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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 25/04/2024 08:21
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25/05/2022 06:40
 
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«Molte cose ho ancora da dirvi»

Rev. D. Àlex SERRA
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi è un giorno speciale! Immagina la tipica giornata in cui sei con la tua famiglia o i tuoi amici e hai molte cose da raccontare. Forse non li vedi da molto tempo o sei arrivato da un bel viaggio o, semplicemente, hai avuto una giornata piena di esperienze. Vuoi spiegare tutto, ma non hai abbastanza tempo. Ebbene, questo è quello che è successo a Gesù. Per questo dice: «Molte cose ho ancora da dirvi» (Gv 16, 12).

Immagina Gesù con i suoi migliori amici, i discepoli, mentre dice loro che quando avranno lo Spirito di verità, —cioè, il suo stesso Spirito—, predicheranno senza paura in tutto il mondo, con entusiasmo spettacolare e che avranno una vita fantastica con Lui. Con questo non dice che non avremo dei problemi, ma che dobbiamo affrontargli in un altro modo, poiché con lo Spirito di Dio tutto è possibile. Lo Spirito fa nuovo tutto, smaschera le nostre paure, cambia la nostra vita, ci fa uscire da ciò che diventa ingombrante, ci aiuta ad amare coloro che sono difficili per noi ... e che ognuno pensi a ciò di cui ha bisogno che il Signore cambi nella sua vita.

Tutto questo è ciò che lo Spirito comunica e annuncia. Una nuova vita dove le sciocchezze che possiamo vivere si affrontano con lo Spirito del Signore e, come ha detto Papa Francesco nel 2020 alla Messa di Pentecoste segnata dalla reclusione per il Covid-19, una vita di donazione! Questo è il frutto dello Spirito: il dono agli altri, per l'unità tra i discepoli. Noi riceviamo lo Spirito, ma non per noi stessi ma per gli altri, per coloro che sono al nostro fianco, chiunque essi siano...

Speriamo che oggi siamo capaci di essere discepoli fedeli del Signore o, meglio, che oggi siamo veri amici di Colui che ci dà la Vita e ci domandiamo: se sono un discepolo del Signore, come mi dono agli altri? Do loro la vita?
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27/05/2022 09:03
 
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«La vostra tristezza si cambierà in gioia»

+ Rev. D. Joaquim FONT i Gassol
(Igualada, Barcelona, Spagna)
Oggi, cominciamo il "Decenario allo Spirito Santo". Rivivendo il Cenacolo, vediamo la Madre di Gesù, Madre del Buon Consiglio, conversando con gli Apostoli. Che conversazione così cordiale e intensa! Ricordare tutte le allegrie che avevano avuto al lato del Maestro. I giorni pasquali, l’Ascensione e le promesse di Gesù. Le sofferenze dei giorni della Passione si sono trasformate in allegrie. Che bell’ambiente nel Cenacolo! E quello che si sta preparando come Gesù ha detto loro.

Noi sappiamo che Maria, Regina degli Apostoli, Sposa dello Spirito Santo, Madre della Chiesa nascente, ci guida per ricevere i doni e i frutti dello Spirito Santo. I doni sono come la vela di una imbarcazione quando è distesa e il vento —che rappresenta la grazia— le è favorevole: che rapidità e facilità nel cammino!

Il Signore ci promette anche nella nostra rotta di convertire le fatiche in allegria: «nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16,23) e «perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,24). E nel Salmo 126,6: «Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni».

Durante tutta la settimana, la Liturgia ci parla di ringiovanire, di esultare (saltare dalla gioia), della felicità sicura ed eterna. Tutto ci porta a vivere di preghiera. Come ci dice san Giuseppe Maria: «Voglio che tu stia sempre contento, perché l’allegria è parte integrante del tuo cammino. —Chiedi questa stessa allegria soprannaturale per tutti».

L’essere umano ha bisogno di ridere per la salute fisica e spirituale. L'umore sano insegna a vivere. San Paolo ci dirà: «Sappiamo che tutte le cose contribuiscono al bene di quelli che amano Dio» (Rom 8,28). Ecco una bella giaculatoria: «Tutto è per il bene!»; «Omnia in bonum!».
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28/05/2022 07:55
 
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Sono uscito dal Padre (...) e vado al Padre»

Rev. D. Xavier ROMERO i Galdeano
(Cervera, Lleida, Spagna)
Oggi, alla vigilia della festa dell’Ascensione del Signore, il Vangelo ci lascia delle amorevoli parole di commiato. Gesù ci fa partecipi del suo mistero più stimato; Dio Padre è la sua origine, e alla volta il suo destino: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28).

Non dovrebbe mai cessare di risuonare in noi questa grande verità della seconda Persona della Santissima Trinità: realmente, Gesù è il Figlio di Dio; il Padre divino è la sua origine e, alla volta, il suo destino.

Per quelli che credono di saperlo tutto su Dio, che dubitano però della filiazione divina di Gesù, il Vangelo di oggi ha una cosa importante da ricordare: “Colui” che i giudei chiamano Dio è Colui che ci ha inviato Gesù; è, perciò, il Padre dei credenti. Con ciò si dice chiaramente che solo può conoscersi veramente Dio se si ammette che questo Dio è il Padre di Gesù.

E questa filiazione divina di Gesù ci ricorda un altro aspetto fondamentale della nostra vita: i battezzati siamo figli di Dio in Cristo per lo Spirito Santo. Ciò nasconde un mistero bellissimo per noi: questa paternità divina adottiva di Dio verso ogni uomo si distingue dall'adozione umana in quanto ha un fondamento reale in ognuno di noi, giacché suppone una nuova nascita. Pertanto, chi è stato introdotto nella grande Famiglia divina non è più un estraneo.

Per questo, nel giorno dell'Ascensione ci verrà ricordato nella Preghiera Colletta della Messa che tutti i figli abbiamo seguito i passi del Figlio: «Concedici, Dio onnipotente, di esultare di gioia e di ringraziarti in questa liturgia di lode, poiché l'Ascensione di Gesù Cristo, tuo Figlio, è già la nostra vittoria, e dove ci ha preceduti Lui, che è la nostra testa, speriamo di arrivare anche noi come membri del suo corpo». Infine, nessun cristiano dovrebbe “staccarsi”, giacché tutto questo è più importante che partecipare in qualunque corsa o maratona, giacché la meta è il cielo, Dio stesso!
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29/05/2022 06:25
 
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Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo»

Dom Josep ALEGRE Abate emerito di Santa Mª de Poblet
(Tarragona, Spagna)
Oggi, l'Ascensione del Signore ci ricorda ancora una volta la "missione" che ci è stata affidata: "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24,48). La Parola di Dio continua ad essere attualità viva oggi, "Riceverete la forza dallo Spirito Santo (...), e di me sarete testimoni " (At 1,8), fino ai confini del mondo. La Parola di Dio è esigenza di urgente attualità: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

In questa Solennità risuona con forza l'invito del nostro Maestro, che, -rivestito della nostra umanità- finita la sua missione in questo mondo, ci lascia per sedersi alla destra del Padre e inviarci la forza dall'alto, lo Spirito Santo.

Ma non posso fare a meno di chiedermi: 'Il Signore, agisce attraverso di me? Quali sono i segni che accompagnano la mia testimonianza? Qualcosa mi ricorda i versi del poeta: "Non puoi aspettare fino a quando Dio venga a tè ti dica: 'Io sono'. Un dio che dichiara il suo potere non ha senso. Devi sapere che Dio soffia attraverso di tè fin dall'inizio, e se il tuo petto arde e e non denota nulla, allora è Dio che sta operando in lui ".

E questo deve essere il nostro segno: il fuoco che brucia dentro, il fuoco che -come nel profeta Geremia- non si può contenere: la Parola viva di Dio. E uno ha bisogno di dire: Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, Ascende Dio tra le acclamazioni, Cantate inni a Dio, cantate inni"(Sal 47,2.6-7).

Il suo regno si sta gestando nel cuore dei popoli, nel tuo cuore, come un seme che è già pronto per la vita. -Canta, danza, per il tuo Signore. E, se non sai come farlo, metti la parola sulle tue labbra fino a farla scendere al cuore: 'Dio, Padre di Gesù Cristo nostro Signore, dammi spirito di sapienza e di rivelazione per conoscerti. Illumina gli occhi del mio cuore per capire la speranza alla quale mi chiami, la ricchezza di gloria che mi hai preparato e la grandezza del tuo potere che hai manifestato con la risurrezione di Cristo.
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30/05/2022 09:16
 
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«Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!»

Rev. D. Jordi CASTELLET i Sala
(Sant Hipòlit de Voltregà, Barcelona, Spagna)
Oggi, possiamo avere la sensazione che il mondo della fede in Cristo si indebolisca. Vi sono molte notizie che vanno contro la fortezza che vorremmo ricevere dalla vita radicata integralmente nel Vangelo. I valori del consumismo, del capitalismo, della sensualità e del materialismo sono in voga e contro tutto ciò che suppone mettersi in sintonia con le esigenze evangeliche. Tuttavia, questo insieme di valori e modi di intendere la vita non danno la pienezza e la pace, anzi recano disagio ed inquietudine. Non sarà forse per questi motivi che oggi le persone camminano per le strade con volti tristi, chiuse in se stesse e preoccupate per un futuro che vedono tutt’altro che chiaro, precisamente perché lo hanno ipotecato al prezzo di un’automobile, di una casa o di una vacanza che, sta di fatto, non si possono permettere?

Le parole di Gesù ci invitano ad avere fiducia: «Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo» (Gv 16,33), cioè con la Sua Passione, Morte e Resurrezione ha raggiunto la vita eterna, quella vita che non ha ostacoli, quella vita senza limiti perché ha superato tutti i limiti e ha superato tutte le difficoltà.

Noi, che siamo di Cristo, superiamo tutte le difficoltà così come Lui le ha superate, anche se nella nostra vita ci vediamo costretti a passare attraverso successive morti e resurrezioni, mai desiderate ma si accettate dallo stesso Mistero Pasquale di Cristo. Non sono per caso “morti” la perdita di un amico, la separazione da una persona amata, il fallimento di un progetto o le limitazioni che sperimentiamo a causa della nostra fragilità umana?

«Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.» (Rm 8,37). Siamo testimoni dell’amore di Dio, perché Lui, in noi, «grandi cose ha fatto» (Lc 1,39) e ci ha dato il Suo aiuto per superare ogni difficoltà, anche la morte, perché Cristo ci dona il Suo Santo Spirito.
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31/05/2022 07:58
 
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«Il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo»

+ Mons. F. Xavier CIURANETA i Aymí Vescovo Emerito di Lleida
(Lleida, Spagna)
Oggi contempliamo il fatto della Visita della Vergine Maria a sua cugina Elisabetta. Appena le è stato comunicato di essere stata scelta da Dio Padre per essere Madre del Figlio di Dio, e che sua cugina Elisabetta ha ricevuto anche lei il dono della maternità, marcia decisa verso la montagna per felicitare la sua propria cugina, e condividere con lei la gioia di essere state favorite dal dono della maternità e per servirla.

Il saluto della Madre di Dio provoca che il bambino, che Elisabetta porta nel suo grembo salti di entusiasmo fra le entraglie di sua madre: La Madre di Dio, che porta Gesù nel suo grembo è causa di gioia. La maternità è un dono di Dio che genera gioia. Le famiglie gioiscono quando si annunzia una vita nuova. La nascita di Cristo produce certamente «una grande gioia» (Lc 2,10).

Malgrado tutto, oggi la maternità non è valorizzata dovutamente. Frequentemente si prepongono altri interessi superficiali che sono manifestazioni di comodità e di egoismo. Le possibili rinuncie che comporta l’amore paterno e materno, spaventano a tanti matrimoni che chissà per i mezzi che hanno ricevuto da Dio, dovrebbero essere più generosi e dire di “Sì” in maniera più responsabile alle nuove vite. Tante famiglie smettono di essere “santuari della vita”. Il Papa San Giovanni Paolo II fa constatare che la contraccezione e l’aborto «hanno le loro radici nella mentalità edonistica e irresponsabile, rispetto alla sessualità e presuppongono un concetto egoista della libertà, che vede nella procreazione un ostacolo allo sviluppo della propria personalità».

Elisabetta, durante cinque mesi, non usciva di casa e meditava: «Ecco che cosa ha fatto per me il Signore» (Lc 1,25). E Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore (...) perché ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1,46.48). La Vergine Maria e Elisabetta valorizzano e ingrandiscono l’opera di Dio in loro: la maternità! È necessario che i cattolici ritrovino il significato della vita come un dono di Dio agli esseri umani.
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01/06/2022 08:07
 
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«Perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia»

Fr. Thomas LANE
(Emmitsburg, Maryland, Stati Uniti)
Oggi, viviamo in un mondo che non sa come essere veramente felice con la felicità di Gesù, un mondo che cerca la felicità di Gesù in tutti i posti sbagliati e nel modo più sbagliato possibile. Cercare la felicità senza Gesù solo può condurre a un'infelicità ancora più profonda. Fissiamoci nelle telenovelas, dove sempre si tratta di qualcuno che ha problemi. Queste serie televisive dimostrano le miserie di una vita senza Dio.

Ma noi vogliamo vivere al giorno d’oggi con l'allegria di Gesù. Lui prega a suo Padre nel Vangelo di oggi: «e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (Gv 17,13). Rendiamoci conto che Gesù vuole che in noi la sua allegria sia completa. Desidera colmarci della sua allegria. Questo non significa che non abbiamo la nostra croce, giacché «il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo» (Gv 17,14), ma Gesù si aspetta da noi che viviamo con la sua allegria senza preoccuparci di ciò che il mondo possa pensare di noi. L'allegria di Gesù deve impregnarci fino all’intimo del nostro essere, evitando che il fragore superficiale di un mondo senza Dio possa penetrare in noi.

Viviamo dunque, oggi, con l'allegria di Gesù. Come possiamo ottenere sempre di più da questa allegria di Gesù Signore? Ovviamente dal proprio Gesù. Gesù Cristo è l'unico che può darci la vera felicità che manca nel mondo, come lo testimoniano le citate serie televisive. Gesù disse, «se rimanete in me, e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). Dedichiamo perciò, ogni giorno, un po' del nostro tempo alla preghiera con la parola di Dio nelle Scritture; alimentiamoci e consumiamo le parole di Gesù nella Sacra Scrittura; lasciamo che siano il nostro alimento, per saziarci con la sua gioia: «All'inizio dell'essere umano non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro di un avvenimento, con una Persona che da alla vita un nuovo orizzonte alla vita» (Benedetto XVI).
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02/06/2022 09:34
 
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«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me»

P. Joaquim PETIT Llimona, L.C.
(Barcelona, Spagna)
Oggi, nel Vangelo troviamo una solida base per la fiducia: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che (...) crederanno in me» (Gv 17,20). È il cuore di Gesù il quale, nella intimità con i suoi, apre loro i tesori inesauribili del Suo Amore. Vuole rassicurare i loro cuori afflitti dall’aria di congedo che hanno le parole e i gesti del Maestro durante l’Ultima Cena. È la preghiera doverosa di Gesù che va al Padre chiedendo per loro. Quanta forza e sicurezza troveranno poi in questa preghiera durante la loro missione apostolica! In mezzo a tutte le difficoltà e pericoli che dovranno affrontare, questa preghiera li accompagnerà e sarà fonte di fermezza e coraggio per testimoniare, con l’offerta della propria vita, la loro fede.

La contemplazione di questa realtà, di questa preghiera di Gesù per i suoi, deve arrivare anche alle nostre vite: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che (...) crederanno in me» (Gv 17,20). Queste parole, attraverso i secoli, arrivano a noi con la stessa forza con la quale furono pronunciate, fino al cuore di tutti e a ognuno dei credenti.

Nel ricordo dell’ultima visita di San Giovanni Paolo II in Spagna, troviamo nelle parole del Papa l’eco di questa preghiera di Gesù per i suoi: «Con le mie braccia aperte vi porto tutti nel mio cuore –disse il Pontefice davanti a più di un milione di persone-. Il ricordo di questi giorni si farà preghiera, chiedendo per voi tutti la pace in fraterna convivenza, stimolati da una speranza cristiana che non delude». E un po' più in là nel tempo, un’altro Papa faceva una esortazione con parole che giungono ancora al nostro cuore dopo tanti secoli: «Non vi è nessun malato al quale vi sia negata la vittoria della croce, né vi è nessuno al quale non lo aiuti la preghiera di Cristo. Giacché se questa è stata di profitto per coloro i quali hanno infierito contro di Lui, quanto più lo sarà per coloro i quali si rivolgono a Lui?» (San Leone Magno).
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04/06/2022 07:57
 
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«Le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera»

Rev. D. Fidel CATALÁN i Catalán
(Terrassa, Barcelona, Spagna)
Oggi, leggiamo la fine del Vangelo di San Giovanni. Si tratta propriamente della fine dell’appendice che la comunità di Giovanni aggiunse al testo originale. In questo caso è un frammento volontariamente significativo. Il Signore Risuscitato compare ai suoi discepoli e li rinnova nel suo seguimento, in particolare a Pietro. A continuazione si colloca il testo che oggi proclamiamo nella liturgia.

La figura del discepolo amato è centrale in questo frammento e anche in tutto il Vangelo di san Giovanni. Può riferirsi a una persona concreta —il discepolo Giovanni— o può essere la figura dietro la quale può situarsi ogni discepolo amato dal Maestro. Qualsiasi sia il suo significato, il testo aiuta a dare un elemento di continuità all’esperienza degli apostoli. Il Signore Risuscitato assicura la sua presenza in quelli che vogliano essere i suoi seguaci.

«Se voglio che egli rimanga finché io venga» (Gv 21,22) può essere più indicativa questa continuità che un elemento cronologico nello spazio e nel tempo. Il discepolo amato si converte in testimonio di tutto ciò nella misura in cui è cosciente che il Signore rimane con lui in ogni occasione. Questa è la ragione per la quale può scrivere e la sua parola è vera, perchè glossa con la sua penna la continua esperienza di quelli che vivono la sua missione in mezzo al mondo, sperimentando la presenza di Gesucristo. Ognuno di noi può essere il discepolo amato nella misura in cui ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che ci aiuta a scoprire questa presenza.

Questo testo ci prepara già per celebrare domani domenica la Solennità della Pentecoste, il Dono dello Spirito: «E il Paraclito è venuto dal cielo: il custode e il santificante della Chiesa, l’amministratore delle anime, il pilota di chi naufraga, il faro degli erranti, l’arbitro di chi lotta e chi incorona ai vincitori» (San Cirillo di Gerusalemme).
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05/06/2022 09:34
 
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Ricevete lo Spirito Santo»

Mons. José Ángel SAIZ Meneses, Arcivescovo di Siviglia
(Sevilla, Spagna)
Oggi, nel giorno di Pentecoste si compie la promessa che Gesù fece agli Apostoli. Nel pomeriggio del giorno di Pasqua alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). La venuta dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste rinnova e porta a termine questo dono in modo solenne e con manifestazioni esterne. Così culmina il mistero pasquale.

Lo Spirito che Gesù comunica crea, nel discepolo, una nuova condizione umana producendo unità. Quando l’orgoglio dell’uomo lo porta a sfidare Dio costruendo la Torre di Babele, Dio confonde le loro lingue così che non possano capirsi. In Pentecoste avviene l’inverso: per grazia dello Spirito Santo, gli Apostoli sono capiti per gente di provenienze e lingue diverse.

Lo Spirito Santo è il Maestro interiore che guida il discepolo verso la verità, che lo spinge ad operare bene, che lo consola nel dolore, che lo trasforma interiormente, dando forza e capacità nuove.

Il primo giorno di Pentecoste dell’era cristiana, gli Apostoli si trovavano riuniti in compagnia di Maria, raccolti in preghiera. Il raccoglimento, l’attitudine di preghiera è imprescindibile per ricevere lo Spirito. «Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (Atti 2,2-3).

Tutti furono pieni di Spirito Santo e si misero a predicare coraggiosamente. Quegli uomini intimoriti erano stati trasformati in coraggiosi predicatori per niente temerosi del carcere, della tortura o del martirio. Non c’è da sorprendersi: la forza dello Spirito era in loro.

Lo Spirito Santo, Terza Persona della Trinità, è l’anima della mia anima, la vita della mia vita, l’essere del mio essere; è la mia santificazione, l’ospite del mio più profondo interiore. Per raggiungere la maturità nella vita di fede è necessario che la relazione con Lui sia ogni volta più consapevole, più personale. In questa celebrazione di Pentecoste spalanchiamo le porte del nostro interiore.

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06/06/2022 08:39
 
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«Ecco tuo figlio»

P. Alexis MANIRAGABA
(Ruhengeri, Ruanda)
Oggi facciamo memoria di Maria, Madre della Chiesa. In questo senso, contempliamo la maternità spirituale di Maria in connessione con la Chiesa che è —in sé stessa— Madre del Popolo di Dio, perché «nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre» (San Cipriano). Maria è la Madre del Figlio di Dio e allo stesso tempo Madre di coloro che amano il suo Figlio e i “ben amati” di suo Figlio, in conformità con quel «Donna, ecco tuo figlio; discepolo: Ecco tua madre» (Gv 19, 26-27), come disse Gesù. Dando il suo corpo agli uomini e restituendo il suo spirito al Padre, Gesù Cristo perfino ha anche dato sua Madre ai suoi amici.

E il più grande amore è quello con cui Gesù ama la Chiesa (cfr Ef 5,25), alla quale appartengono i suoi amici. Pertanto, i figli adottati da Dio non possono avere Gesù come fratello se non hanno Maria come Madre perché, mentre Maria ama suo Figlio, ama la Chiesa della quale Lei è un membro eminente. Ciò non significa che Maria sia superiore alla Chiesa, ma che è «madre dei membri di Cristo» (Sant'Agostino).

Il Concilio Vaticano II aggiunge che Maria è «veramente madre delle membra di Cristo perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra (Gesù)». Inoltre, rimanendo in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo (cfr At 1, 14), Maria —Madre della Chiesa— ricorda la presenza, il dono e l'azione dello Spirito Santo nella Chiesa missionaria. Invocando lo Spirito Santo nel cuore della Chiesa, Maria prega con la Chiesa e prega per la Chiesa, perché «assunta alla gloria del cielo, accompagna con materno amore la Chiesa e la protegge» (Prefazion della Messa “Maria, Madre della Chiesa”).

Maria si prende cura dei suoi figli. Possiamo, quindi, affidargli tutta la vita della Chiesa, come ha fatto Papa Paolo VI: «O Vergine Maria, Madre di Dio, Madre augustissima della Chiesa, a te raccomandiamo tutta la Chiesa e il Concilio Ecumenico».
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07/06/2022 08:33
 
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«Voi siete il sale della terra (...)Voi siete la luce del mondo»

Rev. D. Francesc PERARNAU i Cañellas
(Girona, Spagna)
Oggi, San Matteo ci ricorda quelle parole con le quali Gesù parla della missione dei cristiani: essere sale e luce del mondo. Il sale, da una parte, è quel condimento necessario che da sapore ai cibi: senza sale, le vivande sono insipide! D’altra parte, per molti secoli, il sale è stato l’elemento fondamentale per la conservazione degli alimenti, per la sua capacità di evitare la decomposizione. Gesù ci dice: Dovete essere sale nel vostro mondo, e come il sale dar gusto onde evitare la corruzione.

Ai nostri tempi, molti hanno perso il senso della loro vita e dicono che non ne vale la pena; che è piena di dispiaceri, di difficoltà e di sofferenze; che passa troppo in fretta e che ha come prospettiva finale –assai triste- la morte.

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5,13). Il cristiano deve metterci il sapore: mostrare con la gioia e l’ottimismo sereno, di chi sa di essere figlio di Dio, che, in questa vita tutto è un cammino di santità; che le difficoltà, le sofferenze e i dolori aiutano a purificarci; e che poi ci aspetta la vita della Gloria, la felicità eterna.

E, anche come il sale, il discepolo di Cristo deve preservare dalla corruzione: dove c’è un cristiano di fede viva, non vi può esserci ingiustizia, violenza, abusi verso i più deboli... Anzi deve risplendere la virtù della carità con pieno vigore: l’interesse per gli altri, la solidarietà, la generosità...

E, così, il cristiano diventa luce del mondo (cf.Mt 5,14). Il cristiano è quella fiaccola che, con l’esempio della sua vita, porta la luce della verità fino all’ultimo angolo della terra, segnalando il cammino della salvezza... Là, dove prima c’erano solamente tenebre, incertezze e dubbi, nasce la luce, la certezza e la fiducia assoluta.
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08/06/2022 07:11
 
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«Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento»

Rev. D. Miquel MASATS i Roca
(Girona, Spagna)
Oggi, ascoltiamo dal Signore: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Nel Vangelo di oggi, Gesù insegna che l’Antico Testamento forma parte della Rivelazione divina: Dio inizialmente si diede a conoscere agli uomini per mezzo dei profeti. Il popolo eletto si riuniva ogni sabato nella Sinagoga per ascoltare la Parola di Dio. Così come ogni bravo israelita conosceva le Scritture e le metteva in pratica; anche ai cristiani conviene la meditazione frequente –giornaliera, se fosse possibile- delle Scritture.

In Gesù abbiamo la pienezza della Rivelazione. Egli è il Verbo, la Parola di Dio, che si è fatto uomo (cf. Gv 1,14), che viene a noi per farci conoscere chi è Dio e quanto ci ama. Dio attende dall’uomo una risposta d’amore, manifestata nell’osservanza dei suoi insegnamenti: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15).

Del testo del Vangelo di oggi troviamo una buona spiegazione nella Prima lettera di San Giovanni: «In questo (...) consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1Gv 5,3). Osservare i comandamenti di Dio, garantisce che lo amiamo con opere e davvero.. L’amore non è solo un sentimento, ma esige - allo stesso tempo- opere, opere d’amore, vivere il doppio precetto della carità.

Gesù ci insegna la malignità dello scandalo; «Chi (...) trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli» (Mt 5,19). Perché, come dice San Giovanni- «Chi dice «lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è verità» (1Gv 2,4).

Contemporaneamente, Gesù insegna l’importanza del buon esempio: «Chi (...) li osserverà e li insegnerà sarà considerato grande nel regno dei cieli» (Mt 5,19). Il buon esempio costituisce il primo elemento dell’apostolato cristiano.
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09/06/2022 07:43
 
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Se la vostra giustizia non supererà (...), non entrerete nel regno dei cieli»

P. Julio César RAMOS González SDB
(Mendoza, Argentina)
Oggi, Gesù ci invita ad andare più in là di quanto possa vivere qualunque semplice osservante della legge. Anche senza cadere nella concrezione di cattive azioni, molte volte l’abitudine indurisce il desiderio della ricerca della santità, adattandoci conciliantemente all’abitudine di comportarsi bene e nient’altro. San Giovanni Bosco soleva ripetere: «Il buono è nemico dell’ottimo». E’ lì dove ci porta la Parola del Maestro, che ci invita a realizzare cose “maggiori” (cf. Mt5,20); che partono da un atteggiamento diverso. Cose maggiori che paradossalmente, passano attraverso cose minori, attraverso le più piccole. Incollerirsi, disprezzare e ingiuriare il fratello non vanno d’accordo con i discepoli del Regno, che è stato chiamato ad essere –nientemeno- che sale della terra e luce del mondo (cf.Mt 5,13-16), da quando esistono le beatitudini (cf.Mt 5,3-12).

Gesù, con autorità, cambia l’interpretazione del precetto negativo “non uccidere” (cf. Ex 20,13) con l’interpretazione positiva della profonda e radicale esigenza della riconciliazione – messa, per darle maggior enfasi- in relazione al culto. Così, non c’è offerta che valga quando ricordi che un fratello tuo ha qualcosa contro di te (cf. Mt 5,23) E’ perciò importante conciliare qualunque discordia, perché, diversamente, l’invalidità dell’offerta sarà rivolta contro di te (cf. Mt 5,26).

Tutto questo solamente potrà mobilitarlo un amore grande. Ci dirà San Paolo: «(...) non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai non desidererai, e qualsiasi altro comandamento, si riassume in questa massima: Amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità» (Rom 113,9-10). Chiediamo di essere rinnovati nel dono della carità –fino al minimo dettaglio- verso il prossimo e la nostra vita sarà la migliore e la più autentica offerta che possiamo fare a Dio.
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11/06/2022 08:40
 
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«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti ...»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)
Oggi, celebriamo l'Apostolo Giuseppe, «soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa "figlio dell'esortazione" (Atti 4,36). Fin dall'inizio fu generoso: «Era padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò l'importo deponendolo ai piedi degli apostoli» (Atti 4,37). Portò San Paolo agli Apostoli, quando tutti lo temevano, e con lui aprì l’apostolato a tutti i popoli. In primo luogo, ad Antiochia, dove «Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore» (Atti 11,23-24). Il suo zelo apostolico fu esemplare, mettendo in pratica il mandato del Maestro: «E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino» (Mt 10,7).

«Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». (Atti 13,2), proclamò lo Spirito Santo: furono a Cipro e in Asia Minore, e soffrirono molto per il Signore. Ebbero anche le loro differenze e si separarono a causa di Marco che gli abbandonò a metà viaggio, e Paolo non lo acettò più nel successivo; ma Barnaba seppe fidarsi di lui e poi vedremo Marco come grande collaboratore di Pietro e Paolo.

Impariamo a non classificare le persone per sempre, che «le anime, come il vino buono, migliorano col tempo» (San Josemaría), quando vengono sostenute con fiducia e sono amate, dal momento che «nessuno può essere conosciuto tranne quando viene amato» (San Agostino).

Quando vediamo qualcuno che vacilla o retrocede, siamo perseveranti come Barnaba, soprannome che significa “uomo che si sforza” e “quello che anima ed entusiasma”. Sono delle caratteristiche delle cui oggi ne abbiamo bisogno. Così andiamo al Signore con le parole della colletta: «fa' che sia sempre annunziato fedelmente, con la parola e con le opere, il Vangelo di Cristo, che egli [Barnaba] testimoniò con coraggio apostolico».
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12/06/2022 08:07
 
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«Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità»

+ Cardinale Jorge MEJÍA Archivista e Bibliotecario di S.R. Chiesa
(Città del Vaticano, Vaticano)
Oggi, festeggiamo la solennità del mistero che si trova al centro della nostra fede, dal quale tutto procede e al quale tutto torna. Il mistero dell’unità di Dio è allo stesso tempo, della sua sussistenza in tre persone uguali e diverse. Padre, Figlio e Spirito Santo: l’unità nella comunione e la comunione nell’unità. Conviene che i cristiani, in questo grande giorno, siamo consapevoli che questo mistero è presente nelle nostre vite: dal Battesimo —che riceviamo in nome della Santissima Trinità— perfino alla nostra partecipazione nella Eucaristia, che si fa per la gloria del Padre, per suo figlio Gesù Cristo, grazie allo Spirito Santo. E il segnale per il quale ci riconosciamo come cristiani: il segnale della Croce in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

La missione del figlio, Gesù Cristo, consiste nella rivelazione di suo Padre, dal quale è immagine perfetta, è il dono dello Spirito, anche svelato dal Figlio. La lettura evangelica proclamata oggi ce lo mostra: «Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà»(Gv 16,15). E in un altro passagio di questo stesso discorso: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Pafre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me»(Gv 15,26).

Impariamo di questa grande e consolatrice verità: la Trinità Santissima lontana da mettersi da parte, distante e innaccessibile, viene da noi, abita in noi e ci trasforma in interlocutori suoi. E tutto questo attraverso lo Spirito, che così ci guida fino alla verità completa. «Quando verrà lui, lo spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perchè non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future»(Gv 16,13). “L’incomparabile dignità del cristiano’’, dalla quale parla tante volte San Leon il Grande è questa: La nostra “cittadinanza’’ infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo. E dire è nel seno della Santissima Trinità.
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13/06/2022 07:41
 
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«Ma io vi dico di non opporvi al malvagio»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù ci insegna che l’odio si supera con il perdono. La legge del taglione era un progresso poiché limitava il diritto a vendicarsi in una giusta proporzione: solo puoi fare al prossimo quello che lui ha fatto a te, contrariamente commetteresti una ingiustizia; questo è quello che significa l’aforismo «occhio per occhio, dente per dente». Malgrado ciò era un progresso limitato, visto che Gesù Cristo nel Vangelo afferma il bisogno di superare la vendetta con l’amore, così lo espresse Lui stesso quando, nella croce, intercedette per i suoi carnefici: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Ciò nonostante, il perdono deve essere accompagnato dalla verità. Non perdoniamo soltanto perché ci sentiamo impotenti e complessati. Spesso si è confusa l’espressione «porgi l’altra guancia” con l’idea della rinuncia ai nostri legittimi diritti. Non si tratta di questo. Porgere l’altra guancia significa denunciare e interpellare a chi lo ha fatto, con un gesto pacifico però deciso, l’ ingiustizia che ha commesso; è come dirgli «Mi hai picchiato in una guancia. Allora, vuoi picchiarmi anche nell’altra? Ti sembra corretto il tuo comportamento?». Gesù rispose con serenità al servo insolente del sommo sacerdote: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23).

Vediamo, dunque, quale deve essere la condotta del cristiano: non cercare la rivincita, però si mantenersi fermi; essere disposti al perdono e dire le cose con chiarezza. Certamente non è un’arte facile, però è l’unico modo di frenare la violenza e manifestare la grazia divina a un mondo spesso privo di grazia. San Basilio ci consiglia: «Fate caso e dimenticherete le ingiurie e gli oltraggi che vi giungano dal prossimo. Potrete vedere i nomi diversi che avrete l’uno e l’altro; a lui lo chiameranno collerico e violento, e a voi mansueti e pacifici. Lui si pentirà un giorno della sua violenza e voi non vi pentirete mai della vostra mansuetudine».
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14/06/2022 08:02
 
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«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»

Rev. D. Iñaki BALLBÉ i Turu
(Terrassa, Barcelona, Spagna)
Oggi, Cristo ci invita ad amare. Amare senza limiti, che è la misura dell'Amore vero. Dio è Amore, «che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45). E l'uomo, scintilla di Dio, deve lottare per somigliare a Lui ogni giorno, «perché siate figli del Padre vostro celeste» (Mt 5,45). Dove troviamo il volto di Cristo? Negli altri, nel prossimo più vicino a noi. È molto facile provare compassione per i bambini affamati d'Etiopia quando li vediamo in televisione, o per gli immigranti che arrivano ogni giorno sulle nostre spiagge. Ma, e quelli di casa nostra? Ed i nostri compagni di lavoro? E quel famigliare lontano che è solo e al quale potremmo andare a fargli un po’ di compagnia? Gli altri, come li trattiamo? Come li amiamo? Concretamente quale servizio rendiamo loro ogni giorno?

È molto facile amare chi ci ama. Ma il Signore ci invita ad andare oltre, perché «se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Amare i nostri nemici! Amare quelle persone che sappiamo —con certezza— che non ci restituiranno mai né l'affetto, né il sorriso, né quel favore. Semplicemente perché ci ignorano. Il cristiano, ogni cristiano, non può amare “interessatamente”; non deve dare un pezzo di pane, un'elemosina al mendicante dell'angolo della strada. Deve dare sé stesso. Il Signore morente sulla Croce, perdona chi lo crocifigge. Non un rimprovero, non un lamento, né un gesto improprio...

Amare senza aspettare nulla a cambio. Quando amiamo dobbiamo seppellire le calcolatrici. La perfezione è amare senza limiti. La perfezione l'abbiamo nelle nostre mani in mezzo al mondo, tra le nostre occupazioni di ogni giorno. Facendo quello che bisogna fare ad ogni istante, non quello che ci soddisfa di più. La Madre di Dio, alle nozze di Cana di Galilea, si accorge che gli invitati non hanno vino. E si fa avanti. E chiede al Signore che faccia il miracolo. Chiediamo a Lei oggi il miracolo di saperlo scoprire nelle necessità altrui.
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15/06/2022 06:34
 
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«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi, Gesù ci invita a operare per la gloria di Dio, con lo scopo di gradire al Padre, che perciò stesso siamo stati creati. Cosi lo afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Dio ha creato tutto per l’uomo, ma l’uomo è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione». Questo è il senso della nostra vita e il nostro onore: gradire al Padre, compiacere Dio. Questo è il testimonio che ci ha lasciato Cristo. Magari il Padre celeste possa dare di ognuno di noi lo stesso testimonio che ha dato del suo Figlio al momento del battesimo: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17).

La mancanza di una retta intenzione sarebbe specialmente grave e ridicola se avvenisse in atti come la preghiera, il digiuno e l´elemosina, perché questi sono atti di pietà e carità, vuol dire, atti che —di per se— sono propri della virtù della religione o atti che si eseguono per amore a Dio.

Per questo, «guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Come potremmo gradire a Dio se quello che procuriamo fin dall´inizio è che ci vedano ed essere ben considerati —prima di tutto— davanti agli uomini? Non significa che dobbiamo nasconderci dagli uomini affinché non ci vedano, piuttosto si intende che dobbiamo dirigere le nostre buone opere direttamente e in primo luogo a Dio. Non importa e non è nemmeno pregiudizievole che ci vedano gli altri: al contrario, poiché possiamo educarli con la testimonianza coerente del nostro agire.

Quello che è veramente importante —e molto!— è che noi vediamo Dio dietro le nostre azioni. E, per questo, dobbiamo «esaminare con molta cura (accuratezza) la nostra intenzione in tutto quello che facciamo, e non cercare i nostri interessi, se vogliamo servire il Signore» (San Gregorio Magno).
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16/06/2022 08:03
 
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«il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate»

Rev. D. Emili MARLÉS i Romeu
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)
Oggi il Signore vuole aiutarci a crescere in un tema centrale della nostra vita cristiana: la preghiera. Ci avverte di non pregare come i pagani che cercano di convincere Dio di ciò che vogliono. Molte volte cerchiamo di ottenere ciò che vogliamo attraverso l'insistenza, rendendoci “pesanti” a Dio, credendo che saremo in grado di farci sentire con la nostra verbosità. Il Signore ci ricorda che il Padre è costantemente sollecito della nostra vita e che, in ogni momento, sa di cosa abbiamo bisogno prima che glielo chiediamo (cfr. Mt 6,8). Viviamo con questa fiducia? Sono consapevole che il Padre mi lava costantemente i piedi e che conosce meglio di chiunque altro ciò di cui ho bisogno in ogni momento (nelle cose grandi e piccole)?

Gesù apre per noi un nuovo orizzonte di preghiera: la preghiera di coloro che si rivolgono a Dio con la coscienza dei bambini. Il tipo di relazione che ho con una persona determina come chiedo le cose e anche cosa posso aspettarmi da lei. Da un padre, e specialmente dal Padre celeste, posso aspettarlo tutto e so che si prende cura della mia vita. Per questo motivo, Gesù, che vive sempre da vero figlio, ci dice «non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete» (Mt 6,25). Ho davvero questa coscienza di figlio? Mi rivolgo a Dio con la stessa familiaretà come lo faccio con mio padre o mia madre?

Dopo, Gesù ci apre il suo cuore e ci insegna come è il suo rapporto/preghiera con il Padre in modo che anche noi lo facciamo nostro. Con la preghiera del “Padre nostro” Gesù ci insegna a vivere da bambini. San Cipriano ha un noto commento al “Padre nostro”, in cui ci dice: « Ma bisogna che ci ricordiamo, o fratelli carissimi, quando chiamiamo Dio nostro Padre, che dobbiamo comportarci da figli di Dio. Se ci compiacciamo in Dio, nostro Padre, anche lui deve potersi compiacere di noi».
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17/06/2022 08:37
 
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Accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)
Oggi, il Signore ci dice che «La lucerna del corpo è l'occhio» (Mt 6,22). Santo Tommaso interpreta che con questo —parlando dell'occhio— Gesù si riferisce all´intenzione dell'uomo. Quando l'intenzione è retta, chiara, incamminata verso Dio, tutte le nostre azioni sono lucenti, splendenti; ma quando l'intenzione non è retta, com’è grande l'oscurità! (cf. Mt 6,23).

La nostra intenzione può essere non troppo retta, per malizia, per malvagità, ma più frequentemente è per mancanza di buon senso. Viviamo come se fossimo venuti sulla terra per ammucchiare ricchezze e non abbiamo in testa nessun altro pensiero. Guadagnare soldi, comprare, disporre, possedere. Vogliamo attrarre l'ammirazione degli altri o forse l'invidia. Ci inganniamo, soffriamo, ci addossiamo preoccupazioni e dispiaceri e non troviamo la felicità desiderata. Gesù ci fa un'altra proposta: «accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano» (Mt 6,20). Il Cielo è il granaio delle buone azioni. Questo sì che è un tesoro per sempre.

Siamo sinceri con noi stessi. In che cosa impieghiamo i nostri sforzi? Quali sono le nostre inquietudini? Certamente è proprio di un buon cristiano lo studio ed il lavoro onesto per aprirsi passo nel mondo, per portare avanti la famiglia, assicurare il futuro dei suoi e la tranquillità della vecchiaia; magari, per lavorare pure per il desiderio di aiutare gli altri... Sì, tutto questo è proprio di un buon cristiano. Ma se quello che tu cerchi è possedere sempre di più, mettendo il cuore in queste ricchezze, dimenticando le buone azioni, dimenticando che in questo mondo siamo di passaggio, che la nostra vita è un'ombra che passa, non è vero, allora, che abbiamo gli occhi offuscati? E se il buon senso si offusca, «quanto grande sarà la tenebra!» (Mt 6,23).
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18/06/2022 08:49
 
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«Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta»

P. Jacques PHILIPPE
(Cordes sur Ciel, Francia)
Oggi, il Vangelo parla chiaramente di vivere il "momento presente": non girare intorno al passato, ma abbandonarsi in Dio e la sua misericordia. Non attormentarsi domani, ma affidarlo alla sua provvidenza. S. Teresa del Bambino Gesù ha detto: "soltanto mi guida l’abbandono, non ho altra bussola»!.

La preoccupazione non ha mai risolto alcun problema. I problemi vengono risolti con la fiducia, la fede. «Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?" (Mt 6,30), dice Gesù.

La vita per se stessa non è troppo problematica, è l'uomo che manca di fede ... L'esistenza non è sempre facile. A volte è pesante, spesso ci sentiamo feriti e offesi da ciò che accade nella nostra vita o quella degli altri. Ma cerchiamo di affrontare questo con fede e cerchiamo di vivere, giorno per giorno, con la fiducia che Dio adempirà le sue promesse. La fede ci porterà alla salvezza.

«Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena». (Matteo 6:34). Cosa significa? Oggi, cercare di vivere con giustizia, secondo la logica del Regno, nella fiducia, la semplicità, la ricerca di Dio, l’ abbandono. E Dio farà il resto ...

Giorno per giorno. È molto importante. Quello che di solito ci esaurisce è girare continuamente al passato e avere paura al futuro; mentre quando si vive nel presente, in un modo misterioso, troviamo la forza. Quello che devo vivere oggi, ho la grazia per viverlo. Se domani devo affrontare situazioni più difficili, Dio aumenterà la sua grazia. La grazia di Dio è data al momento, giorno per giorno. Vivere il momento presente suppone accettare la debolezza: rinunciare a rifare il passato o il futuro, contentarsi con il presente.
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20/06/2022 07:33
 
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«Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)
Oggi, il Vangelo mi ha ricordato le parole della Marescialla del libro Il cavaliere della rosa, di Hug von Hofmansthal: «Nel come vi è la grande differenza». Dal come facciamo una cosa cambierà molto il risultato in molti aspetti della nostra vita, soprattutto quello spirituale.

Gesù dice: «Non giudicate per non essere giudicati» (Mt 7,1). Ma Gesù aveva detto pure che dobbiamo correggere il fratello che è in peccato, e per ciò è necessario avere fatto prima qualche tipo di giudizio. Lo stesso San Paolo nei suoi scritti giudica la comunità di Corinto e San Pietro condanna di falsità Anania e sua moglie. In seguito a ciò, San Giovanni Crisostomo giustifica: «Gesù non dice che non dobbiamo evitare che un peccatore desista dal peccare, dobbiamo correggerlo, certo, ma non come un nemico che cerca la vendetta, ma come il medico che applica un rimedio». Il giudizio, dunque, sembra che dovrebbe essere con l´intenzione di correggere, mai con l´intenzione di vendetta.

Ma è ancora più interessante quello che dice Sant’Agostino: «Il Signore ci avverte di non giudicare precipitosamente ed ingiustamente (...). Pensiamo, in primo luogo, se noi non abbiamo commesso qualche peccato simile; pensiamo che siamo uomini fragili, e [giudichiamo] sempre con l'intenzione di servire Dio e non noi stessi». Se quando vediamo i peccati dei fratelli pensiamo nei nostri, non ci succederà, come dice il Vangelo, che avendo una trave nell'occhio, pretendiamo cacciare una pagliuzza dall´occhio di nostro fratello (cf. Mt 7,3).

Se siamo ben formati, vedremo le cose buone e le cattive degli altri, quasi in un modo incosciente: da ciò emetteremo un giudizio. Ma il fatto di guardare le mancanze altrui dai punti di vista citati ci aiuterà nel come dobbiamo giudicare: ci aiuterà a non giudicare per giudicare, o per dire qualcosa, o per occultare le nostre mancanze o, semplicemente perché tutti fanno così. E, finalmente, teniamo soprattutto presente le parole di Gesù: «con la misura con la quale misurate sarete misurati» (Mt 7,2).
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21/06/2022 07:03
 
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«Non date le cose sante ai cani»

Diácono D. Evaldo PINA FILHO
(Brasilia, Brasile)
Oggi il Signore ci fa tre raccomandazioni. La prima, «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci» (Mt 7,6), contrasti in cui i “beni” sono associati alle “perle” e alle “cose sante”; e, d’altra parte, i “cani” e i “porci” a ciò che è impuro. San Giovanni Crisostomo ci insegna che «i nostri nemici sono uguali a noi nella loro natura ma non nella loro fede». Nonostante i benefici terreni siano concessi nello stesso modo a persone degne e indegne, non è così per ciò che riguarda le “grazie spirituali”, privilegio di coloro che sono fedeli a Dio. La giusta distribuzione dei beni spirituali implica uno zelo per le cose sacre.

La seconda è la cosiddetta chiamata “regola d’oro” (cf. Mt 7, 12), che compendiava tutto ciò che la Legge e i Profeti raccomandarono, come rami di un unico albero: l’amore al prossimo presuppone l’Amore a Dio, e da Lui proviene.

Fare al prossimo ciò che vogliamo che gli uomini facciano a noi comporta una trasparenza di gesti verso l’altro, riconoscendo la sua somiglianza a Dio, la sua dignità. Per quale ragione cerchiamo il bene per noi stessi? Perché lo riconosciamo come mezzo di identificazione e di unione con il Creatore. Essendo il Bene l’unico mezzo per la vita in pienezza, è inconcepibile la sua assenza nel nostro rapporto col prossimo. Non c’è posto per il bene qualora prevalga la falsità e predomini il male.

Per ultimo, la “porta stretta”… Papa Benedetto XVI ci chiede: «Che vuol dire questa ‘porta stretta’? Perché molti non possono attraversarla? È forse un passaggio riservato per pochi eletti?» No! Il messaggio di Cristo «ci dice che tutti possiamo entrare nella vita. Il passaggio è ‘stretto’, ma aperto a tutti; ‘stretto’ perché è esigente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo».

Preghiamo affinché il Signore, che realizzò la salvezza universale con la sua morte e risurrezione, ci riunisca tutti nel banchetto della vita eterna.
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22/06/2022 08:07
 
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«Dai loro frutti li riconoscerete»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)
Oggi, viene posto innanzi al nostro sguardo un nuovo contrasto evangelico, tra gli alberi buoni e cattivi. Le affermazioni di Gesù al rispetto sono così semplici da sembrare quasi banali. Ed è giusto dire che non lo sono affatto! Non lo sono, così come non lo è la vita reale di ogni giorno.

Queste ci insegnano che vi sono buoni che degenerano e finiscono col dare cattivi frutti, e che, al contrario, vi sono cattivi che cambiano e finiscono col dare frutti buoni. Cosa significa quindi, in definitiva, che «ogni albero buono produce frutti buoni» (Mt 7, 17)? Significa che ciò che è buono lo è in quanto non viene a meno facendo il bene. Fa il bene e non si stanca. Fa il bene e non cede alla tentazione di fare il male. Fa il bene e persevera fino all’eroismo. Fa il bene e, se per caso arrivasse a cedere davanti alla fatica di operare così, di cadere nella tentazione di fare del male, o di spaventarsi al requisito non negoziabile, lo riconosce sinceramente, lo confessa veramente, si pente di cuore e... rincomincia.

Ah! E lo fa, tra l’altro, perché sa che se non da dei frutti buoni sarà tagliato e gettato al fuoco (il santo temore di Dio mantiene la vite del buon vigneto!), e perché, conoscendo la bontà degli altri attraverso le loro opere buone, sa, non solo per propria esperienza, ma anche per esperienza sociale, che egli solo é buono e può essere riconosciuto come tale dai fatti e non dalle sole parole.

Non basta col dire «Signore, Signore!». Così come ci ricorda Giacomo, la fede si riconosce attraverso le opere: «Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2, 18).
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24/06/2022 07:48
 
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Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Da tempo immemoriale l’uomo colloca “fisicamente” nel cuore ciò che c’è di meglio o di peggio nell’essere umano. Cristo ci mostra il Suo, con le cicatrici del nostro peccato, quale simbolo del Suo amore verso gli uomini, ed è da questo cuore che dà vita e rinnova la storia passata, presente e futura, da dove contempliamo e possiamo comprendere la gioia di Colui che trova quello che aveva perso.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»(Lc 15,6). Quando ascoltiamo queste parole, ci afferriamo alla tendenza di metterci nel gruppo dei novanta nove giusti ed osserviamo “da lontano” come Gesù offre la salvezza a tanti conoscenti nostri che sono assai peggiori di noi... Ebbene no! L’allegria di Gesù ha un nome e un volto. Il mio,il tuo, quello dell’altro..., tutti siamo “la pecora smarrita” per i nostri peccati; così che, non continuiamo a gettare altra legna al fuoco della nostra superbia, considerandoci completamente convertiti!

Nei tempi in cui viviamo, in cui il concetto di peccato viene relativizzato o negato, tempi in cui il sacramento della penitenza viene considerato da alcuni come un qualcosa di duro, triste e arcaico, il Signore, nella Sua parabola, ci parla di gioia, e non lo fa solamente qui, ma è una corrente che attraversa tutto il Vangelo. Zaccheo invita Gesù a pranzo per celebrare il perdono che ha ricevuto (cf. Lc 19,1-9); il padre del figlio prodigo perdona e fa festa per il suo ritorno (cf. Lc 15,11-32) e il Buon Pastore si rallegra all’incontrare chi si era allontanato dal Suo cammino.

Diceva San Giuseppe Maria che un uomo «vale quanto vale il suo cuore». Meditiamo dal Vangelo di Luca se il prezzo –che viene indicato sull’etichetta del nostro cuore- equivale al valore del riscatto che il Sacro Cuore di Gesù ha pagato per ciascuno di noi.
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25/06/2022 09:57
 
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Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)
Oggi, celebriamo la solennità del Sacro Cuore di Gesù. Da tempo immemoriale l’uomo colloca “fisicamente” nel cuore ciò che c’è di meglio o di peggio nell’essere umano. Cristo ci mostra il Suo, con le cicatrici del nostro peccato, quale simbolo del Suo amore verso gli uomini, ed è da questo cuore che dà vita e rinnova la storia passata, presente e futura, da dove contempliamo e possiamo comprendere la gioia di Colui che trova quello che aveva perso.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta»(Lc 15,6). Quando ascoltiamo queste parole, ci afferriamo alla tendenza di metterci nel gruppo dei novanta nove giusti ed osserviamo “da lontano” come Gesù offre la salvezza a tanti conoscenti nostri che sono assai peggiori di noi... Ebbene no! L’allegria di Gesù ha un nome e un volto. Il mio,il tuo, quello dell’altro..., tutti siamo “la pecora smarrita” per i nostri peccati; così che, non continuiamo a gettare altra legna al fuoco della nostra superbia, considerandoci completamente convertiti!

Nei tempi in cui viviamo, in cui il concetto di peccato viene relativizzato o negato, tempi in cui il sacramento della penitenza viene considerato da alcuni come un qualcosa di duro, triste e arcaico, il Signore, nella Sua parabola, ci parla di gioia, e non lo fa solamente qui, ma è una corrente che attraversa tutto il Vangelo. Zaccheo invita Gesù a pranzo per celebrare il perdono che ha ricevuto (cf. Lc 19,1-9); il padre del figlio prodigo perdona e fa festa per il suo ritorno (cf. Lc 15,11-32) e il Buon Pastore si rallegra all’incontrare chi si era allontanato dal Suo cammino.

Diceva San Giuseppe Maria che un uomo «vale quanto vale il suo cuore». Meditiamo dal Vangelo di Luca se il prezzo –che viene indicato sull’etichetta del nostro cuore- equivale al valore del riscatto che il Sacro Cuore di Gesù ha pagato per ciascuno di noi.
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26/06/2022 09:04
 
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«Seguimi»

Pbro. José MARTÍNEZ Colín
(Culiacán, Messico)
Oggi, il Vangelo ci invita a riflettere sul nostro seguimento di Cristo. È importante saper seguirlo come Lui si aspetta. Giacomo e Giovanni non avevano ancora appreso il valore del messaggio di amore e di perdono: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Lc 9,54). Gli altri convocati non si staccavano realmente dai loro legami familiari. Per seguire Gesù e compiere con la nostra missione, bisogna farlo liberi da qualsiasi legame: «Nessuno che (...)poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».(Lc 9,62).

In occasione della Giornata Missionaria Mondiale, San Giovanni Paolo II fece un richiamo ai cattolici ad essere missionari del Vangelo di Cristo attraverso il dialogo e il perdono. Il motto fu: «La missione è un annucio di perdono». Il Papa disse che solo l’amore di Dio è capace di affratellare a tutti gli uomini di razza e cultura diverse, e potrà far scomparire le dolorose divisioni, i contrasti ideologici, le disuguaglianze economiche e i violenti soprusi che opprimono tuttora l’umanità. Attraverso la diffusione del Vangelo, i credenti aiutano gli uomini a riconoscersi come fratelli.

Se ci sentiamo come veri fratelli, possiamo iniziare a comprenderci e a dialogare con rispetto. Il Papa ha sottolineato che l’impegno per un dialogo attento e rispettoso è una condizione per un autentica testimonianza dell’amore redentore di Dio, perché chi perdona apre il cuore agli altri e diventa capace di amare. Il Signore ce lo lasciò detto nell’Ultima Cena «che vi amiate gli uni agli altri. Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli» (Gv 13,34-35).

Evangelizzare è un compito di tutti, anche se in modi diversi. Per alcuni sarà recarsi in molti paesi dove ancora non conoscono Gesù. Ad altri, invece, corrisponderà diffondere il Vangelo nel loro intorno. Chiedamoci, per esempio, se quelli che stanno intorno a noi, sanno e vivono le verità fondamentali della nostra fede. Tutti possiamo e dobbiamo appoggiare il lavoro missionario con la nostra preghiera, sacrificio e azione, oltre che con la testimonianza del nostro perdono e comprensione verso gli altri.
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28/06/2022 07:47
 
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Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)
Oggi, Martedì XIII del Tempo Ordinario, la liturgia ci offre uno dei frammenti più impressionanti della vita pubblica del Signore. La scena presenta una grande vivacità, contrastando radicalmente l’attitudine dei discepoli e quella di Gesù. Possiamo imaginarci l’agitazione che regnò sulla barca quando «ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde» (Mt 8,24), però un’agitazione che non fu sufficente per svegliare a Gesù, che dormiva. Furono i discepoli che con la loro disperazione svegliarono al Maestro! «Salvaci, Signore, siamo perduti!» (Mt 8,25).

L’evangelista si serve di tutto questo drammatismo per rivelarci l’autentica essenza di Gesù. La tormenta non aveva perso la sua furia e i discepoli continuavano pieni di agitazione quando il Signore, con semplicità e tranquillamente,«levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia» (Mt 8,26). Dalla Parola di rimprovero di Gesù continuò la calma, calma che non era destinata solamente a realizzarsi nell’acqua agitata del cielo e del mare: la Parola di Gesù si dirigeva soprattutto a calmare i cuori timorosi dei suoi discepoli. «Perché avete paura, uomini di poca fede?» (Mt 8,26).

I discepoli passarono dal turbamento e dalla paura all’ammirazione, propria di coloro che hanno appena assistito a qualcosa di impensabile fino ad allora. La sorpresa, l’ammirazione, lo stupore di un cambio così drastico nella situazione che stavano vivendo, svegliò in loro una domanda centrale: «Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?» (Mt 8,27). Chi è che può calmare le tormente dei cieli e della terra e, allo stesso tempo, quelle dei cuori degli uomini? Soltanto chi «dormendo come un uomo sulla barca, può dar ordini ai venti e al mare come Dio» (San Niceta di Remesiana).

Quando pensiamo che la terra sprofonda, non dimentichiamo che il nostro Salvatore è il Dio stesso fatto uomo, il quale ci si avvicina attraverso la fede.
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01/07/2022 08:33
 
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«Seguimi»

+ Rev. D. Pere CAMPANYÀ i Ribó
(Barcelona, Spagna)
Oggi, il Vangelo ci parla di una vocazione, quella del pubblicano Matteo. Gesù stà preparando il piccolo gruppo di discepoli che dovranno continuare la Sua opera di salvazione. Lui sceglie chi vuole: saranno pescatori o procedenti da una modesta professione. Chiama, a che lo segua, finanche un esattore delle imposte, professione disprezzata dai giudei –che si consideravano osservanti perfetti della legge-, perchè la consideravano quasi fosse una vita peccatrice, perchè riscuotevano imposte da parte del governatore romano, al quale non volevano assoggettarsi.

E’ sufficiente l’invito di Gesù: «Seguimi» (Mt 9,9). Per una parola del Maestro, Matteo lascia la sua professione e, contentissimo, L’invita a casa sua per celebrarvi un banchetto di riconoscenza. Era normale che Matteo avesse un gruppo di buoni amici della sua stessa professione, affinchè l’accompagnassero a partecipare di quel convito. Secondo i farisei, tutta quella gente era peccatrice, riconosciuta pubblicamente come tale.

I farisei non possono star zitti e commentano con alcuni discepoli di Gesù: «Come mai il vostro maestro mangia assieme ai pubblicani e ai peccatori?» (Mt 9,10). La risposta di Gesù arriva immediatamente: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9,12). Il paragone è perfetto: «Non sono venuto (...) a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).

Le parole di questo Vangelo sono di grande attualità. Gesù continua ad invitarci a seguirLo, ognuno secondo il suo stato e professione. Seguire Gesù, però, esige lasciare passioni disordinate, cattiva condotta familiare, perdere tempo, per potersi dedicare alla preghiera, al banchetto eucaristico, alla pastorale missionaria. In realtà «un cristiano non è padrone di sè stesso, ma deve dedicarsi al servizio di Dio» (Sant’Ignazio d’Antiochia).

Certamente il Signore mi chiede un cambio di vita e, così, mi domando: a quale gruppo appartengo? A quello delle persone che tendono alla perfezione o a quello delle persone che si riconoscono sinceramente smarrite nel buio? Non è forse vero che posso migliorare? Coraggio, allora, e fiducia nel Signore!
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