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ratzi.lella
00giovedì 14 dicembre 2006 16:05
bah
IL CASO
La nota del Vaticano di due giorni fa sulla Shoah non basta. E la Santa Sede prende tempo sull´invito in Terrasanta
Israele fa pressing su papa Ratzinger "Parli, esorti i cristiani contro Teheran"
di MARCO POLITI

CITTÀ DEL VATICANO - Quindici minuti di sorrisi, di comune volontà di comprendersi, ma anche di spine sotto le rose della cortesia. L´incontro tra il premier israeliano Olmert e Benedetto XVI è stato dolce in superficie, ma con una punta di retrogusto amaro. Il primo ministro ha definito «commovente e molto toccante» il colloquio con il pontefice, ma al tempo stesso ha pressato Benedetto XVI a condannare di persona la conferenza anti-Olocausto promossa dal leader iraniano Ahmadinejad.
Due giorni fa la Santa Sede aveva diramato tempestivamente una nota per ribadire che «la Shoah è stata un´immane tragedia, dinanzi alla quale non si può restare indifferenti». La Chiesa, continua il testo, si accosta «con profondo rispetto e con grande compassione» all´esperienza vissuta dal popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale. «Il ricordo di quei terribili fatti - conclude la nota - deve rimanere un monito per le coscienze, al fine di eliminare i conflitti, rispettare i legittimi diritti di tutti i popoli, esortare alla pace, nella verità e nella giustizia».
Olmert, invece, sentendo il malumore sotterraneo della Santa Sede nei confronti del suo governo per le enormi distruzioni delle infrastrutture civili libanesi provocate nella recente guerra, per lo strangolamento economico dei territori palestinesi e per il rifiuto di aprirsi a negoziati con la Siria, ha preferito fare pressione sul Papa quasi che Ratzinger non fosse abbastanza deciso nel condannare l´antisemitismo. Il pontefice è stato sollecitato a intervenire «pubblicamente» per esortare i cristiani a schierarsi contro Teheran. Così ha dichiarato il portavoce del premier, aggiungendo: «Abbiamo sollevato la questione che vi sia una dichiarazione in prima persona e non un comunicato». L´atteggiamento vaticano si ricava da uno stringatissimo comunicato emanato al termine del colloquio tra Olmert e il Papa (seguito da un incontro con il cardinale Segretario di Stato Bertone), che recita semplicemente: «Nel corso dei colloqui sono stati toccati i temi della pace in Medio Oriente e le questioni riguardanti la situazione della comunità cattolica in Israele, anche in relazione alle prossime celebrazioni natalizie».
Il premier, deciso a ricreare una buona atmosfera dopo il periodo di gelo durante la leadership di Sharon, ha invitato il pontefice in Israele, ma si è sentito rispondere che il Papa è disponibile, però dopo un deciso cambiamento della situazione. «La visita in Israele e in Terrasanta è nel cuore del Papa, ma può essere resa possibile solo in condizioni di pace o almeno di tregua stabile e sicura», ha riassunto il cardinale Bertone.
Intanto il Vaticano chiede facilitazioni nei visti per i fedeli che vogliono recarsi per Natale a Betlemme e a Nazareth, mentre Israele spinge perché la Chiesa cattolica incoraggi il flusso permanente di pellegrini in Terrasanta. Durante l´incontro il Papa ha invitato Olmert a incoraggiare gli esponenti moderati del mondo arabo e a creare un´atmosfera più propizia alla ripresa di negoziati. Il premier ha assicurato che vi sarà un´accelerazione dei negoziati tra Israele e il Vaticano per definire lo status della Chiesa in Terrasanta. Il Vaticano è irritatissimo e si sente preso in giro: l´accordo tra le due parti risale al ‘93 ed entro un biennio i dettagli avrebbero dovuto diventare operanti.

(da "la repubblica" del 14 dicembre 2006)

francamente mi pare che la nota vaticana sia sufficientemente dura ed esaustiva nei confronti dell'iran e, in ogni caso, occorrerebbe anche in questo episodio un po' di reciprocita'.
va bene (ammesso che sia vero) chiedere al papa di pronunciarsi direttamente pero' rifletto su un punto: come mai il governo israeliano si e' ben guardato dal difendere il papa dagli attacchi, vergognosi, subiti da alcuni estremisti in seguito al discorso di ratisbona?
si chieda pure, ma non si pretenda un intervento, quando ci si comporta diversamente da cio' che si domanda agli altri...




Volantini sul Papa e proteste vaticane il "manifesto": nulla di cui scusarci
LA POLEMICA

ROMA - «Se il governo vuole scusarsi è un problema suo, noi non abbiamo nulla di cui scusarci». Così il direttore del manifesto Gabriele Polo ha commentato le proteste trasmesse dal Vaticano a Palazzo Chigi - rivelate ieri da Repubblica - a proposito dei volantini pro-Pacs lanciati l´8 dicembre dalle finestre del quotidiano mentre transitava il Papa. Per Polo, anche questi messaggi «sono un modo per premere sul governo in modo da ottenere quello che la Chiesa vuole sui Pacs».

(da "la repubblica" del 14 dicembre 2006)

qui c'e' un errore di fondo: il governo non deve scusarsi per la maleducazione di certuni. deve doverosamente chiedere scusa al papa ed al vaticano perche' le forze dell'ordine italiane (obbligate sulla base del concordato) non hanno saputo difendere adeguatamente la persona del pontefice da eventuali eventi lesivi.
per questo il governo si deve scusare, non certo della maleducazione altrui...
il manifesto, al contrario, sara' chiamato (spero!!!) a difendersi dall'accusa di vilipendio e non certo a scusarsi...

[Modificato da ratzi.lella 14/12/2006 16.16]

euge65
00giovedì 14 dicembre 2006 20:52
MA SCUSATE.........


TENENDO PRESENTE CHE AL GOVERNO CI SONO COLORO CHE COMUNQUE PORTANO AVENTI L'IDEOLOGIA DEL MANIFESTO COME POSSIAMO SOLTANTO VAGAMENTE PENSARE CHE UN GOVERNO COME QUESTO POSSA CHIEDERE SCUSA AL VATICANO ED AL PAPA FIGURIAMOCI SEMMAI POTRANNO SOLO CHE GIUSTIFICARE UN GESTO DEL GENERE!!!!!!!!!!!! O SCAMBIARLO PER UNA LIBERA MANIFESTAZIONE DI DISSENZO O DI OPINIONE!!!!!!

NON ILLUDIAMOCI!!!!!!!!!!!

GOVERNO PRODI VERGOGNATI ALTRO CHE FISCHI!!!!!!! I FISCHI SONO NIENTE!!!!!!!!! A QUELLA CHE VERAMENTE TI MERITI
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27825] [SM=g27812] [SM=g27812]
ratzi.lella
00sabato 16 dicembre 2006 13:21
ciao euge
le scuse sono doverose, ma nessuno puo' obbligare il governo a chiedere venia. e' chiaro che se il presidente del consiglio insiste nel mantenere la sua arrogante posizione...beh...le amministrative sono vicine [SM=x40791]
il voto e' l'unica arma che il cittadino possiede [SM=g27811]

intanto sui giornali di oggi:

L’urlo di Papa Ratzinger contro le morti silenziose
di Massimo Introvigne

Nel leggere il mirabile messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2007 sarà forte la tentazione di concentrarsi solo sulla ferma denuncia dello «scempio del diritto alla vita» e sul rilievo che è inutile manifestare contro le morti in guerra se si ignorano «le morti silenziose provocate dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e sull’eutanasia». Se queste parole echeggiano come una campana a morte sulle ultime, incaute campagne del governo Prodi, il documento va letto come sempre nella sua interezza.
In tutti gli ultimi messaggi che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno dedicato annualmente alla Giornata della Pace ha un ruolo centrale la forte rivendicazione della libertà religiosa come presupposto essenziale della pace. Dove la religione non è libera, lì non c’è vera pace. Ma quest’anno il Papa va oltre, sia approfondendo il concetto di libertà religiosa come condizione preliminare per la pace sia indicando altre condizioni che - anche rispettato questo iniziale presupposto - sono indispensabili perché cresca quello che chiama «l’albero della pace».
Anzitutto, la libertà religiosa non è violata solo dove le minoranze, e in particolare i cristiani, sono perseguitati «con efferata violenza» per imporre «a tutti un’unica religione»: l’accenno a «episodi recenti» chiama in causa senza nominarli l’Indonesia, il Pakistan e altri Paesi islamici. Violano la libertà religiosa anche i «regimi indifferenti» alla religione, i contesti non sanamente laici, ma laicisti che promuovono o favoriscono «un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose». Anche questa persecuzione incruenta determina una «cultura negativa per la pace».
In secondo luogo, la libertà di religione non è sufficiente. È necessario un ampio consenso intorno al «diritto naturale» che per il Papa è «la “grammatica” scritta nel cuore dell’uomo dal suo Creatore». Mentre il relativismo afferma che ogni cultura ha i suoi valori e le sue leggi, così che non è possibile paragonarla alle altre, per Benedetto XVI c’è una «legge naturale» che si impone a tutti, «credenti delle diverse religioni e non credenti». Questa legge naturale richiede certo il rispetto delle minoranze religiose: ma anche la «indisponibilità» del diritto alla vita, la condanna senza condizioni del terrorismo, anche «religioso» - «quando una certa concezione di Dio è all’origine di fatti criminosi, è segno che tale concezione si è già trasformata in ideologia» - e il rifiuto delle «concezioni antropologiche ancora presenti in alcune culture che riservano alla donna una collocazione sottomessa all’arbitrio dell’uomo».
Condanna del laicismo che attacca la vita e la famiglia, dunque, ma anche - senza mai nominarlo, ma richiamando in nota parole pronunciate a Ratisbona - del fondamentalismo islamico che condona la «violenza in nome di Dio» e viola i diritti delle donne e delle religioni minoritarie. Laicismo e fondamentalismo sono entrambi avversari della vera pace. Rispetto a precedenti interventi dei Pontefici sul tema, c’è anche una nota più critica nei confronti dell’Onu.
Se le Nazioni Unite «perdono di vista il fondamento naturale dei diritti dell’uomo» e scivolano «verso una loro interpretazione solo positivistica», finiscono per tollerare molteplici offese alla «dignità della persona» e perdono non solo l’«autorevolezza» ma la stessa «principale giustificazione del loro stesso esistere». Chi ha orecchie per intendere, intenda.

(da "il giornale" del 16 dicembre 2006)



Papa Ratzinger portavoce della solidarietà internazionale
di Redazione

I Patti Lateranensi del 1929 restituirono ai Papi un territorio sotto la propria assoluta sovranità. Fu in quanto Capo di Stato che Pio XI godette delle indispensabili immunità per emanare encicliche a condanna di nazismo e comunismo proprio mentre si andavano instaurando come regimi totalitari in Germania e Russia. Fu in qualità di sovrano ostile che Pio XII trattò con e contro Hitler utilizzando ogni goccia di residuo potere temporale: prima per scongiurare la Seconda guerra mondiale e poi per sottrarre quante più persone possibili alla Shoah. Oggi Benedetto XVI, come monarca assoluto, dichiara a ogni altro Stato della terra che volere cancellare la memoria dell’unicità della «Soluzione finale al problema ebraico» quale abisso storico dell’odio ideologico è antiumano, irrazionale e blasfemo. Pare che tra i due Stati (già troppo a lungo senza relazioni diplomatiche) di Israele e del Vaticano stia nascendo la più libera e indissolubile delle solidarietà internazionali; fondata nella comune consapevolezza di essere inscindibili intralci sulla cartina geopolitica dell’attuale antisemitismo nazionalfondamentalista.

(da "il giornale" del 16 dicembre 2006)



Bossi: sono amico di Papa Ratzinger
di UMBERTO BOSSI

Questo Natale lo vedo bene, nonostante il manrovescio che i comunisti e i loro compagni di maggioranza hanno tirato contro il cristianesimo. Ho visto che il cattolicesimo, nonostante tutto, regge nel nostro popolo e nelle sue tradizioni. L'islam sta allargandosi, ma il cattolicesimo regge, ha delle radici inestirpabili tra la nostra gente. I musulmani possono provarci fin che vogliono, e la lezione della storia dice che ci hanno sempre provato. Ma noi abbiamo cominciato a respingerli a Poitiers, dove i Franchi e i Longobardi si allearono, e a Vienna dove c'era un frate del popolo, Marco d'Aviano che capì il pericolo mortale che correva l'Europa e guidò la riscossa. E non dimentico che alleata del Papa c'era in quel 1683 anche la cavalleria padana che fu decisiva. C'è un'alleanza storica tra i Padani e il Papa. Federico Barbarossa si scagliò contro la Lega lombarda e il Carroccio, ma non a caso aveva anche nominato nel corso del suo regno degli antipapi. La stessa alleanza tra identità padana e identità cristiana va riproposta sia contro l'invasione musulmana, sia contro il tentativo di andare contro l'idea di famiglia difesa da Papa Ratzinger. La Chiesa è proprio vero che non sbaglia mai Papa. Terrà duro? Io ci credo. Non possiamo mollare l'idea di famiglia. Non aggiungo neanche l'aggettivo che si usa adesso: eterosessuale o tradizionale. Di famiglia il nostro popolo ne conosce una soltanto, ed è quella che si vede nel presepe. La famiglia è quella. Guai a chi vuol dare fondamento giuridico a un altro tipo di famiglia, istituzionalizzando le coppie di fatto, specie quelle omosessuali. Si introdurrebbe così una "famiglia parallela". Con la scusa di garantire i diritti degli omosessuali si infliggerebbe con i Pacs un colpo durissimo, forse mortale, alla famiglia. I comunisti e quelli di Prodi ragionano così: stabiliamo che qualsiasi tipo di coppia è famiglia. Dal fatto che sono famiglia deduciamo i diritti di chi la compone. Sbagliato. Io non sono affatto contrario a riconoscere i diritti dei singoli. C'è una coppia omosessuale? Si stabilisca quali diritti ha ciascuno: eredità, visite in ospedale, e così via. Senza però trasformare queste coppie in una specie di fatto pubblico. Sarebbe un ribaltamento della nostra tradizione, un indebolimento dell'unica istituzione su cui può reggersi la vita degli uomini. Io dico: matrimonio. Per questo abbiamo a suo tempo fatto anche i matrimoni simbolici. Era un modo di dare un esempio, un invito alle coppie perché si sposassero. Non era un'alternativa al rito cattolico o a quello civile. Io aggiungo: occorre fare più figli. Lo ripeto sempre specialmente alle donne. Sono quindici anni che, quando al termine dei comizi o mentre si mangia a una festa, le donne mi chiedono un autografo, io domando sempre: quanti figli hai? E quando dicono "uno" o "non ancora", dico: svegliati, o ha un problema tuo marito? Bisogna generare figli, non c'entra la situazione economica. Erano più poveri i nostri anziani, e non si preoccupavano: ogni figlio arriva con la sua dote, i nostri proverbi lo ripetono: ogni fioeu al nas cunt ul so cavagneu; ogni figlio nasce con la sua gerla piena. Bisogna avere fiducia nel futuro. Se no, che cosa ci battiamo a fare. Abbiamo visto il bel film di Renzo Martinelli "Il mercante di pietre": c'è una scena dove viene inquadrata una strada piena di gente e il protagonista si domanda spaventato: «Chissà quanti sono i terroristi islamici lì in mezzo» . Giusto. Ma io dico anche che c'è tanta gente disposta a battersi per la libertà e la famiglia, gente disposta anche a morire. Ho scritto: libertà e famiglia. Non c'è l'una senza l'altra. E il cristianesimo radicato nel popolo è un presidio per tutt'e due. Una stella cometa in ogni paese
Io ho fiducia. Non vincerà né l'islam né la miscredenza massonica e comunista. Me ne sono accorto girando in questi giorni. Sono andato dalle parti di Novara e non ho visto un solo villaggio che nella bruma non risplendesse della luce di una stella cometa. La stella cometa si posa su una capanna dove ci sono due sposi ed è nato il loro figlio, che è Dio. Gesù Bambino è Dio e questo nascere in famiglia, composta di un uomo e di una donna, dà ad essa una solidità per me sacra. È l'unica religione, la nostra, che ha un Dio Bambino, con intorno un papà e una mamma uomini. Non è una questione di regioni bianche rispetto a quelle rosse. Sono andato oltre il Po, a Parma. Ed anche lì ogni fattoria, ogni paesino aveva le sue luci con i simboli cristiani. Ho fatto il presepe in casa mia. Sto con il presepe. Farlo in famiglia mi ha fatto molto pensare, anche alla bellezza della nostra religione. È l'unica dove da una donna nasce un bambino che è Dio. Dio nasce in una famiglia. Il cristianesimo è la religione che ha santificato la famiglia, e per me il Natale è questo: la festa della famiglia. E questo fatto è legato a Gesù Bambino. Bisogna fare figli ed educarli

Non riesco proprio a capire come sia possibile che tanti cattolici si dichiarino tali e poi abbiano fatto proprio sotto Natale il bel regalo dei Pacs, alla Chiesa e anche a Gesù Bambino. Ripeto, l'innalzare le coppie di fatto a famiglia parallela, è uno scempio e porta guai. Io mi spiego anche così il fastidio che tanti di sinistra hanno verso il presepe. Alla scuola Bosina di Varese sono venuti a rompere le scatole quelli di sinistra chiedendo di non fare il presepe. Guai. Abbiamo messo fuori una stella cometa grande così, che brilla come quella di duemila anni fa. E mi fa venire in mente che il cristianesimo ci insegna che il dono più grande che gli uomini possono avere è la famiglia, e la famiglia ha bisogno di figli. E poi bisogna educarli. Bisogna investire nei figli, cara la mia gente. Nella nostra scuola libera insegniamo l'italiano, l'inglese, il tedesco e il dialetto. Comunicargli la nostra tradizione bene attrezzati per affrontare le sfide di oggi e di domani. Ma senza famiglia come si fa? Io senza la forza di mia moglie e senza guardare in faccia i miei figli non avrei mai fatto la Lega e non avrei resistito alle prove che ho avuto. Per questo invito a celebrare il Natale e Gesù Bambino come occasione per consolidare questa nostra identità. Non sopporto la deviazione consumistica verso Babbo Natale o robe simili. Dobbiamo stare attaccati alla nostra di tradizione, invece che cedere a quella degli altri. Anni fa dicevo che l'uomo non è solo una bistecca, è fatto di affetti, di desideri di libertà, oltre che di benessere economico. Stiamo attaccati a Gesù Bambino, alla stella cometa e al presepio. Solo un governo di pazzi, sotto Natale, poteva pensare di lanciare l'idea della famiglia omosessuale. Non capisco come si possa cascare in quella logica. La famiglia già vive momenti economici difficili per cui ci vorrebbero politiche familiari di sostegno e invece questi la relativizzano, ne inventano altre di famiglie, pur di penalizzarla. Come se non sapessero che gran parte dell'economia del Nord, su cui si regge tutta l'Italia è basata sull'unità della famiglia e sul far figli e tirarli grandi bene. Dunque, buon Natale e buona festa della famiglia. Attenzione, non toccatecela, perché la gente poi fa la rivoluzione. P.S. Sono molto colpito dalla vicenda di Piergiorgio Welby. So cosa vuol dire il dolore e sentire l'odore della morte. Vorrei andarlo a trovare subito, se possibile e se lui vuole: credo che si senta solo nel suo dolore. (testo raccolto da Tommaso Di Carlotta ieri a Gallarate durante la proiezione del film di Renzo Martinelli)

(da "libero" del 16 dicembre 2006)

[Modificato da ratzi.lella 16/12/2006 13.29]

euge65
00domenica 17 dicembre 2006 19:38
da TG5com
17/12/2006
Benedetto XVI: "La gioia del Natale
per tutta l'umanità"
I veri poveri sono gli orfani della gioia. Sono loro quelli che hanno più bisogno di sperimentare la gioia vera del Natale, che non è uno sterile palliativo, ma la profezia di una salvezza possibile ora. Hanno volti precisi per Benedetto XVI gli orfani di oggi della gioia: sono coloro che vivono il dramma della guerra, in Medio Oriente e in Africa; i profughi iracheni in Siria - e per risolvere la loro difficile situazione il Papa lancia un appello; ma tra i più poveri di gioia ci sono anche tanti giovani, che cercano la felicità là dove - dice Benedetto XVI - è impossibile trovarla. "Nell'esasperata corsa verso l'autoaffermazione e il successo, nei falsi divertimenti, nel consumismo, nei paradisi artificiali della droga e di ogni altra forma di alienazione." A chi ha smarrito il senso della vera gioia - continua il Papa - bisogna portare l'annuncio del Natale, fatto non destinato solo ai credenti, ma all'intera umanità. Al termine dell'Angelus, un saluto tutto particolare è per i bambini delle parrocchie di Roma, che affollano piazza San Pietro con i loro bambinelli del presepe, per la tradizionale benedizione. Benedetto XVI ai più piccoli - dal cuore semplice e gioioso - chiede di pregare davanti al presepe anche per lui: "Vi ringrazio e vi auguro Buon Natale".

Sihaya.b16247
00domenica 17 dicembre 2006 21:57
OT - "Il Manifesto in crisi di liquidità con Berlusconi vendeva il doppio"
Dall'Avvenire di oggi, riassumo e commento.

25mila copie adesso, ben 50mila quando Berlusconi era al governo; la sinistra al governo sta affondando il Manifesto!
Valentino Parlato, ex direttore, non nasconde che il quotidiano è in profonda crisi e che cerca almeno 3 miloni di euro "per superare la boa del 2007" (Avvenire). Egli dichiara: "è inutiler sforzarsi di dire 'facciamo sopravvivere il Manifesto', è solo agonia in questo caso".

Agonia? Ma allora quei 3 milioni di euro sono accanimento terapeutico! Laciamo perdere quindi e chi è in favore dell'eutanasia può cominciare a sperimentarla...editorialmente.
Mi assale un solo dubbio: da cristiana non dovrei aiutare i bisognosi e i sofferenti??
euge65
00domenica 17 dicembre 2006 22:03
Re: OT - "Il Manifesto in crisi di liquidità con Berlusconi vendeva il doppio"

Scritto da: Sihaya.b16247 17/12/2006 21.57
Dall'Avvenire di oggi, riassumo e commento.

25mila copie adesso, ben 50mila quando Berlusconi era al governo; la sinistra al governo sta affondando il Manifesto!
Valentino Parlato, ex direttore, non nasconde che il quotidiano è in profonda crisi e che cerca almeno 3 miloni di euro "per superare la boa del 2007" (Avvenire). Egli dichiara: "è inutiler sforzarsi di dire 'facciamo sopravvivere il Manifesto', è solo agonia in questo caso".

Agonia? Ma allora quei 3 milioni di euro sono accanimento terapeutico! Laciamo perdere quindi e chi è in favore dell'eutanasia può cominciare a sperimentarla...editorialmente.
Mi assale un solo dubbio: da cristiana non dovrei aiutare i bisognosi e i sofferenti??



CHE BELLA NOTIZIA SONIA!!!!!!!!! VUOI VEDERE CHE DAVVERO I VOLANTINI STAVOLTA LI FACCIAMO NOI???????????????
ratzi.lella
00lunedì 18 dicembre 2006 04:52
il cardinale bertone...
LA STORIA
Il cardinal Bertone: presto una nostra squadra per competere con Juve, Inter, Milan e Roma
Calcio, scende in campo il Vaticano
di ORAZIO LA ROCCA

«Una squadra di calcio di serie A del Vaticano per competere ad armi pari con grandi formazioni come Juve, Inter, Milan, Roma...». E così anche la Santa Sede sta scaldando i muscoli per poter esordire in un prossimo futuro nel mondo del calcio professionistico, nazionale ed internazionale, con una formazione tutta sua sotto i colori bianchi e gialli della Città del Vaticano. Ed intende farlo nel migliore dei modi. Parola di Tarcisio Bertone, cardinale segretario di Stato, numero due vaticano, secondo solo a papa Ratzinger, ma anche grande esperto di calcio e tifoso juventino.
E´ stato lo stesso Bertone ad annunciarlo, ieri ad Alassio (Savona), dove ha ricevuto la cittadinanza onoraria ed è stato insignito dell´Alassino d´oro. Occasione che ha offerto lo spunto al porporato di parlare, tra l´altro, di calcio, sport seguitissimo anche in Vaticano e tra i cardinali, che in passato ha avuto un appassionato di prim´ordine in Giovanni Paolo II, in gioventù ottimo portiere ed assiduo uomo di sport amante di sci, nuoto, canoa e alpinismo.
Con l´avvento di papa Ratzinger, la folta schiera di alti prelati supertifosi si è arricchita cardinale segretario di Stato, da sempre noto anche per le sue conoscenze calcistiche, a tal punto che quando era arcivescovo di Genova ha commentato per una tv locale partite di calcio del Genoa e della Sampdoria. Ieri Bertone ha fatto capire che la Santa Sede si potrebbe attrezzare per esordire anche nel grande calcio, con la ovvia benedizione papale. «Non escludo che il Vaticano - ha detto infatti il cardinale ad Alassio - possa allestire in futuro una squadra di calcio di grandissimo valore in modo da essere all´altezza di Roma, Inter, Genoa e Sampdoria», in grado di poter competere ad armi pari anche con squadre superblasonate come Juve, Inter e Milan. Non è la prima volta che il nuovo numero due della Santa Sede parla di questo tema. Qualche settimana fa - subito dopo la nomina a segretario di Stato - si era spinto persino ad avanzare proposte operative per un eventuale vivaio calcistico vaticano. «Se, ad esempio - aveva suggerito - , prendessimo tutti gli studenti brasiliani delle nostre università pontificie potremmo fare una magnifica squadra», senza escludere di voler puntare anche «ai ragazzi degli oratori», ricordando che «ai Mondiali del ´90 contai 42 giocatori delle nazionali che erano giocatori in oratori o centri salesiani».
Ma in Vaticano, in materia di calcio, il cardinale Bertone è in buona compagnia. Ad esempio, tra i nomi più importanti c´è n´è uno che è stato una promettente ala nelle formazioni giovanili del Benfica. E´ il cardinale Josè Saraiva Martins, portoghese, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, laziale da oltre 40 anni, che prima di entrare in seminario ha avuto anche l´occasione di giocare accanto al grande Garrincha. Un altro cardinale, supertifoso della Roma, Fiorenzo Angelini, spesso commenta le partite di Serie A sia alla Radio Vaticana che a Sat2000, la tv della Conferenza episcopale italiana. Ma ora, dal calcio parlato - anche se tra le mura vaticane si fanno agguerriti tornei di calcetto e di pallavolo - si passerà al calcio giocato. E di serie A. Se Dio vuole...

(da "la repubblica" del 18 dicembre 2006)

[Modificato da ratzi.lella 20/12/2006 9.20]

ratzi.lella
00lunedì 18 dicembre 2006 06:02
.
emma3
00lunedì 18 dicembre 2006 15:26
Le reazioni agli interventi del Papa

L'INGERENZA DELL'IPOCRISIA


di claudio magris

Ingerenza è una brutta parola; indica l'indebita intromissione in affari altrui, l'illecito esorbitare dal proprio ambito di competenza per desiderio di controllare e dominare gli altri. Tuttavia, pure intervenire in soccorso di qualcuno che viene aggredito per strada è un'ingerenza — in questo caso lodevole e generosa — in faccende che riguardano il picchiato e il picchiatore.
L'ingerenza può essere dunque, a seconda dei casi, la libidine di potere di donna Prassede che smania di regolare l'esistenza degli altri, magari convinta di farlo in nome della Divina Provvidenza, la brutale invasione di territori materiali e spirituali che appartengono ad altri o il nobile impulso di non assistere vilmente inerti alle violenze e alle ingiustizie subite da chi non può difendersi.
Ma il moralista, quanto più è sincero, tanto più è tentato dal potere, di cui ha realmente bisogno per combattere le sopraffazioni patite dai deboli e per difendere i valori universali-umani minacciati. Ciò vale pure per le istituzioni. Più un'istituzione (politica, religiosa, culturale) esercita un ruolo rilevante, più essa sente il dovere morale di intervenire per migliorare le cose o almeno impedire che esse peggiorino, ma a questo senso di responsabilità etica si mescola facilmente un' ambigua o brutalmente esplicita volontà di potenza, un tentativo di estendere il proprio dominio, che spesso provoca reazioni polemiche e proteste, spicciativi inviti a farsi i fatti propri.
E' quanto ad esempio accade — da sempre, ma recentemente con più frequenza — nei confronti degli interventi e delle dichiarazioni della Chiesa e di Benedetto XVI, al quale non si ha timore di rivolgere contestazioni anche volgari, diversamente da quanto accadeva con il suo ruvido e spettacolare predecessore, nemmeno quando diceva cose simili o analoghe a quelle dette da Papa Ratzinger (e talora anche più duramente tradizionaliste e conservatrici), ma proclamandole a muso duro e con la sicurezza vitale di chi si trova comunque a proprio agio nel mondo e rivela una confidenza quasi fisica con la vita, che scoraggia a priori attacchi destinati a essere spuntati. Forse a Benedetto XVI — molto meno conservatore di quanto si creda, tanto più colto e sottile di Papa Wojtyla, ma forse meno capace di quelle intuizioni storico-epocali che l'altro ogni tanto fulmineamente aveva, anche con rozzezza ma soprattutto con genio — manca quel muso duro che è necessario per governare, pur con amore, una grande realtà materiale e spirituale e senza il quale si finisce per giocare in difesa, atteggiamento quasi sempre perdente.
Così, quando Benedetto XVI esprime ad esempio un'opinione contraria al matrimonio omosessuale, viene contestato, anche villanamente, da persone che peraltro (come è stato scritto da Francesco Magris sul
Piccolo) non si sognano di prendere a sassate o almeno a pomodorate le ambasciate di Paesi islamici (alcuni nemici dell' Occidente, altri suoi servi e alleati) in cui gli omosessuali (adulti che hanno rapporti con adulti liberamente consenzienti) vengono decapitati e le donne incinte senza essere sposate vengono lapidate. Le parole di Papa Ratzinger, che non ha decapitato nessuno né incitato alla decapitazione o alla lapidazione, muovono alla contestazione più delle mannaie e delle pietre che massacrano le persone; sono considerate un'inaccettabile ingerenza.
In generale si rimprovera alla Chiesa, e spesso a ragione, un'ingerenza nella sfera politica, che non compete ad essa, bensì allo Stato, secondo il monito del Vangelo che esorta a dare a Dio ciò che è di Dio, ma a Cesare ciò che è di Cesare. Quando la Chiesa — mi riferisco, per il peso che ha in Italia, a quella cattolica, ma il discorso vale per tutte le Chiese e confessioni religiose nel loro rapporto con lo Stato — esercita indebite pressioni per mantenere o accrescere il suo potere, come è accaduto tante volte, il suo comportamento va censurato e le sue pretese vanno respinte. Hanno saputo farlo cattolici di grande fede e fedeltà dottrinale, opponendosi ad esempio al finanziamento pubblico delle scuole private confessionali; si potrebbero citare altri esempi, in cui la Chiesa ha violato la distinzione evangelica fra ciò che pertiene a Dio e ciò che pertiene a Cesare.
Spesso tuttavia si critica un'ingerenza politica della Chiesa solo perché non si condivide la visione politica implicita in quell'ingerenza, mentre si saluta con fervore un'ingerenza di segno politico opposto. Si è aspramente, e non a torto, bollata la Chiesa per aver appoggiato, a suo tempo, la Democrazia Cristiana o per aver cercato di favorire alleanze di quest' ultima con un partito politico piuttosto che con un altro. Ma tutti coloro che hanno espresso queste critiche, l'avrebbero fatto con altrettanto sdegno se la Chiesa si fosse ingerita nella politica favorendo altri schieramenti o partiti, a essi più vicini? Siamo sicuri di criticare, di volta in volta, l'ingerenza politica della Chiesa in sé e non una sua scelta politica che ci dispiace?

Una volta una mia amica, anticlericale arrabbiata pronta a tappar la bocca ai preti che si occupano di politica, lodava entusiasta Giovanni Paolo II per la sua condanna della guerra in Iraq. Condividevo anch'io quell' entusiasmo, perché condividevo il giudizio storico-politico del Pontefice, ma feci osservare alla mia amica, e non solo per stuzzicarla, che pure quella era un'ingerenza politica della Chiesa, la quale si permetteva di interferire nelle scelte di governi e parlamenti liberamente e democraticamente eletti e in pieno diritto di fare le loro scelte senza interferenze altrui.
Dobbiamo rimproverare alla Chiesa di invadente ingerenza (Pio XII che cerca di boicottare il centrosinistra) o di egoistica e pavida non ingerenza (Pio XII che non si oppone o si oppone troppo poco al nazismo)? Interferire nella politica ancorché aberrante di uno Stato sovrano, in quel caso la Germania, costituisce un'ingerenza, sia pure in quell'occasione auspicabile.
Un'unica soluzione può risolvere queste contraddizioni, ambiguità, ipocrisie che non risparmiano alcun fronte. La Chiesa — come ogni altra società, grande o piccola, e come ogni individuo — ha il diritto e il dovere di battersi per ciò che a suo avviso migliora il mondo e contro ciò che a suo avviso lo peggiora; ha il diritto e il dovere (spesso negletto da essa stessa) di difendere valori quali la giustizia, la libertà, la solidarietà contro ciò che li minaccia, da qualsiasi parte provenga la minaccia. Tale dovere morale non può non avere implicazioni politiche, perché giustizia, democrazia, libertà, dignità della persona non hanno una dimensione solo privata, bensì investono i rapporti fra gli uomini, le istituzioni, le condizioni economiche e così via, aspetti che sono anche e soprattutto politici, terreni in cui la morale diviene politica.
Dinanzi a tutto questo una voce responsabile non può tacere; deve parlare e talvolta pure gridare. Può, anzi
deve farlo solo se non dispone di iniqui privilegi e di strumenti di pressione che le conferiscano un illecito potere. D'altronde ogni intervento ha un peso se non altro perché è la voce di cittadini ossia di elettori; ciò che conta è che tale peso venga messo sulla bilancia con equanimità. E non si vede perché si dovrebbe negare solo alla Chiesa il diritto di esprimersi, giustamente riconosciuto a tutte le associazioni, a quella filatelica come a quella della caccia. I concordati fra Stato e Chiesa sono spesso deleteri perché, conferendo a quest'ultima ingiusti mezzi dì dominio — ad esempio, nel Concordato del 1929, la clausola che prevedeva l'impossibilità per un sacerdote spretato di lavorare quale impiegato statale — la delegittima moralmente e spiritualmente; la condanna a tener la bocca chiusa, a tradire così la sua vocazione di annunciare e testimoniare la Buona Novella, i valori universali-umani. Negli Stati Uniti, in cui non esistono concordati fra lo Stato e le varie Chiese, quest'ultime possono prendere posizioni politiche senza che nessuno, consenziente o avverso a quelle posizioni, possa aver nulla da ridire.
Sarebbe augurabile fosse così pure in Italia, per liberare la Chiesa da quelle residue illecite situazioni di potere (vera cattività babilonese) che facilmente si capovolgono in un ghetto, dal quale la sua voce non può veramente levarsi. Questo sarebbe possibile se divenissero realtà quelle parole che la leggenda racconta Cavour dicesse, in punto di morte, a un religioso: «Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato».

corriere della sera 18.12.06






Sihaya.b16247
00lunedì 18 dicembre 2006 17:26
Re:

Scritto da: emma3 18/12/2006 15.26
Le reazioni agli interventi del Papa

L'INGERENZA DELL'IPOCRISIA


di claudio magris




Parole sante!!! [SM=g27811]
Discipula
00mercoledì 20 dicembre 2006 09:04
Da "Il Giornale"
La festa degli scemi



di Massimo Introvigne

Non tutti gli scemi vengono per nuocere. Mentre la scuola islamica di Via Ventura a Milano celebra il Natale chiamandolo con il suo nome con albero, panettone e spettacolo, la scuola italiana che vedo dalle finestre del mio studio a Torino espone solo un orribile straccio giallo che augura «Buona Festa della Luce». Per la verità, i primi a sostituire il Natale con la Festa della Luce furono i nazisti, ma immagino che la preside non lo sappia. Così il sindaco di Chicago, che vieta i manifesti del film Nativity «per non offendere i musulmani», non sa che nell'islam (che ha semmai qualche problema con la passione e la resurrezione, non con Natale ma con Pasqua) la nascita miracolosa di Gesù da Maria è ammessa senza problemi.
Ma gli episodi di idiozia che si moltiplicano nel mondo hanno almeno fornito a Benedetto XVI l'occasione per una stupenda lezione sulla laicità dello Stato. Certo, il Papa non può permettersi di dare dell'idiota agli idioti, anche se quando era il cardinale Ratzinger coniò la famosa formula secondo cui «un'idea cattolica non può essere stupida, e un'idea stupida non può essere cattolica». Si limita dunque a parlare di «degenerazioni dell'intelletto»: espressione che è peraltro quasi un sinonimo di «deficienza».
Ricevendo la settimana scorsa l'Unione dei Giuristi Cattolici Italiani il Papa ha, come aveva già fatto altre volte, rivendicato quello della laicità come un valore originariamente cattolico. Il Vangelo insegna a dare a Cesare quello che è di Cesare, e il magistero rispetta sia «la legittima autonomia delle realtà terrene» sia i diritti delle minoranze religiose.
Tuttavia, il rispetto dei diritti delle minoranze non esclude il non meno importante rispetto dei diritti delle maggioranze, anzi lo richiede: solo una maggioranza rispettata nelle sue convinzioni sarà disponibile a riconoscere pacificamente alle minoranze i loro legittimi diritti. In un Paese come l'Italia dove - non lo afferma il Papa, ma i sondaggi periodici dell'Eurisko - oltre l'ottanta per cento dei cittadini si dichiara cattolico, «l'esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici», a Natale e anche passato il Natale, secondo Benedetto XVI «non è espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo».
Quando una religione è ampiamente maggioritaria in un Paese, il bene comune e le esigenze della pace religiosa - beni che, come tali, tutelano anche i non credenti e le minoranze - impongono che quella religione non sia «confinata al solo ambito privato» ma sia «riconosciuta come presenza comunitaria pubblica», sia quanto ai suoi simboli sia quanto alla sua «rilevanza politica e culturale» e al «diritto di coloro che legittimamente la rappresentano di pronunziarsi sui problemi morali che interpellano la coscienza dei legislatori e dei giuristi», dai Pacs all'eutanasia.
Si tratta di un discorso che non è in contraddizione con le aperture all'islam del viaggio in Turchia. Qui il Papa ha chiesto con forza libertà religiosa per le minoranze che riconoscono i principi universali del bene comune (dunque non per i terroristi): vale per i musulmani rispettosi della legge in Italia, ma vale anche per i cristiani in Turchia. Ma ha anche - nella terra del laicismo dell'Atatürk - riaffermato l'opportunità che lo Stato, senza discriminare le minoranze, riconosca pubblicamente i diritti delle maggioranze religiose e i loro simboli: mezzelune in Turchia (lo Stato turco è laico, ma la mezzaluna resta nella bandiera), croci e presepi in Italia. Altro che Festa della Luce.




[Modificato da Discipula 20/12/2006 9.05]

[Modificato da Discipula 20/12/2006 9.05]

ratzi.lella
00mercoledì 20 dicembre 2006 09:18
grazie discipula
era ora che qualcuno capisse il senso del viaggio in turchia che e' la diretta continuazione della lectio di ratisbona [SM=g27811]
ratzi.lella
00mercoledì 20 dicembre 2006 09:21
Re:

Scritto da: emma3 18/12/2006 15.26
Le reazioni agli interventi del Papa

L'INGERENZA DELL'IPOCRISIA


di claudio magris

Ingerenza è una brutta parola; indica l'indebita intromissione in affari altrui, l'illecito esorbitare dal proprio ambito di competenza per desiderio di controllare e dominare gli altri. Tuttavia, pure intervenire in soccorso di qualcuno che viene aggredito per strada è un'ingerenza — in questo caso lodevole e generosa — in faccende che riguardano il picchiato e il picchiatore.
L'ingerenza può essere dunque, a seconda dei casi, la libidine di potere di donna Prassede che smania di regolare l'esistenza degli altri, magari convinta di farlo in nome della Divina Provvidenza, la brutale invasione di territori materiali e spirituali che appartengono ad altri o il nobile impulso di non assistere vilmente inerti alle violenze e alle ingiustizie subite da chi non può difendersi.
Ma il moralista, quanto più è sincero, tanto più è tentato dal potere, di cui ha realmente bisogno per combattere le sopraffazioni patite dai deboli e per difendere i valori universali-umani minacciati. Ciò vale pure per le istituzioni. Più un'istituzione (politica, religiosa, culturale) esercita un ruolo rilevante, più essa sente il dovere morale di intervenire per migliorare le cose o almeno impedire che esse peggiorino, ma a questo senso di responsabilità etica si mescola facilmente un' ambigua o brutalmente esplicita volontà di potenza, un tentativo di estendere il proprio dominio, che spesso provoca reazioni polemiche e proteste, spicciativi inviti a farsi i fatti propri.
E' quanto ad esempio accade — da sempre, ma recentemente con più frequenza — nei confronti degli interventi e delle dichiarazioni della Chiesa e di Benedetto XVI, al quale non si ha timore di rivolgere contestazioni anche volgari, diversamente da quanto accadeva con il suo ruvido e spettacolare predecessore, nemmeno quando diceva cose simili o analoghe a quelle dette da Papa Ratzinger (e talora anche più duramente tradizionaliste e conservatrici), ma proclamandole a muso duro e con la sicurezza vitale di chi si trova comunque a proprio agio nel mondo e rivela una confidenza quasi fisica con la vita, che scoraggia a priori attacchi destinati a essere spuntati. Forse a Benedetto XVI — molto meno conservatore di quanto si creda, tanto più colto e sottile di Papa Wojtyla, ma forse meno capace di quelle intuizioni storico-epocali che l'altro ogni tanto fulmineamente aveva, anche con rozzezza ma soprattutto con genio — manca quel muso duro che è necessario per governare, pur con amore, una grande realtà materiale e spirituale e senza il quale si finisce per giocare in difesa, atteggiamento quasi sempre perdente.
Così, quando Benedetto XVI esprime ad esempio un'opinione contraria al matrimonio omosessuale, viene contestato, anche villanamente, da persone che peraltro (come è stato scritto da Francesco Magris sul
Piccolo) non si sognano di prendere a sassate o almeno a pomodorate le ambasciate di Paesi islamici (alcuni nemici dell' Occidente, altri suoi servi e alleati) in cui gli omosessuali (adulti che hanno rapporti con adulti liberamente consenzienti) vengono decapitati e le donne incinte senza essere sposate vengono lapidate. Le parole di Papa Ratzinger, che non ha decapitato nessuno né incitato alla decapitazione o alla lapidazione, muovono alla contestazione più delle mannaie e delle pietre che massacrano le persone; sono considerate un'inaccettabile ingerenza.
In generale si rimprovera alla Chiesa, e spesso a ragione, un'ingerenza nella sfera politica, che non compete ad essa, bensì allo Stato, secondo il monito del Vangelo che esorta a dare a Dio ciò che è di Dio, ma a Cesare ciò che è di Cesare. Quando la Chiesa — mi riferisco, per il peso che ha in Italia, a quella cattolica, ma il discorso vale per tutte le Chiese e confessioni religiose nel loro rapporto con lo Stato — esercita indebite pressioni per mantenere o accrescere il suo potere, come è accaduto tante volte, il suo comportamento va censurato e le sue pretese vanno respinte. Hanno saputo farlo cattolici di grande fede e fedeltà dottrinale, opponendosi ad esempio al finanziamento pubblico delle scuole private confessionali; si potrebbero citare altri esempi, in cui la Chiesa ha violato la distinzione evangelica fra ciò che pertiene a Dio e ciò che pertiene a Cesare.
Spesso tuttavia si critica un'ingerenza politica della Chiesa solo perché non si condivide la visione politica implicita in quell'ingerenza, mentre si saluta con fervore un'ingerenza di segno politico opposto. Si è aspramente, e non a torto, bollata la Chiesa per aver appoggiato, a suo tempo, la Democrazia Cristiana o per aver cercato di favorire alleanze di quest' ultima con un partito politico piuttosto che con un altro. Ma tutti coloro che hanno espresso queste critiche, l'avrebbero fatto con altrettanto sdegno se la Chiesa si fosse ingerita nella politica favorendo altri schieramenti o partiti, a essi più vicini? Siamo sicuri di criticare, di volta in volta, l'ingerenza politica della Chiesa in sé e non una sua scelta politica che ci dispiace?

Una volta una mia amica, anticlericale arrabbiata pronta a tappar la bocca ai preti che si occupano di politica, lodava entusiasta Giovanni Paolo II per la sua condanna della guerra in Iraq. Condividevo anch'io quell' entusiasmo, perché condividevo il giudizio storico-politico del Pontefice, ma feci osservare alla mia amica, e non solo per stuzzicarla, che pure quella era un'ingerenza politica della Chiesa, la quale si permetteva di interferire nelle scelte di governi e parlamenti liberamente e democraticamente eletti e in pieno diritto di fare le loro scelte senza interferenze altrui.
Dobbiamo rimproverare alla Chiesa di invadente ingerenza (Pio XII che cerca di boicottare il centrosinistra) o di egoistica e pavida non ingerenza (Pio XII che non si oppone o si oppone troppo poco al nazismo)? Interferire nella politica ancorché aberrante di uno Stato sovrano, in quel caso la Germania, costituisce un'ingerenza, sia pure in quell'occasione auspicabile.
Un'unica soluzione può risolvere queste contraddizioni, ambiguità, ipocrisie che non risparmiano alcun fronte. La Chiesa — come ogni altra società, grande o piccola, e come ogni individuo — ha il diritto e il dovere di battersi per ciò che a suo avviso migliora il mondo e contro ciò che a suo avviso lo peggiora; ha il diritto e il dovere (spesso negletto da essa stessa) di difendere valori quali la giustizia, la libertà, la solidarietà contro ciò che li minaccia, da qualsiasi parte provenga la minaccia. Tale dovere morale non può non avere implicazioni politiche, perché giustizia, democrazia, libertà, dignità della persona non hanno una dimensione solo privata, bensì investono i rapporti fra gli uomini, le istituzioni, le condizioni economiche e così via, aspetti che sono anche e soprattutto politici, terreni in cui la morale diviene politica.
Dinanzi a tutto questo una voce responsabile non può tacere; deve parlare e talvolta pure gridare. Può, anzi
deve farlo solo se non dispone di iniqui privilegi e di strumenti di pressione che le conferiscano un illecito potere. D'altronde ogni intervento ha un peso se non altro perché è la voce di cittadini ossia di elettori; ciò che conta è che tale peso venga messo sulla bilancia con equanimità. E non si vede perché si dovrebbe negare solo alla Chiesa il diritto di esprimersi, giustamente riconosciuto a tutte le associazioni, a quella filatelica come a quella della caccia. I concordati fra Stato e Chiesa sono spesso deleteri perché, conferendo a quest'ultima ingiusti mezzi dì dominio — ad esempio, nel Concordato del 1929, la clausola che prevedeva l'impossibilità per un sacerdote spretato di lavorare quale impiegato statale — la delegittima moralmente e spiritualmente; la condanna a tener la bocca chiusa, a tradire così la sua vocazione di annunciare e testimoniare la Buona Novella, i valori universali-umani. Negli Stati Uniti, in cui non esistono concordati fra lo Stato e le varie Chiese, quest'ultime possono prendere posizioni politiche senza che nessuno, consenziente o avverso a quelle posizioni, possa aver nulla da ridire.
Sarebbe augurabile fosse così pure in Italia, per liberare la Chiesa da quelle residue illecite situazioni di potere (vera cattività babilonese) che facilmente si capovolgono in un ghetto, dal quale la sua voce non può veramente levarsi. Questo sarebbe possibile se divenissero realtà quelle parole che la leggenda racconta Cavour dicesse, in punto di morte, a un religioso: «Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato».

corriere della sera 18.12.06










molto interessante questo articolo riportato da emma [SM=g27811]
su molti concetti, sono d'accordo con l'autore ma anche in questo editoriale c'e' il gusto della contrapposizione e del confronto fra papa benedetto e il suo predecessore: il primo poco incline all'urlo per farsi ascoltare, il secondo carismatico, effervescente etc...
io sono convinta che non serva alzare la voce per farsi ascoltare. papa benedetto non ha bisogno di dare prova di forza perche' egli non vuole stupire ma convincere, non vuole dire frasi ad effetto, ma persuadere...
i due papi hanno stile opposti...grazie al cielo!!! se i successori fossero uguali ai predecessori, dove andrebbe a finire la chiesa? sarebbe sempre uguale a se stessa e, francamente, noiosa.

[Modificato da ratzi.lella 20/12/2006 9.26]

ratzi.lella
00giovedì 21 dicembre 2006 07:49
due editoriali...
Una società senza cattolici
La Chiesa c'è, ma le mancano i militanti
di Ernesto Galli Della Loggia

È fin troppo ovvio osservare che in un Paese come l'Italia una discussione sui temi bioetici (dalla fecondazione assistita all'eutanasia, fino in un certo senso ai Pacs), per non diventare un monologo, deve dare voce adeguata alla posizione dei cattolici. Questa esigenza si scontra però con un ostacolo difficile da superare: vale a dire con la fortissima disparità che nel mondo italiano della cultura e della comunicazione — cioè proprio in quel mondo deputato a organizzare e animare la discussione pubblica — esiste, si può dire da sempre, tra la presenza dei cattolici e quella dei laici (uso per comodità questi due termini che richiederebbero, lo so, una lunga serie di suddivisioni e di specificazioni). Se ai più le cose non appaiono stare a questo modo — anzi in modo opposto — è perché alla scarsa rappresentanza dei cattolici nella sfera comunicativo- culturale fa da contrappeso, viceversa, una loro ormai tradizionale fortissima presenza nella sfera politica, con un ruolo (si pensi alla senatrice Binetti) che oggi è addirittura divenuto quello di autentico ago della bilancia tra maggioranza e minoranza. Ma questa iperinfluenza politica (con relativa sovraesposizione) non cancella il dato del carattere assolutamente minoritario dei cattolici nella sfera della comunicazione pubblica e dei circuiti intellettuali. I più diffusi quotidiani del Paese, le case editrici più importanti, gli spazi televisivi più ampi, vedono perlopiù una larghissima prevalenza di addetti ai lavori, di collaboratori, di autori, di uomini e donne di spettacolo e di intrattenimento, che sono ideologicamente e culturalmente lontani dalle posizioni cristiane e cattoliche in specie.
O meglio: personalmente, almeno in certi casi, magari possono anche non esserlo, ma — al contrario dei loro colleghi laici, i quali sono pronti a fare del proprio orizzonte ideale un motivo d'impegno e una bandiera — essi viceversa non sono per nulla disposti a far comparire nel proprio lavoro le loro personali convinzioni. Il risultato è il tono massicciamente squilibrato con cui il mondo della cultura e della comunicazione rappresenta la realtà del Paese in tutte le sedi possibili, dal contenuto di un commento al titolo di una «breve», alla battuta di un reality. Certo, in alcuni luoghi deputati ad hoc — per esempio negli editoriali, nelle dichiarazioni dei tg o nei dibattiti televisivi — la posizione cattolica o religiosa in genere è quasi sempre rappresentata più o meno nella stessa misura di quella laica (va tuttavia notata l'assenza costante, mi sembra, del punto di vista ebraico o protestante), ma è nell'insieme, nella miriade di righe con cui sono confezionate le notizie, nel modo di presentarle, nel succo che ne traggono i più disparati commenti nelle più disparate sedi, dalle rubriche alla posta dei lettori, è nel tessuto complessivo del discorso comunicativo e culturale, che invece per la posizione cattolica e in genere religiosa c'è uno scarsissimo posto. Proprio nell'ambito decisivo, insomma, la par condicio diviene così un miraggio. Sebbene sia noto che su questi temi l'opinione pubblica è più o meno divisa a metà, di fatto, invece, nel circuito culturale e comunicativo i valori laici tendono a presentarsi come la norma assoluta, lo standard ideologico accettato e introiettato, mentre la prospettiva e i valori religiosi rischiano di essere virtualmente espulsi dal senso comune, di venire di fatto derubricati al rango di «opinione»: ancora legittima, certo, ma già in partenza con le stimmate della minoritarietà; quasi al limite dell'eccentrico.
La sanzione definitiva di questo stato di cose si ha quando (sempre più spesso) a rappresentare il punto di vista cattolico i media chiamano un esponente della gerarchia o comunque del clero. Quale migliore riprova del carattere intimamente minoritario di quel punto di vista del fatto che esso si presenta come ormai ridotto a esclusivo appannaggio di un'ufficialità ideologico-burocratica (per giunta esclusivamente maschile!)? Cioè come qualcosa ormai fuori dalla vita vera, dalla normalità sociale vera? In tal modo, tra l'altro, la Chiesa in quanto tale si trova sottoposta suo malgrado a una fortissima visibilità destinata a suscitare inevitabili tensioni politiche e ad avallare implicitamente l'idea che una discussione come quella sui temi bioetici, invece di riguardare due punti di vista, due mondi morali, entrambi ben presenti nel Paese, non sia altro, in realtà, che la lotta del Paese intero da un lato contro le ingerenze della Conferenza episcopale e del Vaticano dall'altro. Sarebbe sbagliato, tuttavia, pensare che della condizione appena descritta la responsabilità ricada esclusivamente sull'industria culturale e sul sistema della comunicazione, magari governate da qualche oscuro disegno antireligioso-laicista. Non è affatto così, non c'è alcun complotto. Una parte considerevole di responsabilità ricade piuttosto, semmai, sulla stessa cultura cattolica (se mi si passa la genericità del termine), sugli stessi uomini e donne di orientamento religioso che operano nella vita intellettuale, giornalistica e massmediatica del Paese. Innanzi tutto per il fatto già ricordato che perlopiù essi mostrano un'estrema riluttanza a far trasparire in pubblico, nel proprio lavoro, le loro personali convinzioni. Sicché, mentre è comunissimo che un attore, uno scienziato o un letterato di orientamento laico manifestino il loro punto di vista a ogni pie' sospinto e su ogni argomento appena significativo, non esitando magari a polemizzare direttamente e aspramente con la gerarchia cattolica, è viceversa rarissimo che sul versante opposto accada qualcosa di analogo.
Capire perché le cose stiano così ci porterebbe troppo lontano, ma è certo che in questo modo, anche in questo modo, si realizza, non già l'espulsione della religione dalla sfera (istituzionale) pubblica, bensì qualcosa del tutto diverso e dagli effetti ben più gravi e illiberali: vale a dire l'espulsione di fatto della religione, dei suoi motivi e delle sue preoccupazioni, dalla sfera argomentativa e culturale della nostra società. Ciò che ancor più contribuisce dall'interno a indebolire la voce cattolica nel dibattito pubblico italiano è poi la sua fortissima politicizzazione. Politicizzazione che si presenta sotto due forme: nei confronti della lotta politica vera e propria che accende il Paese, e nei confronti dello scontro ben più complesso, ma alla fine anch'esso trasferibile in termini politici, che caratterizza non da oggi le fila della stessa Chiesa. È una politicizzazione, sia chiaro, che riguarda ilmondoculturale del laicato cattolico italiano nella sua interezza ma, siccome anche in esso vi è una prevalenza della parte orientata a sinistra, è il comportamento di questa sua sezione che finisce per avere più influenza, per dare il tono alla situazione generale. Ora, l'impressione che abitualmente dà questo mondo cattolico laico che si vuole «progressista» è che ogniqualvolta si crea un contrasto tra il suo schieramento politico di riferimento e il proprio orientamento religioso — specialmente se questo dà luogo a una presa di posizione della gerarchia — l'orientamento religioso fatichi moltissimo a esprimersi, e la via scelta divenga perlopiù quella di un imbarazzato silenzio. Ovvero, come anche spesso accade, di una contrapposizione polemica alla gerarchia stessa: contrapposizione che nel dibattito pubblico è immediatamente interpretata e/o presentata come una sostanziale adesione al punto di vista laico. Ciò che invece indebolisce la voce dell'altro versante del mondo intellettuale cattolico — quello che si oppone al «progressismo» — è l'alto grado di esasperato personalismo che sembra caratterizzarlo. Il ridotto spazio sociale che esso ha a disposizione sui giornali, nel mercato editoriale, nell'ambito universitario come in quello televisivo, accende qui contese e gelosie aspre, ripicche e idiosincrasie, che accentuano ancor più la debolezza complessiva di quella voce, rendendo quanto mai raro, anche tra coloro che condividono una stessa visione delle cose, quel gioco di squadra che invece sembra riuscire ottimamente alla parte laica. La quale finisce in questo modo per riportare una vittoria troppo facile che, come si è già visto in occasione del referendum sulla legge 40, rischia poi di essere smentita clamorosamente dall' opinione del Paese.

(da "il corriere della seraa" del 20 dicembre 2006)

il problema e' che molti (anche intellettuali) si vergognano di dichiararsi apertamente cattolici perche' hanno paura di sembrare poco moderni, poco progressisti, troppo integralisti ed "antichi".
niente di piu' sbagliato...la sconfitta del referendum sulla legge 40 brucia ancora a molti intellettuali e alla quasi totalita' dei media schierata, lo scorso anno, per il si'. occorre andare avanti e comprendere che, spesso, il paese non la pensa come la classe cosiddetta intellettuale e sedicente "illuminata".



c'e' poi chi, ateo, pretende di conoscere il Vangelo meglio del Papa al quale alcuni pretendono di insegnare il suo mestiere:

L´amore e la pietà del figlio dell´uomo
di EUGENIO SCALFARI

La Natività di Gesù di Nazareth dispone gli animi (dovrebbe disporli) all´ascolto di se stessi e degli altri, sia da parte dei credenti nella sua origine divina sia da quanti lo considerano un figlio dell´uomo dotato di virtù profetiche sulle quali è stata costruita una delle grandi religioni, fondata sull´amore, sulla pace, sulla giustizia.
Non è dunque tempo di affrontare altri temi, che pure incalzano e preoccupano ma che riguardano il commercio degli interessi e la gestione del potere, fosse pure nel senso più alto e nobile e non sordido e ottuso come molte volte accade. Rinviamo perciò ad altre prossime occasioni questi argomenti e ascoltiamo invece ciò che la mente e il cuore ci suggeriscono su questioni che riguardano i rapporti tra le persone e tra queste e le istituzioni, la vita buona e la buona morte, la com-passione e la pietà. Gli spunti attuali non mancano ed anzi abbondano in un´epoca di contrasti, incertezze, paure, fobie e crescenti egoismi.
Mi hanno colpito in questi giorni due interventi che toccano tasti estremamente sensibili: un articolo di Claudio Magris sul "Corriere della Sera" del 18 dicembre, intitolato "L´ingerenza dell´ipocrisia" e una lettera a Welby scritta da Ignazio Marino, cardiochirurgo e presidente della commissione parlamentare della Sanità, pubblicata sulla "Repubblica" del 19. Di questo mi occuperò e dei complessi problemi che pongono alla nostra attenzione.

***

L´articolo di Magris mi ha lasciato assai perplesso. È la prima volta che mi accade; di solito condivido interamente i suoi pensieri. Questa volta no e mi è riuscito difficile anche cavarne un senso. Per chi non l´avesse letto cercherò di riassumerne le tesi.
Comincia deplorando le ingerenze di chi - persona o istituzioni - invada campi altrui per imporvi il proprio dominio. E poiché l´oggetto dell´articolo riguarda il rapporto tra la Chiesa e lo Stato, fa proprio il motto evangelico del «date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Una regola perfettamente equilibrata nella forma come nella sostanza, ma talmente evocata e ripetuta da esser diventata luogo comune, interpretato e stiracchiato in tutte le direzioni fino a perdere ogni significato.
Lo stesso Magris del resto ne fornisce la prova quando osserva che la Chiesa ha diritto di sostenere in tutte le sedi l´etica che deriva dalla religione, aggiungendo che l´etica e la politica sono intimamente intrecciate tra loro sicché la Chiesa legittimamente finisce per entrare nel dibattito politico, nell´amministrazione della cosa pubblica e infine nell´attività legislativa, con tanti saluti alla teorica distinzione tra le competenze di Cesare e quelle di Dio.
Volete forse mettere il bavaglio al Papa e ai vescovi? si domanda e ci domanda Magris. Volete ridurli ad una qualsiasi associazione di bocciofili e di cacciatori? È mai possibile espellere la Chiesa dallo spazio pubblico che le spetta in materie come la bioetica, la fecondazione assistita, l´educazione dei bimbi e dei ragazzi, il finanziamento delle scuole cattoliche, il regime carcerario? Certo che no, nessuno pensa questo, caro Magris. Anzi. I laici, credenti e non credenti, hanno da tempo rinunciato a confinare la religione nello spazio privato. Non solo accettano ma addirittura incoraggiano la gerarchia ecclesiastica ad esprimere pubblicamente le sue convinzioni. Purché sia lasciata al laicato, cattolico e non cattolico, la piena autonomia e responsabilità dei comportamenti politici e legislativi. Si tratta di un´assurda pretesa? O non piuttosto del tentativo estremo di salvare almeno qualche lembo del mantello di Cesare, ormai ridotto a brandelli dalle martellanti ingerenze della "lobby" episcopale e vaticana?
Ma – incalza Magris – spesso accade che i laici rimproverino le ingerenze della Chiesa quando esse siano contrarie alla loro parte politica ma le approvino invece a gran voce quando l´ingerenza giochi a loro favore. Se si è contrari alle ingerenze, questa contrarietà va sostenuta sempre e comunque, indipendentemente dal contenuto. Parole sante che personalmente condivido e che, per quanto mi riguarda, ho sempre applicato e sostenuto. Se non che Magris si impiglia in una esemplificazione assai poco pertinente a proposito del pacifismo. L´esempio addotto riguarda la guerra in Iraq, sia la prima che la seconda, entrambe deplorate da papa Wojtyla e poi da papa Ratzinger in nome della pace. La sinistra, ricorda Magris, plaudì alla posizione del Vaticano in difesa della pace ma sbagliò. In quel caso infatti il Vaticano si era ingerito indebitamente nel comportamento di governi sovrani e democratici che, magari sbagliando, avevano tuttavia legittimamente portato in guerra i loro paesi. La sinistra perse dunque l´occasione di criticare le ingerenze indebite.
Ecco dove il ragionamento mi sembra completamente sbagliato e fuorviante. La Chiesa predica la pace e si dichiara contro la guerra, specie se si tratti di guerra offensiva e non difensiva. Non si tratta d´una ingerenza ma di un diritto-dovere della religione e di chi la rappresenta. Caro Claudio, tu vorresti che la Chiesa si possa schierare contro una legge in favore per esempio dell´eutanasia, ma non tolleri che parli contro la guerra preventiva di George Bush e di Tony Blair. Quale coerenza è mai questa?
Ma tu, trasportato da una tua logica che a me risulta a questo punto incomprensibile, vai anche più oltre. Rievochi il (colpevole) silenzio di Pio XII sul nazismo e qualche (timida) protesta del Vaticano nei confronti della politica hitleriana e sostieni che pure quelle proteste, ancorché cautissime, erano un´ingerenza, anche se definita auspicabile, contro il governo legittimo della Germania. Qui proprio non ti capisco più.
Il finale di questo strano testo di Magris è invece condivisibile: sarebbe meglio se la Chiesa rinunciasse al Concordato per esser più libera di parlare di tutto senza più dover osservare la distinzione di competenza fra Cesare e Dio.
Giusto. Ma la Chiesa parla già di tutto e si tiene per sovramercato, ben stretta al suo Concordato per i vantaggi cospicui che esso le assicura. Allo stato dei fatti la formula cavouriana della libera Chiesa in libero Stato ha perso ogni significato come l´altro luogo comune di Cesare e Dio. Tutte le modeste difese poste dai Patti Lateranensi sono state smantellate da un pezzo. Quei Patti servono soltanto a garantire gli interessi finanziari della Santa Sede; il resto è silenzio.
Mentre scrivo queste note leggo un articolo di Galli Della Loggia sul "Corriere" del 20 dicembre, intitolato «Una società senza cattolici». Il testo svolge fedelmente il tema enunciato nel titolo, sostenendo che il dibattito culturale e politico in Italia è monopolizzato dai laici laicisti. A me pare incredibile che si possa stravolgere la realtà fino a questo punto. Ognuno ha diritto di dire la sua, naturalmente. Può un vecchio laicista deplorare tesi così lontane dai dati di fatto?

* * *

Vengo ora alla lettera a Welby, di Ignazio Marino. Qui la materia è ancor più sensibile e dolente perché si tratta della sofferenza d´un malato terminale che invoca la morte, chiede d´essere aiutato a morire e ottiene una risposta che dà i brividi.
Ho vissuto in questi giorni un´esperienza dolorosa con la morte d´una persona a me carissima; ho assistito alla sua sofferenza. Mi sono venute in mente le parole di Giobbe:
«Pesate i miei spasimi
E sul piatto mettete la mia cancrena
Peseranno più che le sabbie
Di tutti i mari
Perciò barcollano le mie parole».
Ebbene, Marino riconosce che Welby, come qualunque malato terminale in preda ad una sofferenza atroce, ha il diritto di chiedere una morte assistita. Ma non si può, non c´è una legge che lo consenta. La deontologia medica – ricorda Marino – lo vieta perché il medico deve curare e mantenere in vita, non può e non deve curare la morte. Invita Welby a stringere i denti e andare avanti. Gli propone addirittura di accettare di esser sedato per quarantott´ore al fine di riacquistare le forze e poi, così rinforzato, riprendere a soffrire. Qualora il suo male diventasse ancor più doloroso e richiedesse nuovi interventi e qualora Welby, come suo diritto, li rifiutasse, lo avverte che i medici non potrebbero neanche in quel caso estremo procurargli una buona morte ma assisterebbero impotenti alla sua fine straziante pur di non interrompere "anzitempo" una vita.
Nelle stesse ore il Papa ribadiva, parlando ai giuristi cattolici, il fermo divieto all´eutanasia. C´è da giurare che il cosiddetto laicato cattolico impegnato politicamente farà rispettare in Parlamento i dettati vaticani.
Che dire di quella lettera a Welby dal presidente della commissione parlamentare Sanità, eletto nelle liste dell´Unione? Che dire della crudeltà mentale di cui è intrisa?
Le sofferenze di Welby e dei tanti che si trovano nelle sue condizioni pesano come la sabbia di tutti i mari. E le parole barcollano.

* * *

Gesù di Nazareth, figlio dell´uomo, fece risorgere Lazzaro dal sepolcro e sciolse le bende funebri che lo avvolgevano. La vita buona e la buona morte erano il messaggio che ha lasciato al mondo. Un messaggio di misericordia e di pietà. Accettò d´esser crocifisso affinché nessun altro uomo lo fosse, né nell´anima né nella carne.
Noi vorremmo che il Papa parlasse di questo con parole d´amore e di pietà, non di divieto. Vorremmo che invitasse a sciogliere le bende di Welby e non che gliele stringesse intorno al corpo. Vorremmo che ricordasse dall´alto del suo magistero che Gesù di Nazareth profetizzò la resurrezione dei corpi, per dire che il corpo d´un uomo è sacro e dev´essere rispettato nella sua sacralità e dignità e non inchiodato ai suoi dolori. Vorremmo infine che fosse il capo d´una religione d´amore e non di un´ideologia che esalta il dolore inutile e dissacrante.
Noi non credenti a questo crediamo e per questo ci battiamo nei giorni della Natività di Gesù di Nazareth.

(da "la repubblica" del 21 dicembre 2006)


sa che cosa vorrei io, caro scalfari? semplice: mi piacerebbe che un ateo, come lei, si astenesse dalla tentazione di insegnare al papa il suo mestiere. dica cio' che le pare, ma non abbia la presunzione di conoscere il Vangelo meglio del pontefice.
che cosa vorrebbe? le piacerebbe che il papa si schierasse per l'eutanasia? perche' si stupisce del fatto che, di fronte ai giuristi cattolici, abbia condannato questo atto di morte?
che cosa pretende, scalfari? vorrebbe un papa silente, appiattito sulla posizione dei radicali (gli stessi che profanano i presepi)?
sinceramente, caro scalfari, non capisco ne' il senso ne' l'utilita' del suo editoriale. mi sembra che lei abbia il dente avvelenato con papa ratzinger perche' non ubbidisce e non tace.
si rassegni perche' egli non se ne stara' in un angolo a compiangersi.
mettendo sullo stesso piano gli editoriali di magris, galli della loggia e scalfari, mi viene da fare una considerazione: in questi giorni si attacca il papa perche' e' troppo rigido e non concede nulla sul piano etico. lo si critica anche perche' non alza la voce per difendere le proprie idee e quindi appare sulla difensiva (wojtyla, invece, aveva piu' presenza scenica).
la verita', signori, e' che il papa vi fa paura, piu' di tutti i predecessori. perche'? ve lo dico subito: ratzinger non si accontenta di conquistare il cuore dei fedeli: egli vuole soprattutto la nostra testa! ecco la "il pericolo", ecco il timore laicista verso un papa che ci fa ragionare. ecco perche' lo attaccate ferocemente e lo offendete sul piano ANCHE personale.
il papa e', per voi, "pericoloso" perche', una volta conquistata la nostra testa, avra' per sempre anche il nostro cuore...

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 8.12]

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 8.14]

dipl
00giovedì 21 dicembre 2006 09:12
Re: due editoriali...

Scritto da: ratzi.lella 21/12/2006 7.49

sa che cosa vorrei io, caro scalfari? semplice: mi piacerebbe che un ateo, come lei, si astenesse dalla tentazione di insegnare al papa il suo mestiere. dica cio' che le pare, ma non abbia la presunzione di conoscere il Vangelo meglio del pontefice.
che cosa vorrebbe? le piacerebbe che il papa si schierasse per l'eutanasia? perche' si stupisce del fatto che, di fronte ai giuristi cattolici, abbia condannato questo atto di morte?
che cosa pretende, scalfari? vorrebbe un papa silente, appiattito sulla posizione dei radicali (gli stessi che profanano i presepi)?
sinceramente, caro scalfari, non capisco ne' il senso ne' l'utilita' del suo editoriale. mi sembra che lei abbia il dente avvelenato con papa ratzinger perche' non ubbidisce e non tace.
si rassegni perche' egli non se ne stara' in un angolo a compiangersi.
mettendo sullo stesso piano gli editoriali di magris, galli della loggia e scalfari, mi viene da fare una considerazione: in questi giorni si attacca il papa perche' e' troppo rigido e non concede nulla sul piano etico. lo si critica anche perche' non alza la voce per difendere le proprie idee e quindi appare sulla difensiva (wojtyla, invece, aveva piu' presenza scenica).
la verita', signori, e' che il papa vi fa paura, piu' di tutti i predecessori. perche'? ve lo dico subito: ratzinger non si accontenta di conquistare il cuore dei fedeli: egli vuole soprattutto la nostra testa! ecco la "il pericolo", ecco il timore laicista verso un papa che ci fa ragionare. ecco perche' lo attaccate ferocemente e lo offendete sul piano ANCHE personale.
il papa e', per voi, "pericoloso" perche', una volta conquistata la nostra testa, avra' per sempre anche il nostro cuore...

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 8.12]

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 8.14]





carissima ratzi.lella posso dire che ti STRAQUOTO!!! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
ratzi.lella
00giovedì 21 dicembre 2006 12:51
grazie dipl
ho appena saputo della morte di piergiorgio welby.
voglio esprimere tutta la mia vicinanza alla famiglia e prego il Signore, infinitamente misericordioso, affinche'lo accolga nella pace, dopo tante e prolungate sofferenze.
se verra' accertato che il suo medico ha staccato la spina per ucciderlo, dovra', a mio avviso, pagarne le conseguenze.
qui siamo di fronte ad un reato oltre che a un peccato...
il ministro bonino si dimetta immediatamente e i radicali escano dalla coalizione della maggioranza.
non si possono tollerare ulteriori giochetti sulla pelle di chi sta veramente male!

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 13.14]

ratzi.lella
00giovedì 21 dicembre 2006 12:54
sulle polemiche di ieri...
Gay nel presepe, bufera alla Camera
Blitz dei Radicali. I cattolici dei due poli: offesa la cristianità

Il Papa all´udienza in San Pietro: la Natività elemento importante della nostra cultura
Il ministro Bindi: addolorata come cittadina. Bertinotti: usata scorciatoia sgradevole
Forza Italia e An: è uno sfregio. Udc: bravata ottusa. Lega: deriva zapaterista
Collocate statuine simbolo di due coppie omosessuali, tolte dopo pochi minuti

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Le due coppie di Barbie e Ken non potevano e non dovevano passare inosservate. Piazzate com´erano nel bel mezzo del presepe romano ottocentesco voluto dal presidente Bertinotti tra l´ingresso di Montecitorio e il Transatlantico. Non era solo un conflitto di stili, il fatto è che la bionda stava con la bruna e lui con l´altro. Al collo, cartelli pro-Pacs. Insomma, due coppie omosessuali adagiate da due deputati della Rosa nel pugno, Bruno Mellano e Donatella Poretti, a turbare la scena della Natività e tenere alta così la tensione sulle coppie di fatto e sulla necessità della legge rivendicata dall´ala laica del Parlamento.
Neanche a dirlo, nel clima già arroventato attorno ai temi etici, l´episodio ha scatenato una bufera, suscitato l´indignazione del centrodestra, la presa di distanza dei cattolici anche dell´Unione, la reazione piccata del presidente della Camera. Tanto più che tutto questo accedeva pochi minuti dopo che Papa Benedetto XVI, da San Pietro, tornava a parlare del valore del presepe, definendolo «elemento importante» della spiritualità cristiana, ma anche «della nostra cultura e dell´arte». In giornata anche l´Avvenire, quotidiano dei vescovi, aveva tuonato contro «chi vorrebbe sbaraccare il presepe perché dà fastidio, chi vorrebbe ficcarci ogni stupidaggine gli viene in mente». Ma proprio dopo che il Pontefice raccontava ai settemila fedeli riuniti nell´aula Paolo VI come sperasse «che un elemento così importante continui ad essere un semplice ed eloquente modo per ricordare colui che è venuto ad abitare in mezzo a noi», il caso delle coppie gay (nel presepe) aveva già rotto la quiete prenatalizia di un´altra aula, quella di Montecitorio. Tanto più per i cartelli al collo delle coppie di Barbie e Ken. Quel «Anche in Italia il matrimonio gay come nella Spagna di Zapatero» esibito dalle due "lei" intruse e quel «Pacs now» dei due bambolotti sorridenti.
Sulla novità dissacrante i deputati di passaggio hanno potuto buttare un occhio solo per pochi istanti, giusto il tempo che un commesso si accorgesse di quanto stava accadendo, rimuovendo pupazzi e cartelli. Per gli artefici della trovata, Mellano e Poretti, il risultato era comunque raggiunto: «Abbiamo accompagnato due coppie gay vicino ai pastorelli. Il Parlamento approvi al più presto una legge per il riconoscimento delle unioni civili così come richiesto dalle coppie gay del presepio. È ingiusto che milioni di cittadini non possano vedere riconosciuti i loro diritti». La protesta però è scattata subito, trasversale. Le prime a intervenire sono state le deputate di Forza Italia. «È l´ennesimo attacco ai valori cattolici e alle nostre tradizioni, volgare e inaccettabile» hanno accusato Bertolini, Carlucci, Licastro e Paoletti». «Gesto blasfemo» per il forzista Alfano. Da lì a breve si sarebbe fatta sentire An, col portavoce Andrea Ronchi: «Uno sfregio ai milioni di fedeli». E la responsabile famiglie dell´Udc, Luisa Santolini: «Una bravata demenziale e ottusa». Più che indignato uno degli «atei devoti» di spicco, l´ex presidente del Senato Marcello Pera: «Episodio disgustoso». Per non dire della Lega: «Deriva zapaterista». Ma quanto accaduto non è piaciuto affatto neanche dentro la maggioranza. «L´inutile provocazione ci fa male prima ancora che come cristiani come cittadini» è stato il commento del ministro delle Politiche per la famiglia, Rosy Bindi. Episodio «di cattivo gusto» per la senatrice della Margherita Paola Binetti. Ma anche per la dipietrista Silvana Mura si è trattato di una «iniziativa fuori luogo che rischia di tradursi in un autogol». Il presidente Bertinotti ha confessato tutta la sua perplessità incontrando i giornalisti per gli auguri di fine anno: «Sono per il riconoscimento dei diritti di tutti ma non c´è nessuna ragione per provocare inutili e dannose discussioni sull´uno e sull´altro tema, entrambi nobili e che, attraverso scorciatoie sgradevoli, sono messi in conflitto l´un con l´altro». L´eco di quanto accadeva ha fatto presto a varcare il Tevere. «Il loro gesto si qualifica da solo, è da commiserare» commentava in serata inaugurando l´albero di Natale a Piazza San Pietro monsignor Giovanni Lajolo, governatore dello Stato della Città del Vaticano.

mi pare che essere addolorati non sia sufficiente...



L´INCONTRO
Il capo dei vescovi visita il presepe di Montecitorio prima di celebrare la messa per i parlamentari
Ruini da Bertinotti dribbla il caso poi Fisichella: gesto senza cultura
di ORAZIO LA ROCCA

ROMA - «Sì, so tutto...». Telegrafico, il cardinale vicario Camillo Ruini non concede di più alle polemiche esplose ieri intorno alle statuette gay infilate, provocatoriamente, nel presepe della Camera da due parlamentari della Rosa nel pugno. Apparentemente distaccato, riguardo al gesto del tandem Mellano-Poretti, anche il presidente dei deputati Fausto Bertinotti che, proprio ieri sera, ha ricevuto nel suo ufficio il cardinale Ruini per uno scambio di auguri natalizi prima della messa che il porporato ha celebrato nella chiesetta di San Gregorio Nazianzeno, la cappella di Montecitorio. Presenti al rito parlamentari cattolici di quasi tutti i partiti, sia del centrodestra sia del centrosinistra: dal premier Romano Prodi, con la moglie Flavia, all´ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, dal coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi al senatore a vita Giulio Andreotti. Nessuno, nel corso dell´incontro, ha parlato delle statuette "aggiunte" per promuovere i Pacs, ad eccezione del vescovo Rino Fisichella, cappellano di Montecitorio, il quale ha detto che «quando c´è poca cultura e non si ha più nulla da dire si ricorre allo scherno: va bene, ne prendiamo atto». Quanto agli autori del blitz, il vescovo ha notato che «dovrebbero avere in questo momento cose molto più importanti su cui pensare. Altrimenti dovremmo dedurre che la vita e la morte sia tutto uno scherzo. Invece non penso che questo sia la cosa più giusta».
Ruini è stato a colloquio nello studio di Bertinotti per una ventina di minuti. L´incontro è stato molto cordiale e disteso. I due hanno parlato un po´ di tutto. Il cardinale si è informato, tra l´altro, dei tempi dell´approvazione della Finanziaria. «Entro domani sarà tutto approvato e così tutti potremo trascorrere il Natale a casa», gli ha detto Bertinotti, che si è anche preoccupato di informare il porporato della sua iniziativa di «dotare della Camera dei deputati di uno spazio di meditazione interreligiosa aperto anche a non credenti» e di unificare le due biblioteche di Camera e Senato. Idee sulle quali il cardinale ha mostrato molto interesse. Durante la visita al presepe, sia Bertinotti che Ruini hanno parlato dei simboli del Natale «come espressione delle nostre radici a cui è significativo fare riferimento». Ancora Bertinotti ha chiesto al cardinale se «è più giusto dire presepe o presepio». «Si può dire in entrambi i modi, anche se nelle regioni del nord si dice più frequentemente presepe», è stata la risposta del porporato. Dopo l´incontro concluso con una calorosa stretta di mano sull´ingresso di Montecitorio, Bertinotti non ha partecipato alla messa, anche se negli ultimi tempi ha spesso confessato di essere «incuriosito» dalla fede. «Non vado - ha spiegato dopo aver salutato Ruini - perché un non credente rispetta anche così la fede degli altri». Al successivo rito natalizio il cardinale ha tenuto un´omelia nella quale ha invitato i parlamentari «a non avere paura di Cristo per fare il bene di tutti», evocando la famosa frase pronunciata da papa Wojtyla nel 1978 all´inizio del pontificato.

(da "la repubblica" del 21 dicembre 2006)

la frase "non abbiate paura di Cristo" e' anche di papa ratzinger...

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 13.01]

Sihaya.b16247
00giovedì 21 dicembre 2006 13:18
Re: sulle polemiche di ieri...

Scritto da: ratzi.lella 21/12/2006 12.54
Gay nel presepe, bufera alla Camera
Blitz dei Radicali. I cattolici dei due poli: offesa la cristianità




Non si rendono conto quanto queste pagliacciate danneggiano la comunità omosessuale. E' davvero uniniziativa "da compatire", come ha dichiarato il Cadinale...ehm non mi ricordo il nome! [SM=g27819] [SM=g27819]
LadyRatzinger
00giovedì 21 dicembre 2006 13:53
Re: sulle polemiche di ieri...

Scritto da: ratzi.lella 21/12/2006 12.54
Gay nel presepe, bufera alla Camera



Che tristezza... [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27812]
ratzi.lella
00giovedì 21 dicembre 2006 21:17
acuto editoriale...
Caso "Corriere": sui cattolici manca l'autocritica
di Michele Brambilla

Con un editoriale apparso ieri sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia ha detto una cosa che a molti pare evidente, ma che i grandi giornali laici non avevano mai avuto l'ardire di riconoscere: e cioè che nei media italiani i cattolici non contano nulla. La loro voce è silenziata, oppure ridotta al rango di presenza un po' naïf: bizzarra, goffa, residuo di un mondo sorpassato.

È un'affermazione che sorprenderà chi, al contrario, sostiene che in Italia la presenza della Chiesa è invece invadente. Ma Galli della Loggia argomenta benissimo ciò che vuol dire: è vero - spiega - che sui grandi temi i pareri della Cei o del Papa vengono puntualmente registrati; ma mancano gli interventi dei «militanti» cattolici, cioè dei giornalisti, degli intellettuali, degli uomini di cultura e soprattutto della gente comune.

I giornali danno dunque l'immagine di una Chiesa che è solo gerarchia, senza popolo. Ancor meglio l'editorialista specifica: "È nell'insieme, nella miriade di righe con cui sono confezionate le notizie, nel modo di presentarle che per la posizione cattolica e in genere religiosa c'è uno scarsissimo peso". Insomma: Galli della Loggia ha certificato (certe cose, se non sono stampate sul Corriere, non sono certificate) che in Italia l'informazione è dominata da un atteggiamento, più che laico, laicista.

Tuttavia, nel suo editoriale manca qualcosa di non secondario. Qualcosa che i cattolici chiamano "esame di coscienza", e i laici "autocritica". Magari un paio di righe per dire: noi del Corriere siamo tra coloro che hanno contribuito a questa "fortissima disparità" (parole di Galli della Loggia) "tra la presenza dei cattolici e quella dei laici".

Eppure sono passati solo pochi mesi dalla martellante campagna a favore dei quattro sì al referendum sulla procreazione assistita. Paolo Mieli annunciò che il giornale avrebbe appoggiato il sì (e ci mancherebbe che non ne avesse il diritto di farlo) ma aggiunse che il giornale avrebbe dato pari spazio a tutte le posizioni. Come andò? A noi pare di ricordare questo: che si facevano parlare i laici a favore del sì e i cattolici - andati a cercare con il lanternino - in dissenso con Ruini, e quindi anch'essi a favore del sì. Tanto per trovarne uno, il giorno del voto si andò a pescare uno sconosciuto curato di campagna che a una messa all'aperto con i ragazzi dell'oratorio aveva invitato, appunto, a votare sì. Sembra incredibile, ma quell'omelia finì in prima pagina. L'unico vero e forte intervento a favore dell'astensione lo scrisse, sul Corriere, un'atea dichiarata come Oriana Fallaci: e chi è del mestiere sa bene che fu lei a proporlo, anzi ad imporlo.

Ma se nella prima parte dell'editoriale di ieri manca un'autocritica, nella seconda appare un'argomentazione davvero sorprendente. Galli della Loggia scrive che i cattolici sono assenti dai giornali perché sono loro che non vogliono parlare. Si nascondono, dice. Attori, scienziati e letterati laici manifestano il proprio punto di vista "ad ogni pie' sospinto", ma non altrettanto fanno i cattolici.

Intendiamoci: in parte è vero. Ma siamo sicuri che tanto pudore non derivi dal timore, anzi dalla certezza, di venire prima ridicolizzati e poi emarginati? Provate a pensare al caso di Susanna Tamaro. Era coccolatissima dalle pagine culturali dei grandi giornaloni: è stata retrocessa al rango di novella Carolina Invernizio quando ha rivelato urbi et orbi di essere cattolica.

La verità è che per avere spazio su certi giornali i credenti debbono arruolarsi nelle file di quel cosiddetto "cattolicesimo adulto", che coincide poi con il cattolicesimo di sinistra, e che consiste alla fine nel dare sempre ragione ai laici e sempre torto alla Chiesa. Anche Galli della Loggia osserva che quel cattolicesimo finisce immancabilmente con "una sostanziale adesione al punto di vista laico". Lo aveva già notato Del Noce: "I cattolici progressisti sono più vicini ai progressisti non cattolici che ai cattolici non progressisti". Se ci sono dei cattolici che si vergognano nel dirsi tali, quindi, sono proprio quelli che sui mass media lo spazio lo trovano, eccome se lo trovano.

L'editoriale del Corriere di ieri era titolato "Una società senza cattolici". Occhiello: "La Chiesa c'è, ma le mancano i militanti". Questo è l'errore di fondo: parlare di un mondo che non si conosce. Chi vive chiuso in una biblioteca o in una redazione non si accorge che, ad esempio, ci sono due milioni di persone che ogni giorno ascoltano Radio Maria, e altri milioni che fanno parte di movimenti o gruppi di preghiera. Non è che non ci sono, i cattolici militanti: ci sono, ma in certi ambienti fanno tenerezza oppure ribrezzo. Ed è in quegli ambienti che si confezionano i giornali; ambienti in cui si pensa di conoscere il Paese reale e poi si resta di stucco se al referendum sponsorizzato da media, premi Nobel e show-girl va solo il venti per cento o poco più.

(da "il giornale" del 21 dicembre 2006)

[Modificato da ratzi.lella 21/12/2006 21.21]

TERESA BENEDETTA
00venerdì 22 dicembre 2006 02:35
SCOPRENDO L'ACQUA CALDA!
Occorre vedere lo svolgimento dell'argomento sopra...Il blog di Sandro Magister oggi (12/21/06) con un titolo molto ironico ci da lo sfondo...

Scoop del 'Corriere':
i cattolici non hanno voce


Ernesto Galli della Loggia ha toccato un nervo scoperto: l’assenza di voci cattoliche nella discussione pubblica. E l’ha fatto da un pulpito che più appropriato non poteva essere: il “Corriere della Sera”.

L’ha fatto con un lungo editoriale di prima pagina sul “Corriere” del 20 dicembre...“Una società senza cattolici”.

L’indomani, il quotidiano cattolico “Avvenire” ha dedicato alla questione sollevata da Galli della Loggia due pagine piene. Con commenti del direttore, Dino Boffo, e di cattolici di vario orientamento: da Vittorio Possenti a Enrico Berti, da Andrea Riccardi a Gaspare Barbiellini Amidei, quest’ultimo fino a due giorni prima vicedirettore del quotidiano di via Solferino.

Ma le cose più interessanti le ha dette su “Avvenire” un altro ex del “Corriere”: Giuseppe Baiocchi, già collega ed amico di Walter Tobagi, ucciso nel 1981 dalle Brigate Rosse. Baiocchi ricorda che il “Corriere” rifiutò di pubblicare un’intervista di Tobagi con fratel Carlo Carretto, in ossequio all’imperante cultura “libertaria e libertina” mirante ad espellere il fatto religioso dai media.

E altrettanto notevole è quanto ha scritto il 21 dicembre su “il Giornale” un altro ex giornalista del “Corriere”, Michele Brambilla.

Brambilla sottoscrive la tesi generale di Galli della Loggia. Ma con due obiezioni di peso.

La prima è che l’editorialista del “Corriere” ha evitato qualsiasi cenno al ruolo svolto dal proprio giornale nel produrre la lamentata “fortissima disparità” tra voci laiche e cattoliche.

La seconda obiezione riguarda i cattolici che per trovare spazio sui media dominati dal pensiero laico rinunciano ad esporre posizioni distintamente cristiane. È questo il caso dei cattolici “progressisti”. Gli altri cattolici, quelli che si esprimono come tali, non è vero che si autoimbavagliano, o litigano tra loro, o buttano tutto in politica: semplicemente sono messi a tacere perché “fanno tenerezza oppure ribrezzo”....

Ecco l'editoriale scritto da Della Loggia:

Una società senza cattolici
Dal "Corriere della Sera" del 20 dicembre 2006
di Ernesto Galli della Loggia


È fin troppo ovvio osservare che in un Paese come l'Italia una discussione sui temi bioetici (dalla fecondazione assistita all'eutanasia, fino in un certo senso ai Pacs), per non diventare un monologo, deve dare voce adeguata alla posizione dei cattolici.

Questa esigenza si scontra però con un ostacolo difficile da superare: vale a dire con la fortissima disparità che nel mondo italiano della cultura e della comunicazione - cioè proprio in quel mondo deputato a organizzare e animare la discussione pubblica - esiste, si può dire da sempre, tra la presenza dei cattolici e quella dei laici (uso per comodità questi due termini che richiederebbero, lo so, una lunga serie di suddivisioni e di specificazioni).

Se ai più le cose non appaiono stare a questo modo - anzi in modo opposto - è perché alla scarsa rappresentanza dei cattolici nella sfera comunicativo-culturale fa da contrappeso, viceversa, una loro ormai tradizionale fortissima presenza nella sfera politica, con un ruolo (si pensi alla senatrice Binetti) che oggi è addirittura divenuto quello di autentico ago della bilancia tra maggioranza e minoranza. Ma questa iperinfluenza politica (con relativa sovraesposizione) non cancella il dato del carattere assolutamente minoritario dei cattolici nella sfera della comunicazione pubblica e dei circuiti intellettuali.

I più diffusi quotidiani del Paese, le case editrici più importanti, gli spazi televisivi più ampi, vedono perlopiù una larghissima prevalenza di addetti ai lavori, di collaboratori, di autori, di uomini e donne di spettacolo e di intrattenimento, che sono ideologicamente e culturalmente lontani dalle posizioni cristiane e cattoliche in specie.

O meglio: personalmente, almeno in certi casi, magari possono anche non esserlo, ma - al contrario dei loro colleghi laici, i quali sono pronti a fare del proprio orizzonte ideale un motivo d'impegno e una bandiera - essi viceversa non sono per nulla disposti a far comparire nel proprio lavoro le loro personali convinzioni.

Il risultato è il tono massicciamente squilibrato con cui il mondo della cultura e della comunicazione rappresenta la realtà del Paese in tutte le sedi possibili, dal contenuto di un commento al titolo di una "breve", alla battuta di un reality.

Certo, in alcuni luoghi deputati ad hoc - per esempio negli editoriali, nelle dichiarazioni dei tg o nei dibattiti televisivi - la posizione cattolica o religiosa in genere è quasi sempre rappresentata più o meno nella stessa misura di quella laica (va tuttavia notata l'assenza costante, mi sembra, del punto di vista ebraico o protestante), ma è nell'insieme, nella miriade di righe con cui sono confezionate le notizie, nel modo di presentarle, nel succo che ne traggono i più disparati commenti nelle più disparate sedi, dalle rubriche alla posta dei lettori, è nel tessuto complessivo del discorso comunicativo e culturale, che invece per la posizione cattolica e in genere religiosa c'è uno scarsissimo posto.

Proprio nell'ambito decisivo, insomma, la "par condicio" diviene così un miraggio. Sebbene sia noto che su questi temi l'opinione pubblica è più o meno divisa a metà, di fatto, invece, nel circuito culturale e comunicativo i valori laici tendono a presentarsi come la norma assoluta, lo standard ideologico accettato e introiettato, mentre la prospettiva e i valori religiosi rischiano di essere virtualmente espulsi dal senso comune, di venire di fatto derubricati al rango di "opinione": ancora legittima, certo, ma già in partenza con le stimmate della minoritarietà; quasi al limite dell'eccentrico.

La sanzione definitiva di questo stato di cose si ha quando (sempre più spesso) a rappresentare il punto di vista cattolico i media chiamano un esponente della gerarchia o comunque del clero. Quale migliore riprova del carattere intimamente minoritario di quel punto di vista del fatto che esso si presenta come ormai ridotto a esclusivo appannaggio di un'ufficialità ideologico-burocratica (per giunta esclusivamente maschile!)? Cioè come qualcosa ormai fuori dalla vita vera, dalla normalità sociale vera?

In tal modo, tra l'altro, la Chiesa in quanto tale si trova sottoposta suo malgrado a una fortissima visibilità destinata a suscitare inevitabili tensioni politiche e ad avallare implicitamente l'idea che una discussione come quella sui temi bioetici, invece di riguardare due punti di vista, due mondi morali, entrambi ben presenti nel Paese, non sia altro, in realtà, che la lotta del Paese intero da un lato contro le ingerenze della Conferenza episcopale e del Vaticano dall'altro.

Sarebbe sbagliato, tuttavia, pensare che della condizione appena descritta la responsabilità ricada esclusivamente sull'industria culturale e sul sistema della comunicazione, magari governate da qualche oscuro disegno antireligioso-laicista.

Non è affatto così, non c'è alcun complotto. Una parte considerevole di responsabilità ricade piuttosto, semmai, sulla stessa cultura cattolica (se mi si passa la genericità del termine), sugli stessi uomini e donne di orientamento religioso che operano nella vita intellettuale, giornalistica e massmediatica del Paese. Innanzi tutto per il fatto già ricordato che perlopiù essi mostrano un'estrema riluttanza a far trasparire in pubblico, nel proprio lavoro, le loro personali convinzioni. Sicché, mentre è comunissimo che un attore, uno scienziato o un letterato di orientamento laico manifestino il loro punto di vista a ogni pie’ sospinto e su ogni argomento appena significativo, non esitando magari a polemizzare direttamente e aspramente con la gerarchia cattolica, è viceversa rarissimo che sul versante opposto accada qualcosa di analogo.

Capire perché le cose stiano così ci porterebbe troppo lontano, ma è certo che in questo modo, anche in questo modo, si realizza, non già l'espulsione della religione dalla sfera (istituzionale) pubblica, bensì qualcosa del tutto diverso e dagli effetti ben più gravi e illiberali: vale a dire l'espulsione di fatto della religione, dei suoi motivi e delle sue preoccupazioni, dalla sfera argomentativa e culturale della nostra società.

Ciò che ancor più contribuisce dall'interno a indebolire la voce cattolica nel dibattito pubblico italiano è poi la sua fortissima politicizzazione. Politicizzazione che si presenta sotto due forme: nei confronti della lotta politica vera e propria che accende il Paese, e nei confronti dello scontro ben più complesso, ma alla fine anch'esso trasferibile in termini politici, che caratterizza non da oggi le fila della stessa Chiesa.

È una politicizzazione, sia chiaro, che riguarda il mondo culturale del laicato cattolico italiano nella sua interezza ma, siccome anche in esso vi è una prevalenza della parte orientata a sinistra, è il comportamento di questa sua sezione che finisce per avere più influenza, per dare il tono alla situazione generale. Ora, l'impressione che abitualmente dà questo mondo cattolico laico che si vuole "progressista" è che ogniqualvolta si crea un contrasto tra il suo schieramento politico di riferimento e il proprio orientamento religioso - specialmente se questo dà luogo a una presa di posizione della gerarchia - l'orientamento religioso fatichi moltissimo a esprimersi, e la via scelta divenga perlopiù quella di un imbarazzato silenzio. Ovvero, come anche spesso accade, di una contrapposizione polemica alla gerarchia stessa: contrapposizione che nel dibattito pubblico è immediatamente interpretata e/o presentata come una sostanziale adesione al punto di vista laico.

Ciò che invece indebolisce la voce dell'altro versante del mondo intellettuale cattolico - quello che si oppone al "progressismo" - è l'alto grado di esasperato personalismo che sembra caratterizzarlo. Il ridotto spazio sociale che esso ha a disposizione sui giornali, nel mercato editoriale, nell'ambito universitario come in quello televisivo, accende qui contese e gelosie aspre, ripicche e idiosincrasie, che accentuano ancor più la debolezza complessiva di quella voce, rendendo quanto mai raro, anche tra coloro che condividono una stessa visione delle cose, quel gioco di squadra che invece sembra riuscire ottimamente alla parte laica.

La quale finisce in questo modo per riportare una vittoria troppo facile che, come si è già visto in occasione del referendum sulla legge 40, rischia poi di essere smentita clamorosamente dall'opinione del Paese.

E abbiamo gia visto l'articolo di Brambilla. Ovviamente, ci sono anche tante dichiarazioni e conclusioni fatti da Della Loggia che bisogna discutere. Spero che l'hanno fatto gli articoli nell'Avvenire che non ho pouto leggere ancora...

SUOR TERESA BENEDETTA
Ordine Benedettino delle Suore
delle Sante Coccole al Romano Pontefice





TERESA BENEDETTA
00venerdì 22 dicembre 2006 02:57
ALCUNI DEGLI ARTICOLI SUL CASO 'CORRIERE' NELL'AVVENIRE DAL 21 DECEMBRE 2006

Prima, un riassunto dei punti principali fatti da Della Loggia:

La grande questione


L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera» di ieri, è una riflessione sullo spazio dei cattolici, soprattutto laici, all’interno del dibattito culturale, politico e sociale nel nostro Paese.

Lo storico individua una scarsa visibilità della voce cattolica, osservando una «fortissima disparità che nel mondo italiano della cultura e della comunicazione esiste tra la presenza dei cattolici e quella dei laici».

Una disparità che non si estende alla politica – dove anzi per Galli della Loggia c’è una «ormai tradizionale fortissima presenza (con relativa sovraesposizione)» – ma che non intacca il fatto che «i più diffusi quotidiani del Paese, le case editrici più importanti, gli spazi televisivi più ampi, vedono perlopiù una larghissima prevalenza di addetti ai lavori ideologicamente e culturalmente lontani dalle posizioni cristiane».

Anche quando così non è, tuttavia, e i protagonisti sono personalmente vicini alla fede, «al contrario dei loro colleghi laici, i quali sono pronti a fare del proprio orizzonte ideale un motivo d’impegno e una bandiera, essi viceversa non sono per nulla disposti a far comparire nel proprio lavoro le loro personali convinzioni».

Se negli spazi espressamente dedicati al confronto tra punti di vista «la posizione cattolica è quasi sempre rappresentata, nel tessuto complessivo del discorso comunicativo e culturale per la posizione cattolica c’è uno scarsissimo posto» e «i valori laici tendono a presentarsi come la norma assoluta».

Sottoprodotto di questo atteggiamento distorto della comunicazione di massa è, per lo storico, la sovraesposizione della gerarchia ecclesiastica. Generalmente, infatti, a rappresentare il punto di vista cattolico è chiamato – quando è chiamato – un sacerdote o un vescovo, con il duplice effetto di fornire una «riprova del carattere intimamente minoritario di quel punto di vista», e di «suscitare inevitabili tensioni politiche».

L’editorialista del «Corriere» individua anche una debolezza «dall’interno» della voce cattolica: «la sua fortissima politicizzazione». Se il cattolico "di sinistra" «ogniqualvolta si crea un contrasto tra il suo schieramento e il proprio orientamento religioso» è questo a soccombere, e la scelta è «perlopiù quella di un imbarazzato silenzio», quello "di destra " si macchia viceversa «di esasperato personalismo», con «contese e gelosie aspre».

La denuncia di Galli della Loggia si chiude con un’osservazione che coinvolge più in generale il rapporto tra l’intero sistema dei mezzi di comunicazione di massa e la società italiana: «La parte laica finisce in questo modo per riportare una vittoria troppo facile che, come si è già visto in occasione del referendum sulla legge 40, rischia poi di essere smentita clamorosamente dall’opinione del Paese».

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Poi, il commentario del direttore dell'Avvenire:

PROVOCAZIONE UTILE:
MA SUL TAVOLO TUTTE LE DOMANDE

Dino Boffo

Nessun vittimismo. Dinanzi all’editoriale dal titolo: "Una società senza cattolici", pubblicato ieri sulla prima pagina del Corriere a firma del professor Ernesto Galli della Loggia, l’ultima cosa sensata e utile sarebbe chiudersi a riccio, magari risentiti.

Vogliamo invece considerarla una provocazione che apre al dibattito certamente esterno, per esempio nell’ampio mondo cattolico, ma anche – speriamo – all’interno del Corriere. Comprese la sua redazione e la compagine azionaria, esattamente come questa redazione e gli editori di questo giornale acconsentiranno di ragionare sulle note del citato editoriale.

Gli spunti per un dibattito serio e onesto non mancano. Che non ci sia par condicio sui media nazionali, a proposito del pensiero pubblico dei cattolici, non ci piove. Così come sarebbe difficile negare che i cattolici stessi non sono adeguatamente presenti nel mondo mediatico e nella cultura pubblica. Tutto vero.

Ma perché? Perché questa "fortissima disparità", questo "posto scarsissimo" e "massicciamente squilibrato"?

Una simile diagnosi – tanto spietata – difficilmente potrebbe spiegarsi solo con una soggettiva latitanza di firme cattoliche, o con la loro eccessiva politicizzazione. Anche questo c’è, sacrosanto.

Eppure, una nuova leva di comunicatori cattolici sono già all’opera o si sta preparando nei molteplici laboratori dell’arcipelago cattolico, giovani professionisti che avendo conosciuto i fondali della secolarizzazione si pongono nel circuito mediale senza complessi, in termini assolutamente propositivi. Si pensi solo al numero di giovani redattori che da questo quotidiano sono passati al Corriere negli ultimi dieci anni.

Voglio cioè dire che c’è un’aria nuova, e una disponibilità inedita al confronto ragionato, a partire dalla nostra specifica sensibilità, e senza avere in uggia – anzi ospitando e forse fin troppo coccolando – voci laiche maschili e femminili che si offrono alle nostre pagine.

Sì, esploderà fino ad imporsi, un giorno non lontano, questo nuovo stile di comunicazione diventato familiare ormai in casa cattolica. Seppur volentieri snobbato all’esterno, perché tanto si preferiscono i vecchi interlocutori, rassicuranti e politicamente corretti. Gli scorretti, se sono educati, chi li sta a sentire?

Ma intanto. Intanto qualche domanda bisogna porla. Del tipo: perché nell’evocazione dei fenomeni d’oggi a condurre le danze è sempre il caso pietoso, la denuncia arrabbiata, lo scandalismo facile, l’aggressione a danno del credo cattolico?

E perché nelle redazioni blasonate ogni sospiro pannelliano è raccolto, enfatizzato, commentato, e per giorni e giorni non abbandonato
?

E magari quando ci si decide a "cerchiobattere" allora si cerca ansiosamente uno zucchetto cremisi, perché di laici cattolici non ce ne sono? Pigrizia di cercare, di stabilire legami freschi, altroché.

Molto acutamente l’illustre editorialista sottolinea il ruolo chiave che i cattolici finiscono per assumere nello scenario politico attuale, a differenza dell’insignificanza mediatica.

E cita l’esempio della senatrice Paola Binetti. La quale, guarda caso, fino alla primavera scorsa era presidente di Scienza & Vita. Provi, professore, a chiedere alla senatrice-ago della bilancia quante volte fu cercata o ospitata nelle pagine – che so – del Corriere durante i lunghi mesi del confronto referendario.

Non sarà che, nei giornali, proprio la politica è il chiodo fisso e unico, a scapito dell’ampissimo emisfero sociale, dove guarda caso i cattolici imperversano fin troppo?

Ci tranquillizza, professore, che lei sia convinto che non c’è un oscuro disegno anti-religioso. Non c’è né ci può essere, avverte lei con sicurezza, benché la sua affermazione arrivi nel momento esatto in cui un editorialista famoso e cattolico emigra in altro giornale per poter scrivere.

Ma che ci sia almeno un’allergia verso i cattolici, ce lo concede? Non aggiungerò che si tratta spesso di un’allergia sottile e inesorabile, perché non voglio neppure per un istante cullarmi nel vittimismo. La realtà però è anche questa. E tacerlo sarebbe far torto ai nostri stimati interlocutori.

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Forse, questo mi piaceva di piu!


Barbiellini Amidei:
«Squilibrio fatto di scelte»

«L’intelligenza delle argomentazioni dei cattolici infastidisce,perché gli opinionisti che credono in Dio colgono meglio il senso comune»

Di Paolo Viana

«Che i cattolici abbiano uno spazio e un ruolo nella società italiana lo dimostra il fatto che il Corriere della Sera sente il bisogno di dedicarci un editoriale così benevolo».

Punta lo spillo dell'ironia, Gaspare Barbiellini Amidei, sul giornale di cui è stato vicedirettore vicario ed editorialista per molti anni, oltre ad aver diretto Il Tempo.

Senza esitazioni, usa il noi per parlare di quei cattolici che ha raccontato, criticato e idealmente rappresentato, per anni, in via Solferino.

Ieri, il giornale milanese ha denunciato la disparità tra il loro peso politico e la presenza «nel circuito culturale e comunicativo», accusandoli di non «far comparire le loro personali convinzioni».

Un affondo che arriva, curiosamente, all'indomani dell'uscita di Barbiellini Amidei dalla "scuderia" degli editorialisti del Corriere. Da martedì, l'ex vicedirettore scrive infatti per il Quotidiano Nazionale.

Inutile chiedergli come sia finito l'amore con la sua storica testata - «sono un uomo di altri tempi, non amo il gossip» ribatte - ma non nasconde le sue perplessità di fronte all'analisi firmata da Ernesto Galli della Loggia.

I cattolici sono rimasti veramente senza voce in Italia?
«Negli ultimi dieci anni sicuramente no; è in corso un risveglio che ha già portato i giornali che si richiamano alle radici cristiane a recuperare lo spazio perduto.

Mentre un decennio fa, parlando di stampa cattolica si pensava ai giornali francofoni, oggi Avvenire è Le Monde cattolico e viene tenuto in grande considerazione dalle rassegne stampa (penso a quella, ottima ma davvero laica, del Gr 3) oltre che dai lettori, per i suoi contenuti, perché è documentato, perché approfondisce temi che l'altra stampa, spesso vittima della propria pigrizia, tralascia.

Questo risveglio non si ferma solo all'ambito dei giornali: non dimentichiamo che l'Università Cattolica possiede una delle scuole di comunicazione più importanti d'Europa e che vi insegna Aldo Grasso, autorità indiscussa in materia televisiva. Come sa bene il Corriere».

Da cattolico e da giornalista, si sente «espulso di fatto dalla sfera argomentativa e culturale», come scrive Galli Della Loggia?
«Io, sinceramente, quest'assenza della visione religiosa dai giornali e dalla società italiana la vedo solo parzialmente. Semmai c'è il fastidio, una specie di allergia di certi ambienti, che mi ricordano la cultura massonica della P2, verso quelle culture che pongono a bilancio anche l'Eterno».

Cosa infastidisce di più?
«L'intelligenza delle argomentazioni dei giornalisti cattolici. Il loro modo di raccontare la verità. Gli opinionisti che credono in Dio, solitamente, riescono a cogliere quello che Gramsci definiva il senso comune, anche perché non hanno riserve mentali criptoanticlericali».

Da editorialista si è mai sentito fastidioso per una direzione?
«Taluni argomenti per gli editoriali che proponevo non trovavano spazio, o erano già stati affrontati da altri. Ma in un giornale decide il direttore, sono le regole del gioco».

Dove si esprime il fastidio anticattolico?
«Può esprimersi in ogni parte del giornale, perché le notizie che appaiono - o non appaiono - non sono mai casuali. Se non c'è par condicio, questo non è il portato di una situazione storica e sociale, ma il frutto di scelte precise. Nulla di quel che avviene nei media è casuale».

Ai cattolici serve la par condicio?
«Non ci servono quote "bianche". L'obiettivo dev'essere la libertà di espressione, poter fornire la propria opinione senza essere chiusi nella riserva indiana. Malcostume sarebbe chiedere a un giornalista se crede in Dio. Io, da direttore, non ho mai chiesto a nessuno se credesse in Dio, in Marx o anche soltanto in se stesso».

Le hanno mai impedito di scrivere in piena coerenza con la propria fede?
«No, ma talvolta i condizionamenti al silenzio sono stati forti, anche se le soddisfazioni non sono mancate».

Cioè?«Faccio solo un esempio. Quando ho scritto sul caso Welby, il presidente Napolitano e l'ex presidente Scalfaro si sono complimentati sia con me che con il Corriere».

Quali sono i temi religiosi che piacciono ai giornali laici?
«Spesso preferiscono limitarsi ai miracoli o presunti tali, ai sentimenti religiosi intensi, a un certo cattolicesimo "estremo", che si legge tutto d'un fiato e non spiazza i laicisti con le armi della ragione, oltre che con quelle della fede».

Ci faccia il nome di un cattolico "pericoloso", che sa usare bene queste due armi.
«Joseph Ratzinger».

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DIBATTITO
L’editoriale di Galli della Loggia pubblicato ieri dal «Corriere della Sera» accusa: la voce dei cattolici è messa ai margini dell’opinione pubblica. Di chi la responsabilità?

La cultura? Non è fatta solo dai media -
È facile identificare i credenti con le incursioni sui giornali o in tv di qualche prelato, in realtà questo popolo non è affatto succube di un sistema mediatico che tende a zittire chi non la pensa con la vulgata laicista. Su questo dovrebbero interrogarsi anche i «maitres à penser»


Di Davide Rondoni


Ieri sul "Corriere della Sera", Ernesto Galli della Loggia con paziente intelligenza si dedicava a un tema non nuovo ma sempre intrigante per il giornalismo italiano. Vale a dire: come stanno i cattolici?

Come il principe che ogni tanto scende e passa in rassegna i suoi sudditi, oppure il suo orto, il Principe dei Giornali si domanda: e i cattolici, come se la passano? Un po' come se si chiedesse: e come vanno i peperoni quest'anno?

L'esame di Galli è acuto, individua problemi veri. Come il minor entusiasmo militante di presenza cattolica nella cultura rispetto a tanti laici, spesso propagandisti della loro antireligiosità. O come la tendenza a ridurre il popolo cattolico a qualche sovraesposizione mediatica di prelato, letta sempre in chiave politica e culturalmente antimoderna.

Galli conclude che c'è una falla culturale. La causa non è per lui in un complotto laicista ma in una debolezza del popolo cattolico. Ben rapresentati in politica, i cattolici sono poco presenti in cultura. Un poco "murbi", come diciamo in romagna, tardoni. Analisi sincera e anche venata da affetto.

Di fatto, però, non centra il bersaglio vero. Per due motivi. Innanzitutto, il suo editoriale doveva scriverlo come lettera aperta al suo Direttore. Il quale non è un complottista anticattolico, ma di certo risponde, e bene, a un potere culturale ed economico che offre una rappresentazione della realtà in cui il punto di vista religioso è trattato molto spesso coi limiti che Galli evidenzia. Un editorialista cattolico come Barbiellini Amidei ha proprio l'altro ieri traslocato da quel giornale ad altro.

Secondo motivo: ridurre la cultura a certa editoria è un po' limitante. È fin troppo facile dire che i cattolici nel nostro paese hanno raramente accesso a tv e a editori più noti. A parte il fatto che esistono notevoli e diffuse eccezioni, e gravi censure, il punto è oggi un altro: siamo sicuri che quella editoria, quei programmi e quei quotidiani rappresentino davvero il paese e orientino il sentire comune?

Galli stesso ricorda la clamorosa sconfitta del Sì al referendum sulla fecondazione, che fu sconfitta pure di tutta l'editoria maggiore italiana. Quel referendum e molti altri fenomeni, alcuni gravi, altri strani e simpatici, mostrano che proprio coloro che ritengono d'essere la coscienza critica del paese sono spesso superati da ogni lato. Che il cosiddetto sistema culturale (quello dove i cattolici contano poco) è andato in crisi.

Forse più che una questione cattolica, esiste una questione culturale nel Paese. Lo stesso "Corriere della Sera" è ora distribuito anche in versione free-press nelle metropolitane per inseguire certi prodotti e far lievitare le tirature. I più noti settimanali d'opinione vendono molto se allegano video o gadget. Le librerie Feltrinelli affittano le proprie vetrine, in pura logica commerciale.

E come opinionista conta più Claudio Magris, lo Zoo di radio 105 o Radio Maria? Dilagano fenomeni culturali svincolati dai canali tradizionali. D'altro lato, nel campo della educazione, dove i cattolici hanno genio ed esperienza, un compatto fronte laicista vieta una vera libertà. Chiarire tale contesto rende più alta la sfida contenuta nelle parole di Galli.

La fede non è "una" cultura. Tra poco è Natale, Cristo nacque in un caos come questo, e non esordì chiedendo una rubrica in terza pagina, ma mutando l'acqua in vino, l'insapore in gusto. Una fede che non diventa cultura muore. Cultura, tuttavia, non vuol dire solo libri o titoli su certi giornali: vuol dire senso critico e gusto della esistenza.

E il cattolicesimo è stato vivo sempre - e lo sarà - per l'insorgere di santi imprevisti, per la compagnia alla speranza di uomini e donne. Per la intelligenza e la fede, nei saggi e negli incolti, dinanzi ai fatti della vita.
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Va bene l'argomentazione di Rondoni, ma quella 'cultura' riferito da Della Loggia si capisce che e la 'cultura' proiettata dai media dominanti, non la vera cultura intera.

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BAIOCCHI:
«C'è egemonia sessantottina»

Paolo Lambruschi


Anche al cattolico Walter Tobagi il Corriere non pubblicò mai un'intervista a tema religioso. Lo ricorda il giornalista Giuseppe Baiocchi, oggi alla Rai dopo una parentesi da direttore del quotidiano leghista La Padania, ma che dal 1977 al 1999 fu in forza al quotidiano di via Solferino.

Che, a quanto pare, nonostante ieri rimarcasse nel suo fondo di prima pagina l'assenza dei giornalisti cristiani nei media laici, non rende la vita facile ai professionisti che dichiarano pubblicamente la propria fede religiosa.

Il prossimo gennaio verranno pubblicati gli atti del convegno «Tobagi testimone cristiano», tenutosi lo scorso maggio nella parrocchia milanese del Rosario, alla cui comunità apparteneva il giornalista del Corriere ammazzato nel 1981 dalle Br.

«Dove è riportato un lungo colloquio del 1979- ricorda Baiocchi, collega e amico di Tobagi - tra Walter e fratel Carlo Carretto, entrato nei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld e che nel 1948 fu il presidente dei giovani di Azione cattolica. Fu per lui una grossa amarezza. Doveva diventare un'intervista, ma il suo quotidiano non gliela volle pubblicare. In quel frangente Tobagi mi confidò la sua preoccupazione per la tendenza in atto che gli pareva inarrestabile».

Vale a dire?
«L'espulsione del fatto religioso dalle redazioni. Aveva ragione. Lo colpiva questo paradosso: nel mondo della notizia veniva emarginata la buona notizia. Era a disagio. Il Corriere è sempre stato di orientamento laico, ma rispettoso della Chiesa e della cultura cattolica».

Cosa ha determinato il cambiamento?
«Secondo Tobagi l'egemonia della cultura sessantottina, libertaria e libertina. Era un convinto fautore della presenza di credenti in via Solferino, pensava che la professione di cronista fosse adatta ai cristiani. In fondo, diceva riferendosi al Vangelo, Gesù diceva alle folle: venite e vedete. E questo non è il nostro mestiere?»

In 22 anni di attività lei è stato testimone di altri episodi che testimoniano l'emarginazione di giornalisti cattolici nel più grande quotidiano del Paese?
«In generale, nella scelta dei temi che interessavano il mondo cattolico, si è scivolati verso quelli più strumentalizzabili. Magari sottolineando le polemiche interne ecclesiali negli anni Settanta e Ottanta, poi assumendo posizioni preconcette sui temi della morale e dell'etica. Ero nel comitato di redazione e all'epoca dichiararsi cattolico era un'etichetta negativa. Eravamo una decina al Corriere, tutti abbiamo avuto problemi».

E oggi?
«Rispondo con le parole di Giorgio Rumi: non bisogna fare giornalismo cattolico, ma il cattolico deve fare bene il giornalista. Insomma la condizione del credente non è ragione di privilegio né di condanna. Nel mondo giornalistico e culturale si è invece diffuso un pregiudizio anticristiano radicato da quando i leader sessantottini hanno scalato i vertici dell'informazione in Italia».

[Modificato da TERESA BENEDETTA 22/12/2006 4.11]

TERESA BENEDETTA
00venerdì 22 dicembre 2006 03:41
CONTINUANDO CON GLI ARTICOLI D'AVVENIRE DEL'21 DECEMBRE 2006 SUL 'CASO CORRIERE':

Sull'accusa dei 'cattolici afoni':

Andrea Riccardi:
«La cultura religiosa
è un collante del Paese»

Di Paolo Lambruschi

Saranno esclusi dai salotti che fanno tendenza e opinione. Ma i cattolici capaci di pensare e operare sono una risorsa per il paese.

Per lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, le affermazioni contenute nell'editoriale di Galli della Loggia sono l'occasione per ribadire alcune cose importanti.

«Anzitutto esiste un'intellettualità cattolica radicata nella profondità del Paese, nelle sue tradizioni, in città come in provincia, che ha un rapporto vivace con la complessità del cattolicesimo di popolo e che ha fatto un grande cammino culturale negli ultimi vent'anni. Ci sono insomma cattolici che pensano e cattolici che operano ed è una peculiarità interessante».

La cultura cattolica sarebbe irrilevante in Italia, è in sostanza l'accusa di Galli della Loggia. Professore, è d'accordo?
«Il rischio dell'irrilevanza è sempre presente. E bisogna analizzarne le ragioni, ma senza drammatizzare. Mi sembra invece che la nostra cultura abbia resistito al marxismo, il quale aveva decretato la morte della religione. Negli anni Settanta pochi nelle università investivano per esempio sul mondo e la cultura religiosa. Oggi, invece, ci si rende conto di come nel mondo contemporaneo il fatto religioso sia centrale e qualificante».

Ma non c'è un problema di «timidezza» del laicato cattolico, come sostiene Galli della Loggia, mentre i laicisti non hanno paura di esprimere con forza le proprie convinzioni?«Bisogna vedere chi sono questi non cattolici. Ce ne sono di timidissimi perché hanno poco da dire. Altri per nulla timidi, ma privi di pensiero. Infine ci sono persone equilibrate con molte idee».

Anche di cattolici ce ne sono di tutti i tipi e non sarebbero molto bravi nel gioco di squadra, secondo l'editorialista del «Corriere»...
«Ma mi sembra che sul fatto religioso hanno compiuto un lavoro talmente sodo che oggi tutti lo ritengono un elemento rilevante della cultura del nostro tempo. E poi gli intellettuali laici, a parte qualche cordata, vanno in ordine sparso. Mi pare invece che se uno fa riferimento al vissuto cristiano, un po' di gioco di squadra lo deve fare per forza».

Lei ritiene troppo politicizzato questo mondo cattolico pensante ed operante nella società?
«No, trovo che politicamente non sia molto rilevante. Forse alcune personalità episcopali sono più rispettate dall'establishment, però è relativo.

La mia sensazione era che fosse molto più politicizzato vent'anni fa. Quando parliamo di cultura dei cattolici, oggi questa è anche fatta di cultura religiosa, di temi e problemi purtroppo espulsi dall'università italiana. Invece è parte integrante del tessuto che fa da collante alla cultura nazionale».

Però non «buca» nei media, nei dibattiti televisivi...
«E ciò fa riflettere sulla qualità dei grandi media dove vengono discriminati i cattolici. Non lo dico per vittimismo, è oggettivo. Tuttavia i cattolici italiani dimostrano una tale solidità su alcuni temi e problemi dovuta all'educazione, alla ricerca e produzione di cultura che nel nostro mondo si continua a fare. Anzi, è migliore di vent'anni fa, una riserva culturale per il Paese».
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Ma i giornali laici
non ci raccontano

Vicende come quelle dell’eutanasia rivelano:il silenzio spesso è frutto di vere censure
Di Umberto Folena


Questi cattolici. Sono loro afoni, incapaci di dotarsi di adeguato microfono, oppure qualcuno gli sta tagliando la corrente? Insomma, chi è il vero responsabile del black-out?

Non chiedetelo a Bruno Dallapiccola e Maria Luisa Di Pietro di Scienza & Vita. Per quanto dotati di senso dell'umorismo, non troverebbero la domanda spiritosa.

Il 20 novembre il "Corriere della sera" dedicava un'intera pagina, con partenza in prima, a un'inchiesta effettuata in Belgio sulla locale legge sull'eutanasia.

Due giorni dopo, nella pagina delle Lettere del "Corriere della sera", i lettori dotati di binocolo potevano leggere:

«Ci rammarichiamo che, ancora una volta, pur avendo dato ampio spazio al commento della Fondazione "Luca Coscioni", non sia stata interpellata ad esempio l'Associazione Scienza & Vita che sostiene un punto di vista diverso ma altrettanto legittimo.

"Ci rammarichiamo anche del fatto che, in un articolo dal tono informativo, siano state date notizie inesatte (…). È evidente come la distorsione di queste informazioni vada tutta nel senso di presentare l'eutanasia come una scelta in un certo senso "obbligata"». Firmato: Dallapiccola e Di Pietro.

La pagina delle Lettere, lei sì, è assai ospitale. Accoglie perfino Claudio Magris, di solito prestigiosa firma di prima pagina, quando costui vuole far conoscere che accanto a Welby, che chiede di morire, ci sono anche Melazzini e i suoi amici dell'Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), che chiedono di vivere meglio, pur nella malattia. Eppure si dedicano energie e pagine soltanto a chi vuol morire… Magris non si lamenti.

Gli risponde perfino Sergio Romano, che gli dà ragione, poi però parla soltanto di Welby e conclude: «Non si deve difendere il diritto alla morte senza fare altrettanto, con eguale energia, per il diritto alla vita». E quell'"eguale energia", Romano ci scusi, sa di beffa.

Cattolici afoni? A Verona erano a migliaia, da tutta Italia. Giornate intense a parlare di Vangelo e affetti, lavoro, fragilità, tradizione, cittadinanza… Nella prospettiva della speranza.

Eppure chi, cattolico o laico, si illude di tenersi informato leggendo i giornali, che cosa viene a sapere? La sintesi è sbrigativa: a Verona i cattolici italiani avrebbero parlato di politica, concludendo che gli ultimi dieci anni sono stati un completo fallimento.

Incredibile? Ecco come i quotidiani del 21 ottobre titolavano sul discorso conclusivo del cardinale Ruini.

Corriere: «"I cattolici non sono riusciti a trovare unità sui valori"».
Repubblica: «"Fallita l'unità dei cattolici in politica"».
Stampa: «Ruini: fallito il piano di unire i politici cattolici sui valori».
Libero: «Cattolici uniti in politica. Ruini: un sogno fallito».
Mattino: «Ruini: fallita l'unità dei cattolici in politica».
Messaggero: «"Unità politica sui valori, obiettivo mancato"».

Ruini aveva detto il contrario, il testo era (ed è) a disposizione di tutti. Per la verità un colpo mortale. Per gli studenti in Scienze della comunicazione, un imperdibile caso da studiare.

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Santolini:
«Non è vero che siamo assenti:
piuttosto, siamo ignorati»

«Si fa molta fatica a vincere i pregiudizi di chi impone visioni e idee dominanti»»


Non ci sarà un vero e proprio complotto anticattolico, ma una censura preventiva, quella sì che si avverte nel mondo dell'informazione e della cultura.

Lo testimonia Luisa Santolini, che oggi è una deputata dell'Udc, ma che è stata a lungo alla guida del Forum delle Famiglie.

Non ci sta a veder ridotta la sua militanza a «esasperato personalismo», secondo un'accusa ventilata da Galli della Loggia verso i cattolici liberali, i quali sarebbero rei di non riuscire a fare gioco di squadra con i cattolici progressisti e a contare di più nel dibattito culturale.

Leggendo l'editoriale del "Corriere della Sera" all'ex presidente del Forum riaffiorano i ricordi: «Un giorno - racconta - volevamo pubblicare un'inserzione pubblicitaria con il nostro punto di vista sul "Corriere" e su Repubblica, che ci risposero con una serie di obiezioni, chiedendo di togliere un termine, spiegando che il testo era contrario alla loro linea, insomma alla fine non se ne fece nulla. Anche se l'inserzione era a pagamento».

Non fu l'unica volta. Anche quando il Forum volle prendere posizione sulla Finanziaria trovò le porte chiuse: «ci rivolgemmo al Sole, ma senza esito» rivela l'on. Santolini.

«Non regge l'affermazione che siamo assenti - sottolinea l'onorevole Santolini -. A mio avviso c'è una strategia dei giornali laici per renderci assenti. Non ci ascoltano, se solleviamo un caso, com'è avvenuto a me sulle unioni di fatto, ci ignorano, intervistano altri politici, ci "dimenticano"».

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BERTI:
«Ma cercare il dialogo
non significa afasia»

Paolo Viana

Ribalta le accuse, Enrico Berti. Proprio non lo convincono le accuse lanciate dall'editoriale di Ernesto Galli della Loggia, che a suo dire scambiano la ricerca di un dialogo e uno stile di tolleranza con una resa dei cattolici.

«Se io non cerco di imporre a tutti i costi, nel mio argomentare, la mia identità cristiana - ci spiega - non significa che io la abbandoni, ma che cerco di condividere con gli altri valori, come la famiglia e la vita, che storicamente appartengono all'etica cristiana ma anche ad altre tradizioni culturali».

Berti insegna Storia della filosofia all'Università di Padova ed è uno di quei cattolici «progressisti» che secondo il Corriere troppo spesso si chiudono in un «imbarazzato silenzio» sulle questioni etiche ogniqualvolta si trovino in contrasto con la gerarchia.

Il giudizio del professore su questo punto è netto. Ribatte: «Non mi par proprio di riscontrare quest'afasia dei cattolici sui temi importanti della nostra vita. Siamo ben presenti, al contrario, nello studio della storia, della filosofia, della bioetica. Anche l'accusa di attendere il pronunciamento della gerarchia prima di esprimersi su argomenti delicati, come i Pacs e l'eutanasia, non trova riscontro nella cronaca politica».

Piuttosto, Berti mette in guardia contro il rischio di equivoci: «Cercare un incontro tra i nostri valori e quelli che attengono al bene comune e che possono essere condivisi dalle altre culture - ci spiega - non significa afasia e assenza. Sulla dignità della persona, come sui valori dell'etica pubblica, i cristiani non si arrendono ma cercano il dialogo. Non è proprio la stessa cosa e non è saggio fare confusione».
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POSSENTI:
«Noi studiamo gli atei.
Ma loro...»

Paolo Lambruschi


«Nel mondo accademico la situazione è ben diversa dall'irrilevanza descritta da Galli della Loggia. Nei grandi media e nelle case editrici trovo invece che non abbia tutti i torti».

Il filosofo Vittorio Possenti parte da lontano, dai primi anni del Novecento, per ripercorrere un cammino difficile di affermazione degli intellettuali di fede ristiana.

«Novant'anni fa nei circoli accademici i cattolici si contavano sulle dita di una mano. Oggi non è più così. La diagnosi di Galli della Loggia mi pare più adatta a descrivere la grande stampa quotidiana e settimanale e le tv».

Quali difficoltà incontra oggi nell'attività pubblicistica un intellettuale cattolico?
«È difficile trovare collaborazioni continuative su temi sensibili. Non dico che gli editorialisti siano tutti di orientamento laico. Ma sui temi teologici, religiosi, etici, antropologici, storici, prevalgono le collaborazioni occasionali e comunque si preferisce interpretare il pensiero cattolico, anziché dargli voce».

E visto che i posti disponibili sono pochi, sostiene Galli della Loggia, per disputarseli gli intellettuali cattolici fanno poco gioco di squadra...
«Non mi pare. Vedo invece che nell'alta cultura espressa dai grandi quotidiani e settimanali, la presenza di opinionisti che si riconoscano nella dottrina della Chiesa è rara. Questa situazione si è determinata nel Risorgimento, quando nacquero le case editrici, e, nonostante l'evoluzione del Paese, continua ancora oggi».

Insomma, c'è un deficit di conoscenza del pensiero di ispirazione cattolica...
«È una tesi che sostengo da anni, una volontà di non considerare il fatto religioso. Le faccio un esempio: il filosofo cattolico conosce il pensiero agnostico e ateo, ma è molto raro che accada il contrario, cioè che i laici conoscano il pensiero filosofico religioso e la teologia. In questo modo prevalgono i pregiudizi».

[Modificato da TERESA BENEDETTA 22/12/2006 4.19]

ratzi.lella
00sabato 23 dicembre 2006 14:04
grazie...
per gli articoli ed editoriali precedenti [SM=g27811]

Dove nasce la libertà
di Lodovico Festa

Le parole di Benedetto XVI hanno questo di straordinario, non si rivolgono solo alla fede ma anche alla ragione di chi le ascolta. Si consideri l'ultimo richiamo fatto agli islamici perché meditino sulle vicende di Chiesa e illuminismo, su come dagli scontri si sia poi passati a costruire una società più libera, in cui i valori della religione hanno comunque potuto essere affermati nella loro pienezza. Sarebbe stolto caricare il Pontefice di parole e pensieri non suoi: il suo appello alla ragione è sempre accompagnato da quello spirituale e di testimonianza alla pace e al dialogo.

Eppure i richiami alla storicità della formazione di una società libera (ma non per questo scristianizzata) in Occidente e alla lezione che questa vicenda può suggerire agli islamici, non possono non indurre a un riflessione politica più concreta. Una riflessione che, sensibile ma non limitata ai vincoli spirituali, vada oltre la testimonianza del dialogo, della pace, della serena convivenza. Per affermare la propria libertà tante nazioni e popoli europei sono insorti contro l'oppressione. E tra l'altro non sempre la Chiesa cattolica si è trovata dalla parte giusta.

Le odierne libere democrazie occidentali nascono nell'Olanda che si ribella al dominio spagnolo, nell'Inghilterra che difende il Parlamento contro un re traditore, dalle ribellione delle colonie americane alla corona inglese. Lì nascono le regole, le caratteristiche, le libertà delle società moderne. Non è male, anche sull'onda degli stimoli del Papa, ricordare questa realtà, specialmente di fronte ad affermazioni come quelle di Kofi Annan, per il quale è meglio una dittatura di una guerra civile. Peraltro questo pilatesco orientamento, tipico di Annan, non ha fatto sì che l'appoggio dell'Onu ai dittatori locali evitasse le stragi in Rwanda. O rispetto a posizioni come quelle espresse da James Baker, ex segretario di Stato con Bush padre e ora superconsulente della Casa Bianca per l'Irak, per il quale le ragioni della stabilizzazione superano quelle della democratizzazione in Medio Oriente.
È vero che gli orrori bellici vanno contenuti e quando è possibile eliminati, è vero che non bisogna augurarsi per l'Islam una guerra di cent'anni di conflitti interreligiosi come quelli che sconvolsero l'Europa nel Seicento, fondando però, nonostante la tragicità degli eventi, la nostra moderna libertà. Ma è anche vero che se negli anni Cinquanta avesse prevalso il cinismo dei neutralisti che dicevano «better red than dead» (meglio rossi che morti), oggi non solo l'Est ma anche l'Ovest europeo non sarebbero liberi. È bene impedire che esplodano i conflitti in Libano, in Palestina, in Irak. Sapendo però che compito delle democrazie occidentali è stare con nettezza e senza incertezze da «una parte», quella di Fouad Siniora a Beirut, di Abu Mazen in Palestina, del governo a Bagdad, quella degli islamici che scelgono di costruire una società libera.

In certi casi le terribili necessità della stabilizzazione vanno accettate. Anche con i nemici della libertà, con gli Stati terroristi di Siria e Iran, è inevitabile trattare. Ma sempre nella chiarezza, senza le ambiguità di cui fa ampio sfoggio Romano Prodi. Ed è vero - ribadiamo - che le guerre in generale e le guerre civili vanno evitate. Ma non a tutti i costi: oltre certi limiti il cinismo non è più neanche realistico. E diventa più saggio chi si batte per quelle libertà che con tanta passione invoca lo stesso Papa Ratzinger. Anche nel ricordo di quegli olandesi, inglesi, coloni americani che combattendo hanno costruito le regole delle nostre società aperte.

(da "il giornale" del 23 dicembre 2006)


Il Papa: «Preoccupato per le coppie di fatto»
di Andrea Tornielli

Benedetto XVI non può tacere la sua «preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto» e rivendica il diritto della Chiesa di far sentire la sua voce su questi argomenti. È questo uno dei temi dell’ampio discorso che Papa Ratzinger ha pronunciato ieri mattina in occasione degli auguri natalizi alla Curia romana. Un intervento che ripercorrendo i viaggi da lui compiuti quest’anno ha toccato anche il significato della lezione di Ratisbona e il celibato dei preti.

Parlando del raduno delle famiglie di Valencia, Benedetto XVI si è chiesto: «Può l’uomo legarsi per sempre? Può dire un sì per tutta la vita? Sì, lo può. Egli è stato creato per questo». «Non posso tacere ha aggiunto Ratzinger – la mia preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto... Quando vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il matrimonio, la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa ancora più difficile». Benedetto XVI ha quindi accennato anche alle unioni omosessuali: «Si aggiunge poi, per l’altra forma di coppie, la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. Con ciò vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o non sia». «C’è in questo – ha spiegato il Papa – un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo finisce per distruggere se stesso». A chi bolla queste della Chiesa come ingerenza, il Pontefice risponde: «Forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo?

Non è piuttosto il loro - il nostro - dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?».


Parlando del viaggio in Germania, Benedetto XVI ha introdotto il tema del celibato dei preti e ha ricordato che esso «risale a un’epoca vicina a quella degli apostoli». Il Papa ritiene insufficienti, per giustificare questa norma, «le ragioni solamente pragmatiche, il riferimento alla maggiore disponibilità» di tempo, perché questa in fondo potrebbe diventare «anche una forma di egoismo, che si risparmia i sacrifici e le fatiche richieste dall’accettarsi e dal sopportarsi a vicenda nel matrimonio». «Il vero fondamento» del celibato – aggiunge Ratzinger – può essere «solo teocentrico»: «Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con lui a servire pure gli uomini. Il celibato deve essere una testimonianza di fede», importante «proprio oggi, nel nostro mondo attuale».

Benedetto XVI ha quindi ricordato il senso della lezione di Ratisbona: «La ragione ha bisogno del Logos che sta all’inizio ed è la nostra luce; la fede, per parte sua, ha bisogno del colloquio con la ragione moderna, per rendersi conto della propria grandezza e corrispondere alle proprie responsabilità». Parlando del dialogo con l’islam, «da intensificare», il Papa spiega che il mondo musulmano «si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell’illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica». Da una parte «ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici», dall’altra «è necessario accogliere le vere conquiste dell’illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione». Questo grande compito di ricerca si trova a vivere l’islam. «Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s’impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà».

Infine il Papa, che aveva aperto il suo discorso ricordando «gli orrori» della guerra in Terrasanta, lo ha concluso spiegando che «la pace non può essere raggiunta unicamente dall’esterno con delle strutture e che il tentativo di stabilirla con la violenza porta solo a violenza sempre nuova. Dobbiamo imparare che la pace è connessa con l’aprirsi dei nostri cuori a Dio. Dobbiamo imparare che la pace può esistere solo se l’odio e l'egoismo vengono superati dall’interno».

(da "il giornale" del 23 dicembre 2006)

[Modificato da ratzi.lella 23/12/2006 14.10]

stupor-mundi
00sabato 23 dicembre 2006 19:28
Provocazione....
Sull'editoriale di Galli della Loggia si può concordare o meno, certamente ha il merito di aver attirato l'attenzione su un tema fondamentale: la presenza cattolica nel dibattito culturale e la presenza dei cattolici in generale nel mondo della comunicazione.
I cattolici quando tentano di "entrare in gioco" vengono spesso compatiti, derisi, considerati una sorta di presenza naif. La fede si può quindi tollerare, a patto che non trovi parte nell'agorà del dibattito culturale, altrimenti "da fastidio" è scorretta.
Ma dall'altro lato è pur vero che anche in ambito cattolico non mancano gli errori, si pensi ad esempio a SAT 2000, meritorio per il fatto di diffondere la parola del Santo Padre, ma il resto? A me sembra vuoto spinto. Programmi replicati n volte in cui fanno da comparse i soliti adolescenti che si esprimono per sterotipi "buonisti", quando invece il canale satellitare della Conferenza Episcopale Italiana potrebbe essere una piattaforma importante per far sentire il punto di vista dei cattolici.
... il dibattito continua...

[Modificato da stupor-mundi 23/12/2006 19.35]

TERESA BENEDETTA
00domenica 24 dicembre 2006 16:04
Qualcuno sa che passa con Avvenire? Non hanno cambiato edizione online da giovedi, 21 decembre! Grazie....

Siccome non abito in Italia, non so nulla sulla programmazione TV nel tuo paese. Ma mi sono sorpresa tanto con la critica che stupor-mundi ha fatto sul SAT 2000 - che perdita di opportunita fanno con una programmazione che, a quanto pare, manca assolutamente le iniziative giornalistiche mostrate dal giornale Avvenire.

Si pensa alle parole del giornalista Barbiellini Amidei poco fa sull'Avvenire: "Mentre un decennio fa, parlando di stampa cattolica si pensava ai giornali francofoni, oggi Avvenire è Le Monde cattolico e viene tenuto in grande considerazione dalle rassegne stampa (penso a quella, ottima ma davvero laica, del Gr 3) oltre che dai lettori, per i suoi contenuti, perché è documentato, perché approfondisce temi che l'altra stampa, spesso vittima della propria pigrizia, tralascia."



SUOR TERESA BENEDETTA
Ordine Benedettino delle Suore
delle Sante Coccole al Romano Pontefice

[Modificato da TERESA BENEDETTA 24/12/2006 16.17]

stupor-mundi
00domenica 24 dicembre 2006 16:24
Re:

Scritto da: TERESA BENEDETTA 24/12/2006 16.04
Qualcuno sa che passa con Avvenire? Non hanno cambiato edizione online da giovedi, 21 decembre! Grazie....

Siccome non abito in Italia, non so nulla sulla programmazione TV nel tuo paese. Ma mi sono sorpresa tanto con la critica che stupor-mundi ha fatto sul SAT 2000 - che perdita di opportunita fanno con una programmazione che, a quanto pare, manca assolutamente le iniziative giornalistiche mostrate dal giornale Avvenire.

Si pensa alle parole del giornalista Barbiellini Amidei poco fa sull'Avvenire: "Mentre un decennio fa, parlando di stampa cattolica si pensava ai giornali francofoni, oggi Avvenire è Le Monde cattolico e viene tenuto in grande considerazione dalle rassegne stampa (penso a quella, ottima ma davvero laica, del Gr 3) oltre che dai lettori, per i suoi contenuti, perché è documentato, perché approfondisce temi che l'altra stampa, spesso vittima della propria pigrizia, tralascia."



SUOR TERESA BENEDETTA
Ordine Benedettino delle Suore
delle Sante Coccole al Romano Pontefice

[Modificato da TERESA BENEDETTA 24/12/2006 16.17]




Teresa,
il silenzio di Avvenire è dovuto al fatto che tutti i giornali italiani (con poche eccezioni: Il Giornale, Il Foglio, Libero e pochi altri) sono in sciopero a causa del rinnovo del contratto dei giornalisti. Sono comprese nello sciopero anche le versioni on line. I giornali torneranno in edicola il 27 dicembre.
BUON NATALE!
LadyRatzinger
00domenica 24 dicembre 2006 16:36
EUTANASIA, IL PAPA RIBADISCE LA DIFESA DELLA VITA :"NEL DIO CHE SI FA UOMO SIAMO TUTTI AMATI SINO ALLA FINE"

Nell’imminenza del Natale, l’appello del papa è che tutti i cristiani riscoprano la ricchezza del mistero che si celebra questa notte e che la festa vicina non emargini e dimentichi proprio Lui, “il protagonista”. Parlando prima della preghiera dell’Angelus davanti ai pellegrini raccolti in piazza san Pietro, Benedetto XVI ha spiegato i diversi aspetti della fede cristiana del Natale. “Nel divino Neonato, che deporremo nel presepe, si rende manifesta la nostra salvezza. Nel Dio che si fa uomo per noi, ci sentiamo tutti amati ed accolti, scopriamo di essere preziosi e unici agli occhi del Creatore. Il Natale di Cristo ci aiuta a prendere coscienza di quanto valga la vita umana, la vita di ogni essere umano, dal suo primo istante al suo naturale tramonto. A chi apre il cuore a questo ‘bambino avvolto in fasce’ e giacente ‘in una mangiatoia’ (cfr Lc 2,12), egli offre la possibilità di guardare con occhi nuovi le realtà di ogni giorno. Potrà assaporare la potenza del fascino interiore dell’amore di Dio, che riesce a trasformare in gioia anche il dolore”. La festa del Natale è anche la radice della fratellanza fra gli uomini. “Prepariamoci – ha detto il papa - ad incontrare Gesù, l’Emmanuele, Dio con noi. Nascendo nella povertà di Betlemme, Egli vuole farsi compagno di viaggio di ciascuno. In questo mondo, da quando Lui stesso ha voluto porvi la sua "tenda", nessuno è straniero. È vero, siamo tutti di passaggio, ma è proprio Gesù a farci sentire a casa in questa terra santificata dalla sua presenza. Egli ci chiede però di renderla casa accogliente per tutti. Il dono sorprendente del Natale è proprio questo: Gesù è venuto per ciascuno di noi e in lui ci ha resi fratelli. L’impegno corrispondente è quello di superare sempre più i preconcetti e i pregiudizi, abbattere le barriere ed eliminare i contrasti che dividono, o peggio, contrappongono gli individui e i popoli, per costruire insieme un mondo di giustizia e di pace. La preoccupazione di Benedetto XVI è che al Natale ci si prepari con un cambiamento del cuore, “preparandoci spiritualmente ad accogliere il Bambino Gesù”. E quasi a correggere l’enfasi consumista che ruota attorno a questa festa, egli ha aggiunto: “Nel cuore della notte Egli verrà per noi. È suo desiderio però anche venire in noi, ad abitare cioè nel cuore di ognuno di noi. Perché ciò avvenga, è indispensabile che siamo disponibili e ci apprestiamo a riceverlo, pronti a fargli spazio dentro di noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre città. Che la sua nascita non ci colga impegnati a festeggiare il Natale, dimenticando che il protagonista della festa è proprio Lui! Ci aiuti Maria a mantenere il raccoglimento interiore indispensabile per gustare la gioia profonda che apporta la nascita del Redentore. A Lei ci rivolgiamo ora con la nostra preghiera, pensando particolarmente a quanti si apprestano a trascorrere il Natale nella tristezza e nella solitudine, nella malattia e nella sofferenza: a tutti la Vergine arrechi conforto e consolazione”.

[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
TERESA BENEDETTA
00domenica 24 dicembre 2006 17:38
Grazie, stupor-mundi, per spiegarmi. Non sapevo di questo sciopero. Buon pretesto per non lavorare proprio a Natale!
LadyRatzinger
00lunedì 25 dicembre 2006 01:39
Il lume di Benedetto XVI, speranza per la pace nel mondo

E' un piccolo lume che simboleggia il desiderio di pace nel mondo, quello acceso nel tardo pomeriggio da Papa Benedetto XVI, dalla sua finestra di piazza San Pietro.
Benedetto XVI ha acceso il piccolo lume poggiandolo sul davanzale della finestra e, dopo il gesto della benedizione ai fedeli, si e' ritirato nel suo appartamento.
Un gesto, quello dell'accensione del lume, che ha concluso la cerimonia di inaugurazione del presepe in Piazza San Pietro, con la veglia di preghiera guidata dall'arcivescovo Angelo Comastri, arciprete della Basilica vaticana.
Il saluto e la benedizione del Pontefice alla cerimonia di inaugurazione del presepe sono stati portati dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che ha ricordato anche l' appello del Papa a che il presepe sia realizzato presso tutte le famiglie e ''in tutti i luoghi di vita''.
''Escludere Dio dalla storia - ha detto invece mons. Comastri al termine della veglia di preghiera - vuol dire fare un'azione contro la pace''.

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