ALCUNI DEGLI ARTICOLI SUL CASO 'CORRIERE' NELL'AVVENIRE DAL 21 DECEMBRE 2006
Prima, un riassunto dei punti principali fatti da Della Loggia:
La grande questione
L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera» di ieri, è una riflessione sullo spazio dei cattolici, soprattutto laici, all’interno del dibattito culturale, politico e sociale nel nostro Paese.
Lo storico individua una scarsa visibilità della voce cattolica, osservando una «fortissima disparità che nel mondo italiano della cultura e della comunicazione esiste tra la presenza dei cattolici e quella dei laici».
Una disparità che non si estende alla politica – dove anzi per Galli della Loggia c’è una «ormai tradizionale fortissima presenza (con relativa sovraesposizione)» – ma che non intacca il fatto che «i più diffusi quotidiani del Paese, le case editrici più importanti, gli spazi televisivi più ampi, vedono perlopiù una larghissima prevalenza di addetti ai lavori ideologicamente e culturalmente lontani dalle posizioni cristiane».
Anche quando così non è, tuttavia, e i protagonisti sono personalmente vicini alla fede, «al contrario dei loro colleghi laici, i quali sono pronti a fare del proprio orizzonte ideale un motivo d’impegno e una bandiera, essi viceversa non sono per nulla disposti a far comparire nel proprio lavoro le loro personali convinzioni».
Se negli spazi espressamente dedicati al confronto tra punti di vista «la posizione cattolica è quasi sempre rappresentata, nel tessuto complessivo del discorso comunicativo e culturale per la posizione cattolica c’è uno scarsissimo posto» e «i valori laici tendono a presentarsi come la norma assoluta».
Sottoprodotto di questo atteggiamento distorto della comunicazione di massa è, per lo storico, la sovraesposizione della gerarchia ecclesiastica. Generalmente, infatti, a rappresentare il punto di vista cattolico è chiamato – quando è chiamato – un sacerdote o un vescovo, con il duplice effetto di fornire una «riprova del carattere intimamente minoritario di quel punto di vista», e di «suscitare inevitabili tensioni politiche».
L’editorialista del «Corriere» individua anche una debolezza «dall’interno» della voce cattolica: «la sua fortissima politicizzazione». Se il cattolico "di sinistra" «ogniqualvolta si crea un contrasto tra il suo schieramento e il proprio orientamento religioso» è questo a soccombere, e la scelta è «perlopiù quella di un imbarazzato silenzio», quello "di destra " si macchia viceversa «di esasperato personalismo», con «contese e gelosie aspre».
La denuncia di Galli della Loggia si chiude con un’osservazione che coinvolge più in generale il rapporto tra l’intero sistema dei mezzi di comunicazione di massa e la società italiana: «La parte laica finisce in questo modo per riportare una vittoria troppo facile che, come si è già visto in occasione del referendum sulla legge 40, rischia poi di essere smentita clamorosamente dall’opinione del Paese».
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Poi, il commentario del direttore dell'Avvenire:
PROVOCAZIONE UTILE:
MA SUL TAVOLO TUTTE LE DOMANDE
Dino Boffo
Nessun vittimismo. Dinanzi all’editoriale dal titolo: "Una società senza cattolici", pubblicato ieri sulla prima pagina del Corriere a firma del professor Ernesto Galli della Loggia, l’ultima cosa sensata e utile sarebbe chiudersi a riccio, magari risentiti.
Vogliamo invece considerarla una provocazione che apre al dibattito certamente esterno, per esempio nell’ampio mondo cattolico, ma anche – speriamo – all’interno del Corriere. Comprese la sua redazione e la compagine azionaria, esattamente come questa redazione e gli editori di questo giornale acconsentiranno di ragionare sulle note del citato editoriale.
Gli spunti per un dibattito serio e onesto non mancano. Che non ci sia
par condicio sui media nazionali, a proposito del pensiero pubblico dei cattolici, non ci piove. Così come sarebbe difficile negare che i cattolici stessi non sono adeguatamente presenti nel mondo mediatico e nella cultura pubblica. Tutto vero.
Ma perché? Perché questa "fortissima disparità", questo "posto scarsissimo" e "massicciamente squilibrato"?
Una simile diagnosi – tanto spietata – difficilmente potrebbe spiegarsi solo con una soggettiva latitanza di firme cattoliche, o con la loro eccessiva politicizzazione. Anche questo c’è, sacrosanto.
Eppure,
una nuova leva di comunicatori cattolici sono già all’opera o si sta preparando nei molteplici laboratori dell’arcipelago cattolico, giovani professionisti che avendo conosciuto i fondali della secolarizzazione si pongono nel circuito mediale senza complessi, in termini assolutamente propositivi. Si pensi solo al numero di giovani redattori che da questo quotidiano sono passati al Corriere negli ultimi dieci anni.
Voglio cioè dire che c’è un’aria nuova, e una disponibilità inedita al confronto ragionato, a partire dalla nostra specifica sensibilità, e senza avere in uggia – anzi ospitando e forse fin troppo coccolando – voci laiche maschili e femminili che si offrono alle nostre pagine.
Sì, esploderà fino ad imporsi, un giorno non lontano, questo nuovo stile di comunicazione diventato familiare ormai in casa cattolica. Seppur volentieri snobbato all’esterno, perché tanto si preferiscono i vecchi interlocutori, rassicuranti e politicamente corretti. Gli scorretti, se sono educati, chi li sta a sentire?
Ma intanto. Intanto qualche domanda bisogna porla. Del tipo:
perché nell’evocazione dei fenomeni d’oggi a condurre le danze è sempre il caso pietoso, la denuncia arrabbiata, lo scandalismo facile, l’aggressione a danno del credo cattolico?
E perché nelle redazioni blasonate ogni sospiro pannelliano è raccolto, enfatizzato, commentato, e per giorni e giorni non abbandonato?
E magari quando ci si decide a "cerchiobattere" allora si cerca ansiosamente uno zucchetto cremisi, perché di laici cattolici non ce ne sono? Pigrizia di cercare, di stabilire legami freschi, altroché.
Molto acutamente l’illustre editorialista sottolinea il ruolo chiave che i cattolici finiscono per assumere nello scenario politico attuale, a differenza dell’insignificanza mediatica.
E cita l’esempio della senatrice Paola Binetti. La quale, guarda caso, fino alla primavera scorsa era presidente di Scienza & Vita. Provi, professore, a chiedere alla senatrice-ago della bilancia quante volte fu cercata o ospitata nelle pagine – che so – del Corriere durante i lunghi mesi del confronto referendario.
Non sarà che, nei giornali, proprio la politica è il chiodo fisso e unico, a scapito dell’ampissimo emisfero sociale, dove guarda caso i cattolici imperversano fin troppo?
Ci tranquillizza, professore, che lei sia convinto che non c’è un oscuro disegno anti-religioso. Non c’è né ci può essere, avverte lei con sicurezza, benché la sua affermazione arrivi nel momento esatto in cui un editorialista famoso e cattolico emigra in altro giornale per poter scrivere.
Ma che ci sia almeno un’allergia verso i cattolici, ce lo concede? Non aggiungerò che si tratta spesso di un’allergia sottile e inesorabile, perché non voglio neppure per un istante cullarmi nel vittimismo. La realtà però è anche questa. E tacerlo sarebbe far torto ai nostri stimati interlocutori.
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Forse, questo mi piaceva di piu!
Barbiellini Amidei:
«Squilibrio fatto di scelte»
«L’intelligenza delle argomentazioni dei cattolici infastidisce,perché gli opinionisti che credono in Dio colgono meglio il senso comune»
Di Paolo Viana
«Che i cattolici abbiano uno spazio e un ruolo nella società italiana lo dimostra il fatto che il Corriere della Sera sente il bisogno di dedicarci un editoriale così benevolo».
Punta lo spillo dell'ironia, Gaspare Barbiellini Amidei, sul giornale di cui è stato vicedirettore vicario ed editorialista per molti anni, oltre ad aver diretto Il Tempo.
Senza esitazioni, usa il noi per parlare di quei cattolici che ha raccontato, criticato e idealmente rappresentato, per anni, in via Solferino.
Ieri, il giornale milanese ha denunciato la disparità tra il loro peso politico e la presenza «nel circuito culturale e comunicativo», accusandoli di non «far comparire le loro personali convinzioni».
Un affondo che arriva, curiosamente, all'indomani dell'uscita di Barbiellini Amidei dalla "scuderia" degli editorialisti del Corriere. Da martedì, l'ex vicedirettore scrive infatti per il Quotidiano Nazionale.
Inutile chiedergli come sia finito l'amore con la sua storica testata - «sono un uomo di altri tempi, non amo il gossip» ribatte - ma non nasconde le sue perplessità di fronte all'analisi firmata da Ernesto Galli della Loggia.
I cattolici sono rimasti veramente senza voce in Italia?
«Negli ultimi dieci anni sicuramente no;
è in corso un risveglio che ha già portato i giornali che si richiamano alle radici cristiane a recuperare lo spazio perduto.
Mentre un decennio fa, parlando di stampa cattolica si pensava ai giornali francofoni,
oggi Avvenire è Le Monde cattolico e viene tenuto in grande considerazione dalle rassegne stampa (penso a quella, ottima ma davvero laica, del Gr 3) oltre che dai lettori, per i suoi contenuti, perché è documentato, perché approfondisce temi che l'altra stampa, spesso vittima della propria pigrizia, tralascia.
Questo risveglio non si ferma solo all'ambito dei giornali: non dimentichiamo che l'Università Cattolica possiede una delle scuole di comunicazione più importanti d'Europa e che vi insegna Aldo Grasso, autorità indiscussa in materia televisiva. Come sa bene il Corriere».
Da cattolico e da giornalista, si sente «espulso di fatto dalla sfera argomentativa e culturale», come scrive Galli Della Loggia?
«Io, sinceramente, quest'assenza della visione religiosa dai giornali e dalla società italiana la vedo solo parzialmente. Semmai c'è il fastidio, una specie di allergia di certi ambienti, che mi ricordano la cultura massonica della P2, verso quelle culture che pongono a bilancio anche l'Eterno».
Cosa infastidisce di più?
«L'intelligenza delle argomentazioni dei giornalisti cattolici. Il loro modo di raccontare la verità. Gli opinionisti che credono in Dio, solitamente, riescono a cogliere quello che Gramsci definiva il senso comune, anche perché non hanno riserve mentali criptoanticlericali».
Da editorialista si è mai sentito fastidioso per una direzione?
«Taluni argomenti per gli editoriali che proponevo non trovavano spazio, o erano già stati affrontati da altri. Ma in un giornale decide il direttore, sono le regole del gioco».
Dove si esprime il fastidio anticattolico?
«
Può esprimersi in ogni parte del giornale, perché le notizie che appaiono - o non appaiono - non sono mai casuali. Se non c'è par condicio, questo non è il portato di una situazione storica e sociale, ma il frutto di scelte precise. Nulla di quel che avviene nei media è casuale».
Ai cattolici serve la par condicio?
«Non ci servono quote "bianche". L'obiettivo dev'essere la libertà di espressione, poter fornire la propria opinione senza essere chiusi nella riserva indiana. Malcostume sarebbe chiedere a un giornalista se crede in Dio. Io, da direttore, non ho mai chiesto a nessuno se credesse in Dio, in Marx o anche soltanto in se stesso».
Le hanno mai impedito di scrivere in piena coerenza con la propria fede?
«
No, ma talvolta i condizionamenti al silenzio sono stati forti, anche se le soddisfazioni non sono mancate».
Cioè?«Faccio solo un esempio. Quando ho scritto sul caso Welby, il presidente Napolitano e l'ex presidente Scalfaro si sono complimentati sia con me che con il Corriere».
Quali sono i temi religiosi che piacciono ai giornali laici?
«
Spesso preferiscono limitarsi ai miracoli o presunti tali, ai sentimenti religiosi intensi, a un certo cattolicesimo "estremo", che si legge tutto d'un fiato e non spiazza i laicisti con le armi della ragione, oltre che con quelle della fede».
Ci faccia il nome di un cattolico "pericoloso", che sa usare bene queste due armi.
«Joseph Ratzinger».
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DIBATTITO
L’editoriale di Galli della Loggia pubblicato ieri dal «Corriere della Sera» accusa: la voce dei cattolici è messa ai margini dell’opinione pubblica. Di chi la responsabilità?
La cultura? Non è fatta solo dai media -
È facile identificare i credenti con le incursioni sui giornali o in tv di qualche prelato, in realtà questo popolo non è affatto succube di un sistema mediatico che tende a zittire chi non la pensa con la vulgata laicista. Su questo dovrebbero interrogarsi anche i «maitres à penser»
Di Davide Rondoni
Ieri sul "Corriere della Sera", Ernesto Galli della Loggia con paziente intelligenza si dedicava a un tema non nuovo ma sempre intrigante per il giornalismo italiano. Vale a dire: come stanno i cattolici?
Come il principe che ogni tanto scende e passa in rassegna i suoi sudditi, oppure il suo orto, il Principe dei Giornali si domanda: e i cattolici, come se la passano? Un po' come se si chiedesse: e come vanno i peperoni quest'anno?
L'esame di Galli è acuto, individua problemi veri. Come il minor entusiasmo militante di presenza cattolica nella cultura rispetto a tanti laici, spesso propagandisti della loro antireligiosità. O come la tendenza a ridurre il popolo cattolico a qualche sovraesposizione mediatica di prelato, letta sempre in chiave politica e culturalmente antimoderna.
Galli conclude che c'è una falla culturale. La causa non è per lui in un complotto laicista ma in una debolezza del popolo cattolico. Ben rapresentati in politica, i cattolici sono poco presenti in cultura. Un poco "murbi", come diciamo in romagna, tardoni. Analisi sincera e anche venata da affetto.
Di fatto, però, non centra il bersaglio vero. Per due motivi.
Innanzitutto, il suo editoriale doveva scriverlo come lettera aperta al suo Direttore. Il quale non è un complottista anticattolico, ma
di certo risponde, e bene, a un potere culturale ed economico che offre una rappresentazione della realtà in cui il punto di vista religioso è trattato molto spesso coi limiti che Galli evidenzia. Un editorialista cattolico come Barbiellini Amidei ha proprio l'altro ieri traslocato da quel giornale ad altro.
Secondo motivo: ridurre la cultura a certa editoria è un po' limitante. È fin troppo facile dire che i cattolici nel nostro paese hanno raramente accesso a tv e a editori più noti. A parte il fatto che esistono notevoli e diffuse eccezioni, e gravi censure, il punto è oggi un altro:
siamo sicuri che quella editoria, quei programmi e quei quotidiani rappresentino davvero il paese e orientino il sentire comune?
Galli stesso ricorda la clamorosa sconfitta del Sì al referendum sulla fecondazione, che fu sconfitta pure di tutta l'editoria maggiore italiana.
Quel referendum e molti altri fenomeni, alcuni gravi, altri strani e simpatici, mostrano che proprio coloro che ritengono d'essere la coscienza critica del paese sono spesso superati da ogni lato. Che il cosiddetto sistema culturale (quello dove i cattolici contano poco) è andato in crisi.
Forse più che una questione cattolica, esiste una questione culturale nel Paese. Lo stesso "Corriere della Sera" è ora distribuito anche in versione free-press nelle metropolitane per inseguire certi prodotti e far lievitare le tirature. I più noti settimanali d'opinione vendono molto se allegano video o gadget. Le librerie Feltrinelli affittano le proprie vetrine, in pura logica commerciale.
E come opinionista conta più Claudio Magris, lo Zoo di radio 105 o Radio Maria? Dilagano fenomeni culturali svincolati dai canali tradizionali. D'altro lato, nel campo della educazione, dove i cattolici hanno genio ed esperienza, un compatto fronte laicista vieta una vera libertà. Chiarire tale contesto rende più alta la sfida contenuta nelle parole di Galli.
La fede non è "una" cultura. Tra poco è Natale, Cristo nacque in un caos come questo, e non esordì chiedendo una rubrica in terza pagina, ma mutando l'acqua in vino, l'insapore in gusto.
Una fede che non diventa cultura muore. Cultura, tuttavia, non vuol dire solo libri o titoli su certi giornali: vuol dire senso critico e gusto della esistenza.
E il cattolicesimo è stato vivo sempre - e lo sarà - per l'insorgere di santi imprevisti, per la compagnia alla speranza di uomini e donne. Per la intelligenza e la fede, nei saggi e negli incolti, dinanzi ai fatti della vita.
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Va bene l'argomentazione di Rondoni, ma quella 'cultura' riferito da Della Loggia si capisce che e la 'cultura' proiettata dai media dominanti, non la vera cultura intera.
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BAIOCCHI:
«C'è egemonia sessantottina»
Paolo Lambruschi
Anche al cattolico Walter Tobagi il Corriere non pubblicò mai un'intervista a tema religioso. Lo ricorda il giornalista Giuseppe Baiocchi, oggi alla Rai dopo una parentesi da direttore del quotidiano leghista La Padania, ma che dal 1977 al 1999 fu in forza al quotidiano di via Solferino.
Che, a quanto pare, nonostante ieri rimarcasse nel suo fondo di prima pagina l'assenza dei giornalisti cristiani nei media laici, non rende la vita facile ai professionisti che dichiarano pubblicamente la propria fede religiosa.
Il prossimo gennaio verranno pubblicati gli atti del convegno «Tobagi testimone cristiano», tenutosi lo scorso maggio nella parrocchia milanese del Rosario, alla cui comunità apparteneva il giornalista del Corriere ammazzato nel 1981 dalle Br.
«Dove è riportato un lungo colloquio del 1979- ricorda Baiocchi, collega e amico di Tobagi - tra Walter e fratel Carlo Carretto, entrato nei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld e che nel 1948 fu il presidente dei giovani di Azione cattolica. Fu per lui una grossa amarezza. Doveva diventare un'intervista, ma il suo quotidiano non gliela volle pubblicare. In quel frangente Tobagi mi confidò la sua preoccupazione per la tendenza in atto che gli pareva inarrestabile».
Vale a dire?
«
L'espulsione del fatto religioso dalle redazioni. Aveva ragione. Lo colpiva questo paradosso: nel mondo della notizia veniva emarginata la buona notizia. Era a disagio. Il Corriere è sempre stato di orientamento laico, ma rispettoso della Chiesa e della cultura cattolica».
Cosa ha determinato il cambiamento?
«Secondo Tobagi l'egemonia della cultura sessantottina, libertaria e libertina. Era un convinto fautore della presenza di credenti in via Solferino,
pensava che la professione di cronista fosse adatta ai cristiani. In fondo, diceva riferendosi al Vangelo, Gesù diceva alle folle: venite e vedete. E questo non è il nostro mestiere?»
In 22 anni di attività lei è stato testimone di altri episodi che testimoniano l'emarginazione di giornalisti cattolici nel più grande quotidiano del Paese?
«
In generale, nella scelta dei temi che interessavano il mondo cattolico, si è scivolati verso quelli più strumentalizzabili. Magari sottolineando le polemiche interne ecclesiali negli anni Settanta e Ottanta, poi assumendo posizioni preconcette sui temi della morale e dell'etica. Ero nel comitato di redazione e all'epoca dichiararsi cattolico era un'etichetta negativa. Eravamo una decina al Corriere, tutti abbiamo avuto problemi».
E oggi?
«Rispondo con le parole di Giorgio Rumi: non bisogna fare giornalismo cattolico, ma il cattolico deve fare bene il giornalista. Insomma la condizione del credente non è ragione di privilegio né di condanna.
Nel mondo giornalistico e culturale si è invece diffuso un pregiudizio anticristiano radicato da quando i leader sessantottini hanno scalato i vertici dell'informazione in Italia».
[Modificato da TERESA BENEDETTA 22/12/2006 4.11]