfo prima della recita del «Regina Coeli». Benedetto XVI ha parlato delle donne che dopo aver trovato il sepolcro vuoto ed essersi imbattute in Gesù corsero ad annunciare la notizia ai discepoli.

«Anche a noi, oggi, come a queste donne che rimasero accanto a Gesù durante la passione - ha detto il Papa - il risorto ripete di non avere paura nel farci messaggeri dell’annunzio della sua risurrezione. Non ha nulla da temere chi incontra Gesù risuscitato e a lui si affida docilmente. È questo il messaggio che i cristiani sono chiamati a diffondere sino agli estremi confini del mondo». «La fede cristiana - ha spiegato Ratzinger - nasce non dall’accoglienza di una dottrina, ma dall’incontro con una persona, con Cristo morto e risuscitato. Nella nostra esistenza quotidiana, cari amici, tante sono le occasioni per comunicare agli altri questa nostra fede in modo semplice e convinto. Ed è quanto mai urgente che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da lui».

Domenica scorsa, nel messaggio pasquale, pronunciato al termine della messa celebrata alla presenza di oltre centomila fedeli in piazza San Pietro, il Papa aveva riflettuto sul dolore del mondo: «Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede - ha detto il pontefice -. Quante ferite, quanto dolore nel mondo! Non mancano calamità naturali e tragedie umane che provocano innumerevoli vittime e ingenti danni materiali». «Penso al flagello della fame - aveva aggiunto Benedetto XVI - alle malattie incurabili, al terrorismo e ai sequestri di persona, ai mille volti della violenza - talora giustificata in nome della religione - al disprezzo della vita e alla violazione dei diritti umani, allo sfruttamento della persona». Poi il Papa aveva passato in rassegna le situazioni più preoccupanti del pianeta: «Guardo con apprensione - ha detto - alla condizione in cui si trovano non poche regioni dell’Africa: nel Darfur e nei Paesi vicini permane una catastrofica e purtroppo sottovalutata situazione umanitaria; a Kinshasa, nella Repubblica democratica del Congo, gli scontri e i saccheggi delle scorse settimane fanno temere per il futuro del processo democratico... in Somalia la ripresa dei combattimenti allontana la prospettiva della pace e appesantisce la crisi regionale, specialmente per quanto riguarda gli spostamenti della popolazione e il traffico di armi; una grave crisi attanaglia lo Zimbabwe».

«Di riconciliazione e di pace - aveva aggiunto il Papa - ha bisogno la popolazione di Timor Est, che si appresta a vivere importanti scadenze elettorali. Di pace hanno bisogno anche lo Sri Lanka, dove solo una soluzione negoziata porrà fine al dramma del conflitto che lo insanguina, e l’Afghanistan, segnato da crescente inquietudine e instabilità». Segni «di speranza» Ratzinger ha detto di vedere nel dialogo tra israeliani e palestinesi, ma «nulla di positivo purtroppo viene dall’Irak, insanguinato da continue stragi, mentre fuggono le popolazioni civili; in Libano lo stallo delle istituzioni politiche minaccia il ruolo che il Paese è chiamato a svolgere nell’area mediorientale e ne ipoteca gravemente il futuro. Non posso infine dimenticare le difficoltà che le comunità cristiane affrontano quotidianamente e l’esodo dei cristiani dalla Terra benedetta che è la culla della nostra fede».

All’inizio del messaggio pasquale, il Papa aveva parlato dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli affermando che «non fu sogno, né illusione o immaginazione soggettiva quell’incontro. Fu un’esperienza vera, anche se inattesa e proprio per questo particolarmente toccante».

Il Giornale, 10 aprile 2007


Lettera del papa ai cattolici cinesi. Il testo sarà inviato prima al governo

di Mattia Bianchi

Un testo non negoziabile su cui sarà concentrata l'attenzione del governo di Pechino. E' slittata di qualche giorno la pubblicazione della lettera del papa ai cattolici cinesi. Ne ha parlato il cardinale Joseph Zen di Hong Kong.

Un testo non negoziabile su cui sarà concentrata l'attenzione del governo di Pechino. E' slittata di qualche giorno la pubblicazione della lettera del papa ai cattolici cinesi. Atteso inizialmente per Pasqua, il documento sarà prima inviato alle autorità del Paese come gesto di cortesia. Lo ha confermato l'arcivescovo di Hong Kong, cardinale Joseph Zen, spiegando che il contenuto della lettera non è negoziabile. "Questo permetterà (ai cinesi) di studiare i dettagli e preparare la loro reazione ma non sara' un'occasione per negoziare dei cambiamenti", ha affermato il cardinale.

In un articolo pubblicato per Pasqua sul giornale cattolico 'Sunday Examiner', l'arcivescovo di Hong Kong sottolinea che la missiva sarà scritta di proprio pugno da Benedetto XVI. "Sua Santità non si limiterà a firmare le bozze preparate da altri, ma si assumerà la responsabilità di ogni frase". Secondo indiscrezioni, dovrebbe prevalere il carattere pastorale, lasciando a riferimenti indiretti i temi più politici. Spazio quindi alle relazioni tra i cattolici iscritti all'associazione ''patriottica'' e quelli ''clandestini'' o "non registrati", ma anche al ruolo che devono avere i vescovi, e non i laici come oggi accade in alcuni casi, nella direzione delle diocesi e del diritto dei vescovi a viaggiare liberamente e a partecipare a funzioni che si tengono a Roma.

Il cardinale Zen prevede che il documento potrebbe suscitare "ritorsioni" da parte cinese. "Probabilmente prevedono una lettera contro di loro e potrebbero addirittura tramare qualche azione di ritorsione", scrive. E poi, "c'è gente che ha paura di perdere potere e vantaggi con la normalizzazione delle relazioni". Inoltre, se c'è chi spera che la lettera del papa punti al "compromesso" con Pechino, secondo Zen si sbaglia. "Questa speranza non verrà probabilmente esaudita", scrive. "Dobbiamo credere che il solo obiettivo del Santo Padre nello scrivere una lettera del genere è la vera normalizzazione della situazione religiosa, in modo che i milioni di cattolici cinesi possano vivere la loro vita di fede felicemente e con frutti copiosi", afferma Zen.

Korazym


AI CATTOLICI CINESI

La lettera in anteprima a Pechino

In un gesto di cortesia con pochi precedenti il Vaticano anticiperà ai dirigenti di Pechino la lettera aperta scritta dal Pontefice ai cattolici cinesi. Lo ha annunciato il cardinale di Hong Kong, Joseph Zen: i contenuti del messaggio non sono negoziabili ma la lettura del testo «permetterà alle autorità cinesi di preparare la reazione».

La Stampa, 10 aprile 2007


Il negoziatore del Vaticano
“Presto la firma”
Risolta la lite sul Cenacolo


CITTÀ DEL VATICANO

GIACOMO GALEAZZI

Si sta lavorando per fissare una nuova data: è possibile trovare un accordo sulle questioni in discussione per arrivare alla firma dell’accordo globale». La commissione plenaria tra Israele e Santa Sede, disdetta all’ultimo momento dal governo di Gerusalemme, è «rinviata, non cancellata, anzi da entrambe le parti si è chiarita la volontà di riprogrammare l’incontro al più presto possibile». Prova a mediare tra Roma e Gerusalemme il francescano David-Maria Jaeger, ebreo di nascita, cittadino israeliano, massimo esperto di rapporti Chiesa-Stato in Israele, protagonista dei negoziati che hanno prodotto, nel ‘93, l’Accordo fondamentale. Una sorta di concordato a tutela della Chiesa cattolica in Israele».
Tasse, visti d’ingresso per il clero, diritti di proprietà, status giuridico della Chiesa, restituzione di beni sacri, in particolare il Cenacolo. Sono tanti i punti su cui la Chiesa e Israele dovrebbero raggiungere un accordo. Si aspettava questa improvvisa crisi diplomatica?

«Da sessant’anni mancano regole certe per la Chiesa in Israele. È proprio per rimediare a questa lacuna che nell’accordo del ‘93, che ha portato alle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Israele, c’è l’impegno a negoziare le questioni pendenti. Solo così il rapporto tra la Chiesa e Stato ebraico potrà essere consolidato eliminando le cause di tensioni, la mancanza di regole».

E’ancora possibile?

«Sono un cristiano, un francescano, ottimista per vocazione e carattere. Ritengo che non ci si debba mai arrendere al pessimismo, al disfattismo. Sono ottimista perché non vedo alcun motivo per cui l’impresa, lanciata nel 1992, anno d’inizio dei negoziati, non debba riuscire. La Chiesa in Israele non pretende nulla che vada oltre i diritti acquisiti nei secoli e consolidati al momento della nascita dello Stato; non rivendica nulla che non sia già presente in diverse forme nei principi fondamentali dell’ordinamento, o negli impegni che lo Stato, liberamente e più volte, si sia assunto nei decenni, nelle sedi internazionali o negli scambi con rappresentanti ecclesiali. C’è da ordinare, consolidare e poi applicare certi principi dello Stato di diritto».

Per esempio?

«Una legge antica riservava alla decisione discrezionale dell’esecutivo la giurisdizione sulle dispute relative ai beni a carattere religioso. E’ chiaro a tutti che le cose non possono rimanere così e che la tutela dei diritti di proprietà della Chiesa, come di quelli di qualsivoglia proprietario, deve spettare ai tribunali giudiziari e non ai politici. Il Cenacolo? Un esempio di come le richieste cattoliche corrispondano semplicemente all’applicazione coerente dello Stato di diritto che Israele ha sempre voluto essere. Non un privilegio, ma uguaglianza con qualsiasi proprietario di qualsiasi proprietà».

A tre lustri dall’accordo tra Vaticano e Israele, lo stato ebraico non l’ha trasformato in legge, e perciò i tribunali israeliani dichiarano di non conoscerlo. Perché?
«E’ una cosa che non fa certo piacere a me che ho partecipato alle trattavive, ma non è detto che non lo si farà primo o poi. La Chiesa è stata sempre molto chiara nell’esprimere la giusta attesa che questo, e gli altri accordi, siano debitamente iscritti nelle leggi dello Stato. Spero che col tempo lo Stato capirà che ciò è pure nel suo interesse. In altre parole, l’avere un rapporto basato su regole concordate e condivise è d’interesse di tutte e due le parti, perché solo così si potrà assicurare quello che tutte e due hanno sempre desiderato: un rapporto pacifico, amichevole, vicendevolmente riguardoso, che permetta stabilmente alla Chiesa di rendere il suo singolare servizio al bene comune».

Parla quasi come un vescovo della Cei...

«Personalmente credo che l’Italia avrebbe molto da insegnare in Terra Santa. Anche come possibile esempio per quello, che in futuro i cittadini cattolici ed ebrei, insieme, potranno realizzare in Israele: un Paese profondamente legato alla religione della maggioranza ma nello stesso tempo consapevole di doversi attenere alla sana laicità propria dello Stato. Il problema è come realizzar concretamente tutto questo, senza venir meno né alla fedeltà alle radici cristiane, al patrimonio cristiano, ma neppure alla sana laicità dello Stato. Questa questione, che spesso si si sono posti gli italiani, occupa anche gli israeliani in rapporto all’ebraismo».

In che modo?

«Un buon riferimento è l’intesa in Italia tra il governo e la comunità ebraica: può servire da fonte di ispirazione ed emulazione nelle trattative in favore della comunità cattolica in Israele. Si può aprire una stagione di genuina vicinanza tra cattolici ed ebrei, maggioranza e minoranza, secondo i casi, in Italia e in Israele. Potrebbero in entrambi i Paesi godere di libertà, sicurezza e reciproca stima. Anzi, come dice il preambolo dell’Accordo fondamentale, amicizia».

La Stampa, 10 aprile 2007


La vicenda

La promessa a Wojtyla mai mantenuta da Israele

La tradizione cristiana ha nel Cenacolo il luogo sacro dove Gesù celebrò la cena pasquale. Nel IV secolo i cristiani trasformarono la piccola chiesa in una basilica. Proprietà dal 1342 dei Frati francescani fu sottratto nel 1551 dai turchi, poi dagli israeliani. La riconsegna sembrava vicina con la visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel 2000 ma all’ultimo momento la firma saltò. La Chiesa cattolica è proprietaria del Cenacolo da 7 secoli, da quando i francescani vi stabilirono la casa madre in Terra Santa. Oggi nell’edificio ci sono una scuola ebraica e una sinagoga.

La Stampa, 10 aprile 2007


Nuove scritte: «Bagnasco a morte» E per firma una stella a cinque punte
Genova, minacce al capo dei vescovi. Messa di Pasqua con la scorta

GENOVA — Prima la scritta sul portale della cattedrale di Genova «Bagnasco vergogna», poi i manifesti nel centro storico con papa Ratzinger davanti al plotone di esecuzione e la comparsa durante la veglia pasquale in San Lorenzo di immaginette pornografiche con una Madonna bisex, infine ieri le scritte di aperta minaccia: «Bagnasco a morte», «Bagnasco attento ancora fischia il vento». Minacce di morte anche contro il Papa, insulti a Ruini («Ruini trans»), la stella a cinque punte delle Br, falce e martello e la scritta P38 completavano il messaggio.

Dopo la bufera sul discorso dell' arcivescovo di Genova e presidente della Cei sui Dico, con gli esempi estremi della pedofilia e dell'incesto come deriva dell'uomo senza regole morali, il clima a Genova si sta sempre più incattivendo. Anche se l'arcivescovo ha rassicurato i suoi collaboratori, «sono sereno, state tranquilli, nessuna paura», e non ha cambiato una virgola della sua agenda, la presenza costante di un agente armato, anche se in borghese, al suo fianco è il segnale di un momento difficile.

Durante la messa pasquale gli uomini di scorta sono saliti a due e altri si sono confusi fra i fedeli nella cattedrale controllata da una telecamera esterna. La comunità cattolica genovese ha manifestato la propria vicinanza al vescovo affollando la cattedrale, meno solerti i politici. Alla messa di Pasqua non si è visto alcun rappresentante delle istituzioni genovesi e liguri. Sono invece ripresi i messaggi di solidarietà, dopo la scoperta delle scritte e delle sigle che richiamano l'organizzazione terroristica che ha insanguinato Genova negli anni di piombo. Le minacce sono comparse nel quartiere di Sampierdarena vicino alla chiesa di Nostra Signora della Cella (che per anni ha avuto uno storico parroco partigiano, don Berto Ferrari), ma già la domenica di Pasqua sul portone della chiesa qualcuno aveva tracciato a spray due «orribili bestemmie» come le definisce il curato don Matteo Pescetto.

«E' venuta la Digos e le abbiamo cancellate appena possibile — dice don Pescetto —. Prima non era mai successo niente del genere, mai avuto problemi». Don Pescetto dice di non nutrire sospetti e forse cristianamente ha già perdonato, ma gli investigatori non mancano di sottolineare che poco distante, nei Magazzini del Sale, ha sede lo Zapata, centro sociale antagonista. Questore e prefetto, comunque, preferiscono non alzare il livello di allarme. «Nessun motivo per modificare le misure di tutela già decise», dice il prefetto Giuseppe Romano, e il questore Salvatore Presenti (che domenica era in cattedrale) ha parlato di «attenzione ma non tensione».

Marta Vincenzi, candidato sindaco di Genova per l'Ulivo, non legge nella progressione anti-Bagnasco un improvviso rigurgito anti-clericale dei genovesi: «La funzione nazionale dell'arcivescovo — dice — ha insieme una valenza positiva e una negativa. Genova assume un ruolo più importante, sicuramente più visibile e questo può spingere chi vuole marcare una differenza nei confronti delle posizioni della Chiesa a gesti dimostrativi o, come in questo caso, esecrabili. Per gli amministratori tutto questo comporta un confronto più impegnativo con il mondo cattolico». E Vincenzi non manca di sottolineare come «parlare di famiglia al singolare, soprattutto a Genova, sia oggi veramente improponibile: abbiamo verificato che esistono in questa città almeno venti tipi diversi di famiglie».

Tuttavia, un certo disagio per l'inasprirsi degli attacchi all'arcivescovo è palpabile. «Gli attacchi a cui è sottoposto Bagnasco — ha detto il presidente dell'Udc Rocco Buttiglione — dimostrano come le sue parole colgano nel vivo l'uomo del nostro tempo».

Corriere della sera, 10 aprile 2007

«Colpa del sentimento anticattolico di certa politica»

I timori di «Avvenire». Betori: non alziamo il livello di allarme

Luigi Accattoli

ROMA — In Vaticano e alla Cei le minacce all'arcivescovo Bagnasco presidente della Cei, al papa e al cardinale Ruini «dispiacciono ma non spaventano» e sono considerate un «effetto imitativo» della prima scritta apparsa una settimana addietro sul portone della cattedrale. Tutti minimizzano confidenzialmente mentre l'unico che rilascia una dichiarazione — il segretario generale della Cei Giuseppe Betori — si ispira alle «rassicurazioni» venute dal questore di Genova e alle parole di «serenità» dell'arcivescovo Bagnasco.
Il vescovo Betori — il numero due della Conferenza episcopale — esprime «vicinanza e solidarietà» al presidente della Cei e arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, «in questo momento in cui è fatto oggetto di espressioni intimidatorie».

«Ci auguriamo — dice ancora Betori, che ha passato la giornata di Pasquetta a Foligno, ospite dei suoi parenti — che siano fatti isolati, rassicurati anche dalla parole del questore di Genova, Salvatore Presenti, per il quale allo stato attuale non si richiede "nessun innalzamento del livello di attenzione" e "nessuna misura preventiva"».

«Soprattutto — conclude Betori — condividiamo nel profondo l'invito alla serenità formulato dallo stesso presidente della Cei e accompagnandolo con la preghiera lo ringraziamo per la testimonianza che egli offre alla comunità ecclesiale e all'Italia tutta».

Converge su questa lettura sdrammatizzante delle scritte genovesi il fondo di oggi del quotidiano cattolico Avvenire, che ha l'arcivescovo Bagnasco come presidente del Consiglio di amministrazione: «Per ora è solo terrorismo spray». Forse sono «delinquentelli da vicolo», forse un gruppo «più organizzato», ma nulla può autorizzare a collegare «questo episodio» alla «recrudescenza del fenomeno brigatista». Piuttosto Avvenire se la prende — qui drammatizzando decisamente — con il «brodo di coltura» che provoca quelle scritte e che sarebbe caratterizzato dal «sentimento anticattolico» che anima «certo estremismo politico».

Parlando con persone che lavorano alla Cei e in Vaticano, ieri si coglievano tre diversi filoni, all'interno della stessa tendenza a minimizzare. Uno — il più consistente — tira in ballo i media per spiegare il «trascinamento» delle nuove scritte realizzato dalla prima: vedendo la grande «attenzione» ottenuta da qualcuno con due sole parole («Bagnasco vergogna»), altri hanno provato a moltiplicare l'effetto moltiplicando le parole.

Un secondo filone si richiama a parole dette una volta dal cardinale Ruini a proposito delle polemiche a mezzo stampa: «sono pallottole di carta» e «fanno poco male». Stavolta sono «scritte colorate» e come tali non fanno più male delle pallottole di carta, ma nel «clima di contrapposizione» che stiamo vivendo possono essere «prese sul serio» da mitomani e soggetti influenzabili. Un minimo di rischio che alle parole segua qualche «gesto» non sarebbe dunque da escludere.

Un terzo filone — il più sparuto — alla lettura minimizzante aggiunge una coda autocritica: gli autori delle scritte paiono dei goliardi più che potenziali aggressori (tra le scritte ce n'è una che suona: «Ruini trans»), ma forse non scriverebbero «vergogna», «morte» e così via, accanto ai nomi di Bagnasco e del papa, se l'attuale dibattito sulla famiglia e dintorni non stesse ottenendo l'effetto di far passare — «certamente a torto» — i rappresentanti della Chiesa per degli intolleranti, almeno presso il settore radicaleggiante dell'opinione pubblica. Forse quelle scritte sono la spia di un nervosismo «ambientale» che richiede un di più di attenzione nella proposta del «messaggio cristiano».

Ad avanzare questa riflessione autocritica sono gli stessi ambienti che in occasione del Consiglio permanente della Cei (26-29 marzo) — che ha approvato la «nota» sui Dico — sollecitavano una «riscrittura pastorale» del testo per evitare che quell'indicazione «morale» fosse intesa come un atto di schieramento politico.

Corriere della sera, 10 aprile 2007


La condanna di Sanguineti «Approvo il dissenso non chi incita alla violenza»

GENOVA — Edoardo Sanguineti, già candidato della sinistra radicale per le primarie a sindaco di Genova, non ha dubbi, le scritte contro l'arcivescovo Bagnasco sono «deprecabilissime» e «da condannare».

Professore, tutto è iniziato con una scritta «Bagnasco vergogna» ma ora siamo alle minacce di morte...

«Davanti alla prima scritta, per quanto totalmente inopportuna, anche perché vergata sul portale della cattedrale storica, avevo subito pensato che la scorta per un arcivescovo fosse cosa discutibile e che Bagnasco avrebbe dovuto rifiutarla. Adesso forse la situazione è un po' cambiata. L'incitamento alla violenza è sempre da rifiutare».

Lei ha avuto parole di critica nei confronti di Bagnasco.

«La critica, e anche il dissenso, devono sempre essere possibili. Se non fosse stata espressa così male e soprattutto sulla porta della cattedrale anche "Bagnasco vergogna" è un'espressione di dissenso consentita, non offensiva. Non voglio fare paragoni, sarebbe sgradevole, ma mi è venuto spontaneo chiedermi se a Genova non dovremo rimpiangere Dionigi Tettamanzi, un arcivescovo di grande sensibilità che aveva ben interpretato i bisogni della città. L'avevo lungamente intervistato per la Radio vaticana, un colloquio interessante».

Questo brutto clima si è creato dopo le parole di monsignor Bagnasco sui Dico.

«Ha detto di essere stato frainteso e non discuto. Al di là di questi brutti episodi, tuttavia, vorrei dire che la pesante ingerenza della Cei e del Papa stesso in un processo legislativo mi sembra del tutto fuori luogo. Soprattutto non è accettabile l'ordine ai politici cattolici a non votare determinate leggi in Parlamento. Penso anzi che le alte autorità, il capo dello Stato, il presidente della Camera o del Senato dovrebbero protestare ufficialmente. La Chiesa è pienamente legittimata a indicare ai cattolici i comportamenti cui attenersi, ma non al Parlamento».

Ma lei ha difficoltà a confrontarsi con i religiosi?

«Per nulla. Io dico sempre che con i capitalisti e con i gesuiti si ragiona sempre benissimo, perché le posizioni di partenza degli interlocutori sono chiare. Infatti ho avuto ottime discussioni con entrambi».

Corriere della sera, 10 aprile 2007

Genova, nuove scritte sui muri minacce di morte a Bagnasco

Slogan contro il presidente della Cei firmati con la stella a cinque punte delle Br

NADIA CAMPINI

GENOVA - Scritte minacciose contro il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, sono comparse sui muri di Genova, la città della quale è arcivescovo. Dopo il primo «vergogna», tracciato a lettere cubitali sul portone della cattedrale la settimana scorsa, questa volta le scritte, in vernice rossa e nera, sono state trovate la mattina di Pasqua a Sampierdarena, un quartiere periferico, e dalle critiche sono passate alle minacce: «Bagnasco a morte» e «Bagnasco attento, ancora fischia il vento», accompagnate dai simboli della stella a cinque punte, della falce e martello e dalla sigla P38. Ieri è spuntato anche «Bagnasco trans», sempre a Sampierdarena.
Si moltiplicano così gli attacchi contro il presidente della Cei dopo le polemiche sui Dico e sulla famiglia. La settimana scorsa il Prefetto di Genova aveva disposto la scorta per l´arcivescovo e durante la veglia di Pasqua due agenti in giacca e cravatta hanno seguito tutta la funzione vicino a monsignor Bagnasco, mentre una telecamera è stata installata sul piazzale davanti alla cattedrale. «Non ci sono motivi per modificare il programma di misure decise dal coordinamento delle forze dell´ordine», si limita a dire ora, dopo i nuovi messaggi, il prefetto Giuseppe Romano. «C´è attenzione, ma non tensione in città - assicura anche il questore Salvatore Presenti - non ci sono grossi problemi. «

Dalla Curia non arrivano commenti ufficiali, ma si fa sapere che monsignor Bagnasco è «sereno» e non sono previste variazioni ai suoi programmi. Le forze dell´ordine hanno intensificato il giro di pattugliamento attorno alla cattedrale, che sorge ai margini dei vicoli del centro storico. Proprio nei vicoli erano stati trovati manifestini anonimi contro papa Benedetto XVI e qui, sabato pomeriggio è stata organizzata un´iniziativa «iconoclasta» ideata da appartenenti all´area anarchica, con proiezione di film anticlericali. Poi sabato sera in cattedrale, dopo la veglia pasquale, sono stati trovati nelle ultime file volantini dal contenuto pornografico e ora le scritte contro Bagnasco, accompagnate da slogan contro il Papa e contro il cardinale Ruini, tutte nei pressi del centro sociale Zapata, che però si è già dissociato dalle scritte.

A Bagnasco è arrivata ieri la «vicinanza e solidarietà» di tutti i vescovi italiani tramite il segretario generale della Cei monsignor Giuseppe Betori. «Ci auguriamo - scrive Betori - che siano fatti isolati. Soprattutto condividiamo nel profondo l´invito alla serenità formulato dallo stesso Presidente della Cei». Solidarietà arriva anche dalle forze politiche: per Rocco Buttiglione, presidente dell´Udc gli attacchi contro Bagnasco «mostrano come le sue parole colgano nel vivo l´uomo del nostro tempo», per Franco Monaco, dell´Ulivo «niente può giustificare insulti e minacce». Secondo Isabella Bertolini, Forza Italia, siamo in un «clima da caccia alle streghe». E secondo il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro «ora più che mai è necessario scendere in piazza» per il Family day.

Repubblica, 10 aprile 2007


Dico, nuove scritte di morte contro Bagnasco

di Diego Pistacchi

Una «sentenza». Una sentenza di morte. Sale di livello la gravità dell’attacco a monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei, «colpevole» di aver ribadito la linea della Chiesa contraria ai Dico. La prima scritta, «Bagnasco vergogna», comparsa una settimana fa sul portone del duomo di San Lorenzo a Genova, aveva indignato. E già erano scattate le prime misure di sicurezza per l’arcivescovo. Ora i muri imbrattati si moltiplicano: «Bagnasco a morte». Oppure: «Attento, ancora fischia il vento». Slogan presi in prestito dalla resistenza, minacce che stavolta sono anche firmate. Con la stella a cinque punte delle Br, e con un inquietante quanto esplicito riferimento alla P38, l’arma dei delitti degli anni di piombo. È l’ora della paura. Del timore che non si tratti più solo del gesto di qualche vandalo.

Le scritte compaiono nel quartiere di Sampierdarena, ponente cittadino, zona operaia. Compaiono vicino al centro sociale Zapata, occupato dagli anarchici. Proprio la matrice anarchica era sembrata subito la più attendibile per giustificare la prima scritta contro l’arcivescovo di Genova. E questa volta la zona parrebbe dare ragione a questa linea investigativa. Eppure i messaggi di morte scoperti ieri mattina nelle vicinanze di due chiese lasciano qualche dubbio. Perché gli anarchici al massimo non firmano i loro gesti, ma se proprio non lasciano la loro «A» cerchiata a rivendicare il raid, difficilmente usano altre sigle per allontanare i sospetti. In più c’è il colore della vernice usata (questa volta anche rossa, una settimana fa solo nera). Differenze apparentemente banali, ma significative per gli inquirenti. Che ora vogliono capire anche quel riferimento alla P38 aggiunto a uno dei messaggi vergati sui muri di Sampierdarena. Ma proprio i capi del centro sociale Zapata hanno negato qualunque addebito: «Il centro sociale Zapata non minaccia di morte nessuno e se deve esprimersi su qualcosa o su qualcuno, lo fa firmandosi pubblicamente». Ieri tra l’altro, l’obiettivo non è stato soltanto monsignore Bagnasco, ma la stessa vernice spray rossa è stata usata per insultare anche il cardinale Camillo Ruini. Un’ escalation che tuttavia non sembra allarmare oltre misura il questore di Genova, Salvatore Presenti. «Non ci sarà alcun innalzamento del livello di attenzione - ha subito tenuto a precisare il responsabile della polizia -. Non prenderemo nuove misure preventive. Ribadisco che si tratta di messaggi blasfemi e osceni, ma che non ci fanno supporre un aumento della conflittualità. Nei confronti di monsignor Bagnasco abbiamo adottato tutte le misure di prevenzione possibili. Stiamo svolgendo azione di intelligence per giungere all'identificazione degli autori delle scritte. La nostra attenzione resta alta, ma non c'è alcun motivo per parlare di tensione». Il questore di Genova, però, era presente domenica mattina in duomo alla celebrazione del precetto pasquale da parte dell’arcivescovo, funzione che non ha visto peraltro la partecipazione di altre cariche civili e istituzionali.

Solidarietà a Bagnasco arriva intanto proprio dalla Conferenza episcopale che presiede. È il segretario della Cei, monsignor Giuseppe Betori a esprimere «vicinanza e solidarietà» all’arcivescovo di Genova «in questo momento in cui è fatto oggetto di espressioni intimidatorie». In Curia comunque si preferisce evitare le esasperazioni. «Monsignor Bagnasco è molto sereno», è la costante rassicurazione che arriva dall’arcidiocesi genovese. I nuovi fatti vengono comunque tenuti sotto controllo. In particolare si sta cercando di capire se le aggressioni arrivino da piccoli gruppi desiderosi di visibilità, da mitomani o da più preoccupanti organizzazioni. Nei giorni scorsi comunque la chiesa genovese è stata fatta oggetto anche di attacchi non anonimi. Un ristretto gruppo di contestatori avevano dato vita alla cosiddetta «iniziativa iconoclasta», ritrovandosi però in meno di dieci in una piazzetta del centro storico. Sabato invece, alla vigilia di Pasqua, sono state distribuite all’interno della cattedrale false immaginette contenenti immagini pornografiche. Episodi diversi, strategia unica.

Il Giornale, 10 aprile 2007


Contro Bagnasco anche la stella a cinque punte

Il capo dei vescovi al centro degli attacchi
E alla messa presenziano gli agenti Digos

PIERANGELO SAPEGNO

L’ultima, la più grave, dice «Bagnasco a morte». Ma è da una settimana che va avanti così, fra scritte, manifesti, volantini e pure spettacoli da strada, con quattro gatti spelacchiati che offrono insulti e vendono vino contro la Chiesa e l’Arcivescovo mentre cantano bestemmie alla piazza. Tutto vero, a raccontarlo, e tutto un giorno dietro l’altro e tutti i giorni. All’improvviso questa è diventata una città così anticlericale che ci sembra di essere capitati dentro a una commedia oscena, mica alla realtà: gli agenti della Digos in borghese che riempiono la Messa della Cattedrale, i poliziotti e i carabinieri in divisa che presidiano le Chiese, le telecamere della Questura sui sagrati, la scorta armata per Monsignore, il questore che giura che non c’è nessuna tensione, ma che, scherziamo?, il sindaco che preferirebbe tanto non dire niente e il Vescovo pure, come se nessuno alla fine sapesse più bene di cosa parlare, di fede, Dico e libero Stato, oppure di follia. Dai, siamo su Scherzi a parte.

E invece no. Ieri mattina, sui muri di Sampierdarena, in vico della Catena e in piazza Monastero, sono apparse le nuove scritte contro l’Arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale: «Bagnasco a morte», «Attento Bagnasco, ancora fischia il vento», e poi «a morte il Papa» e un’altra contro il cardinale Camillo Ruini, vernice nera e vernice rossa. Le firme: il disegno falce e martello, la P38 e la immancabile stella a cinque punte delle Brigate Rosse. Lì dietro, su una Chiesa, un’altra offesa oscena contro l’arcivescovo: «Bagnasco trans». Ma prima, la scorsa settimana, c’era stata la scritta a San Lorenzo, «Bagnasco vergogna», e poi i manifesti appesi nel centro storico che simulavano la fucilazione di Papa Benedetto XVI e sabato pomeriggio l’«Iniziativa iconoclasta contro ogni fantasma divino», in piazza San Giorgio, dieci suonati e barboni, tutti stracci e occhi lessi, che hanno messo in vendita libri anticlericali e una damigiana di vino («sangue divino», era scritto sul legno), a 50 centesimi al bicchiere, mentre un altoparlante diffondeva canzoni come «Rinneghiamo Dio». Eppure, è così esagerata e diffusa l’aggressione nei confronti dell’Arcivescovo che c’è qualcosa di stonato, quasi di finto. Le scritte ieri erano disseminate tutte a poche centinaia di metri dal Centro Sociale Zapata, uno dei più estremisti di Genova. Ma, come dice don Francesco Di Comite, vicedirettore dell’ufficio stampa della Curia, «è un po’ difficile pensare che qualcuno vada a firmare insulti e minacce vicino a casa sua». E allora, che cosa c’è dietro a questa offensiva distruttrice, a questo impazzimento iconoclasta, che all’inizio ha diviso persino la maggioranza negli ordini del giorno di condanna, perché «Vergogna», ha detto qualcuno, non era un insulto? Adesso le uniche parole di Bagnasco sono quelle lasciate ai suoi fedeli nell’omelia di Pasqua, dentro la cattedrale riempita per metà da agenti in borghese con i baveri alzati: «Non dobbiamo scoraggiarci perché c’è tanta gente che vive nel bene dentro la comunità dei credenti». Come dire: sono una minoranza. Solo che durante quella stessa Messa, racconta Claudio Arcolao, direttore dell’ufficio stampa della Curia, «qualcuno aveva distribuito dei santini con delle immagini pornografiche».

Prima, Bagnasco aveva parlato e poi smentito, anche se con non molta forza, quella famosa frase sui Dico, i pedofili e gli incesti. E prima, il sindaco Giuseppe Pericu aveva preferito tacere. Gli aveva scritto una lettera, all’Arcivescovo, e senza nemmeno farlo sapere troppo in giro. Era un foglietto scarno, che si limitava a condannare l’accaduto. E pure oggi non è che spreca molte parole: «Ribadisco la condanna per qualsiasi gesto o affermazione di carattere violento». Ma ora, questa condanna è diventata trasversale. Parte dal sindaco, passa da Renato Olivieri e Enrico Musso, candidati della Casa della Libertà alle prossime amministrative, e arriva a Massimo Chiesa e Fabio Broglia, dell’Italia di Mezzo, che chiedono ai giornalisti di fare un elenco con i nomi di tutti quelli che attaccano queste minacce.

Pure Cristina Morelli, la segretaria regionale dei Verdi che s’era rifiutata di votare l’ordine del giorno di solidarietà per l’Arcivescovo, oggi dice che condanna «fermamente queste scritte. Sono gandhiana, contro la violenza. Ma la prima scritta, vergogna, non mi sembrava nulla di grave, ed è vero che un vescovo che non ha rispetto per forme diverse di amore dovrebbe vergognarsi. Io provo tristezza per un pastore del Signore, messaggero di pace, che gira con una scorta armata e che la accetta pure. Poi, sia chiaro che quelle scritte trovate oggi sono molto più gravi». Il fatto è, però, che alla fine sembra che ci sia davvero qualcosa di incompiuto nel rapporto fra l’Arcivescovo e la sua città, qualcosa di sotterraneo, che va al di là di questa esibizione oscena di anticlericalismo che ha riempito la settimana di Pasqua. Quella frase sui Dico e sui pedofili e la sua quasi incerta smentita non hanno convinto tutti. Anche se non lo ammette, forse è questa sensazione che frena Pericu.

Attorno, c’è questo spettacolo un po’ bieco e molto volgare, che va dai manifesti sulla fucilazione del Papa alle immagini porno sui santini, sparso come veleno sulla settimana di Pasqua. Il questore, Salvatore Pesenti, ripete a tutti di star tranquilli: «Nessun innalzamento del livello di attenzione, nessuna misura preventiva. Ribadisco che si tratta di messaggi blasfemi, ma che non fanno pensare a un aumento della conflittualità». Sarà per questo che dalla Diocesi sottolineano in coro che «l’arcivescovo è sereno. C’è attenzione e vigilanza, ma non allarme per quanto sta accadendo. Alle Brigate Rosse non crede nessuno nella Curia. «Guardiamo con attenzione attorno a noi», dice don Francesco di Comite. «L’Arcivescovo è uomo di grande preghiera ed equilibrio. Questa esagerazione del linguaggio richiede una prudenza maggiore. E noi sappiamo benissimno che l’Anticlericalismo in Italia s’è formato su tante strade». Tipo? «Quella massonica, ad esempio». Ecco. Così, siamo a posto.

La Stampa, 10 aprile 2007

[Modificato da Paparatzifan 10/04/2007 21.31]

LadyRatzinger
00mercoledì 11 aprile 2007 13:16
Da Petrus
Genova, il Senatore De Gregorio condanna le minacce al Pontefice e a Monsignor Bagnasco

ROMA - "Le recenti minacce a monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei, e ancor prima a Papa Benedetto XVI, rappresentano un segnale di criticità allarmante che riguarda non solo la città di Genova, ma l'intero Paese, attraversato da un preoccupante rigurgito di violenza nei confronti della Chiesa". Lo ha detto Sergio De Gregorio, presidente della commissione Difesa del Senato e candidato sindaco nel capoluogo ligure per il movimento 'Italiani nel mondo'. "A monsignor Bagnasco, coraggioso e tenace custode dell'identità e dei valori cristiani - scrive De Gregorio - va tutta la mia solidarietà per i vili e vergognosi attacchi ricevuti in questi giorni. L'errore più grave da commettere, in questi casi, è svuotare di significato tali inquietanti episodi, bollandoli come gesti folli di frange isolate". Secondo il senatore "purtroppo, in Italia stiamo assistendo al radunarsi di eserciti di estremisti per crociate anti-cristiane, i cui echi arrivano finanche in Parlamento. Dobbiamo recuperare il valore del dialogo - ha aggiunto - e condannare all'unanimità chi si pone al di fuori del circuito della legalità e della legge alzando il livello dello scontro". "Non è certo con i murales offensivi, o con le lettere minatorie che si risolvono le controversie: sarebbe opportuno - ritiene De Gregorio - che le istituzioni e i partiti politici facessero sentire forte e chiara la propria contrarietà per queste azioni intimidatorie, non soltanto a parole ma anche con i fatti". "E per offrire un segnale tangibile di confronto, nelle prossime settimane, siamo pronti a organizzare a Genova, dove 'Italiani nel mondo' correrà con proprie liste alle prossime elezioni amministrative, un convegno sul ruolo della Chiesa nella nuova società italiana a cui invitare monsignor Bagnasco, esponenti della società civile e dell'associazionismo e - conclude - i candidati sindaco di centrodestra e centrosinistra del capoluogo ligure".


Meno male,si è svegliato qualcuno!! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]

LadyRatzinger
00mercoledì 11 aprile 2007 13:26
Da Petrus
Anche a Torino scritte offensive contro il Papa, Bagnasco e Ruini

TORINO - Ancora scritte contro il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco. Questa volta sono comparse sulla facciata di una chiesa di Torino. Nel mirino degli autori, insieme al vescovo di Genova e leader della Conferenza episcopale italiana, anche Papa Ratzinger. Dopo le parole minacciose apparse sette giorni fa sui muri di San Lorenzo, la cattedrale genovese, e lungo alcune strade della periferia del capoluogo ligure, a Torino un nuovo pesante attacco: "Ruini, Bagnasco, Ratzinger assassini"; "Preti, vescovi, cardinali i veri pedofili" e "il Papa santifica le guerre" sono alcuni degli slogan con cui è stata imbrattata la chiesa del Santissimo Nome di Gesù in corso Regina, a due passi dall'Università e dal centro di Torino. "Cristiani ai leoni" e "nazi-Ratzinger" sono le altre scritte, realizzate con vernice rossa, nera e blu. Sul posto è intervenuta la Digos, che ha effettuato i rilievi fotografici. Dovrà stabilire se gli autori sono gli stessi che hanno preso di mira anche il negozio di bomboniere che si trova di fronte alla Chiesa, firmate "Azione Antifascista". Il portavoce della diocesi di Genova, ieri l'altro aveva dichiarato che "c'è attenzione e vigilanza ma non allarme per quanto sta accadendo". "Ancora non si è capito bene - ha spiegato riferendosi agli autori delle scritte - se si tratta di esibizionisti, gruppuscoli o a qualcosa di più organizzato". Dal giorno dopo la prima scritta vergata sul portone del Duomo di Genova, il presidente della Cei è scortata da due agenti della Polizia. "A preoccupare - come scrive nell'editoriale di stamane l'Avvenire - è il brodo di coltura" nel quale cresce questo "terrorismo spray". "Monsignor Bagnasco è diventato un bersaglio sensibile - scrive il quotidiano di ispirazione cattolica - ma è mai possibile che viviamo in un Paese così eccitato ed eccitabile, così isterico e intollerante?"



Assassini??????????????? [SM=g27831] [SM=g27831] [SM=g27824] [SM=g27824] [SM=g27824] E chi avrebbero ucciso,sentiamo!!Voglio i nomi delle vittime!! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]

Ma perchè ce l'hanno così tanto con Bagnasco???!!Che cosa gli ha fatto??!!E'tanto scomodo perchè è uno dei pochi uomini di Chiesa più coraggiosi che non hanno paura di dire le cose come stanno??!!!E allora quante minacce di morte avrebbe dovuto subire Berlusconi,che è stato ed è uno degli uomini più "odiati" in Italia??!!Ieri mi è preso un raptus di follia e volevo andare davanti a scuola mia a scrivere con la bomboletta "VIVA IL PAPA!!!!!!!" e "W BAGNASCO!!!!!!!!!" alla faccia di quegli imbecilli!!(scusate ancora,ma queste cose mi fanno imbufalire! [SM=g27821] [SM=g27821] ) [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812]

[Modificato da LadyRatzinger 11/04/2007 13.28]

josie '86
00mercoledì 11 aprile 2007 17:50
Re: Da Petrus

Scritto da: LadyRatzinger 11/04/2007 13.26
Anche a Torino scritte offensive contro il Papa, Bagnasco e Ruini

TORINO - Ancora scritte contro il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco. Questa volta sono comparse sulla facciata di una chiesa di Torino. Nel mirino degli autori, insieme al vescovo di Genova e leader della Conferenza episcopale italiana, anche Papa Ratzinger. Dopo le parole minacciose apparse sette giorni fa sui muri di San Lorenzo, la cattedrale genovese, e lungo alcune strade della periferia del capoluogo ligure, a Torino un nuovo pesante attacco: "Ruini, Bagnasco, Ratzinger assassini"; "Preti, vescovi, cardinali i veri pedofili" e "il Papa santifica le guerre" sono alcuni degli slogan con cui è stata imbrattata la chiesa del Santissimo Nome di Gesù in corso Regina, a due passi dall'Università e dal centro di Torino. "Cristiani ai leoni" e "nazi-Ratzinger" sono le altre scritte, realizzate con vernice rossa, nera e blu. Sul posto è intervenuta la Digos, che ha effettuato i rilievi fotografici. Dovrà stabilire se gli autori sono gli stessi che hanno preso di mira anche il negozio di bomboniere che si trova di fronte alla Chiesa, firmate "Azione Antifascista". Il portavoce della diocesi di Genova, ieri l'altro aveva dichiarato che "c'è attenzione e vigilanza ma non allarme per quanto sta accadendo". "Ancora non si è capito bene - ha spiegato riferendosi agli autori delle scritte - se si tratta di esibizionisti, gruppuscoli o a qualcosa di più organizzato". Dal giorno dopo la prima scritta vergata sul portone del Duomo di Genova, il presidente della Cei è scortata da due agenti della Polizia. "A preoccupare - come scrive nell'editoriale di stamane l'Avvenire - è il brodo di coltura" nel quale cresce questo "terrorismo spray". "Monsignor Bagnasco è diventato un bersaglio sensibile - scrive il quotidiano di ispirazione cattolica - ma è mai possibile che viviamo in un Paese così eccitato ed eccitabile, così isterico e intollerante?"



Assassini??????????????? [SM=g27831] [SM=g27831] [SM=g27824] [SM=g27824] [SM=g27824] E chi avrebbero ucciso,sentiamo!!Voglio i nomi delle vittime!! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]

Ma perchè ce l'hanno così tanto con Bagnasco???!!Che cosa gli ha fatto??!!E'tanto scomodo perchè è uno dei pochi uomini di Chiesa più coraggiosi che non hanno paura di dire le cose come stanno??!!!E allora quante minacce di morte avrebbe dovuto subire Berlusconi,che è stato ed è uno degli uomini più "odiati" in Italia??!!Ieri mi è preso un raptus di follia e volevo andare davanti a scuola mia a scrivere con la bomboletta "VIVA IL PAPA!!!!!!!" e "W BAGNASCO!!!!!!!!!" alla faccia di quegli imbecilli!!(scusate ancora,ma queste cose mi fanno imbufalire! [SM=g27821] [SM=g27821] ) [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812]

[Modificato da LadyRatzinger 11/04/2007 13.28]





Anch'io ho sentito la notizia e devo dire che sono disgustata. [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] Secondo me, ce l'hanno tanto con Bagnasco e Ruini perchè si sono pronunciati ripetutamente a favore della famiglia tradizionale e contro i Dico e i Pacs. Che sia opera degli stessi imbrattamuri mitomani di Genova? [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825]
LadyRatzinger
00mercoledì 11 aprile 2007 17:56
Re: Re: Da Petrus

Scritto da: josie '86 11/04/2007 17.50



Anch'io ho sentito la notizia e devo dire che sono disgustata. [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] Secondo me, ce l'hanno tanto con Bagnasco e Ruini perchè si sono pronunciati ripetutamente a favore della famiglia tradizionale e contro i Dico e i Pacs. Che sia opera degli stessi imbrattamuri mitomani di Genova? [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825]



O semplicemente stupidi imitatori! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812]
josie '86
00mercoledì 11 aprile 2007 18:29
Ora anche a Napoli e Bologna

NUOVE SCRITTE CONTRO L'ARCIVESCOVO BAGNASCO A NAPOLI E BOLOGNA
11-04-2007 17:37


Napoli, 11 apr. (APCom) - Dopo gli episodi di Genova e Torino, anche a Bologna e a Napoli sono comparse scritte ingiuriose contro il presidente della Conferenza episcopale italiana, monsignor Angelo Bagnasco. "Ratzinger e Bagnasco: vergogna!": è la scritta comparsa sulle mura della chiesa di Sant'Eligio maggiore, a Napoli. La frase, contro il papa Benedetto XVI e il presidente della Cei, è stata scritta a caratteri cubitali rossi. L'antica chiesa, non lontano da piazza Mercato, si trova nel centro storico del capoluogo campano.

A Bologna, in via Lame, sotto il portico antistante alla sede provinciale delle Acli, alcuni ignoti hanno scritto con uno spry di colore rosso "Bagnasco vergogna". I vandali hanno inoltre imbrattato la targa dell'associazione dei lavoratori cattolici. Le Acli di Bologna hanno presentato una denuncia contro ignoti e hanno confermato la loro partecipazione al Family day del 12 maggio con lo spirito "propositivo" di sempre, afferma il presidente provinciale della Associazioni cristiane lavoratori italiani, Francesco Murru, collegando così esplicitamente la manifestazione di piazza pro-famiglia e anti-dico e le ripetute minacce all'arcivescovo di Genova. "le Acli non si fanno intimidire", ha detto Murru. Intanto il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, ha espresso la sua solidarietà al presidente della Cei, Angelo Bagnasco. "Sono inaccettabili i tentativi di intimidazione frutto di un'intolleranza che deve essere combattuta sempre e in ogni modo", ha detto Cofferati.


Da Virgilio Notizie
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