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Segnalazione libri e riviste

Ultimo Aggiornamento: 01/05/2006 17:26
29/04/2005 22:57
 
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Re: Re:

Scritto da: nhmem 29/04/2005 22.42
Caro Ghibellino, mi fa piacere sapere che questo titolo è ancora in catalogo. Se non ricordo male fu pubblicato in occasione di una mostra alcuni anni addietro. Anche io lo consiglio.


Infatti.
Si tratta di una mostra fatta a Chieti nel 1997, che però io non sono riuscito a suo tempo a vedere.

Saluti.


30/04/2005 00:52
 
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novità le librette di contra


Kâma-Loka

Kâma-Loka è, per i buddisti, “il regno del desiderio sensuale”. In questo vibrante, avvolgente romanzo, Mauro Meriggi dà conto della sua potenza, cui nemmeno l'occidentale infiacchito può sottrarsi. Così è per Stefania la protagonista della vicenda che, dopo un meraviglioso amplesso in India, si vede rivelata a sé stessa, e scopre la propria vocazione al piacere erotico. Da allora, attraversa le più varie avventure, spingendosi fino al crinale dove il mondo degli Dei trascolora in quello degli uomini – e lo esalta.


Pp. 128, € 9,00




(dal "Catalogo"
nhmem
zilath mexl rasnal
30/04/2005 16:14
 
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GRANDI CIVILTA'


1° Volume - Mercoledì 4 maggio
A SOLO 1 €


ROMA
L'ARTE NEL CENTRO DEL POTERE
DALLE ORIGINI AL II SECOLO D.C.

In questo classico della riflessione storico-critica sulle civiltà antiche, Ranuccio Bianchi Bandinelli – con un linguaggio piano che
rifugge dalle oscurità di certa critica d’arte – circoscrive l’esame dell’arte romana al luogo in cui questa si è formata: la città di Roma, centro di quel potere politico cui per secoli ogni espressione artistica è rimasta strettamente connessa.
Se alle sue origini l’arte romana risulta inscindibilmente legata a quella greca, in seguito questa eredità andò soggetta a una profonda trasformazione, adeguandosi alle esigenze di una società radicalmente diversa.
Le forme e i significati dell’arte romana vengono seguiti e analizzati dall’autore a partire dalla loro nascita sino all’epoca di Commodo, alla fine del II secolo dopo Cristo, quando si manifestano i primi sintomi di quella crisi che sfocerà, due secoli dopo, nel nuovo linguaggio figurativo dell’Europa medievale.


RANUCCIO BIANCHI BANDINELLI
Archeologo di fama internazionale e grande studioso dell’arte etrusca, greca, romana e proto-bizantina, è stato professore di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana presso le università di Cagliari, Gröningen, Pisa, Firenze e Roma.
Direttore generale delle Antichità e Belle Arti dal 1945 al 1948, riorganizzò i musei italiani e curò il restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra.
Dal 1958 al 1967 è stato redattore capo dell’Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale. Ha fondato le riviste “La critica d’arte”, con Carlo Ludovico Ragghianti, e “Dialoghi di archeologia”. Fra le sue opere, la monumentale Storia e civiltà dei Greci.

http://www.corriere.it/iniziative/grandi_civilta/scheda01.htm


nhmem
zilath mexl rasnal
30/04/2005 16:18
 
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2° Volume - da Mercoledì 11 maggio

ROMA

LA FINE DELL’ARTE ANTICA
DAL II SECOLO D.C. ALLA FINNE DELL’IMPERO

Il contributo di Roma in campo artistico va senz’altro messo in relazione con quella che i romani consideravano funzione preminente dell’arte: l’esaltazione dei valori civili e politici. Di conseguenza, la cultura figurativa romana non assimilò mai come proprie le strutture dell’arte greca e le accantonò ogni qual volta erano di intralcio ai fini dell’espressione più immediata e diretta della propria società. L’estinguersi della forma ellenistica, verificatosi a partire dal III secolo, non va visto pertanto come un evento di segno negativo, ma come un fenomeno storico del tutto naturale.
Tale evoluzione viene qui descritta non solo a Roma o a Costantinopoli, ma in ogni provincia soggetta al dominio di Roma, e lungo un arco di tempo (dalla fine del principato di Commodo, 192 d.C., alla fine del regno di Teodosio il Grande, 395 d.C.) in cui a profondi rivolgimenti culturali e politici, spirituali e sociali, fa riscontro una trasformazione radicale delle arti figurative, che da ellenistiche diventano medioevali, da mediterranee europee.



nhmem
zilath mexl rasnal
06/05/2005 18:46
 
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Calasso: Adelphi non fu mai gramsciana
L’INTERVENTO

(d.m.) È facile, adesso che troviamo i manifesti di Schiele dai parrucchieri, pensare a Kraus e a Schnitzler, a Roth e a Walzer. La battuta non è nostra ma di un Roberto Calasso straordinariamente in forma, che ieri, al Lingotto, ha raccontato gli inizi dell’Adelphi attraverso il ricordo di due pionieri, Giorgio Colli, il filosofo che curò l’edizione completa delle opere di Nietzsche e Luciano Foà, l’editore che si staccò da Einaudi per dar vita nei primi anni ’60 assieme a Bobi Bazlen e allo stesso Calasso all’Adelphi. «Vorrei cominciare da un luogo comune - ha esordito l'editore e scrittore -. Che l’Adelphi sia nata da una costola dell’Einaudi. In realtà Adelphi nacque in opposizione secca alla casa torinese, che si basava sulla linea De Sanctis-Gramsci-Lukàcs-Brecht. Tra questi santini non era contemplato Nietzsche, un grande filosofo di cui non si poteva parlare per una congiura del silenzio che accomunava liberali, marxisti e cattolici. Quando uscirono i primi volumi nessuno ne parlò. La prima recensione su "Paese sera" arrivò da Parigi, perché lì Deleuze e Foucault cominciavano a citare l’autore proibito». Dopo Nietzsche arrivarono gli altri autori di lingua tedesca, sconosciuti a una cultura provinciale che oscillava tra Mann e Brecht.

http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CULTURA&doc=CAL
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06/05/2005 19:00
 
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LUXOR E LA VALLE DEI RE
In edicola con L'Espesso a solo 1€ in più, il primo volume della serie "L'Egitto dei Faraoni".

Vedi:http://www.speciali.espressonline.it/prodotti/egitto/
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07/05/2005 22:22
 
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Nel numero attualmente in edicola di Area, il mensile di quella barzelletta nota come 'destra sociale'(aaargh!), c'è un articolo dal titolo intrigante:

"Evola: non solo paganitas"
di Marco Iacona


Ora, senza dover regalare altri soldi a questi tipi, non è che qualcuno ha la possibilità di trovare e scansionare l'articolo per metterlo sul forum?

Grazie.


08/05/2005 17:40
 
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Prodigi
Giulio Ossequente

Prodigi

Mondadori. - Collana: Oscar - Classici greci e latini

n. 151 - Pagine LVII-292 - Formato 12,5x19,5 - Anno 2005 - ISBN 8804537930
Argomenti: Classici greci e latini
Prezzo di vendita: € 8.40

Note: Introduzione e testo di Paolo Mastandrea - Traduzione e note di Massimo Gusso

Caratteristiche: brossura, testo latino a fronte



Note di Copertina

Il Liber prodigiorum di Giulio Ossequente è una delle opere più curiose giunteci dalla tarda latinità. Composto forse nel V secolo, raccoglie una serie di fatti prodigiosi o comunque inspiegabili accaduti tra gli anni 249 e 11 a.C., anche se a noi è arrivato senza la parte di racconto degli eventi anteriori al 190. La fonte, quasi unica, sono le Historiae di Livio, tanto che il Liber può considerarsi una sorta di riassunto tematico degli scritti dello storico padovano. Al di là dell'intento enciclopedico e antiquario, con queste pagine l'autore desiderava rappresentare una Roma all'altezza del glorioso passato, favorendo atteggiamenti di rispetto verso i culti tradizionali che avevano tutelato la città durante la fase della sua ascesa.

IL DISEGNO DI DUE SOLI
APPARSI SU ALBA NEL 204 a. C.

Giulio Ossequente, nel "De Prodigiis", narra di avvistamenti, effettuati sia di giorno che di notte, riguardanti "Scudi di fuoco", "torce", "più soli", "più lune", e "ruote luminose", apparsi su Roma e su altri luoghi.



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zilath mexl rasnal
14/05/2005 15:08
 
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Staffetta Tucidide-Senofonte nella guerra Sparta-Atene
14/5/2005

Silvia Ronchey

NON è un caso che i soggetti preferiti di Luciano Canfora siano intellettuali dotati di una cognizione diretta dei meccanismi della politica. Come i protagonisti di Tucidide tra Atene e Roma, il nuovo libro che espone in maniera sistematica e sintetica gli esiti finali della ricerca lunga una vita che legherà sempre il nome di Canfora a quello di Tucidide, l'autore della prima opera genuinamente storica della letteratura occidentale: «il principio unico di tutta la vera storia», secondo la definizione di Kant. Questo primo monumento occidentale alla storia e alla politica è in realtà un'erma bifronte. Un lato ci mostra scolpito il volto del suo autore, il ricco stratego ateniese che volle ricostruire la verità sul conflitto più devastante della storia greca antica: la guerra, di cui fu testimone, tra Sparta e Atene. L'altro lato dell'erma, diversamente dal modello delle erme antiche, non raffigura Erodoto ma un altro, più giovane storico, anche lui politico attivo: il cavaliere Senofonte, allievo di Socrate, poi mercenario e autore di quella continuazione di Tucidide che sono le Elleniche. I suoi tratti sono incisi in tutta l'opera, sebbene la sua mano si percepisca a partire da quello che gli studiosi chiamano il «secondo proemio», nel quinto libro. Senofonte fu non solo l'editore postumo, ma l'attento coautore e il vero salvatore di quel monumento letterario. Fu la sua devozione intellettuale a recuperare interamente e, come fu scritto, «pubblicare anziché appropriarsene» i materiali lasciati semilavorati da Tucidide al momento della sua morte improvvisa, forse violenta, nel suo secondo autoesilio in Tracia dopo la fine del regime dei Quattrocento. Canfora non si limita a inseguire intuizioni e tormenti dei padri nobili della filologia, ma si spinge molto più avanti, fino alla «soluzione» (p. 36) del finora insoluto problema filologico che il grande Schwartz definì un «rompicapo»: la presunta inesistenza della narrazione degli ultimi, fondamentali sette anni di guerra. In realtà la stesura che Senofonte trovò arrivava sino alla fine del ventunesimo anno di guerra. Ma Tucidide non aveva fatto in tempo a riscrivere e «sigillare» l'intera opera e Senofonte si trovò davanti «schede sistemate in modo molto approssimativo accanto ad eccellenti e bene elaborati interventi». Senza quel mercenario intellettuale, che riordinò e pubblicò il tutto con onestà e rigore, non avremmo Tucidide. Non solo. Grazie a quella che Canfora chiama la sua «pietas» editoriale, possiamo capire la vera struttura dell'opera, in origine ordinata non per libri ma per anni di guerra; vedere coi nostri occhi «il laboratorio di Tucidide»; individuare le sue fonti documentarie, non ancora sintetizzate e rifuse, addirittura i richiami che contrassegnano i luoghi in cui inserire i dettagli mancanti. Ora, la soluzione che Canfora ci propone del millenario giallo filologico dimostra con puntualità impressionante che quanto più l'elaborazione è provvisoria, tanto più è obiettiva. A conferma di tutto ciò che l'autore ha sempre teorizzato sul carattere inevitabilmente mistificatorio di ogni storiografia. La storia, infatti, non è quasi mai una scienza esatta perché difficilmente abbiamo accesso ai documenti nudi, non orientati dallo storico secondo una visione dei fatti influenzata dal momento politico presente. La storia di Tucidide fa eccezione proprio perché è rimasta aperta e perché Senofonte non l'ha sigillata col mastice di nessuna ideologia. Ma attenzione. Per poter guardare negli spiragli lasciati aperti e vederne affiorare i documenti originali lo storico deve esercitare la sua critica anche, tecnicamente, sul testo. Nel metodo storico filologia e storia sono inscindibili, a dispetto di qualunque superficiale convincimento accademico.

(da ttL, tuttoLibritempolibero supp. de "La stampa" 14 05 05 p. 3 recensione de: Luciano Canfora, Tucidide tra Atene e Roma, Salerno, pp. 104, € 8.

nhmem
zilath mexl rasnal
14/05/2005 15:19
 
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Il rovinoso incanto


MANCINI LOREDANA
Il rovinoso incanto
Storie di Sirene antiche

Collana "Antropologia del mondo antico"
pp. 320, € 22,00
88-15-10568-9
anno di pubblicazione 2005
in libreria dal 31/03/2005
Note: con illustrazioni

Erede della donna-uccello dei Greci, la “femme fatale” dalla coda di pesce che chiamiamo Sirena porta un nome antico, ma abbastanza duttile da evocare due aspetti della modernità molto distanti tra loro: la sessualità trasgressiva al femminile e il suono lacerante che percorre quotidianamente le strade delle nostre città. Uno sdoppiamento, almeno all'apparenza, già operante nelle vicende culturali della Sirena antica: come si sposa, infatti, la soave cantatrice che insidia la navigazione di Odisseo con il ben poco avvenente uccello dal volto di donna che popola i monumenti figurati greci? La Sirena che, nella scultura funeraria, ha la funzione di esprimere il lutto è la stessa che, nelle cerimonie connesse alla pubertà, accompagna metaforicamente le fanciulle? E cosa ci fa una Sirena, comunemente associata al mare, nelle più impervie regioni interne della Grecia o lungo il corso del lontano Indo? Attingendo a una nutrita serie di testimonianze letterarie e figurative l'autrice si interroga sulla funzione che la Sirena rivestiva nella cultura antica, dal mito al folclore, dal rituale alla riflessione filosofica. E nel seguirne le trasformazioni di significato ne identifica una connotazione di base: il fascino e il pericolo che gli antichi associavano ad un canto che fluisce senza controllo e ad un esercizio senza freni della femminilità.

Loredana Mancini è dottore di ricerca in Antropologia del Mondo Antico presso l'Università di Siena. Si occupa di iconografia dell'arte antica e di storia dell'archeologia.


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zilath mexl rasnal
17/05/2005 19:23
 
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Gli Equi
A cura di S. La Penna
Gli Equi. Tra Abruzzo e Lazio.
Catalogo della mostra. Roma 17-27 maggio 2005. Complesso monumentale S. Michele a Ripa


Indice - Index
Prima degli Equi - Aspetti geologico ambientali del territorio - La Grotta del Cervo di Roccasecca, un archivio di storia ... un laboratorio naturale - Gli Equi prima della conquista romana - Il tumulo di Corvaro di Borgorose - La necropoli arcaica di Casal Civitella a Riofreddo - Le Fonti scritti - Gli Equi nelle fonti - Le testimonianza epigrafiche - Analisi stilistica dell'Ara conservata nella nella Villa Garibaldi di Riofreddo - La colonia latina di Carsioli - La memoria di Carsioli nella descrizione e nelle fotografie di Thomas Ashby - La via Valeria e la centuriazione - Lineamenti di topografia - Le indagini archeologiche nell'area urbana - Il santuario urbano - Il deposito votivo - Il territorio di Carsioli - La stipe di Carsioli - La stipe di Carsioli. Qualche osservazione - Commerci con Cartagine - I fregi dorici di Carsioli - L'antico territorio degli Equi tra tarda antichità e Medioevo.

Abstract
Tramite l'esposizione di materiali per lo più inediti, provenienti da rinvenimenti fortuiti e soprattutto da scavi sistematici, condotti dalle Soprintendenze per i Beni Archeologici per l'Abruzzo e per il Lazio, la mostra persegue l'obiettivo di illustrare il contesto storico e culturale del territorio equo tra Abruzzo e Lazio. Si è cercato di rendere percettibili le caratteristiche ambientali del territorio, evidenziandone le trasformazioni intervenute nel corso del tempo, attraverso un percorso che, partendo dall'inquadramento geoambientale e paleontologico, segue le fasi di occupazione dall'età del bronzo al definirsi dell'identità etnica della tribù degli Equi, fino all'assorbimento di questo popolo nella sfera d'influenza politico-militare e culturale di Roma. I reperti in mostra provengono dai Comuni di Oricola, Carsoli, Pereto, Rocca di Botte, Scurcola Marsicana, Riofreddo e Borgorose. Si tratta, dunque, di un'occasione unica per cogliere la specificità culturale delle genti che hanno abitato questo territorio, attraverso le testimonianze materiali pervenute fino ai nostri giorni, che ne documentano i sistemi insediamentali, l'organizzazione politica e militare, le pratiche religiose, alcune attività lavorative, i rapporti con altri popoli mediterranei.


[cod. 3.71764]
Prezzo di listino - Cover price € 30,00


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zilath mexl rasnal
17/05/2005 21:20
 
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Re: Gli Equi



Scritto da: nhmem 17/05/2005 19.23
Gli Equi. Tra Abruzzo e Lazio.
Catalogo della mostra. Roma 17-27 maggio 2005. Complesso monumentale S. Michele a Ripa


Diamine! Sono andato fino in Abruzzo per vedere questa mostra, e adesso me la mettono dietro casa?
Quasi quasi ci rivado...


[Modificato da Il Ghibellino 17/05/2005 21.21]

18/05/2005 23:59
 
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Re: Re: Gli Equi

Scritto da: Il Ghibellino 17/05/2005 21.20



Diamine! Sono andato fino in Abruzzo per vedere questa mostra, e adesso me la mettono dietro casa?
Quasi quasi ci rivado...


[Modificato da Il Ghibellino 17/05/2005 21.21]




[SM=g27811] All'ora merita di essere vista...[SM=g27822]
nhmem
zilath mexl rasnal
19/05/2005 00:05
 
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QUALCUNO HA LETTO QUESTO LIBRO?
Ekkirala Krishnamacharya
«La saggezza di Pitagora»
pagine 90, anno 1999, Il Nuovo Mondo edizioni

La Saggezza di Pitagora raccoglie le lezioni del Maestro Krishnamacharya (insegnante della Saggezza Antica, Guaritore nel suo vero senso, poeta e ritualista) dell’India sul Grande Iniziato e le Sacre Scritture.
Il libro parla da sé per la profonda saggezza che porta.

***

Tratto dal libro “ La Saggezza di Pitagora”


La saggezza di Pitagora rappresenta l’Antica Saggezza.
Ogni grande Maestro rappresenta la saggezza e mai si proclama possessore di essa. Nessuno che conosce il valore della saggezza la possederà come propria o la rappresenterà come la propria saggezza. Uno che la rappresenta come propria è ignorante perché la saggezza è eterna. Non uno dei Maestri o degli Insegnanti del Mondo la rivendica come propria. Quando Krishna insegnava, molto spesso si riferiva agli Antichi ed alla Saggezza insegnata da loro. Allo stesso modo, quando Gautama il Buddha insegnava, diceva: “Così dissero i Buddha dei tempi antichi”. La parola Buddha significa l’Illuminato; disse anche che c’erano 32 Buddha che seguivano il Sentiero prima di lui nell’insegnamento della saggezza, ed egli era il 33° Buddha che seguiva le orme dei precedenti. E’ per questa ragione che è chiamato Tathagata, che significa colui che seguiva il sentiero. Allo stesso modo, quando Gesù il Cristo insegnava diceva: “Questo è quello che Mosè ed i profeti dicevano”
Pitagora diede i suoi insegnamenti nello stesso modo. La gente comune sa molto poco sugli insegnamenti di Pitagora. Molta gente sa dell’esistenza di un teorema in geometria sull’angolo retto del triangolo e quel teorema va sotto il nome di Pitagora.
Ci sono altri 326 teoremi dati da Pitagora, non tutti sulla geometria, ma su un altro settore dell’Antica Saggezza che possiamo chiamare Matematica Spirituale. Così se vogliamo studiare Pitagora completamente, dovremmo coniare molti nomi per i nuovi settori della saggezza che sono contenuti nei suoi insegnamenti. In questo contesto, desidero dire che esistevano trentatré volumi dati da Pitagora ai suoi discepoli diretti, e questi trentatré volumi sono passati di mano in mano da generazione a generazione fino ad oggi. Coloro che danno questi insegnamenti vivono in molte pari del globo anche oggi poiché gli insegnamenti di Pitagora non appartengono a qualche nazione o razza. (…)

Per esempio, la gente dell’India conosce Pitagora anche senza aver avuto contatto con gli insegnamenti occidentali di Pitagora. (…)
L’anno di nascita di Pitagora si suppone sia il 580 a .C. Si pensa che sia nato nell’isola di Samo. In quei tempi, l’insegnamento era piuttosto tradizionale e l’istruzione la si considerava con devozione. Era considerata una iniziazione spirituale. Quando un ragazzo era avviato al leggere ed allo scrivere, era un sacramento. (…)
A quei tempi c’erano tre centri dell’Antica Saggezza. Una era in Egitto, un’altra era in India e la terza era in Grecia.
Naturalmente, tutti e tre hanno quasi cessato di essere centri dell’Antica Saggezza. In Egitto, oggigiorno, non c’è un centro di istruzione nel suo vero senso. Noi abbiamo la Saggezza dell’Antico Egitto e della Grecia solo nei libri e non nelle città dell’Egitto o della Grecia. Allo stesso modo abbiamo l’Antica Saggezza Indiana nei libri, e fortunatamente, abbiamo circa il dieci per cento delle persone che sono istruite ancora secondo l’Antica Saggezza. (…)
Quando Pitagora aveva diciotto anni, perse il padre. C’era un grande uomo, in quei giorni, di nome Talete di Mileto.
Talete, che significa Dio Sole, era una delle grandi luci del suo tempo e uno dei grandi Maestri dell’Antica Saggezza. Molte persone da molte parti del mondo andavano a trovarlo e alcuni di loro vissero con lui come suoi discepoli. Pitagora andò a visitarlo. Il grande Maestro Talete lo accettò di buon grado come suo discepolo. Dopo avergli insegnato tutta la sua saggezza, gli consigliò di imbarcarsi per l’Egitto e lì unirsi ai Maestri. Alcuni mercanti aiutarono Pitagora ad imbarcarsi per l’Egitto.
In quei giorni, la saggezza era dato solo a studenti selezionati, non era venduta per denaro e non c’era alcuna istituzione di istruzione commerciale come le abbiamo ora. Non si facevano pubblici appelli quale richiamo affinché l’istruzione venisse acquistata. Le gente aveva sviluppato metodi migliori per la sopravvivenza che non per l’istruzione. L’istruzione era qualcosa di molto devozionale e gli insegnanti non erano disponibili a dare istruzione a coloro che volevano commercializzarla. Era così in particolar modo per tre materie: la Medicina , La Legge e la Scienza di Dio o Teologia.

Queste tre materie erano custodite con grande gelosia lontane dalla gente che non credeva che dovessero esser date senza alcuno costo. Per esempio, la Medicina veniva data a quanti fossero disponibili a dare un servizio gratuito. Il governo era solito pagare i dottori, e i dottori dovevano andare in giro per città e villaggi a guarire. Anche dagli avvocati ci si aspettava che aiutassero la gente con gli argomenti legali e il governo li pagava. Gli avvocati avevano piccole tasche sul retro delle loro toghe così che quando qualcuno era soddisfatto, poteva mettere del denaro nella tasca di dietro.
Anche oggi, le toghe degli avvocati hanno quelle tasche. Sebbene i dottori e gli avvocati prendano denaro direttamente, la tasca simbolica sul retro rimane ancora come una derisione dell’odierna umanità. (…)
I Maestri non furono gentili con Pitagora quando per la prima volta si recò in Egitto. Molto del suo tempo lo trascorreva sottoponendosi a prove e sofferenze, ma egli resistette ad ogni prova. I Maestri allora capirono che non era un’anima comune. Furono pienamente convinti che era nato per fare qualcosa di grande, qualcosa che essi non potevano portare a termine. Essi cominciarono ad insegnarli con grande venerazione, riversando la loro saggezza e i loro cuori in lui.
Qualunque Maestro Pitagora avvicinasse, diventava il prediletto di quel Maestro. Era uno dei suoi privilegi. Ma non solo, Pitagora era tra i profeti una eccezione. Gesù il Cristo sottolineava che nessun profeta è riconosciuto nella sua terra. Quando Gesù divenne l’Insegnante del Mondo, mentre egli era adorato e salutato da tutti come il Cristo, fu invitato nella sua terra. Quando fu lì, la gente rideva di lui dicendo: “Questo è Gesù, il figlio del falegname”. Quello era lo stato di ignoranza della sua terra. Gesù sorrideva e diceva: “Nessun profeta è riconosciuto nella sua terra”. Rispetto a ciò, Pitagora rappresentò una grande eccezione ed ebbe maggio successo di ogni altro profeta.
Quando ritornò in Grecia come uno dei Grandi Maestri della Saggezza, era onorato dalla sua gente ed era considerato una grande Luce di Saggezza. Le gente era solita rivolgersi a lui come la Luce , il Signore, il Maestro. Egli era così un discepolo prediletto dei suoi insegnanti e l’amato Maestro dei suoi discepoli e seguaci. Ma c’erano anche poche persone che provavano antipatia poiché la gelosia è sempre esistita nel fondo del cuore umano.
Pitagora trascorse quasi 22 anni in Egitto, incontrò quasi tutti i Maestri d’Egitto e ricevette il suo insegnamento da loro. Era uno studente in quei centri di apprendimento come Heliopoli, Menf e Tebe.Fu iniziato ai segreti dei matematici, della geometria e della scienza delle stelle, del sistema solare e delle galassie. La scienza delle stelle, in quei giorni, includeva: l’astronomia, l’astrologia, l’astro-psicologia, l’astro-biologia, l’astro-medicina, l’astro-biologia, l’astrolatria e la scienza delle corrispondenze. Se leggi il Trattato sulla Medicina di Ippocrate, troverai la scienza delle corrispondenze e la relazione tra lo zodiaco e la costituzione umana, le funzioni dei vari organi del corpo e dei pianeti, come la struttura umana sua un intero funzionante, come sia olistica, come il sistema solare sia una piccola fotografia del sistema solare. Queste scienze che non esistono nei tempi moderni, esistevano in quei giorni, ed a Pitagora era consentito essere uno studente di quelle scienze.

Pitagora era anche uno studente della scienza del simbolismo. Essa è una scienza sacra nella quale gli esseri umani hanno cercato un passaggio sia dal diciannovesimo secolo. (…)
Pitagora fu ammesso come membro delle istituzioni ritualistiche allora esistenti. Egli conosceva il reale valore di un sacramento, come condurlo e quale cambiamento avviene quando si amministra un sacramento. Sapeva come la coscienza si espande e come una tale espansione non è possibile attraverso l’istruzione intellettuale. Uno che conosce la procedura per espandere la coscienza viene chiamato Gran Maestro nei Rituali; diversamente un rituale è solo una cerimonia morta.
I Maestri lo ammisero nella scienza dei sacramenti. Gli insegnarono la scienza dei rituali che sono chiamati i Santi e Sacri Rituali. Gradualmente, Pitagora fu fatto un Maestro dei Santi e Ordini Ritualistici. (…)
Mentre era in Egitto, Pitagora fu fatto prigioniero dai soldati di Cambise e portato in Babilonia. Fu più tardi rilasciato in circostanze misteriose. Egli colse questa opportunità di fare proprie le ricerche sulla scienza di Dio in Babilonia. Incontrò i capi spirituali dei Magi ed imparò la scienza dei numeri, l’aritmetica, il ramo Caldeo dell’astronomia ed astrologia, come pure la musica. (…)
Una delle aspirazioni di Pitagora era quella di vistare l’India. (…)
In India ebbe accesso a molti Grandi Maestri della Saggezza e ricevette anche tutti i segreti vedici dai Maestri dei Veda. In India egli finalmente ricevette il titolo di Pytha Guru. La parola Pytha in sanscrito significa un centro internazionale di apprendimento, e Guru significa Maestro Spirituale. Così gli fu conferito il titolo di Maestro Spirituale dell’apprendimento internazionale.


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zilath mexl rasnal
19/05/2005 01:42
 
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Re: QUALCUNO HA LETTO QUESTO LIBRO?


M'è capitato spesso tra le mani alla vecchia libreria Europa, però, vuoi un po' la casa editrice, e vuoi un po' la presentazione in quarta di copertina che dava tutta l'aria di un testo non molto serio, ho preferito lasciarlo tranquillamente a prendere polvere sugli scaffali.


19/05/2005 19:20
 
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Re: Re: QUALCUNO HA LETTO QUESTO LIBRO?

Scritto da: Il Ghibellino 19/05/2005 1.42


M'è capitato spesso tra le mani alla vecchia libreria Europa, però, vuoi un po' la casa editrice, e vuoi un po' la presentazione in quarta di copertina che dava tutta l'aria di un testo non molto serio, ho preferito lasciarlo tranquillamente a prendere polvere sugli scaffali.





Quindi [SM=g27812] e Grazie [SM=g27819]
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zilath mexl rasnal
24/05/2005 22:27
 
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Storia della divinazione
E' in libreria:
---------------------------------------------
Giordano Berti
STORIA DELLA DIVINAZIONE
Come gli uomini hanno indagato nel futuro

Mondadori, Oscar Storia, 2005, pp.360 + 27 illustrazioni a colori, Euro
10,80


Fra i tanti misteri dell’esistenza ve n’è uno che, da sempre, affascina
in
modo particolare gli esseri umani: la conoscenza del futuro, una
facoltà
tradizionalmente riservata a persone ritenute speciali, come sciamani,
sibille, oracoli, àuguri, aruspici, profeti, astrologi, sino ai moderni
cartomanti televisivi e veggenti, o pseudo tali. Fin dall’antichità,
questi
specialisti si sono avvalsi di una straordinaria varietà di metodi,
detti
genericamente arti divinatorie, o tecniche mantiche.
Sulla divinazione sono state scritte numerose opere, ma fino ad oggi
mancava
un testo che trattasse questo sterminato argomento in modo serio ed
esauriente.
Questo libro descrive l’origine e l’evoluzione di tutte le tecniche
divinatorie ideate in ogni parte del mondo, dalla lontana antichità
fino ai
nostri giorni. Un’opera ricchissima di informazioni e di aneddoti
curiosi
che coinvolgono il lettore dalla prima all’ultima pagina, portandolo a
scoprire culture lontane, misteriosi luoghi oracolari, concezioni
astratte
dell’esistenza, veggenti esaltati, bizzarri sognatori.


INDICE DELL'OPERA

Cap. 1 – Le forme del fuoco
Dal fuoco sacerdotale alla piromanzia. Le ossa divinatorie nell’antica
Cina.
Dal Medioevo all’età moderna.
Cap. 2 – L’acqua e altre superfici riflettenti
Fontane rivelatrici. Se le acque del fiume. Osservando l’acqua in un
catino.
Rivelazioni nelle brocche di vetro. L’onicomanzia. Gli specchi magici.
Angeli e demoni negli specchi.
Cap. 3 – La terra e le pietre
Pietre divinatorie nel mondo antico. Le visioni nel cristallo. La
geomanzia.
Le tavole della fortuna. Appunti sul Feng-shui.
Cap. 4 - Il mondo vegetale
Parentela tra uomini e piante. Alberi della conoscenza. Droghe e
divinazione. Segni d’amore e di morte. Piante divinatorie. Il
linguaggio dei
fiori. Le bacchette rabdomantiche. Dalla bacchetta al pendolo. Dall’
achilleomanzia all’I-Ching. L’arte della caffeomanzia.
Cap. 5 - Gli animali divinatori
Quelli che strisciano. Ofiomanzia in Mesopotamia e Grecia. Il brulicare
degl
’insetti. I quadrupedi. Animali sacrificali. Epatoscopia in
Mesopotamia. L’
estispicio nell’antica Grecia. L’aruspicina etrusca. L’ornitomanzia in
Grecia. La tradizione italica. L’arte augurale romana. Dall’antichità
ad
oggi. Uccelli-presagio nel Borneo e in Africa.
Cap. 6 - Segni del destino sul corpo umano
Se l’aspetto esteriore di un uomo. Fisiognomica e astrologia. Le linee
della
fronte. Ciò che rivelano i nei. Dalla fisiognomica alla biotipologia.
Pianeti e stelle sul palmo della mano. Dalla chiromanzia alla
chiroscopia.
Scosse rivelatrici. Prodigi mostruosi presso i primitivi. Se un parto
anormale.
Cap. 7 - Le ordalie
Tra i popoli della natura. Nelle civiltà antiche. L’Europa barbarica.
Le
ordalie delle sorti.
Cap. 8 - Il mondo dei sogni
Il tempo del sogno. Oniromanzia sumera e babilonese. Sogni profetici
presso
gli ebrei. All’ombra della Sfinge. Dalla Grecia a Roma: sogni di corno
e
sogni d’avorio. Due concezioni opposte: Cicerone e Artemidoro. I
santuari
dei sogni. I sogni premonitori nel Medioevo. Dai sogni profetici al
gioco
del Lotto.
Cap. 9 - Rivelazioni dall’Aldilà
Morti parlanti nelle società primitive. Necromanzia nel Vicino Oriente.
In
Grecia: nekyomanzia e necromanzia. A Roma: il fascino di un’arte
proibita.
La divinazione nei Grimori. Dal Rinascimento all’Età dei Lumi. Nuovi
linguaggi spiritici: dai “colpi” ai “tavoli giranti”. Breve storia
dell’
Ouija. Le rivelazioni spiritiche nel XX secolo.
Cap. 10 - Segni del Cielo
Meteoromanzia tra Oriente e Occidente. L’interpretazione dei fulmini
presso
i greci e gli etruschi. I prodigi celesti dall’età romana al mondo
moderno.
Cap. 11 - L’astrologia occidentale
Divinazione astrale in Mesopotamia. Alcuni riti assiro-babilonesi.
Israele e
il fatalismo astrologico. Egitto: dall’emerologia all’astrologia. Le
prime
battaglie contro gli astrologi. Palazzi del cielo e kabbalah ebraica.
Importanza della cultura araba. L’astrologia in Europa nel Medioevo.
Astra
inclinant, non necessitant. Le profezie sul diluvio del 1524. Ultimi
fuochi
dell’astrologia classica. Il declino e la rinascita.
Cap. 12 - Astrologie extraeuropee
Astrologia vedica. Le scuole astrologiche indiane. L’astrologia cinese
e
tibetana. Divinazione astrale presso i maya. Le profezie astrologiche
degli
aztechi. In America meridionale. Un’astrologia pellerossa? Cognizioni
astromantiche presso i popoli della natura.
Cap. 13 - Nel labirinto dei simboli
Il potere delle punte. Aliossi e dadi. Conchiglie e noci di cocco.
Misteri
dei numeri. Procedimenti cabbalistici. Aritmomanzia e onomanzia.
Anagrammi e
astrologia onomantica. Alcuni alfabeti magici.
Cap. 14 - Libri delle sorti
Il Libro dei Mutamenti. Epica, teologia e divinazione nel mondo
classico. I
Libri della Ventura. Oracoli galanti.
Cap. 15 - Storia della cartomanzia
La carta e le carte da gioco. Gli albori della cartomanzia. Etteilla,
“l’
indovino del secolo”. Nuove versioni del Libro di Thoth. Mlle Lenormand
e le
nuove Sibille. Tarocchi e occultismo. Nuovi Tarocchi esoterici.


Notizie sull’Autore
Giordano Berti, direttore dell’Istituto Graf di Bologna, organizza
mostre
storiche e convegni. Studioso di religioni, simbolismo e tradizioni
esoteriche, ha pubblicato numerose opere, tra le quali: Visioni
infernali:
peccati e torture nell’arte del Medioevo (Le Tarot, 1991), Gli
Arcangeli:
storia e leggende (Lo Scarabeo, 1997), Gli Eretici (Xenia, 1997),
Dizionario
del Cristianesimo (Vallardi, 1997), I mondi ultraterreni (Mondadori,
1998),
Dizionario dei Mistici (Vallardi, 1999), Preghiere di tutto il mondo
(Vallardi, 1999), Le religioni orientali in Occidente (Xenia, 2000),
Enoch l
’entronauta (Armenia, 2000).
Website: http://www.giordanoberti.it

[segnalato da: airesisnews@yahoogroups.com)
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zilath mexl rasnal
25/05/2005 19:49
 
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Giano di Napoli
Mettete Napoli sul lettino da psicanalista di Carl Gustav Jung, cercate con lui (o meglio con un allievo degli allievi suoi) i moventi inconsci sottesi alla vita quotidiana della città, censite gli archetipi che restano immobili dietro la sua cangiante vitalità. Potete anche compiere due volte questa operazione, prendendovi tutto il tempo che volete, un giorno o un anno o mezzo secolo, come ha fatto Adrian Martin, uno dei maggiori intellettuali svizzeri di lingua tedesca, pittore, saggista e narratore di autorità e di mercato, che giusto cinquanta anni fa pubblicò un libro, Giano di Napoli , che innamorò Elena Croce. Oggi Martin rilegge quelle sue pagine, e scopre incredibilmente non soltanto che non è cambiata la cifra pitagorica della metropoli e dei suoi abitanti, ma che perfino i fatti, le case, le strade, le parole, i sentimenti sono ancora lì che aspettano il narratore. Così l’opera, nota al pubblico svizzero e tedesco, torna per un editore italiano, La Conchiglia di Capri (pp 216 , 18), e finalmente si propone al nostro pubblico, con una traduzione eccellente di Giuseppe Raciti, un giovane filosofo che è il traduttore delle opere di Bachofen. Martin si intende dei nostri grovigli antropo-mitologici, di scugnizzi e di sirene, di ninfe e di popolane, di scogli marini e burocratici, di camorra e di mafia, di spietatezze e di devozioni, e soprattutto di vivere il mare in terra e la terra in mare, perché dopo i lontani ma poi rinfrescati soggiorni a Napoli ha scelto da decenni di vivere più di metà del suo tempo a Salina nelle Lipari, dove ha creato una complessa struttura sociale benefica. Là dipinge e scrive romanzi importanti, che hanno per teatro l’isola. Poi torna in Appenzello, in un fedele pendolarismo delle anime, dalle montagne nevose della Svizzera ai vulcani solari dell’Italia, da Odino a Partenope, che anche nella mitologia non è salto climatico da poco.
Martin sa di alchimia, gliene aveva parlato il suo maestro Karl Kerényi, a Roma aveva frequentato Dora e Ernst Bernhard, i due celebri psicoterapisti, probabilmente nella cerchia di Elsinore , il mensile che ebbi l'avventura di fondare e dirigere, si era incontrato con alcuni degli scrittori della post-alchimia moderna, da Zolla a Maria Zambrano a Borges quando era in visita in Italia. Certo fa impressione constatare l’immobile e antimoderna preveggenza di questi alchimisti del profondo, la capacità di lettura paradossalmente avvenirista di compassati signori che parlano e scrivono con una eleganza un po’ aulica, che ci fanno sorridere per il loro argomentare fuori moda, che passeggiano per le città nostre come fossero gli ultimi viaggiatori del Gran Tour, e invece capiscono, decifrano, colgono il senso di gente e di luoghi più di un impegnato sociologo. Libro di sottile antropologia letteraria, Giano di Napoli è una navigazione fra simboli che non si sa se sono vivi o morti, dotati, come molti a Napoli, della capacità quotidiana di vedere morire la morte.
Nella Napoli di Martin la gente piange la fine di Partenope, anzi «den Tod der Todlichen», intraducibile in «la morte della mortifera». Molte cose sono intraducibili a Napoli, nei gesti, nelle volontà e nel vocabolario. Martin lo sa e anche questo è il fascino di un lavoro singolare, rispettoso della complessità umana nella esplorazione urbana. Le contraddizioni della città non spaventano lo scrittore, perché a lui è noto come i latini chiamassero «lucus» l’antro più oscuro e poi spiegassero: «lucus a non lucendo». Il buio si definisce semanticamente grazie alla luce che gli è negata. Così è Napoli, felice e disperata, città che non si accontenta di essere banalmente speranzosa, considerando la speranza una incerta letizia. Anche Salina con le sue due montagne gemelle aveva un nome mitologico, Didyme. È il titolo ( Der Zwillingsberg ) dell’ultimo libro tedesco di Martin, uscito in Germania e Svizzera nel settembre scorso. Dopo Partenope ci sono Dioscuri, archetipo della simbiosi tra il lato mortale e la vocazione immortale di uomini, di isole e di città nate sul mare.


Corriere della Sera 25 05 05
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zilath mexl rasnal
26/05/2005 16:17
 
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Marco Rossi
Battisti - Mogol, tradizione spirituale ed esoterismo
Ibiskos editrice 2005, € 12,00






Prefazione

Non solo "canzonette" disimpegnate

Tutto nel nostro Bel Paese serve per polemizzare buttandola in politica, anche il quarantesimo anniversario del "Piper" nel febbraio 2004. Tra le molte futilità che sono state scritte, si è peraltro appreso anche un particolare interessante: e cioè che quel che il famoso locale romano rappresentava a livello di comportamento e immaginario dei ragazzi di allora era visto con grande ostilità dal PCI e dalla FGCI, il partito egemone nella cultura e la sua organizzazione giovanile, perché non rappresentava alcun "impegno", anzi lo escludeva, e che Lucio Battisti per aver espresso pubblicamente la sua tendenza a musicare canzoni d'amore era stato messo all'indice dall'intellettualità comunista.

Quando il cantautore morì nel 1998 ad appena 55 anni, emerse un'altra stucchevole polemica: all'epoca bollato come "di destra", post mortem ebbe lacrimosi epicedi da parte dei suoi ex colleghi cantautori "prolerari" ed engagés che (almeno qualcuno) fece ammenda delle castronerie a suo tempo dette contro di lui. Però non mancò chi, pervicacemente, insistette col dire che "la Destra lo aveva strumentalizzato" o, anche, "se ne era indebitamente appropriata".

I piagnistei postumi non hanno attenuato l'atteggianento di sempre, l'idea della Sinistra di considerarsi sempre dalla parte del Bene e del Giusto, di essere quella "meglio gioventù" di cui l'omonimo film di Marco Tullio Giordana ha fatto l'apologia (facendo entrare il termine nel linguaggio comune), cui si sono purtroppo aggiunti spesso critici considerati "di destra" intenzionati a dire che, anche loro, erano "rivoluzionari " e contro la "borghesia".

Quella "meglio gioventù", che in realtà proprio tale non fu, di cui si torna a parlare oggi grazie agli sbeffeggiamenti del Fato e ai ritorni ciclici della Storia, ricordando un episodio crudele e rimosso come il "rogo di Primavalle ", con i suoi orrori anche odierni visto che c'è ancora chi cerca, in qualche modo, di "giustificarlo" riferendosi al "clima del tempo"...

I ragazzi di destra, "strumentalizzarono" le canzoni che all'inizio degli anni Settanta, in piena "contestazione", Lucio Battisti cantava su testi di Mogol? O piuttosto non erano queste straordinarie "canzonette" a risultare, per la loro musica e le loro parole, in perfetta sintonia con il modo di essere e di pensare dei ragazzi di destra? E, proprio per questo, essi ne fecero una bandiera ed un mito, mentre - per i motivi identici ed opposti - alla Sinistra non piacevano affatto?

Ovviamente è questa la risposta, senza dietrologie e senza quelle assurdità di cui ancora si compiacciono alcuni reduci sessantottini che attualmente scrivono sui fogli che si autodefiniscono "progressisti ". Si parva licet componere magnis, a pensarci bene, è lo stesso caso di Tolkien: nessuna "strumentalizzazione" ma perfetta corrispondenza di sentimenti, sensazioni, "visioni del mondo". I ragazzi di destra si ritrovavano sia nelle canzoni di Battisti-Mogol che nel Signore degli Anelli. Li sentivano 'loro", tutto qui. Allora perché tanto scandalo? Perché un fatto così normale suscita ancora ridicoli anatemi e puerili invettive tipo: "Fascisti, giù le mani da Tolkien (o da Battisti)"? Ma perché la Sinistra (con la sua "meglio gioventù") non era e non è abituata a lasciarsi sfuggire di mano fenomeni di massa - mediatici come si dice oggi - su cui in genere riesce sempre ad applicare il suo imprimatur appropriandosene per rendenderli così accettabili, valorizzarli e, qui sì, strumentalizzarli.

Erano fenomeni di massa le banali "canzonette" del musicista romano, lo era l'opera del professore di Oxford. Soltanto che la Sinistra, giornalistica e sociologica, troppo impegnata a voler "cambiare la società ", non se ne volle accorgere, e quando se ne accorse era troppo tardi e la questione le era sfuggita di mano, non ne poteva più approfittare. E dopo, a decenni di distanza, per recuperare l'occasione perduta, fa carte falsissime: grazie alla forte presenza nella stampa e nei media radiotelevisivi, si reinventa il passato muovendo accuse assurde e lanciandosi in gratuite invettive.

Ebbene, mentre per la narrativa tolkieniana è stata ormai effettuata un'esegesi approfondita che dimostra come i temi e i simboli del Signore degli Anelli fossero in sintonia con i valori di quegli antichi ragazzi di destra, e riuscendo così a spiegare la ragione profonda per cui l'opera divenne un libro di culto per quella "peggio gioventù", ancora nulla era stato tentato per la produzione musicale del duo Battisti-Mogol che ci aiutasse a comprendere il motivo profondo, il "perché" del fatto che fosse disprezzata dall'ufficialità di Sinistra ed invece fatta spontaneamente propria dai ragazzi della parte opposta.

Ci prova, con questo saggio sorprendente e convincente, Marco Rossi che non da oggi si occupa dei risvolti palesi e nascosti della musica popolare: si pensi al suo pionieristico The Rolling Stones: lascia che sanguini (Il Falco, Milano, 1983). Con una analisi lunga e approfondita dei testi che Mogol scrisse ovviamente in sintonia con Battisti, Marco Rossi evidenzia il messaggio spirituale di quelle "sdolcinate canzonette" in aperta e totale controtendenza rispetto ai valori dei primi anni Settanta propagandati dai sessantottini, e - cosa che sorprenderà molti - la cultura tradizionale su cui esso si appoggia, indicando anche le fonti precise alle quali ci si può riferire.

Naturalmente qualche bello spirito, non ancora "ammaestrato" dagli abbagli cui già è andato incontro (ad esempio con Tolkien) parlerà di esagerazione, di tesi non provate e certo anche della solita "strumentalizzazione ". Ma lo farà perchè è incapace di capire (e se per uno strano caso lo capisse, di accettare) la mentalità simbolica che sta dietro le analisi di Rossi e quel che muove certe persone.

Ad esempio, non capirebbe mai come artisti colti e sensibili, aperti all'influsso di determinati valori superiori e spirituali, abbiano potuto, possano e potranno descrivere e trasmettere certi miti e certe esperienze tradizionali senza magari averne avuto diretta conoscenza: basterebbe leggere la parte iniziale de Il mistero del Graal di Evola o alcuni specifici brani di Simboli della scienza sacra di Guénon per rendersi conto di come ciò possa avvenire e non sia affatto né insolito né impossibile.

Non sempre è dunque necessaria una conoscenza personale (che peraltro Rossi ipotizza) per esprimere concetti di questo genere: è sufficiente piuttosto essere veri artisti, possedere l'intuito e la sensibilità che sono loro propri per essere spiritualmente aperti a, o predisposti verso, determinate influenze tradizionali, sia interiori che "dall'alto". Che sono perenni anche se nascoste e occultate, e che quindi possono sempre agire sul piano "intellettuale" di chi è naturalmente, anche se inconsciamente, indirizzato verso di esse.

Questo è quanto di certo avvenuto per le canzoni scritte e composte nello straordinario quinquennio 1970-1975 dal duo Battisti-Mogol. Ed è per questo motivo sottile che vennero accolte dai ragazzi di destra e respinte dalla cultura di sinistra. Fu una cosa, lo ripeto ancora, del tutto naturale, spontanea, proprio come avvenne, ripeto anche questo, per Tolkien.

Marco Rossi, quindi, apre orizzonti imprevisti ma che spiegano allora tutto, spiegano quel che non si capiva, o si capiva solo a livello superficiale, epidermico, appunto da banalissima "canzonetta". Un terreno, questo, finora campo d'indagine soltanto di semiologi alla Umberto Eco, che però, come dimostrò già nel ,famosissimo Apocalittici e integrati (1964), ne aveva compreso benissimo l'importanza quale mezzo di diffusione di idee e valori a livello popolare; o anche, più di recente, di storici e sociologi i quali hanno scritto la storia italiana attraverso San Remo e simili (si veda ad esempio, La storia leggera di Stefano Pivato, 2003). Un campo invece, come dimostra appunto questo saggio, che può venire affrontato con grande efficacia anche da chi utilizza altri e più profondi strumenti interpretativi.


Gianfranco De Turris
Roma, febbraio 2005





http://www.ibiskoseditricerisolo.it/
info@ibiskoseditricerisolo.it

Ibiskos Editrice
via Campania, 31
50053 Empoli [Fi]
tel. [+39] 0571.99.41.44 (due linee)
fax [+39] 0571.99.35.23





Marco Rossi ha collaborato alle pagine culturali di quotidiani come “Roma” di Napoli e “La Gazzetta Ticinese” di Lugano; di periodici come “Il Borghese”, “Intervento”, “La Torre”, “Futurismo Oggi”, “Diorama Letterario”, “Parsifal”, “Antologia Viesseux”, “Koiné”, “Letteratura-Tradizione”.
Si occupa soprattutto di ricerche storiche sui legami tra cultura esoterica del Ventesimo secolo e la storia politica, artistica e letteraria italiana, pubblicando articoli e saggi sulle riviste “Storia Contemporanea”, “Theosophical History”, “Quaderni Radicali”.
Ha pubblicato il volume Leggende a Primavera, Futurismo Oggi, Roma, 1982; Lascia che sanguini: The Rolling Stones - Contestazione e crisi giovanile attraverso la musica, Il Falco, Milano 1983; La conquista della terra di nessuno, Solfanelli, Chieti, 1995.
E’ coautore e curatore del volumeDelle rovine ed oltre - saggi su Julius Evola, Antonio Pellicani Editore, Roma, 1995 e coautore del libro Julius Evola - Mito, Azione, Civiltà, Il Cerchio, Rimini, 1996. Ha inoltre curato l’appendice dell’edizione di Julius Evola, L’arco e la clava, Mediterranee, Roma, 2000.


[Modificato da Il Ghibellino 26/05/2005 16.26]

26/05/2005 23:15
 
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Svelata la lingua segreta del re Minosse
Un libro del glottologo Mario Negri fa cadere le ultime riserve: dopo quasi quattro millenni il «tempo del Minotauro» esce dalle nebbie del mito
Svelata la lingua segreta del re Minosse

Un altro capitolo sembra aprirsi nella grande avventura della decifrazione delle scritture scomparse: nella specie, delle scritture cretesi, le più antiche documentate nel continente europeo. In un libro in uscita di cui è autore il glottologo Mario Negri, Scrivono palazzi e labirinti (editore Dell’Orso di Alessandria) apprendiamo la notizia della decifrazione della scrittura «lineare A». Anche se la prudenza è d’obbligo (in questo caso peraltro, gli auspici sembrano ottimi), l’avvenimento, se confermato, potrebbe aprire nuove prospettive negli studi sulla storia della prima Europa. Ma prima di addentrarci nell’argomento, e per consentire ai non addetti ai lavori di comprendere l’importanza dell’evento, sono necessari alcuni cenni alla storia nella quale esso si inserisce. Una storia straordinaria e appassionante, che ebbe inizio nel 1900, quando l’archeologo Arthur Evans, non appena Creta venne liberata dal dominio turco, iniziò gli scavi là dove sorgevano le rovine del Palazzo di Cnosso, e nel giro di una settimana rinvenne alcune tavolette sulle quali si trovavano tracce in tre scritture sconosciute, da lui chiamate rispettivamente «geroglifico cretese», «lineare A» e «lineare B». Chi aveva usato quelle scritture? Al momento, quel che si sapeva della storia dell’isola veniva dai resti materiali e dal mito: il re Minosse, per nutrire il Minotauro, nato dall’unione mostruosa di sua moglie Pasifae con un toro, imponeva periodicamente agli ateniesi un atroce tributo, il fiore della sua gioventù, destinato a finire nelle fauci del mostro. Sino al giorno in cui Teseo, l’eroe attico per eccellenza, non riuscì a ucciderlo, con l’aiuto di Arianna, la figlia di Minosse, che si era innamorata di lui. Atene, finalmente, era libera dalla dominazione straniera.
La scoperta delle scritture sconosciute (ovviamente se decifrate) gettava nuova luce sulla storia della Grecia minoica. Ma la decifrazione si rivelò più difficile del previsto: a tutt’oggi (a prescindere dalla notizia di cui qui si parla) è stata decifrata solo la «lineare B», l’ultima delle tre scritture, in ordine cronologico. Secondo la datazione più comunemente accettata, infatti, il geroglifico fece la sua comparsa attorno al 2000 a.C., la «lineare A» attorno al 1750, e la «lineare B» attorno al 1450. Ma la decifrazione della «lineare B» (avvenuta nel 1952 ad opera di Michael Ventris) segnò un momento fondamentale negli studi sul Mediterraneo. Questa scrittura - rivelò Ventris - nascondeva una lingua greca. La civiltà fiorita a Creta e nella Grecia peninsulare a partire dal XV secolo a.C. (che risultò essere il suo maggior centro politico) era civiltà greca. La storia della Grecia iniziava molto prima di quanto si era sempre pensato.
Ma restava - oltre al mistero del geroglifico - il problema della «lineare A», della quale la «lineare B» è chiaramente un’evoluzione. Ritenendo che i valori fonetici delle due scritture (ambedue sillabiche) fossero gli stessi, negli anni Cinquanta e Sessanta studiosi come Peruzzi e Georgiev si misero all’opera, seguendo questa pista. Ma i risultati furono deludenti. Limitiamoci all’esempio più evidente: su due asce rituali era stato possibile leggere idamate, interpretabile subito come Ida (il monte sacro più alto di Creta) Madre. Ma mater (madre) è parola indoeuropea, e nel minoico non ci sono altre tracce di indoeuropeo.
A partire dalla metà degli anni Settanta, dunque, si è venuta affermando una linea «negativa», che revocava in dubbio l’applicabilità dei valori fonetici della «lineare B» alla «lineare A». Sostenitori di questa linea, in particolare, sono stati Louis Godard e Jean-Pierre Olivier, gli autori dell’edizione a tutt’oggi definitiva dei testi in «lineare A», di cui riportarono foto e facsimili (non trascrizione e traduzione). La Creta del secondo millennio, insomma, continuava a parlare solo con la voce dell’archeologia e del mito, non della filologia.
A questo punto della storia, ha inizio la ricerca di Mario Negri e Carlo Consani, studiosi di scuola rispettivamente milanese e pisana, che oggi ritengono di aver decifrato la «lineare A». Sembrava strano, ai due studiosi, che copiando una scrittura, come fecero i micenei dai minoici, se ne stravolgessero completamente i valori fonetici. Dunque, si accinsero a dimostrare, caso per caso, la sussistenza del principio «omografia / omofonia» (stessi segni / stessi valori fonetici). Il metodo si fondava su diverse strategie, di cui qui si dà un esempio: quello delle «sigle», ossia delle iniziali usate come ideogrammi. Per esempio, la sillaba iniziale NI vale in entrambe le scritture per «fico». Quindi si doveva pensare che la parola minoica per fico (in greco, sykon ), iniziasse per NI. Una glossa testimonia che a Creta il fico si chiamava nikuleon . Ecco la parola minoica conservata nella sigla NI.
Con questa e altre strategie Negri e Consani ritengono di aver dimostrato la validità del principio «omografia / omofonia» per circa un terzo del sillabario minoico, che conta circa novanta segni. E nel 1999 hanno pubblicato l’intero corpus in «lineare A» con trascrizione e, ove possibile, traduzione, e con prefazione di Giovanni Pugliese Carratelli (Carlo Consani-Mario Negri, Testi minoici trascritti, con interpretazione e glossario , Roma, CNR,1999). Mario Negri, poi, con la collaborazione di Giulio M. Facchetti, trae le conseguenze linguistiche delle ricerche sopra descritte in Creta minoica , (Firenze, Olschki, 2003), e soprattutto nell’ultimo Scrivono palazzi e labirinti .
Dai testi minoici, segnalano poi i due autori, sembrerebbero riemergere i nomi della divinità suprema ( Ataijowaja ), di Demetra ( Damate ), del labirinto ( dubure ), del sesamo (sasama), del cumino ( kumina ), del vino dolce ( karoine ), forse della menta.
Quali conseguenze gli storici potranno trarre da questa scoperta con riferimento alla storia cretese è troppo presto per dire. Come dicevo in partenza, inoltre, di fronte a simili notizie, anche quando si presentano sotto i migliori auspici, la prudenza è d’obbligo. Sarà l’intera comunità scientifica a dare il verdetto. Ma l’entusiasmo suscitato dalla notizia è grande, così come la speranza di una sua conferma definitiva. Ed è motivo di non poco orgoglio sapere che coloro ai quali sono affidate queste speranze lavorano nelle nostre bistrattate università.


Informazioni: Mario Negri, «Scrivono palazzi e labirinti», editore dell’Orso, Collama Ellada,tel. 0131.252349, www.ediorso.it; Carlo Consani-Mario Negri, «Testi minoici trascritti», con interpretazione e glossario, Roma, CNR, 1999 (con prefazione di Giovanni Pugliese Carratelli); Giulio M. Facchetti-Mario Negri, «Creta minoica», Firenze, Olschki, 2003; Louis Godart-Jean-Pierre Olivier, «Recueil des inscriptions en linéaire A», 5 voll., Paris, Geuthner, 1976-1885 (edizione completa dei testi in lineare A); Louis Godart, «L’invenzione della scrittura», Einaudi, 1992-2001. Informazioni sulla scrittura cretese sul sito: www.scritturedimenticate.iulm.it.

(http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=CULTURA&doc=EVA)

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