Qualcuno ha avuto modo di leggere questo testo di Calasso?
Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi
Biblioteca Adelphi, Prima edizione 2001
pp. 183, Euro 14,46
Dal risvolto di copertina: A lungo gli scrittori hanno parlato degli dèi perché la comunità affidava loro questo compito. Ma poi hanno continuato a scriverne, anche quando la comunità avrebbe ignorato o avversato quegli stessi dèi e il divino da cui promanano. Chi erano quelle figure? Perché i loro nomi affioravano sempre, imperiosamente o allusivamente? Innanzitutto gli dèi della Grecia, che sin dalla Firenze quattrocentesca degli Orti Oricellari – dove poeti, pensatori e pittori quali Botticelli, Poliziano o Marsilio Ficino si proponevano di tornare a celebrare i misteri pagani – attraversano per secoli, come onde possenti e capricciose, la vita mentale dell’Europa, depositandosi in statue, quadri, versi. E in seguito, a partire dai primi anni del Romanticismo tedesco, dèi provenienti da ogni spicchio dell’orizzonte, e in particolare dall’Oriente. Dèi dai nomi oscuri, ma ancora una volta paurosi e ammalianti. Le loro figure si mescolano ora a un rivolgimento delle forme, a una fuga della letteratura dal maestoso edificio della retorica, che a lungo l’aveva ospitata, verso una terra che non è descritta sulle mappe ma dove – da Hölderlin e Novalis a Mallarmé, a Proust e sino a oggi – siamo ormai abituati a ritrovare la letteratura stessa nella sua metamorfosi più azzardata ed essenziale, insofferente di ogni servitù verso la società e portatrice di un sapere irriducibile a ogni altro, che qui viene delineato sotto il nome di letteratura assoluta.
Questo volume raccoglie le otto Weidenfeld Lectures che l’autore ha tenuto all’Università di Oxford nel maggio 2000.
Note sull'autore: Nato a Firenze, Roberto Calasso vive a Milano ed è presidente e consigliere delegato della casa editrice Adelphi. autore di un work in progress di cui finora sono apparsi La rovina di Kasch (1983), Le nozze di Cadmo e Armonia (1988), Ka (1996). Ha pubblicato inoltre il romanzo L'impuro folle (1974) e i saggi I quarantanove gradini (1991) e La letteratura e gli dèi (2001).
Note: Le motivazioni del premio Bagutta
Riportiamo un brano letto da Piero Gelli durante la cerimonia di chiusura:
«Vorrei soltanto infine sottolineare due tra le varie motivazioni che hanno indotto la giuria a premiare La letteratura e gli dèi: l’una, la capacità di affrontare col dominio di un’intelligenza e di una cultura che non hanno confronti un territorio vastissimo di civiltà e di dottrine e di restituirlo col fascino di un’affabulazione teofanica, oltre che con maestria stilistica e con il rigore di una dimostrazione serrata. L’altra, in qualche modo più struggente e simpatetica. Per Calasso, gli dèi non sono mai morti; come l’onda intermittente di Aby Warburg che riprende a sferzare le rocce, riappaiono tra noi, ritornano dall’esilio, e si ritrovano non nei santuari di culti e di riti, bensì nei libri, anche in quelli o soprattutto in quelli che pochi leggono. Si ritrovano quindi in quell’atto solitario e silente che è la lettura, in quell’atto carico di potenza, frenetico e inebriante, che è il leggere, e che sopravvive anche al delirio del computer e dei suoi microchip, perché in fondo sempre di parole e di letture si tratta». (4 dicembre 2001)
Una recensione su internetbookshop.it: Massimo Russo (27-03-2001)
Leggendo l’ultimo “romanzo” di Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi, non si può rimanere indifferenti. Nel senso che Calasso è capace, in ogni circostanza, di aprire orizzonti nuovi al lettore anche più smaliziato. E non solo per la sua bravura di autore (scrittore), ma anche per un percorso interpretativo tutto suo (originale) che muove da una cultura profonda e curata. La quale è lampante (a volte compiaciuta) dopo poche pagine (e anche righe) di questo suo ultimo lavoro, le otto Weidenfeld Lectures tenute all’Università di Oxford nel maggio 2000. Il percorso che Calasso traccia, muove dalla considerazione dell’utopia («comunità buona») come pericolosa ossessione e degli dèi nella mitologia classica: parti fondanti della cultura occidentale. Da qui, attraverso un itinerario di incontro e di testimonianza che vede protagonisti gli dèi («ospiti fuggevoli della letteratura»), l’autore individua una via (tra le altre) che però è la Via (anche in un senso propriamente religioso.) Perché se Calasso da una parte tende a trovare il Luogo della Letteratura, e quindi degli dèi, dall’altra non manca in questa scelta di individuare un percorso (in avanti come all’indietro) scientifico (metafisico - ideologico?). Infatti, l’Arte è opera gnoseologica (Nietzsche), per cui conoscenza e simulazione non sono antagoniste ma complici. E la prima operazione, l’Operazione, è un’invenzione dalla quale tutto promana. Quest’invenzione è la Forma, che ci dice come sia necessario, anche nella piena libertà, tenere ben presenti «le leggi» (Proust) che regolano il fare della Letteratura, dopo aver abbandonato la legge per eccellenza, la Retorica (la testimonianza è data, alla morte di Hugo, da Mallarmé. Il poeta francese lungi dall’essere un avanguardista è piuttosto il primo testimone della rinata “giurisprudenza” letteraria). La Letteratura è l’unica verità, ben al di là della limitata realtà, fatta di convenzioni e di approssimazioni razionali. Il percorso affascinante che l’autore esperimenta, passa attraverso la mitologia greca, ma si completa con quella orientale, l’unica ad avere una risposta per tutto. E, attraverso gli autori che Calasso cita (Omero, Hölderlin, Baudelaire, Schlegel e Novalis, Nietzsche, Lautréamont, Mallarmé, Proust, nonché molti altri tra cui Leopardi, Nabokov, Benn, Montale, Artaud, Heidegger), viene rifatta (o fatta) una storia della Letteratura che, appena conosciuta, sembrava mancare. Molto illuminante è il capitolo settimo (la lezione penultima) in cui il Nostro mostra tutta la sua competenza attorno ai miti dell’oriente. Nell’ultimo capitolo, Calasso enuncia la sua tesi di una «Letteratura assoluta» portatrice di un sapere irriducibile e divincolata da qualsiasi forma preesistente. Io credo che merito di queste lectures sia soprattutto nell’orizzonte interpretativo che tracciano e che “apre” inevitabilmente ad “altre” considerazioni attorno allo sviluppo e alle ragioni della Letteratura (si ha, a volte, la sensazione di un discorso “fuori dal mondo”: un vero e proprio fare versi). Ma la conclusione, nella sua essenzialità, non è affatto nuova se non per la intensità e la magnificenza con cui viene pronunciata e per l’iter scelto per giungervi. Riguardo poi alla questione che la Letteratura debba tener fuori la Società dalla sua idealità, penso ci sia stata un po’ di confusione da parte di commentatori affrettati che hanno additato la posizione di Calasso, come quella di un autore che non partecipi del senso della storia. Calasso dice (giustamente) che la Letteratura va tenuta lontana dalla Società, nel senso che da essa non può e non deve farsi soggiogare. Quando è successo infatti ci sono stati i totalitarismi (tesi già esposta con lucidità in La rovina di Kasch). Non può perché la Letteratura ha origine sua propria, attraverso la vita degli dèi, anzi è l’Origine. E nell’individuare la solitudine dello scrittore (dopo il secolo in cui ha trionfato la Letteratura assoluta, dal 1798 al 1898, seguito dalla clandestinità della Letteratura non più “libera”), Calasso ci fa vedere come le opere non siano altro che l’Opera attraverso e nelle mani di una individualità che comprende il tutto (valga il paragone di due scienziati che si trovino a scoprire la stessa cosa contemporaneamente e separatamente). In questo senso lo scrittore (il solo testimone e custode caduco dell’Opera) non è scrittore della Società, ma è comunque “figlio” dell’epoca che lo caratterizza: Calasso però non considera quest’ultimo aspetto (dimentica, invero anche che esiste una Letteratura sociale portatrice di libertà). Allora, il senso dell’esclusione della Società risiede nella sua temporalità estrema che nulla ha a che vedere con la Letteratura “assoluta”. In questo senso La letteratura e gli dèi è un libro per “esperti”, o per chi voglia esperire nuove vie senza accontentarsi di quella più affascinante.
Voto: 5 / 5
Recensione su clarence.com: E' un peccato che di tutto quanto Roberto Calasso ha pensato, scritto e strategicamente adottato nella sua vita di intellettuale settecentesco rimarranno infine soltanto due ricordi: ciò che ne ha detto Tommaso Labranca, che è un cretino e di Calasso non ha capito niente; e ciò che ne ha detto Maurizio Blondet, che è un cattolico e di Calasso non ha capito niente nemmeno lui. Per Labranca, agli esordi del boom del trash, Calasso era l'icona della finta cultura alta, quella che snobba la televisione e che però produce i testi di Franco Battiato: Labranca prese mirabilmente per il culo l'Editore adelphiano, mancando totalmente il bersaglio. Per Maurizio Blondet, che potremmo definire "cattolico atipicamente integralista", Calasso è la punta di diamante di un complotto neopagano che potrebbe arrivare ad atti estremi e sacrificali di carattere splatter. Peccato per Calasso: è ben vero, tuttavia, che ognuno ha la sorte che si merita o che gli merita la sua propria aura (o kharma: questa nozione, a Calasso, piacerebbe di più. Se invece ci mettiamo noi a parlare di Calasso, lo facciamo senza le prospettive di Labranca (su Clarence c'è molto trash: cercatevelo nelle apposite aree) e di Blondet (lo scrivente nemmeno è battezzato).
La letteratura e gli dèi raccoglie le otto Weidenfeld Lectures che l'autore di Ka ha tenuto a Oxford nel maggio 2000. Sono le "lezioni inglesi" di Calasso: qualcosa che sta tra Warburg e Calvino, dal punto di vista prettamente editoriale.
Questo libro è splendido. Ciò che è splendido, spesso, è pericoloso. Questo libro è pericoloso. Che cosa fa Calasso in queste otto travolgenti, geniali, abbacinanti lezioni? Si occupa della presenza divina nella letteratura. Quale letteratura? Semplicemente tutta la letteratura che abbia avuto la pretesa o, se non l'ha avuta, sia riuscita a essere letteratura assoluta. Una letteratura che mantiene in sé - nei significati o via via nelle forme, negli sfondi, financo nei rapidi brividi - la presenza sacra e orririfica e al di là del gioioso di figure che noi contemporanei, avvizziti e inconsapevoli, non ravvisiamo da tempo nel mondo e ora neanche tra le sillabe: la presenza degli dèi. Calasso, in splendida forma, forbitissimo e dilagante senza difettare della precisione di un bisturista, ricostruisce al tempo stesso la storia e la metastoria della letteratura: la quale è, ai suoi orfici esordi, il perfetto Nulla, nel silenzio annichilente di chi non aveva tempo né bisogno di leggere le tracce numinose degli dèi nei libri: poiché gli dèi erano visibili nel mondo, come Atena e Pisistrato su un cocchio segnalato al mercato pubblico.
Poi Calasso approfondisce la stoccata: si passa alla modernità: romantica e mallarmeana. Qui l'autore di Cadmo e Armonia dà il meglio, soprattutto a proposito di Mallarmé, quando individua nel celebre sonetto in -ix il risultato iniziale e finale della Letteratura Assoluta: una letteratura che, facendo perno sull'allegoria di se stessa, individua lo sfondo in cui tutto si agita e tace, il passaggio ultra- e meta-fisico in cui gli dèi si sono reclusi: cioè la Mente. Manifestazioni ormai psichiche, le deità sono brividi e visioni interiori non sintattizzabili, ma còlte con la perizia apparentemente casuale del rabdomante, il quale è comunque e sempre uno scrittore. Non poeta e non prosatore: un ritmo di sfondo, una nota assoluta che regge le forme - da cui le forme emergono - è lo spazio eterico del mentale puro, quel livello che la tradizione vedantica identifica con il Manas, chiave e ostacolo alla Realizzazione spirituale. L'ultima parte del libro di Calasso è una strenua difesa della particolare metrica che governa la silenziosa prosodia annichilente della letteratura assoluta: i metri in cui si avvolgono gli dèi non sono più i metri tradizionali della tradizione occidentale (endecasillabo o alessandrino e fiumana di variazioni compresa), bensì quel ritmo univoco che manifesta la mente a se stessa.
Qui, in questo accenno (Calasso accenna sempre: si potrebbe dire che scimmiotta qualcosa di ineffabile), sta il pericolo dell'operazione di Calasso. Che consiste in ciò: per chi è colto, ma della Tradizione se ne fotte, questo è un innocuo e affascinante trattato su mito e letteratura; per chi di Tradizione ne sa, questo è il volume di un pandit lievemente offuscato da una solfurea egoità; per chi la Tradizione la pratica, questo libro è un'invocazione alla magnetica facisnosità dei siddhi, dei poteri da cui gli yogin sono avvisati di stare lontano. Per chi capisce: Calasso è manasico, un adoratore pernicioso del Manas, delle sue figurazioni, dei suoi esoterismi che sembrano condurre a capire la Realizzazione. Il che non corrisponde alla Realizzazione. Secondo la Tradizione, quest'operazione è l'Antitradizione. Calasso non minaccia il cattolicesimo di Blondet. Calasso minaccia, come sempre inutilmente, la prassi dell'ascesi individuale, strettamente personale, univocamente metafisica. Siccome egli stesso si pone su questo piano, da questo piano gli rispondiamo: bocciandolo, senza revoca, ricacciandolo ai suoi esercizi illusori di apparentemente ingenua prestidigitazione...