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Segnalazione libri e riviste

Ultimo Aggiornamento: 01/05/2006 17:26
15/04/2004 12:23
 
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Uscita la prima edizione italiana integrale dell’«Avesta»

Da: http://www.lastampa.it/_settimanali/ttl/estrattore/Tutto_Libri/art10.asp


Così davvero parlò Zarathustra, profeta di pace e tolleranza
La prima edizione italiana integrale dell’«Avesta», inni e preghiere di una religione in cui la rivelazione non è un dono divino ma una conquista del pensiero umano

10/4/2004

Anacleto Verrecchia


ANCHE l’Italia, finalmente, ha un’edizione dell’Avesta, il libro sacro dell’antichissima religione annunciata dal profeta Zarathustra! L’intero corpus avestico che ci rimane è qui tradotto per la prima volta integralmente in italiano. Il tutto si deve al bravissimo Arnaldo Alberti, un privato studioso che non ama il proscenio e per questo merita un doppio applauso. La figura di Zarathustra, come spesso accade con i fondatori di grandi religioni, è avvolta nel mito. Lo hanno definito il primo saggio dell’umanità, ma nessuno saprebbe precisare l’epoca della sua esistenza. Per i greci, che ne mutuarono gli insegnamenti, Zoroastro, come essi lo chiamarono, sarebbe vissuto seimila anni prima di Platone. Si tratta, evidentemente, di una datazione fantastica. Tuttavia, sull’onda del mito, si è quasi tentati di dire, all’ottava alta e in forma poetica, così: quando il sole non aveva ancora squarciato le tenebre che ricoprivano le nostre lande, sull’altopiano iranico risuonava solenne la parola del magnanimo Zarathustra. Ex oriente lux! Bisogna averlo percorso, quell’altopiano, per sapere quanto esso parli una lingua antica. Per secoli l’Avesta, come del resto il Rigveda e altri testi dell’alta sapienza orientale, fu tramandato oralmente. Si presume che una prima stesura sia stata fatta nel X secolo avanti Cristo. In seguito e fino alle soglie dell’era islamica, il nucleo originario, ossia l’Avesta antico, si accrebbe di nuovi inni e di nuove disposizioni liturgiche, che costituiscono l’Avesta più recente. Di tutto quell’insieme, a noi è giunto appena un quarto o un quinto, che si suddivide in sezioni: Yasna (ufficio divino) è un libro fondamentalmente liturgico e contiene le Gatha, inni sacri attribuiti allo stesso Zarathustra. Seguono il Khordah Avesta (libro di preghiere), il Videvdat (libro dedicato alle leggi e forse la parte più bella) e il Visperad (libro liturgico). Infine abbiamo frammenti di varia ampiezza di altri libri. Zarathustra non si limita a raccogliere la parola del suo dio, che chiama Ahura Mazda, «signore che crea con il pensiero», ma lo interroga con ritmo incalzante sui misteri del mondo. Vuole sapere ed esige delle risposte: «Questo io ti chiedo, o Ahura, e tu rispondimi apertamente. Chi, dando inizio al creato, è stato fin dall’inizio il padre di Asha, il Vero? Chi ha stabilito il cammino del sole e delle stelle? Da chi proviene il crescere e lo scomparire della luna? Questo e altro ancora, o Mazda, desidero sapere». Oppure: «Questo io ti chiedo, Ahura: le cose che io rivelo sono veramente la verità?
... Con queste domande io ti aiuto, o Mazda, a farti conoscere come creatore di tutte le cose». Giustamente l’Alberti scrive che nell’Avesta è l’uomo a interrogare dio e che la rivelazione non è «un dono spontaneo delle divinità, ma la conquista del pensiero umano». Non per niente nel cosiddetto Libro del consiglio di Zarathustra, un testo scritto probabilmente dopo il crollo dell’impero sassanide e che non fa parte dell’Avesta, si legge: «Sii diligente nell’acquisizione del sapere, poiché il sapere è seme della conoscenza, e il suo frutto è la sapienza». Si legga, per contrasto, ciò che Celso scrive sull’ignoranza voluta e proclamata dai primi cristiani. Piena di slancio è l’invocazione di Zarathustra al sole: «Su, sorgi e prendi a fare il tuo giro, tu Sole dagli agili cavalli, sopra la cima del
monte Hara Berezaiti, e dona la tua luce al mondo». Questa squillante preghiera può fare il paio con quella che il Prometeo legato di Eschilo rivolge agli elementi della natura o con l’inno alla luce della Brünnhilde wagneriana. Ma la parte più bella dell’Avesta, almeno per me, è l’amore, continuamente ripetuto, per gli animali, in modo particolare per i cani. Ahura Mazda, per bocca di Zarathustra, raccomanda di preparare una morbida cuccia per la cagna incinta e di assisterla amorevolmente fino a quando «i giovani cuccioli non saranno in grado di difendersi e di alimentarsi da soli». Guai a far loro del male! Chi uccide un cane, ammonisce il dio avestico, «uccide la sua stessa anima per nove generazioni» e non troverà salvezza. Sì, l’amore per gli animali, che sono i più indifesi, è una via che conduce al cielo. Nella dotta introduzione, che a volte è fin troppo tecnica e puntigliosa, Alberti nega il carattere dualistico dello zarathustrismo, mentre altri, come ad esempio l’iranista Robert Charles Zaehner, lo ribadiscono. A me sembra che con il dualismo le cose quadrino meglio. Di fronte ad Ahura Mazda sta Arimane, che nell’Avesta viene chiamato Angra Maynu. Son tutti e due puri spiriti eterni, anche se antagonisti, in quanto l’uno è uno spirito positivo e l’altro uno spirito negativo. Lo spirito buono, ossia Ahura Mazda, è costretto a creare il mondo come arma per sconfiggere, in una lotta cosmica, Arimane. Insomma fa un po’ come il ragno che tesse la tela per acchiappare le mosche. A parte questo, occorre dire che le religioni più funeste e pericolose, come la storia insegna, sono proprio quelle monoteistiche. E se ne capisce facilmente il motivo: un dio unico è geloso del proprio potere e quindi non ama dividerlo con altri. Di qui le guerre di religione che hanno insanguinato il mondo. Al politeismo invece, come insegna Hume, è sempre stata estranea l’intolleranza. Nella Roma pagana non si conoscevano guerre di religione e gli dèi vivevano pacificamente l’uno accanto all’altro. Negli studiosi occidentali c’è una certa tendenza a vedere l’Avesta con occhi cristiani. Bisognerebbe invece vedere il cristianesimo attraverso l’Avesta. Allora ci si accorgerebbe di quanto il cristianesimo sia indebitato con la religione iranica, dove c’è già tutto, dal messia al redentore, dagli angeli ai demoni, dal paradiso all’inferno. Ancora una cosa. Il nome di Zarathustra, che suona più musicale del pedantesco Zarathushtra, è diventato universalmente noto attraverso l’opera principale di Nietzsche. Non si creda, però, che Così parlò Zarathustra abbia qualche addentellato con gli insegnamenti del vero Zarathustra. E’ anche da escludere che Nietzsche abbia mutuato il nome del profeta dall’iranista Carl Friedrich Andreas, marito, per sua disgrazia, di Lou Salomé. La prima volta che il nome di Zarathustra figura negli scritti di Nietzsche risale all’agosto del 1881, quando egli non conosceva neppure la Salomé. L’avrà orecchiato da qualche altra parte per poi ripeterlo in modo puramente formale e stereotipato. Tutto qui.

[Modificato da Il Ghibellino 13/02/2005 17.37]

15/04/2004 12:28
 
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Uscita quarta edizione corretta e con due appendici di 'Imperialismo pagano' di Julius Evola

Da: http://www.ediz-mediterranee.com/





Julius Evola, IMPERIALISMO PAGANO
Il fascismo dinanzi al pericolo euro-cristiano
Quarta edizione corretta con due Appendici
EVO 03322, 328 pagine, euro 19,50


Imperialismo pagano venne pubblicato verso la metà del 1928 a ridosso, dunque, dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Il pamplhet di Julius Evola, che riprendeva, fondendoli, alcuni articoli apparsi nel 1926-27, voleva essere proprio una messa in guardia per il fascismo contro questo avvenimento che, a giudizio dell’autore, avrebbe tarpato le ali alle potenzialità imperiali del Regime mussoliniano. Non era una personalissima alzata di scudi, ma la conclusione di un cammino che riassumeva le posizioni di un mondo esoterico e/o pagano quanto mai composito che si riuniva anche sotto le iniziative del Gruppo di Ur e che, con la Conciliazione, vedeva spegnersi ogni aspettativa della possibile affermazione nell’Italia fascista di spiritualità diverse dall’egemonia cristiano-cattolica.
È in questo modo che l’opera deve intendersi, ma anche come un esplicito «appello» al Duce e a tutti «i fascisti degni di questo nome», pur se, scrive esplicitamente Evola, «in forma di campagna militare». Un saggio, dunque, polemicissimo, che prende di petto le questioni, drastico, intransigente, comepuò esserlo un trentenne per cui «il fascismo era troppo poco», come scriverà due anni dopo. Un’opera in cui si effettua una critica serrata sul piano logico, politico, filosofico e religioso di tutti quei valori, di tutte quelle condizioni, di tutti quei miti che, secondo Evola, stavano ostacolando il fascismo e la sua volontà di rinnovare la nazione e lo Stato, il suo voler essere «imperiale»: da un lato la democrazia, il liberalismo, il comunismo, un mal inteso europeismo e occidentalismo; dall’altro il cristianesimo più che il cattolicesimo come «religione ufficiale». Tutte tesi poi meglio organizzate, sistematizzate e sviluppate dal filosofo in opere successive come Rivolta contro il mondo moderno, Gli uomini e le rovine, Cavalcare la tigre.
Le polemiche che Julius Evola suscitò, considerando anche che i suoi saggi erano apparsi in riviste ufficiose come Vita Nova e Critica fascista, furono diffuse, furibonde e si trascinarono a lungo costringendo l’autore ad un quasi silenzio sino al 1932-3. Anno in cui apparve in Germania una traduzione riveduta e adattata ad un pubblico tedesco del libro, e che qui si presenta insieme all’originale per un opportuno confronto e approfondimento di temi.
Il filosofo, negli anni Cinquanta e successivamente, si oppose sempre alla ristampa di Imperialismo pagano, in quanto la considerava un’opera giovanile, fissata ad un preciso momento politico e superata da altre sue opere nel dopoguerra, ma anche perché sapeva che se ne sarebbe fatto un uso strumentale e «militante», come infatti avvenne. Il ripresentarla con ampio apparato critico e comparativo, con appendici e documenti, significa inquadrarla nel suo tempo ed in una complessa e articolata «visione del mondo», non condannarla ad una incongrua damnatio memoriae, ma riscoprirla e capirla per quel che voleva effettivamente essere e per i germi che contiene delle idee e posizioni successive, senza né incongrui anatemi né incongrue apologie.

[Modificato da Il Ghibellino 13/02/2005 18.01]

17/04/2004 18:48
 
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Ritengo molto importante l'attenta rilettura di questa controversa opera evoliana, sia per comprendere lo sviluppo ideale del pensatore tradizionalista, sia per estirpare alla radice tutto quel coacervo di false interpretazioni che si sono sviluppate dopo la pubblicazione dello scritto in questione. Ribadire che Imperialismo Pagano è principalmente un testo politico, più che dottrinale e normativo, è di un'importanza assoluta, e che è stato il giusto risultato del cammino che l'autore aveva intrapreso con l'esperienza del Gruppo di Ur, che, inutilmente aveva cercato di influenzare il Fascismo. Questo per coloro che si fanno abbindolare dal cosidetto "neo-paganesimo", da cui lo stesso Evola aveva messo tutti in guardia, e certamente non per una sua conversione cristiana, come qualche stolto settario afferma, ma per manifestare l'evidenza e l'esigenza, come sempre avviene in Tradizione, di riprendere ciò che di ogni forma tradizionale è immortale ed incorruttibile, cioè i principi divini a cui si ispira, e non forme secolarizzate o archeologia polverosa...il Guènon ha scritto abbastanza sui rischi che si presentano a coloro che cercano di far rivivire le forme e non le essenze di una civiltà tradizionale.

Ave atque Vale

janus77
18/04/2004 01:01
 
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Uscito il n° 11 di Arthos


ARTHOS
Quaderni annuali di cultura e testimonianza tradizionale
NUOVA SERIE - ANNO VII - VOL. II - N. 11 (anno 2003)


SOMMARIO

p. 129
TRADIZIONE E FOLKLORE
RENATO DEL PONTE Archetipi e antiche tradizioni in alcune manifestazioni popolari dell’area apuo-lunigianese.

p. 149
ARJO G. VERDIN Il patrimonio del folklore come espressione della diffe-renziazione progressiva dei popoli.

p. 153
SAGGI: H. THOMAS HANSEN Julius Evola e il conte Karlfied Dürckheim (seconda parte).

p. 161
FILIPPO LADON Guido De Giorgio e il suo commento ai primi canti della Divina Commedia.

p. 172
POESIA: RITA SANNAZZARI Ricordo (D. M. Alfredo Cattabiani).

p. 173
NOTE E POSTILLE: JULIUS EVOLA Abuso di confidenza (inedito del 1972).

p. 175
RENATO DEL PONTE “Quel treno per Vienna...”. Evola nel 1944.

p. 180
ALFONSO DE FILIPPI Monoteismo e dintorni

p. 186
RECENSIONI:
Meditazioni delle vette di J. Evola [quinta edizione] (M. E. Migliori)
Saltus Marcius di L. Marcuccetti (M. E. Migliori)
Rivista Italiana di Archeoastronomia (M. E. Migliori)

p. 191
IL CROMLECK

In copertina: Immagine bifronte di Virbio (tratto da: Lucia Morpurgo, La rappresentazione
figurata di Virbio, in “Ausonia”, [IV], 1909)


Registrato presso il Tribunale di Genova: n°. 14623 del 4/8/1972.
Finito di stampare il 15 marzo , Festa di Anna Perenna, dell’anno volgare 2004 presso la tipografia “Pierpaolo Baudone” di Sarzana (SP).

“ARTHOS”
DISPONIBILITÀ E PREZZI
PRIMA SERIE
N. 19 (febbraio-giugno 1979), pp. 80 € 9,00
N. 26 (luglio-dicembre 1982), pp. 60 € 7,00
N. 27-28 (1983-1984), La Tradizione Artica, pp. 88 € 9,00
N. 29 (1985), pp. 72 € 9,00
N. 31-32 (1987-1988), René Guénon, pp. 128 € 11,36
Supplemento speciale al n. 33-34 (1992), Indici ventennali, pp. 20 € 3,00
NUOVA SERIE
N. 1 (gennaio-giugno 1997), pp. 48 € 7,00
N. 2 (luglio-dicembre 1997), pp. 48 € 7,00
N. 3-4 (1998), pp. 48 € 7,00
N. 5 (gennaio-giugno 1999), pp. 48 € 7,00
N. 6 (luglio-dicembre 1999), pp. 48 € 7,00
N. 7-8 (2000), pp. 64 € 9,00
N. 9 (2001), pp. 64 € 9,00

ARTHOS
Quaderni annuali fondati nel 1972 da Renato del Ponte
Volume Secondo della Nuova serie.

Direttore: RENATO DEL PONTE (responsabile legale: SALVATORE TRINGALI)
Segreteria di redazione: GIOVANNI VIRGILIO E RITA SANNAZZARI
Comitato redazionale: ALFONSO DE FILIPPI, MARIO ENZO MIGLIORI, DANIELE VERZOTTI

L’“associazione” ad “Arthos” dà diritto a TRE Quaderni Annuali sottoscrivendo la somma di €26,00. Saranno molto gradite anche la formula del “Sostenitore” (€ 40,00) e ancor più quella di
“Amico” (€ 52,00 e oltre) e qualsiasi altro sostegno ulteriore. Aiutare “ARTHOS” è un dovere morale per chi crede nell’idea di Tradizione.

Direzione: ARTHOS, casella postale 60, 54027 PONTREMOLI (MS)
Tel. 0187 - 831833 (solo ore 21.15-22.30)
Ogni versamento va effettuato sul C.C.P. 10151546, intestato a:
RENATO DEL PONTE, Groppomontone, 52 - 54027 PONTREMOLI (MS).

[Modificato da Il Ghibellino 13/02/2005 17.39]

26/04/2004 13:48
 
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in effetti
..la questione è di molto conto in quanto non pochi sono coloro i quali attribuiscono a Evola la volontà di ritenere tale testo non "utilizzabile" in tempi postbellici essendo cambiato clima politico e progetto sulturale di un certo mondo tradizionalista.
"Gli Dei vinceranno"
Dalai Lama
14/05/2004 15:49
 
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Qualcuno lo ha letto?


Piero Di Vona, Evola e l’alchimia dello spirito, Collezione: ‘gli Inattuali’, vol. XVI, pp.82. Euro 8
Ingiustamente qualificata come trattazione specialistica, La Tradizione ermetica di Julius Evola è invece un testo luminoso e audace, che esalta gli aspetti attivi, eroici e regali della Tradizione. Questo studio che Piero Di Vona dedica al saggio evoliano vuole appunto scostare il velo dei simboli, vincere il labirintico e cifrato codice degli alchimisti, fino a trasformare la descrizione dell’arte alchemica nella filosofia di essa. Semplice e immediato nel suo stile, profondo e sottile nelle conclusioni che trae, Evola e l’alchimia dello spirito restituisce all’universo speculativo di Evola la sua energia suscitatrice. Che nell’intorpidirsi di quest’epoca prende risalto soprattutto per virtù di antitesi, opponendosi alla tirannia dei simboli, delle figurazioni e delle ideologie cristiane. Scrive infatti il Di Vona: “Fu un grande merito di Evola l’aver cercato di costruire un pensiero ed una visione del mondo indipendenti dalla religione venuta a dominare nel mondo occidentale”.

http://ww.libreriaar.it
17/06/2004 13:47
 
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Il più lucido scritto di Evola
"Imperialismo" resta il più lucido scritto di Evola, ed il più grande, anche nello stile. I tempi sono mutati, ma il libro ha sortito sensibili effetti, come notato dal Prof. Di Vona nel Risguardo V delle Edizioni Ar. La stessa nascita del Movimento Tradizionale Romano è ascritta da Di Vona tra gli effetti della comparsa del virulento libello.
BMD
20/06/2004 13:02
 
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Re: Il più lucido scritto di Evola

Scritto da: lupoinvincibile 17/06/2004 13.47
"Imperialismo" resta il più lucido scritto di Evola, ed il più grande, anche nello stile.
BMD



Condivido. Ricordo sempre con gioia quando ebbi modo di leggerlo la prima volta nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Per fortuna poi ne sono uscite varie edizioni e/o ristampe ed adesso finalmente viene riproposto con il testo delle due versioni rendendole accessibili ad un maggior numero di lettori.
nhmem
zilath mexl rasnal
04/09/2004 18:55
 
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JULIUS EVOLA,

ETICA ARIA,
Quattro saggi del 1937-43
a cura di Renato del Ponte,

I QUADERNI DI "ARTHOS",
Pontremoli 2004.
Euro 5,oo.

Sommario:

Premessa alla terza edizione.

Volti dell'eroismo.

Il diritto sulla vita.

Etica aria: Fedeltà alla propria natura.

Sulla "milizia" quale visione del mondo.




"Arthos", casella postale 60, 54027 Pontremoli (MS)
[SM=g27822] [SM=g27823]
nhmem
zilath mexl rasnal
05/09/2004 08:48
 
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Un'ottima iniziativa! [SM=g27811]
07/09/2004 17:29
 
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Nuovo numero di Orientamenti con speciale su Evola

E' disponibile il nuovo numero di Orientamenti, rivista di storia politica e cultura. Euro 6,20.

La rivista può essere richiesta al mittente.

Nascerà la Confederazione Nazional Popolare ? di Nicola Cospito
Tradizione e "metafisica della storia" in Julius Evola di Giovanni Perez
Conferenza di Bruno Rassu a Montegranaro
Il Comitato Istituzionale di Carlo Morganti
Sulle orme della Wehrwolf di Mjornir
Tradizione marziale e spiritualità di Spartacus 74-27
Servizio Ausiliario Femminile
Numerologia solare nelle forme tradizionali di Luca Valentini
Autopsia di una fuga di Filippo Giannini
Sulla religione romana di Giandomenico Casalino
Wilhelm Petersen, il pittore del Nord di Harm
Denis Mac Smith di Filippo Giannini
Vademecum del Militante e Discorso sul metodo di Rutilio Sermonti
Recensioni librarie

nicolacospito@libero.it

[Modificato da Il Ghibellino 13/02/2005 18.07]

19/10/2004 15:40
 
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Nuovo testo delle Edizioni di Ar:

Autori vari
Il gentil seme. L'idea di Europa: radici e innesti
Edizioni di Ar, 2004, collezione 'Paganitas', € 14



Indice:

A.K. Valerio, Nella (nulla) quaestio (nota introduttiva)

S. Consolato, Sulle radici dell'Europa e su un suo problematico 'padre'

G. Damiano, Nella morsa? Appunti sulla questione 'Europa'

B.M. di Dario, Le radici, gli innesti, la cancerogenesi

P. Di Vona, L'Europa e il cristianesimo

N. Gatta, Un albero dalle morte radici

M. Pacilio, Odisseo o la reintegrazione della regalità

L.L. Rimbotti, Le radici pagane dell'Europa: una lotta per l'identità



Non vedo l'ora di poter leggere questa che si prospetta essere un'interessantissima silloge. Per sciogliere una volta per tutte, almeno a chi avrà la bontà di acquistare e leggere il volume, il nodo sulle autentiche radici dell'Europa, che non sono affatto quello giudeo-cristiane (le radici stanno all'inizio, e non sono certo un innesto) tanto sbandierate ultimamente, quanto piuttosto quelle primieve e pre-semite del mondo europeo pagano e politeista delle origini. Cosa questa che il semplice uso della logica dovrebbe rendere evidente ai più.
Ancora una volta complimenti alle edizioni di AR per la coraggiosa battaglia culturale che da 40 anni portano avanti.

Sito delle Edizioni di Ar
22/10/2004 10:08
 
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Re:

Scritto da: janus77it 07/09/2004 17.29
E' disponibile il nuovo numero di Orientamenti, rivista di storia politica e cultura. Euro 6,20.

La rivista può essere richiesta al mittente.

Nascerà la Confederazione Nazional Popolare ? di Nicola Cospito
Tradizione e "metafisica della storia" in Julius Evola di Giovanni Perez
Conferenza di Bruno Rassu a Montegranaro
Il Comitato Istituzionale di Carlo Morganti
Sulle orme della Wehrwolf di Mjornir
Tradizione marziale e spiritualità di Spartacus 74-27
Servizio Ausiliario Femminile
Numerologia solare nelle forme tradizionali di Luca Valentini
Autopsia di una fuga di Filippo Giannini
Sulla religione romana di Giandomenico Casalino
Wilhelm Petersen, il pittore del Nord di Harm
Denis Mac Smith di Filippo Giannini
Vademecum del Militante e Discorso sul metodo di Rutilio Sermonti
Recensioni librarie

nicolacospito@libero.it



Qual'è il numero di copertina di questo?
23/10/2004 19:16
 
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La pubblicazione di Orientamenti in questione è Anno VII - N. 3-4 Maggio-Settembre 2004; in copertina vi è la copertina (scusa la ripetizione) della vecchia edizione di Rivolta contro il mondo moderno di Evola.
01/11/2004 11:36
 
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Autori vari
Il gentil seme. L'idea di Europa: radici e innesti
Edizioni di Ar, 2004, collezione 'Paganitas'


Alcune indicazioni sugli Autori:

- Sandro Consolato, è autore del libro 'Julius Evola e il Buddhismo (Sear), ed è il direttore della rivista 'La Cittadella'.

- Giovanni Damiano, è autore, per le Edizioni di Ar, dei libri: 'La filosofia della libertà in Julius Evola', e 'Elogio delle differenze. Per una critica della globalizzazione'.

- Beniamino M. di Dario, è autore, per le edizioni di Ar, dei libri: 'La via romana al divino. Julius Evola e la religione romana', e 'Il Sole invincibile. Aureliano riformatore politico e religioso'.

- Piero Di Vona, è studioso di Spinoza. Ha pubblicato: 'Evola Guénon De Giorgio' (Sear), 'Metafisica e politica in Julius Evola' (Ar), 'Julius Evola e l'alchimia dello spirito' (Ar). Ha pubblicato, inoltre, libri su Guénon per la Sear e per Il Cerchio, e vari saggi per le Ar.

- Nello Gatta, è autore di ' Giuliano Imperatore. Un asceta dell'Idea di Stato' (Ar).

- Massimo Pacilio, è autore per le Ar di 'Conoscenza tradizionale e sapere profano. René Guénon critico delle scienze moderne' (Ar).

- Luca L. Rimbotti, è autore per il Settimo Sigillo di 'Il mito al potere' e 'Il fascismo di sinistra'.

- Anna K. Valerio, ha curato saggi e introduzioni per le Edizioni di Ar.

[Modificato da Il Ghibellino 13/02/2005 18.10]

01/11/2004 11:38
 
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Autori vari
Il gentil seme. L'idea di Europa: radici e innesti
Edizioni di Ar, 2004, collezione 'Paganitas'


Dal risvolto di copertina:

"Il titolo di questo volume, preso a prestito da Dante (Inferno, XXVI, 60) allude alle origini dell'Europa. Mentre s'insisteva per introdurre nella costituzione europea un rimando a presunte 'radici giudaico-cristiane', le Edizioni di Ar hanno ritenuto opportuno, con un gesto che ha valore di richiamo del passato e di auspicio per il futuro, ricordare quale fu il 'seme' che diede vita all'Europa. Il risultato è questo libro, davvero un unicum. Sia per la 'nota di fondo' che lo sostiene, sia per la pluralità delle prospettive a cui i vari scritti hanno dato vita. Infatti, voci diverse, pur non confondendosi, pur mantenendo la loro particolare 'timbricità', hanno finito per intessere un'armonia di suoni. Come ricordava qualcuno, "nella camera dipinta dei nostri vecchi pittori era comune che figure dissimili, dalle varie pareti, alludessero con lo stesso gesto a un solo centro, un solo ospite assente o presente". Che, infine, il testo sia stato pubblicato nella collana Paganitas, crediamo spieghi a sufficienza quali siano e dove vadano rinvenute le origini dell'Europa."

[Modificato da Il Ghibellino 13/02/2005 18.11]

03/11/2004 21:46
 
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da "Corriere della Sera" (3/11/2004)

Un libro di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri sull’imperatore di Svevia e re di Sicilia noto come «stupor mundi»

Benefattore o Anticristo, Federico II stupisce ancora



Si potrebbe cominciare con un indovinello. Rivolgendovi al vostro interlocutore chiedetegli chi era quel re che avrebbe detto: «Come sarebbe bello governare uno Stato islamico, senza papi e senza frati!». Poi aggiungete che molte sue lettere, scritte in arabo, cominciavano con la nota formula: «Bismillahi ar rahman ar rahim», ovvero: «Nel nome di Dio, clemente e misericordioso». Se il prescelto tentenna, ricordategli che più di un papa lo considerò l’Anticristo e che, di conseguenza, fu anche un collezionista di scomuniche. Niente ancora? Rammentategli che a Gerusalemme, anticipando Napoleone di sei secoli, si incoronò da solo ed entrò nella città santa senza versare una goccia di sangue, in perfetto accordo con i musulmani. Se la risposta proprio non giunge, l’aiuto decisivo potrebbe arrivare da Friedrich Nietzsche, il filosofo che lo adorava: «Pace e amicizia con l’Islam! Così pensava e così fece quel grande spirito libero, il genio tra gli imperatori tedeschi...». I puntini sono l’estrema resistenza al nome. Che ora riveliamo: Federico II di Svevia. Non mancano certo libri su questo sovrano noto come «stupor mundi», uomo che affascinò il suo tempo e che i posteri sempre rimpiansero. Dalla classica biografia risalente al 1927 di Kantorowicz Federico II imperatore (continuamente ristampata da Garzanti) a quella meno ponderosa di Abulafia , Federico II. Un imperatore medieval e (Einaudi), via via sino ai numerosi studi specialistici apparsi nel 1994 per l’ottavo centenario della sua nascita, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ora Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, dopo aver pubblicato una storia del pensiero politico sull’età di mezzo (Laterza), ci offre un saggio s u Federico II. Ragione e fortuna , ricostruendo le relazioni che intrattenne con il suo mondo e il gran fiorire di maestri vicini al monarca, che insegnarono «con nuovi metodi e nuove ragioni nuove discipline». Tre saggi finali del libro e la bibliografia si devono a Claudio Fiocchi.
Chi era Federico II? Difficile rispondere. La sua cultura e le sue idee non hanno mai smesso di contaminare quanto stava accadendo; per questo si può dire che da sette secoli i giudizi riflettono quelli del suo tempo. Aprendo la Cronica del guelfo Giovanni Villani, si scopre che era «figliolo d’ingratitudine non riconoscendo la Santa Chiesa come madre, ma come nemica matrigna, in tutte le cose le fu contrario e perseguitatore». E non solo: «Dissoluto in lussuria in più guise (...) in tutti i diletti corporali volle abbondare». Diverso parere nella Historia de rebus gestis Friderici II di Niccolò di Jamsilla, scritta con intenti ghibellini: «Fu un uomo di gran cuore e si applicò in ogni impresa con molta ponderazione. Amò e onorò a tal punto la giustizia che a nessuno fu vietato di chiamare in giudizio lo stesso imperatore (...). Per l’odio dei suoi nemici fu colpito da molte avversità, ma da costoro non fu mai vinto».
Oggi Federico resta una figura fascinosa da studiare, ma difficile da accettare. La sua idea di impero non è politicamente corretta, il suo carattere ghibellino odora di zolfo anche per i bigotti del laicismo, il suo amore per la cultura, intesa come elemento indispensabile alla vita e non come merce da utilizzare, è inattuale. Anche far convivere ebrei, musulmani e cristiani sembra, nell’era della globalizzazione, un residuo dell’età dell’oro. Re di Sicilia oltre che imperatore, il sovrano riunì alla corte di Palermo letterati, filosofi e scienziati. Ma all’occorrenza era figlio del proprio tempo: quando metteva mano alla spada, le teste rotolavano in abbondanza.
Nel saggio della Beonio Brocchieri, la seconda parte è quasi tutta dedicata alla ricostruzione degli interessi culturali di Federico II. Suo consigliere era il filosofo Michele Scoto, destinatario anche di lettere in cui il re chiedeva di svelare i segreti della natura e «che cosa sono i cieli e chi li governa». Di più. Alla Bodleiana di Oxford è conservato un manoscritto in arabo in cui c’è la corrispondenza tra Ibn Sab’in ’Abd al-Haqq e Federico: in esso scopriamo che l’imperatore, insoddisfatto dalle soluzioni date dai filosofi dell’Egitto, della Siria e dell’Iraq, si rivolge a questo sapiente della Spagna musulmana, il quale risponde rifiutando il denaro inviatogli. E la prima domanda, neanche a farlo apposta, è un tema di bruciante attualità nelle scuole filosofiche di quegli anni: l’eternità del mondo. Un’altra è dedicata al numero delle categorie: ad essa Ibn Sab’in replica con un pizzico di insolenza. Non entreremo in tutti i dettagli, ma vale la pena aggiungere che Leonardo Fibonacci poté divulgare il suo sistema delle cifre numeriche indo-arabe grazie a Federico. E che numerose traduzioni furono sollecitate sempre dall’imperatore, a cominciare da un trattato arabo del falconiere Maomin, traslato dal farmacologo e astrologo Teodoro d’Antiochia. Sarà presente nella stesura del celebre libro federiciano su L’arte di cacciare con gli uccelli .
Un altro capitolo della Fumagalli Beonio Brocchieri è dedicato ai maestri ebrei. Troviamo, tra gli altri, Giacobbe Anatoli, il quale partecipava con Michele Scoto e il monarca a discussioni intorno alla materia con cui fu creato il cosmo: capitò anche che i due sapienti non si trovassero d’accordo con il sovrano e respingessero le sue tesi. Anatoli lasciò riflessioni sulla diseguaglianza umana e sulla funzione del linguaggio. E questo accadeva mentre a Parigi - correva il 1240 - una copia del Talmud , dopo una controversia tra cristiani ed ebrei, veniva bruciata alla presenza del re San Luigi.
Questo libro su Federico II è un’occasione per riflettere su quei valori del vivere civile che non tramontano e su una figura che continua a ghermirci. Le sue concubine e il lusso ora ci interessano meno della sua intelligenza, gli errori sono ormai sostituiti dall’esempio dell’uomo nuovo che egli rappresentò. E anche sulla sua fine si moltiplicarono le leggende. Qualcuno lo vide attorniato da astrologi e da saraceni a lui devoti; altri gli fecero indossare l’abito cistercense concedendogli l’assoluzione di Beroldo, suo amico e arcivescovo di Palermo. Altri infine, credettero che egli fosse l’Anticristo annunciato dalle profezie dell’abate Gioacchino da Fiore. E siccome l’Anticristo non poteva andarsene se non dopo aver terminato la sua opera nefasta, le voci si inseguirono sino a credere che Federico non fosse morto, ma addormentato in una caverna. Un giorno sarebbe ritornato alla vita per completare la sua missione.

Il libro di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, «Federico II. Ragione e fortuna» (pp. 302, 19) è edito da Laterza

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zilath mexl rasnal
01/12/2004 01:57
 
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Qualcuno ha avuto modo di leggere questo testo di Calasso?




Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi
Biblioteca Adelphi, Prima edizione 2001
pp. 183, Euro 14,46

Dal risvolto di copertina
: A lungo gli scrittori hanno parlato degli dèi perché la comunità affidava loro questo compito. Ma poi hanno continuato a scriverne, anche quando la comunità avrebbe ignorato o avversato quegli stessi dèi e il divino da cui promanano. Chi erano quelle figure? Perché i loro nomi affioravano sempre, imperiosamente o allusivamente? Innanzitutto gli dèi della Grecia, che sin dalla Firenze quattrocentesca degli Orti Oricellari – dove poeti, pensatori e pittori quali Botticelli, Poliziano o Marsilio Ficino si proponevano di tornare a celebrare i misteri pagani – attraversano per secoli, come onde possenti e capricciose, la vita mentale dell’Europa, depositandosi in statue, quadri, versi. E in seguito, a partire dai primi anni del Romanticismo tedesco, dèi provenienti da ogni spicchio dell’orizzonte, e in particolare dall’Oriente. Dèi dai nomi oscuri, ma ancora una volta paurosi e ammalianti. Le loro figure si mescolano ora a un rivolgimento delle forme, a una fuga della letteratura dal maestoso edificio della retorica, che a lungo l’aveva ospitata, verso una terra che non è descritta sulle mappe ma dove – da Hölderlin e Novalis a Mallarmé, a Proust e sino a oggi – siamo ormai abituati a ritrovare la letteratura stessa nella sua metamorfosi più azzardata ed essenziale, insofferente di ogni servitù verso la società e portatrice di un sapere irriducibile a ogni altro, che qui viene delineato sotto il nome di letteratura assoluta.
Questo volume raccoglie le otto Weidenfeld Lectures che l’autore ha tenuto all’Università di Oxford nel maggio 2000.

Note sull'autore: Nato a Firenze, Roberto Calasso vive a Milano ed è presidente e consigliere delegato della casa editrice Adelphi. autore di un work in progress di cui finora sono apparsi La rovina di Kasch (1983), Le nozze di Cadmo e Armonia (1988), Ka (1996). Ha pubblicato inoltre il romanzo L'impuro folle (1974) e i saggi I quarantanove gradini (1991) e La letteratura e gli dèi (2001).

Note: Le motivazioni del premio Bagutta
Riportiamo un brano letto da Piero Gelli durante la cerimonia di chiusura:
«Vorrei soltanto infine sottolineare due tra le varie motivazioni che hanno indotto la giuria a premiare La letteratura e gli dèi: l’una, la capacità di affrontare col dominio di un’intelligenza e di una cultura che non hanno confronti un territorio vastissimo di civiltà e di dottrine e di restituirlo col fascino di un’affabulazione teofanica, oltre che con maestria stilistica e con il rigore di una dimostrazione serrata. L’altra, in qualche modo più struggente e simpatetica. Per Calasso, gli dèi non sono mai morti; come l’onda intermittente di Aby Warburg che riprende a sferzare le rocce, riappaiono tra noi, ritornano dall’esilio, e si ritrovano non nei santuari di culti e di riti, bensì nei libri, anche in quelli o soprattutto in quelli che pochi leggono. Si ritrovano quindi in quell’atto solitario e silente che è la lettura, in quell’atto carico di potenza, frenetico e inebriante, che è il leggere, e che sopravvive anche al delirio del computer e dei suoi microchip, perché in fondo sempre di parole e di letture si tratta». (4 dicembre 2001)

Una recensione su internetbookshop.it: Massimo Russo (27-03-2001)
Leggendo l’ultimo “romanzo” di Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi, non si può rimanere indifferenti. Nel senso che Calasso è capace, in ogni circostanza, di aprire orizzonti nuovi al lettore anche più smaliziato. E non solo per la sua bravura di autore (scrittore), ma anche per un percorso interpretativo tutto suo (originale) che muove da una cultura profonda e curata. La quale è lampante (a volte compiaciuta) dopo poche pagine (e anche righe) di questo suo ultimo lavoro, le otto Weidenfeld Lectures tenute all’Università di Oxford nel maggio 2000. Il percorso che Calasso traccia, muove dalla considerazione dell’utopia («comunità buona») come pericolosa ossessione e degli dèi nella mitologia classica: parti fondanti della cultura occidentale. Da qui, attraverso un itinerario di incontro e di testimonianza che vede protagonisti gli dèi («ospiti fuggevoli della letteratura»), l’autore individua una via (tra le altre) che però è la Via (anche in un senso propriamente religioso.) Perché se Calasso da una parte tende a trovare il Luogo della Letteratura, e quindi degli dèi, dall’altra non manca in questa scelta di individuare un percorso (in avanti come all’indietro) scientifico (metafisico - ideologico?). Infatti, l’Arte è opera gnoseologica (Nietzsche), per cui conoscenza e simulazione non sono antagoniste ma complici. E la prima operazione, l’Operazione, è un’invenzione dalla quale tutto promana. Quest’invenzione è la Forma, che ci dice come sia necessario, anche nella piena libertà, tenere ben presenti «le leggi» (Proust) che regolano il fare della Letteratura, dopo aver abbandonato la legge per eccellenza, la Retorica (la testimonianza è data, alla morte di Hugo, da Mallarmé. Il poeta francese lungi dall’essere un avanguardista è piuttosto il primo testimone della rinata “giurisprudenza” letteraria). La Letteratura è l’unica verità, ben al di là della limitata realtà, fatta di convenzioni e di approssimazioni razionali. Il percorso affascinante che l’autore esperimenta, passa attraverso la mitologia greca, ma si completa con quella orientale, l’unica ad avere una risposta per tutto. E, attraverso gli autori che Calasso cita (Omero, Hölderlin, Baudelaire, Schlegel e Novalis, Nietzsche, Lautréamont, Mallarmé, Proust, nonché molti altri tra cui Leopardi, Nabokov, Benn, Montale, Artaud, Heidegger), viene rifatta (o fatta) una storia della Letteratura che, appena conosciuta, sembrava mancare. Molto illuminante è il capitolo settimo (la lezione penultima) in cui il Nostro mostra tutta la sua competenza attorno ai miti dell’oriente. Nell’ultimo capitolo, Calasso enuncia la sua tesi di una «Letteratura assoluta» portatrice di un sapere irriducibile e divincolata da qualsiasi forma preesistente. Io credo che merito di queste lectures sia soprattutto nell’orizzonte interpretativo che tracciano e che “apre” inevitabilmente ad “altre” considerazioni attorno allo sviluppo e alle ragioni della Letteratura (si ha, a volte, la sensazione di un discorso “fuori dal mondo”: un vero e proprio fare versi). Ma la conclusione, nella sua essenzialità, non è affatto nuova se non per la intensità e la magnificenza con cui viene pronunciata e per l’iter scelto per giungervi. Riguardo poi alla questione che la Letteratura debba tener fuori la Società dalla sua idealità, penso ci sia stata un po’ di confusione da parte di commentatori affrettati che hanno additato la posizione di Calasso, come quella di un autore che non partecipi del senso della storia. Calasso dice (giustamente) che la Letteratura va tenuta lontana dalla Società, nel senso che da essa non può e non deve farsi soggiogare. Quando è successo infatti ci sono stati i totalitarismi (tesi già esposta con lucidità in La rovina di Kasch). Non può perché la Letteratura ha origine sua propria, attraverso la vita degli dèi, anzi è l’Origine. E nell’individuare la solitudine dello scrittore (dopo il secolo in cui ha trionfato la Letteratura assoluta, dal 1798 al 1898, seguito dalla clandestinità della Letteratura non più “libera”), Calasso ci fa vedere come le opere non siano altro che l’Opera attraverso e nelle mani di una individualità che comprende il tutto (valga il paragone di due scienziati che si trovino a scoprire la stessa cosa contemporaneamente e separatamente). In questo senso lo scrittore (il solo testimone e custode caduco dell’Opera) non è scrittore della Società, ma è comunque “figlio” dell’epoca che lo caratterizza: Calasso però non considera quest’ultimo aspetto (dimentica, invero anche che esiste una Letteratura sociale portatrice di libertà). Allora, il senso dell’esclusione della Società risiede nella sua temporalità estrema che nulla ha a che vedere con la Letteratura “assoluta”. In questo senso La letteratura e gli dèi è un libro per “esperti”, o per chi voglia esperire nuove vie senza accontentarsi di quella più affascinante.
Voto: 5 / 5

Recensione su clarence.com: E' un peccato che di tutto quanto Roberto Calasso ha pensato, scritto e strategicamente adottato nella sua vita di intellettuale settecentesco rimarranno infine soltanto due ricordi: ciò che ne ha detto Tommaso Labranca, che è un cretino e di Calasso non ha capito niente; e ciò che ne ha detto Maurizio Blondet, che è un cattolico e di Calasso non ha capito niente nemmeno lui. Per Labranca, agli esordi del boom del trash, Calasso era l'icona della finta cultura alta, quella che snobba la televisione e che però produce i testi di Franco Battiato: Labranca prese mirabilmente per il culo l'Editore adelphiano, mancando totalmente il bersaglio. Per Maurizio Blondet, che potremmo definire "cattolico atipicamente integralista", Calasso è la punta di diamante di un complotto neopagano che potrebbe arrivare ad atti estremi e sacrificali di carattere splatter. Peccato per Calasso: è ben vero, tuttavia, che ognuno ha la sorte che si merita o che gli merita la sua propria aura (o kharma: questa nozione, a Calasso, piacerebbe di più. Se invece ci mettiamo noi a parlare di Calasso, lo facciamo senza le prospettive di Labranca (su Clarence c'è molto trash: cercatevelo nelle apposite aree) e di Blondet (lo scrivente nemmeno è battezzato).
La letteratura e gli dèi raccoglie le otto Weidenfeld Lectures che l'autore di Ka ha tenuto a Oxford nel maggio 2000. Sono le "lezioni inglesi" di Calasso: qualcosa che sta tra Warburg e Calvino, dal punto di vista prettamente editoriale.
Questo libro è splendido. Ciò che è splendido, spesso, è pericoloso. Questo libro è pericoloso. Che cosa fa Calasso in queste otto travolgenti, geniali, abbacinanti lezioni? Si occupa della presenza divina nella letteratura. Quale letteratura? Semplicemente tutta la letteratura che abbia avuto la pretesa o, se non l'ha avuta, sia riuscita a essere letteratura assoluta. Una letteratura che mantiene in sé - nei significati o via via nelle forme, negli sfondi, financo nei rapidi brividi - la presenza sacra e orririfica e al di là del gioioso di figure che noi contemporanei, avvizziti e inconsapevoli, non ravvisiamo da tempo nel mondo e ora neanche tra le sillabe: la presenza degli dèi. Calasso, in splendida forma, forbitissimo e dilagante senza difettare della precisione di un bisturista, ricostruisce al tempo stesso la storia e la metastoria della letteratura: la quale è, ai suoi orfici esordi, il perfetto Nulla, nel silenzio annichilente di chi non aveva tempo né bisogno di leggere le tracce numinose degli dèi nei libri: poiché gli dèi erano visibili nel mondo, come Atena e Pisistrato su un cocchio segnalato al mercato pubblico.
Poi Calasso approfondisce la stoccata: si passa alla modernità: romantica e mallarmeana. Qui l'autore di Cadmo e Armonia dà il meglio, soprattutto a proposito di Mallarmé, quando individua nel celebre sonetto in -ix il risultato iniziale e finale della Letteratura Assoluta: una letteratura che, facendo perno sull'allegoria di se stessa, individua lo sfondo in cui tutto si agita e tace, il passaggio ultra- e meta-fisico in cui gli dèi si sono reclusi: cioè la Mente. Manifestazioni ormai psichiche, le deità sono brividi e visioni interiori non sintattizzabili, ma còlte con la perizia apparentemente casuale del rabdomante, il quale è comunque e sempre uno scrittore. Non poeta e non prosatore: un ritmo di sfondo, una nota assoluta che regge le forme - da cui le forme emergono - è lo spazio eterico del mentale puro, quel livello che la tradizione vedantica identifica con il Manas, chiave e ostacolo alla Realizzazione spirituale. L'ultima parte del libro di Calasso è una strenua difesa della particolare metrica che governa la silenziosa prosodia annichilente della letteratura assoluta: i metri in cui si avvolgono gli dèi non sono più i metri tradizionali della tradizione occidentale (endecasillabo o alessandrino e fiumana di variazioni compresa), bensì quel ritmo univoco che manifesta la mente a se stessa.
Qui, in questo accenno (Calasso accenna sempre: si potrebbe dire che scimmiotta qualcosa di ineffabile), sta il pericolo dell'operazione di Calasso. Che consiste in ciò: per chi è colto, ma della Tradizione se ne fotte, questo è un innocuo e affascinante trattato su mito e letteratura; per chi di Tradizione ne sa, questo è il volume di un pandit lievemente offuscato da una solfurea egoità; per chi la Tradizione la pratica, questo libro è un'invocazione alla magnetica facisnosità dei siddhi, dei poteri da cui gli yogin sono avvisati di stare lontano. Per chi capisce: Calasso è manasico, un adoratore pernicioso del Manas, delle sue figurazioni, dei suoi esoterismi che sembrano condurre a capire la Realizzazione. Il che non corrisponde alla Realizzazione. Secondo la Tradizione, quest'operazione è l'Antitradizione. Calasso non minaccia il cattolicesimo di Blondet. Calasso minaccia, come sempre inutilmente, la prassi dell'ascesi individuale, strettamente personale, univocamente metafisica. Siccome egli stesso si pone su questo piano, da questo piano gli rispondiamo: bocciandolo, senza revoca, ricacciandolo ai suoi esercizi illusori di apparentemente ingenua prestidigitazione...
21/12/2004 14:36
 
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Letteratura e Tradizione, anno VII n. 30 ottobre-novembre 2004 diretto da Miro Renzaglia
Sommario:
- Speciale poesia: Anna Lamberti Bocconi, Pietro Altieri
- "La parola oscura del paesaggio interiore" di Julius Evola, traduzione di Alessandra Colla
- Alessandro Pavolini "Allarmi siam poeti" di Gabriele Adinolfi
- Corridoni "una vita per la rivoluzione" di Andrea Benzi
- Berto Ricci "L'Universale" di Matteo Orsucci
- Marinetti "2 dicembre 1944...per combatter'ancora" di Andrea Marcigliano
- Ezra Pound "Il tempio è sacro perchè non è in vendita" di Daniele Lazzeri
- Vertex '20 Post: Forte, Giovannini, Luparella, Pace, Silvestri, Renzaglia
- Dopo 11 settembre: Adinolfi, Altieri, Cochi, Di Lello
- Sullo stato di "Letteratura e Tradizione" intervista a Sandro Giovannini
- Considerazioni sulla musica di Marco Monaldi
- Poesia: Tiziana Fumagalli, Loredana Regnoli,
- Chiose ai margini della vita di Fausto Gianfranceschi
- Antologia: Curzio Malaparte
- Letture: rubrica di recensioni letterarie P. Altieri, C. Bramucci, A De Luca, S. Giovannini, G. Montinato, C. Mutti
- Schede: Adolfo Morganti, Giuseppe Puppo
- Intervista a Claudio Bondì regista del film "De Reditu - Il ritorno" tratto dal poema "De Reditu Suo" di di Claudio Rutilio Namaziano
- Notizie: Bruno Labate "Poesia attiva"
Abbonamento per 5 numeri 30 euro da inviare sul conto corrente postale n. 12061610 intestato a Edizioni del Veliero srl, Piazzale Garibaldi 4, 61100 Pesaro
Nella causale specificare "Abbonamento a Letteratura e Tradizione"
02/01/2005 15:40
 
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dal "Corriere della Sera" Cronaca di Roma


IL LIBRO

Cupole, obelischi, archi trionfali, piante e animali: viaggio nei simboli e nei miti dell’antica Roma

Il viaggio potrebbe incominciare dal fico ruminale e dalla cesta con Romolo e Remo, destinati a morire come frutti illegittimi della vestale Rhea Silvia. La cesta «non venne trascinata dalla corrente impetuosa del Tevere che era straripato lambendo il Palatino, ma si arenò miracolosamente in un’insenatura fangosa, proprio sotto il fico selvatico», in un luogo dove era venerata Rumina, dea che presiedeva all’allattamento. Così il fico venne chiamato ruminale. Cupole, obelischi, archi trionfali, ma anche piante e animali, dal mitico fico selvatico alle salamandre sulla facciata di San Luigi dei Francesi. Tutta Roma è una costellazione di simboli che attraversano tre millenni di storia, spesso celati in monumenti che sembrerebbero pure decorazioni: come la fontana delle Tartarughe che idealmente raffigura il motto coniato da Augusto, «Festina lente» ovvero «Affrettati lentamente», ispirato a una massima di Aristotele secondo la quale si deve rapidamente mettere in pratica ciò che si è deliberato, ma soltanto dopo aver riflettuto lentamente. Alfredo Cattabiani, studioso di simbolismo e di tradizioni popolari, ricostruisce nel suo libro la mappa dei simboli fondamentali di Roma rivisitando anche i miti ad essi collegati, da quelli della fondazione della città fino alle leggende meioevali.

SIMBOLI, MITI E MISTERI DI ROMA, di Alfredo Cattabiani, Newton & Compton editori, euro 8,90





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