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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2024 08:27
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02/09/2021 07:24
 
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«Prendi il largo»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi ancora ci risulta sorprendente comprovare come quei pescatori furono capaci di lasciare il loro lavoro le loro famiglie e seguire Gesù: «Lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11), precisamente quando Egli si manifesta dinnanzi a loro come un collaboratore eccezionale per l’attività che proporziona loro il sostentamento. Se Gesù di Nazareth facesse la proposta a noi, nel nostro secolo XXI..., avremmo il coraggio di quei uomini? Saremmo capaci di intuire quale sia il vero beneficio?

I cristiani crediamo che Gesù è eternamente presente; quindi questo Cristo Risorto ci chiede, non a Pietro a Giovanni o a Giacomo, ma a te, a me e a tutti coloro che lo confessiamo come il Signore, ripeto, ci chiede, partendo dal testo di Luca, di accoglierlo nella barca della nostra vita perché vuol riposare con noi; ci chiede servirsi di noi, che gli permettiamo di indicarci dove orientare la nostra vita per essere fecondi in mezzo ad una società ogni volta più allontanata e bisognosa della Buona Nuova. La proposta è allettante, e solo ci manca volere e saper spogliarci delle nostre paure, dei nostri “chissà cosa diranno” e fissare il corso verso acque più profonde o, in altre parole, verso orizzonti più lontani di quelli che limitano la nostra mediocre quotidianità di ansie e scoraggiamenti. «Colui che inciampa sulla strada, per poco che avanzi, si avvicina al traguardo; colui che corre fuori, quanto più corre, più si allontana» (Cf. San Tommaso d’Aquino).

«Duc in altum»; «Prendi il largo» (Lc 5,4): non stabiliamoci sulle rive di un mondo che vive guardandosi l’ombelico! La nostra navigazione per i mari della vita deve condurci ad attraccare nella terra promessa, fine del nostro percorso in questo Cielo sperato, che è regalo del Padre, pero indivisibilmente, anche lavoro dell’uomo –tuo, mio- al servizio degli altri a nella barca della Chiesa. Cristo conosce bene le zone di pesca, e dipende da noi: o il porto dei nostri egoismi, o verso i suoi orizzonti.
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04/09/2021 09:54
 
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Il Figlio dell’uomo è signore del sabato»

Fr. Austin Chukwuemeka IHEKWEME
(Ikenanzizi, Nigeria)
Oggi, di fronte all’accusa dei farisei, Gesù spiega il senso corretto del riposo sabatico, evocando un esempio dell’Antico Testamento (cf. Dt 23,26): «Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, (...), prese i pani dell'offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?» (Lc 6,3-4).

La condotta di Davide anticipò la dottrina che Cristo insegna in questo brano. Già nell’Antico Testamento, Dio aveva stabilito un ordine nei precetti della Legge, di modo che quelli di minor rango, cedessero d’innanzi a quelli di maggior rango.

Alla vista di ciò , si spiega che un precetto cerimoniale (come quello che stiamo commentando) cedesse di fronte a un precetto di legge naturale. Nello stesso modo, il precetto del sabato non è al di sopra delle necessità elementari di sussistenza.

In questo brano, Cristo ci insegna quale era il senso dell’istituzione divina del sabato: Dio lo aveva istituito per il benessere dell’uomo, perché potesse riposare e potesse dedicarsi in pace e allegria al culto divino. L’interpretazione dei farisei aveva convertito questo giorno in una occasione di afflizione e preoccupazione, dovuto alle innumerevoli prescrizioni e proibizioni.

Il sabato era stato fatto non solo perché l’uomo potesse riposare, ma anche perché potesse dar gloria a Dio: questo è il vero senso dell’espressione: «Il sabato è stato fatto per l’uomo» (Mc 2,27).

Inoltre , dichiarandosi “signore del sabato” (cf. Lc 6,5), manifesta chiaramente che Lui è lo stesso Dio che diede il precetto al popolo di Israele, affermando così la sua divinità e il suo potere universale. Anche Gesù può chiamarsi “signore del sabato”, perché è Dio.

Chiediamo aiuto alla Vergine per poter credere e capire che il sabato appartiene a Dio ed è in un certo modo - adattato alla natura umana – per rendere onore e gloria all’Onnipotente. Come ha scritto San Giovanni Paolo II, «il riposo è cosa “sacra” ed è un’occasione per «prendere coscienza che tutto è opera di Dio»
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05/09/2021 09:15
 
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«Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano»

Pbro. Fernando MIGUENS Dedyn
(Buenos Aires, Argentina)
Oggi, la liturgia ci porta alla contemplazione della guarigione di un uomo «sordomuto» (Mc 7,32). Come in molte altre occasioni (il cieco di Betsaida, il cieco di Gerusalemme, ecc), il Signore accompagna il miracolo con una serie di gesti esterni. I Padri della Chiesa sono evidenziati in questo fatto dalla partecipazione mediatrice dell’Umanità di Cristo nei Suoi miracoli. Una mediazione che viene fatta in due modi: in primo luogo, l' «umiliazione» e la vicinanza del Verbo incarnato verso di noi (un semplice tocco delle sue dita, la profondità del suo sguardo, la sua voce morbida e vicina), d'altra parte, il tentativo di risvegliare nell'uomo la fiducia, la fede e la conversione del cuore.

Infatti, la cura dei malati da Gesù va ben oltre al fatto di alleviare il dolore e ripristinare la salute. Va destinata a conseguire con quelli che Egli ama la rottura con la cecità, la sordità, l'immobilità stagnante dello spirito. E, alla fine, chissà se una vera comunione di fede e di amore.

Allo stesso tempo, vediamo che la reazione riconoscente dei destinatari del dono divino è quella di annunciare la misericordia di Dio: «Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano» (Mc 7,36). Essi testimoniano il divino dono, hanno una profonda esperienza con la sua misericordia e sono colmi con una profonda e genuina gratitudine.

Anche per tutti noi è di una importanza decisiva essere coscienti e sentire di essere amati da Dio, essere certi di essere l’oggetto della sua infinita misericordia. Questo è il grande motore della generosità e dell’amore che Egli ci chiede. Ci sono molte forme in cui questa rivelazione si realizza in noi. A volte sarà la improvvisa e intensa esperienza del miracolo e, più spesso, la scoperta graduale che tutta la nostra vita è un miracolo d'amore. In ogni caso è necessario che si diano le condizioni della coscienza della nostra povertà, una vera umiltà e la capacità di ascoltare in modo riflessivo la voce di Dio.
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06/09/2021 09:53
 
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«Àlzati e mettiti qui in mezzo! (...). Tendi la tua mano!»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)
Oggi, Gesù ci da esempio di libertà. Di questo ne parliamo tantissimo nei nostri giorni. Ma, a differenza di ciò che oggi viene offerta e perfino si vive come “libertà”, quella di Gesù é una libertà totalmente associata ed unita all'azione del Padre. Lui stesso dirà: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Ed il Padre solamente agisce per amore.

L'amore non s'impone, ma influisce, mobilita, restituendo con pienezza la vita. Quel comando di Gesù: «Alzati e mettiti nel mezzo!» (Lc 6,8), possiede la forza ricreatrice di Colui che ama, e attraverso la parola agisce. Ancora di più l'altro: «Stendi la mano!» (Lc 6,10), che finisce con l'ottenere il miracolo, ristabilisce definitivamente la forza e la vita in chi era debole e morto. ”Salvare”, è strappare dalla morte, e questa stessa parola si traduce in “guarire”. Gesù guarendo salva quanto di morte c'era in quel povero uomo ammalato, e questo è un segno chiaro dell'amore di Dio Padre verso le sue creature. Così, nella nuova creazione dove il Figlio non fa altro che ciò che vede fare al Padre, la nuova legge che dominerà sarà quella dell'amore che si mette in atto, e non quella di un riposo che “inattiva”, perfino nel fare del bene al fratello bisognoso.

Allora, libertà ed amore messi insieme sono la chiave per oggi. Libertà ed amore messi insieme allo stile di Gesù. «Ama e fa quel che vuoi» di sant'Agostino ha oggi piena vigenza, per imparare a trasformarsi totalmente in Cristo Salvatore.
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07/09/2021 08:26
 
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«Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, vorrei centrare la nostra riflessione sulle prime parole di questo Vangelo: «In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (Lc 6,12). Introduzioni come questa possono passare inosservate nella nostra quotidiana lettura del Vangelo, però –in effetti- sono di massima importanza. In particolare oggi ci viene chiaramente detto che la scelta dei dodici apostoli —decisione centrale per la futura vita della Chiesa— fu preceduta da un’intera notte di preghiera di Gesù, in solitudine, davanti a Dio, suo Padre.

Quale è stata la preghiera del Signore? Da ciò che si evince dalla sua vita, doveva essere una preghiera di piena fiducia al Padre, e di totale abbandono alla sua volontà —«Non cerco la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 5,30)— manifestamente unita alla sua opera salvifica. Solo da questa profonda, lunga e costante preghiera, sostenuta sempre dall’azione dello Spirito Santo che, presente fin dal momento dell’Incarnazione, era disceso su Gesù al momento del suo Battesimo; solo così, dicevamo, il Signore poteva ottenere forza e luce necessaria per continuare la sua missione di obbedienza al Padre per compiere la Sua opera vicaria di salvezza degli uomini. La successiva elezione degli Apostoli che, come ci ricorda San Cirillo di Alessandria, «Cristo stesso afferma di aver dato loro la stessa missione ricevuta dal Padre», ci dimostra come la Chiesa nascente è stato il frutto di questa preghiera di Gesù al Padre nello Spirito e che, quindi, è opera della Santissima Trinità stessa. «Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli» (Lc 6,13).
T
Il mio augurio è che tutta la nostra vita di cristiani —come discepoli di Cristo— sia sempre immersa nella preghiera e da essa sostenuta.
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09/09/2021 07:59
 
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«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso»

Rev. D. Jaume AYMAR i Ragolta
(Badalona, Barcelona, Spagna)
Oggi, nel Vangelo, il Signore ci chiede per ben due volte di amare i nemici. E dà poi tre concrezioni positive su questo comando: fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. Si tratta di una direttiva che sembra difficile da raggiungere: come non amare coloro che ci amano? Inoltre, come possiamo amare coloro che conosciamo con certezza che ci vogliono male? Venire ad amare in questo modo è un dono di Dio, ma dobbiamo essere pronti a esso. Certamente, amare i nostri nemici è la cosa umanamente più saggia: il nemico amato sarà disarmato, l'amore può essere la condizione che dia possibilità per non essere più nemico. Allo stesso modo, Gesù continua: «A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra» (Lc 6:29). Potrebbe sembrare eccessiva mansuetudine. Ma, cosa fece Gesù dopo essere schiaffeggiato nella sua passione? Certamente non decise di contrattaccare, ma rispose con fermezza tale, piena di carità, che sicuramente fece riflettere quel servo inbestialito: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». ( Gv 18,22-23).

In tutte le religioni esiste una massima d'oro: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso». Gesù è l'unico che formula in modo positivo: «Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Lc 6,31). Questa regola d’oro è il fondamento di ogni morale. Commentando questo versetto, San Giovanni Crisostomo ci istruisce: «C'è di più, perché Gesù non ha detto solo: 'Desiderate tutto il bene per gli altri' ma 'fate del bene agli altri'»; Così la massima d'oro proposta da Gesù non può diventare un semplice desiderio, ma deve tradursi in opere
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10/09/2021 08:22
 
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Ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, le parole del Vangelo ci fanno riflettere sull’importanza di dare buon esempio e di offrire agli altri una vita esemplare. Infatti, un proverbio dice che «“Fra’ Esempio” è il miglior predicatore», e un altro che «meglio una immagine che mille parole». Non dimentichiamo che, nel cristianesimo, tutti —senza eccezione!— siamo guide, dal momento che il Battesimo ci conferisce una partecipazione al sacerdozio (mediazione salvatrice) di Cristo: in effetto, tutti i battezzati hanno ricevuto il sacerdozio battesimale. E ogni sacerdozio, oltre alle missioni di santificare e di insegnare agli altri, include anche il munus —la funzione— di reggere o dirigere.

Sì, tutti —lo vogliamo o no— con la nostra condotta abbiamo l’opportunità di arrivare ad essere un modello stimolante per coloro che ci circondano. Pensiamo, ad esempio, all’ascendenza che hanno i genitori nei confronti dei figli, dei professori sugli alunni, delle autorità sui cittadini, ecc. Il cristiano, tuttavia, deve avere una coscienza particolarmente attenta riguardo a queste cose. Ma... «può forse un cieco guidare un altro cieco?» (Lc 6,39).

Per noi cristiani è un bel richiamo quello che gli ebrei e le prime generazioni dei cristiani dicevano di Gesù: «Ha fatto bene ogni cosa» (Mc 7,37); «Il Signore fece e insegnò» (At 1,1).

Dobbiamo sforzarci di tradurre in opere ciò in cui crediamo e professiamo con la parola. In un’occasione, Papa Benedetto XVI, quando ancora era Cardinal Ratzinger, affermava che «il pericolo più minaccioso sono i cristiani accomodati», ossia quelle persone che a parole si professano cattolici, ma, in pratica, con la loro condotta, non manifestano la “radicalità” del vangelo.

Essere radicali non vuol dire essere fanatici (dal momento che la carità è paziente e tollerante) né essere esagerati (perché in questioni di amore non è possibile esagerare). Come ha affermato San Giovanni Paolo II, «il Signore crocifisso è una testimonianza insuperabile di amore paziente e di umile mansuetudine»: non si tratta né di un fanatico né di un esagerato. Però sì di un radicale, tanto da farci dire insieme al centurione che fu presente alla sua morte: «Veramente quest’uomo era giusto» (Lc 23,47).
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12/09/2021 09:15
 
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«Se qualcuno vuol venire dietro a me (...) prenda la sua croce e mi segua»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, troviamo situazioni simili a quella descritta in questo passaggio. Se in questo momento Dio ci domandasse: «Chi dice la gente che io sia?» (Mc 8,27), dovremmo spiegargli di un mucchio di risposte diverse, anche di alcune proprio pittoresche. Basterebbe con dare un'occhiata a ciò che è in gioco e diffuso nei media più diversi. Solamente che ... sono passati più di venti secoli di "tempo della Chiesa". Dopo tanti anni, e ci doliamo e -con S. Faustina- ci lamentiamo davanti Gesù: «Perché è così piccolo il numero di coloro che ti conoscono».

Gesù, in occasione della confessione di fede fatta da Simon Pietro «impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno» (Mc 8,30). La sua condizione messianica era quella di trasmettere agli ebrei con una pedagogia progressiva. Più tardi sarebbe arrivato il momento culminante nel quale Gesù Cristo dichiarerebbe -una volta per tutte- che Egli era il Messia: «Io sono» (Lc 22,70). Da allora, non ci sono scuse per non dichiarare o riconoscere in lui il Figlio di Dio venuto nel mondo per la nostra salvezza. Inoltre: tutti i battezzati abbiamo il gioioso dovere "sacerdotale" di predicare il Vangelo in tutto il mondo e ad ogni creatura (cfr Mc 16,15). Questa chiamata alla predicazione della Buona Novella è tanto più urgente se si considera che su di Lui ci sono ancora ogni sorta di opinioni errate, anche blasfeme.

Ma l'annuncio della sua messianicità e l'avvento del suo Regno passa attraverso la Croce. Infatti, Gesù «cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire» (Marco 8,31), e il Catechismo ci ricorda che «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio» (n. 769). Ecco, dunque, il modo di seguire Cristo e di farlo conoscere: «Se qualcuno vuol venire dietro a me (...) prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).
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13/09/2021 09:00
 
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«Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!»

Fr. John A. SISTARE
(Cumberland, Rhode Island, Stati Uniti)
Oggi, siamo di fronte a una questione interessante. Per quale ragione il centurione del Vangelo non andò personalmente all’incontro di Gesù e, invece, mandò avanti alcune autorità dei Giudei, richiedendo che fossero a salvare il suo servo? Lo stesso centurione risponde per noi nel brano evangelico: Signore, «per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito» (Lc 7,7).

Quel centurione possedeva la virtù della fede credendo che Gesù potesse fare il miracolo —se così lo avesse voluto— solamente con la sua divina volontà. La fede gli fece credere che, a prescindere da dove Gesù potesse trovarsi, Egli poteva guarire il servo malato. Quel centurione era assolutamente convinto che nessuna distanza poteva impedire o frenare Cristo, se voleva portare a buon termine il suo lavoro di salvezza.

Anche noi a volte, nella nostra vita, siamo chiamati ad avere la stessa fede. Ci sono occasioni in cui possiamo essere tentati a credere che Gesù è lontano e che non ascolta le nostre richieste. Tuttavia, la fede illumina le nostre menti e i nostri cuori, facendoci credere che Gesù è sempre vicino per aiutarci. Infatti, la presenza salvifica di Gesù nell’Eucarestia deve essere il nostro memorandum permanente che Gesù è sempre vicino a noi. Sant’Agostino, con occhi di fede credeva in questa realtà «Ciò che vediamo nel pane e nel calice; è quello che i tuoi occhi vedono. Però ciò che la tua fede ti obbliga ad accettare è che il pane è il Corpo di Cristo e che nel calice c’è il Sangue di Cristo».

La fede illumina le nostre menti per farci vedere la presenza di Gesù in mezzo a noi. E, come quel centurione, diremo. « Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto» (Lc 7,6). Quindi, se ci umiliamo di fronte a nostro Signore e Salvatore, Lui viene a curarci. Lasciamo quindi che Gesù penetri nel nostro spirito, nella nostra casa, per curare e rafforzare la nostra fede e condurci verso la vita eterna.
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14/09/2021 08:00
 
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Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi il Vangelo è una profezia, cioè, uno sguardo nello specchio della realtà che ci introduce nella verità aldilà di quello che i nostri sensi ci dicono: la Croce, la Santa Croce di Gesù Cristo, è il trono del Salvatore. Per questo, Gesù afferma che «così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo» (Gv 3,14).

Sappiamo bene che la Croce era il supplizio più atroce e vergognoso del suo tempo, esaltare la Santa Croce solo finirebbe per essere cinismo se non fosse perché da lì pende il Crocificato. La Croce, senza il Redentore, è cinismo puro; con il Figlio dell’uomo è il nuovo albero della Sapienza. Gesù Cristo, «offrendosi liberamente, alla passione» della Croce, ha aperto, il senso e il destino del nostro vivere: salire con Egli alla Santa Croce per aprire le braccia e il cuore al Dono di Dio, in un intercambio ammirabile. Anche qui ci conviene ascoltare la voce del Padre dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11). Incontrarci crocifissi con Gesù è resuscitare con Egli: Ecco qui il perché di tutto! C’è speranza, c’è senso, c’è eternità, c’è vita! Non siamo impazziti i cristiani quando nella vigilia pasquale, in modo solenne, ossia, nel Pregone Pasquale, cantiamo lode del peccato originale: «Oh!, felice colpa, che ci ha meritato cosi grande Redentore», che con il suo dolore ha impresso “Senso’’ al dolore.

«Guardate l’albero della croce, da dove pendeva il Salvatore del mondo: Venite e adoriamolo» (liturgia del venerdì Santo). Se riusciamo a superare lo scandalo e la pazzia di Cristo crocifisso, solo resta adorarlo e ringraziarlo per il suo Dono. È necessario cercare decisamente la Santa Croce nella nostra vita, per colmarci di certezza che, «Per Egli, con Egli e in Egli» la nostra donazione sarà trasformata, nelle mani del Padre, per lo Spirito Santo in vita eterna: «Versata per voi e per molti, per il perdono dei peccati».
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15/09/2021 08:15
 
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«Una spada trafiggerà l’anima»

Dom Josep Mª SOLER OSB Abate di Montserrat
(Barcelona, Spagna)
Oggi, nella festa della Beata Vergine Maria Addolorata, ascoltiamo delle parole pungenti dalla bocca dell’anziano Simeone: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima!» (Lc 2,35). Affermazione che, nel suo contesto, non si richiama solamente alla passione di Gesù Cristo, ma anche al suo ministero, che provocherà una divisione nel popolo d’Israele, e per tanto un dolore intimo a Maria. Nel corso della vita pubblica di Gesù, Maria sperimentò la sofferenza per il fatto di vedere Gesù rifiutato dalle autorità del popolo e minacciato di morte.

Maria, come ogni discepolo di Gesù, deve imparare a situare i rapporti familiari in un altro contesto. Anche Lei, a causa del Vangelo, deve lasciare il Figlio (cf. Mt 19,29), e deve imparare a non considerare Gesù secondo la carne, sebbene sia nato da Lei secondo la carne. Anche Lei deve crocifiggere la sua carne (cf. Gal 5,24) per poter trasformarsi progressivamente a immagine di Gesù Cristo. Ma il momento straziante della sofferenza di Maria, quello in cui vive più intensamente la croce è il momento della crocifissione e della morte di Gesù.

Anche nel dolore Maria è modello di perseveranza nella dottrina evangelica, partecipando alle sofferenze di Cristo con pazienza (cf. Regola di san Benedetto, Prologo 50). Così è stato nel corso di tutta la sua vita e, soprattutto, nel momento del Calvario. In questo modo, Maria diventa figura e modello per ogni cristiano. Per essere stata strettamente unita alla morte di Cristo, è anche unita alla sua risurrezione (cf. Rm 6,5). La perseveranza di Maria nel dolore, realizzando così la volontà del Padre, le offre una nuova irradiazione per il bene della Chiesa e dell’Umanità. Maria ci precede nel cammino della fede e della sequela di Cristo. E lo Spirito Santo ci conduce a partecipare con Lei in questa grande avventura.
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17/09/2021 08:16
 
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Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio»

Rev. D. Jordi PASCUAL i Bancells
(Salt, Girona, Spagna)
Oggi, ci fissiamo sul Vangelo in cui si narra quella che potrebbe essere una giornata abituale dei tre anni della vita pubblica di Gesù. San Luca lo narra con poche parole: «Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio» (Lc 8,1). È ciò che contempliamo nel terzo mistero luminoso del Santo Rosario.

Commentando questo mistero Papa san Giovanni Paolo II dice: «Mistero di luce è la predicazione con la quale Gesù annuncia l'avvento del Regno di Dio e invita alla conversione, perdonando i peccati di chi si accosta a Lui con umile fiducia, inizio del ministero di misericordia che Egli continuerà ad esercitare fino alla fine del mondo, specie attraverso il sacramento della Riconciliazione affidato alla sua Chiesa».

Gesù continua a passare vicino a noi offrendoci i suoi beni soprannaturali: quando preghiamo, quando leggiamo e meditiamo il Vangelo per conoscerlo e amarlo di più e imitare la sua vita, quando riceviamo un sacramento, specialmente l’Eucaristia e la Penitenza, quando ci impegnamo con sforzo e costanza nel lavoro quotidiano, quando ci rapportiamo con la famiglia, con gli amici o i vicini, quando aiutiamo una persona bisognosa materialmente o spiritualmente, quando riposiamo o ci divertiamo… In ogni circostanza possiamo incontrare Gesù e seguirlo come quei dodici e le sante donne.

Non solo, ognuno di noi è chiamato da Dio a diventare “Gesù che passa”, per parlare – con le nostre opere e con le nostre parole – a quelli che frequentiamo della fede che riempie il senso della nostra esistenza, della speranza che ci spinge a continuare per i cammini della vita fiduciosi nel Signore e della carità che guida tutto il nostro procedere.

La prima a seguire Gesù e ad “essere Gesù” è Maria. Che Lei ci aiuti con il suo esempio e la sua intercessione!
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18/09/2021 08:25
 
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«Quello sul terreno buono sono coloro che (...) producono frutto con perseveranza»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)
Oggi, Gesù ci parla di un seminatore che «uscì a seminare il suo seme» (Lc 8,5) e quel seme era precisamente la «Parola di Dio». Però «i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono» (Lc 8,7).

Esiste una grande varietà di rovi. «Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione» (Lc 8,14).

-Signore, per caso sono io, forse, il colpevole di avere preoccupazioni? – Vorrei non averne, però mi arrivano da tutte le parti! Non capisco perché devono privarmi della tua Parola, visto che non sono in peccato, non ho vizi ne difetti.

-Perché dimentichi che io sono tuo Padre e ti lasci soggiogare per un domani che non sai se arriverà!

«Se vivessimo con più fiducia nella divina Provvidenza, sicuri –con una solida fede!- di questa protezione quotidiana che non ci abbandona mai, quante preoccupazioni e inquiteudini potremmo risparmiarci! Sparirebbero un mucchio di chimere che, detto da Gesù, sono proprie di uomini pagani, di gente mondana (cf. Lc 12,30), di persone che sono carenti del senso del soprannaturale (...). Io vorrei imprimere a fuoco nelle vostre menti –ci dice san Josemaria- che abbiamo tutti i motivi per essere ottimisti su questa terra, con l’anima distaccata del tutto da tante cose che sembrano imprescindibili, visto che vostro Padre sa perfettamente ciò di cui avete bisogno! (cf. Lc 12,30), e Lui provvederà». Disse Davide «Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno» (Sal 55,23). Così lo fece san Giuseppe quando il signore lo provò: rifletté, consultò, pregò, prese una decisione e lasciò tutto in mano di Dio. Quando venne l’Angelo –commenta Mons. Ballarin- non osò svegliarlo e gli parlò nel sonno. Infine, «Io non debbo avere altre preoccupazioni che la tua Gloria..., in una parola, il tuo Amore» (San Josemaría).
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19/09/2021 08:56
 
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«Il Figlio dell’uomo viene consegnato (...) e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)
Oggi, i l Vangelo ci racconta che Gesù camminava con i Suoi discepoli, attraversando dei villaggi in una grande pianura. Per conoscersi, non c’è niente di meglio che camminare e viaggiare in compagnia. Sorge allora facilmente la confidenza; e la confidenza è fiducia; e la fiducia è trasmettere amore. L’amore abbaglia e stupisce scoprendo il mistero che si alloggia nella parte più intima del cuore umano. Con emozione, il Maestro parla ai Suoi discepoli del mistero che logora il Suo animo. Alcune volte è illusione; altre volte, al pensarlo, vien preso dalla paura; il più delle volte sa che non Lo capiranno. Essi, però, sono i Suoi amici; tutto quello che ha avuto dal Padre, deve comunicarlo a loro, e, fino ad ora, così è venuto facendolo. Non Lo capiscono, è vero, ma sintonizzano con l’emozione con cui parla a loro, che è stima, prova di ciò è che essi sanno di poter contare su di Lui, sebbene sappiano di essere ben poca cosa, per riuscire a trasformare i Suoi progetti con successo. Sarà consegnato, l’uccideranno, ma risusciterà dopo tre giorni (cf. Mc 9,31).

Morte e resurrezione. Per alcuni saranno concetti enigmatici, per altri assiomi inaccettabili. Egli è venuto a rivelarlo, proclamando ad alta voce che è venuta la fortuna gioiosa al genere umano, anche se perché sia così spetterà a Lui, l'amico, il fratello maggiore, il Figlio del Padre, sopportare sofferenze crudeli. Ma, oh triste paradosso: mentre vive questa tragedia interiore, loro discutono su chi salirà sul podio più alto dei campioni, alla fine della corsa verso il suo Regno. Operiamo noi in modo diverso? Chi è privo di ambizione, scagli la prima pietra.

Gesù proclama nuovi valori. L’importante non è trionfare, ma servire; lo dimostrerà il giorno culminante del Suo lavoro Evangelizzatore, lavando loro i piedi. La grandezza non non è nell’erudizione del savio, ma nella ingenuità del bambino. «Anche se sapessi a memoria tutta la Bibbia e le massime di tutti i filosofi, a che ti servirà tutto questo senza carità e grazia di Dio?» (Tommaso Kempis). Salutando il savio, soddisfiamo la nostra vanità, abbracciando invece al piccolino stringiamo Dio e da Lui verremo contagiati divinizzandoci.
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20/09/2021 08:30
 
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Pone [la lampada] su un candelabro, perché chi entra veda la luce»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)
Oggi, questo Vangelo così breve, è ricco di tematiche che attirano la nostra attenzione. In primo luogo, “dare luce”: tutto è evidente d’innanzi agli occhi di Dio! Secondo grande tema: le Grazie sono concatenate, la fedeltà a una, attrae le altre: «gratiam pro gratia» (Gv 1,16). Infine , è un linguaggio umano per cose divine e permanenti.

Luce per coloro che entrano nella Chiesa! Da secoli le madri cristiane hanno insegnato nell’intimità, ai loro figli con parole espressive, però soprattutto con la “luce” del loro buon esempio. Hanno insegnato anche con la tipica saggezza popolare e evangelica, raccolta in molti proverbi, pieni di sapienza e di fede allo stesso tempo. Uno di questi è: “illuminare ma non diffuminare”. San Matteo ci dice: «(...) perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,15-16).

Il nostro esame di coscienza alla fine della giornata è paragonabile al negoziante che controlla l’incasso per vedere il frutto del suo lavoro. Non inizia chiedendosi: -Quanto ho perso?- Al contrario: -Cosa ho guadagnato? E subito dopo –Como potrò guadagnare di più domani, cosa posso fare per migliorare? Il ripasso della nostra giornata finisce con un ringraziamento e, per contrasto, con un amorevole atto di dolore. –Mi spiace non aver amato di più e spero, con ardore, iniziare domani il nuovo giorno per gradire di più a Nostro Signore, che sempre mi vede, mi accompagna e mi ama tanto. –Desidero procurare più luce e diminuire il fumo del fuoco del mio amore.

Durante le serate familiari, i genitori e i nonni hanno forgiato –e forgiano- la personalità e la pietà dei ragazzi di oggi e uomini del domani. Vale la pena! È urgente! Maria Stella mattutina, Vergine dell’alba che precede la Luce del Sole-Gesù, ci guida e da la mano. «Oh Vergine gioiosa! È impossibile che si perda colui nel quale tu hai posto il tuo sguardo» (Sant’ Anselmo).
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21/09/2021 08:10
 
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«Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»

Rev. D. Joan PUJOL i Balcells
(La Seu d'Urgell, Lleida, Spagna)
Oggi celebriamo la festa dell’apostolo evangelista San Matteo. Lui stesso ci racconta nel suo Vangelo la sua conversione. Era seduto nel posto dove riscuotevano le tasse e Gesù lo invitò a seguirlo. Matteo —dice il Vangelo— «Si alzò e lo seguì» (Mt 9,9). Con Matteo arriva nel gruppo dei dodici, un uomo totalmente diverso dagli altri apostoli, tanto per la sua cultura così come per la sua posizione sociale e ricchezza. Suo padre gli aveva fatto studiare economia per poter fissare il prezzo del grano e del vino, dei pesci che gli avrebbe portato Pietro, Andrea e i figli di Zebedeo e anche il prezzo delle perle preziose di cui parla il Vangelo.

Il suo mestiere di esattore delle tasse era mal visto. Quelli che lo esercitavano erano considerati pubblicani e peccatori. Era al servizio del Re Erode signore di Galilea, un Re odiato dal suo popolo e il nuovo testamento ce lo presenta come un adultero, l’assassino di Giovanni Battista e lo stesso che vilipendiò Gesù il Venerdì Santo. Cosa starebbe pensando Matteo quando andò a render conto al Re Erode? La conversione di Matteo doveva supporre una vera liberazione come lo dimostra il banchetto al quale invitò pubblicani e peccatori. Fu la forma di dimostrare il suo ringraziamento al Maestro per aver potuto uscire da una situazione miserabile e trovare la vera felicità. San Beda il Venerabile, commentando la conversione di Matteo, scrisse: «La conversione di un esattore di tasse dà esempio di penitenza e di indulgenza ad altri esattori di tasse e peccatori (...). Al primo istante della sua conversione attira verso Egli, che è tanto come dire la Salvezza, a un nutrito numero di peccatori».

Nella sua conversione si fa presente la misericordia di Dio come lo manifestano le parole di Gesù davanti alla critica dei farisei: «Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,3).
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22/09/2021 08:59
 
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«Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie»

Rev. D. Jordi CASTELLET i Sala
(Sant Hipòlit de Voltregà, Barcelona, Spagna)
Oggi, viviamo in un tempo in cui nuove malattie mentali raggiungono una diffusione insospettata, come non si era mai visto nel corso della storia. Il ritmo della vita moderna impone stress alle persone, una corsa per consumare e apparentare di più che il vicino, tutto condito con una forte dose di individualismo, che costruiscono un essere isolato dal resto dei mortali. Questa solitudine alla quale molti sono costretti per la convivenza sociale, per la pressione lavorale, da convenzioni schiavizzanti, fa sì che molti soccombano alla depressione, la nevrosi, la isteria, la schizofrenia o altri squilibri che marcano profondamente il futuro di quella persona.

«Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie» (Luca 9:1). Mali, questi, che possiamo identificare nello stesso Vangelo come malattie mentali.

L'incontro con Cristo, persona completa e realizzata, apporta un equilibrio e una pace che sono in grado di calmare le acque e di far reincontrare la persona con se stessa, portandogli chiarezza e luce nella sua vita, utile per istruire ed insegnare, educare i giovani e gli anziani, e dirigere le persone lungo la strada della vita, quella che mai deve appassire.

Il Apostoli «giravano di villaggio in villaggio annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni» (Lc 9:6). E' questa anche la nostra missione: vivere e meditare il Vangelo, la parola stessa di Gesù, per farla penetrare al nostro interno. Così, poco a poco, potremo trovare la via da seguire e la libertà da eseguire. Come scrisse san Giovanni Paolo II, «La pace deve realizzarsi nella verità, (...) si deve fare nella libertà.

Che sia lo stesso Gesù Cristo, che ci ha chiamato alla fede e alla felicità eterna, chi ci riempia di speranza e di amore, Egli ci ha dato una nuova vita e un futuro inesauribile.
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24/09/2021 08:14
 
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«Le folle, chi dicono che io sia? (...) Ma voi, chi dite che io sia?»

Rev. D. Pere OLIVA i March
(Sant Feliu de Torelló, Barcelona, Spagna)
Oggi, nel Vangelo, ci sono due interrogativi che lo stesso Maestro dirige a tutti. Il primo interrogativo vuole una risposta statistica, approssimativa: «Le folle, chi dicono che io sia?» (Lc 9,18). Questo interrogativo fa sì che ci guardiamo attorno per esaminare come risolvono la questione gli altri: i vicini, i compagni di lavoro, gli amici, i familiari prossimi... Osserviamo l’ambiente in cui viviamo e ci sentiamo più o meno responsabili o prossimi –dipende dalle circostanze- di alcune delle risposte che formulano quelli che hanno a che fare con noi o con il nostro ambito, “la gente”...E la risposta ci dice molto, ci informa, ci ubica e fa sì che ci accorgiamo di quello che desiderano, di quello di cui hanno bisogno e cercano quelli che vivono al nostro fianco. Ci aiuta a sintonizzare, a scoprire un punto d’incontro con l’altro per andare più avanti...

C’è un secondo interrogativo che viene diretto a noi: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). È una questione fondamentale che bussa alla porta, che chiede, mendicando a ciascuno di noi: una adesione od un rifiuto; una venerazione o un’indifferenza; camminare con Lui ed in Lui o che si concluda in un avvicinamento di semplice simpatia... È questa una questione delicata, è determinante perché ci riguarda. Che cosa dicono le nostre labbra ed i nostri atteggiamenti? Vogliamo essere fedeli verso Colui che è e da senso al nostro essere? C’è in noi una sincera disposizione a seguirlo nei cammini della vita? Siamo disposti ad accompagnarLo alla Gerusalemme della croce e della gloria?

«E’ un cammino di croce e risurrezione (...). La croce è la esaltazione di Cristo. Lo disse Lui stesso:`Quando sarò innalzato, attrarro tutti verso di me´. (...) La croce, dunque, è gloria e celebrazione di Cristo» (Sant’Andrea di Creta). Disposti a marciare verso Gerusalemme? Ma solo con Lui ed in Lui, vero?
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25/09/2021 09:13
 
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«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, oltre due mila anni dopo, l’annunzio della passione di Gesù ci provoca ancora. Che l’Autore della Vita annunci la sua morte per mezzo di quelli per i quali è venuto a dare assolutamente tutto, è una chiara provocazione. Si potrebbe dire che non era necessario, che sia stata un’esagerazione. Lo dimentichiamo spesso: il peso che opprime il cuore di Cristo, il nostro peccato, il più radicale dei mali, la causa e l’effetto di metterci al posto di Dio. Peggio ancora, non ci lasciamo amare da Dio e ci impegnamo a rimanere rinchiusi nelle nostre meschine categorie e nell’immediatezza della vita presente. E’ così necessario che ci riconosciamo peccatori, come è necessario ammettere che Dio ci ama nel Figlio suo Gesú Cristo. Dopo tutto siamo come i discepoli, «Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento» (Lc 9,45).

Per dirlo con una immagine: potremmo trovare nel Cielo tutti i vizi ed i peccati, ma non la superbia, giacché il superbo non riconosce mai il suo peccato e non si lascia perdonare da un Dio che ama fino al punto di morire per noi. E nell’inferno potremmo trovare tutte le virtù, ma non l’umiltà, perché l’umile si riconosce così com’è e sa molto bene che senza la grazia di Dio non può smettere di offenderlo, così come neppure può corrispondere alla sua Bontà.

Una delle chiavi della saggezza cristiana è riconoscere la grandezza e l’immensità dell’Amore di Dio e contemporaneamente ammettere la nostra grettezza e la viltà del nostro peccato. Siamo così lenti a capirlo! Il giorno in cui scopriremo che abbiamo l’Amore di Dio alla portata di mano, quel giorno diremo come sant’Agostino, con lacrime d’Amore: «Tardi ti ho amato, mio Dio!». Quel giorno può essere oggi.
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26/09/2021 08:34
 
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«Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me»

Rev. D. Valentí ALONSO i Roig
(Barcelona, Spagna)
Oggi, secondo il modello del produttore televisivo più attuale, contempliamo Gesù mettendo vermi e fuoco lì dove dobbiamo evitare di andare: l'inferno, «dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Marco 9:48). È una descrizione dello stato in cui una persona può rimanere quando la sua vita non la ha portato lì dove voleva andare. Potremmo paragonarlo al momento in cui, guidando la nostra macchina, prendiamo una strada sbagliata, pensando che siamo su quella giusta e finiamo in un luogo sconosciuto senza sapere dove siamo e dove non volevamo andare. Dobbiamo evitare di andare in entrambi i casi, anche se dobbiamo lasciar andare le cose apparentemente indispensabili: senza mani (cfr Mc 9,43) senza piedi (cfr Mc 9,45), senza occhi (cfr Mc 9,47). È necessario voler entrare nella vita o nel Regno di Dio, anche senza qualcosa di noi stessi.

Possibilmente, questo Vangelo ci conduce a riflettere per scoprire quello che abbiamo, anche se di nostra assoluta propietà, che non ci permette di andare verso Dio, e di più ancora, che ci allontana di Lui.

Gesù stesso ci indica quale è il peccato nel quale ci fanno cadere le nostre cose (mani, piedi e gli occhi). Gesù parla di coloro che scandalizzano i piccoli che credono in Lui (cfr Mc 9:42). "Scandalizzare" è allontanare qualcuno dal Signore. Pertanto, valutiamo in ogni persona la sua prossimità a Gesù, la fede che ha.

Gesù ci insegna che non c'è bisogno di far parte dei Dodici, o dei discepoli più intimi per stare con Lui: «Chi non è contro di noi è per noi» (Mc 9,40). Possiamo capire che Gesù salva tutto. E' una lezione del Vangelo di oggi: ci sono molti che sono più vicini al Regno di Dio di quanto si pensi, perché fanno miracoli nel nome di Gesù. Come confessò S. Teresa di Gesù Bambino: "Il Signore mi ricompenserà non con le opere mie (...). Ebbene, mi ricompenserà secondo le opere sue!”.
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28/09/2021 09:02
 
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«Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme»

Rev. D. Félix LÓPEZ SHM
(Alcalá de Henares, Spagna)
Oggi il Vangelo ci offre due spunti principali per la riflessione personale. In primo luogo, ci dice che «mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51). Il verbo che usa san Luca significa “completare”, “consumare”; Gesù completa il tempo segnato dal Padre per completare la sua missione salvifica attraverso la crocifissione, la morte e la risurrezione. Allora sarà glorificato, “portato in cielo”. Di fronte a questa prospettiva, Gesù Cristo «prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme», cioè la ferma decisione di amare il Padre compiendo la sua volontà redentrice. Gesù muore sulla croce dicendo: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30). Il Signore ha vissuto per compiere la volontà del Padre, e ha mantenuto quell'atteggiamento di fedeltà fino alla morte.

Così dobbiamo vivere anche noi, anche se sperimentiamo opposizione o rifiuto, disprezzo o emarginazione nel cammino verso Dio per essere fedeli al Signore. Dice Papa Francesco: «Il vero progresso della vita spirituale non consiste nel moltiplicare le estasi, ma nell’essere capaci di perseverare in tempi difficili: cammina, cammina, cammina … E se sei stanco, fermati un po’ e torna a camminare. Ma con perseveranza».

In secondo luogo, di fronte al rifiuto dei Samaritani, Giacomo e Giovanni vogliono far scendere un fuoco dal cielo (cfr Lc 9,54). Il Signore li rimprovera per il loro zelo indiscreto. Dobbiamo ricordare la pazienza che Dio ha con noi, ed essere pazienti con i nostri fratelli nel loro cammino verso Dio, anche se non rispondono immediatamente alla sua gRrazia. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e ha dato il suo Figlio unigenito sulla croce per tutti. Dio esaurisce tutte le possibilità di accostarsi ad ogni uomo, e attende con divina pazienza il momento in cui ogni cuore si apre alla sua Misericordia.
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29/09/2021 10:00
 
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«Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo»

+ Cardinale Jorge MEJÍA Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa
(Città del Vaticano, Vaticano)
Oggi in questa festa dei Santi Arcangeli, Gesù manifesta ai suo Apostoli e a tutti noi, la presenza dei Suoi angeli e il rapporto che hanno con Lui. Gli angeli stanno nella Gloria celestiale dove perennemente lodano al Figlio dell’uomo, che è lo stesso Figlio di Dio. Lo circondano e stanno al Suo servizio.

«Salire e scendere» ci ricorda l’episodio del sogno del Patriarca Giacobbe, che dormiva su una pietra durante il viaggio verso la terra di origine della sua famiglia (Mesopotamia), vede gli angeli che «salgono e scendono» da una misteriosa scala che unisce cielo e terra, mentre Dio stesso si trova in piedi accanto a lui comunicandogli il messaggio. Notiamo la relazione esistente tra la comunicazione divina e la presenza attiva degli angeli.

Così Gabriele, Michele e Raffaele appaiono nella Bibbia come presenti in eventi terreni e portando agli uomini –come ci dice lo stesso San Gregorio il Grande- le comunicazioni, mediante la loro presenza e le loro stesse azioni, che cambiano in modo decisivo le nostre vite. Essi sono chiamati appunto “arcangeli”, cioè, principi degli Angeli, perché inviati per le più grandi missioni.

Gabriele fu inviato ad annunciare a Maria la concezione verginale del Figlio di Dio, che è l’inizio della nostra redenzione (cf. Lc 1). Michele lotta contro gli angeli ribelli espulsandoli dal cielo (cf. Ap. 12): ci annuncia, così, il mistero della giustizia divina, portato a termine anche tra gli angeli quando questi si ribellano, e ci dà la sicurezza della sua e nostra vittoria sul male. Raffaele accompagna invece Tobia “junior”, lo difende e consiglia, e cura infine suo padre (cf. Tob). In questo modo ci annuncia la presenza degli angeli accanto a ciascuno di noi: l’angelo che chiamiamo Custode.

Impariamo da questa celebrazione degli arcangeli che «salgono e scendono», che servono Dio, e che lo servono in beneficio nostro. Danno gloria alla Santissima Trinità, e lo fanno servendo noi. E in conseguenza esaminiamo quanta devozione dobbiamo loro e quanta gratitudine dobbiamo al Padre che li invia per il nostro bene.
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02/10/2021 09:50
 
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«Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra»

+ Rev. D. Josep VALL i Mundó
(Barcelona, Spagna)
Oggi, l’evangelista Luca ci parla del fatto che da luogo alla riconoscenza di Gesù verso suo Padre per i benefici che ha conferito all’Umanità. Ringrazia per la rivelazione elargita agli umili di cuore, ai piccoli del Regno. Gesù esprime la sua allegria vedendo che questi accettano, capiscono e praticano quello che Dio fa conoscere per mezzo di Lui. In altre occasioni, nel suo dialogo intimo con il Padre, gli dimostrerà la sua riconoscenza perché l’ascolta sempre. Elogia il samaritano lebbroso che, curato del suo male –assieme agli altri nove-, torna solo lui dov’è Gesù per ringraziarlo del beneficio ricevuto.

Scrive sant’Agostino: «Possiamo avere qualcosa di meglio nel cuore, pronunciarlo con la bocca, scriverlo con la penna, che queste parole: `Grazie a Dio’? Non c’è nulla che possa dirsi con maggior brevità, né ascoltare con maggior allegria, né sentirsi con maggior elevazione, ne realizzare con maggiore utilità». E’ così che dobbiamo attuare sempre verso Dio e verso il prossimo, riconoscenti pure per i doni ricevuti che ignoriamo, come scriveva san Josemaria Escrivà. Gratitudine verso i genitori, gli amici, gl’insegnanti, i compagni. Riconoscenza verso tutti quelli che ci aiutano, ci spronano, ci servono. Riconoscenza pure, come è logico, verso la nostra Madre la Chiesa.

La riconoscenza non è una virtù molto “usata” o abituale, e invece, è una di quelle che ci offrono il maggior piacere. Dobbiamo tuttavia riconoscere che, a volte, non è nemmeno facile viverla. Santa Teresa affermava: «Sento una disponibilità di riconoscenza tale che mi potrebbero subornare con una sardina». I santi hanno agito sempre così. E lo hanno realizzato in in tre modi diversi come indicava san Tommaso d’Aquino: primo, con la riconoscenza interiore dei benefici ricevuti; secondo, , lodando esternamente Dio con la parola; e, terzo, cercando di ricompensare il benefattore per mezzo delle opere, secondo le proprie possibilità.
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06/10/2021 10:02
 
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«Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli»

Fr. Austin Chukwuemeka IHEKWEME
(Ikenanzizi, Nigeria)
Oggi, vediamo come uno dei discepoli dice a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1). Gesù risponde: «Quando pregate, dite: "Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione» (Lc 11,2-4), che può essere sintetizzata in una frase: la corretta disposizione della preghiera cristiana è la disposizione di un bambino davanti a suo padre.

Vediamo subito che la preghiera, secondo Gesù, è un atteggiamento “tra padre e figlio”. Vuole dire che è una questione familiare fondata su una relazione di familiarità e di amore. L’immagine di Dio come padre ci parla di una relazione fondata sull’affetto e l’intimità e non sul potere e l’autorità.

Pregare come cristiani suppone mettersi in una situazione nella quale vediamo Dio come padre e gli parliamo come figli suoi: «Mi hai scritto: “Pregare è parlare con Dio. Ma, di che cosa?”. —Di che cosa? Di Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazioni quotidiane..., debolezze! E atti di ringraziamento e suppliche: e Amore e riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscerti: “stare insieme”!» (San Josemaria).

Quando i figli parlano con i loro genitori, badano una cosa: trasmettere in parole e linguaggio corporale quello che sentono nel cuore. Arriviamo ad essere migliori donne e uomini di preghiera quando il nostro atteggiamento verso Dio, diventa più intimo, come quello di un padre verso suo figlio. Di questo, ci ha lasciato esempio lo stesso Gesù. Lui è il cammino.

E se ci rivolgiamo alla Madonna, maestra di preghiera, ci sarà molto più facile! Infatti, «la contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene in un modo speciale (...). Nessuno si è dedicato con l’assiduità di Maria alla contemplazione del volto di Cristo» (Giovanni Paolo II).
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07/10/2021 08:30
 
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«Il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo è una catechesi di Gesù sulla preghiera. Afferma solennemente che il Padre l’ascolta sempre: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.» (Lc 11,9).

A volte possiamo pensare che questo non sempre succede, che non sempre “funziona” così. Si tratta di pregare con i dovuti atteggiamenti!

Il primo atteggiamento è la costanza, la perseveranza. Dobbiamo pregare senza scoraggiarci mai, seppure sembri che la nostra preghiera urti con un rifiuto, o che non venga ascoltata subito. E’ l’atteggiamento di quell’uomo inopportuno che a mezzanotte va a chiedere un favore al suo amico. Con la sua insistenza riceve i pani di cui abbisogna. Dio è l’amico che ascolta dal di dentro a chi è costante. Dobbiamo aver fiducia, in che finirà dandoci quello che chiediamo, perché, oltre ad essere amico, è Padre.

Il secondo atteggiamento che Gesù ci insegna è la fiducia e l’amore filiale. La paternità di Dio supera immensamente quella umana, che è limitata ed imperfetta: «Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo...!» (Lc 11,13).

Terzo atteggiamento: dobbiamo chiedere soprattutto lo Spirito Santo e non solamente cose materiali. Gesù ci incoraggia a chiederLo, rassicurandoci che L’otterremo: «...quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,13). Questa richiesta sempre viene ascoltata. E’ tanto come chiedere la grazia della preghiera, giacché lo Spirito Santo è la sua fonte e la sua origine.

Il beato frate Gil d’Assisi, compagno di san Francesco, sintetizza l’idea di questo Vangelo dicendo: «Prega con fedeltà e devozione, perché una grazia che Dio non ti ha concesso una volta, te la può dare in un altro momento. Metti da parte tua umilmente tutta la mente in Dio e Dio metterà in te la sua grazia, secondo la sua compiacenza».
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08/10/2021 09:05
 
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«Alcuni dissero: "È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni"»

Rev. D. Josep PAUSAS i Mas
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)
Oggi, contempliamo stupefatti, come Gesù è ridicolamente “accusato” di scacciare i demoni «per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni» (Lc 11,15). È difficile immaginare un bene così grande –scacciare, allontanare dalle anime il diavolo, il provocatore dei mali- e, allo stesso tempo, udire l’accusa più grave- farlo, precisamente con il potere del proprio diavolo. È realmente una accusa gratuita, che dimostra molta cecità e invidia da parte degli accusatori del Signore. Anche oggi giorno, senza rendercene conto, eliminiamo radicalmente il diritto che hanno gli altri di dissentire, di essere differenti e ad avere le proprie posizioni contrarie e o, addirittura, opposte alle nostre.

Chi vive chiuso in un dogmatismo politico, culturale o ideologico, facilmente disdegna colui che non è d’accordo, squalificando tutto il suo progetto, negandogli competenza e, perfino, onestà. Allora, l’avversario politico o ideologico si converte in un nemico personale. Il confronto degenera in insulti e agressività. Il clima di intolleranza e reciproca esclusione violenta può, allora, condurci alla tentazione di voler eliminare in qualche modo a chi si presenta come nemico.

In questo clima è facile giustificare qualsiasi tipo di attentato contro le persone, anche, l’assassinio, se il morto non è dei nostri. Quante persone soffrono oggi giorno con questo ambiente di intolleranza e reciproco rifiuto che, con frequenza, si respira nelle istituzioni pubbliche, nei posti di lavoro, nelle assemblee e nelle confrontazioni politiche!

Fra tutti dobbiamo cercare di creare le condizioni per un clima di tolleranza, rispetto reciproco e confronto leale, nel quale sia possibile trovare percorsi di dialogo. I cristiani, lungi dal sacralizzare e irrigidire falsamente le nostre posizioni, manipolando a Dio e identificandolo con le nostre scelte, dobbiamo seguire a questo Gesù che –quando i suoi discepoli pretendevano che impedisse che altri potessero scacciare demoni in Suo nome- li corresse dicendo «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi» (Lc 9,50). Dunque, «tutto il coro innumerevole di pastori, si reduce al corpo di un solo Pastore» (Sant’ Agostino).
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09/10/2021 08:57
 
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«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!»

Rev. D. Jaume AYMAR i Ragolta
(Badalona, Barcelona, Spagna)
Oggi, ascoltiamo la più bella lode che Gesù poteva fare alla Sua stessa Madre: «Beati (...) coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Con questa risposta, Gesù Cristo non respinge la lode appassionata che quella donna semplice dedicava a Sua Madre, bensì la accetta e va oltre, spiegando che Maria Santissima è benedetta –soprattutto- per il fatto di essere stata buona e fedele nel compiere la Parola di Dio.

A volte mi chiedono se noi cristiani crediamo nella predestinazione così come credono altre religioni. No!: noi cristiani crediamo che Dio ha in serbo per noi una meta di felicità. Dio vuole che siamo felici, fortunati, beati. Si noti come questa parola è ripetuta negli insegnamenti di Gesù: «Beati, beati, beati...». «Beati i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (cf. Mt 5,3-12; Gv 20,29). Dio vuole la nostra felicità, una felicità che inizia già in questo mondo, anche se le strade per arrivarci non siano quelle della ricchezza, del potere, del successo facile, della fama, bensì l’amore al povero e umile di colui che tutto attende. La gioia di credere! Quella della quale parlava il convertito Jacques Maritain.

Si tratta di una felicità che è ancor più grande che la gioia di vivere, perché crediamo in una vita senza fine, eterna. Maria, la Madre di Gesù, non è solamente fortunata per averlo portato al mondo, per averlo allattato e cresciuto –così come aveva intuito quella spontanea donna del paese- bensì, e soprattutto, per essere stata ascoltatrice della Parola e per averla messa in pratica: per aver amato e per essersi lasciata amare da Suo Figlio Gesù. Come scrisse il poeta: «Poter dire “madre” e sentirsi dire “figlio mio” / è la fortuna che Dio ci invidiava». Che Maria, Madre dell’Amore, interceda per noi.
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13/10/2021 09:20
 
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Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)
Oggi, vediamo come il Divino Maestro ci dà alcune lezioni: tra le altre, ci parla delle decime e anche della coerenza che devono avere gli educatori (genitori, maestri e ogni apostolo cristiano). Nel Vangelo secondo san Luca della Messa di oggi, l’insegnamento appare in una forma più sintetica, ma nei passaggi paralleli di Matteo (23,1ss.) è piuttosto estesa e concreto. Tutto il pensiero del Signore porta alla conclusione che ciò che l’ànima della nostra attività deve essere la giustizia, la carità, la misericordia e la fedeltà (cf. Lc 11,42).

Le decime nell’Antico Testamento e la nostra attuale collaborazione con la Chiesa, secondo le leggi e le usanze vanno nella stessa linea. Ma dar carattere di legge obbligatoria a piccole cose – come facevano i Maestri della Legge – è esagerato e arduo: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11,46).

È vero che le persone sensibili hanno delicati gesti di generosità. Abbiamo avuto esperienze recenti di persone che del loro raccolto hanno apportato alla Chiesa – per il culto e per i poveri – il 10% (la decima); altri che riservano la prima fioritura (le primizie), del miglior frutto del loro orto; o anche offrono lo stesso importo che hanno speso in un viaggio o nella vacanza; altri traggono il prodotto preferito del loro lavoro e tutto ciò con con la stessa finalità. Si intravede li assimilato lo spirito del Santo Vangelo. L’amore è ingegnoso; dalle cose piccole ottiene gioie e meriti di fronte a Dio.

Il buon pastore passa davanti al gregge. I buoni genitori sono un modello: l’esempio contagia. I buoni educatori sono coloro che si sforzano di vivere le virtù che insegnano. Questa è la coerenza. Non solamente con un dito ma pienamente: Vita di adorazione, di devozione alla Madonna, piccoli servizi in casa, diffondere il buonumore cristiano... «Le anime grandi hanno in gran conto le cose piccole» (San Josemaria).
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14/10/2021 07:51
 
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«Costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)
Oggi, ci si propone il senso, l’accettazione ed il trattamento dato ai profeti: «Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno» (Lc 11,49). Sono persone di qualunque condizione sociale o religiosa, che hanno ricevuto il messaggio divino e si sono impregnati di esso; impulsati dallo Spirito, l’esprimono con segni e parole comprensibili nella loro epoca. E’ un messaggio trasmesso per mezzo di discorsi, mai compiacenti o comportamenti, quasi sempre difficili da accettare. Una caratteristica della profezia è la sua scomodità. Il dono risulta fastidioso per chi lo riceve, perché gli brucia interiormente, ed è spiacevole per quanto lo circonda, poichè oggi, grazie a l’Internet o ai satelliti, puó diffondersi in tutto il mondo.

I contemporanei del profeta pretendono condannarlo al silenzio, lo calunniano, lo screditano, così fino alla morte. Arriva allora il momento di erigergli un sepolcro e di organizzargli omaggi quando non da più fastidio. Non mancano nell’attualità profeti che godono di prestigio universale: la Madre Teresa, Giovanni XXIII, Monsignor Romero... Ricordiamo di cosa si lagnavano e ci esigevano? Mettiamo in pratica quello che ci fecero vedere? La nostra generazione dovrà rendere conto della cappa di ozono che ha distrutto, della desertizzazione che il nostro spreco d‘acqua ha causato, e anche dell´ostracismo a cui abbiamo ridotto i nostri profeti.

Ci sono ancora persone che si riservano il “diritto di sapere in esclusiva”, diritto che condividono –nel migliore dei casi- con i loro congeneri, con quelli che permettono loro di continuare a conservarsi nei loro successi e sulla loro fama. Persone che chiudono il passo a quelli che cercano di entrare negli ambiti della consapevolezza, non sia il caso che sappiano tanto come loro e li superino: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11,52).

Adesso, come ai tempi di Gesù, molti analizzano frasi e studiano testi per screditare quelli che incomodano per le loro parole. E’ questo il nostro modo di procedere? «Non c’è cosa più pericolosa come giudicare le cose di Dio con i ragionamenti umani» (San Giovanni Crisostomo).
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15/10/2021 10:03
 
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«Voi valete più di molti passeri»

Fr. Salomon BADATANA Mccj
(Wau, Sudan del Sud)
Oggi contempliamo il Signore nostro Gesù Cristo che parla al popolo dopo essersi affrontato con le autorità religiose ebraiche, vale a dire, i farisei e gli scribi. Il Vangelo ci dice che la folla era così grande che si calpestavano a vicenda. E ' chiaro che avevano fame della parola di Gesù, che ha parlato con una tale straordinaria autorità ai guida religiosi.

Ma Luca ci dice che prima di tutto, Gesù cominciò a parlare ai suoi discepoli dicendo: "Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia" (Lc 12,1). Il Signore vuole condurci alla pratica della apertura e la trasparenza, superando l'ipocrisia con la quale gestivano i farisei e gli scribi. Dal momento che hanno mostrato un atteggiamento esterno diverso dal suo percorso vitale interiore: hanno fatto finta di essere ciò che non erano.

È contro questo che Gesù Cristo ci vuole prevenire nel Vangelo di oggi, quando dice: «Nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato» (Lc 12,2). Sì, tutto sarà rivelato. Per questo motivo dobbiamo cercare di regolare la nostra vita come professiamo e annunciamo. Ovviamente, questo non è facile. Ma non dobbiamo temere, perché il nostro Dio è attento. Come ha detto Giovanni Paolo II, "l'amore di Dio non impone cariche che non possiamo portare (...). Perché per tutto ciò che Egli ci chiede, Egli ci fornirà l'assistenza necessaria». Niente accade senza il suo sapere. Anche i Capelli del nostro capo sono contati! Sì, abbiamo un prezzo di fronte a Dio. Non abbiamo paura, perché il suo amore non ha limiti.

Signore, donaci la saggezza per condurre le nostre vite verso le esigenze della nostra fede, pur tra le difficoltà di questo mondo. Amen.
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