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+PetaloNero+
00domenica 16 settembre 2007 21:16
DA PETRUS

Libertà e disobbedienza

di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO - Certamente le intenzioni dell'Arcivescovo di Caserta, Monsignor Raffaele Nogaro, erano limpide. Fatto sta che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cosi' le ha riassunte ed interpretate: "Niente Messa in latino. Il Vescovo disobbedisce al Papa". Per chi non conosca i fatti, il Prelato ha cancellato lo svolgimento di una Messa secondo il rito tridentino in una Chiesa locale adducendo che non era stato informato dal rettore e che il rito tridentino “e' una distorsione". Ora, non intendiamo dissertare sulla Messa tridentina, che fa parte comunque del patrimonio e della tradizione della Chiesa. Al Pontificale di Loreto, il giorno 14, celebrato dal Cardinale Dario Castrillon Hoyos, la Chiesa era stracolma soprattutto di giovani: forse questa e' la miglior risposta alla obbiezioni del prelato casertano. Ma cio' che preoccupa maggiormente e' la definizione, attribuita a Monsignor Nogaro e mai smentita, di messale che "distorce". Qui viene il punto nodale. Se Benedetto XVI in data 7 luglio, con un Motu Proprio, ha deciso di liberalizzare la Messa secondo i libri liturgici di San Pio V, lo ha fatto con scienza e coscienza, quindi i pastori, vescovi in testa, non dovrebbero ubbidire alle proprie legittime convinzioni ma al Papa. In quanto alle affermazioni che la Messa tridentina sia distorsiva, ci permettiamo, con la massima tranqullita', di affermare che essa non distorce proprio niente. Affermare che sia distorsiva rappresenta un grave atto di accusa, questo si' distorisivo ed offensivo verso il passato e la tradizione della stessa Chiesa di cui il prelato di Caserta fa parte. Forse sarebbe il caso che intervenga la Commissione “Ecclesia Dei” o che i Vescovi critici come Nogaro facciano come più illustri prelati e Cardinali che tacciono, pur non amando la Messa tridentina, per rispetto nei confronti del Santo Padre.




LadyRatzinger
00lunedì 17 settembre 2007 18:22
Da Avvenire
Raccolte le catechesi papali sugli amici di Gesù

Una città illuminata dai potenti fari di Benedetto


Elio Guerriero

In piazza San Pietro o nell’aula Paolo VI, gli incontri del Papa con i fedeli stanno acquistando un rilievo crescente, sono occasioni di catechesi, di annuncio appassionato del Vangelo.
Dal marzo 2006 al febbraio 2007 Benedetto XVI ha presentato di settimana in settimana i singoli apostoli e i primi discepoli di Gesù. Raccolti in volume («Gli apostoli e i primi discepoli di Cristo», Lev 2007) questi ritratti essenziali e caratterizzanti formano un album di famiglia, danno una immagine non avvolta dalla patina dei secoli, ma permeata di attualità per la perdurante presenza di Cristo. Nell’ottica di Papa Benedetto questo volume completa il «Gesù di Nazaret», ne è la necessaria estensione, l’indispensabile passaggio da Cristo alla Chiesa. Maria e Giuseppe, Simeone e Anna, Zaccaria ed Elisabetta, i pastori di Betlemme e Giovanni il Battista erano i poveri di Israele che videro e riconobbero il Messia e così aprirono a Lui l’antica alleanza. I dodici, a loro volta figli e poveri di Israele, vissero con Gesù, ne ascoltarono e assimilarono la parola, furono testimoni della passione e risurrezione e assicurarono il passaggio al Nuovo Testamento e alla Chiesa.
Simone appare nei Vangeli con un carattere deciso e impulsivo. È generoso e ripone la sua fiducia nel Maestro il quale lo sceglie come interlocutore rivolgendogli per lo più parole di correzione in un personale itinerario di sequela. Lo spavaldo deve essere calato nell’umiliazione per poter apprendere e provare misericordia. Nella Cappella Brancacci a Firenze Masaccio ha dipinto un Pietro sereno e armonioso. Egli sa della propria fragilità, ma ha la certezza di avere a fianco Gesù e così può affrontare il suo impossibile ministero finché, come il Maestro, sarà spogliato e accompagnato alla croce. Giovanni, figlio di Zebedeo, occupa un posto di rilievo nel collegio apostolico. È il fratello di Giacomo e l’amico di Pietro. Nell’ultima cena poggia il capo sul petto del Maestro, è ai piedi della croce insieme con la Madre di Gesù ed è infine testimone sia della tomba vuota che della presenza del Signore. Ha gli occhi della fede che gli permettono di riconoscere Gesù prima di ogni altro, ha gli occhi dell’amore che gli consentono di contemplare il mistero di Dio. Paolo, apostolo anche se non appartenne al gruppo dei Dodici, segna il passaggio alla generazione dei discepoli, ai cristiani chiamati ad accogliere il Vangelo dall’ascolto e non dalla visione, ad accettare di divenire giusti non per le proprie opere, ma per la comunione con Cristo e con la Chiesa. L’ultimo capitolo è dedicato alle donne. Come è noto, Gesù ripose volentieri la sua fiducia nelle donne e la Chiesa ha come modello Maria Vergine e Maria di Magdala che san Tommaso d’Aquino definì "apostola degli apostoli" perché a loro annunciò la resurrezione di Cristo.
All’inizio del libro «Gesù di Nazaret», Benedetto XVI invitava ad andare oltre il Gesù storico e il Cristo della fede per fidarsi del Gesù dei Vangeli. Similmente in questo volume egli esorta a non fermarsi alla fragilità degli uomini, ma a guardare al fondamento e alle colonne della Chiesa, agli apostoli e ai primi discepoli, alla città illuminata dalla luce che viene da Dio e in questa luce tutta l’umanità può camminare.




Paparatzifan
00lunedì 17 settembre 2007 23:53
Dal blog di Lella...

RATZINGER, DECISIONI «STORICHE » MA A RITMI LENTI

di Paolo Francia

IL PAPA, due anni e mezzo dopo l’elezione, non forza i ritmi di lavoro e così ha mandato il segretario di Stato cardinale Bertone in Polonia e il cardinale portoghese Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, sabato a Le Mans e ieri a Bordeaux a proclamare tre beati, impegno che Benedetto XVI delega sempre e che invece ha rappresentato uno dei ’pesi’ di Giovanni Paolo II, che provvedeva di persona all’ufficializzazione di santi e beati, più di mille nel suo pontificato. Negli ultimi giorni di riposo a Castelgandolfo, ha ricordato il ventesimo anniversario del protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono, manifestando la sua soddisfazione «per gli importanti risultati, con positive ripercussioni sulle generazioni presenti e future» ed è stato festeggiato dai fedeli per il suo ’Angelus’ di commiato: domenica si recherà a Velletri, terzo pellegrinaggio del mese dopo Loreto e Mariazell, e quella successiva consacrerà vescovo monsignor Gianfranco Ravasi, l’illustre biblista nominato a sorpresa presidente del Pontificio consiglio della cultura al posto del cardinale Paul Poupard, settantasettenne. Ritmi lenti, dunque, da ultraottuagenario. Ma tutt’altro che incardinati nell’ordinaria amministrazione. Benedetto XVI infatti ha ormai pressocchè completato il riassetto della Curia con scelte anche impreviste; e sta procedendo con celerità all’avvicendamento in diocesi importanti di vescovi oltre i 75 anni e quindi tenuti a mettere a disposizione l’incarico. Né ha mancato di assumere decisioni ’storiche’, come la pubblicazione del documento «sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970». L’ha fatto il 7 luglio e l’altro giorno è entrato in vigore. Autorizza, in parole povere, la celebrazione della messa e di altri riti in latino senza che il sacerdote debba esserne preventivamente autorizzato.

UNA ’RESTAURAZIONE’ per accontentare i seguaci del vescovo francese Marcel Lefebvre, scismatico e scomunicato? No, perchè — come il Papa stesso ha voluto chiarire — non è messa in dubbio la riforma liturgica del Concilio Vaticano II e il messale di Paolo VI «è e rimane la forma ordinaria della liturgia eucaristica» mentre l’ultima stesura del messale anteriore al Concilio pubblicata da Giovanni XXIII nel 1962 «potrà essere usata come forma straordinaria». Ad esempio per una sola celebrazione la domenica o nelle feste, ma comunque a semplice discrezione del parroco. Il primo week-end è stato caratterizzato in Italia da una non trascurabile rifioritura della messa in latino, con soddisfazione dei fedeli intervenuti e senza che chi non è d’accordo abbia elementi per dolersene.

COSÌ BENEDETTO XVI ha compiuto un atto di riconciliazione all’interno della Chiesa, "legalizzato" da sabato, 24 ore dopo che la Congregazione per la dottrina della fede aveva reso noto un documento, di tutt’altro genere ma ugualmente voluto dal Papa, con il quale si dichiara «moralmente obbligatoria» la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, a un paziente in stato vegetativo, a meno che tali alimenti non possano essere da lui assimilati o non gli creino un disagio fisico. Un no secco a propiziarne la morte con l’omissione di questo tipo di assistenza, che si configurerebbe né più né meno come caso di eutanasia. E anche questo passo di Benedetto XVI ha una forte rilevanza.

© Copyright Quotidiano Nazionale, 17 settembre 2007


Paparatzifan
00martedì 18 settembre 2007 22:36
Dal blog di Lella...

PAPA RATZINGER METTE IN GUARDIA I TEOLOGI DAL RISCHIO SACCENTERIA

Omelia ai suoi ex alunni nella residenza di Castel Gandolfo

Roma, 18 set. (Apcom) - Anche chi studia le sacre scritture, le analizza e le insegna può restare lontano da Dio. Con saccenteria. Ad affermarlo è Benedetto XVI, il papa-teologo, che questo fine settimana ha ricevuto i suoi ex alunni nella residenza estiva di Castel Gandolfo e con loro ha discusso, in una sorta di seminario a porte chiuse, di creazione ed evoluzione. Nel corso dell'omelia che ha pronunciato domenica, prima di accomiatarsi dagli studenti dell'epoca in cui insegnava teologia nelle università tedesche e tornare ad occuparsi del governo della Chiesa cattolica mondiale, poi, ha puntato il dito contro il rischio di presunzione che corrono i teologi.

Benedetto XVI è partito dalla figura di san Paolo per osservare: "E' sorprendente da parte di qualcuno che ha studiato teologia, che è andato in una scuola rabbinica, che conosceva la scrittura da cima a fondo e con essa conosceva il volere divino, che padroneggiava tutti i dettagli dell'esegesi, della metodologia e dell'interpretazione. E che ciononostante - ha proseguito il Papa - guardandosi alle spalle diceva: in tutta la conoscenza della scrittura, in tutta la conoscenza della rivelazione, non ho conosciuto Dio, ero ignorante e non ho capito la scrittura".

"Credo - ha proseguito il Papa, che nei confronti del metodo storico-critico ha già espresso le sue critiche - che questa parola di san Paolo sulla sua ignoranza debba farci riflettere. Perché può capitare in ogni epoca, ed anche a noi teologi, che sappiamo molto o quasi tutto dell'origine dei testi, della loro struttura, del modo in cui sono stati composti, del loro luogo storico, della loro forma storica, che conosciamo le teorie filosofiche e teologiche con cui ordinare e chiarire tutto, e ciononostante finiamo col parlare sempre e solo di noi stessi. Che non riusciamo ad andare oltre gli uomini, oltre l'agire, oltre noi stessi. Che Dio - ha detto il Papa - attraverso tutto il nostro sapere delle cose umane non riesca a raggiungerci e a parlarci. Che non lo ascoltiamo - e non lo conosciamo". Per il Papa, invece, san Paolo, "pecora smarrita" e "primo dei peccatori", ha mostrato che Dio "lo ha preso sulle spalle", e così ha salvato lui e l'umanità intera. Nonché, par di capire, i teologi.


Paparatzifan
00domenica 23 settembre 2007 23:02
Dal blog di Lella...

Il latino, la Curia
Qualche sospetto sul Vaticano


di ANTONIO SOCCI

Ma chi comanda in Vaticano? Benedetto XVI è forse stato esautorato di fatto? O è clamorosamente boicottato? Più di un sospetto viene davanti all'ultimo "giallo" (ce ne sono altri precedenti) che ha segnalato trionfalisticamente - sul Corriere della Sera di ieri Alberto Melloni, capofila dei cattoprogressisti martiniani. Parlando del Motu proprio del Papa che restituisce libertà di celebrare la Messa col rito tradizionale, provvedimento a cui il Papa tiene tantissimo, al punto da averne fatto un pilastro del suo pontificato, Melloni rivela che, sebbene sia entrato formalmente in vigore il 14 settembre scorso, qualcuno ha preso la «saggia decisione di tenere ancora a bagno maria» il decreto, non facendolo pubblicare negli "Acta Apostolicae Sedis" ovvero «l'organo che dà vigore ai provvedimenti papali». È una rivelazione clamorosa: c'è qualcuno in Vaticano che conta più del Papa e provvede a sabotare nella sostanza ciò che il Papa decide e firma? In quale altro modo si può spiegare il caso? Incidenti simili erano già capitati nei mesi scorsi, anche per l'enciclica di Benedetto XVI che infatti uscì con cospicuo ritardo sui tempi annunciati. Ma questo è il più clamoroso e ha un grave valore simbolico. Anche se adesso faranno un qualche rattoppo. Cosa sta accadendo Oltretevere? La barca di Pietro nella tormenta Il professor Giuseppe De Rita, che conosce bene gli ambienti di Curia, in un'intervista recente al Corriere della Sera, dichiarò che il Papa «scrive libri e dà l'idea di aver deciso di non comandare», mentre altri hanno «la tentazione di farlo». Ora, è vero che il Papa teologo mostra qualche difficoltà nel governare la Chiesa e, per esempio, ha fatto nomine pessime. Ma è impossibile che abbia rinunciato a fare il Papa. Il fatto è che Benedetto XVI è praticamente solo nel Palazzo apostolico e la barca di Pietro è sballottata qua e là dalle burocrazie clericali (sì, c'è una casta anche nella Chiesa). Che nelle logge vaticane questa sia la logica lo dimostrano anche le recenti nomine episcopali, quasi tutte di "martiniani", quando proprio il cardinal Martini, oggi più apertamente che mai, con- testa il magistero del Papa. L'ultimo episodio riguarda lo stesso Motu proprio che l'ex arcivescovo di Milano ha clamorosamente bocciato (dando la linea a molti vescovi italiani che si sono apertamente ribellati al Papa).
Mentre le condizioni della Chiesa, anche in Italia, sono tragiche - come mostrano quotidianamente le cronache dei giornali - sembra che in Curia siano affaccendati solo in lotte di potere. Il Papa invece ha una percezione drammatica delle condizioni della Chiesa. Lo dimostra il grido che lanciò nella storica Via Crucis del 25 marzo 2005: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia!». Ma quando, dove e come si è fatta pulizia dopo una così clamorosa denuncia? Il Papa da solo non può, ma anche lui prima o poi dovrà fare scelte coraggiose. Per non continuare come si è fatto per lungo tempo, quando si sono perseguitati i santi - come si è perseguitato Padre Pio, come si è perseguitato don Giussani - e si sono coperte le sporcizie che non si dovevano coprire. Ricordo il drammatico grido di don Giussani nella sua ultima intervista: «La Chiesa si è vergognata di Cristo». Intendeva dire: gli uomini di Chiesa, che però non si sono vergognati della tremenda «sporcizia» denunciata da Ratzinger. Non c'è solo la sporcizia morale, ma anche il mancato rispetto della dignità umana. Basti vedere in che condizioni è il Vaticano, unico stato europeo dove la dignità e i diritti della persona, che la Chiesa giustamente difende dovunque, sono carta straccia. La Curia può pure sprofondare, ma la Chiesa no e, grazie al Cielo, non sarà distrutta. Pio XII una volta disse a un personaggio, noto anticlericale, che se non erano riusciti i preti a distruggere la Chiesa, non ci sarebbero riusciti neanche loro. San Vincenzo de' Paoli fu ancora più duro: «La Chiesa non ha nemici peggiori dei preti». La storia in effetti fa riflettere. Basti considerare cosa hanno dovuto subire molti santi. Pio XII, parlando una volta di Padre Pio, disse: «Non dimenticate quante persone sono state proclamate sante, nonostante che il Santo Offizio le avesse colpite e condannate». Facile acclamare queste persone innocenti poi quando la Chiesa le canonizza. Era dovere difenderle prima, quando gli uomini di Chiesa le perseguitavano. Ma purtroppo nel mondo cattolico domina l'opportunismo, il servilismo e il clericalismo. Gli intellettuali, perlopiù, o sono succubi di ideologie nemiche o sono interessati solo a baciare la pantofola al prelato potente del momento.

L'unico uomo libero nei palazzi curiali, seppure solo, resta Joseph Ratzinger. L'unico non clericale.

L'ho conosciuto circa venti anni fa, la prima volta che lo invitai a Siena per una conferenza. E lui - essendo già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede - sorprese tutti tenendo una lezione sulla memorabile frase di Newman: «Brindo al Papa, ma prima alla coscienza». Ben pochi infatti, fra i cattolici, conoscono l'autentica dottrina cattolica che, peraltro, è sottolineata anche nel Catechismo dove si cita una frase simile di Newman: «La coscienza è il primo dei vicari di Cristo». Questo significa che i cattolici hanno il dovere di dire la verità, di riconoscerla anche quando fa male e di affermarla anche contrapponendosi a uomini di Chiesa. Quanto avrebbe da guadagnare la Chiesa dall'esistenza nel mondo cattolico di uomini liberi come erano nel Medioevo Santa Caterina, Dante o Antonio da Padova, veri figli di Dio i quali sanno che non si serve Dio con la menzogna, con l'omertà e col servile vassallaggio di un certo clericalismo. Quanti fatti orrendi sarebbero stati evitati, risparmiando alla Chiesa la vergogna e l'onta. Sentite quest'altra memorabile pagina.
Vi sorprenderà perché è di Joseph Ratzinger: «Al di sopra del Papa, come espressione della pretesa vincolante dell'autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell'autorità ecclesiastica. L'enfasi sull'individuo, a cui la coscienza si fa innanzi come supremo e ultimo tribunale, e che in ultima istanza è al di là di ogni pretesa da parte di gruppi sociali, compresa la Chiesa ufficiale, stabilisce inoltre un principio che si oppone al crescente totalitarismo».

Il Pontefice "anticlericale"

È straordinario che sia diventato Papa il teologo che ha scritto questa pagina. Ed è ovvio che in Curia il partito clericale tenti in ogni modo di isolare e sabotare questo straordinario "anticlericale", nel senso in cui era anticlericale Gesù quando fulminava gli apostoli intenti a spartirsi i posti di potere. Gesù li zittì dicendo: «Voi sapete che i capi delle nazioni spadroneggiano e i grandi esercitano il potere sopra di esse. Ma non così dovrà essere tra voi; anzi chi tra voi vorrà essere il primo si faccia vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo il quale non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per la redenzione di molti» (Mt. 20, 2528). Infatti la speranza e la forza della Chiesa non sono quelli che hanno trasformato la Chiesa in un luogo di potere, ma quelli che seguono Gesù sulla croce. È ancora Joseph Ratzinger a sottolinearlo: «Le vie di Dio sono diverse: il suo successo è la croce... non è la Chiesa di chi ha avuto successo ad impressionarci, la Chiesa dei papi o dei signori del mondo, ma è la Chiesa dei sofferenti che ci porta e credere, è rimasta durevole, ci dà speranza. Essa è ancora oggi segno del fatto che Dio esiste e che l'uomo non è solo un fallimento, ma può essere salvato».

© Copyright Libero, 23 settembre 2007



Credo che sia la triste realtà...[/DIM] [SM=g27813]

@Nessuna@
00lunedì 1 ottobre 2007 07:17
Il profitto del papa non è di destra né di sinistra

Il profitto del papa non è di destra né di sinistra
La prima volta domenica scorsa, nella visita pastorale a Velletri, la diocesi che fu sua sede titolare quando era cardinale. L’ultima l’altro ieri, nel corso dell’udienza generale del mercoledì.
Due affondi importanti, quelli di Ratzinger, dedicati al tema dell’equa distribuzione dei beni, una logica da contrapporre (o meglio, da ordinare del giusto modo) a quella del mero profitto.
Due affondi letti dalla stampa in modo spicciolo, superficialmente come volontà del pontefice di dire no «agli eccessi del capitalismo» o addirittura di «sterzare a sinistra».
Eppure, al di là delle visioni parziali di un pontefice che parla da destra o da sinistra, il messaggio di Ratzinger in merito è semplice ed è lo stesso che con ogni probabilità egli inserirà all’interno della sua seconda enciclica dedicata alla globalizzazione e ai temi sociali, un’enciclica che, secondo alcune indiscrezioni raccolte, sarebbe in stato avanzato e addirittura potrebbe uscire in occasione dei 41 anni della Populorum Progressio (il 26 marzo 2008), l’enciclica a firma papa Montini (l’altro ieri Ratzinger ha celebrato con un concerto a Castelgandolfo i 110 anni dalla sua nascita) dedicata - appunto - al tema dello sviluppo dei popoli.
È da prima delle vacanze trascorse a Lorenzago di Cadore che Benedetto XVI si sta dedicando, oltre che alla stesura della seconda parte del libro su Gesù, anche a questa seconda lettera enciclica (potrebbe essere definita la prima se è vero, come è vero, che la Deus caritas est è frutto di un lavoro che il pontificio consiglio Cor Unum già aveva iniziato a elaborare dietro richiesta di Giovanni Paolo II). Un’enciclica, questa seconda, ratzingeriana non solo nei testi ma anche nella genesi e che pare abbia ricevuto anche un contributo dal pontificio consiglio Iustitia et Pax governato dal cardinale Renato Raffaele Martino. Del resto era stato proprio Martino, intervenendo il 4 giugno scorso alla seduta inaugurale della 18° Assemblea Generale della Caritas Internationalis, a definire i paragrafi dal 19 al 29 della prima enciclica di Ratzinger «come una piccola enciclica sociale», lasciando dunque intuire che, probabilmente, anche l’intera struttura della seconda enciclica avrebbe potuto attingere proprio da questi paragrafi.
L’altro ieri il papa, nel corso dell’udienza generale e domenica scorsa a Velletri, ha di fatto anticipato il nodo centrale del suo pensiero: va bene il profitto - ci mancherebbe - ma non se questo è «il criterio ultimo dell’agire», se cioè viene ricercato senza poi tradurlo in condivisione e solidarietà.
Quella del pontefice, dunque, è una denuncia della globalizzazione intesa come fenomeno innanzitutto economico: è ingiusto fare i soldi a discapito dei poveri, degli ultimi e, insieme, è inutile aiutare gli ultimi dimenticandosi di Cristo perché il risultato di una tale azione è il male più profondo insito nelle ideologie del secolo passato. Lo diceva del resto anche san Paolo (e lo ha detto domenica Benedetto XVI a Velletri): «La generosità si esprime in un amore sincero per tutti e si manifesta nella preghiera». Cioè a dire, il primo bisogno dell’uomo (l’uomo oggetto della carità degli altri uomini) è la preghiera e dunque la richiesta della presenza di Cristo.
Ieri, non a caso, Benedetto XVI ha citato san Giovanni Crisostomo come «esempio per chi amministra la città». È da Crisostomo, infatti, e più in generale dai padri della Chiesa (domenica a Velletri il papa ha parlato di sant’Agostino che esortava alla condivisione «con i fratelli delle ricchezze») che Ratzinger attinge l’idea della sostanziale falsità di un cristianesimo slegato dall’amore, e dunque di una fede senza solidarietà e condivisione.
Parlando del vescovo di Costantinopoli definito come «uno dei padri della dottrina sociale della Chiesa», Benedetto XVI ha ricordato come sia anche oggi necessario proporre «un nuovo ideale di città» in cui, a differenza della polis greca, nessuno strato della popolazione sia escluso dai diritti della cittadinanza.
Insomma, se con la Deus caritas est Ratzinger “sbugiardava” le teorie moderniste intorno all’amore proprie di Eros e Agape - scritto del 1930 del teologo luterano svedese Anders Nygren (1890-1978) - e di L’Amore e l’Occidente - scritto del 1939 dell’intellettuale svizzero-francese Denis De Rougemont (1906-1985) - con questa seconda enciclica è sempre contro un male proprio della modernità che egli intende andare, laddove questa si rende promotrice di una globalizzazione troppo sbilanciata in favore del guadagno e del profitto e dunque a discapito dei poveri, oppure di una sorta di “contro-globalizzazione” dove a vincere non è l’amore per gli ultimi nel nome di Cristo ma un indistinto umanesimo.
Sono temi che Wojtyla aveva già affrontato nel 1991 con la Centesimus Annus e, prima, con la Laborem exercens (1981) e la Sollicitudo rei socialis (1987). Ma a 17 anni di distanza le cose sono di molto cambiate e una nuova riflessione è maturata. E il 26 marzo, traduzioni dal tedesco permettendo, è il giusto anniversario per l’uscita.
Paolo Rodari
Palazzo Apostolico
Paparatzifan
00lunedì 1 ottobre 2007 21:43
Dal blog di Lella...

Ranjith successore di Arinze al Culto divino

di Andrea Bevilacqua

È il prossimo 1º novembre che il cardinale nigeriano Francis Arinze, prefetto della congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, compie 75 anni. Raggiunta l'età pensionabile, oltre le mura vaticane si è aperto il toto successore. Ratzinger pare sia intenzionato a inserire al suo posto l'attuale segretario del Culto Divino, ovvero il cingalese Malcolm Ranjith, che dopo la nomina di William Levada a capo dell'ex Sant'Uffizio fu il secondo colpo assestato alla curia da parte del pontefice.
Ranjith, infatti, spedito nel 2003 dal cardinale Sepe (dal 2001 il presule cingalese era segretario aggiunto di Propaganda Fide) in Indonesia e Timor Orientale quale nunzio apostolico, venne prontamente richiamato da Ratzinger nell'autunno del 2005 a Roma per sostituire Domenico Sorrentino alla segreteria del Culto. Sorrentino, più vicino alla scuola dei cosiddetti bugninisti, non era ritenuto adatto dal pontefice per interpretare al meglio quella sorta di controriforma liturgica che egli già dal 22 dicembre del 2005 (discorso alla curia romana) aveva fatto capire di voler inaugurare e per questo motivo venne fatto vescovo di Assisi. «Occorre - disse il papa il 22 dicembre 2005 - una corretta interpretazione del Vaticano II», un concilio che non segnò una rottura col passato quanto un «rinnovamento nella continuità».

Da qui ecco l'«avversione» del pontefice alla scuola il cui capostipite fu Annibale Bugnini (regista delle riforma post conciliare) spedito da Paolo VI in Iran proprio per le sue visioni ultramoderniste in campo liturgico. E da qui, ancora, ecco la sostituzione di Sorrentino e l'arrivo di Ranjith al quale il papa affidò anche la preparazione del motu proprio Summorum Pontificum dedicato alla liberalizzazione dell'antico rito di san Pio V così come papa Giovanni lo rivide nel 1962. Un motu proprio che segna la volontà del pontefice di riparare ai numerosi abusi che la Chiesa ha dovuto subire in campo liturgico negli anni del post Concilio.

Malcolm Ranjith, dunque, dovrebbe essere il candidato naturale alla successione del cardinale Arinze, anche se i giochi sono ancora aperti in quanto c'è, tra coloro che oltre il Tevere hanno maggiormente avversato il motu proprio, chi vuole fare di tutto per non farlo salire così in alto. Nei prossimi giorni, la «riparazione» di Ratzinger dedicata al comparto liturgico vedrà l'assestamento di un nuovo colpo con l'arrivo di monsignor Guido Marini - fino a oggi cancelliere della curia e maestro di cerimonie dell'arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, alla guida dell'ufficio delle cerimonie papali al posto di un altro Marini, monsignor Piero.

Guido Marini (figura minuta e scarna nell'aspetto) è uno scrupoloso esperto di liturgia che il papa ha voluto a Roma dalla città, Genova, che per anni è stata sede arcivescovile del grande e indimenticato cardinale Giuseppe Siri il quale, definito dai più un «conservatore», altro non fu che un fedele custode della tradizione della Chiesa e, insieme, un forte avversario di ogni inquinamento mondano nella Chiesa, soprattutto in campo liturgico. Guido Marini è dunque un monsignore esperto di liturgia e un fedele discepolo del cardinale Siri ed è soprattutto per questo motivo che Benedetto XVI lo ha voluto al suo fianco a Roma. Di certo, con lui, spariranno nelle celebrazioni papali mitrie colorate e stole degne del migliore Arlecchino (vedi inaugurazione dell'Anno Santo del 2000) e si tornerà a quel rigore e a quella austerità degna delle celebrazioni del successore di Pietro.

Il cardinale Siri, nella sua Genova, teneva particolarmente che le celebrazioni eucaristiche fossero contornate dai canti gregoriani, da abiti e paramenti liturgici adatti, da un rigore insomma degno delle azioni che si andavano a compiere. Questa stessa attenzione sarà chiesta al nuovo cerimoniere papale. È per questo motivo che il pontefice ha deciso di chiamarlo a Roma, in uno dei posti più delicati e decisivi della curia romana. Da come il papa celebra la messa, infatti, tutta la Chiesa (e soprattutto tutti i vescovi e i sacerdoti nel mondo) possono attingere utili indicazioni. Insomma è sempre vero che lex orandi è lex credendi.

© Copyright Italia Oggi, 29 settembre 2007


Paparatzifan
00venerdì 5 ottobre 2007 22:31
Dal blog di Lella...

Riunione straordinaria in prefettura: vince la linea del sindaco Iervolino, che non ha voluto una città off-limits

Un piano-sicurezza per il Papa

Via Partenope semichiusa, ventimila posti per la messa

BIANCA DE FAZIO

Una zona rossa off limits non ci sarà quando giungerà il Papa. Il sindaco Iervolino, che guardava contrariata all´ipotesi di una zona interamente blindata, ha ottenuto di predisporre un piano sicurezza (e traffico) che non prevede fili spinati. Limitazioni sì, tante. Ma niente aree inaccessibili ai cittadini. Ieri mattina, in prefettura, si è tenuta una riunione straordinaria del comitato per l´ordine pubblico. «Abbiamo trovato il sistema per assicurare la tutela non solo del Papa ma anche degli altri ospiti», afferma il sindaco, che aggiunge: «Non ci sono segnali di pericolo in città». Il riferimento è anche alle scritte contro il Papa. «****** a Ratzinger» è la scritta comparsa, probabilmente da una decina di giorni, su un muro in via San Bartolomeo, a pochi metri da piazza Municipio. Minacce tracciate con lo spray sono dedicate anche a esponenti politici di estrema destra e a quanti si oppongono all´eutanasia. Accanto alla scritta c´è una stella, e la sigla 1312 che, si ipotizza, potrebbe riportare all´acronimo Acab, "All cops are bastard" vale a dire «tutti i poliziotti sono bastardi». Per gli investigatori della polizia la sigla rinvierebbe ad ambienti dell´antagonismo. «È una scheggia impazzita, un caso isolato che non riflette la sensibilità e la fiducia con cui la città di Napoli aspetta il Papa», commenta il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli. «I napoletani - sottolinea l´arcivescovo - aspettano Benedetto XVI con fiducia e sentono la sua visita come un gesto di benevolenza, di conforto e sollievo che onora la città e invita tutti ad andare avanti con speranza e con coraggio».
Così si è deciso di chiudere via Partenope solo parzialmente: la corsia che corre dinanzi agli alberghi - dove ci saranno gli ospiti dell´incontro internazionale delle religioni per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant´Egidio - sarà chiusa al traffico privato (dalle 18 del 19 ottobre alle 13 del 24) che potrà, invece, continuare a scorrere nella corsia adiacente e sotto la galleria della Vittoria. Un semaforo mobile, all´altezza della ex Facoltà di Economia, permetterà agli ospiti di attraversare via Partenope in tutta sicurezza. Altro discorso per la domenica 21 in cui arriva Benedetto XVI. Sin dal giorno prima sarà chiusa al traffico piazza Municipio e sarà impedita la sosta su via Santa Teresa e sul corso Amedeo di Savoia. Strade che, trovandosi lungo il percorso del Papa, saranno transennate e vietate nella domenica dell´evento. Chiuse anche via De Gasperi, via Medina, l´uscita di Capodimonte della tangenziale, lo Spirito Santo e tutta la strada fino alla Facoltà di Teologia.
Il Pontefice giungerà alla Stazione marittima alle 9.30, in un quarto d´ora sarà in piazza del Plebiscito per celebrare la messa, alle 10. Finita la cerimonia, a bordo della "papamobile", Benedetto XVI raggiungerà il seminario di Capodimonte, attraversando via Toledo, piazza Dante, Santa Teresa, corso Amedeo di Savoia. Ritorno nel pomeriggio, quando sarà in cattedrale per una visita privata alle spoglie di San Gennaro. L´incontro con la città sarà dunque limitato alla mattina: in piazza del Plebiscito, suddivisa in 16 settori, ci sarà posto per 7.800 persone sedute e 13.000 in piedi. Posti per i quali sono già giunte oltre 52 mila richieste. Ci saranno maxischermi lungo il percorso del corteo papale. A Capodimonte, il Papa incontrerà circa 200 leader religiosi di tutto il mondo, cristiani, musulmani, ebrei, buddisti e induisti. Tra i nomi di spicco il patriarca ortodosso ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il rabbino capo di Israele Yona Metzger, il primate anglicano Rowan D. Williams, il metropolita russo Kirill, una serie di dignitari musulmani. «Non è certamente la prima volta che il Papa incontra esponenti delle Chiese cristiane e leader religiosi. Ma questa di Napoli – spiega il portavoce di Sant´Egidio Mario Marazziti – è forse una prima volta in forma così corale».
Quasi tutti i leader religiosi si tratterranno fino al 23, per una serie di incontri, conferenze, manifestazioni. Ed è in vari luoghi di Napoli che le diverse religioni del mondo pregheranno per la pace il 23 ottobre, per poi confluire in processione su piazza del Plebiscito e partecipare all´appello contro tutte le violenze. Una cerimonia alla quale sarà presente anche il Presidente Giorgio Napolitano.

© Copyright Repubblica (Napoli), 5 ottobre 2007


Paparatzifan
00venerdì 5 ottobre 2007 22:37
Dal blog di Lella...

L’ambasciatore: «Significativo che abbia sottolineato le convergenze fra Italia e Santa Sede»

Zanardi Landi: un invito a guardare avanti insieme

DA ROMA

SALVATORE MAZZA

Un discorso «molto positivo ». Tutto «proiettato in avanti» a indicare «un lavoro da fare insieme».
Sono le prime battute, a caldo, con cui Antonio Zanardi Landi, nuovo ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, commenta il discorso che Benedetto XVI gli ha indirizzato ieri mattina, nell’udienza riservatagli in occasione della presentazione delle lettere credenziali.

Parole «importanti», insiste il diplomatico, per il quale «è significativo come il Pontefice abbia voluto sottoli- neare i punti di convergenza tra l’Italia e la Santa Sede, anche in ambito internazionale».

Che cosa l’ha più colpita, in prima battuta, del discorso di Papa Ratzinger?

Difficile da dire, gli spunti sono molti. Mi è sembrato un discorso, per così dire, «importante», sul quale sarà di certo necessario riflettere con calma, e a lungo. Mi ha molto colpito la positività delle parole del Pontefice, che ha voluto porre in rilievo le consonanze tra Italia e Santa Sede; è molto bello, per esempio là dove auspica che la «collaborazione tra tutte le componenti» dell’Italia non solo contribuisca a custodire gelosamente l’eredità culturale e spirituale del Paese, ma sia di stimolo «a ricercare vie nuove per affrontare in modo adeguato le grandi sfide che contrassegnano l’epoca post-moderna».

Perché l’ha colpita proprio questo passaggio in particolare?

Perché mi sembra che indichi un lavoro da fare assieme. È un guardare in avanti, quello del Papa , che coinvolge anche quei temi internazionali in cui l’Italia, come la Santa Sede, è fortemente impegnata: penso al richiamo al 60° anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e quindi alla difesa e alla promozione di questi diritti, o all’impegno per la pace. Mi sembra, lo ripeto, uno sguardo positivo di grande interesse e importanza.

La domanda forse è poco diplomatica, ma posso chiederle che impressione le ha fatto, di persona, Benedetto XVI?

Trovarsi dentro al più solenne cerimoniale che esiste al mondo è qualcosa che sorprende sempre, non posso negarlo. Ecco, in tutto questo mi ha colpito la grande semplicità del Papa , il suo modo di fare così accogliente e incoraggiante che mette a proprio agio l’interlocutore, così come il modo di scherzare con i bambini.
Come quando s’è rivolto a mia figlia, che si chiama Benedetta, dicendole: «Ma lo sai che abbiamo lo stesso nome?».


© Copyright Avvenire, 5 ottobre 2007


Paparatzifan
00sabato 6 ottobre 2007 22:12
Dal blog di Lella...

Curie e Curiali.

Preti pedofili e gay, Ratzinger fa il porta a porta

Nel mese di ottobre dovrebbe continuare con forza quella sorta di operazione verità che da tempo Benedetto XVI ha avviato nei confronti del clero e, in particolare, nei confronti di quei sacerdoti la cui condotta morale è tutt'altro che positiva. Le direttive che dal terzo piano del palazzo apostolico scendono verso i vari ministeri della curia (e a pioggia verso tutti i seminari sparsi nel mondo) sono quelle della massima rigidità, d'ora in poi, in merito all'ammissione negli istituti di nuovi candidati al sacerdozio. Lo scandalo dei preti pedofili negli Usa e nei paesi anglosassoni e quello dei sacerdoti con tendenze omosessuali, scotta parecchio e Benedetto XVI non lo ritiene tollerabile. Non che prima lo fosse, ma il fenomeno non era conosciuto fino in fondo e comunque non si pensava che potesse avere un'entità così rilevante. Di qui l'intento di Ratzinger di adoperarsi per dotare la congregazione per l'educazione cattolica guidata dal cardinale Zenon Grocholewski (anche se qualcuno aveva fatto il nome del possibile arrivo del cardinale patriarca di Venezia Angelo Scola, pare che Grocholewski sia destinato a rimanere in carica ancora per un paio di anni), di un nuovo segretario, proveniente dalla Spagna. Da più parti si fa il nome dell'attuale segretario della conferenza episcopale spagnola (Antonio Martinez Camino) ma Benedetto XVI pare stia vagliando anche i nomi di altri due monsignori spagnoli. La congregazione per l'educazione cattolica è un dicastero cruciale, perché è da qui che devono arrivare le direttive circa l'ammissione dei nuovi candidati al sacerdozio nei seminari. Proprio in merito, il 4 novembre 2005, questa congregazione aveva ricevuto diverse critiche (ma anche diversi apprezzamenti) per un documento in cui affermava che la Chiesa non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. La competenza del dicastero è estesa: comprende i seminari e le case di formazione degli istituti religiosi e secolari (eccetto quelli destinati alla formazione del clero missionario e del clero delle Chiese di rito orientale, che cadono rispettivamente sotto la giurisdizione delle congregazioni per l'Evangelizzazione dei Popoli e per le Chiese Orientali); le università pontificie; le università, le facoltà e gli istituti di educazione superiore dipendenti da un ecclesiastico; tutte le scuole e gli istituti di formazione dipendenti da un'autorità ecclesiastica. L'attenzione di Benedetto XVI al clero si è evinta in occasione di diversi viaggi apostolici in cui il Pontefice ha voluto incontrare personalmente i sacerdoti e rispondere alle loro domande. Sovente ha sottolineato la necessità che la formazione dei futuri sacerdoti sia integrale e incentrata sull'eucaristia, la preghiera quotidiana e la penitenza. Il 21 ottobre, quando Benedetto XVI sarà in visita a Napoli, non incontrerà direttamente i sacerdoti della diocesi. Ma non mancherà di rivolgere parole incoraggianti al clero. Contrariamente a quanto si era da più parti ipotizzato, Benedetto XVI non concederà la sua presenza all'Incontro interreligioso internazionale per la Pace promosso da Sant'Egidio. Ha acconsentito a incontrare alcuni dei leader religiosi presenti,ma soltanto prima che l'incontro inizi. E oltre il Tevere non è mancato chi ha sottolineato la cosa come significativa. Per il Papa la vista a Napoli è prettamente pastorale e non viene effettuata per altri motivi.

© Copyright Italia Oggi, 6 ottobre 2007


-danich-
00giovedì 11 ottobre 2007 11:43
Repubblica, 11/10/2007

Una settantina di ex suore espulse, che vivevano nella Casa delle Suore della famiglia di Betania a Kazimierz Dolnym, sud-est della Polonia, sono state portate via ieri dalla polizia, intervenuta con 150 agenti e sette ufficiali giudiziari. La casa era occupata dalle ex suore che circa due anni fa si erano rifiutate di accettare la nomina decisa dalla Santa Sede di una nuova madre superiore. Quella fino ad allora in carica, suor Jadwiga Ligocka, aveva, secondo la motivazione ufficiale, destato "inquietudine" nelle autorità ecclesiastiche perché si richiamava a presunte "illuminazioni" spirituali non sempre in linea con l'insegnamento della Chiesa.

Paparatzifan
00giovedì 11 ottobre 2007 23:09
Dal blog di Lella...

Sette in fuga dall'inferno, il "male" nel racconto di un'ex adepta salvata da ratzinger

Il diavolo non veste Prada e vuole l'eucaristia in mano

di Paolo Rodari

Sotto pseudonomio l'autrice racconta la sua dolorosa storia personale, nei particolari più macabri, dalle orge ai riti sadomaso, fino al tentato omicidio e alla liberazione finale. «Ora puoi avere il potere», le sussurrava nell'orecchio la sacerdotessa

Che per le sette sataniche «il permesso ai fedeli di ricevere la comunione sulla mano ha rappresentato un punto di svolta» è cosa facilmente credibile. Lo scrive Michela - il nome è volutamente inventato per mantenere l'anonimato dell'autrice - nell'affascinante quanto terribile racconto (a ruba nelle librerie) edito da Piemme, Fuggita da Satana. La mia lotta per scappare dall'inferno (165 pagine, 10 euro), ed è logico comprendere come per coloro che intendano impossessarsi della sacra ostia per profanarla, questa sia più facilmente trafugabile se la si riceve sulla mano che non direttamente in bocca. Ma che dietro questa scelta, divenuta prassi in Italia nel 1989, ci sia lo zampino di Satana è cosa più discutibile anche se, per chi ha fede, non del tutto peregrina.
Vengono in mente le parole di Paolo VI inerenti quel fumo di Satana che si sarebbe insinuato nella Chiesa. Viene in mente il pronunciamento (spesso disatteso) dello stesso papa Montini nel 1969 a favore della comunione sulla lingua con qualche rara eccezione concessa esclusivamente in quei paesi (sostanzialmente l'Olanda e il Belgio) dove l'uso della distribuzione sulla mano era già in uso.

E viene in mente quell'ostinata e tenace battaglia mossa dal cardinale Siri contro la comunione sulla mano, battaglia che consentì alla Cei di non cambiare la prassi in auge da sempre della comunione sulla lingua, almeno fino a quel - per alcuni - famigerato 15-19 maggio 1989, quando, proprio pochi giorni dopo la scomparsa dell'ex arcivescovo di Genova (morì il 2 del mese), l'assemblea generale dei vescovi italiani, con un solo voto di scarto e «approfittando» dell'assenza di molti presuli, cambiò le regole e concesse che nelle diocesi italiane chi voleva potesse ricevere la comunione sulla mano.

Un cambiamento notevole, che secondo alcuni andrebbe addirittura contro un'istituzione apostolica della comunione sulla lingua - san Tommaso, non a caso, parlava di una consuetudine «antica come la Chiesa» -, il tutto, si dice, per assecondare una prassi propria delle eresie ariane, nestoriane e pelagiane, ripresa poi nel mondo protestante e diffusa largamente in alcuni circoli cattolici olandesi dai quali, tra l'altro, è uscito quel «catechismo olandese» poi giudicato come eretico.
Il racconto di Michela, ovviamente, non è tutto qui. Muove da una dolorosa storia personale, in cui l'autrice racconta ogni dettaglio (fino ai particolari più macabri, dalle orge ai riti sadomaso, dalle violenze sessuali alle sedute di ipnosi) del suo ingresso in una setta satanica.
«Ora puoi avere il potere», le sussurrava nell'orecchio la sacerdotessa, ovvero «colei alla quale da diversi anni avevo affidato la mia esistenza, eseguendone qualsiasi ordine senza la benché minima perplessità». Qualsiasi ordine, come quello di prendere su tutto e dirigersi a Roma, quartiere Trigoria, e qui uccidere - proprio così - Chiara Amirante, la fondatrice dell'associazione Nuovi Orizzonti che evidentemente nella sua comunità di accoglienza troppi posseduti era riuscita a liberare. «C'è una ragazza - le disse un giorno la sacerdotessa - che comincia a essere un problema per noi, perché accoglie i ragazzi dalla strada e alcuni giovani hanno deciso di uscire dal mondo del satanismo. Vive a Roma, dove ha fondato una comunità, ed è molto stimata dalla Chiesa».
Vai e uccidi, insomma, e così Michela ha provato a fare, salvo poi trovarsi misteriosamente liberata dalle cure di colei che doveva divenire la sua vittima, dalle cure e preghiere di Chiara Amirante.
Nel mezzo, una lettera di Ratzinger il quale, contattato ai tempi in cui era prefetto alla dottrina per la fede da un sacerdote che per richiesta di Chiara (e con il permesso della posseduta) stava praticando esorcismi su Michela, scrisse all'allora prefetto dell'ex Sant'uffizio per chiedergli la licenza di concedere a Michela l'assoluzione dal peccato di profanazione dell'eucaristia (un peccato che può essere assolto dal sacerdote solo col permesso del Vaticano).

Nel giro di 24 ore la risposta positiva arrivò con tanto di post scriptum a chiudere, firmato cardinal Ratzinger: «Oggi la Chiesa è in festa perché un figlio è tornato a casa».

Michela si definisce come una che «ha incontrato Satana». E avendolo incontrato può permettersi di dire dove, nella Chiesa, tende a manifestarsi. Oltre, a suo dire, nella decisione di concedere l'eucaristia sulle mani, anche in coloro - teologi o meno - che diffondono la convinzione che non debba essere somministrato il battesimo ai neonati: secondo questa vulgata, saranno loro, una volta cresciuti, a decidere se battezzarsi o no. «In realtà - scrive Michela - per i satanisti va di lusso quando trovano qualcuno che non è battezzato, perché i demoni riescono a entrare in loro senza alcuna opposizione». «Per di più - racconta ancora l'autrice - seppi all'epoca (dell'appartenenza alla setta, ndr ) che facevano parte della setta anche alcuni ginecologi e ostetriche che lavoravano in ospedali e praticavano la consacrazione a Satana di tutti i neonati nel momento che venivano alla luce. Nessuno dei presenti in sala parto se ne accorgeva, poiché la formula veniva pronunciata mentalmente e non c'era bisogno di gesti o riti particolari».
Oggi sono in molti a ritenere una menzogna l'esistenza dell'Inferno e a identificare Satana con l'idea astratta del male: «Questa - scrisse uno dei più importanti esorcisti di oggi, ovvero don Gabriele Amorth - è autentica eresia, ossia è in aperto contrasto con la Bibbia, con la patristica, con il magistero della Chiesa».

© Copyright Il Riformista, 11 ottobre 2007


Mi ricordo, in Argentina, la comunione nelle mani è stata concessa nel 1995 dopo tantissime polemiche e l'opposizione di un vescovo che si è rifiutato di applicarla nella sua diocesi (aveva scritto pure un libro sull'argomento che anch'io ho letto anni fa). Ricordo pure il funerale del carissimo cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires, quando ho visto con orrore con i miei propri occhi durante la Messa, affollatissima, come ad una persona che voleva ricevere l'ostia, gliela passavano di mano in mano!!! [SM=g27825] [SM=g27826] Se lo devo dire, non sono affatto d'accordo con questa pratica!

ADESSO DICO: BASTA LA COMUNIONE NELLE MANI!!!!
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]


+PetaloNero+
00venerdì 12 ottobre 2007 00:53
DA PETRUS

Il Papa, Don Georg e l'amore per i bambini
di Angela Ambrogetti
CITTA’ DEL VATICANO - Se a volte può sembrare un po’ freddo con gli adulti, non lo è mai con i bambini. Il segretario particolare di Papa Benedetto, con i piccoli è decisamente a suo agio. Lo è sempre stato, secondo quanto racconta da anni. Del resto ogni buon sacerdote dovrebbe essere attento all’educazione dei fanciulli. Non diceva sempre Gesù “Lasciate che i piccoli vengano a me”? Così, un paio di anni fa, don Georg piuttosto che sottoporsi alle impertinenti domande dei giornalisti ha preferito affrontare il fuoco di fila di una intera scuola elementare bavarese. Forse neanche i giornalisti gli avrebbero chiesto, ad esempio, a bruciapelo, il numero di telefono del Papa. Ma i bimbi sì. Ne è nato un simpatico libretto curato da una redattrice del giornale locale. Ora è la volta di un'altra incursione nel mondo dei bambini. Don Giorgio ha scritto la prefazione della biografia del Papa redatta dal gatto Chico. O meglio, dalla giornalista Jeanne Perego. E’ stata lei a chiedere con semplicità al segretario del Papa di scrivere qualche riga. Detto, fatto. Il testo è arrivato via fax dai Palazzi Vaticani. Don Giorgio quando si tratta di bambini non si tira indietro. Un testo semplice e “ratzigheriano”, con un messaggio centrale: l’amicizia è una cosa seria, e quella con Gesù rafforza la vita di ognuno di noi perché: ”L’ Amore è Dio”. Il segreto del Papa per una vita felice? L’amore, Dio, solo l’Amore può colmare le attese del nostro cuore e dare senso alla nostra vita di uomini, scrive don Georg. Chi ama la semplicità e la purezza dei bambini magari può essere ferito dalla malignità degli adulti. Un amore condiviso con il Papa, quello di don Georg. Basta vedere alcune foto scattate a Regensburg. Il Cardinale Joseph Ratzinger che gioca per terra con il nipote dei vicini, il Papa che guarda le cime dei monti istruito da un fanciullo del luogo, o il bacio carico di tenerezza ai bimbi che gli portano fiori. Tutto questo sembra quasi dirci che solo un cuore semplice come quello di un bambini può capire questo teologo fanciullo che il mondo chiama Benedetto XVI. E il suo segretario condivide questo sentimento.
Paparatzifan
00venerdì 12 ottobre 2007 21:04
Re:
+PetaloNero+, 12/10/2007 0.53:

DA PETRUS

Il Papa, Don Georg e l'amore per i bambini
di Angela Ambrogetti
CITTA’ DEL VATICANO - Se a volte può sembrare un po’ freddo con gli adulti, non lo è mai con i bambini. Il segretario particolare di Papa Benedetto, con i piccoli è decisamente a suo agio. Lo è sempre stato, secondo quanto racconta da anni. Del resto ogni buon sacerdote dovrebbe essere attento all’educazione dei fanciulli. Non diceva sempre Gesù “Lasciate che i piccoli vengano a me”? Così, un paio di anni fa, don Georg piuttosto che sottoporsi alle impertinenti domande dei giornalisti ha preferito affrontare il fuoco di fila di una intera scuola elementare bavarese. Forse neanche i giornalisti gli avrebbero chiesto, ad esempio, a bruciapelo, il numero di telefono del Papa. Ma i bimbi sì. Ne è nato un simpatico libretto curato da una redattrice del giornale locale. Ora è la volta di un'altra incursione nel mondo dei bambini. Don Giorgio ha scritto la prefazione della biografia del Papa redatta dal gatto Chico. O meglio, dalla giornalista Jeanne Perego. E’ stata lei a chiedere con semplicità al segretario del Papa di scrivere qualche riga. Detto, fatto. Il testo è arrivato via fax dai Palazzi Vaticani. Don Giorgio quando si tratta di bambini non si tira indietro. Un testo semplice e “ratzigheriano”, con un messaggio centrale: l’amicizia è una cosa seria, e quella con Gesù rafforza la vita di ognuno di noi perché: ”L’ Amore è Dio”. Il segreto del Papa per una vita felice? L’amore, Dio, solo l’Amore può colmare le attese del nostro cuore e dare senso alla nostra vita di uomini, scrive don Georg. Chi ama la semplicità e la purezza dei bambini magari può essere ferito dalla malignità degli adulti. Un amore condiviso con il Papa, quello di don Georg. Basta vedere alcune foto scattate a Regensburg. Il Cardinale Joseph Ratzinger che gioca per terra con il nipote dei vicini, il Papa che guarda le cime dei monti istruito da un fanciullo del luogo, o il bacio carico di tenerezza ai bimbi che gli portano fiori. Tutto questo sembra quasi dirci che solo un cuore semplice come quello di un bambini può capire questo teologo fanciullo che il mondo chiama Benedetto XVI. E il suo segretario condivide questo sentimento.



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emma3
00venerdì 19 ottobre 2007 21:43
Difendere la vita, tutelare il lavoro»: Chiesa in campo contro la precarietà

Il Papa: valori indisponibili. Bagnasco: urge un patto tra le generazioni


di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO - Davanti agli stati maggiori della Chiesa riuniti a Pistoia per il centesimo anniversario delle Settimane Sociali, Papa Ratzinger leva la voce per manifestare fortissime preoccupazioni davanti al dramma di tanti giovani impossibilitati a metter su casa, sposarsi, fare dei figli, garantire loro un futuro. Tutta colpa della cronica mancanza di lavoro stabile. «Quando la precarietà del lavoro non permette loro di costruire una famiglia, lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso». Parole severe che riprendono un tema caro alla predicazione ratzingeriana: la necessità di arrivare ad un agire politico teso alla tutela della dignità dell’uomo in tutta la sua interezza. Il concetto di bene comune, ha fatto sapere Benedetto XVI nel messaggio inviato per l’occasione al presidente della Cei, Angelo Bagnasco, è il risultato di una «naturale interconnessione» tra il bene di ciascuno con quello dell’intera umanità. Da qui l’incoraggiamento ai cattolici laici impegnati in politica, proprio come ha fatto non meno di un mese fa parlando da Castelgandolfo, a cogliere con «consapevolezza la grande opportunità» che offrono le tante sfide aperte - dalla difesa della vita umana, alla tutela della famiglia, alla grande questione sociale e ambientale - per reagire «non con un rinunciatario ripiegamento su se stessi, ma, al contrario con un rinnovato dinamismo, aprendosi con fiducia a nuovi rapporti e non trascurando nessuna delle energie capaci di contribuire alla crescita culturale e morale dell'Italia». L’importante è evitare un uso generico e talvolta «improprio» del termine bene comune. Il ragionamento del Papa, tanto per sgombrare il campo da possibili equivoci, fa leva sui contenuti del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa e dell’enciclica del suo predecessore, Sollicitudo Rei Socialis. In tempi di globalizzazione, argomenta, il bene comune «va considerato e promosso» all’insegna dell’interdipendenza tra il mondo economico, quello culturale, quello politico e per finire quello religioso. E’ la solidarietà, il patto tra le generazioni, a tessere la trama tra le relazioni sociali. «Non tanto un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali delle persone» ma, al contrario, «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi» affinchè tutti siano responsabili l’un l’altro. Spetta così alla Chiesa intervenire nella vita pubblica nell’intento di risvegliare le coscienze morali, mentre ai politici cattolici tocca mettere in pratica con coerenza il Magistero e realizzare strutture giuste. «Come cittadini dello Stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e, nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita sociale, insieme con tutti gli altri cittadini secondo le competenze di ognuno e sotto la propria autonomia responsabilità». Nel testo preparato per le Settimane Sociali - consessi decollati nel lontano 1907 a Pistoia per opera di Giuseppe Toniolo, coraggioso protagonista del movimento cattolico sul finire del XIX secolo - Benedetto XVI ha voluto ribadire che la Chiesa non è affatto un «agente politico» anche se offre il suo «peculiare contributo a formare le classi politiche e imprenditoriali». Poi ha ribadito i valori non negoziabili «non sono principi solo cattolici» - vita, famiglia, dignità dell’uomo, pace, giustizia, salvaguardia del creato - ma valori umani comuni. La posta in gioco è altissima e impone ai cattolici un compattamento, un «rinnovato dinamismo». Decisamente più articolato ma in totale sintonia col Papa il lungo discorso del presidente della Cei. Bagnasco ha rinfrancato i cattolici e li ha richiamati a rinserrare le fila. «I laici in politica ascoltino il Magistero», siano coerenti e combattano uniti contro il relativismo che mina la vita umana e il matrimonio tra uomo e donna, abbiano a cuore uno sviluppo «autentico e completo» del Paese. Il lavoro, o meglio la disoccupazione e la precarietà, è stato inserito tra le grandi «emergenze etiche e sociali» e se non sarà risolto finirà per «minare la stabilità della società». Per il futuro dell’Italia, a suo parere, è essenziale «un nuovo patto tra le generazioni, all’insegna di un corretto principio di autorità e di comunità, di tradizione e di futuro». Ma il bene comune non si potrà attuare, nè tantomeno concepire senza recuperare «le virtù cardinali della fortezza, della giustizia, della prudenza e della temperanza con le attitudini interiori che ne conseguono». In poche parole si deve partire «dall’agire morale del singolo».

© Copyright Il Messaggero, 19 ottobre 2007

La strategia di Ratzinger non demonizza il profitto, ma lo collega alla responsabilità sociale

CITTA’ DEL VATICANO - Man mano che il testo della sua enciclica sociale sta prendendo forma, aumentano per numero e per intensità gli interventi di Papa Ratzinger in campo economico. Lo ha fatto anche ieri nel messaggio inviato al presidente della Cei in occasione delle Settimane Sociali in corso a Pistoia. «Interdipendenza» tra le parti sociali, «solidarietà», il concetto di bene comune, la necessità di realizzare «strutture giuste» sono i punti sui quali si è voluto soffermare. Tra le sfide è stata inserita anche la «precarietà del lavoro» giovanile, osservato e analizzato però in rapporto alla famiglia: come possono tanti ragazzi sposarsi e fare figli, partecipando così allo sviluppo autentico e completo dell’Italia, se la disoccupazione è tanto alta o se i posti di lavoro cui possono aspirare sono soprattutto precari? Che certezze possono mai avere? «In tempo di globalizzazione il bene comune va considerato e promosso» e l’interdipendenza deve essere sentita da tutte le componenti del mondo contemporaneo «economico, culturale, politico e religioso». Concetti che per sè non sono una novità, dato che si inseriscono armonicamente nella linea del Magistero tracciata dal suo predecessore, Giovanni Paolo II, il quale alle problematiche del nostro tempo ha dedicato ben tre encicliche sociali. Il Papa teologo li ha attualizzati all’insegna della globalizzazione, fenomeno non ancora così radicato all’epoca in cui vide la luce la Centesimus Annus, nel 1991. Alcune settimane fa in vista pastorale a Velletri il Papa ha offerto una lettura teologica sulle cause della povertà, anticipando per sommi capi la struttura portante dell’enciclica sociale che sta vedendo la luce.
Il divario tra Nord e Sud, l’emergenza della fame e quella ecologica stanno a denunciare «con crescente evidenza che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta». Se, invece, prevale la logica della condivisione «è possibile correggere la rotta» e orientarla verso uno sviluppo equo e solidale». Un agire economico basato solo sulla logica del profitto, in quest’ottica, è chiaro che potrebbe risultare devastante per il futuro del mondo. Pur criticando il sistema capitalistico sono stati fatti importanti distinguo: che «il denaro non è disonesto in sè stesso», così come la ricerca del profitto, «legittima nella giusta misura» nonchè «necessaria allo sviluppo economico». Si tratta, dunque, di un capitalismo che offre gli strumenti di cui l’uomo può servirsi per venire incontro ai bisogni propri e degli altri.

Il richiamo di Ratzinger è di aprire il cuore alla generosità, nella consapevolezza che le parti sociali, gli stati, i popoli sono interdipendenti, che lo sviluppo degli uni dipende lo sviluppo degli altri. Sicchè per Ratzinger l’Occidente opulento non può più restare in silenzio davanti al dramma di miliardi di persone affamate, straccione, senza futuro, costrette a una vita di stenti. Non vederne le conseguenze è pura miopia.

A Velletri il Papa teologo ha sviluppato il tema prendendo spunto dalla parabola del fattore infedele. Nel Messaggio di Pistoia, invece, ha citato l’enciclica Sollicitudo Rei Socialis, il teologo Francisco Suarez e il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa per rammentare che l’interdipendenza - parola ripetuta più volte - deve essere assunta a categoria morale.
F.GIA.

© Copyright Il Messaggero, 19 ottobre 2007



josie '86
00lunedì 22 ottobre 2007 14:57
Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 11/10/2007 23.09:


Sette in fuga dall'inferno, il "male" nel racconto di un'ex adepta salvata da ratzinger




Mi ricordo, in Argentina, la comunione nelle mani è stata concessa nel 1995 dopo tantissime polemiche e l'opposizione di un vescovo che si è rifiutato di applicarla nella sua diocesi (aveva scritto pure un libro sull'argomento che anch'io ho letto anni fa). Ricordo pure il funerale del carissimo cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires, quando ho visto con orrore con i miei propri occhi durante la Messa, affollatissima, come ad una persona che voleva ricevere l'ostia, gliela passavano di mano in mano!!! [SM=g27825] [SM=g27826] Se lo devo dire, non sono affatto d'accordo con questa pratica!

ADESSO DICO: BASTA LA COMUNIONE NELLE MANI!!!!
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]





Una faccenda simile è avvenuta nella chiesa di un paese vicino al mio. Che blasfemia! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27812] [SM=g27812] Al catechismo mi hanno insegnato a prendere la Comunione con le mani, ma ora che succedono questi fatti mi converrà prenderla con la bocca


-danich-
00lunedì 22 ottobre 2007 21:10
da Il Mattino
Nel sentiero...


Mi sembra che il Papa non abbia nascosto i problemi, e forse è proprio a partire da una lettura oggettiva della realtà che può nascere un messaggio di speranza. Questa è stata, come si sa, la seconda volta - da quando Sua Santità Giovanni Paolo II inaugurò nel 1986 ad Assisi i celebri incontri interreligiosi da allora in poi organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio - che il Papa - questa volta Benedetto XVI - torna a farsi presente.

Accolto entusiasticamente dal popolo napoletano. Nel suo significativo discorso rivolto ai rappresentanti religiosi presso il Seminario arcivescovile a Capodimonte, il Papa ha invocato lo «Spirito di Assisi», e si è pronunciato contro la violenza - che purtroppo oggi è diventata una pratica comune, incoraggiata anche dai mass media - invocando la pace e facendo appello al dialogo interreligioso come una delle vie prioritarie per una cultura di pace.
Mi felicito con la Comunità di Sant’Egidio, e specialmente con il suo fondatore, Andrea Riccardi, per l’esito felice di questa iniziativa che non poteva cominciare in modo migliore, e per il sostegno espresso in modo esplicito da parte del Papa verso queste iniziative di pace, così importanti.
Come laico e agnostico, partigiano di un dialogo multiculturale e multireligioso, e anche in qualità di Presidente della commissione per la libertà religiosa del Portogallo, sono rimasto molto soddisfatto per aver potuto incontrare personalità così rappresentative delle principali religioni del mondo, che partecipavano a questo incontro, considerando che, come ha sottolineato Sua Santità «mai le religioni possono diventare veicoli di odio; mai, invocando il nome di Dio, si può arrivare a giustificare il male e la violenza.
Al contrario, le religioni possono e devono offrire preziose risorse per costruire un’umanità pacifica, perché parlano di pace al cuore dell’uomo».

Mário Soares * ex presidente del Portogallo



Paparatzifan
00giovedì 25 ottobre 2007 18:27
Dal blog di Lella...

Lasciate che gli spretati tornino a me

CONTROESODI - Sono 6 mila, in Italia, i sacerdoti che hanno lasciato la tonaca. Molti adesso vogliono riavvicinarsi alla Chiesa. Il Papa studia come recuperarli.

Rinviato a data da destinarsi il raduno di preti sposati in piazza San Pietro che monsignor Emmanuel Milingo aveva organizzato per il prossimo 8 dicembre. Il suo portavoce in Italia, Giuseppe Serrone, attribuisce la colpa alle autorità italiane che avrebbero negato il visto al discusso vescovo africano su sollecitazione della Santa sede.
In realtà il raduno è saltato anzitutto per ragioni economiche: il reverendo Moon, finanziatore dell’associazione dei preti sposati di Emmanuel Milingo, ha ritirato il suo appoggio alla manifestazione. Gli oltre 6 mila preti sposati in Italia tirano un respiro di sollievo: sono loro i primi a prendere le distanze da Milingo e da Sante Sguotti, il parroco di Padova fidanzato e con un figlio.
Oggi infatti si torna a parlare dei preti sposati da un altro punto di vista, da quello di coloro che chiedono di essere riammessi al sacerdozio. Attualmente il numero dei preti sposati viventi nel mondo oscilla tra i 50 e i 55 mila. La Congregazione per il clero ha diffuso però un dato sorprendente: oltre 11.200 sacerdoti che avevano abbandonato il ministero negli ultimi 30 anni hanno chiesto di tornare nella Chiesa. Insomma, un prete sposato su cinque ci ripensa.
Si tratta in particolare di quei sacerdoti che avevano lasciato a cavallo degli anni 70, quando le defezioni erano oltre 4 mila l’anno. «Esiste un discreto gruppo di sacerdoti che, dopo avere abbandonato il ministero, trascorso un certo tempo manifestano per esso un’evidente nostalgia. Molti fanno pressione per essere riammessi al sacerdozio, ma senza abbandonare la vita di preti sposati» osserva il gesuita Gianpaolo Salvini, direttore della Civiltà cattolica.
Al Papa sono stati consegnati diversi progetti che puntano a valorizzare i preti sposati che vogliono essere riammessi al sacerdozio, per supplire alla scarsità di vocazioni che si registra nel mondo. Uno di questi progetti è stato presentato da un gruppo di preti sposati guidati dal teologo e giornalista Gianni Gennari (un passato da prete contestatore di sinistra e oggi strenuo difensore di Joseph Ratzinger e di Camillo Ruini sulle pagine dell’Avvenire). La proposta prevede che sacerdoti sposati con più di 25 anni di matrimonio alle spalle possano essere recuperati almeno come diaconi.
Dall’America Latina arrivano altre proposte per favorire l’ordinazione sacerdotale dei «viri probati», cioè di uomini sposati di provata fede. Lo stesso cardinale brasiliano Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, quando era arcivescovo di San Paolo aveva chiesto di prendere in considerazione questo tema.
C’è infine chi propone di estendere il rito orientale alle Chiese africane. Secondo il rito cattolico orientale, anche gli sposati sono ordinati sacerdoti.

Nel frattempo Benedetto XVI ha reso più spedita la procedura per la concessione delle dispense ai preti che chiedono di sposarsi, trasferendo la competenza alla Congregazione per il clero. Questo ha consentito di smaltire oltre 1.400 richieste che erano ferme dal pontificato di Giovanni Paolo II.

Cresce però anche il numero dei vescovi cattolici che chiedono la dispensa per sposarsi. Le domande presentate sono una ventina.

© Copyright Panorama n. 43/2007


Paparatzifan
00sabato 27 ottobre 2007 19:04
Dal blog di Lella...

Curie e Curiali

di Andrea Bevilacqua

È un'idea che circola oltre il Tevere da quando Joseph Ratzinger è divenuto Pontefice: dotare la curia romana di un ufficio che si dedichi integralmente a promuovere nella Chiesa la musica sacra. Un'idea che presto Benedetto XVI potrebbe mettere sul piatto delle proprie decisioni. Un'idea di cui si è cominciato a parlare da quando, mesi addietro, si pensava di unire il pontificio consiglio della cultura alla pontificia commissione per i ben culturali e l'archeologia sacra.
È all'interno di questo unico e nuovo dicastero che si pensava di inserire il nuovo ufficio. E adesso che monsignor Gianfranco Ravasi è stato nominato responsabile di entrambi i dicasteri, questi potrebbero essere presto accorpati e il nuovo ufficio dedicato alla musica sacra potrebbe presto prendere forma.
Con il Motu Proprio Summorum Pontificum entrato in vigore alla metà dello scorso settembre il Papa ha voluto sottolineare con forza come al centro della vita della Chiesa ci debba essere la liturgia e come, in essa, pieno diritto di cittadinanza abbia la celebrazione secondo l'antico rito.
Celebrare secondo l'antico rito presuppone la conoscenza del canto gregoriano e, più in generale, della musica sacra. Quest'ultima è per il Pontefice un'eredità preziosa che non va sprecata ed è per questo motivo che, accanto al pontificio istituto di Musica Sacra che si dedica - appunto - all'insegnamento della materia, egli potrebbe a breve decidere di istituire un ufficio il cui scopo sarebbe quello di promuovere e di indirizzare la diffusione della stessa musica nel mondo.
Lo scorso 13 ottobre Benedetto XVI si è recato in visita, tra l'indifferenza dei principali organi di comunicazione, proprio al pontificio istituto di Musica Sacra. In quello che viene chiamato il «conservatorio» liturgico-musicale della Santa Sede - da qui escono i musicisti di Chiesa che poi vengono mandati in tutto il mondo a lavorare secondo le proprie competenze - Benedetto XVI ha parlato della musica sacra citando il primo documento uscito dai lavori del Concilio Vaticano II, la Sacrosanctum Concilium, laddove si dice che «il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne».
Secondo Benedetto XVI la musica sacra deve essere proposta a qualsiasi popolo o tipo di assemblea e per questo «l'autorità ecclesiastica» non ne deve «congelare il tesoro», ma piuttosto deve inserire «nell'eredità del passato le novità valevoli del presente, per giungere a una sintesi degna dell'alta missione a essa riservata nel servizio divino». «Sono certo» ha detto il Papa, «che il pontificio istituto di Musica Sacra, in armonica sintonia con la congregazione per il culto divino, non mancherà di offrire il suo contributo per un aggiornamento adatto ai nostri tempi delle preziose tradizioni di cui è ricca la musica sacra».

Benedetto XVI non ha mancato di ricordare l'importanza che per la curia romana ha avuto il grande maestro Domenico Bartolucci, 91 anni, seduto in prima fila in occasione della visita del Papa. Bertolucci venne sostituito dall'incarico di guidare il coro papale della Cappella Sistina nel 1997.

Al suo posto, tra il rammarico di molti monsignori e cardinali (e tra questi c'era l'allora cardinale Ratzinger), l'ex cerimoniere papale Piero Marini spinse per mettere monsignor Giuseppe Liberto. L'estromissione di Bertolucci portò, di fatto, all'abbandono nelle liturgie papali della musica polifonica e gregoriana.

Con l'arrivo del nuovo cerimoniere papale, ovvero il genovese monsignor Guido Marini, le cose potrebbero cambiare. Lui, coadiuvato dall'ottimo monsignor Miserachs, preside del pontificio istituto di Musica Sacra, potrebbe far tornare il canto polifonico e gregoriano in Vaticano e, insieme, adoperarsi alla creazione di un nuovo ufficio con autorità in materia.
Tra qualche mese potrebbe esserci la prima celebrazione pubblica di Benedetto XVI secondo l'antico rito. Per l'occasione ci sarà bisogno di una musica adeguata.

© Copyright Italia Oggi, 27 ottobre 2007


Sono certa che lo farai. Che dire? GRANDE, PAPA!!!!
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Paparatzifan
00lunedì 29 ottobre 2007 20:55
Dal blog di Lella...

Scontri a Roma

«Niente onori a chi ha ucciso» Alla chiesa dell'Opus Dei rissa e insulti con i centri sociali

Rinaldo Frignani Ester Palma

ROMA — Botte e insulti fuori dalla chiesa dell'Opus Dei ai Parioli, volantini di protesta a San Pietro. La beatificazione dei 498 martiri spagnoli in Vaticano ha avuto ieri mattina una cornice violenta e polemica. Sei giovani dei centri sociali romani, appartenenti ai collettivi «Militant» e «Facciamo breccia» della rete antagonista, sono stati fermati poco prima di mezzogiorno da polizia e carabinieri mentre si scontravano con alcuni fedeli appena usciti dalla Messa nella basilica di Sant'Eugenio alle Belle Arti. I giovani di estrema sinistra, giunti su un furgone bianco, avevano attaccato uno striscione sul portone della chiesa sul quale c'era scritto «Chi ha ucciso, torturato e sfruttato non può essere beato», insieme a un pannello sul quale era riprodotto il famoso dipinto «Guernica» di Pablo Picasso. Alla fine della Messa un gruppo di fedeli, fra cui sembra anche un sacerdote, ha strappato lo striscione: sono volati insulti e spintoni, e poi anche calci e pugni. Un ragazzo dei centri sociali ha bloccato il traffico versando vernice rossa in mezzo alla strada. «Per simboleggiare il sangue versato in nome dell'antifascismo», hanno spiegato i manifestanti secondo i quali qualcuno dei fedeli avrebbe anche inneggiato al dittatore spagnolo Francisco Franco.

Diversa la versione di alcune persone presenti in chiesa: ad aggredire e insultare i fedeli sarebbero stati proprio i giovani contestatori, molti dei quali a volto coperto. Il parapiglia è stato comunque subito interrotto dalle forze dell'ordine. Gli agenti hanno bloccato i più esagitati e impedito che la situazioni potesse peggiorare ulteriormente. L'autista del furgone, fuggito con il veicolo per le strade dei Parioli, è stato inseguito e raggiunto poco dopo. A bordo sono stati trovati altri striscioni dello stesso tenore, con telecamere e macchine fotografiche contenenti le immagini della manifestazione e dei tafferugli.

«Ma non potevano avercela con noi — spiega Giuseppe Corigliano, portavoce dell'Opus Dei —, d'altra parte in quella basilica ogni domenica si recano centinaia di fedeli provenienti da tutta la zona. Escludo che appartenenti all'Opus Dei siano stati coinvolti in quella gazzarra». I ragazzi dei collettivi fermati, fra i quali anche una donna, fra i 23 e i 36 anni, sono stati accompagnati in commissariato, identificati e poi rilasciati. Sulla loro iniziativa indaga anche la Digos. Proprio nello stesso momento, in piazza San Pietro, altri due giovani appartenenti alla rete antagonista sono stati bloccati dalla polizia mentre stavano facendo invece volantinaggio fra i fedeli riuniti per assistere alla cerimonia di beatificazione. Anche loro sono stati identificati e le scatole di fogli fotocopiati sequestrate. Nei volantini si inneggiava al «Quinto Regimiento», il braccio armato del Partito comunista nella guerra civile spagnola, e alla «Brigada Internacional» (composta soprattutto da volontari francesi, che si scontrò con le truppe franchiste, appoggiate da Italia e Germania), e si criticava papa Benedetto XVI, accusato dai centri sociali di beatificare i 498 religiosi massacrati dalle milizie di sinistra «mentre il governo Zapatero sta per varare una legge sulla memoria storica che condanna il franchismo». «Siamo per la libertà di espressione — ha commentato don Nicola Zenoni, vice parroco della basilica di Sant'Eugenio — ma quelli cercavano la rissa».

© Copyright Corriere della sera, 29 ottobre 2007


I nemici della Chiesa conoscono un solo linguaggio: quello della violenza!


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Paparatzifan
00giovedì 1 novembre 2007 21:26
Dal blog di Lella...

La strada araba di Ratzinger

Paolo Rodari

Il tour europeo del Re dell'Arabia Saudita, Abdullah II, vivrà il prossimo martedì (6 novembre) un appuntamento senza precedenti. Papa Benedetto XVI riceverà il sovrano in udienza in Vaticano.

È la prima volta che la massima carica dell'Arabia Saudita mette piede oltre il Tevere. È un risultato che segna la grande attenzione che Benedetto XVI vuole mettere sul campo delle relazioni con il mondo musulmano. È un risultato al quale - se lo augurano nei sacri palazzi - ne potrebbero seguire altri più concreti.

È ben noto, infatti, nella Santa Sede e nella segreteria di Stato che ha curato nei minimi dettagli l'organizzazione della visita - soltanto due mesi fa, il 6 settembre, a Castel Gandolfo, Ratzinger aveva ricevuto il ministro degli Esteri saudita, il principe Saud Al Faisal - come il paese governato da Abdullah II sia tra i più oppressivi quanto a libertà religiosa e di culto del mondo. Quanto a oppressioni contro le minoranze religiose, secondo i dati forniti nel 2006 dall'organizzazione internazionale Open Doors , soltanto la Corea del Nord sta messa peggio.
In Arabia Saudita (il 93,7% della popolazione è musulmana), non è permesso possedere bibbie, portare con sé un crocifisso, un rosario, pregare in pubblico. E chi osa trasgredire questi divieti viene violentemente oppresso dalla Muttawa, la polizia religiosa ben conosciuta quanto a spregiudicatezza. Oltre il Tevere non sfugge, inoltre, come all'Arabia serva un nuovo accreditamento d'immagine nel mondo della diplomazia internazionale. Un accreditamento che la stessa élite del paese giudica oggi necessario anche a causa dell'ascesa sulla scena internazionale dell'Iran di Amadinejad, ascesa contro la quale gli stessi Stati Uniti stanno spingendo l'Arabia a prendere iniziative concrete.
In questo senso, la visita di Abdullah II al Pontefice potrebbe giovare soprattutto all'immagine del paese arabo.

Ma anche il Vaticano, pur non avendo alcuna relazione diplomatica col l'Arabia (la Santa Sede non ha mai avuto un suo nunzio nel paese), potrebbe "lavorare ai fianchi" il monarca e far sì che l'udienza di martedì diventi, da mera show diplomacy , il primo passo di futuri rapporti fino a oggi insperati, soprattutto ai fini della sopravvivenza di quel 3,7% della popolazione saudita che si dichiara cristiana.

Benedetto XVI, un anno fa, dopo il bailamme seguito alla sua lectio di Ratisbona, aveva spronato i nunzi vaticani a lavorare in accordo con la segreteria di Stato per tessere rapporti con i paesi islamici il più possibile tesi all'amicizia e al rispetto nella reciprocità.

Al di là delle varie e pur lodevoli iniziative di dialogo interreligioso, aveva chiesto un lavoro diplomatico alto, nella consapevolezza che è innanzitutto attraverso la collaborazione con le élite dei vari Paesi islamici che la pace e la tolleranza tra credo diversi (e dunque la lotta al terrorismo) potrà portare a risultati effettivi.

La recente nomina del cardinale francese Jean-Louis Tauran alla presidenza del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso è in questo senso significativa. Nell'immediato spetta a lui adoperarsi per promuovere ogni iniziativa di dialogo possibile, in particolare con il mondo islamico.
Dopo Ratisbona - e dopo il successivo incontro del Papa a Castelgandolfo con alcuni capi religiosi musulmani - l'iniziativa presa recentemente da 138 leader musulmani di scrivere una lettera aperta al Papa e ad altri leader cristiani per chiedere di mettere i due "più grandi comandamenti" dell'amore di Dio e del prossimo come base e terreno d'intesa per i futuri rapporti, resta un risultato notevole, da annotare e a cui fare seguire le opportune contro proposte. A Tauran, in particolare, toccherà - l'uscita dovrebbe avvenire a breve - una risposta ufficiale alla lettera.

Mentre alla diplomazia vaticana spetta, da subito, di continuare a tessere trame significative con i governi dei vari paesi islamici così come si è iniziato a fare un anno fa dopo Ratisbona.
È questa la strategia di Ratzinger. E l'arrivo di Abdullah II segna, all'interno di questa strategia, un passo significativo.

A parte la visita di due mesi fa del principe Saud Al Faisal a Benedetto XVI, i rapporti del Vaticano con l'Arabia Saudita erano fermi a tre visite che lo stesso Saud Al Faisal fece a Giovanni Paolo II negli anni passati. Ma da martedì molte cose potrebbero cambiare, soprattutto - se lo augurano in Vaticano - per la minoranza cristiana d'Arabia e per i suoi 801 mila battezzati cattolici.

© Copyright Il Riformista, 1° novembre 2007


+PetaloNero+
00martedì 6 novembre 2007 15:11
Introibo ad altare Dei

di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO - Come è noto, è cambiato il maestro delle celebrazioni liturgiche del Santo Padre: si è passati da un Marini all’altro, così dopo monsignor Pietro e' arrivato monsignor Guido. Ovviamente, un grazie al primo per il prezioso lavoro svolto ed un caloroso benvenuto al secondo. Conoscendo la serieta' e la compostezza di Guido Marini e' prevedibile un grande rispetto per la liturgia, meno estrosita', ma anche piu' attenzione per il latino, per il repertorio gregoriano e per i paramenti liturgici, ispirati alla sobrieta', con l’eliminazione di ogni forma di eccentricita'. Monsignor Guido Marini ha "esordito" al fianco del Papa nella Santa Messa in suffragio delle anime dei Vescovi e dei Cardinali scomparsi in questo anno: la celebrazione, di natura esequiale, era necessariamente mesta e qualsiasi liturgista l’avrebbe impostata senza particolari caratteristiche, ma si è già notato lo stile di Monsignor Marini. Per il quale la vera cartina di tornasole sara' il 24 novembre alla Cappella papale per il Concistoro: se arriveranno, come pare, significativi cambi, lo noteremo in quella circostanza. Detto questo, la presenza di Monsignor Guido Marini, uomo conosciuto per competenza e rigore, ci porta in un clima liturgicamente favorevole al recupero e alla corretta valutazione della tradizione, da molto tempo sottovalutata in nome di un assurdo modernismo e di estrosità figlie di cattive interpretazioni del Vaticano II. Intanto Roma, per due giorni, cioe' il 10 e 11 novembre, sara' la capitale dei fedeli ‘tridentini’. I tradizionalisti che si raduneranno nella Capitale sono in piena, vera ed autentica comunione con il Successore di Pietro, meritano ogni stima e attenzione. Per anni, sono stati emarginati, cosi' come il messale di San Pio V, un tesoro che garantisce alla Santa Messa spiritualita', bellezza, armonia. La Santa Messa e' prima di tutto sacrificio, dono, mistero, quindi contrasta con visioni razionaliste ed illuministiche che pretendono di spiegare anche quello che per natura non e'. Benissimo ha fatto il Santo Padre Benedetto XVI a liberalizzare con un atto di giustizia l'antico messale che nulla toglie al ‘Novus Ordo’. Ma non poteva rimanere impolverato un patrimonio storico e un gioiello come la Santa Messa tridentina. Auguriamo di cuore, ai fedeli tradizionalisti, buon lavoro e ogni bene per questo importante appuntamento: Introibo ad altare Dei.

Da Petrus
+PetaloNero+
00martedì 6 novembre 2007 15:12
Monsignor Ravasi denuncia la scarsa lettura della Bibbia e promuove la Messa tridentina: “Un monumento nella storia della Chiesa”. E sulla Tv: “Troppo violenta e volgare”


di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO - Parla a tutto campo, Monsignor Gianfranco Ravasi, neo presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura. Intervistato da ‘Petrus’, l’Arcivescovo spazia dai rapporti scienza-fede alla musica, dal canto gregoriano ai talk show televisivi. Paziente e gentile nei modi, il prelato mette a proprio agio l'interlocutore: caratteristica delle persone che si sanno davvero confrontare.

Eccellenza, ultimamente un sondaggio ha rivelato che solo il 16% degli italiani, di cui pochissimi giovani, legge la Bibbia. Da famoso biblista, come giudica questo dato?

"E’ certamente allarmante, ma esiste una spiegazione. Erroneamente si e' creduto per tanto tempo che la Bibbia fosse legata solo ai corsi di catechismo. E invece non è affatto cosi’. La Bibbiia deve essere un libro di continua consultazione. Molti, finendo il catechismo, non hanno piu' letto con la dovuta frequenza questo importante testo, con i risultati che purtroppo sono sotto gli occhi di tutti".

Monsignor Ravasi, ravvisa anche qualche responsabilita' della Chiesa a monte della disaffezione diffusa verso la Bibbia?

"Sicuramente. Quando i dati statistici sono cosi' bassi, non e' serio ne' onesto gettare le colpe sugli altri. Anche noi uomini di Chiesa abbiamo le nostre colpe, con un’evangelizzazione che spesso non e' all'altezzza della situazione. Non a caso, la conferma dell’urgenza di recuperare la lettura della Bibbia e' rappresentata dal fatto che il prossimo Sinodo dei Vescovi di tutto il mondo riguardera', appunto, il modo di avvicinarsi alla Bibbia e la sua divulgazione".

Roma, nel prossimo fine settimana, ospitera' il Congresso Internazionale dei fedeli tradizionalisti. Quale e' il Suo giudizio, da ‘Ministro della Cultura’ del Vaticano, sulla Messa tridentina?

"Favorelissimo. Rappresenta un monumento nella storia della Chiesa e della civilta'. Come sarebbe mai possibile rinnegare la tradizione? Basti pensare, ad esempio, alla nobilta' del canto gregoriano e del latino. Si tratta di un gioiello che andava difeso e valorizzato. Ovviamente, la difesa del rito tridentino non comporta affatto l’esclusione del ‘Novus Ordo’ e di una Messa celebrata in lingua locale. Direi che sono due approcci diversi ma entrambi apprezzabili".

Passiamo alla Tv: sembra lanciare messaggi sempre più sbagliati…

"Esatto. Prenda i talk show: si assiste sempre di piu' ad un’aggressione reciproca, ad un tentativo di sopraffazione che non fa bene. Spesso, poi, si sentono parole sconvenienti e volgarita'. Credo che gli spettatori siano sufficientemente adulti e maturi per separare il bene dal male".

Intanto si continua a vivere in una societa' sempre piu' secolarizzata… La Chiesa cosa fa per fronteggiare questa situazione?

"Noi non possiamo imporre nulla, ma solo incidere maggiormente nel tessuto sociale. Necessitiamo di un linguaggio piu sobrio, anche se oggi la freddezza della tecnologia ha in parte oscurato la capacita' del dialogo. Pensi, il nostro vocabolario possiede 15.000 vocaboli e si stima che i ragazzi, in media, ne adoperino appena tra gli 800 e 1.000".

Monsignor Ravasi, scienza e fede sono incompatibili?

"Usero' una metafora musicale. Le due categorie possono coesistere: sia un duetto e non un duello. Ognuno dei due intelocutori deve cercare di capire le ragioni dell'altro, senza prevenzione ma senza neppure perdere la propria identita'. Per essere chiari, nel caso di noi cattolici, senza rinunciare ai principi non negoziabili".

Da Petrus
Paparatzifan
00mercoledì 7 novembre 2007 23:01
Dal blog di Lella...

Una liturgia che piace a Ratzinger

Il nuovo cerimoniere torna all'antico
La croce sta nel mezzo, non più di lato


"Rispolverato" un camice con pizzo di papa Giovanni XXIII

di Paolo Rodari

L'orientamento prima di tutto. Se manca quello, l'assemblea riunita in preghiera diviene come un circolo chiuso che non sa più andare oltre sé, che non sa più esplodere verso la magnificenza portata da colui che viene, il Signore, il trafitto. Se manca quello, l'assemblea implode e si abbassa in una concezione di comunità autonoma e autosufficiente. E in una siffatta comunità il dialogo con colui che sta oltre non può avvenire e ogni parola diviene autoreferenziale.

È un rischio enorme, la mancanza di orientamento all'interno della sacra liturgia. È un rischio che Benedetto XVI sta cercando di non far più correre al suo popolo. Compito difficile, difficilissimo, soprattutto a causa dei tanti "disobbedienti" che dentro e fuori le sacre mura leggono nella volontà di evitare questo rischio un grottesco ritorno al passato. Eppure è un compito necessario, anzi fondamentale, altrimenti ciò che si prega ( lex orandi ) altro non diviene se non un qualcosa di diverso da ciò che si dovrebbe credere (lex credendi ).

Lo scorso primo ottobre Benedetto XVI ha voluto dare l'esempio: al fine di riportare la liturgia a essere ciò che dovrebbe essere, ecco la nomina di un nuovo cerimoniere papale, il genovese e siriano monsignor Guido Marini al posto del più liberal e bugninista monsignor Piero (Marini anch'egli). Si dice che Marini G. sia benevolo verso il Motu Proprio Summorum Pontificum voluto da Ratzinger per liberalizzare l'antico rito. E in effetti lo è perché - come il Pontefice - anch'egli riconosce l'importanza che in esso viene data all'orientamento verso Oriente.
Due giorni fa, lunedì 5 novembre, nel suo esordio in pubblico, Marini G. non ha deluso le aspettative: era la santa messa presieduta dal Papa in suffragio dei cardinali e dei vescovi defunti nel corso dell'anno.
Una messa celebrata nel "campo da gioco" più prestigioso, l'altare della Cattedra all'interno della basilica di San Pietro: costruito dal Bernini tra 1656 e il 1665, presenta quattro gigantesche figure di dottori della Chiesa che sostengono un trono di bronzo che contiene il sedile ligneo secondo la tradizione appartenuto a Pietro.
Marini ha "condotto le danze" con fare composto, spirituale. Qualche giorno prima aveva dichiarato: «Non sono qui per fare invenzioni ma per applicare scrupolosamente le norme liturgiche». E tanto ha fatto.
Per tutta la messa è stato accanto al Papa tenendo le mani giunte, come si conviene. Indossava un rocchetto (una sorta di camice corto) con tanto di pizzo, rispolverato per l'occasione dopo anni di dimenticatoio.
La liturgia è stata un sontuoso ritorno dell'orientamento verso Oriente, verso il Signore veniente, colui che dall'alto risorge e indica la strada della salvezza. Un ritorno che sa di antico, di messa pre conciliare, e che lunedì si è esplicitato prettamente nella presenza della croce nel bel mezzo dell'altare, posta sopra la sacra mensa con accanto - come si conviene - i sei candelieri accesi.
Benedetto XVI ha celebrato fronte al popolo ma, grazie allo spostamento della croce dal lato dell'altare al centro di esso, ha ridato un obiettivo comune allo sguardo suo e dell'assemblea, il tutto nel segno di una corretta visione democratica dell'ortoprassi liturgica.
Lo aveva detto bene, il cardinale Ratzinger, anche in Introduzione allo spirito della liturgia : «Tra i fenomeni veramente assurdi del nostro tempo io annovero il fatto che la croce venga collocata su un lato per lasciare libero lo sguardo sul sacerdote. Ma la croce, durante l'eucaristia, rappresenta un disturbo?».
Evidentemente no. Anzi, una croce così posizionata significa molto, moltissimo. La cosa è retaggio di un'usanza anticha, da datare alle soglie dell'epoca apostolica. Un'usanza che più d'ogni altra aiuta quel conversi ad Dominum di agostiniana memoria, quella conversione dello sguardo che permette di capire che è soltanto da oltre sé che può giungere quella salvezza a cui si tende. Se manca l'orientamento nella liturgia, manca l'orientamento nella vita di fede.
La messa di lunedì scorso è stata anche l'occasione per dare lustro ad altre prassi antiche. È stata come una prova generale di una prima celebrazione pubblica con l'antico rito, celebrazione che - si dice - avverrà soltanto tra qualche mese. Intanto, oltre alla croce nel mezzo dell'altare, è bastato il ritorno del camice col pizzo sotto le vesti liturgiche. Benedetto XVI ne ha indossato uno di Giovanni XXIII che da anni giaceva ripiegato nei tesori della sagrestia pontificia. Tesori tutti da riscoprire.

© Copyright Il Riformista, 7 novembre 2007



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Sihaya.b16247
00giovedì 8 novembre 2007 20:15
Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 07/11/2007 23.01:


Una liturgia che piace a Ratzinger

Il nuovo cerimoniere torna all'antico
La croce sta nel mezzo, non più di lato


"Rispolverato" un camice con pizzo di papa Giovanni XXIII



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Paparatzifan
00domenica 11 novembre 2007 23:34
Dal blog di Lella...

FALLACI Dal Papa con rabbia e orgoglio

Renato Farina racconta le emozioni e le paure che la grande giornalista ebbe per l’udienza a Roma con Ratzinger

Se avesse dovuto mettere in fila le parole più amate (e le parole per lei erano e sono il massimo della realtà, hanno carne più della carne) al primo posto ci sarebbe stata libertà. La verità sarebbe venuta dopo vita, amore, guerra. Però che verità sarebbe senza libertà, vita, amore e guerra al nulla, allo zero dove ci trascinano la morte e il nemico?
Oriana Fallaci ha cercato ogni istante la verità, sapeva che essa stava dalle parti degli occhi azzurri di Ratzinger (lo chiamava così, «Ratzinger!») e dove c’era il suono delle campane cattoliche, apostoliche e toscane. Ma ha temuto sempre che Lei, la verità negasse la libertà, che le chiedesse di rinunciare alla bestemmia. Non poteva sopportare di raggiungerla, di tenersela stretta e in pace. Lei ha amato più la libertà della verità. Io credo - ci sono cose che non si sanno, non le sa nessuno - che però alla fine sia stato Qualcuno, quel «Cristo!» che lei nominava con rabbia, con dolcezza, con furore, a tenerla tra le braccia sentendole battere furioso il cuore da usignolo, da scricciolo di 28 chilogrammi.
Oriana Fallaci con i suoi 28 chilogrammi e una potenza come la tempesta sui Caraibi è la prova che esiste l’anima, ed essa non è affatto l’«animula vagula blandula» descritta da Adriano, ma ha la fibra della donna che partorisce. Oriana non ha avuto figli, salvo i libri, ma nessuno ha saputo in questi ultimi cento anni descrivere con la dolcezza rostrata di un’aquila madre, la pena per un bimbo abortito per forza di legge o no, ma comunque inseguito, strozzato, reso nulla, lui che è tutto, così piccino, due millimetri in mezzo alle acque, ma tutto.
Come tutti i ragazzi che desiderano diventare giornalisti, mi ero bevuto i suoi libri. Li leggevo e pensavo: impossibile somigliarle, quel ritmo di scrittura che non è fine a se stesso, ma lotta per incidere le forme delle persone e dei fatti. I suoi reportage sull’Europeo. Niente e così sia. Sempre quell’ossessione del niente e il desiderio di ammazzarlo con l’infinito. Poi Un uomo, dedicato al suo amore assassinato, Alekos Panagulis. Quando vedevo qualcosa con la sua firma speravo fosse lunghissimo, non finisse mai. Perché non si leggeva per trovare l’approdo, ma per restare in balia delle sue onde, perché l’esperienza della sua lettura somigliava tantissimo all’assistere alla creazione biblica, dove un attimo prima cose animali luce acque non esistevano e poi eccole. Ho usato il tempo imperfetto, perché da quando Oriana è morta non riesco a stringere un suo libro per più di sette-otto minuti. Mi viene troppo in mente lei \.
Lei si stupiva che io ci credessi. «Tu sei troppo cattolico», concluse. Io sostenevo che Cristo fosse l’Eterno che aveva fatto irruzione nel tempo, citavo Thomas Stearns Eliot e don Giussani. Per lei era un filosofo della libertà. Aveva inventato la libertà e il diritto dell’individuo. Ma poi gli apostoli l’avevano tradito. E Dio poi era stato un’invenzione degli uomini i quali non si danno pace di vedersi sfuggire la vita. Risposi, naturalmente risposi. Volle farsi raccontare di Wojtyla. Diceva: «Per me è cattivo. È grande ma cattivo». Mi raccontò che un giorno le riferirono di un tal mensile polacco (la corressi: era un settimanale) di proprietà del cardinale di Cracovia: stava pubblicando a puntate il suo Lettera a un bambino mai nato. Era insieme lusingata, ma anche furibonda. «Come, come? ’sto prete mi pubblica e non mi chiede il permesso e non mi paga i diritti d’autore. Gli scrissi una lettera molto chiara. Mi doveva del denaro. Gli avrebbero scritto i miei avvocati». Ribattei: però era un intenditore. Spiegai la posizione del Papa sull’islam, per cui ogni uomo è suscettibile di conversione, perché la grazia di Cristo è più forte di qualsiasi condizionamento. Ed è possibile essere amico di un musulmano. C’è qualcosa di più grande persino dell’ideologia in fondo agli uomini.

Parlai del cardinale Ratzinger, di una mia antica frequentazione con lui. «Ratzinger sì che è buono, Ratzinger mi interessa. Quando lo leggo mi sembra di respirare, che pure il cancro, l’Alieno, si restringe. Potresti organizzare di farmi incontrare con lui?».

Lavorai per lei alcune settimane. Voleva sapere tutto sulla Turchia. Le inviai la descrizione scritta da me per Libero di un sacrificio rituale. Posso dirlo? La ricopiò tale e quale mettendola tra virgolette in bocca a un amico. Glielo dissi. Lei fece: «Avevo scritto una pagina in elogio tuo e di Toni Capuozzo, ma per ragioni di impaginazione non c’è stata». Una bugia. Ovvio. Urlò: «Sto morendo, capisci sto morendo. E tu ti lamenti, proprio tu che mi copi appena ti capita, anche le tesi sull'omosessualità». Un giorno mi domandò di tenerla informata sulla rincorsa al Nobel di Umberto Veronesi, avrebbe fatto di tutto per impedirne la vittoria, con le sue idee a proposito di embrioni come cose. Dall’America mi chiese persino di fare un’ambasciata telefonica a Beppe Grillo, per riferirgli che «la Fallaci» condivideva le sue posizioni contro la fecondazione artificiale mentre non capiva come una persona onesta e intelligente potesse parlare bene del sindaco di Firenze. La prossima volta che passava dall’Italia si potevano parlare tre minuti e gli avrebbe fatto cambiare idea. Grillo, meravigliato, mi rispose: «Dica grazie alla signora Fallaci. Grazie».
La chiamai sempre «signora Fallaci». Dandole del lei. Un giorno esplose contro di me una serie di bestemmie. Mi arrabbiai. «Lei fa così perché crede di farmi del male, ma lo fa a se stessa». Si addolcì, come spesso capitava, si addolciva, la pantera si accucciava morbidamente: «Renato dovresti essere contento che bestemmio. Vuol dire che credo in Dio».
Si avvicinò quindi a monsignor Rino Fisichella, il quale l'aveva difesa con un’intervista. Il rettore della Lateranense l’ha ricordata al Meeting di Rimini il 21 agosto 2007. Ha fatto il regalo di leggere in pubblico alcune lettere di cui è gelosissimo. Trascrivo, sicuro di sbagliare la punteggiatura. «New York, giugno 2005. Monsignore lei mi ha commosso. Naturalmente sapevo bene chi fosse il rettore della Lateranense, il vescovo che ragiona al di là degli schemi e senza curarsi del politically correct.
Ma a leggere la sua intervista al Corriere, ho rischiato davvero la lacrima, io che non piango mai, e mi sono sentita meno sola, come quando leggo uno scrittore che si chiama Joseph Ratzinger. Grazie di aver capito così bene, perché in lui vedo un compagno dell'anima, e perché affermo che se un'atea e un Papa dicono la stessa cosa, in quella cosa deve esserci qualcosa di profondamente vero, disperatamente vero. Il guaio è che sono molto malata. Ormai l’Alieno (come lei chiamava il cancro) mi divora persino gli occhi. Vorrei parlarle anche dell’importantissima cosa di cui suppongo lei sarà al corrente: il desiderio di incontrare, zitta zitta e lontano da occhi indiscreti, Sua santità. Sa è il desiderio che m’accompagna da quando cominciai a leggere i suoi libri.
Quando venne eletto Papa, feci sì capriole di gioia, ma nel medesimo tempo pensai: “Oddio, ora non potrò più vederlo” e con un sospirone mi rassegnai».
Ci riuscì. Ebbe udienza a Castelgandolfo da Ratzinger. Scriveva in terza persona a monsignore, per evitare che se mai qualcuno avesse aperte le lettere, non identificasse chi doveva andare dal Papa. Prima, nell’attesa, avrebbe vissuto qualche giorno a casa di Fisichella, che odiava il fumo. Come poteva farsi sopportare?
«La nostra amica parte lunedì. In città la poveretta si chiuderà in casa, come Diogene dentro la botte, anche perché essendo stata almeno dodici ore senza fumare, avrà la pressione sotto i sessanta. Ho una preoccupazione che non mi aveva mai sfiorato il cervello. Oddio! Oddio! Non ci vorranno mica gli abiti da cerimonia! Io quelli non li ho, non più! Ho soltanto spartane giacche da uomo: è lecito imporle a un sovrano? A ciò si aggiunge l’incubo della testa coperta. Io i veli in testa non li porto, neanche morta, neanche per coprire i capelli lasciati dalla chemioterapia. Di copricapo acconci non ne posseggo: se l’etichetta lo impone, come si fa? Sembrano scemenze, ma non lo sono. Dopo 26 anni non mi sono ripresa dal trauma che soffrii con lo chador, quello che mi tolsi facendo infuriare l’ayatollah. (…) A casa avrei bisogno di un ferro da stiro e due candele, di quelle che assorbono il fumo. Me lo insegnò Andreotti, che al mio arrivo nel suo studio, accese subito una candela. “Ma come! Accendi una candela a me?” gli chiesi. E lui rispose: “No, no! L'accendo alle sue sigarettacce”. Cercherò di controllarmi, lo prometto. Ma la candela ci vuole lo stesso».

Andreotti mi ha confermato l'episodio. E mi ha riferito che gli domandò se potesse avere una deroga e fumare dinanzi al pontefice perché altrimenti sarebbe svenuta. E così fumò dinanzi al Papa. Del resto in Vaticano non mancano candele.

Era generosissima. Mi chiamò perché aveva da regalarmi un libro antico, di un gesuita del seicento, che però lei odiava. Guai a toccarle i soldi del suo lavoro, ma poi dava tutto. Ha dato tutta se stessa. Una vita così è una vita vera. Non ha appoggiato la testa sulla spalla di Cristo perché era troppo orgogliosa. Figuriamoci lavargli i piedi. Chi crede di essere quel nazareno, Panagulis? Era battezzata però, ha voluto morire guardando la cupola del Brunelleschi, che è la maternità della Madonna. Ha chiesto di essere tenuta per mano dall’amico cristiano fino all'ultimo momento. Nessun funerale religioso, ma la musica è stata quella delle campane della cattedrale, e sul comodino aveva il cd del concerto di San Pietro.
Così ha descritto al vescovo la morte della sua mamma, quando seppe che si era appena spenta la mamma di Fisichella. «C’ho pensato tanto dopo la telefonata di Marco (il segretario del vescovo, ndr). “Prete!” aveva farfugliato (mia mamma, ndr) con occhi imploranti verso mezzanotte. Così ero corsa subito fuori, senza neanche infilarmi un cappotto (era inverno e nevicava). Nel buio avevo raggiunto la chiesa del villaggio e chiamato un certo don Gozzi, che non voleva venire. “Domani, domani! Ora è troppo tardi e fa freddo”. A spintoni, parolacce, minacce: “Se non mi segue seduta stante, io l’ammazzo”. L'avevo costretto a venire seduta stante con la stola viola e tutto il resto. E a vederlo entrare, gli occhi imploranti si erano illuminati di una gioia insensata, sublime e insensata.
Poi da un tipo simile assolta da peccati che non aveva mai commesso, si era appisolata con un sorriso felice».
Sono stato sulla sua tomba, al cimitero degli Allori a Firenze. Confesso di aver rubato dei sassi dalla terra. Una pietruzza l’ho infilata in un vaso di erica che accarezza il sepolcro di don Giussani. Un’immaginetta di don Gius l’ho sepolta nella terra dove Oriana giace. Lei direbbe: «Mi sa che sei un po’ pagano». Ma no, mi avete voluto bene, amici.

© Copyright Il Giornale, 11 novembre 2007


Paparatzifan
00domenica 11 novembre 2007 23:54
Dal blog di Lella...

Il Papa, l'Islam e l'armonia di Confucio

GIANNI BAGET BOZZO

Forse un segno per comprendere la guida che Benedetto XVI imprime al suo Papato è la nuova forma dell’Osservatore Romano nella direzione di Gian Maria Vian. Prima era un comune giornale italiano, in cui comparivano gli atti della Santa Sede.
Oggi è un quotidiano papale, che parla di ciò che è proprio del Papa, dei suoi atti di magistero e di governo della Chiesa, e dà rilievo alle questioni di carattere dottrinale e spirituale nella Chiesa universale. Al tempo stesso, nel giornale l’interesse per la politica internazionale ha preso il posto della società e della politica italiana.
Vi è un altro lato dell’attività di Benedetto XVI e spiega forse la nomina di un collaboratore fidato come Tarcisio Bertone a un ruolo coperto abitualmente da diplomatici come la Segreteria di Stato. Il Papa vuole intervenire personalmente nei problemi del mondo, quindi degli Stati, con un solo principio: la libertà dei cristiani. Ciò spiega due atti fondamentali del pontificato.
Il primo è la decisione presa con il suo intervento per la libertà della Chiesa in Cina, stabilendo che la presenza ecclesiale non può essere affidata a una Chiesa sotterranea anche se fedele, ma deve essere inserita nel quadro delle istituzioni e della società cinese.
Significa che essa deve accettare il principio confuciano della «grande armonia» alla base del governo del Partito comunista cinese, in un momento paradossale in cui, rimanendo comunista, il Paese diviene una potenza capitalistica.
Solo la «grande armonia» può governare questa Cina. Perciò il Papa accetta che i vescovi cattolici abbiano il consenso del governo cinese. Può essere considerato un giusto atto di inculturazione della Chiesa in Cina, ma lo scopo è di ottenere uno stato di libertà, seppure limitato, dei cattolici cinesi.

Oggi i cristiani cinesi sono più numerosi degli iscritti al Partito comunista, ma la linea papale vuole che la Chiesa in Cina cresca nella «grande armonia» confuciana garantita dal Partito comunista cinese.
E una simile intuizione governa l’atteggiamento del Papa verso il mondo islamico.

Il discorso di Ratisbona è stato considerato da tutti un errore, invece ora appare un nuovo inizio. Non i governi occidentali, ma il Papa ha fatto sentire il problema della libertà dei cristiani come un fatto che tocca l’identità dell’Islam nel mondo. Così ora il «custode» dei luoghi santi di Medina e La Mecca viene a Roma e offre al Papa una spada, il che può essere anche interpretato come un limite alle reciproche ostilità.

Dopo Ratisbona, il problema dei cristiani diventa il vero problema dell’Islam come mai era accaduto prima.
È significativo che dopo la visita del re saudita in Vaticano venga riconosciuta dalle due parti la presenza operosa dei cristiani in Arabia Saudita.
Così è legittimata questa realtà, che pure oggi nel regno saudita è decisamente interdetta sul piano religioso. Ed è molto rilevante l’appello degli imam rivolto ai cristiani nelle loro autorità ecclesiali. È un riconoscimento che il problema dei rapporti con le Chiese cristiane è fondamentale per i dirigenti dell’Islam, in un modo che lo differenzia dal rapporto con l’Occidente. Si rivolge alle Chiese cristiane come una realtà comparabile all’Islam tanto quanto l’Occidente è altro rispetto alla realtà dell’Islam.
Il fatto che nella lettera degli imam sia ricordato anche l’Ebraismo, significa riconoscere che anche l’Ebraismo è un problema del rapporto dell’Islam con il mondo unito. Viene distinto dalla posizione di Israele come Stato ebraico in terra palestinese.

I due aspetti dell’azione di Benedetto XVI - il governo della Chiesa e i rapporti con il mondo - mostrano la novità che questo Papa ha portato nel Papato romano.

© Copyright La Stampa, 10 novembre 2007


+PetaloNero+
00mercoledì 14 novembre 2007 16:28
Da Petrus

Lucia Annunziata: "Io, atea devota, ammiro Benedetto XVI"
di Bruno Volpe



CITTA’ DEL VATICANO - Un’atea devota come Lucia Annunziata, ex Presidente della Rai e giornalista di punta della Tv di Stato, promuove a pieni voti, sottoponendosi alle nostre domande, il Magistero di Benedetto XVI. Dottoressa Annunziata: lei, atea, esprime un’eccellente valutazione del Papa... "E’ vero. Ma essere non credenti non implica affatto scarsa serenità di giudizio e di valutazione. Benedetto XVI è un eccellente teologo e un ottimo Pastore. Lo stile forse è più asciuto rispetto a quello di Giovanni Paolo II, ma occorre anche capire che si tratta di due personaggi diamentralmente opposti nel carattere e nella formazione culturale. Wojtyla affermava esattamente le stesse cose di Ratzinger, probabilmente con un modo di esporre più suadente; Benedetto XVI risulta più fermo sui principi, ma il suo Pontificato segue con fedeltà il Magistero del suo predecessore". Lei ha partecipato al Family Day, fatto insolito per una non credente di sinistra... "Non ci vedo nulla di strano. Guardi, essere di sinistra non comporta il rinnegare a priori quanto di buono, ed è tanto, esiste dall'altra parte. Io ho profonda stima della cultura cattolica, e la rispetto. In quanto al Family Day, vi ho preso parte perche ' reputo la famiglia un patrimonio dell’umanità che merita tutela: la famiglia non è nè di destra nè di sinistra, appartiene ai valori universali". Ci ha confidato, a taccuini chiusi, di avere molti amici tra sacerdoti e Vescovi... "Vero. Pensi, forse ho più amici nel clero che dalla mia parte. Curioso? Forse. Ma ho conosciuto Santi sacerdoti, persone perbene che svolgono la loro opera con onestà". Dottoressa Annunziata, Lei appartiene al mondo dell’informazione, quello stesso mondo che non perde occasione per attaccare la Chiesa... "Guardi, dei giornali e dei giornalisti non vorrei parlare: difendo la ‘casta’. Ma nel suo giudizio globale ritengo che lei abbia ragione: una certa esagerazione vi è stata e vi è tuttora nell’attaccare la Chiesa". Che giudizio ha Lucia Annunziata della cultura cattolica? "Diciamo che la giudico con la stessa stima e amicizia con la quale analizzo quella marxista. Non mi reputo persona che erige barriere. Cerco di rintracciare il buono laddove esiste". Non crede di cadere nel relativismo? "No, perchè io non mi proclamo cattolica, anche se una delle mie letture preferite è il Vangelo, che contiene tante verità e che consiglierei a molti critici della Chiesa che magari non lo hanno mai aperto". Dottoressa Annunziata, sembra vicina alla conversione... "No, io rimango atea e marxista, ma esprimo ogni apprezzamnto verso la cultura cattolica". In conclusione, da atea ma da persona di cultura, si reputa favorevole alla Messa tridentina? "Io sono cresciuta e sono andata in Chiesa da bambina con il rito tridentino, apprezzo il canto gregoriano, la lingua latina rappresenta una ricchezza: perchè scandalizzarsi? Certo, il Concilio Vaticano II ha operato dei cambiamenti utili, ma rinnegare la tradizione, che poi è cultura, mi sembra a dir poco imbarazzante".
+PetaloNero+
00mercoledì 14 novembre 2007 21:44
Da Petrus

Esclusivo - Dopo i tragici fatti di domenica, Matarrese chiede aiuto a Bertone: “Troppa violenza, il calcio è malato ed ha bisogno del contributo della Chiesa”
di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO - "Caro Bruno, sono Tonino... ". Spontanea arriva la domanda: “Tonino chi?”. “Tonino Matarrese! Ma da quando hai preferito San Pietro a San Siro, non mi riconosci più!”. L'insolita telefonata arriva nel bel mezzo di una fredda serata romana. Dall'altro capo del telefono, il Presidente della Lega Calcio, Antonio Matarrese (nella foto): ci accomunano anni interi trascorsi insieme negli stadi e stima reciproca. "Voglio darti una notizia che ti interessa…".
Coraggio, Presidente...
"Il calcio italiano si affiderà alla Chiesa: dopo i tragici fatti di domenica scorsa, stiamo per costituire con dirigenti, giornalisti e forze dell’ordine un’assise consultiva sul mondo del calcio della quale invito a far parte anche il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone".
Come nasce l’idea di un ‘soccorso ecclesiastico’?
"Guarda, apprezzo da sempre il Cardinale Bertone, ed ovviamente stimo il Santo Padre. Con il Cardinale Bertone, amante dello sport, è nata subito una sincera sintonia, quindi ritengo opportuno far tesoro anche dei suoi saggi consigli per uscire da questa fase molto critica che sta attraversando il calcio. Attraverso il vostro ‘Petrus’, il Cardinale Bertone, in attesa della comunicazione ufficiale, sappia che, se vorrà, potrà far parte di questa grande assise sul mondo del calcio; spero che accetti, spero che ci faccia sapere, attendiamo i suoi suggerimenti".
Ma la Chiesa e il calcio non ti sembrano due mondi estranei o, quantomeno, contrastanti?
"No, perchè mai?!? Intanto mi risulta che il Santo Padre Benedetto XVI sia un amante del bel calcio; poi il Cardinale Bertone se ne intende, possiede il carisma e l'entusiasmo giusti. Voglio coinvolgerlo con un ruolo istituzionale, abbiamo bisogno di lui".
Il mondo del calcio è scosso da violenze, scontri, persino uccisioni…
"Vero, ma ripeto ciò che dissi in occasione della morte del povero ispettore Raciti a Catania e che fu mal interpretato dai soliti moralisti. Io condivisi il dolore della famiglia del poliziotto, ma constatai realisticamente ed amaramente che ormai il calcio non fa eccezioni in un mondo nel quale regna la violenza. Purtroppo, se la società è così violenta, perchè mai gli stadi dovrebbero rappresentare un'eccezione o addirittura un’oasi felice?".
Però l'episodio del giovane tifoso della Lazio morto domenica, almeno nella causa scatenante, ha avuto poco a che vedere con il calcio: si è trattato di un tragico errore, almeno così sembra…
"Questo lasciamolo dire ai Magistrati. Ma le reazioni, la caccia al poliziotto, questo no, non mi sta bene. La società e la gioventù sono malate. I ragazzi sono figli di questo mondo, di famiglie disgregate, dove padre e madre lavorano e nessuno sa dare un'educazione cristiana. Mi chiedo, dove sono gli oratori di una volta? Io sono cresciuto in parrocchia con i salesiani. Mi fa tristezza a volte vedere le Chiese vuote durante la Messa o al massimo con qualche vecchietta tra i banchi: di giovani neanche l’ombra. Ecco, i genitori dovrebbero preoccuparsi maggiormente dei figli, ma invece contribuiscono, sia pure involontariamente, a far regnare il fatalismo in una società senza Dio: questa si chiama anarchia".
Per fortuna, almeno gli incontri pubblici del Santo Padre fanno registrare il tutto esaurito, con un record di presenze dopo l’altro…
"E’ ovvio: Benedetto XVI ha il carisma della chiarezza. Sa anche essere severo, ma un po’ di severità non guasta mai. I giovani amano le guide sapienti e sagge, proprio come il Papa. Troppa libertà fa male…".
Insomma, il calcio italiano chiede aiuto alla Chiesa…
"Certo. Io sono fratello di un Vescovo, so apprezzare quanto di buono oggi, ed è tanto, esiste nella Chiesa. Ti assicuro, coinvolgerò la Chiesa nella rinascita del calcio e accoglierò con la dovuta attenzione i consigli che vorrà darmi il Cardinale Bertone, sempre che accetti la mia proposta di entrare a far parte dell’assise consultiva di imminente costituzione".
+PetaloNero+
00venerdì 16 novembre 2007 16:22
Da Petrus

Intervista esclusiva a Giulio Andreotti - “Padre Pio attaccato da intellettuali arroganti”. E su Benedetto XVI: “E’ un uomo lineare, una volta pensai a lui come Presidente del Senato…”
di Bruno Volpe



CITTA’ DEL VATICANO - La sua agenda è sempre fitta di impegni. Il senatore a vita Giulio Andreotti, a partire dall’immancabile Messa mattutina, trascorre giornate intense e ricche di incontri. Ma quando si tratta di parlare di Chiesa, lui che è stato uno degli esponenti di maggior spicco della Democrazia Cristiana, nato nel 1919 sotto il Pontificato di Benedetto XV e divenuto politico di razza già ai tempi di Papa Achille Ratti, un momento libero lo trova sempre. Soprattutto, poi, se si tratta di difendere un Santo come Padre Pio da Pietrelcina. La votazione a Palazzo Madama sulla Finanziaria è terminata da poche ore, ma il volto del 7 volte ex Presidente del Consiglio - che ha retto tutti i Ministeri e a cui manca solo il Quirinale - è disteso come quello di un ragazzino, malgrado la veneranda età di 88 anni.
Presidente, Lei è un devoto di Padre Pio. Ultimamente è nata una polemica sulle stimmate del Santo: che idea si è fatta sulla vicenda?
"Credo che si stia sollevando un polverone per nulla, e francamente ritengo tutto ciò eccessivo e sbagliato. Che dire? E’ evidente che qualche intellettuale (il riferimento sembra a Sergio Luzzatto, l’autore del libro che ha messo in dubbio la soprannaturalità delle piaghe del Santo, ndr) non rispetta la devozione popolare e pecca di arroganza. Io, personalmente, come diceva Lei, sono un devoto di Padre Pio, tanto che l’ho sempre considerato Santo indipendentemente dalle stimmate e dalla canonizzazione ufficiale da parte della Chiesa".
Anche alla luce degli attacchi alla storia personale e alla figura di Padre Pio, si può parlare, a Suo avviso, di un accanimento dei mass-media secolarizzati contro la Chiesa?
"Accanimento mi sembra una parola grossa; secondo me è più corretto parlare di ostilità. Ma, d’altro canto, è scritto nel Vangelo che il cristiano sarà perseguitato. Basti pensare alle grida e agli strepiti che si sono levati sulle presunte agevolazioni fiscali alla Chiesa o sui ‘vizi’ di pochi sacerdoti, come se gli esponenti delle altre religioni fossero tutti dei santarellini…”.
Francesco Cossiga, in una vecchia intervista, ha sostenuto che Lei sarebbe stato un eccellente Segretario di Stato vaticano...
"Intanto il Cardinale Tarcisio Bertone svolge eccellentemente il suo ruolo; ma non nascondo che la cosa mi lusinga. Io abito vicino al Vaticano, c’è solo un ponte a separarmi da Piazza San Pietro, e mi sono sempre occupato delle cose di qua e di là del Tevere…".
Lei ha conosciuto tanti Papi, ma chi L’ha colpita di più?
"Senza ombra di dubbio Paolo VI, con cui c’era un rapporto personale antecedente alla sua elezione al soglio di Pietro. Ma ho ricevuto grandi attenzioni anche da Giovanni Paolo II".
E Benedetto XVI l’ha mai incontrato?
"Da Papa mai; da Cardinale, invece, diverse volte. E una mi è rimasta particolarmente impressa: quando l’ex Presidente Marcello Pera lo invitò al Senato. Apprezzai molto il suo intervento sulla realtà italiana, fu molto lungimirante. Usando un paradosso, quasi mi scappò da dire: mi trovo davanti al Cardinale Pera e al Presidente Ratzinger…".
Intanto ha letto il libro ‘Gesu' di Nazaret’ scritto dal Pontefice?
"Sì, e l’ho trovato interessante. Ho apprezzato la straordinaria facilità da parte del Papa di tradurre agevolmente cose difficili. Non sta a me dirlo, ma è un’opera indubbiamente degna di un grande teologo".
Cosa pensa del Pontificato di Benedetto XVI?
"Credo che sia ancora presto per esprimere giudizi. Quello che posso dire è che il Papa ha dimostrato di essere un uomo lineare, rigoroso nei principi e impegnato a seguire le orme del suo predecessore, Giovanni Paolo II. A lui, tedesco, credo abbia fatto bene anche caratterialmente l'aria di Roma. Ha vissuto nel quartiere Borgo Pio, ha quindi percepito ed assimilato la tolleranza, la paciosità, la bonomia di Roma e dei romani".
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