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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 25/04/2024 08:21
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24/09/2019 09:09
 
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«Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»

Rev. D. Xavier JAUSET i Clivillé
(Lleida, Spagna)

Oggi, leggiamo uno splendido brano del Vangelo. Gesù non offende per nulla sua madre, visto che Lei è la prima ad ascoltare la Parola di Dio e da Lei nasce Colui che è la Parola. Allo stesso tempo è colei che ha compiuto perfettamente la volontà di Dio « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38), risponde all’angelo nell’Annunciazione.

Gesù ci dice quello di cui abbiamo bisogno per essere, anche noi, suoi parenti: «coloro che ascoltano... » (Lc 8,21) e per ascoltare è necessario che ci avviciniamo come i suoi familiari, che arrivarono dove stava; però non poterono avvicinarsi a Lui a causa della folla. I familiari si sforzano per avvicinarsi, converrebbe chiederci se lottiamo e cerchiamo di vincere gli ostacoli che incontriamo nel momento di avvicinarci alla Parola di Dio. Dedico quotidianamente qualche minuto per leggere, ascoltare e meditare le Sacre Scritture? San Tommaso D’Aquino ci ricorda che «è necessario che meditiamo continuamente la Parola di Dio (...); questa meditazione aiuta poderosamente nella lotta contro il peccato».

Ed, infine, adempiere con la Parola. Non basta ascoltare la Parola; è necessario compierla se vogliamo essere membri della famiglia di Dio. Dobbiamo mettere in pratica quello che ci dice! Per questo sarebbe opportuno che ci chiedessimo se solamente ubbidiamo quando quello che ci chiedono ci piace ed è relativamente facile o, al contrario, quando bisogna rinunciare al proprio benessere, alla propria fama, ai beni materiali o al tempo disponibile per il riposo..., mettiamo la Parola tra parentesi, in attesa di tempi migliori. Imploriamo la Vergine Maria di poter ascoltare come Lei e compiere la Parola di Dio per così percorrere il cammino che conduce alla felicità perenne.
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26/09/2019 07:27
 
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«Cercava di vederlo»

Rev. P. Jorge R. BURGOS Rivera SBD
(Cataño, Puerto Rico)

Oggi, il testo del Vangelo ci dice che Erode voleva vedere Gesù (cf.Lc 9,9). Questo desiderio di voler vedere Gesù sorge dalla curiosità. Si parlava molto di Gesù per i miracoli che realizzava lungo il suo cammino. Molte persone parlavano di Lui. L’atteggiamento di Gesù ricordava al popolo diverse figure di profeti: Elia, Giovanni il Battista, etc. Ma essendo solo una semplice curiosità, questo desiderio non ha importanza. Tanto è vero, che quando Erode Lo vede, non gli causa una grande impressione (cf. Lc 23,8-11). Il suo desiderio svanisce vedendolo faccia a faccia perché Gesù si rifiuta di rispondere alle sue domande. Questo silenzio di Gesù rivela Erode quale uomo corrotto e depravato.

Tutti noi , come Erode, certamente abbiamo sentito, qualche volta, il desiderio di vedere Gesù. Ma non abbiamo più il Gesù, in carne ed ossa, come ai tempi di Erode, tuttavia abbiamo altre presenze di Gesù. Voglio risaltarne due.

In primo luogo la tradizione della Chiesa ha fatto del giovedì di ogni settimana un giorno speciale per vedere Gesù nell’Eucaristia. Sono molti i luoghi dove viene esposto Gesù-Eucaristia. «L’adorazione eucaristica è una forma essenziale per trovarci con il Signore. Nel tabernacolo è presente il vero tesoro che è sempre ad aspettarci. Non si trova lì per Sé ma per noi» (Benedetto XVI). –Avvicinati affinché ti abbagli con la Sua presenza.

Nel secondo caso, possiamo riferirci a un canto popolare che dice: «E’ con noi e non lo conosciamo». Gesù è presente in tanti fratelli nostri che sono stati marginati, che soffrono e non hanno nessuno che “voglia vederli”. Nella sua enciclica `Dio è Amore´il Papa Benedetto XVI dice: «L’amore verso il prossimo, fondato sull’amore verso Dio, è anzitutto un dovere per ogni fedele, ma lo è pure per la comunità ecclesiale!» Così, dunque Gesù ti sta aspettando, a braccia aperte ti riceve in entrambe situazioni. Avvicinati a Lui!
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27/09/2019 10:35
 
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«Le folle, chi dicono che io sia? (...) Ma voi, chi dite che io sia?»

Rev. D. Pere OLIVA i March
(Sant Feliu de Torelló, Barcelona, Spagna)

Oggi, nel Vangelo, ci sono due interrogativi che lo stesso Maestro dirige a tutti. Il primo interrogativo vuole una risposta statistica, approssimativa: «Le folle, chi dicono che io sia?» (Lc 9,18). Questo interrogativo fa sì che ci guardiamo attorno per esaminare come risolvono la questione gli altri: i vicini, i compagni di lavoro, gli amici, i familiari prossimi... Osserviamo l’ambiente in cui viviamo e ci sentiamo più o meno responsabili o prossimi –dipende dalle circostanze- di alcune delle risposte che formulano quelli che hanno a che fare con noi o con il nostro ambito, “la gente”...E la risposta ci dice molto, ci informa, ci ubica e fa sì che ci accorgiamo di quello che desiderano, di quello di cui hanno bisogno e cercano quelli che vivono al nostro fianco. Ci aiuta a sintonizzare, a scoprire un punto d’incontro con l’altro per andare più avanti...

C’è un secondo interrogativo che viene diretto a noi: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). È una questione fondamentale che bussa alla porta, che chiede, mendicando a ciascuno di noi: una adesione od un rifiuto; una venerazione o un’indifferenza; camminare con Lui ed in Lui o che si concluda in un avvicinamento di semplice simpatia... È questa una questione delicata, è determinante perché ci riguarda. Che cosa dicono le nostre labbra ed i nostri atteggiamenti? Vogliamo essere fedeli verso Colui che è e da senso al nostro essere? C’è in noi una sincera disposizione a seguirlo nei cammini della vita? Siamo disposti ad accompagnarLo alla Gerusalemme della croce e della gloria?

«E’ un cammino di croce e risurrezione (...). La croce è la esaltazione di Cristo. Lo disse Lui stesso:`Quando sarò innalzato, attrarro tutti verso di me´. (...) La croce, dunque, è gloria e celebrazione di Cristo» (Sant’Andrea di Creta). Disposti a marciare verso Gerusalemme? Ma solo con Lui ed in Lui, vero?
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28/09/2019 07:25
 
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«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, oltre due mila anni dopo, l’annunzio della passione di Gesù ci provoca ancora. Che l’Autore della Vita annunci la sua morte per mezzo di quelli per i quali è venuto a dare assolutamente tutto, è una chiara provocazione. Si potrebbe dire che non era necessario, che sia stata un’esagerazione. Lo dimentichiamo spesso: il peso che opprime il cuore di Cristo, il nostro peccato, il più radicale dei mali, la causa e l’effetto di metterci al posto di Dio. Peggio ancora, non ci lasciamo amare da Dio e ci impegnamo a rimanere rinchiusi nelle nostre meschine categorie e nell’immediatezza della vita presente. E’ così necessario che ci riconosciamo peccatori, come è necessario ammettere che Dio ci ama nel Figlio suo Gesú Cristo. Dopo tutto siamo come i discepoli, «Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento» (Lc 9,45).

Per dirlo con una immagine: potremmo trovare nel Cielo tutti i vizi ed i peccati, ma non la superbia, giacché il superbo non riconosce mai il suo peccato e non si lascia perdonare da un Dio che ama fino al punto di morire per noi. E nell’inferno potremmo trovare tutte le virtù, ma non l’umiltà, perché l’umile si riconosce così com’è e sa molto bene che senza la grazia di Dio non può smettere di offenderlo, così come neppure può corrispondere alla sua Bontà.

Una delle chiavi della saggezza cristiana è riconoscere la grandezza e l’immensità dell’Amore di Dio e contemporaneamente ammettere la nostra grettezza e la viltà del nostro peccato. Siamo così lenti a capirlo! Il giorno in cui scopriremo che abbiamo l’Amore di Dio alla portata di mano, quel giorno diremo come sant’Agostino, con lacrime d’Amore: «Tardi ti ho amato, mio Dio!». Quel giorno può essere oggi. Può essere oggi. Forse.
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29/09/2019 08:50
 
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«Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali»

Rev. D. Valentí ALONSO i Roig
(Barcelona, Spagna)

Oggi, Gesù ci confronta con l' ingiustizia sociale che viene dal divario tra ricchi e poveri. Come se fosse una di quelle immagini spaventose le quali siamo abituati a vedere in televisione, restiamo commossi dalla storia di Lazzaro, che riesce l' effetto sensazionalista per muovere i sentimenti: «ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe» (Lc 16, 21). La differenza è evidente: il ricco indossava abiti di porpora, il povero aveva per vestito le piaghe.

La situazione di parità arriva rapidamente giacché morirono i due. Ma, allo stesso tempo, la differenza è più accentuata, uno è arrivato accanto Abramo, l’altro, appena sepolto. Se non avessimo mai sentito questa storia, applicando i valori della nostra società, potremmo concludere che chi ha vinto il premio dovrebbe essere il ricco, e quello abbandonato nel sepolcro, il povero.

La sentenza arriva da Abramo, il padre nella fede, e ci chiarisce il risultato: «Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali» (Lc 16,25). La giustizia di Dio trasforma la situazione. Dio non permette che il povero rimanga per sempre nella sofferenza, la fame e la miseria.

Questa storia ha commosso lungo la storia milioni di cuori di persone ricche e ha portato alla conversione di folle, ma quale messaggio avrà bisogno il nostro mondo sviluppato, iper-connesso, globalizzato, per renderci consapevoli delle ingiustizie sociali delle quali siamo autori o, quandomeno, complici? Tutti quelli che udirono il messaggio di Gesù avevano il desiderio di riposare nel seno di Abramo, ma, quante persone nel nostro mondo si conformeranno con essere sepolte quando siano morte, senza voler ricevere il conforto del Padre del cielo? La vera ricchezza è arrivare a vedere Dio, e ciò che è necessario è quello che Sant'Agostino ha detto: «Cammina per l' uomo e arriverai a Dio». Che i Lazzaro di ogni giorno ci aiutino a trovare Dio.
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30/09/2019 08:36
 
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«Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande»

Prof. Dr. Mons. Lluís CLAVELL
(Roma, Italia)

Oggi, dirigendosi a Gerusalemme verso la Passione, «sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande» (Lc 9,46). Ogni giorno i mezzi di comunicazione e anche le nostre conversazioni sono piene di commenti sull’importanza delle persone: degli altri e di noi stessi. Questa logica soltanto umana produce frequentemente il desiderio di trionfo, di essere riconosciuto, apprezzato, aggraziato e, la mancanza di pace, quando questi riconoscimenti non arrivano.

La risposta di Gesù a questi pensieri —E chissà anche commenti— dei discepoli ricorda lo stile degli antichi profeti. Prima delle parole ci sono i gesti. Gesù «prese un bambino, se lo mise vicino» (Lc 9,47). Dopo, arriva l’insegnamento: «Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande» (Lc 9,48). —Gesù perché facciamo tanta fatica ad accettare che questo non è un’utopia per la gente che non è implicata nel traffico di un lavoro intenso, nel quale non mancano i colpi degli uni contro gli altri, e che con la tua grazia, lo possiamo vivere tutti? Se lo facessimo avremmo più pace interiore e lavoreremo con più serenità e gioia.

Questa attitudine è anche la fonte da dove sorge la gioia, vedendo come altri lavorano bene per Dio con uno stile diverso dal nostro, però sempre avvalendosi del nome di Gesù. I discepoli volevano impedirlo. Invece, il Maestro difende le altre persone. Nuovamente, il fatto di sentirci i figli piccoli di Dio ci facilita ad avere il cuore aperto verso tutti e credere nella pace, nella gioia e nel ringraziamento. Questi insegnamenti sono valsi a Santa Teresa di Lisieux, il titolo di “Dottoressa della Chiesa”: nel suo libro Storia di un’anima, lei ammira il bel giardino di fiori che è la chiesa, ed è contenta di sapersi, lei, un piccolo fiore. Al lato dei grandi Santi, —rose e gigli— ci sono i piccoli fiori —come le margherite o le viole— destinati a rallegrare gli occhi di Dio, quando Egli dirige il suo sguardo alla terra.
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01/10/2019 07:47
 
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«Si voltò e li rimproverò»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, nel vangelo, contempliamo come «Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò» (Lc 9,54-55). Sono difetti degli Apostoli, che il Signore corregge.

Ci racconta la storia di un acquaiolo dell’India che, nella estremità di un bastone che pendeva sulle sue spalle, portava due anfore: uno era perfetta e l’altra era screpolata, e perdeva acqua. Questa –triste- guardava l’altra così perfetta e, mortificata un giorno disse al suo padrone che si sentiva miserabile perché a causa delle sue crepe gli dava solo metà dell’acqua che poteva guadagnare con la sua vendita. Il portatore d’acqua rispose: -Quando torneremo a casa guarda i fiori che crescono lungo il cammino. E li guardò: erano dei fiori bellissimi, ma vedendo che continuava a perdere la metà dell’acqua, replicò: -Non servo a nulla, faccio tutto male. Il portatore gli rispose: -Hai osservato come i fiori solo crescono dal tuo lato del cammino? Io ero già a conoscenza delle tue screpolature e ho voluto far risaltare il loro lato positivo, spargendo semi di fiori dove passi e anaffiandoli posso raccogliere questi fiori da portare alla Madonna. Se tu non fossi come sei, non sarebbe stato possibile creare questa bellezza.

Tutti, in un certo modo, siamo delle anfore screpolate, ma Dio conosce bene i suoi figli e ci da la possibilità di approfittare quelle screpolature-difetti per alcune cose buone. E così, l’apostolo Giovanni –che oggi vuole distruggere-, dopo l’ammonizione del Signore si trasforma nell’apostolo dell’amore nelle sue lettere. Non si perse d’animo per il rimprovero bensì approfittò il lato positivo del suo carattere focoso –appassionato- per metterlo al servizio dell’amore. Sappiamo approfittare anche noi delle correzioni, le contrarietà – sofferenza, le frustrazioni, le limitazioni- per “cominciare e ricominciare”, tale e come san Josemaria definiva la santità: docili allo Spirito Santo per convertirci a Dio ed essere suoi strumenti.
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03/10/2019 07:27
 
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«Pregate (...) il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!»

Rev. D. Ignasi NAVARRI i Benet
(La Seu d'Urgell, Lleida, Spagna)

Oggi, Gesù ci parla della missione apostolica. Anche se «designò altri settantadue e li inviò» (Lc 10,1), la proclamazione del Vangelo è un compito «che non può essere delegato a un gruppo di “specialisti”» (Giovanni Paolo IIº): tutti siamo chiamati a questo compito e tutti dobbiamo sentirci responsabili. Ognuno nella propria condizione e ruolo. Il giorno del battesimo ci venne detto: «Sei Sacerdote, Profeta e Re, per la vita eterna». Oggi, più che mai, la nostra società ha bisogno della testimonianza dei seguaci di Cristo.

«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!» (Lc 10,2): è interessante questo senso positivo della missione, poiché il testo non dice «c’è molto da seminare e pochi gli operai». Oggi, forse, dovremmo parlare in questi termini, visto la poca conoscenza di Cristo e della sua Chiesa nella nostra società. Una visione di speranza nella missione, genera ottimismo e incentivo. Non lasciamoci abbattere dal pessimismo e dallo sconforto.

In principio, la missione che ci aspetta è, allo stesso tempo, appassionante e difficile. L’annuncio della Verità e della Vita, la nostra missione, non può e non deve pretendere di imporre una adesione, bensì suscitare una libera adesione. Le idee si propongono, non si impongono, ci ricorda il Papa.

«Non portate borsa, né sacca, né sandali...» (Lc 10,4): l’unica forza del missionario dev’essere Cristo. E, perché Lui colmi tutta la sua vita, è necessario che il missionario si svuoti totalmente di tutto ciò che non è Cristo. La povertà del Vangelo è il grande requisito e, allo stesso tempo, la testimonianza più credibile che l’apostolo può dare, visto che solamente questo distacco ci può rendere liberi.

Il missionario annuncia la pace. È portatore di pace perché porta Cristo, il “Principe della Pace”. Per questo, «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.» (Lc 10,5-6). La nostra società, le nostre famiglie, il nostro io personale, hanno bisogno di Pace. La nostra missione è urgente e appassionante.
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07/10/2019 15:59
 
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Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?»

Rev. P. Ivan LEVYTSKYY CSsR
(Lviv, Ucraina)

Oggi, il messaggio evangelico indica la strada della vita: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, (...) e il tuo prossimo come te stesso» (Lc 10,27). E perché Dio ci ha amato per primo, ci porta all’unione con Lui. La Beata Teresa di Calcutta dice: “Noi abbiamo bisogno di questo intimo legame con Dio nella nostra vita quotidiana. E come possiamo ottenerlo? Attraverso la preghiera”. Se siamo in unione con Dio, cominciamo a sperimentare che tutto è possibile, anche l’amore per il prossimo.

Qualcuno diceva che il cristiano entra in Chiesa per amare Dio ed esce dalla Chiesa per amare il prossimo. Papa Benedetto XVI sottolinea che il programma del cristiano –il programma del buon samaritano, il programma di Gesù- è “un cuore che vede”. Vedere e fermarsi! Nella parabola, due persone vedono l’uomo che ha bisogno, ma non si fermano. Quindi Cristo rimproverò i farisei dicendo: «Avete occhi e non vedete» (Mc 8,18). Anzi, il samaritano vede e si ferma, ha compassione e salva a chi ha bisogno e a se stesso.

Quando il famoso architetto Antonio Gaudì fu investito da un tram, alcune persone che passavano non si fermarono per aiutare quell’anziano ferito. Non aveva con sé alcun documento e dal suo aspetto sembrava un mendicante. Sicuramente se la gente avesse saputo chi era quel pròssimo, avrebbe fatto coda per aiutarlo.

Quando facciamo del bene, pensiamo di farlo per gli altri, ma in realtà lo facciamo anche per Cristo: «In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). E il mio prossimo, dice Benedetto XVI, è qualunche che abbia bisogno di me e che io possa aiutare. Se ognuno di noi, nel vedere il prossimo bisognoso, si fermasse e avesse pietà di lui almeno una volta al giorno o alla settimana, la crisi diminuerebbe e il mondo diventerebbe migliore. “Niente ci assomiglia tanto a Dio come le buone opere” (San Gregorio di Nisa).
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08/10/2019 09:04
 
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Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno»

Rev. D. Josep RIBOT i Margarit
(Tarragona, Spagna)

Oggi, come ogni giorno, puoi imparare dal Vangelo. Gesù invitato a casa di Betania, ci da una lezione di umanità: Egli che voleva bene alla gente, si faceva voler bene, perché le due cose sono importanti. Rifiutare le mostre d’affetto, di Dio e degli altri, sarebbe un grave errore, di nefaste conseguenze per la santità.

Marta o Maria?, però..., perché affrontare coloro che si volevano tanto bene, e volevano tanto bene a Dio? Gesù amava a Marta e Maria, e al loro fratello Lazzaro, e ama ognuno di noi.

Nel cammino alla santità non ci sono due anime gemelle. Tutti procuriamo amare Dio, però con stile e personalità propria senza imitare nessuno. Il nostro modello sta in Cristo e nella Vergine. Ti dispiace il modo in cui gli altri trattano Dio? Cerca di imparare dalla sua pietà personale.

«Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (Lc 10,40). Servire gli altri per amore a Dio, è un onore, non un aggravio. Serviamo con gioia, come la Vergine a sua cugina Santa Elisabetta o nelle nozze di Canà, o come Gesù nella lavanda dei piedi nell’ultima cena?

«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno» (Lc 10,41-42). Non perdiamo la pace, ne il buon umore. E per questo salvaguardiamo la presenza di Dio. «Sappiatelo bene: c’è qualcosa di Santo, di divino nascosto nelle situazioni più comuni, che è compito di ognuno di noi scoprire (...); o sappiamo incontrare nella nostra vita ordinaria il Signore, o non lo incontreremo mai» (San Josemaria).

«Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,42). Dio ci vuole felici. Che nostra Madre del cielo ci aiuti a sperimentare la gioia di darsi.
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10/10/2019 08:27
 
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«Il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)

Oggi, il Vangelo è una catechesi di Gesù sulla preghiera. Afferma solennemente che il Padre l’ascolta sempre: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.» (Lc 11,9).

A volte possiamo pensare che questo non sempre succede, che non sempre “funziona” così. Si tratta di pregare con i dovuti atteggiamenti!

Il primo atteggiamento è la costanza, la perseveranza. Dobbiamo pregare senza scoraggiarci mai, seppure sembri che la nostra preghiera urti con un rifiuto, o che non venga ascoltata subito. E’ l’atteggiamento di quell’uomo inopportuno che a mezzanotte va a chiedere un favore al suo amico. Con la sua insistenza riceve i pani di cui abbisogna. Dio è l’amico che ascolta dal di dentro a chi è costante. Dobbiamo aver fiducia, in che finirà dandoci quello che chiediamo, perché, oltre ad essere amico, è Padre.

Il secondo atteggiamento che Gesù ci insegna è la fiducia e l’amore filiale. La paternità di Dio supera immensamente quella umana, che è limitata ed imperfetta: «Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo...!» (Lc 11,13).

Terzo atteggiamento: dobbiamo chiedere soprattutto lo Spirito Santo e non solamente cose materiali. Gesù ci incoraggia a chiederLo, rassicurandoci che L’otterremo: «...quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,13). Questa richiesta sempre viene ascoltata. E’ tanto come chiedere la grazia della preghiera, giacché lo Spirito Santo è la sua fonte e la sua origine.

Il beato frate Gil d’Assisi, compagno di san Francesco, sintetizza l’idea di questo Vangelo dicendo: «Prega con fedeltà e devozione, perché una grazia che Dio non ti ha concesso una volta, te la può dare in un altro momento. Metti da parte tua umilmente tutta la mente in Dio e Dio metterà in te la sua grazia, secondo la sua compiacenza».
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11/10/2019 08:30
 
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«Alcuni dissero: "È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni"»

Rev. D. Josep PAUSAS i Mas
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)

Oggi, contempliamo stupefatti, come Gesù è ridicolamente “accusato” di scacciare i demoni «per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni» (Lc 11,15). È difficile immaginare un bene così grande –scacciare, allontanare dalle anime il diavolo, il provocatore dei mali- e, allo stesso tempo, udire l’accusa più grave- farlo, precisamente con il potere del proprio diavolo. È realmente una accusa gratuita, che dimostra molta cecità e invidia da parte degli accusatori del Signore. Anche oggi giorno, senza rendercene conto, eliminiamo radicalmente il diritto che hanno gli altri di dissentire, di essere differenti e ad avere le proprie posizioni contrarie e o, addirittura, opposte alle nostre.

Chi vive chiuso in un dogmatismo politico, culturale o ideologico, facilmente disdegna colui che non è d’accordo, squalificando tutto il suo progetto, negandogli competenza e, perfino, onestà. Allora, l’avversario politico o ideologico si converte in un nemico personale. Il confronto degenera in insulti e agressività. Il clima di intolleranza e reciproca esclusione violenta può, allora, condurci alla tentazione di voler eliminare in qualche modo a chi si presenta come nemico.

In questo clima è facile giustificare qualsiasi tipo di attentato contro le persone, anche, l’assassinio, se il morto non è dei nostri. Quante persone soffrono oggi giorno con questo ambiente di intolleranza e reciproco rifiuto che, con frequenza, si respira nelle istituzioni pubbliche, nei posti di lavoro, nelle assemblee e nelle confrontazioni politiche!

Fra tutti dobbiamo cercare di creare le condizioni per un clima di tolleranza, rispetto reciproco e confronto leale, nel quale sia possibile trovare percorsi di dialogo. I cristiani, lungi dal sacralizzare e irrigidire falsamente le nostre posizioni, manipolando a Dio e identificandolo con le nostre scelte, dobbiamo seguire a questo Gesù che –quando i suoi discepoli pretendevano che impedisse che altri potessero scacciare demoni in Suo nome- li corresse dicendo «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi» (Lc 9,50). Dunque, «tutto il coro innumerevole di pastori, si reduce al corpo di un solo Pastore» (Sant’ Agostino).
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12/10/2019 09:01
 
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Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!»

Rev. D. Jaume AYMAR i Ragolta
(Badalona, Barcelona, Spagna)

Oggi, ascoltiamo la più bella lode che Gesù poteva fare alla Sua stessa Madre: «Beati (...) coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Con questa risposta, Gesù Cristo non respinge la lode appassionata che quella donna semplice dedicava a Sua Madre, bensì la accetta e va oltre, spiegando che Maria Santissima è benedetta –soprattutto- per il fatto di essere stata buona e fedele nel compiere la Parola di Dio.

A volte mi chiedono se noi cristiani crediamo nella predestinazione così come credono altre religioni. No!: noi cristiani crediamo che Dio ha in serbo per noi una meta di felicità. Dio vuole che siamo felici, fortunati, beati. Si noti come questa parola è ripetuta negli insegnamenti di Gesù: «Beati, beati, beati...». «Beati i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (cf. Mt 5,3-12; Gv 20,29). Dio vuole la nostra felicità, una felicità che inizia già in questo mondo, anche se le strade per arrivarci non siano quelle della ricchezza, del potere, del successo facile, della fama, bensì l’amore al povero e umile di colui che tutto attende. La gioia di credere! Quella della quale parlava il convertito Jacques Maritain.

Si tratta di una felicità che è ancor più grande che la gioia di vivere, perché crediamo in una vita senza fine, eterna. Maria, la Madre di Gesù, non è solamente fortunata per averlo portato al mondo, per averlo allattato e cresciuto –così come aveva intuito quella spontanea donna del paese- bensì, e soprattutto, per essere stata ascoltatrice della Parola e per averla messa in pratica: per aver amato e per essersi lasciata amare da Suo Figlio Gesù. Come scrisse il poeta: «Poter dire “madre” e sentirsi dire “figlio mio” / è la fortuna che Dio ci invidiava». Che Maria, Madre dell’Amore, interceda per noi.
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13/10/2019 09:26
 
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Gesù, maestro, abbi pietà di noi!»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench
(Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi, siamo in grado di verificare, ancora una volta!, come il nostro atteggiamento di fede è in grado di rimuovere il cuore di Gesù Cristo. Il fatto è che alcuni lebbrosi, superando lo stigma sociale subito da quelli con la lebbra e con una buona dose di coraggio, si avvicinano a Gesù e -potremmo dire tra virgolette- obbligano Lui con la sua fiduciosa richiesta, «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!» (Lc 17,13).

La risposta è immediata e fulminante, «Andate a presentarvi ai sacerdoti». (Lc 17,14). Colui che è il Signore, mostra il tuo potere, «perché mentre essi andavano, furono purificati». (Lc 17,14).

Questo dimostra che la misura dei miracoli di Cristo è proprio la misura della nostra fede e fiducia in Dio. Che possiamo fare noi -povere creature- davanti a Dio, ma avere fiducia in Lui? Ma con una fede operativa, che ci spinge a obbedire le indicazioni di Dio. Basta un grammo di buon senso per capire che «nulla è troppo difficile da credere toccando Colui per il quale nulla è troppo difficile da fare» (Beato J. H. Newman). Se non vediamo più miracoli è perché “obblighiamo” poco il Signore con la nostra mancanza di fiducia e di obbedienza alla sua volontà. Come diceva San Giovanni Crisostomo, «un po 'di fede può tanto».

E, come l' incoronazione della fiducia in Dio, arriva il trabocco della gioia e della gratitudine, anzi, «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo» (Lc 17, 15-16).

Ma... che peccato! Dieci destinatari di quel grande miracolo, e ne ritorna solo uno. Come siamo ingrati quando dimentichiamo così facilmente che tutto viene da Dio e che a Lui dobbiamo tutto! Facciamo il proposito di obbligarlo mostrando fiducia in Dio e gratitudine verso di Lui.
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14/10/2019 09:00
 
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«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno»

P. Raimondo M. SORGIA Mannai OP
(San Domenico di Fiesole, Florencia, Italia)

Oggi, la dolce voce –ma severa- di Cristo mette in guardia quelli che sono convinti di aver già il “biglietto” per il paradiso soltanto perché dicono: “Gesù, che bello sei!”. Gesù ha pagato il prezzo della nostra salvezza senza escludere nessuno, ma bisogna osservare alcune condizioni primordiali. E, tra queste, c’è la condizione di non pretendere che Cristo faccia tutto e noi niente. Questo sarebbe non solo stupidità, ma superbia malvagia. Per questo, oggi il Signore usa la parola “malvagia”: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona» (Lc 11,29). Gli da il nome “malvagia” perché impone la condizione di vedere prima miracoli spettacolari per dare poi la sua eventuale e condiscendente adesione.

Nemmeno davanti ai suoi paesani di Nazareth consentì, perché –esigenti!- pretendevano che Gesù segnasse la sua missione di profeta e Messia con prodigi meravigliosi, che loro volevano assaporare come spettatori seduti nella poltrona di un cinema. Ma questo non è possibilie: il Signore offre la salvezza, ma solo a quelli che si sottomettono a Lui per mezzo di una obbedienza che nasce dalla fede, che aspetta e tace. Dio pretende quella fede antecedente (che Lui stesso ha messo nella nostra anima come un seme di grazia).

Un testimone contro i credenti che mantengono una caricatura della fede sarà la regina del Sud, che si spostò dai confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone, e risulta che «qui vi è uno più grande di Salomone» (Lc 11,31). Dice un proverbio che “non c’è più sordo che quello che non vuole ascoltare”. Cristo, condannato a morte, risusciterà al terzo giorno: a chi lo riconosce, Lui propone la salvezza, mentre invece per gli altri –tornando come Giudice- non ci sarà più nulla da fare, bensì ascoltare la condanna per ostinata incredulità. Accettiamolo con fede e amore anticipato. Lo riconosceremo e Lui ci riconoscerà come suoi. Diceva il Servo di Dio Don Alberione: “Dio non spreca la luce: accende le lampadine nel momento del bisogno, ma sempre nel tempo opportuno”.
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15/10/2019 08:34
 
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Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro»

Rev. D. Pedro IGLESIAS Martínez
(Rubí, Barcelona, Spagna)

Oggi, l’evangelista ci presenta Gesù in un banchetto: «Un fariseo lo invitò a pranzo» (Lc 11,37). Che idea geniale! Come ci sarà rimasto l’anfitrione quando l’ospite non eseguì il rituale di lavarsi (che non era un precetto della Legge, bensì una antica tradizione rabbinica) e inoltre censurò contundentemente lui e il suo gruppo sociale. Il fariseo certamente non azzeccò la giornata giusta, ed il comportamento di Gesù, come si direbbe oggi, non fu “politicamente corretto”.

I Vangeli ci mostrano che al Signore poco importava il “cosa dirà la gente” e del fatto che fosse o no “politicamente corretto”; per questo piaccia o no alla gente, entrambe le cose non devono essere norma di attuazione di colui che si considera cristiano. Gesù condanna chiaramente l’azione propria della doppia morale, l’ipocrisia che cerca la convenienza o l’inganno: «Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria» (Lc 11,39). Come sempre, la Parola di Dio ci interpella circa gli usi e i costumi della nostra vita quotidiana, nella quale finiamo per convertire in “valori” le sciocchezze che cercano di occultare i peccati di superbia, egoismo ed orgoglio nel tentativo di “globalizzare” la morale nel politicamente corretto, con il fine unico di non discordare e di non essere emarginati senza che importi il prezzo da pagare, ne come turbiamo la nostra anima perché, alla resa dei conti tutti lo fanno!

Diceva San Basilio che «da nulla deve fuggire l’uomo prudente tanto come di vivere secondo il parere altrui». Se siamo testimoni di Cristo, dobbiamo sapere che la verità sempre è e sarà verità succeda quel che succeda.. Questa è la nostra missione tra gli uomini con i quali condividiamo la vita, cercando di mantenerci sempre limpidi seguendo il modello di uomo che Dio ci rivela in Cristo. La purezza di spirito sta al di sopra delle forme sociali e, in caso di dubbio, ricordiamoci sempre che i puri di cuore vedranno Dio. Che ognuno scelga l’obiettivo del proprio sguardo per tutta l’eternità.
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17/10/2019 21:03
 
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Costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi»

Rev. D. Pedro-José YNARAJA i Díaz
(El Montanyà, Barcelona, Spagna)

Oggi, ci si propone il senso, l’accettazione ed il trattamento dato ai profeti: «Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno» (Lc 11,49). Sono persone di qualunque condizione sociale o religiosa, che hanno ricevuto il messaggio divino e si sono impregnati di esso; impulsati dallo Spirito, l’esprimono con segni e parole comprensibili nella loro epoca. E’ un messaggio trasmesso per mezzo di discorsi, mai compiacenti o comportamenti, quasi sempre difficili da accettare. Una caratteristica della profezia è la sua scomodità. Il dono risulta fastidioso per chi lo riceve, perché gli brucia interiormente, ed è spiacevole per quanto lo circonda, poichè oggi, grazie a l’Internet o ai satelliti, puó diffondersi in tutto il mondo.

I contemporanei del profeta pretendono condannarlo al silenzio, lo calunniano, lo screditano, così fino alla morte. Arriva allora il momento di erigergli un sepolcro e di organizzargli omaggi quando non da più fastidio. Non mancano nell’attualità profeti che godono di prestigio universale: la Madre Teresa, Giovanni XXIII, Monsignor Romero... Ricordiamo di cosa si lagnavano e ci esigevano? Mettiamo in pratica quello che ci fecero vedere? La nostra generazione dovrà rendere conto della cappa di ozono che ha distrutto, della desertizzazione che il nostro spreco d‘acqua ha causato, e anche dell´ostracismo a cui abbiamo ridotto i nostri profeti.

Ci sono ancora persone che si riservano il “diritto di sapere in esclusiva”, diritto che condividono –nel migliore dei casi- con i loro congeneri, con quelli che permettono loro di continuare a conservarsi nei loro successi e sulla loro fama. Persone che chiudono il passo a quelli che cercano di entrare negli ambiti della consapevolezza, non sia il caso che sappiano tanto come loro e li superino: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11,52).

Adesso, come ai tempi di Gesù, molti analizzano frasi e studiano testi per screditare quelli che incomodano per le loro parole. E’ questo il nostro modo di procedere? «Non c’è cosa più pericolosa come giudicare le cose di Dio con i ragionamenti umani» (San Giovanni Crisostomo).
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19/10/2019 15:38
 
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«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio»

P. Alexis MANIRAGABA
(Ruhengeri, Ruanda)

Oggi, il Signore sveglia la nostra fede e la nostra speranza in Lui. Gesú ci predice che dovremo comparire davanti all’ esercito celeste per essere esaminati. E chiunque avrá riconosciuto Gesú, unendosi alla Sua missione, «anche il Figlio dell’ uomo lo riconoscerá» (Lc 12,8). Tale confessione pubblica viene realizzata in parole, in azioni e durante tutta l’ esistenza.

Questa interpellanza risulta ancora piú necessaria ed urgente in questo nostro tempo in cui c’ é gente che non vuole ascoltare la voce di Dio né seguire il Suo cammino di vita. Tuttavia la confessione della nostra fede raggiungerá un forte seguimento. Perció non confessiamo la nostra fede per la paura di un castigo –che sará piú severo per gli apostati- né per l’ abbondante recompensa riservata ai fedeli. La nostra testimonianza é necessaria ed urgente per la vita del mondo, ed é lo stesso Dio che la chiede cosí come dice San Giovanni Crisostomo: ”Dio non si contenta della fede interna; Egli esige la confessione esterna e pubblica, e ci sprona cosí verso una fiducia ed un amore maggiori”.

La nostra confessione viene sostenuta dalla forza e dalla garanzia dello Spirito Santo che é attivo in noi e ci difende. Che Cristo Gesú ci riconosca alla presenza dei Suoi angeli risulta d’ importanza vitale, giacché questo fatto ci permetterá di vederLo faccia a faccia, di vivere con Lui e di essere inondati della Sua luce. Cosí pure, il contrario non sará altro che soffrire e perdere la vita, restare privi della luce e spogli di ogni bene. Chiediamo, dunque, la grazia di evitare ogni negazione per paura del supplizio o per ignoranza, per le eresie, per la fede sterile e per ir- responsabilitá o perché vogliamo evitare il martirio. Siamo forti; lo Spirito santo é con noi! E “con lo Spirito Santo c’ é sempre Maria (…) e Lei ha reso possibile l’ esplosione missionaria suscitata a Pentecoste”. (Papa Francesco).
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20/10/2019 08:48
 
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Pregare sempre, senza stancarsi mai»

Rev. D. Pere CALMELL i Turet
(Barcelona, Spagna)

Oggi, Gesù ci ricorda la «necessità di pregare sempre, senza stancarsi» (Lc 18,1). Insegna con le sue opere e parole. San Luca si presenta come l' evangelista della preghiera di Gesù. In effetti, in alcune delle scene della vita del Signore che gli autori ispirati delle Sacre Scritture ci trasmettono, è solo Luca che lo mostra mentre prega.

Nel Battesimo nel Giordano, per l' elezione dei Dodici e nella Trasfigurazione. Quando un discepolo Gli chiese: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1), dalle sue labbra uscì il Padrenostro. Quando annuncia le smentite di Pietro: «ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede» (Lc 22,32). Nella crocifissione: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Quando muore sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» del Salmo 31. Il Signore è il modello stesso della preghiera di petizione, specialmente nel Getsemani, secondo la descrizione di tutti gli evangelisti.

-Posso specificare come solleverò il cuore a Dio nelle varie attività, perché non è lo stesso per il lavoro intellettuale che quello manuale, essere in chiesa che sul campo sportivo o a casa, guidare per la città o sull’autostrada, non è la stessa preghiera quella di petizione che quella di gratitudine, o la adorazione che la supplica del perdono, la mattina presto che quando abbiamo addosso tutta la stanchezza della giornata. San Josemaría Escrivá ci dà una ricetta per la preghiera di petizione: «Ottiene di più chi insiste più da vicino... Per questo, avvicinati a Dio: impegnati a essere santo».

Santa Maria è un modello di preghiera, anche di petizione. A Cana di Galilea è in grado di avanzare il tempo di Gesù, il tempo dei miracoli, con la sua richiesta, piena di amore per quelli sposi e di fiducia nel suo Figlio.
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21/10/2019 09:04
 
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«La sua vita non dipende da ciò che egli possiede»

Fray Lluc TORCAL Monje del Monasterio de Sta. Mª de Poblet
(Santa Maria de Poblet, Tarragona, Spagna)

Oggi, il Vangelo, se non ci tappiamo le orecchie e non chiudiamo gli occhi, ci causerà una grande commozione per la sua chiarezza: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (Lc 12,15). Cos'è quello che garantisce la vita dell’uomo?

Sappiamo benissimo su cosa è assicurata la vita di Gesù, perché Lui stesso ce l’ha detto: «Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26). Sappiamo che la vita di Gesù non deriva solamente dal Padre, ma che consiste nel fare la sua volontà, poiché questo è il suo alimento, e la volontà del Padre equivale a realizzare la sua grande opera di salvazione tra gli uomini, offrendo la vita per i suoi amici, segno del più eccelso amore. La vita di Gesù è, pertanto, una vita ricevuta totalmente dal Padre e consegnata totalmente allo stesso Padre e, per amore al Padre, agli uomini. La vita umana, potrà allora essere sufficiente per se stessa? Si potrà negare che la nostra vita è un dono, che abbiamo ricevuto e che, soltanto per questo, dobbiamo già essere grati? «Che nessuno creda che è padrone della propria vita» (San Geronimo).

Seguendo questa logica, ci rimane solo da chiederci: ¿Che senso può avere la nostra vita se si chiude in se stessa, se trova piacere al dirsi: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti» (Lc 12,19)? Se la vita di Gesù è un dono ricevuto e concesso sempre nell’amore, la nostra vita –che non possiamo negare di aver ricevuto- deve diventare, seguendo quella di Gesù, un dono totale a Dio e ai fratelli, perché «chi ama la propria vita, la perde» (Gv 12,25).
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23/10/2019 08:50
 
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Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo»

Rev. D. Josep Lluís SOCÍAS i Bruguera
(Badalona, Barcelona, Spagna)

Oggi, con la lettura di questo frammento del Vangelo, possiamo osservare che ogni persona è un amministratore: quando si nasce, riceviamo tutti un’eredità genetica e delle capacità per realizzarci nella vita. Scopriamo che queste potenzialità e la vita stessa sono un dono di Dio, visto che noi non abbiamo fatto nulla per meritarle. Sono un regalo personale, unico e intrasferibile ed è ciò che ci conferisce la nostra personalità. Sono i “talenti” di cui ci parlò Gesù stesso (cf. Mt 25,15), le qualità che dobbiamo far crescere nel trascorso della nostra esistenza.

«Nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Lc 12,40), finisce dicendo Gesù nel primo paragrafo. La nostra speranza è nella vita del Signore Gesù alla fine dei tempi; però ora qui, anche Gesù si fa presente nella nostra vita, nella semplicità e nella complessità di ogni momento. È oggi che con la forza del Signore possiamo vivere nel suo Regno. San Agostino ce lo ricorda con le parole del salmo 32,12: «Beata la nazione il cui Dio è il Signore», affinché possiamo esserne consapevoli, formando parte di questa nazione.

«Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Lc 12,40), questa esortazione rappresenta un richiamo alla fedeltà, la quale mai è subordinata all’egoismo. Abbiamo la responsabilità di saper “corrispondere” ai beni che abbiamo ricevuto insieme alla nostra vita, «conoscendo la volontà del padrone» (Lc 12,47), è ciò che chiamiamo la nostra “coscienza”, ed è ciò che ci fa degnamente responsabili delle nostre azioni. La risposta generosa da parte nostra verso l’umanità, verso ogni essere vivente è una cosa doverosa e piena d’amore.
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24/10/2019 09:20
 
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Sono venuto a gettare fuoco sulla terra»

Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)

Oggi, il Vangelo ci presenta a Gesù come una persona di grandi desideri: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Gesù vorrebbe già vedere il mondo bruciare, ma bruciare di carità e virtù. Quasi niente! Deve affrontare ancora la prova di un battesimo, cioè, della croce, che avrebbe già voluto superare. Naturalmente! Gesù ha dei progetti in mente, e ha premura per vederli già realizzati. Potremmo dire che si tratta di una premura dovuta ad una santa impazienza. Anche noi abbiamo idee e progetti, e li vorremmo vedere realizzati subito. Il tempo interferisce. «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» (Lc 12,50), disse Gesù.

È lo stress della vita, l'inquietudine vissuta dalle persone che hanno grandi progetti. D’altra parte, chi è privo di desideri è un pusillanime, un morto, un ostacolo. Inoltre è una persona triste, amareggiata, abituata a sfogarsi criticando coloro che lavorano. Ma tutti sappiamo che sono le persone che si muovono che generano movimento intorno a sé; sono quelle che avanzano che permettono agli altri di avanzare con loro.

Abbi grandi desideri! Punta in alto! Cerca la perfezione personale, familiare, professionale, apostolica... (delle tue opere, quella degli incarichi che ti confidano I santi hanno aspirato al massimo. Non ebbero paura dinanzi allo sforzo e alla tensione. Si mossero. Muoviti anche tu! Ricorda le parole di Sant’Agostino: «Se dici basta, sei perduto. Aggiungi sempre, cammina sempre, avanza sempre; non ti fermare per strada, non retrocedere, non deviare. Si ferma colui che non avanza; retrocede colui che ripensa nel punto di partenza, si svia colui che apostata. È meglio uno zoppo che va per il cammino che colui che corre fuori dal cammino». E aggiunge: «Esaminati ma non accontentarti con quel che sei se vuoi arrivare a quello che non sei. Perché nello stesso istante in cui ti compiaccia, ti sarai fermato». Ti muovi o stai fermo? Chiedi aiuto a Maria Santissima, Madre della Speranza.
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25/10/2019 09:31
 
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Come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?»

Rev. D. Frederic RÀFOLS i Vidal
(Barcelona, Spagna)

Oggi, Gesù vuole che alziamo il nostro sguardo verso il cielo. Stamattina, dopo tre giorni di pioggia ininterrotta, il cielo è apparso luminoso e chiaro in uno dei giorni più splendenti di quest’autunno. Cominciamo a capire il tema del cambio del tempo, giacché adesso i meteorologi sono quasi di famiglia; invece si fa fatica a capire in quale tempo siamo e viviamo: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (Lc 12,56). Molti tra quelli che ascoltavano Gesù lasciarono perdere un’occasione unica nella storia di tutta l’Umanità. Non videro in Gesù il Figlio di Dio. Non capirono il tempo, l’ora della salvazione.

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione “Gaudium et Spes” (4), attualizza il Vangelo di oggi: «Pende sulla Chiesa il dovere permanente di scrutare a fondo i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo (...) E’ necessario, perciò, conoscere e capire il mondo in cui viviamo e le sue speranze, le sue aspirazioni, il suo modo di essere, frequentemente drammatico».

Quando osserviamo la storia, non costa molto segnalare le occasioni perse dalla Chiesa, per non aver scoperto il momento allora vissuto. Ma, Signore, quante occasioni non avremo perso adesso per non aver saputo scoprire i segni dei tempi, vale a dire non vivere ed illuminare la problematica attuale con la luce del Vangelo? «Perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,57), ci torna a ricordare Gesù.

Non viviamo in un mondo di cattiveria, sebbene ce ne sia abbastanza. Dio non ha abbandonato il suo mondo. Come ricordava san Giovanni della Croce, abitiamo in una terra sulla quale è vissuto lo stesso Dio e che Lui ha colmato di bellezza. Beata Teresa di Calcutta percepì i segni dei tempi, ed il tempo, il nostro tempo, ha compreso la Beata Teresa di Calcutta. Che lei ci sproni. Continuiamo a guardare verso l’alto senza perdere di vista la terra.
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27/10/2019 07:43
 
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«O Dio, abbi pietà di me...»

Rev. D. Joan Pere PULIDO i Gutiérrez
(Sant Feliu de Llobregat, Spagna)

Oggi, leggiamo con attenzione e novità il Vangelo di Luca. Una parabola rivolta ai nostri cuori. Delle parole di vita per rivelare la nostra autenticità umana e cristiana, che si basa su l'umiltà di sapere che siamo peccatori («O Dio, abbi pietà di me peccatore» Lc 18,13), e nella misericordia e la bontà del nostro Dio («chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato»: Lc 18,14).

L' autenticità è, oggi più che mai!, una necessità per scoprire noi stessi e mettere in evidenza la realtà liberatrice di Dio nelle nostre vite e nella nostra società. E ' l' atteggiamento giusto affinché la Verità della nostra fede arrivi, con tutta la sua forza, all’ uomo e la donna di oggi. Tre elementi costituiscono la colonna vertebrale di questa autenticità evangelica: la fermezza, l' amore e la saggezza (cf. 2Tim 1,7).

La fermezza, per conoscere la Parola di Dio e mantenerla nelle nostre vite, nonostante le difficoltà. Specialmente in questo nostro tempo, dobbiamo prestare attenzione a questo punto, perché vi è molto di auto-inganno nell'ambiente che ci circonda. San Vincenzo di Lerins ci ha avvertito: "Appena comincia a propagarsi la putrefazione di un nuovo errore e questo, per giustificarsi, prende alcuni versetti della Scrittura, che interpreta con false dichiarazioni e le frodi"

L' amore, per guardare con occhi teneri –cioè, lo sguardo di Dio- alla persona o l' evento che abbiamo davanti a noi. San Giovanni Paolo II ci invita a «promuovere una spiritualità della comunione» che, tra altre cose, significa «uno sguardo del cuore soprattutto verso il mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce deve essere riconosciuta anche nel volto dei fratelli che stanno al nostro fianco».

E, infine, saggezza per trasmettere questa Verità nel linguaggio di oggi, incarnando realmente la Parola di Dio nella nostra vita: «Crederanno le nostre opere più che a qualsiasi altro discorso» (San Giovanni Crisostomo).
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29/10/2019 08:18
 
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«A che cosa è simile il regno di Dio?»

+ Rev. D. Francisco Lucas MATEO Seco
(Pamplona, Navarra, Spagna)

Oggi, i testi della liturgia, per mezzo di due parabole, mettono davanti ai nostri occhi una delle caratteristiche proprie del Regno di Dio: è qualcosa che cresce lentamente –come un chicco di senape- ma che arriva a crescere fino al punto di offrire rifugio agli uccelli del cielo. Così lo manifestava Tertulliano: «Siamo di ieri e siamo dappertutto!». Con questa parabola, Nostro Signore esorta alla pazienza, alla fermezza alla speranza. Queste virtù sono particolarmente necessarie a coloro che si dedicano a diffondere il Regno di Dio. E’ necessario saper attendere, perché il chicco seminato, con la grazia di Dio e con la cooperazione umana, cresca, sprofondando le sue radici nella buona terra e cresca gradualmente, fino a diventare un albero. Bisogna, anzitutto, avere fede nella virtualità –fecondità- contenuta nel seme del Regno di Dio. Questa semente è la Parola; ma è pure l’Eucaristia, che si semina in noi per mezzo della Comunione. Nostro Signore Gesù Cristo paragonerà Sé stesso con il «chicco di grano, caduto in terra, (...) se (...) muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).

Il Regno di Dio, continua Nostro Signore, è simile «al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Lc 13,21). Anche qui si parla della capacità che ha il lievito di far fermentare la massa. Così succede con “il resto d’Israele” di cui si parla nell’Antico Testamento: il “resto” dovrà salvare e lievitare tutto il popolo. Continuando con la parabola, solamente è necessario che il lievito stia nella massa, che arrivi al popolo, che sia come il sale, capace di preservare dalla corruzione e di dare buon sapore a tutto il cibo (cf. Mat 5,13). E’ pure necessario dar tempo affinché il lievito svolga il suo lavoro.

Parabole che stimolano alla pazienza e alla speranza sicura, parabole che ci parlano del Regno di Dio e della Chiesa, e che si applicano anche allo sviluppo di questo stesso Regno e di quello di ognuno di noi.
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30/10/2019 07:58
 
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Sforzatevi di entrare per la porta stretta»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)

Oggi, andando verso Gerusalemme, Gesù si ferma un momento e qualcuno ne approfitta per domandarGli: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). Forse, all’ascoltare Gesù, quell’uomo si impensierì. Certamente, quello che Gesù insegna è meraviglioso ed attraente, ma le esigenze che comporta non sono di suo gradimento. Ma, e se volesse vivere il Vangelo a modo suo, con una “morale alla carta”? Quali probabilità avrebbe di salvarsi?

Così, dunque, domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» Gesù non accetta questa impostazione. La salvazione è una questione troppo seria per poter essere risolta mediante un calcolo di probabilità. Dio «non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.» (2P 3,9).

Gesù risponde: «Sforzatevi ad entrare per la porta stretta, perché molti ,io vi dico, cercheranno di entrare ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo:”Signore, aprici!” Ma Egli vi risponderà:`Non so di dove siete´». Come possono considerarsi parte del suo gregge se non seguono il Buon Pastore né accettano il Magistero della Chiesa? «Allontanatevi da me, voi tutti operatori d’iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti» (Lc 13,27-28).

Né Gesù né la Chiesa temono che l’immagine di Dio Padre resti offuscata a causa della rivelazione del mistero dell’inferno. Come afferma il Catechismo della Chiesa, «le affermazioni delle Sacre Scritture e gl’insegnamenti della Chiesa a proposito dell’inferno sono un richiamo alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la sua libertà in relazione al suo destino eterno. Costituiscono, allo stesso tempo, un appello incalzante alla conversione» (n. 1036).

Cerchiamo di non ”fare i furbi” e finiamola di fare calcoli. Sforziamoci di entrare per la porta stretta, ricominciando quante volte sia necessario, fiduciosi nella Sua misericordia. «Tutto quello che ti preoccupa momentaneamente –dice san Josemaría-, importa poco. Quello che importa in un modo assoluto è che tu sia felice, che ti salvi».
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31/10/2019 16:39
 
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Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli e voi non avete voluto!»

Rev. D. Àngel Eugeni PÉREZ i Sánchez
(Barcelona, Spagna)

Oggi, possiamo ammirare la fermezza di Gesù nel compiere la missione che Gli è stata affidata dal Padre del Cielo. Lui non va a fermarsi per nulla: «Io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani» (Lc 13,32). Con questo atteggiamento, il Signore marcò la regola di condotta che lungo i secoli continueranno ad osservare i messaggeri del Vangelo durante le persecuzioni: non piegarsi di fronte al potere temporale. Sant’Agostino dice che, in epoca di persecuzioni , i pastori non devono abbandonare i fedeli, ne quelli che soffriranno il martirio, nè quelli che sopravviveranno, come il Buon Pastore, che, vedendo venire il lupo, non abbandona il suo gregge, ma lo difende. Visto però il fervore con cui tutti i pastori della Chiesa erano disposti a spargere il proprio sangue, indica che sarà meglio sorteggiare quali dei pastori vengano offerti al martirio e quali restino a salvo per poi prendersi cura dei sopravvissuti.

Ai nostri giorni, con sfortunata frequenza, ci arrivano notizie di persecuzioni religiose, violenze fra tribù o rivoluzioni etniche in paesi del Terzo Mondo. Le ambasciate occidentali consigliano i propri concittadini di abbandonare la regione e a rimpatriare il proprio personale. Gli unici a rimanere sono i missionari e le organizzazioni di volontari, perché sembrerebbe un tradimento abbandonare i “propri” nei momenti difficili.

«Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto accogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta!» (Lc 13,34-35). Questo lamento produce in noi, cristiani del secolo XXI, una tristezza particolare, dovuta al sanguinoso conflitto tra giudei e palestini. Per noi, questa regione dell’Oriente Medio, è la Terra Santa, la terra di Gesù e di Maria. Ed il clamore per la pace in tutti i paesi, deve essere ancora più intenso e sentito per la pace in Israele e Palestina.
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02/11/2019 09:18
 
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Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno»

Fra. Agustí BOADAS Llavat OFM
(Barcelona, Spagna)

Oggi il Vangelo evoca il fatto più fondamentale del cristiano: la morte e risurrezione di Gesù. Facciamo oggi nostra la preghiera del Buon Ladrone: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42). «La Chiesa non prega per i santi come prega per i defunti, i quali dormono già nel Signore, ma li affida alle loro preghiere» diceva Sant’Agostino in un sermone. Una volta all’anno, almeno, i cristiani ci interroghiamo sul senso della nostra vita e sul senso della nostra morte e risurrezione. E`questo il giorno della commemorazione dei fedeli defunti, della quale Sant Agostino ci ha mostrato la distinzione dalla festa di Tutti i Santi.

Le sofferenze dell’Umanità sono le stesse che quelle della Chiesa e, senza nessun dubbio, hanno in comune il fatto che ogni sofferenza umana è in qualche modo privazione di vita. Pertanto, la morte di una persona cara produce in noi un dolore indicibile che neppure la fede può alleviare. Per questa ragione gli uomini hanno sempre voluto rendere onore ai defunti. La memoria, in effetti, è un modo per rendere presenti gli assenti, di perpetuare la loro vita. Tuttavia i meccanismi psicologici e sociali, con il trascorrere del tempo, attutiscono i ricordi. Se questo può umanamente essere angosciante, cristianamente, grazie alla risurrezione, troviamo la pace. Il vantaggio di credere in essa è che ci permette di fare affidamento al fatto che, nonostante l’oblio, torneremo a ritrovarli nell’altra vita.

Un secondo vantaggio del credere è che, al ricordare i defunti, preghiamo per loro. Lo facciamo dal di dentro, in intimità con Dio, e ogni volta che preghiamo assieme, nell’Eucaristia: non siamo soli davanti al mistero della morte e della vita, ma lo condividiamo con i membri del Corpo di Cristo. Inoltre: vedendo la Croce sospesa tra cielo e terra, sappiamo che si stabilisce una comunione tra noi e i nostri defunti. Per questo San Francesco proclamò riconoscente: «Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella, la morte corporale».
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03/11/2019 09:11
 
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Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua»

Rev. D. Joaquim MESEGUER García
(Rubí, Barcelona, Spagna)

Oggi, la storia del Vangelo sembra come il compimento della parabola del fariseo e del pubblicano (cfr Lc 18,9-14). Umile e sincero di cuore, il pubblicano pregava: «O Dio , abbi pietà di me peccatore» (Luca 18:13), e oggi contempliamo come Gesù perdona e ristabilisce Zaccheo , il capo dei pubblicani di Gerico, un uomo ricco e influente, ma odiato e disprezzato dai suoi vicini, che si vedevano estorti da lui: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Il perdono divino porta Zaccheo alla conversione; ecco quí una delle cose originali del Vangelo: il perdono di Dio è gratis, non tanto a causa della nostra conversione che Dio ci perdona, ma succede in senso inverso: la misericordia di Dio ci muove al ringraziamento e dare una risposta.

Come in quell'occasione Gesù, nel suo cammino verso Gerusalemme, passava per Gerico. Oggi e ogni giorno, Gesù passa per la nostra vita e ci chiama per il nostro nome. Zaccheo non aveva mai visto Gesù, aveva sentito parlare di lui ed era curioso di sapere chi fosse quel celebre maestro. Gesù, però, sì conosceva Zaccheo e le miserie della sua vita. Gesù sapeva come si era arricchito e come egli era odiato e ostracizzato dai suoi vicini, per ciò passò per Gerico per tirarlo fuori dal pozzo: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10).

L’incontro del Maestro con il pubblicano cambiò radicalmente la vita di quest'ultimo. Dopo aver ascoltato il Vangelo, pensa alla possibilità di Dio ti offre oggi e che non devi sprecare: Gesù passa per la tua vita e ti chiama per il nome, perché ti ama e ti vuole salvare, in qual pozzo sei intrappolato? Così come Zaccheo salì su un albero per vedere Gesù, sali tú adesso con Gesù all'albero della croce e saprai chi è Lui, conoscerai l'immensità del suo amore, giacché «sceglie un capo dei pubblicani: chi dispererà di se stesso quando lui raggiunga la grazia?» (S. Ambrogio).
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04/11/2019 08:21
 
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Quando offri un banchetto, invita poveri, (...) perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti»

Fr. Austin Chukwuemeka IHEKWEME
(Ikenanzizi, Nigeria)

Oggi, il Signore ci insegna il vero significato della generosità cristiana: il darsi agli altri. «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio» (Lc 14,12).

Il cristiano si comporta nel mondo come una persona comune; ma il fondamento del tratto con i suoi simili non può essere né la ricompensa umana né la vanagloria; deve cercare, prima di tutto, la Gloria di Dio senza pretendere altra ricompensa che quella del Cielo. «Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti» (Lc 14, 13-14).

Il Signore ci invita a darci incondizionatamente a tutti gli uomini, mossi solo per amore a Dio ed al prossimo per il Signore. « E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto» (Lc 6,34).

Questo è così perché il Signore ci aiuta a comprendere che se non ci diamo generosamente, senza aspettare ricompensa alcuna, Dio ce lo ripagherà con una grande ricompensa e ci farà Suoi figli prediletti. Per questo, Gesù ci dice: « Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell'Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (Lc 6,35).

Chiediamo a Maria Santissima la generosità di saper fuggire da qualsiasi tendenza all’egoismo, come suo Figlio. «Egoista. —Tu, sempre “a pensare a te”. Sembri incapace di sentire la fratellanza di Cristo: negli altri non vedi fratelli; vedi gradini (...)». (San Josemaría Escrivá de Balaguer, Cammino nº31).
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