La Stampa - Cosa dicono i giornali

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+PetaloNero+
00giovedì 12 giugno 2008 15:25
Da Ruini a Vallini, da Saraiva ad Amato. Al Sant’Uffizio? Sanna



Si avvicina il giorno dell’annuncio dell’avvicendamento del Vicario di Roma: la scelta del Papa, per la successione del cardinale Camillo Ruini, è caduta sull’attuale Prefetto della Segnatura apostolica, il cardinale Agostino Vallini, già vescovo ausiliare di Napoli e poi vescovo di Albano. La nomina dovrebbe essere resa nota entro fine mese, probabilmente il 24 giugno. Non ci sono cambi in vista nella struttura del Vicariato: il successore di Ruini dovrebbe infatti mantenere al suo posto l’attuale vicegente, monsignor Moretti. Nei giorni successivi alla nomina di Vallini al Vicariato dovrebbe essere resa nota la promozione del Segretario dell’ex Sant’Uffizio, l’arcivescovo Angelo Amato, a Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, in sostituzione del cardinale José Saraiva Martins. Il delicato ruolo di numero due della Congregazione per la dottrina della fede si vociferava fosse destinato al vescovo Rino Fisichella, ausiliare di Roma, attuale rettore della Lateranense. Ma nelle ultime ore sta prendendo quota un’altra candidatura: quella del più anziano arcivescovo di Oristano, il teologo Ignazio Sanna, che era stato promosso alla diocesi sarda da appena due anni. Fisichella viene riservato per altri futuri incarichi.

blog.ilgiornale.it/tornielli/2008/06/12/da-ruini-a-vallini-da-saraiva-ad-amato-al-santuffiz...


Sihaya.b16247
00giovedì 12 giugno 2008 21:43
Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 06/06/2008 21.03:


CALENDARIO

di GIOVANNI BELARDELLI

Ingerenza a intermittenza
...

I soliti ippocriti!
[SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]




I Komunisti vogliono che il Papa dica quello che piace a LORO... [SM=g27828]


Sihaya.b16247
00giovedì 12 giugno 2008 22:17
Re:
+PetaloNero+, 29/05/2008 15.24:

BENEDETTO XVI: UN PAPA AMATO E POPOLARE

L'articolo completo qui:
www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=33892&idsezione=4



Lo avevo immaginato!! [SM=g27818]

ECCELLENTE!!! LEGGETE QUESTO ARTICOLO!!! [SM=g27811]


Paparatzifan
00lunedì 16 giugno 2008 21:55
Dal blog di Lella...

L'intervista. Il vaticanista Muolo

«Qui insieme l'accoglienza e la missione di Pietro»

Mimmo Muolo, pugliese di Monopoli, vaticanista per «Avvenire», il quotidiano dei vescovi, spiega perché il viaggio in terra pugliese «è uno snodo fondamentale»

F. Str.

DAL NOSTRO INVIATO

S. MARIA DI LEUCA — Giovanni Paolo II puntava all'estensione del messaggio, Ratzinger guarda alla profondità. Non sono metafore, ma concetti geografici. Sono pronunciati da Mimmo Muolo, pugliese di Monopoli, vaticanista per «Avvenire », il quotidiano dei vescovi.
Provano a spiegare il perché l'uno ha viaggiato per l'intero mondo, e l'altro insiste nel visitare paesi dell'Occidente (che vanno «rievangelizzati dalle radici »).
La terra pugliese, in questo contesto, «è uno snodo fondamentale».

Il Papa ha già toccato due volte la Puglia. Come lo spieghi?

«Il primo viaggio, compiuto a maggio 2005 a conclusione del congresso eucaristico, l'ha ereditato dall'agenda del predecessore. Questo è il primo vero compiuto su invito. Si badi: Benedetto, a differenza di Giovanni Paolo che toccava i confini della terra, viaggia in luoghi simbolo. Quando si sposta è come se rimarcasse sempre qualcosa di particolare ».

Qui qual è il concetto che intende sottolineare?

«Viene a dire che questo è un luogo di snodo. Il Papa guarda alle diversità, alle culture che qui si incrociano. Al cospetto delle culture e dei popoli che arrivano, l'accento però cade sulla fede. Intendiamoci, egli non nega l'aspetto dell'accoglienza, ma è come se sottolineasse che il compito della Chiesa è soprattutto di annunciare il vangelo. E' un aspetto qualificante del suo pontificato. Dalla terrazza naturale che è Leuca ci dice: non basta accogliere, occorre muoversi verso gli altri. Ci fa capire anche come».

Come?

«Con il duplice principio petrino e mariano, di Pietro e di Maria. Si tramanda che il primo fosse approdato a Leuca, mentre alla Madonna è intitolata la basilica. Il primo rappresenta l'istituzione, la seconda l'accoglienza materna. Occorrono, dice il pontefice, l'uno e l'altra».

Ratzinger parla di Chiesa senza confini, ma poi insiste nel visitare paesi occidentali. Come lo valuti?

«Benedetto pensa che il mondo occidentale abbia bisogno di ricominciare a credere. Sta cercando di spiegare che credere è plausibile anche sul piano razionale. Egli si rivolge soprattutto al mondo occidentale, dove il modo di vivere il cristianesimo è andato in crisi negli ultimi 100-150 anni. Si è cristiani, in casa propria, ma con scarsa professione pubblica. In questo, Giovanni Paolo e Benedetto sono diversi: Wojtyla guardava all'evangelizzazione; Ratzinger mira alla profondità».

© Copyright Corriere del Mezzogiorno, 14 giugno 2008


Paparatzifan
00martedì 24 giugno 2008 21:10
Dal blog di Lella...

Articolo del 2002:


RATZINGER. UN CATTOLICO A OLTRANZA

MARCO POLITI

Città del Vaticano. Molto citato, poco conosciuto, Joseph Ratzinger passerà certamente alla storia come uno dei più acuti uomini di Chiesa della cerchia di papa Wojtyla, che lo volle giovanissimo (ad appena cinquattaquattro anni) nel postochiave della curia vaticana: la congregazione per la Dottrina della fede. Nominato nel 1981, egli ha accompagnato e continua ad accompagnare Giovanni Paolo II per tutto il suo lungo regno, diventandone l' altra faccia. Se Karol è mediatico, Joseph è schivo, dove il primo è profetico, il secondo è metodico, mentre all' (apparente) irruenza del pontefice corrisponde la freddezza (apparente) del porporato. Nel suo intimo il cardinale tedesco, che l' altro ieri ha compiuto settantacinque anni, è invece una persona delicata, arguta, che ama suonare il pianoforte, come racconta bene Andrea Tornielli nella sua biografia attenta e precisa: Ratzinger, custode della fede, edita da Piemme (pagg. 219, euro 9,90). Epiteti logori come Panzerkardinal non gli rendono affatto giustizia. Più illuminante è il suo motto episcopale «Cooperatores veritatis», collaboratori della verità, che ne delinea l' aspirazione a farsi come poi è accaduto difensore dell' identità di Santa Romana Chiesa. A questa battaglia si è dedicato senza risparmiarsi, fino allo scontro con altre personalità o movimenti impegnati ad affermare identità e «verità» diverse. Certamente il suo impegno è stato essenziale per tracciare i contorni e fissare i paletti della Chiesa che Giovanni Paolo II aveva in mente.

Andrea Tornielli (che quest' anno ha pubblicato anche una biografia di Martini) documenta esaurientemente come colpo su colpo il cardinale abbia combattuto tutto ciò che Wojtyla considerava pericoloso: l' accordocompromesso fra anglicani e cattolici del 1982, la possibile riabilitazione della massoneria, i teologi politici come Leonardo Boff o dissenzienti in tema di etica sessuale come Charles Curran. In questa difesa dell' identità cattolica tradizionale si iscrivono anche i suoi tanti no: all' omosessualità, alla distribuzione della comunione ai divorziati risposati, ai consultori cattolici che danno certificati utilizzabili per l' aborto, alle donne prete. Resistere per Ratzinger non ha mai rappresentato un problema. «Per me la bontà implica anche la capacità di dire no, perché una bontà che lascia correre in tutto, non fa bene all' altro», ha dichiarato recentemente. Identità per il cardinale e il suo Papa implica necessariamente autorità e qui, lo ammette lui stesso, il suo mestiere di controllore della dottrina diventa difficile, «perché il concetto di autorità quasi non esiste più». Fondamentale per il tornante del pontificato wojtyliano (il crollo del comunismo) è stata la sua collaborazione con Giovanni Paolo II nel combattere la Teologia della liberazione. «Con il Papa abbiamo cercato la strada giusta», ha raccontato alla Radio vaticana il giorno del suo compleanno. Eppure, ora che questa «eresia» appare debellata, l' episcopato latinoamericano, moderati compresi, è sconvolto dalla brutalità con cui il liberismo selvaggio tiene centinaia di milioni di diseredati nella fossa della povertà. Di Ratzinger si conosce il rigore e troppo poco l' anticonformismo.

Il libro di Tornielli lo mette in luce, evocando l' insofferenza del cardinale per le burocrazie ecclesiastiche, il suo fastidio per il sovraffollamento degli appuntamenti giubilari, il suo rifiuto verso il carrierismo dei vescovi.

Tagliente è la sua critica alle liturgiespettacolo. «La liturgia non è uno show afferma è del tutto contraddittorio introdurvi delle pantomime in forma di danza, che spesso finiscono poi negli applausi». Là dove irrompe l' applauso, conclude severamente, «si è di fronte al segno sicuro che si è del tutto perduta l' essenza della liturgia, sostituita da una sorta di intrattenimento a sfondo religioso». Pensata come polemica contro certi parroci modernisti, la stoccata finisce per colpire gli show pacchiani di tante messe papali.

© Copyright Repubblica — 18 aprile 2002 pagina 44 sezione: CULTURA


+PetaloNero+
00mercoledì 25 giugno 2008 17:08
Il bivio di monsignor Fellay


L'articolo completo qui:
blog.ilgiornale.it/tornielli/2008/06/25/il-bivio-di-monsignor...

Paparatzifan
00mercoledì 25 giugno 2008 19:07
Re:

+PetaloNero+, 25/06/2008 17.08:

Il bivio di monsignor Fellay


L'articolo completo qui:
blog.ilgiornale.it/tornielli/2008/06/25/il-bivio-di-monsignor...




Leggendo un po' anche i successivi post sul blog di Andrea la mia conclusione è che la sbagliata applicazione del CV II, l'impossibilità o la malavoglia di mettere un freno agli abusi liturgici, al decadimento dell'insegnamento nei seminari, alla perdita dell'identità cattolica davanti al mondo protestante, non cristiano, non credente, ecc., ha portato, in questi 40 anni di postconcilio, ad uno stato calamitoso che il nostro Santissimo Papa Benedetto intenta riparare, ricucendo strappi, facendo pulizia, insomma, restaurando nei migliori dei modi la nostra Santa Chiesa.
40 anni sono troppi ed incalcolabili sono i danni recati dal cosidetto "fumo di satana" di Paolo VI. Ci vorrà tempo per vedere la nostra Chiesa tirata a lucido! E' il sogno di Ratzi, il mio, e di tanti altri dello stesso pensiero!
[SM=g27817] [SM=g27811]

+PetaloNero+
00venerdì 27 giugno 2008 15:32
«Con gli ortodossi clima nuovo Per il Papa Mosca è più vicina»
di Andrea Tornielli
da Roma


«Il Papa e il patriarca di Mosca si incontreranno, ne sono certo. Il clima sta cambiando...». Monsignor Paolo Pezzi, nato a Russi, in provincia di Ravenna, 48 anni fa, è da qualche mese il nuovo arcivescovo della cattedrale della Madre di Dio a Mosca, e domenica riceverà dalle mani di Benedetto XVI il pallio, la piccola stola di lana che simboleggia il legame dei metropoliti con il Pontefice. Cresciuto nella Fraternità San Carlo, legata al movimento di Cl, Pezzi ha fatto per anni il missionario in Siberia. Raztinger l’ha scelto quale successore dell’arcivescovo Kondrusiewicz e l’arrivo di un italiano al posto di un prelato di origini bielorusse ha contribuito a rasserenare i rapporti con la Chiesa ortodossa.
Il dialogo con gli ortodossi procede?
«Ci sono segnali positivi. Sono stato invitato, dopo anni che non avveniva più, alle liturgie del Natale e della Pasqua ortodossa, ho avuto modo di parlare con Alessio II. A Natale, dopo il rito, il patriarca ha invitato a pregare per la Chiesa cattolica e per il Papa e ha fatto un brindisi in onore di Benedetto XVI. Mi ha detto che dobbiamo continuare a incontrarci e lavorare insieme per il bene del popolo di Dio. Insomma c’è una cordialità nuova, c’è disponibilità. Per la prima volta abbiamo trattato alcuni aspetti che riguardano le nostre necessità come Chiesa cattolica in Russia e abbiamo iniziato una collaborazione sul piano culturale. Abbiamo presentato insieme a un teologo ortodosso l’ultima enciclica di Papa Ratzinger, “Spe salvi”».
Il Papa e Alessio II si incontreranno?
«Credo di sì, ne sono convinto. Bisogna desiderarlo, bisogna pregare, perché quanto più lo si desidera, tanto più si cercano di creare le condizioni perché l’incontro avvenga. Il Papa lo desidera e il patriarca non è contrario. Ci sono delle difficoltà, ma superabili. È importante il fatto che né il Papa né Alessio II vogliano che l’incontro sia l’evento del secolo, da fare a tutti i costi. È una tappa che tende alla piena comunione».
Benedetto XVI verrà a Mosca?
«Il viaggio a Mosca penso sia in secondo piano rispetto all’incontro con il patriarca. Bisogna creare le condizioni per l’incontro, innanzitutto. Da questo punto di vista il recente viaggio di Alessio II a Parigi è stato importante. Credo molto in questi scambi, nelle visite fraterne, anche al di là dell’ufficialità».
La Chiesa ortodossa appare come legata a doppio filo con il potere politico. Non è un rischio?
«Per noi occidentali, abituati a una separazione molto più netta, può sembrare eccessivo quel legame. Ma dobbiamo comprendere la mentalità e la storia orientali. Le Chiese d’Oriente si sono sviluppate con un legame fortissimo al potere civile, all’imperatore. In questo oggi la Chiesa ortodossa si identifica con il sentimento che il popolo ha di se stesso».
Dopo la caduta del comunismo ha vinto la fede o il consumismo?
«Vedo un recupero di religiosità, che si evidenzia in due aspetti: una forte presenza del senso del mistero nella vita della gente; una accettazione, grazie allo sguardo di fede, delle condizioni in cui si vive, anche quando sono difficili».
Gli ortodossi hanno accusato i cattolici di voler fare «proselitismo». Lei come risponde?
«Il proselitismo è estraneo alla Chiesa cattolica e se ci fossero stati degli episodi andrebbero ascritti alla limitatezza di chi li ha compiuti. Il proselitismo comincia dove finisce la missione. Io mi sento missionario e cerco di portare la gente a Cristo e Cristo alla gente, e questo non è impedito da nessuno. Lo faccio con un grande rispetto per la Chiesa ortodossa perché non si tratta di ingrossare le fila del “mio” gruppo, ma di accompagnare la gente al proprio destino».

www.ilgiornale.it



blog.ilgiornale.it/tornielli/2008/06/27/buone-notizie-d...
+PetaloNero+
00domenica 29 giugno 2008 20:38
Bartolomeo e Benedetto calici divisi
Oggi la liturgia comune che non è ancora comunione

ENZO BIANCHI


Papa Benedetto XVI e il patriarca ortodosso Bartolomeo I


Ancora una volta si rinnova oggi a Roma un gesto divenuto ormai «tradizionale», anche se inaugurato solo una quarantina d’anni fa: in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo, una delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidata quest’anno dallo stesso patriarca Bartolomeo I, presenzierà all’eucaristia celebrata in San Pietro da papa Benedetto XVI. Analogamente, per la corrispondente festa di sant’Andrea il 30 novembre, una delegazione vaticana è sempre presente alle celebrazioni in onore dell’apostolo «primo chiamato», Andrea, fratello di Pietro e primo vescovo di Costantinopoli. E più di una volta è accaduto, come quest’anno appunto, che la delegazione ortodossa a Roma fosse presieduta dal primus inter pares, il patriarca di Costantinopoli, e quella vaticana a Istanbul dal papa stesso. Ma che significato ha questo evento, frutto di una stagione nuova nei rapporti tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa avviata dal concilio e dai primi incontri tra papa Paolo VI e il patriarca ecumenico Athenagoras I?

È un evento che in un certo senso simboleggia efficacemente l’attuale situazione dei rapporti tra la chiesa cattolica e le chiese ortodosse e, più in generale, il cammino verso l’unità dei cristiani. Nella celebrazione in San Pietro il gesto che è «fonte e culmine» della vita cristiana - la comunione eucaristica nella condivisione dell’unico pane e dell’unico calice eucaristici - purtroppo non potrà ancora essere compiuto perché la fine delle reciproche scomuniche sancita alla chiusura del Vaticano II non è tuttora approdata a una piena comunione: e questo impedimento rimane fonte di sofferenza, controtestimonianza rispetto alla preghiera di Gesù stesso alla vigilia della sua passione «che tutti siano una cosa sola», e anche scandalo di fronte a quanti non nutrono la fede cristiana. Ma, all’interno della liturgia eucaristica, Benedetto XVI e Bartolomeo I compiranno insieme alcuni gesti da sottolineare: terranno l’omelia, reciteranno insieme il Credo e insieme impartiranno la benedizione. Riti che riguardano solo i cristiani? Non credo.

Innanzitutto, il papa e il patriarca ecumenico testimoniano di poter condividere una parola che annuncia il vangelo, la buona notizia, a tutti gli uomini. Predicare significa infatti questo: tradurre nell’oggi l’annuncio di Gesù Cristo, far risuonare per una comunità precisa in un momento storico preciso la parola di Dio che rimane in eterno, dare voce a quel Gesù che «è lo stesso ieri, oggi e sempre» ma che è ascoltato, compreso, seguito in modo sempre nuovo e unico da ciascun discepolo nel corso della storia. Poter avere una parola comune da annunciare non solo ai fedeli della propria chiesa ma anche a chi della chiesa non fa parte significa testimoniare che il messaggio evangelico è ancora oggi parola di vita offerta a quanti accettano di ascoltarla e di accoglierla come fonte che alimenta il proprio pensare e il proprio agire, significa che è ancora possibile dire all’uomo una parola sull’uomo che lo aiuti a ritrovare e a custodire la propria dignità, significa affermare che la vita di ciascuno può avere un senso e vale la pena viverla in pienezza e in libertà.

Anche proclamare insieme, cattolici e ortodossi, il Credo non è evento che si esaurisce all’interno delle due confessioni cristiane, perché la fede professata proclama la vittoria della vita sulla morte, parla di una speranza di salvezza per tutti, narra della grandezza di ogni essere umano che si riconosce nell’uomo Gesù di Nazaret, in quell’uomo secondo il disegno di Dio: è un invito a riscoprire le enormi potenzialità di amore e di comunione che ogni essere umano possiede. I cristiani professano sì la loro fede, la proclamano in un’assemblea liturgica riservata ai battezzati, ma quanto è affermato in quelle formule di duemila anni fa apre un cammino di speranza per tutti.

E, infine, papa Benedetto XVI e il patriarca Bartolomeo I impartiranno insieme la benedizione apostolica, cioè «diranno bene» dell’uomo da parte di Dio, affermeranno che il Signore ha posto il suo compiacimento in quella creatura capace di grandezze e di miserie, testimonieranno che chi opera per la giustizia e la pace rivela qualcosa dell’agire di Dio nella storia. Sì, nelle liturgie cristiane ci troviamo nel punto più avanzato della frontiera tra quanto è proprio solo dei battezzati e il tesoro prezioso posto in vasi di argilla e offerto a beneficio di tutti, credenti e non credenti. Lì è la soglia tra una dimensione di «arcano» da custodire e un’offerta di umanizzazione da donare a quanti hanno orecchie e cuore per ascoltare: è questa dimensione antropologica e sociale dell’annuncio cristiano che dovrebbe far percepire come la libertà di culto non può essere rinchiusa nel ristretto ambito del privato ma deve poter assumere una espressione anche comunitaria e pubblica. Poi, possiamo anche disinteressarci di quanto avviene all’interno delle quattro mura di una basilica, oppure possiamo ridurlo a uno dei tanti eventi mediatici più o meno affascinanti, ma non possiamo ignorare che da lì sgorga un messaggio di speranza per tutti, un’energia che rende più umana e vivibile la nostra terra.


www.lastampa.it
Paparatzifan
00sabato 5 luglio 2008 19:47
Dal blog di Lella...

Un bagno di folla per il Papa arrivato ai Castelli

di LUIGI JOVINO

Solito bagno di folla per papa Benedetto XVI che giovedì è arrivato a Castel Gandolfo per un lungo periodo di riposo. Il Pontefice, che si intratterrà nella residenza estiva fino ai primi giorni di ottobre, è atterrato nell'eliporto dei giardini vaticani alle ore 18,15, dove ad attenderlo c'era un'autovettura che l'ha condotto nella residenza di palazzo apostolico. A portare i saluti della città c'erano Maurizio Colacchi, sindaco di Castel Gandolfo, don Waldemar, parroco della Cappella pontifica, e il dottor Saverio Petrillo, direttore delle ville papali. Benedetto XVI ha scambiato saluti affettuosi con gli ospiti ed ha ringraziato per l'attenzione mostrata.
Intanto nella centralissima piazza della Libertà si era radunata una folla strabocchevole per la benedizione e il saluto che i Pontefici sono soliti rivolgere ai castellani nel giorno dell'arrivo nella residenza estiva.

Papa Benedetto, invece, rompendo la tradizione non si è affacciato dal balcone su cui erano posizionati il vessillo vaticano e il microfono, ma è uscito dal portone di palazzo apostolico per essere più vicino ai fedeli. Non è la prima volta che Papa Ratzinger dimostra un attaccamento quasi confidenziale con la città di Castel Gandolfo, che era solito frequentare anche quando era cardinale.

Nei giardini vaticani, infatti, ha festeggiato per lunghi periodi il suo compleanno. In verità un poco delusi sono rimasti i pellegrini provenienti da ogni parte d'Italia e dei Castelli che nel trambusto non sono riusciti neanche a vedere il Papa.
Benedetto XVI alla metà del mese di luglio farà il viaggio in Australia e dopo essere ritornato a Castel Gandolfo ripartirà per le vacanze in montagna. Il 27 luglio, giorno della Sagra delle pesche, invece riceverà in udienza una delegazione di cittadini che offriranno prodotti tipici. Il 15 agosto, infine, Papa Benedetto XVI celebrerà la messa dell'Assunta nella parrocchia di San Tommaso di Villanova, percorrendo a piedi il tragitto che separa la chiesa dal palazzo apostolico.
Quest'anno il Papa ha anticipato l'arrivo a Castel Gandolfo che sta assumendo una dimensione strategica sempre più importante in questo pontificato. «Papa Benedetto - ha detto il sindaco Colacchi - sta valorizzando molto la nostra città. Faremo tutto il possibile per garantire a sua Santità le migliori condizioni di soggiorno».

© Copyright Il Messaggero, 3 luglio 2008


+PetaloNero+
00lunedì 7 luglio 2008 20:51
Il 5 ottobre su Rai1
Cosa ci fa Benedetto XVI in Tv?
Il suo mestiere

di Paola Liberace


Sfidando l’adagio che lo vuole riflessivo e riservato di fronte alle telecamere, in contrapposizione a un Woytila estroverso e perfettamente a suo agio davanti all’obiettivo, il professor Ratzinger comparirà sul primo canale RAI, il 5 ottobre prossimo, nel tardo pomeriggio, di fronte a una platea tutt’altro che ristretta, per aprire la lettura integrale della Bibbia trasmessa dalla televisione pubblica.

L’intervento papale inaugurerà un ciclo che vedrà alternarsi, per sette giorni e sei notti, di fronte al leggìo di Santa Croce in Gerusalemme – e agli schermi di Rai Educational - più di milleduecento lettori, dalle fisionomie più svariate: non solo religiosi, ma laici; non solo volti noti, ma persone comuni di ogni estrazione. Per l’esordio, Ratzinger sarà affiancato dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, che leggerà in ebraico il medesimo primo libro della Genesi; a chiudere sarà poi sabato 11, con il XXII capitolo dell'Apocalisse, il cardinal Bertone.

Chi aveva definito Benedetto XVI un papa “antimediatico” - non solo e non tanto per le riserve espresse sui mezzi di comunicazione di massa, ma soprattutto in confronto alla telegenicità del suo predecessore Giovanni Paolo II - resterà forse deluso, o almeno stupito. E’ vero che, con la scelta di accettare la proposta della RAI, Ratzinger conferma la diversità del suo carisma da quello del suo grande predecessore: a ben vedere, una iniziativa del genere sarebbe forse stata più stretta a Woytila di quanto non lo sia per l’attuale pontefice. Eppure, tra la strategia comunicativa finora perseguita da Ratzinger e la scelta di declamare la Bibbia sul piccolo schermo non c’è alcuna contraddizione: tra le pubblicazioni, cui il pontefice ha sinora affidato di preferenza il suo pensiero - che spaziano dalle encicliche al “Gesù di Nazareth” -, e questa comparsa sul palcoscenico televisivo c’è meno distanza di quanta si potrebbe pensare.

Di certo, la partecipazione di Ratzinger sarà ben altra cosa rispetto ad altre recenti declamazioni televisive di testi celebri, come le esibizioni di Benigni o di Fo: si tratterà di una semplice lettura, senza alcun commento, senza alcuna velleità attoriale né superfetazioni interpretative, che tradirebbero – più ancora che lo spirito - la materia stessa dell’evento. Qui non sono previsti fraintendimenti, o deviazioni: facili a sperimentarsi per chiunque, provenendo dall’esterno, si accosti alla TV, col risultato di venirne assorbito, dimenticando il suo mestiere e mescolandosi alla grande corrente ormai incolore dell’”intrattenimento”. Qui non è in gioco nient’altro che l’essenza del messaggio sacro, nella sua forma più semplice e diretta, quella della parola rivelata, restituita come tale a chi vuole accoglierne l’annuncio.

Un modo nuovo per fare apostolato, da parte del Papa, e insieme un nuovo modo per ribadire quale sia la propria interpretazione del suo “mestiere”: non certo per allontanarsene, o per confonderlo con il mestiere altrui.

www.loccidentale.it
Paparatzifan
00mercoledì 6 agosto 2008 19:09
Dal blog di Lella...

Paolo VI, oblio non meritato

LUIGI SANDRI

Il 6 agosto del 1978 moriva Paolo VI: a trent'anni di distanza che cosa rimane del suo pontificato e della sua eredità? Come prima approssimazione sembra di dover dire che Giovanni Battista Montini in questi decenni è stato, anche nel mondo ecclesiastico, abbastanza dimenticato; un oblio non meritato. Non è naturalmente possibile riassumere in poche righe un «regno» durato quindici anni e attraversato da molti complessi eventi. L'asse fondamentale del suo pontificato fu la celebrazione del Vaticano II e, poi, (come ha ricordato domenica Benedetto XVI a Bressanone) l'avvio dell'attuazione del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Quando - giugno '63 - questi morì, alcuni cardinali avrebbero voluto il rinvio «sine die» della grande Assemblea che, presenti 2.500 vescovi, aveva iniziato a ipotizzare riforme che molta parte della Curia romana, e non solo essa, vedeva con apprensione perché metteva in questione lo «status quo».
La scelta del successore di Angelo Giuseppe Roncalli fu dunque legata a questo interrogativo: proseguire, oppure no, il Concilio? L'arcivescovo di Milano, che aveva alle spalle lunghi anni di lavoro ai massimi vertici della Segreteria di Stato vaticana, apparve alla maggioranza del conclave l'uomo giusto per guidare a buon fine la gigantesca impresa avviata da papa Giovanni. Durante i lavori conciliari Paolo VI si sforzò di favorire una sintesi felice tra le aperture della maggioranza dei vescovi e le resistenze di un agguerrito gruppo di conservatori i quali si opponevano ai documenti che, su punti qualificanti - riforma liturgica, principio della libertà religiosa, collegialità episcopale, nuovo rapporto con l'Ebraismo, ecumenismo - mutavano di fatto la dottrina o la prassi vigenti fino ad allora nella Chiesa cattolica romana. Nel post-Concilio Montini mantenne lo stesso atteggiamento: e questo gli attirò, spesso, critiche sia da parte dei «progressisti» che da parte dei «conservatori». Il francese monsignor Marcel Lefebvre, accusando il Vaticano II di aver tradito la «Chiesa di sempre», e Paolo VI di interpretare il Concilio in modo troppo «aperto», fondò un movimento per conservare intatta - diceva - la Tradizione; di conseguenza il vescovo ribelle iniziò a ordinare preti allo scopo preciso di boicottare le riforme conciliari. Il dissidio tra Lefebvre e il papa diventò infuocato; e, infine, Paolo VI nel '76 sospese a divinis (proibizione di celebrare i sacramenti) il prelato disubbidiente. Ma un altro tema pesò, come una spada di Damocle, sul pontificato montiniano: la questione dei mezzi eticamente leciti per regolare le nascite. Il Concilio aveva iniziato a discutere del problema: diversi vescovi erano intervenuti per sostenere che fosse lasciata, in merito, libertà di coscienza ai coniugi; in pratica ciò significava superare radicalmente il magistero di Pio XI, il quale aveva proclamato che ogni singolo atto matrimoniale doveva, di per sé, rimanere aperto alla trasmissione della vita. Negli anni Trenta il «no» di papa Ratti era soprattutto contro l'onanismo, perché allora non era ancora stata inventata la pillola anticoncezionale che cominciò a diffondersi negli anni Sessanta. Paolo VI impedì che il Concilio discutesse in concreto sui mezzi leciti per regolare le nascite e affidò lo studio del problema a una commissione consultiva di 75 membri. La commissione concluse i suoi lavori con due rapporti: uno, approvato dalla stragrande maggioranza dei membri proponeva di lasciare libertà di coscienza ai coniugi; l'altro, sottoscritto da pochissimi membri, sosteneva invece la validità permanente della dottrina di Pio XI. Papa Montini fece suo il parere della minoranza della commissione e nel luglio '68 emanò l'enciclica «Humanae vitae» che definiva «immorale» la contraccezione. La decisione - un atto di assolutismo papale impensabile, secondo molti, all'indomani del Concilio - provocò una levata di scudi senza precedenti nella Chiesa romana: anche diverse conferenze episcopali, pur non attaccando frontalmente l'enciclica, in pratica ne depotenziarono l'autorità. Il dissenso pubblico o sotterraneo contro la «Humanae vitae» fu tale che, nei successivi dieci anni di pontificato, Paolo VI non osò più pubblicare nessuna enciclica. E anche se essa è stata riaffermata dai suoi successori, intere masse cattoliche ne ignorano - con fondati motivi - l'insegnamento. Nel '67 Montini aveva pubblicato un'altra enciclica: la «Populorum progressio» sullo sviluppo dei popoli. In questo audace documento, il pontefice affermava: «Si danno situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E tuttavia sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande». Queste parole furono interpretate, a ragione o a torto, come una benedizione papale ai movimenti rivoluzionari dell'America Latina e dell'Africa che si battevano, appunto, contro «tirannie evidenti e prolungate». Ma lo stesso pontefice, visitando nel '68 la turbolenta Colombia, non citò più la sua stessa enciclica e, senza fare alcuna distinzione tra oppressi e oppressori, affermò: «La violenza non è evangelica, non è cristiana». Il 6 agosto '64 il papa aveva pubblicato la sua prima enciclica, «Ecclesiam suam» dedicata al dialogo della Chiesa romana con i cristiani non cattolici, con i seguaci delle altre religioni, con tutte le donne e tutti gli uomini di buona volontà. Montini, insomma, poneva il metodo del dialogo come costitutivo del modo di porsi della Chiesa rispetto al mondo. Un atteggiamento che i suoi successori hanno verbalmente confermato, ma in realtà attuato con modulazioni restrittive. Il pontificato mediatico di Giovanni Paolo II ha portato molti a dimenticare quello, meno appariscente, di Paolo VI. Ma il trascorrere del tempo forse aiuterà a riscoprire la finezza intellettuale di Montini e la sua consapevolezza della complessità dei problemi che il clamore mediatico può momentaneamente occultare ma, di fatto, lasciandoli irrisolti.

© Copyright L'Adige, 6 agosto 2008


-danich-
00domenica 10 agosto 2008 00:23
Il viaggio di Benedetto XVI nel cuore dell'oscurità

di Mauro Bontempi


CITTA’ DEL VATICANO - L’umanità si interroga da sempre sul “senso della vita”. Molti lo hanno ritenuto intrinseco nell’esistenza stessa. Non è solo il caso degli edonisti o dei materialisti di ogni epoca e credo politico. Forgiate nella fucina della memoria, le grandi gesta hanno ottenuto l’alloro dell’immortalità. La corporeità delle azioni umane non è destinata alla morte se riesce a guadagnarsi il passaporto dell’immortalità. Lo scopo del vivere umano, secondo questa nobile visione, consiste, come nei Sepolcri di Foscolo, nel rendere immortale la propria anima. Guadagnarsi l’eternità dopo la morte con gesta eccezionali durante la vita. Ciò che si rileva è, ultimamente, la perfezione del proprio personaggio. Se l’errore o l’insuccesso può allontanare il traguardo, una condotta di vita normale o ordinaria nega del tutto il raggiungimento dell’immortalità.
Da oltre duemila anni i Cristiani obiettano a tale teoria: è questa la sola immortalità? Può essere immortale una presenza legata all’umano? Può essere immortale una memoria destinata a perire col passare del tempo e degli uomini? La risposta cristiana alla ricerca dell’origine e del significato dell’esistenza umana è semplice e “logica”. La vita non spiega se stessa, non totalmente, almeno. Perché vi sia vera immortalità e vero senso della propria esistenza, deve esserci un’origine esogena. La luce che illumina l’esistenza dell’uomo è “fuori campo”. Come a teatro, un attore che recita al buio può attirare l’attenzione per qualche istante ma alla fine sarà subissato di fischi. Simile o peggior trattamento se il grande interprete, pur sotto una luce ottimale, rimanesse fermo e immobile per due ore al centro del palcoscenico.
Il gesto e la luce sono strettamente correlati, ma, indubbiamente, il primo è subordinato all’esistenza del secondo. La fonte di illuminazione giustifica e dà significato allo svolgimento stesso del gesto, qualunque sia: ampio, rapido, eclatante o semplice. Non tutti coloro che si alternano sul palco della vita hanno questa consapevolezza.

Il vero dramma dell’esistenza non è quindi il dolore ma l’incapacità di vedere una luce che illumina la vicenda umana. Tutto si consuma al buio. L’uomo, abbandonato a se stesso, affronta la propria esistenza da solo, nel silenzio dell’oscurità. Rispettando una tradizione ormai consolidata del Pontificato, Benedetto XVI è intervenuto lo scorso 9 giugno all’apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma. Il tema scelta quest’anno, “Gesù è risorto: educare alla speranza nella preghiera, nell’azione, nella sofferenza”, ha permesso al Papa di tornare alla sua seconda enciclica: la “speranza che trasforma e sorregge la nostra vita” (Spe Salvi, 10).
Di false certezze la società contemporanea è assai ricca, ma non certo della vera speranza. La speranza, sembra un paradosso, è più impegnativa di una certezza “contabile”. Quando questa comincia a mancare o scarseggia, “prevalgono atteggiamenti di sfiducia e rassegnazione, che contraddicono non soltanto la ‘grande speranza” della fede, ma anche quelle ‘piccole speranze che normalmente ci confortano nello sforzo di raggiungere gli obiettivi della vita quotidiana. È diffusa cioè la sensazione che, per l’Italia come per l’Europa, gli anni migliori siano ormai alle spalle e che un destino di precarietà e di incertezza attenda nel nuove generazioni”.

Non sono più i tempi del cosiddetto boom economico. Il saggio d’incremento del PIL è pari quasi allo zero. Meno agi, meno lusso, meno “tempo libero” da impiegare in divertimenti, legittimi spesso ma di sovente ingannevoli. Una vita più monotona e infelice nella quale, prima o poi, piomba la realtà della malattia, della sofferenza e della morte. Come può l’uomo uscirne integro e vittorioso se Dio è stato messo sino a quel momento “tra parentesi”, avendo organizzato “senza di Lui la vita personale e sociale? “Quando Dio è lasciato da parte - ricorda Benedetto XVI - nessuna della cose che veramente ci premono può trovare una stabile collocazione, tutte le nostre grandi e piccole speranze poggiano sul vuoto”. Il credente deve rispondere con il triplice motto: “Fiducia, tenacia e coraggio”. È questa la consegna del Papa ai cattolici, i quali, con atteggiamento di “umiltà non possono pretendere di avere sempre successo, o di essere in grado di risolvere … con le proprie forze” i problemi e i fallimenti della vita perché ogni uomo “sa che il suo operare e la sua storia nel suo insieme sono custoditi nel potere indistruttibile dell’amore di Dio”. In manos tuas commendo vitam meam. Un tale atto di fede, non sempre spontaneo nei momenti felici, è quasi inconcepibile di fronte alla prova. Fermo restando, ricorda il Papa citando la Spe Salvi, che è necessario “fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza”, essa, d’altro canto, “educa e fortifica a titolo speciale la nostra speranza”.

La creatura prediletta di Dio ha il diritto di ricercare e difendere la (vera) felicità ma deve sentire anche l’incapacità di potere “eliminare del tutto la sofferenza dal mondo”: l’uomo, secondo l’efficace metafora di Benedetto XVI, non ha il potere di “prosciugare le fonti” della sofferenza. “Non la fuga davanti al dolore guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e di maturare in essa, trovandovi un senso mediante l’unione a Cristo”. Aprendo l’anno paolino, il Pontefice è tornato su questo concetto quasi a volere tenere alta l’attenzione dei fedeli su questo punto, arduo e tutt’altro che scontato.
Durante l’omelia per i vespri dei Santi Pietro e Paolo, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, il Papa ha usato parole forti: “In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza, senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore”.
Ecco il senso della vita. Ecco il mistero svelato della eterna felicità. Ecco il mistero di fede racchiuso nell’Eucaristia, la cui assunzione concede all’uomo “il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera”.


+PetaloNero+
00lunedì 18 agosto 2008 15:00
IL DISSENSO DOTTRINALE DENTRO LA CHIESA DI BENEDETTO XVI

L'articolo completo qui:
www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=35699&idsezione=4
+PetaloNero+
00mercoledì 20 agosto 2008 15:32
Lo sport preferito dalla "politically uncorrect" italiota è quello di prendere una frase del Papa e piegarla per i propri scopi o interessi momentanei. Bisogna ammettere che dalla salita al soglio pontificio di Benedetto XVI gli appassionati di tale barbaro passatempo sono aumentati in tutti gli schieramenti.


Per fortuna ci sono Avvenire e l'Osservatore Romano, almeno loro riportano fedelmente le parole pronunciate e le distinguono altrettanto bene dai commenti dei propri autorevoli editorialisti. Il Papa domenica scorsa ha fatto alcuni passaggi dopo l'Angelus su temi importanti: il razzismo, la vita e la sicurezza. Sul razzismo ha detto: «Oggi si registrano in diversi Paesi nuove preoccupanti manifestazioni di razzismo.
La Chiesa, costituita da popoli di ogni razza e cultura, deve aiutare a superare la tentazione del razzismo, dell'intolleranza, dell'esclusione». Si rilegga: «diversi Paesi». Invece, il provincialismo che già aveva caratterizzato le polemiche di Repubblica e Corriere verso la Chiesa in materia di Dico, Cus e privilegi gay, fa scatenare il medesimo livore questa volta strumentalizzando le parole del Papa, per colpire il Governo in carica. Oddio, che Maroni ci abbia ripensato sulle impronte ai soli rom e abbia ascoltato altre forze politiche, sociali ed europee per allargare l'identificazione a tutti i residenti in Italia, è un fatto. Lo stesso Ministro degli Interni ha corretto le proprie idee, si dice anche a seguito di un colloquio riservato con il Card. Bagnasco. Fatto sta che episodi di razzismo ce ne sono in tutto il mondo. Il virus del razzismo e della intolleranza, della paura che si trasforma in abolizione del "diverso da noi" si è ricreato e sta mietendo vittime. Perciò il richiamo del Papa è alla Chiesa, già lo aveva detto durante l'Omelia del Corpus Domini, la Chiesa fatta di uomini diversi che si stringono intorno a Cristo, ha il compito naturale di testimoniare come questa fraternità è possibile nella vita reale. Quindi aiutare la società civile a uscire da questa piaga che è un altro segno della mancanza di accoglienza della vita altrui. Lo stesso e medesimo legame esiste tra il rispetto della vita propria e degli altri e lo sgangherato modo con cui si viaggia per strada.
Anche in questo caso la Chiesa è interpellata, lo è stata fin dagli anni del boom degli autoveicoli in Italia, il "cristiano automobilista deve farsi un esame di coscienza", la comunità deve educare a considerare la guida come un ambito del rispetto della propria e altrui vita. La fede, pare ci voglia dimostrare il Papa nel suo Angelus di domenica scorsa, c'entra con tutto il nostro agire e la nostra vita, con ogni più piccola conseguenza di noi stessi. «Gli stranieri che hanno aderito al Signore per servirlo… li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera», questo diceva Isaia e questo brano ha commentato il Pontefice, se invece si vogliono prendere le polemiche su "Famiglia Cristiana" (il "Sorrisi e canzoni tv" delle famiglie cattoliche degli anni '70) o si vuol esaltare l'opera di "comunione cattoislamica" del Cardinale Tettamanzi o sparare contro il Governo, allora è tutta un'altra cosa. Lasciamo fuori il Pontefice però e le sue parole dalle disfide che nulla hanno a che fare con la vita cristiana, l'accoglienza e la responsabilità.


* deputato dell'Udc




iltempo.ilsole24ore.com
Paparatzifan
00venerdì 22 agosto 2008 20:58
Dal blog di Lella...

«Andate adagio». Invito da un buon Papà

di Paolo Mosca

Confesso che la tentazione di mettere un accento sull’ultimo ' a' della parola Papa, mi venne in mente gli ultimi (stoici) giorni di vita di Giovanni Paolo II. Voglia di dirgli: grazie Papà Wojtyla, per quanto hai fatto, detto, sognato insieme a noi.
Ecco, domenica scorsa, quella tentazione mi è tornata: quando Benedetto XVI, prima della preghiera dell’Angelus a Castel Gandolfo, ha avuto parole davvero paterne per creature di ogni età. Sì, adesso anche Joseph Ratzinger è diventato Papà per tutti noi. Parole semplici ma profonde, perché sgorgate dal cuore di un teologo, un intellettuale di problemi morali e religiosi. « Non potete morire sulle strade per un banale sorpasso: la vita umana è un bene troppo prezioso per essere buttato via sull’asfalto di una vacanza » .

L’esempio di una vacanza intelligente, del resto, ce l’ha dato lui, sui verdi prati di Bressanone.

Letture, riflessioni, nuove pagine scritte per la seconda parte del libro ' Gesù di Nazareth', suonate a quattro mani al pianoforte con il fratello, monsignor Georg, passeggiate insieme a lui, ricordando la giovinezza in Baviera, e preghiere all’alba e al tramonto.
Certo, a noi comuni mortali, sarebbe troppo chiedere uno stop così spirituale: ma chiederci più prudenza al volante, e magari un’Ave Maria prima di un viaggio, non è un tarparci le ali, ma prenderci idealmente per mano, uno per uno, e trattarci come figli. Dunque grazie, Papà Ratzinger. I suoi avversari dicevano, all’inizio del Pontificato, che lei aveva un carattere tedesco, quindi difficile, chiuso.

A tre anni dalla sua elezione, sta venendo a fuoco il suo vero carattere: dolce, rispettoso, appunto paterno.

E dice ancora Ratzinger: « Non dobbiamo abituarci a questa triste realtà delle morti sulle strade, o a ritrovarsi invalidi per cause che nella maggior parte dei casi si potrebbero evitare » .

Proprio un padre premuroso, innamorato della vita e del miracolo della nascita di ogni creatura. Certo, quel filmato replicato mille volte dai telegiornali, in cui un tir sbanda sulla sinistra, invadendo la corsia opposta dell’autostrada Venezia Trieste, e provocando una strage, avrà sicuramente colpito la sensibilità di Papà Ratzinger, non solo la nostra. Perché correre? A quale misterioso appuntamento dobbiamo arrivare in anticipo? La smania di vivere tutte le emozioni possibili, ci ha portato alla nevrosi di premere l’acceleratore: l’importante è il record di velocità da casello a casello.
Non c’è tempo per godersi i paesaggi, fare una sosta per una fotografia del nostro meraviglioso paese. «Papà, perché vai così piano? Fai guidare me» , dicono i figli con patente. E con loro sarà record al casello del mare o della montagna. Ma Ratzinger viene incontro alle nostre nevrosi, non per giustificarle, piuttosto per aiutarle.
«È indispensabile la costante opera di prevenzione e vigilanza da parte delle autorità preposte » . Come dire: meglio una sana multa, un controllo alla patente, una prova- palloncino, che sbandare e finire fuori strada.

Ancora grazie, Papà Ratzinger. Sarà difficile, per noi, dimenticare il suo monito alla prudenza lanciato da Castel Gandolfo. Anche perché l’ha fatto con il sorriso: un atteggiamento ottimistico oramai sconosciuto ai leader del pianeta. Fino all’altra domenica, era San Cristoforo il protettore delle creature al volante: ora dobbiamo affiancargli Papà Ratzinger.

Grazie al Pontefice che con premura e dolcezza ci ha ricordato le nostre responsabilità al volante.

© Copyright Avvenire, 21 agosto 2008



[SM=g27821] [SM=g27822]

+PetaloNero+
00domenica 24 agosto 2008 16:25
Per chi suona la campana del Papa
ENZO BIANCHI

Quando un appello particolarmente accorato si leva da persone cui è riconosciuta un’autorevolezza di respiro universale, due tentazioni contrapposte si presentano ai destinatari immediati del messaggio e, più in generale, a chiunque lo ascolti. Da un lato la reazione anestetica di chi si chiama fuori con la convinzione, o più facilmente con l’opportunismo, di non essere tra i destinatari dell’appello: la questione sollevata può essere davvero drammatica, ma «io non c’entro... si riferiva ad altri e, poi, cosa potrei mai fare?». D’altro lato la tentazione di ridurre la portata universale del messaggio a uno strumento da usare contro gli avversari nel proprio angusto orticello, cedendo a un meschino provincialismo partigiano: è il classico «tirare per la giacca» chi gode di un’autorità morale o istituzionale. Questo purtroppo ha l’unico effetto di svilire la portata dell’appello: se infatti si riduce un intervento di alto valore etico a semplice opinione di parte non solo se ne mina l’efficacia pratica, ma si rischia di screditare la fonte stessa anche in prospettiva futura.

Un esempio significativo lo abbiamo avuto nei giorni scorsi in Italia, a seguito del discorso di papa Benedetto XVI sul «superamento del razzismo», «una delle grandi conquiste dell’umanità», e sul fatto che di questo male endemico «si registrano in diversi Paesi nuove manifestazioni preoccupanti». Nel nostro Paese non sono bastati trent’anni di presenza di un non italiano sulla sede del successore di Pietro a vescovo di Roma per far prendere consapevolezza che quando il Papa sente il dovere di lanciare un appello su un tema che riguarda «scelte rispettose della dignità di ogni essere umano» non lo fa guardando semplicemente al di là del Tevere, come fosse affetto da miopia prospettica. E questo respiro universale si nutre di due elementi, connessi tra loro anche se uno riveste una connotazione più geopolitica e l’altro una dimensione più rivelativa e spirituale.

Innanzitutto, la diffusione del cattolicesimo in tutto il mondo fa sì che l’orizzonte che ha di fronte il Papa nel suo ministero di comunione abbraccia Paesi e realtà estremamente diversi, con problematiche sociali e pastorali variegate in cui si intrecciano attese e sofferenze che non conoscono frontiere. A questa sensibilità globale ma attenta al particolare offre un contributo fondamentale anche la rete di contatti con le singole Chiese locali: un tessuto vitale fatto non solo e non tanto di rappresentanze diplomatiche, ma di presenza sul terreno, di relazioni personali con vescovi e clero locale, missionari, religiose, laici impegnati giorno dopo giorno a rendere testimonianza a Gesù Cristo e al suo Vangelo nel concreto di un tessuto sociale, economico e politico preciso.

L’altro elemento universalistico, forse ancor più fondamentale, è costituito dall’essere il cristianesimo una fede che riguarda l’essere umano nella sua interezza e complessità, nella sua specificità e nelle sue relazioni: riguarda ogni uomo e tutto l’uomo. Al cristiano sta a cuore il bene profondo, il ben-essere della persona e della società, sta a cuore che venga difesa e salvaguardata l’immagine di Dio impressa in ogni creatura umana, che niente e nessuno attenti alla dignità cui ciascuno ha diritto per il solo fatto di essere venuto al mondo con un corpo e un’interiorità uniche e irripetibili. È quella «universalità della missione della Chiesa, costituita da popoli di ogni razza e cultura» cui si riferiva domenica scorsa papa Benedetto XVI nel suo messaggio all’Angelus, una universalità dalla quale «proviene la grande responsabilità della comunità ecclesiale, chiamata a essere casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana».

Non si tratta allora di scandagliare se ciò che ha spinto Benedetto XVI a metter in guardia contro il rinascere del razzismo siano state determinate politiche anti-immigratorie o episodi di disordini razziali o la discriminazione di minoranze etniche in questo o quel Paese. È molto più importante che ciascuno - quale che sia il posto che occupa nella società, e anche a prescindere dall’essere o no cristiano - si interroghi sul proprio atteggiamento mentale e sul conseguente comportamento concreto verso lo straniero, l’altro, il diverso, specie quando questi è in una situazione di maggior debolezza e vulnerabilità. In gioco non c’è infatti l’affermarsi di una dottrina particolare, né il successo di una parte politica su un’altra, ma la qualità della vita umana e della convivenza, la dignità di ogni persona, la vivibilità della nostra terra.

Di questo si fanno carico i pastori della Chiesa nel loro ministero e nella loro sollecitudine che sa dilatare lo sguardo oltre i confini dell’appartenenza a un determinato popolo, nazione, cultura o religione. Spetterà poi ai laici cristiani quotidianamente impegnati in campo sociale e politico cercare e trovare - nel dialogo e nel confronto dialettico con chi non condivide le stesse scelte di fede - le soluzioni più indicate per tradurre in gesti, progetti, legislazioni concrete il comune assillo per una vita comune nella giustizia e nella pace. Nessuno, quindi, ha il diritto di chiamarsi fuori da questo esame approfondito sui moti del proprio cuore e sui comportamenti quotidiani nei confronti dei propri simili: se una voce come quella del Papa ha suonato la campana per allertarci sul pericolo di un ritorno del razzismo, non dobbiamo chiederci «per chi suona la campana?». La campana suona anche per noi, per ciascuno di noi.

www.lastampa.it
+PetaloNero+
00domenica 24 agosto 2008 20:49
DETTO TRA NOI: LA SUORA PIÙ BELLA D'ITALIA NON GIOVA ALLA CHIESA

L'articolo completo qui:
www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=35833&idsezione=4
Paparatzifan
00domenica 24 agosto 2008 21:54
Re:

+PetaloNero+, 24/08/2008 20.49:

DETTO TRA NOI: LA SUORA PIÙ BELLA D'ITALIA NON GIOVA ALLA CHIESA

L'articolo completo qui:
www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=35833&idsezione=4



Ma dai, non esageriamo! Che male c'è? Aggiungiamo un sorriso alla vita di ogni giorno! [SM=g27824]




+PetaloNero+
00lunedì 25 agosto 2008 01:20
SI INFATTI NON MI SEMBRA UNA COSA COSI' GRAVE COME VIENE DESCRITTA IN QUESTO ARTICOLO.... [SM=g27824] MA IN VATICANO COSA NE PENSERANNO....??? [SM=g27818]
+PetaloNero+
00lunedì 25 agosto 2008 16:26
Da Petrus

“Un concorso di bellezza per Suore? Sì, ma di bellezza interiore”. La verità di Padre Antonio Rungi, il promotore di ‘Sister Italia’. Che rivela: “Sono stato frainteso e minacciato di morte”

di Gianluca Barile



CITTA’ DEL VATICANO - Insultato e minacciato di morte al telefono da anonimi interlocutori, ma la sua 'provocazione', assicura il teologo morale Padre Antonio Rungi (nella foto), il Passionista di Mondragone, in provincia di Caserta, che ha promosso un concorso in Internet per Suore, voleva solo far conoscere meglio chi ha deciso di trascorrere la propria vita in Monastero e richiamare l’attenzione sulla carenza di vocazioni tra le ragazze italiane, sempre meno portate ad indossare l’abito religioso. Il sacerdote racconta la sua verità in esclusiva a ‘Petrus’.

Padre Antonio, ‘Sister Italia’ (questo il nome della kermesse) ha sollevato un polverone prima ancora di iniziare…

“E’ vero, ma la mia iniziativa è stata fraintesa e trattata dai mass-media, in particolare da quelli laici, con malafede e con un malizioso difetto di comunicazione”.

Cosa intende dire?

“Semplice: non ho mai pensato o detto di voler organizzare un concorso di bellezza per Suore”.

Eppure sembrava così…

“Beh, si sa che l’apparenza inganna, soprattutto se è frutto di una volontaria manipolazione”.

Ma allora ci spieghi la Sua versione dei fatti…

“La verità è la seguente: intendo promuovere un concorso riservato solo ed esclusivamente alle Suore italiane, ma per mettere in risalto la loro bellezza interiore”.

Padre, starà mica ‘ritrattando’?

“Niente affatto. L’idea è stata sempre quella di realizzare un blog in cui pubblicare le foto delle Suore partecipanti al concorso, le loro storie personali, la descrizione di come vivono la loro missione, le immagini delle strutture religiose in cui operano. In base a questi elementi, i lettori avrebbero potuto votare la Suora spiritualmente più bella”.

Dunque, nessuna passerella?

“Ma, dico io, scherziamo? Solo a uno sprovveduto sarebbe potuta venire in mente una cosa del genere, e io tutto sono tranne che uno sprovveduto. Anche se, devo ammetterlo, non avrei trovato nulla di male se al mio concorso avesse partecipato anche quella bella e giovane Suora: la bellezza è un dono di Dio”.

Beh, certo è che alla notizia di un concorso di bellezza per Suore, il mondo cattolico si è ribellato immediatamente. Siti Internet, blog, portali di informazione, Tv, radio, carta stampata: c’è stata una sommossa popolare contro il Suo progetto…

“Beh, se lo vuole sapere, c’è stato anche qualche risultato positivo…”.

Prego, dica pure…

“La mia provocazione - perché che il concorso per Suore riguardi la bellezza interiore o esteriore non importa, la mia iniziativa è indubbiamente provocatoria - è servita a far accendere la luce dei riflettori sulla carenza sempre più cronica di Suore italiane”.

Perché si riferisce solo alle Suore italiane?

“Perché i nostri Monasteri sono ormai invasi da anni da Suore straniere che vengono in Italia solo per fuggire dalla fame che attanaglia i loro Paesi d’origine. Proviamo a fare un giro nei Monasteri: le poche Suore italiane rimaste superano abbondantemente i 60 anni, e la Chiesa fa poco per spingere le nostre ragazze ad abbracciare la vita religiosa. Me lo hanno fatto notare delle carissime Suore con cui ho organizzato la recita del Rosario in spiaggia sul litorale domiziano”.

Padre Rungi, La Sua è un’accusa gravissima.

“Ho solo detto come stanno le cose. In Italia la Chiesa fa poco o nulla per valorizzare il ruolo e l’immagine delle Suore, cosicché le poche rimaste difficilmente hanno una vita sociale - si pensi che molte di loro muoiono di tumore all’utero perché credono ancora che sia peccato andare dal ginecologo - e le giovani laiche non vengono messe adeguatamente a conoscenza della bellezza della vita monacale. Aggiungo una cosa: le Suore si sentono escluse dal mondo e vogliono iniziare ad utilizzare un linguaggio nuovo, compreso quello di Internet. Me lo hanno assicurato tante di loro”.

Scusi, ma ammesso e non concesso che le cose stiano effettivamente così, crede davvero che possa bastare un concorso in Rete per risolvere la questione?

“Beh, almeno io c’ho provato, ho lanciato il sassolino nello stagno, ma subito tutti a darmi addosso e a fare il processo alle intenzioni senza neanche vedere cosa volessi concretamente realizzare. Tutto ciò è assurdo! Mi hanno fatto passare per uno che non rispetta le Suore, proprio io che le ammiro a tal punto da volerne divulgare la bellezza spirituale! I miei detrattori pensino a denunciaro lo scempio dei film pornografici con le attrici vestire da Suore prima di aprire bocca su di me!”.

Tra una critica e l’altra, Le è giunto per caso anche qualche ‘richiamo’ da parte del Suo Vescovo o del Superiore Generale dei Passionisti?

“No, anche perché non ci sono gli estremi per alcun ammonimento: intanto la mia è solo un’idea - un’idea, lo ribadisco, che riguarda la promozione della bellezza interiore delle Suore - e poi non ho fatto nulla di male”.

Intanto il Suo blog è sparito da Internet…

“Sì, non è più on-line, l’ho tolto io, sto avendo troppi problemi e non è la visibilità ciò che voglio”.

Non c’è che dire, i problemi non Le stanno mancando…

“E’ vero, ma grazie a Dio non sono uno che si demoralizza. Anzi, mi ritengo tenace e combattivo”.

Tenace e combattivo sino a che punto?

“Se i miei superiori non avranno nulla da obiettare, il concorso si farà malgrado le polemiche, gli attacchi personali e le minacce”.

Minacce? A cosa si riferisce?

“Da quando si è saputo del mio concorso, ho ricevuto numerose offese e minacce di morte al telefono. Ma vado avanti per la mia strada, non mi faccio intimorire: a Mondragone si combatte quotidianamente con la triste realtà della camorra, figurarsi se mi faccio intimorire da qualche anonimo molestatore”.

Qual è stata l’offesa che l’ha ferità di più?

“Una persona del nord mi ha scritto una e-mail in cui sosteneva che solo un prete del sud come me avrebbe potuto partorire una simile idea. Questo mi ha ferito davvero tanto. Noi del Meridione siamo gente operosa”.

Cosa, invece, l’ha delusa maggiormente?

“A parte la strumentalizzazione della mia iniziativa-provocazione e la sua distorsione a fini mediatici, la mancata solidarietà da parte dei confratelli sacerdoti”.


Paparatzifan
00lunedì 25 agosto 2008 22:23
Re:
+PetaloNero+, 25/08/2008 16.26:

Da Petrus

“Un concorso di bellezza per Suore? Sì, ma di bellezza interiore”. La verità di Padre Antonio Rungi, il promotore di ‘Sister Italia’. Che rivela: “Sono stato frainteso e minacciato di morte”




Io direi che questo prete vada avanti con questa idea. [SM=g27811] Le minacce di morte mi sembrano esagerate! [SM=g27826]


Paparatzifan
00lunedì 25 agosto 2008 22:25
Re:

+PetaloNero+, 25/08/2008 1.20:

SI INFATTI NON MI SEMBRA UNA COSA COSI' GRAVE COME VIENE DESCRITTA IN QUESTO ARTICOLO.... [SM=g27824] MA IN VATICANO COSA NE PENSERANNO....??? [SM=g27818]



Non c'è nulla di male. In Vaticano sorrideranno e avranno tante altre cose di cui occuparsi... [SM=g27821]




+PetaloNero+
00mercoledì 27 agosto 2008 15:10
IL CARDINALE NEWMAN NON ERA GAY: ERA SOLO UN SANTO

L'articolo completo qui:
www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=35877&idsezione=1
+PetaloNero+
00mercoledì 27 agosto 2008 15:11
Caccia ai cristiani,
omicidi nel silenzio
Perseguitati, massacrati, uccisi. Nell'indifferenza dei mass media e dell'opinione pubblica occidentali. In molte parti del mondo non c'è pace per i credenti e i missionari di fede cristiana, oppressi per il solo fatto di vivere secondo l'insegnamento del Vangelo.


Perché anche soltanto proclamarsi cristiani, specialmente nei luoghi in cui la religione cattolica è numericamente e socialmente in condizioni di marginalità, può rappresentare un azzardo da pagare con la vita. Asia, America, Africa: ovunque il triste elenco dei martiri cristiani è sempre un conto da ritenersi provvisorio.


Come nell'India orientale, nel centro pastorale di Bubaneshwar, dove il fanatismo di una banda di indù radicali proprio in questi giorni ha causato la morte di due religiose, una arsa viva e l'altra anche violentata. E l'India è forse il paese simbolo delle persecuzioni anticristiane del nostro tempo. Lì dove la minoranza cristiana, col suo esempio di devozione e di impegno a favore dei più poveri, mette in crisi il sistema delle caste, la reazione anticristiana assume infatti i contorni di una spietata e generalizzata ritorsione violenta.


Il tragico record continentale delle vittime cristiane spetta in effetti all'Asia: solo nel 2007 vi hanno perso la vita quattro sacerdoti, tre diaconi e un seminarista. Tra di essi scalpore ha suscitato l'assassinio di Padre Madhu, il trentenne missionario indonesiano massacrato nelle Filippine a colpi di arma da guerra mentre si apprestava a celebrare la messa proprio il giorno della domenica delle Palme.


Ma il Medio Oriente non è da meno, se si pensa al caso emblematico di monsignor Paulos Faraj Rahho, arcivescovo di Mossul dei Caldei, rapito in Iraq il 29 febbraio scorso e fatto trovare morto quindici giorni dopo. A nulla sono valsi i ripetuti appelli in suo favore lanciati da Benedetto XVI, che tra l'altro proprio di recente ha richiamato il popolo di Dio alla vocazione evangelica. «Oggi come ieri - ha ammonito in proposito il Pontefice - la vita del cristiano esige di andare contro corrente, comporta l'essere disposti a radicali rinunce, se necessario fino al martirio». E anche la stessa terra d'Australia visitata dal Papa ha conosciuto il dramma della persecuzione anticristiana: un padre verbita di Sydney è stato infatti accoltellato alla gola nel corso di un assalto organizzato nei locali del suo collegio.

Nonostante fosse sopravvissuto, il missionario è stato dato per morto da molte agenzie di stampa, a testimonianza della superficialità con cui tali vicende vengono trattate dagli organi di informazione.
Nel continente americano la situazione non è certo confortante, con sei sacerdoti e due religiosi assassinati negli ultimi 18 mesi: Messico, Colombia e il cattolicissimo Brasile figurano purtroppo ai primi posti nella lista nera dei Paesi in cui dichiararsi cristiani può implicare violenze e persecuzioni.

Poi l'Africa, dove tre sacerdoti e una suora sono stati vittime di attacchi omicidi. E dove, in Sudafrica, Padre Allard Msheyene, missionario OMI, e la sua assistente suor Anne Thole sono rimasti uccisi nell'incendio doloso della struttura per malati di Aids che gestivano. Ma non vanno trascurati i cosiddetti «militi ignoti della fede», cioè i semplici credenti che, pur senza essersi consacrati alla vita religiosa, in ogni angolo del pianeta pagano caramente la loro fede in Cristo, ricordati nei discorsi di Papa Benedetto.

Né si possono dimenticare le vicende che si sono concluse positivamente, come quella di padre Giancarlo Bossi. Rapito lo scorso anno nelle Filippine meridionali mentre stava andando in Chiesa, il religioso italiano venne liberato dopo oltre un mese di prigionia. Il suo sequestro venne rivendicato da una banda di fuoriusciti del Fronte islamico di liberazione Moro, terroristi separatisti attivi nell'arcipelago di Mindanao. In molte zone dell'Asia, infatti, tra i principali animatori della ondata anticristiana vi sono proprio i gruppi musulmani più radicali.


Rodolfo Lorenzoni

iltempo.ilsole24ore.com
+PetaloNero+
00mercoledì 27 agosto 2008 16:23
Diritti umani: ascoltiamo il richiamo del Papa
Lorenzo Albacete


La discussione sui diritti umani va incontro oggi a ostacoli che appaiono insormontabili. Vi sono versioni differenti di cosa questi diritti siano, e numerosi punti di disaccordo (date le diversità culturali che caratterizzano la vita del villaggio globale) su specifici diritti umani, ma la sfida più seria al concetto di diritti umani si incontra oggi, non nella nozione di “diritti”, bensì nell'idea di “umano”.


Nel suo discorso alle Nazioni Unite il 18 aprile di quest'anno, Benedetto XVI ci ha ricordato che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani di 60 anni fa è stata possibile per una «convergenza di differenti tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal desiderio comune di porre la persona umana al centro delle istituzioni, delle leggi e dell'operatività della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza».



Questa convergenza è stata alimentata dalla convinzione, vista come compimento della ragione umana, che le differenti culture fossero espressione di una natura umana comune a tutti e che questo potesse servire come norma per il dialogo sui diritti umani tra le culture. Il problema oggi non sta nelle differenti concezioni dei diritti, né nelle diverse concezioni della natura umana, ma nell'idea stessa di natura come un modo sensato e razionale di comprendere cosa significa essere umani.



Papa Benedetto ha ricordato alle Nazioni Unite che i diritti umani sono «basati sulla legge naturale scritta nel cuore dell'uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe ridurli e cedere a una concezione relativistica, secondo la quale il significato dei diritti e la loro interpretazione possono variare, negando così la loro universalità». Per questa ragione, è importante insistere che «non solo i diritti sono universali, ma che tale è anche la persona umana, il soggetto di questi diritti».



Tuttavia, è proprio questo il problema presente, cioè la difficoltà di come comprendere razionalmente la universalità del soggetto dei diritti umani. Il problema è la messa in discussione della stessa razionalità come espressione di una natura comune che unisce tutti gli esseri umani. Il risultato è che la discussione sui diritti umani, dalla necessità di affermare la dignità di ogni persona, viene ridotta a una discussione sull'equilibrio fra “semplici interessi”, diventando così una discussione politica piuttosto che una discussione su ciò che dovrebbe guidare la politica.



Nel suo dialogo con Jurgen Habermas, poco prima di essere eletto Papa, il Cardinale Ratzinger lo ha riconosciuto in modo schietto. Sfortunatamente, egli scrive, la legge naturale come «strumento» per dialogare sui diritti umani universali si è «capovolta», perché basata su un'idea di natura diventata sempre più caratteristica del pensiero moderno, e cioè che la «natura come tale non è razionale, anche se vi sono comportamenti razionali in natura».



Credo che questa sia la più importante sfida al concetto di diritti umani, che minaccia di far diventare questo concetto non solo inutile per controllare l'abuso del potere, ma esso stesso uno strumento di potere.



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+PetaloNero+
00giovedì 28 agosto 2008 15:10
Il Papa: «Basta violenze contro i cristiani»
di Andrea Tornielli
da Roma

«Condanno con fermezza ogni attacco alla vita umana». Benedetto XVI, al termine dell’udienza del mercoledì che si è svolta ieri in Vaticano, ha parlato delle violenze contro i cristiani che in questi giorni insanguinano l’Orissa dopo l’uccisione di un leader indù, invitando i capi religiosi e le autorità indiane a ristabilire una pacifica convivenza.
«Ho appreso con profonda tristezza - ha detto il Papa - le notizie circa le violenze contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa, scoppiate in seguito al deplorevole assassinio del leader indù Swami Lakshmananda Saraswati. Sono state finora uccise alcune persone e ne sono state ferite diverse altre. Si è avuta inoltre la distruzione di centri di culto, proprietà della Chiesa, e di abitazioni private».
«Mentre condanno con fermezza ogni attacco alla vita umana, la cui sacralità esige il rispetto di tutti - ha aggiunto il Pontefice - esprimo spirituale vicinanza e solidarietà ai fratelli e alle sorelle nella fede così duramente provati. Imploro il Signore che li accompagni e sostenga in questo tempo di sofferenza e dia loro la forza di continuare nel servizio d’amore in favore di tutti». «Invito i leader religiosi e le autorità civili - ha concluso Benedetto XVI - a lavorare insieme per ristabilire tra i membri delle varie comunità la convivenza pacifica e l’armonia che sono sempre state segno distintivo della società indiana».
La situazione continua ad essere preoccupante. La polizia indiana ha avuto l’ordine di sparare a vista sui rivoltosi, il numero delle vittime è salito a undici. Tre cadaveri sono stati trovati nella notte nel distretto rurale di Kandhamal, dove folle di indù hanno danneggiato oltre una dozzina di chiese assalendo cristiani nelle loro case e in un orfanotrofio.
Gli attacchi si stanno ora diffondendo ad altri distretti. Uomini armati continuano a incendiare e saccheggiare chiese, conventi, centri sociali cristiani, abitazioni di religiosi, ostelli e anche ospedali cattolici.
Ieri il vescovo di Bhubaneshwar, capitale dell’Orissa, è giunto a New Delhi dove oggi incontrerà il primo ministro indiano Sing. Al premier, monsignor Raphael Cheenath chiederà un «maggiore intervento del governo federale e locale per prevenire queste situazioni e conservare l’armonia».
Il cardinale Varkey Vithayathil, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-malabaresi, ha annunciato per domani una giornata di chiusura di tutte le scuole cattoliche dell’India e per il 7 settembre una giornata di preghiera e digiuno in favore dei cristiani dell’Orissa, e ha anche invitato tutte le organizzazioni cattoliche a dar vita a «cortei pacifici in tutto il Paese per esprimere una forte protesta contro i reiterati attacchi dei fondamentalisti». Mentre il cardinale Oswald Gracias, presidente dei vescovi indiani, ha detto all’agenzia AsiaNews: «Come è possibile che il governo non abbia previsto in tempo la situazione e preso tutte le misure per fermare questo caos ricorrente?».



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+PetaloNero+
00martedì 2 settembre 2008 17:28
La Betancourt a Roma: «Che emozione quell’abbraccio al Papa»
di Franco Frattini

La luce della speranza non si è mai spenta negli occhi di Ingrid Betancourt, l’ex candidata franco-colombiana alla presidenza della Colombia, sequestrata nel febbraio del 2002 dalle Farc (forze armate rivoluzionarie) proprio durante la campagna elettorale e liberata lo scorso 2 luglio. Ed è sempre stata animata da una fede profonda in tutto il periodo della sua prigionia, quasi sette anni. A riferirlo, la stessa pasionaria che, ieri mattina alle 12,30, è stata ricevuta in udienza privata da Papa Benedetto XVI, nel palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. «Incontrare il Santo Padre è stata un’esperienza incredibile, in cui non ho seguito il protocollo. Anzi, mi sono sentita di abbracciarlo e gli ho raccontato che durante il sequestro, avevo chiesto al Signore di aiutarmi a portare la mia croce e di darmi un’indicazione su quando sarei stata liberata. Un segno giunto, quando a termine di una marcia estenuante per raggiungere l’accampamento, ho sentito alla radio la voce del Papa che stava pronunciando il mio nome e chiedeva ai guerriglieri colombiani di liberarmi».
Sono state le altre vittime del terrorismo, i settecento ostaggi, ancora nelle mani della Farc, e l’obiettivo di una loro liberazione, i protagonisti dell’incontro, avvenuto poco dopo le 13,50, a Palazzo Valentini in cui il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, che la ospita, ha omaggiato Ingrid Betancourt con il premio «Provincia Capitale» una scultura in legno raffigurante un melograno, simbolo della vita e della fratenità. Zingaretti si è inoltre augurato «che le venga consegnato il premio Nobel per la Pace, per aver vinto la sua battaglia nel nome della democrazia e della libertà».
A chi, nel corso della conferenza, le ha chiesto notizie su una sua eventuale partecipazione politica con una possibile ricandidatura alla presidenza per il 2011, ha risposto: «La mia missione ora è dare voce a coloro che non hanno voce, avvolti nel dolore umano della prigionia. Lotterò per la liberazione dei miei compagni.Il mio obiettivo è costruire un’équipe che riesca a creare un dialogo con i guerriglieri e che tocchi il loro “cuore duro”, seminando via sentimenti di odio e vendetta per lasciare spazio all’amore e al perdono. Ho sempre riconosciuto il loro diritto a essere diversi, ma ho pregato affinché capissero il mio diritto alla diversità. In cambio ho ricevuto però il loro rifiuto, del cibo, di un saluto, di un sorriso». Nell’agenda della Betancourt, che ha precisato che «mi sarebbe piaciuto incontrare il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi», è previsto anche un colloquio con il ministro degli Esteri .

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+PetaloNero+
00martedì 2 settembre 2008 17:29
L'incontro a palazzo valentini
Sinistra pazza per Ingrid ma lei sogna solo il Papa

Lo sguardo basso intimidito, fragile, a volte nasconde il pianto. Sorride, a tratti, ma i suoi occhi raccontano altro. Come fosse ancora turbata. Del resto, sei anni e mezzo sotto le fauci delle Forze armate rivoluzionarie colombiane non si dimenticano facilmente.





Ingrid Betancourt entra a passo lento nella sede della Provincia di Roma. È appena arrivata da Castel Gandolfo, dove ha incotrato il Papa. Si è inginocchiata, l'ha abbracciato, gli ha confidato gli attimi più struggenti dei suoi anni di prigionia, nella selva. Benedetto XVI, racconterà poi al pubblico, gli ha dato la forza in quei giorni duri. E incontrare «l'essere della luce - come lo chiama lei - è la realizzazione di un sogno».
Ad accompagnarla davanti a un plotone di giornalisti c'è Luca Zingaretti, che le dona il premio Provincia Capitale: un melograno «simbolo della vita e della fertilità». «È il mio nobel per te», la corteggia Zingaretti annunciando di aver spedito una lettera al governo della Birmania per poter incontrare a Rangoon Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione birmana e premio nobel per la pace.
Poi tocca a Ingrid. Alle risposte in spagnolo o in francese. Di politica non vuole parlare: «Non è la mia priorità». Anche se è in corsa per una poltrona all'Unesco. E gli incontri con i maggiori esponenti della sinistra italiana non sembrano scuoterla. Lei vuole confrontarsi su altro. Vuole restituire al mondo il suo messaggio di convivenza, di pace. Di fede.
Zingaretti la corteggia. Piero Fassino, mischiato tra i giornalisti, l'ascolta estasiato. Walter Veltroni la sera prima l'ha anche invitata a cena con tutti i familiari. L'ha corteggiata a suon di complimenti e abbracci il segretario Pd. Tanto da regalarle il «Libro dei sogni» di Federico Fellini, la maglia di Totti per il nipotino e un dvd con tutte le iniziative a suo sostegno nel 2003. Inoltre, il presidente della Provincia di Roma che le paga vitto e alloggio fino a domani, pranzerà con lei dopo la conferenza stampa assieme ai suoi uomini e Giuliana Sgrena. Betancourt è la più corteggiata del momento, dalla sinistra italiana. Ma lei ha orecchie e cuore solo per Ratzinger.
«Marciavo dall'alba al tramonto - racconta la colombiana - Una sera ci siamo accampati e mi sono distesa, come sempre, angosciata. Disperata, perché non sapevo cosa aspettarmi dalle Farc. Tra i pochi "svaghi" c'era una radio. L'accessi e sentii il Papa pronunciare il mio nome». Ingrid si commuove. E con lei anche chi in questo momento ha il compito di tradurre le sue parole. La folla applaude. «Quella voce è stata come una luce, una speranza».
Quel giorno inizia a pregare per un miracolo. «Non la mia liberazione. Volevo un segno, qualcosa che mi indicasse il momento in cui qualcosa poteva cambiare». Era da sei anni e mezzo prigioniera. E il 20 giugno scorso uno dei capi della guerriglia le disse che degli uomini sarebbero venuti a prenderli per liberarli. Per Ingrid era il miracolo.
Il 2 luglio è di nuovo libera.Lo ricorda sospirando. «C'è qualcuno che sa ascoltarci», è il messaggio che vuole dare agli italiani. «Nella vostra mente - dice rivolgendosi alle telecamere - si crei lo spazio necessario per la pace. Usate la via democratica, la legge. La via per vincere è il cuore».
Il soliloquio di Betancourt assume sempre più le sembianze di un Angelus. Ricorda che quando era nella selva il mondo fuori le sembrava bello, «ma uscita mi sono accorta che la gente ha paura di perdere quello che ha e rifiuta il prossimo. Rifiuta chi viene da fuori. E io so quanto è difficile sentirsi rifiutata. Ma se noi cambiamo il modo di pensare e affrontare il futuro si potrà cambiare». La quarantasettenne figlia della politica dedica tutto il suo discorso ai valori cattolici. Critica il consumismo eccessivo, «ci vuole una vita più sobria in questo mondo. Se riusciamo, nella fratellanza, questo sarà veramente un mondo azzurro». La voce di Benedetto XVI alla radio, l'incontro di ieri, la fede, i valori cattolici. Betancourt vuole portare questi insegnamenti nel mondo. «Aprite il vostro cuore al di là dei calcoli politici. Perché la nostra generazione deve prendere delle decisioni. Adesso».


Fabio Perugia

iltempo.ilsole24ore.com
Paparatzifan
00mercoledì 3 settembre 2008 08:43
Dal blog di Lella...

La Betancourt al Papa: «Laggiù le sue parole mi hanno dato coraggio»

di FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO

A guardare quel bel viso ovale, incorniciato da una massa di capelli neri raccolti dietro, è difficile credere che una donna tanto esile possa essere sopravvissuta in catene per così tanto tempo. Sei anni di violenze fisiche e psicologiche, con le catene ai piedi, marce forzate nella giungla, soprusi, umiliazioni, sevizie; gli aguzzini delle Farc non le hanno mai risparmiato niente. Ieri quando Ingrid Betancourt davanti alle telecamere manifestava gioia per essere riuscita a coronare un sogno che le pareva semplicemente impossibile fino a qualche mese fa - «desideravo incontrare il Papa» -, si è capito che a sostenerla in tanta disperazione ci ha pensato la fede. «Dio mi ha salvata». «Pregavo tanto». Forse è per questo che venire a Roma era un po’ come sciogliere un voto. Ingrid, ha raccontato, che voleva ringraziare il pontefice di persona per quel giorno che accendendo la radio, al termine di una massacrante marcia durata dall’alba al tramonto nella giungla, riuscì per caso a captare la sua voce su Radio Cattolica.
Fu uno squarcio di luce nel buio, un balsamo per la sua anima a pezzi. «Sentirlo che pronunciava il mio nome mi ha infuso speranza». A decine di migliaia di chilometri di distanza, quella domenica all’Angelus, il pontefice chiedeva la liberazione della Betancourt, mentre lei, nella selva amazzonica, piagata e prossima al crollo, ascoltava in diretta l’appello. «In quel momento non mi sono sentita più sola, ho colto quel raggio di luce; mi dava la forza di tirare avanti. Era una mano santa, una iniezione di speranza».
Così quando ieri mattina a Castel Gandolfo si è trovata di fronte Benedetto XVI l’ex deputata colombiana non ha esitato un secondo a mandare all’aria tutte le regole del protocollo vaticano e l’ha abbracciato forte. «Abbiamo abbiamo pregato assieme affinchè il Signore possa toccare il cuore duro dei capi della guerriglia, perchè li guarisca dalla situazione in cui vivono che è simile all'autismo: io li conosco bene, e so che non capiscono altre parole che non siano le loro». La voce della giovane donna non ha mai tradito rabbia, non ha mai parlato di vendetta ma solo di evangelico perdono. Poi lancia un messaggio ai suoi ex aguzzini. «Vorrei dire alle Farc: il mondo vi sta guardando e vi chiede di aprire il cuore, di fare spazio ai sentimenti di amore al di là della convenienza, dell'odio e della vendetta. Non date corso solo al crimine, alle armi. Date voce a tutti i colombiani, quelli che la pensano come voi e quelli che non la pensano come voi. Conosco i vostri obiettivi e le vostre strategie. E vi riconosco il diritto di essere diversi. Voi dovete riconoscere agli altri la libertà di non pensarla come voi». Sopravvivere in quelle condizioni non è stato semplice. Ad aiutare a non mollare, sussurra la Betancourt, è stata una fede incrollabile e la lettura costante della Bibbia, un libro che ha scoperto per profondità e bellezza. «Nel cuore della selva, nel momento peggiore per me, ho chiesto a Gesù di aiutarmi a portare la croce perchè non ce la facevo più. Se farai questo miracolo, io sarò tua. E lui mi ha ascoltato». Un segno celeste. Un «miracolo» anche per Benedetto XVI: «Dio ti ha ascoltato perchè hai saputo chiedere nel modo giusto».

© Copyright Il Messaggero, 2 settembre 2008


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