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Quel che sarà sarà....i retroscena veri o presunti di stampa e tv sul pontificato di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 19/01/2008 15:49
19/05/2005 02:34
 
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Il vero punto di frizione tra Martini e Ratzinger

L'omelia dell'8 maggio del cardinale Carlo Maria Martini nel Duomo di Milano non cessa di far discutere.

In effetti, in essa c'è davvero qualcosa di contrastante con gli orientamenti di papa Benedetto XVI.

Ma il punto di frizione non è il relativismo imperante nel mondo. E' un altro.

E' là dove il cardinale Martini, parlando ai cristiani nell'umanità intera, invita a "vivere insieme come diversi, rispettandoci [...] e neanche tentando subito la conversione, perché questa parola in certe situazioni e popoli suscita muri invalicabili", ma "piuttosto fermentandoci a vicenda in maniera che ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità".

Che su questo Benedetto XVI la veda diversamente, si sapeva. Ma il suo pensiero il papa l'ha ridetto chiaro il 13 maggio, rispondendo alle domande dei preti della diocesi di Roma riuniti in San Giovanni in Laterano:

"L'essenza del cristianesimo non è un'idea, è una persona. Qui troviamo una riposta a una difficoltà quanto alla missionarietà della Chiesa. A volte si sente dire: 'Loro hanno la loro autenticità, conviviamo pacificamente, che ognuno cerchi nel miglior modo la propria autenticità'. Ma se noi abbiamo trovato il Signore, se per noi c'è la luce e la gioia del Signore, siamo sicuri che all'altro che non ha trovato Cristo manca una cosa essenziale, ed è un dovere nostro offrirlo all'altro".


P.S Il discorso non fa una grinza...se tu, Chiesa, sai che Cristo è la Verità (e questo noi cristiani professiamo) va di logica conseguenza che l'altra religione è mancante della Verità...
Come avrebbero potuto gli Apostoli arrivare a noi con la parola se si fossero fermati agli dèi pagani e non avessero insistito (ma senza violenza, almeno per la Chiesa delle Origini)sulla Verità di Cristo? N.d.R

[Modificato da Ratzigirl 19/05/2005 2.39]

19/05/2005 02:52
 
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Un assemblaggio ambiguo su Tettamanzi....(ma il Papa resta Ratzinger)


Morto un papa se ne fa subito un altro: Tettamanzi





Nella home page del sito web ufficiale dell'arcidiocesi di Milano, domina l'addio a Giovanni Paolo II.

Ma se uno apre la pagina con la messa celebrata in Duomo in suffragio del papa defunto nel pomeriggio di domenica 3 aprile, trova un strano montaggio.

Nella pagina campeggia una foto con il cardinale Dionigi Tettamanzi, all'esterno del Duomo, che saluta raggiante la folla che lo acclama sul sagrato.

E il titolo sotto la foto dice:

"Durante la celebrazione di domenica pomeriggio venticinquemila fedeli in preghiera per il papa".

Quale papa?

L'indomani il quotidiano "la Repubblica", in un servizio in grande evidenza, a pagina 5, ha spiegato e titolato così:

"L'arcivescovo a lungo applaudito in Duomo. Milano invoca Tettamanzi: 'Viva il prossimo papa'".

Dalla morte di Giovanni Paolo II a questa acclamazione non erano passate neppure ventiquattr'ore.

Nell'omelia della messa, tra le linee maestre del pontificato di Giovanni Paolo II ha ricordato in particolare questa:

"Non posso non fare memoria dell'affettuosissima carezza che Giovanni Paolo II mi ha fatto nei primi giorni di luglio di tre anni fa, incoraggiandomi con forza ad accettare di diventare, come lui mi voleva, vostro arcivescovo".
20/05/2005 12:53
 
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Onoreficenza a Georg




Prima di assistere alla proiezione del film "Karol, un uomo diventato Papa", Benedetto XVI partecipa, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, alla cerimonia di conferimento a suo fratello, Mons. Georg Ratzinger, dell’onorificenza "Österreichisches Ehrenkreuz für Wissenschaft und Kunst, Erste Klasse (Croce d’onore austriaca di prima classe per la scienza e l’arte).

L’onorificenza, consegnata dall’Ambasciatore d’Austria presso la Santa Sede, Dr. Helmut Türk, è stata attribuita a Mons. Georg Ratzinger dal Presidente austriaco, Dr. Heinz Fischer, il 7 dicembre 2004, per i suoi stretti legami culturali e sacerdotali con la Repubblica AusPrima di assistere alla proiezione del film "Karol, un uomo diventato Papa", Benedetto XVI partecipa, nell’Auletta dell’Aula Paolo VI, alla cerimonia di conferimento a suo fratello, Mons. Georg Ratzinger, dell’onorificenza "Österreichisches Ehrenkreuz für Wissenschaft und Kunst, Erste Klasse (Croce d’onore austriaca di prima classe per la scienza e l’arte).
21/05/2005 03:01
 
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Inizia l'innocua riforma di Papa Benedetto: un ritorno alle origini
QUESTO NON E' RITORNO AL MEDIOEVO (inteso come secolo buio)E' IL RITORNO ALLE IERATICHE ORIGINI (e forse ce n'è bisogno...)



ROMA, 28 aprile 2005 – La mattina di domenica 24 aprile Benedetto XVI ha inaugurato il suo “ministero petrino di vescovo di Roma” nella luce solare di una piazza San Pietro straripante di folla.

Ma la sua volontà iniziale era un’altra. La sua prima messa solenne da papa avrebbe voluto celebrarla non nella piazza ma dentro la basilica di San Pietro. “Perché lì l’architettura indirizza meglio lo sguardo non al papa ma a Cristo”, disse ai maestri di cerimonia mercoledì 20 aprile, suo primo giorno pieno da eletto. Solo l’immenso numero di fedeli in arrivo l’ha indotto poi a optare per la liturgia a cielo aperto.

In quello stesso giorno, parlando ai cardinali nella Cappella Sistina, mise subito in chiaro che al primo posto del suo programma di successore di Pietro, al di sopra di tutto, ci sarà l’eucaristia. La definì “il centro permanente e la fonte del servizio petrino che mi è stato affidato”.

Le due cose, la forma e il contenuto delle celebrazioni, sono per lui legatissime. E hanno il loro rovescio in un passaggio di quelle meditazioni choc per la Via Crucis dello scorso Venerdì Santo che Joseph Ratzinger scrisse da cardinale: “Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di Lui!”. Dove Lui sta per Gesù Cristo crocifisso e risorto, il grande assente di tante nuove liturgie divenute “danze vuote attorno al vitello d’oro che siamo noi stessi”.

Per Benedetto XVI, nel solco della grande tradizione cristiana, la messa, o eucaristia, è il sacramento che crea la Chiesa, la modella, e ne dà l’immagine al mondo.

L’ha ridetto ai cardinali nel suo primo discorso programmatico: l’eucaristia è “cuore della vita cristiana e sorgente della missione evangelizzatrice della Chiesa”.

Per questo ha curato con attenzione massima la celebrazione d’inizio del suo pontificato: una prima assoluta nella storia dei papi moderni per ricchezza ed eloquenza di simboli.

Il luogo, anzitutto. Lì v’era il circo in cui l’imperatore Nerone martirizzò l’apostolo Pietro. Gianlorenzo Bernini lo ridisegnò nel Seicento in forma d’anfiteatro davanti al nuovo palco imperiale, il frontone della basilica, dalla cui sommità il Cristo risorto avanza col vessillo del suo trionfo, la croce trasformata in trofeo. Benedetto XVI, ultimo successore di Pietro, proprio da lì ha voluto iniziare la celebrazione: dalla tomba dell’apostolo sotto l’altare maggiore della basilica. E da lì ha raccolto le insegne: il pallio patriarcale in lana d’agnello e l’anello del “pescatore di uomini”.

Atto secondo: la processione. Ciò che i fedeli dalla piazza non potevano vedere, l’hanno visto sui maxischermi tv, così come gli spettatori dei paesi più lontani. Il nuovo papa, con i cardinali in fila davanti a lui, avanzava dal centro della basilica verso la piazza, al seguito della croce e del Vangelo. Il baldacchino con le colonne tortili, altra geniale invenzione di Bernini, prospetticamente li inquadrava e sembrava muoversi con essi. Ma il vero motore visuale di tutto era lo Spirito Santo al centro della raggera di luce dell’abside, che infiammava la cattedra dell’apostolo Pietro, torceva le colonne del baldacchino e, fuori, gonfiava il colonnato della piazza, facendola sacro teatro della Chiesa in cammino fra terra e cielo.

Accompagnava la processione il canto delle “Laudes Regiae”, gregoriano purissimo dell’epoca di Carlo Magno. Anche su questo Benedetto XVI è stato molto esigente. Il coro della Cappella Sistina ha eseguito canti esclusivamente in gregoriano e in polifonia classica, tutti in lingua latina.

Persino a rito terminato, mentre il papa girava per la piazza a salutare i fedeli su una campagnola scoperta, lo sfondo sonoro è stato scelto con cura: toccata e fuga in re minore per organo di Johann Sebastian Bach.

Il cuore dell’intera liturgia è stato naturalmente la messa sul sagrato della basilica. Col papa a presiedere. Ma attorno a lui e all’altare c’era la corona dei cento e più cardinali concelebranti. E soprattutto, più visibile che mai, ad attrarre lo sguardo era l’arazzo fatto scendere a coprire la porta centrale della basilica, col vero protagonista del sacramento: il Cristo risorto che sulle rive del lago spezza il pane con gli apostoli e dà a Pietro il mandato di pascere la Chiesa, ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni cantato in latino ed in greco.

Nell’omelia, nessun programma di pontificato. Ma i fatti parlavano. La messa stessa era attuazione del primo punto del programma già annunciato quattro giorni prima.

Benedetto XVI ha spiegato simboli e letture. Il pallio come giogo di Cristo, come pecorella perduta e salvata dai deserti esteriori e interiori, come Dio fatto agnello, per un mondo “salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori”. E poi l’anello del pescatore, la rete del Vangelo che tira fuori gli uomini “dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, la luce di Dio”, e il “non abbiate paura” finale, perché “ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio, ciascuno di noi è voluto, amato, necessario”, non il prodotto “casuale e senza senso dell’evoluzione”.

Con la sua straordinaria passione per la liturgia, Benedetto XVI è indiscutibilmente papa della grande tradizione: fatta di testi, di riti, di arte, di musica. Anche il Concilio Vaticano II è partito da lì: l’impronta più memorabile che ha lasciato è quella della riforma liturgica.

Ma fin da subito Ratzinger ne vide e ne denunciò gli stravolgimenti. Arrivò a scrivere: “Sono morti che seppelliscono altri morti, e definiscono ciò riforma”.

Il suo ultimo libro organico, non una raccolta di saggi, pubblicato nel 2001, ha per titolo “Introduzione allo spirito della liturgia” e delinea una “riforma della riforma”. Sotto i cui colpi tremano anche molte innovazioni spettacolo introdotte nei riti di massa cari a Giovanni Paolo II.

Il primo viaggio di Benedetto XVI in Italia sarà a Bari a fine maggio, al congresso eucaristico nazionale. Ha annunciato che ridarà “particolare rilievo” alla festa del Corpus Domini, in giugno. Alla giornata mondiale della gioventù, in agosto, metterà “l’eucaristia al centro”. In ottobre presiederà un sinodo dei vescovi interamente dedicato all’”Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”, con primo relatore il suo discepolo Angelo Scola, patriarca di Venezia.

Ma più di tutto saranno le liturgie papali a far da prototipo in tutto il mondo della “riforma della riforma”.

Quella inaugurale di domenica 24 aprile ne è stata il primo formidabile atto.

[Modificato da Ratzigirl 21/05/2005 3.01]

21/05/2005 14:18
 
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LA VICENDA DEGLI ABUSI SESSUALI 1997-2005 I provvedimenti di Benedetto XVI.



Lo scorso 30 novembre (vedi foto) Giovanni Paolo II abbracciò in pubblico il loro fondatore Maciel, si felicitò con lui per i sessant’anni di ordinazione sacerdotale, nel tripudio dell’aula vaticana delle udienze gremita da migliaia di Legionari e di militanti del Regnum Christi, la loro associazione laicale parallela.

Quattro giorni prima, il 26, papa Wojtyla aveva dato in “cura e gestione” ai Legionari nientemeno che il Pontificio Istituto Notre Dame di Gerusalemme, un imponente centro d’ospitalità e d’incontri, di proprietà della Santa Sede, a pochi passi dal Santo Sepolcro.

Intanto però in un altro palazzo vaticano, quello dell’antico Sant’Uffizio, l’allora cardinale prefetto Joseph Ratzinger aveva appena ordinato al suo promotore di giustizia Scicluna di ripescare negli scaffali della congregazione tutti i processi in lista d’attesa e in pericolo di non esser mai celebrati. L’ordine era: “Ogni causa deve avere il suo corso regolare”.

Tra i fascicoli ce n’era uno vecchio di sei anni con scritto sopra in latino: “Absolutionis complicis. Arturo Jurado et alii – Rev. Marcial Maciel Degollado”. Ossia: l’indicazione del delitto, il nome del primo dei denuncianti e quello dell’accusato. Il delitto, l’assoluzione in confessione del complice, è uno dei più terribili per la Chiesa, al punto da non cadere mai in prescrizione.

Pochi giorni dopo, il 2 dicembre, Martha Wegan, austriaca residente a Roma, avvocato della Santa Sede per il foro canonico, chiese per lettera ad Arturo Jurado, José Barba Martin e Juan Vaca, tre degli otto accusatori di padre Maciel, se intendevano confermare la loro richiesta di processo canonico, da essi consegnata in Vaticano il 17 ottobre 1998 nelle mani dell’allora sottosegretario della congregazione per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti.

I tre risposero di sì. L’avvocato Wegan trasmise la loro risposta al promotore di giustizia Scicluna. E questi aprì l’indagine preliminare sulle denunce in suo possesso: anni e anni di abusi sessuali compiuti da padre Maciel sui suoi accusatori, tutti ex Legionari, quando essi erano in giovane età ed erano in seminario con lui come guida, a Roma, con l’aggravante che egli poi in confessione li assolveva.

* * *

Quando le denunce degli otto apparvero per la prima volta, il 23 febbbraio 1997, su un giornale del Connecticut, “The Hartford Courant”, in un servizio a firma di Jason Berry e Gerald Renner, negli Stati Uniti non era ancora scoppiato l’uragano degli abusi sessuali compiuti da preti su bambini e giovani. Ma questo ne fu il tuono premonitore.

A far colpo, oltre alla gravità delle accuse, erano le personalità dei denuncianti, ingegneri, avvocati, professori universitari affermati. Alcuni avevano ricoperto cariche di rilievo nell’organizzazione di padre Maciel. Uno di essi, Félix Alarcón, aveva aperto nel 1965 il primo avamposto della Legione negli Stati Uniti. Un altro, Vaca, era stato presidente dei Legionari negli Usa tra il 1971 e il 1976. E una prima volta nel 1978, una seconda nel 1989, aveva inviato due esposti riservati a Giovanni Paolo II, accusando Maciel d’aver abusato di lui quand’era ragazzo. In entrambi i casi non aveva avuto risposta. Anche per questo lui e gli altri sette decisero alla fine di mettere tutto in pubblico, e depositare la loro denuncia in Vaticano, nel 1998.

Fatto bersaglio di queste accuse infamanti, padre Maciel si è sempre difeso negandole in blocco. Ma anche contrattaccando.

A discredito di chi lo accusa porta il fatto che assieme agli otto denuncianti ce n’era all’inizio un nono, Miguel Diaz Rivera, ex Legionario oggi professore a Oaxaca, che però poi ritrattò e asserì d’essere stato indotto dagli altri a dire il falso.

Anche altri tre ex Legionari, Armando Arias Sanchez, Valente Velázquez e Jorge Luis González Limón, sarebbero pronti a testimoniare d’aver ricevuto pressioni a sostenere accuse non vere.

Ma l’argomento principe su cui padre Maciel e i suoi fanno leva è l’esito di una precedente indagine del Vaticano contro di lui, dalla quale uscì assolto.

Correva l’anno 1956 e contro Maciel s’erano addensati diciotto capi d’accusa, compreso l’uso di stupefacenti. Il Sant’Uffizio lo esautorò da ogni carica, lo allontanò da Roma e interrogò a uno a uno tutti i suoi seguaci.

Tra questi c’erano anche coloro che quarantadue anni dopo avrebbero denunciato Maciel per abusi sessuali compiuti su di loro in quegli stessi anni Cinquanta. Ma di ciò non dissero nulla.

L’indagine durò fino al febbraio del 1959 e si concluse con l’assoluzione e la reintegrazione dell’accusato. Di uno degli ispettori di allora, il vescovo cileno Cirilo Polidoro van Vlierberghe, oggi quasi centenario, i Legionari di Cristo esibiscono due lettere di pieno sostegno a padre Maciel.

* * *

Veramente, circa il nuovo processo che incombe su Maciel dal 1998, non tutti i dirigenti della Legione sono sempre stati d’accordo su come fronteggiarlo. Secondo alcuni, il non averne sollecitata la celebrazione immediata è stato per la Legione non un vantaggio ma un danno. A fronte di accuse verbali su fatti molto lontani nel tempo, prive di riscontri oggettivi, scagliate da un gruppo di fuorusciti a loro volta accusati di “colpire padre Maciel per colpire la Chiesa e il papa”, la sentenza sarebbe stata di assoluzione certa.

Oggi però questa certezza non è più così salda. Lo scorso 23 gennaio, dal capitolo che ogni dodici anni nomina il direttore generale dei Legionari di Cristo è uscito eletto non padre Maciel, come sempre in precedenza, ma un altro di lui molto più giovane, Álvaro Corcuera Martínez del Rio, messicano, 47 anni. Lo stato maggiore dei Legionari nega che l’avvicendamento abbia un legame con il processo. Sta di fatto che dopo che questo s’è messo in moto per iniziativa di Ratzinger, Maciel non ricopre più alcuna carica nella Legione da lui fondata.

E la sequenza degli ultimi fatti sembra volgere a suo sfavore. Il 25 marzo, Venerdì Santo, nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo Ratzinger lamenta “quanta sporcizia c’è nella Chiesa proprio tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Cristo” e fa presagire una ripulitura energica. Negli stessi giorni il suo promotore di giustizia Scicluna è in partenza per l’America, a verificare le accuse contro Maciel. Il 2 aprile è a New York, dove interroga non solo Vaca, uno degli otto della denuncia canonica, ma anche un altro ex Legionario importante, Lennon, che convalida le accuse del primo con una sua testimonianza aggiuntiva relativa ad anni più recenti. Il 4 è a Città del Messico, dove prosegue gli interrogatori fino al 10 aprile. Ascolta più volte, da soli e assieme, per un totale di dodici ore, i due titolari formali della denuncia canonica, Jurado e Barba Martin. Interroga i rimanenti degli otto, tranne uno, Fernando Pérez Olvera, che però gli inoltra una memoria scritta. Ma soprattutto interroga numerosi altri nuovi testimoni, del Messico, degli Stati Uniti, dell’Irlanda, della Spagna, qualcuno rimasto tra i Legionari fino a pochissimi anni fa. E tutti arricchiscono l’indagine di nuove accuse, non solo contro Maciel, ma anche contro altri dirigenti della Legione più giovani, sempre per la stessa “sporcizia”.

Affianca Scicluna un prelato che gli fa da notario. Questi mette per iscritto ogni testimonianza e alla fine la fa controllare e approvare dall’interrogato. Quando a metà aprile i due rientrano in Vaticano, hanno sull’agenda i nomi di una ventina di altri ex Legionari che hanno chiesto di essere interrogati, in Spagna e in Irlanda. Scicluna potrebbe presto recarsi anche in questi due altri paesi. In ogni caso, come promotore di giustizia, alla fine della sua indagine preliminare redigerà un rapporto con delle proposte conclusive. In base ad esso, le autorità vaticane decideranno se aprire o no il processo canonico vero e proprio.

Fosse per il cardinale segretario di stato Angelo Sodano, grande protettore di Maciel e dei Legionari di Cristo, questo processo non si dovrebbe mai fare. Intanto, però, Ratzinger è stato eletto papa e sarà lui a dire l’ultima parola.

Come nuovo prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Benedetto XVI ha nominato l’arcivescovo di San Francisco, William J. Levada, uno dei responsabili negli Stati Uniti del nuovo corso contro gli abusi sessuali commessi da preti.

Due giorni prima del conclave, il 16 aprile, Ratzinger incontrò il cardinale di Chicago, Francis George, suo grande elettore e sostenitore ancor più deciso di una linea rigorosa nel ripulire la Chiesa da questo flagello. Gli assicurò il suo appoggio.

Appena eletto papa, a George che gli baciava la mano Benedetto XVI disse subito che avrebbe mantenuto la promessa.
22/05/2005 02:30
 
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Indiscrezioni sull'elezione : unanimità di voti per Ratzinger


La Scelta dello Spirito Santo si è manifestata chiaramente quando in conclave, alla terza votazione, è stato praticamente sfiorato il quorum. Un crescendo continuo, quello dei voti per il cardinale Joseph Ratzinger, fin dal primo spoglio delle schede. Non vogliono e non possono dire nulla, i cardinali che in queste ore hanno lasciato la residenza di Santa Marta che li ha ospitati per la durata, brevissima, del concistoro. Ma qualcuno, più col gesto che con le parole, concede il dettaglio decisivo, ovvero che Benedetto XVI è stato eletto con un numero di voti "molto superiore" al quorum necessario - i due terzi dei 115 elettori - fissato a 77.






In quel "molto superiore" è probabilmente il senso di questo conclave. Al quale i cardinali elettori sono giunti con il seguito di una campagna pro-Ratzinger iniziata a Giovanni Paolo II ancora vivo sebbene in condizioni di salute assai deteriorate. E in questo quadro, quando è stato intimato l'extra omnes, si inserisce anche il ruolo, probabile, dell'arcivescovo emerito di Milano, cardinale Carlo Maria Martini. Che per motivi di salute pare preferisse declinare la possibilità di essere eletto a pontefice, dunque avrebbe contribuito a creare le condizioni per fare convergere su Ratzinger il numero necessario di consensi, grazie anche all'autorevolezza esercitata all'interno del conclave soprattutto nell'ala "progressista"..

Una conferma si potrebbe cercare nelle parole del cardinale Ennio Antonelli, il primo a parlare, a un'emittente radiofonica toscana, dopo la fine del concistoro dicendo che, dentro, c'era stato "un clima di grande festa, unità e comunione" e che era stata "un'elezione rapida, e questo parla da solo". Quel clima di unità e comunione potrebbe indicare che si sia realmente verificata la convergenza fra Ratzinger e Martini, considerati fin dalla vigilia del conclave su posizioni pastorali diverse ma uniti da una conoscenza pluridecennale e da profonda stima reciproca temprata, proprio, dal confronto fra le rispettive posizioni.

Sta di fatto che "il nuovo Papa ha detto sì al suo nuovo compito in maniera forte e decisa". A dirlo, premettendo però "non posso parlare di ciò che è
avvenuto in conclave dopo la votazione", è il cardinale di Vienne Christopher Schoenborn, nel corso di una conferenza stampa all'indomane dell'elezione di Benedetto XVI. Ratzinger "era felice nell'accettare questo incarico senza riserva, e sa che fino alla morte porterà il peso di questa missione". "Non è una persona fredda come molti credono - ha aggiunto - è solo riservato. Per chi lo conosce, si possono intuire dalle sue espressioni i segni delle sue emozioni e io ringrazio Dio per aver scelto questo Papa".

Infine, Schoenborn ha sottolineato che "sarà il Papa della pace", perché la scelta del nome, Benedetto, "che noi proprio non ci aspettavamo, ha fatto riferimento allo sforzo di Benedetto XV per cercare la pace, uno sforzo che ha avuto poco successo. L'accenno va anche però a San Benedetto, patrono d'Europa e maestro nel seguire le orme di Cristo. La regola di San Benedetto dice di non anteporre nulla a Cristo. Ecco, pace e centralità della figura del Cristo saranno i punti cardine sui quali si muoverà questo Papa".
24/05/2005 00:51
 
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TEMA SCOTTANTE:::::LA BEATIFICAZIONE DI WOJTYLA:::::::
La causa e il segno del martirio: anche Benedetto XVI dovrà testimoniare LA BEATIFICAZIONE


Chi ha ascoltato l’annuncio di ieri, al Laterano, ha sentito vibrare l’emozione dell’uomo prima ancora che la decisione sovrana del Pontefice. E’ certo, infatti, che Joseph Ratzinger sarà il più importante testimone alla causa processuale per la beatificazione di Karol Wojtyla. Ventiquattro anni non solo di lavoro comune, ma di convivenza quotidiana e fraterna, fanno di Benedetto XVI la voce più attendibile sulle virtù del candidato alla glorificazione. Così, si aggiungerà un’altra singolarità all’avventura straordinaria dell’uomo giunto dalla Polonia: un Papa si incamminerà sulla via degli altari grazie soprattutto alla testimonianza del Papa che gli è succeduto. Una situazione che non ha precedenti. Comunque, occorreranno ai giudici molti giorni, sgombri da altri impegni, per raccogliere la deposizione del Pontefice regnante.
Parlo anche sulla base di una piccola esperienza personale. Avendo frequentato solo per una mattinata— il tempo di una lunga intervista — un celebre prelato morto in odore di santità, sono stato convocato dal tribunale che esamina la sua causa. Mi sono occorse parecchie ore — tra formule rituali e giuramenti in latino più volte ripetuti — per rispondere alla serie di minutissime domande preparate da quei giudici, anche su particolari che mi erano sembrati irrilevanti e che, lo scopersi, avevano invece una loro importanza. C’è da chiedersi quanto tempo occorrerà per passare al vaglio quasi un quarto di secolo vissuto al fianco di un «candidato» così attivo e poliedrico. Com’è stato ricordato, proprio Giovanni Paolo II aveva inaugurato la via straordinaria che ora è praticata anche per lui: la dispensa, per madre Teresa, dai cinque anni prima dell’inizio della causa. Bastarono sei anni in tutto per dichiarare beata la religiosa balcanica. E’ realistico pensare che per Karol Wojtyla non ne occorreranno di meno ma, se saranno rispettate le altre norme, probabilmente qualcuno in più.
In effetti, trattandosi di un Papa, saranno moltissimi i testimoni da convocare, anche se si procederà a selezionare un campione significativo. E c’è, soprattutto, la questione degli scritti. Per ogni candidato non è prescritto soltanto l’esame minuzioso della vita per accertare se, in lui, la pratica delle virtù cristiane sia stata davvero «eroica». Occorre vagliare anche quanto il defunto ha lasciato su carta, per verificare che non vi siano errori o equivoci in materia di fede e di morale. Questo esame è particolarmente rigoroso per un Papa, che è il Maestro supremo in simili materie. Nel caso di Wojtyla, poi, la prospettiva è tale da far tremare vene e polsi della commissione di teologi che sarà nominata per il vaglio: la lunghezza del pontificato e l’attività eccezionale ci hanno lasciato circa 80.000 pagine a stampa a firma di quest’uomo. Va osservato con sincerità che — al di là di una facciata di unanimismo commosso nei giorni della morte e delle esequie—il magistero di Giovanni Paolo II non è stato esente da perplessità se non addirittura da critiche all’interno della Chiesa stessa. Pur lasciando da parte le reazioni stizzose del mondo del tradizionalismo, non sono mancati vescovi e, in alcuni casi, cardinali, che hanno mostrato di non gradire certi documenti ed iniziative wojtiliane, soprattutto per quanto riguarda l’ecumenismo o le continue richieste di perdono.
Non si dimentichi che Ratzinger stesso non fu entusiasta per il raduno di tutte le religioni ad Assisi e quando, anni dopo, Wojtyla volle ripeterlo, intervenne direttamente per moderare, precisare, sopire; o che un altro cardinale, Giacomo Biffi, allora arcivescovo di Bologna, non esitò a criticare i mea culpa della Quaresima del Duemila. Per partecipare a quella inaudita liturgia penitenziale, Ratzinger volle farsi precedere da un documento — che spiegava e precisava — della Commissione Teologica da lui presieduta e che arrivava a un «si proceda» dopo perplessità ed esitazioni. Immagini come quelle di un Papa che, in pantofole, gira devotamente per una moschea o che, altrettanto devotamente, infila bigliettini nel Muro del Pianto a Gerusalemme o che indossa il copricapo di piume di stregoni animisti, hanno commosso molti, ma hanno provocato sussurri pesanti in una parte non irrilevante dell’episcopato mondiale.



Così come certe obiezioni hanno rallentato la causa di Pio XII, sarebbe possibile che altre obiezioni —e provenienti non solo, per intenderci, «da destra»ma anche «da sinistra»—rallentino pure il cammino verso gli altari di Giovanni Paolo II.
Non si dimentichi, sull’onda dell’entusiasmo, che ciò che Benedetto XVI ha annunciato ieri, non è una beatificazione, ma l’inizio di una causa di beatificazione, sulla cui durata non c’è certezza. L’epoca dei santi «per acclamazione » è terminata, nella Chiesa, da più di mille anni. E’ comunque significativo che per questo annuncio si sia scelto un 13 di maggio, ricorrenza della Vergine di Fatima e dell’attentato del 1981. «Una mano ha sparato, un’altra mano ha deviato il proiettile»: così Giovanni Paolo II, che non ha mai avuto dubbi sul fatto che soltanto un miracolo mariano lo ha salvato dagli spari di Alì Agca. Senza l’intervento della Madonna, sarebbe morto: questa la convinzione della vittima, suffragata dal parere dei medici, incapaci di spiegare una simile sopravvivenza. Dunque, Karol Wojtyla può, a ben vedere, essere considerato un «martire », cioè un credente ucciso in odium fidei. E’ possibile che questo non sia irrilevante per la causa: è previsto, infatti, che nel caso di martirio le procedure siano semplificate ed accelerate, a cominciare dal miracolo, che non è richiesto. E già questo costituisce un guadagno notevole di tempo, visto che i lavori della Commissione medica sono scrupolosi e, dunque, spesso lunghi. In ogni caso, la categoria del martirio permetterebbe a Benedetto XVI ulteriori abbreviazioni della causa. Se è lecita una previsione, non solo giungerà la beatificazione, ma essa sarà il preludio a una canonizzazione altrettanto sollecita. La Chiesa, però, ammonisce che simili riconoscimenti non equivalgono a ciò che, per il «mondo», è l’erezione di un monumento in piazza a un generale, un politico, un artista. I santi sono proclamati perché si guardi ad essi come esempi di come il Vangelo vada vissuto. «San» Giovanni Paolo II non avrà bisogno di ammiratori. Avrà bisogno, semmai, di imitatori.

26/05/2005 13:17
 
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Il discorso a Georg, in occasione del conferimento dell'onoreficenza in Vaticano
Caro Georg,
Stimato Ambasciatore,
Stimato Presidente Shambeck,
Stimate Autorità,
Signore e Signori!


Mi sembra strano prendere la parola ora. Mentre scendevo, il Segretario mi ha detto molto opportunamente: "Ora, caro Santo Padre, è suo fratello la persona più importante". Su questo non ci sono dubbi. Trovo bello proprio il fatto che mio fratello, che per 30 anni si è impegnato così tanto per la musica sacra nel Duomo di Ratisbona e nel resto del mondo, riceva un riconoscimento da parte tanto competente.

Quando parlo, nonostante la mia incompetenza, mi sento, per così dire, portavoce di quanti sono qui presenti e si rallegrano, provano gratitudine e soddisfazione per questo momento e per questo attimo. Mio fratello l’ha già detto: l’Austria è in modo molto particolare un Paese della musica. Chi pensa all’Austria, pensa innanzitutto alla bellezza della creazione, che il Signore ha donato a questo nostro Paese vicino. Pensa alla bellezza degli edifici, alla cordialità delle persone, ma anche e soprattutto alla musica, i cui grandi nomi sono già stati fatti, e anche all’esercizio della musica: Wiener Sängerknaben, Wiener Philharmoniker, Salzburger Festspiele ecc. Per tale motivo il fatto che questo nostro amato vicino, l’Austria, conferisca questo riconoscimento a mio fratello assume una valenza del tutto particolare. E ringrazio anche io di tutto cuore.

Immagino che anche per la nuova generazione di cantori del Duomo, istruiti dal Maestro di Cappella, sia motivo di gioia e di incoraggiamento il fatto che venga riconosciuto un lavoro di trenta anni e che ciò li possa aiutare, in questo tempo in cui ne abbiamo particolarmente bisogno, a onorare il messaggio del buon Dio e a condurre gli uomini alla gioia con nuovo slancio ed entusiasmo. Grazie.

28/05/2005 02:07
 
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Una prima ipotesi sul perchè proprio lui...
Benedetto XVI: «Proseguirò nell'impegno del Concilio»
Il discorso del successore di Karol Wojtyla durante la Messa nella Cappella Sistina.






Smentendo le previsioni dei giorni scorsi, che parlava di un Ratzinger possibile Papa nell'ottica della conservazione e della restaurazione rispetto alle volontà conciliari, Bendetto XVI ha dato segnali chiari di apertura durante la messa di questa mattina alla Sistina, alla presenza dei Cardinali che lo avevano appena eletto.
«Mi sta dinanzi, in particolare, - ha detto Papa Ratzinger - la testimonianza del Papa Giovanni Paolo II. Egli lascia una Chiesa più coraggiosa, più libera, più giovane. Una Chiesa che, secondo il suo insegnamento ed esempio, guarda con serenità al passato e non ha paura del futuro. Col Grande Giubileo essa si é introdotta nel nuovo millennio recando nelle mani il Vangelo, applicato al mondo attuale attraverso l'autorevole rilettura del Concilio Vaticano II. Giustamente il Papa Giovanni Paolo II ha indicato il Concilio quale "bussola" con cui orientarsi nel vasto oceano del terzo millennio».
«Anche nel suo Testamento spirituale - ha proseguito Benedetto XVI - egli annotava: "Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito". Anch'io, pertanto, nell'accingermi al servizio che é proprio del Successore di Pietro, voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell'impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei Predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa. Ricorrerà proprio quest'anno il 40.mo anniversario della conclusione dell'Assise conciliare (8 dicembre 1965).Col passare degli anni, i Documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata».
Papa Ratzinger ha anche detto di considerare la sua elezione al soglio di Pietro una «grazie speciale ottenutagli da Giovanni Paolo II».
«Mi sembra di sentire la sua mano forte che stringe la mia; mi sembra di vedere i suoi occhi sorridenti». La morte di Giovanni Paolo II e i giorni che ne sono seguiti - ha detto ancora - sono stati per la Chiesa e per il mondo intero un tempo straordinario di grazia. Un grande dolore per la sua scomparsa e il senso di vuoto che ha lasciato in tutti sono stati temperati dall'azione di Cristo risorto, che si è manifestata durante lunghi giorni nella corale ondata di fede, d'amore e di spirituale solidarietà».

Secondo le prime indiscrezioni l'Arcivescovo emerito di Milano, Carlo Maria Martini, avrebbe avuto un ruolo importante nell'elezione di Benedetto XVI. Le prime parole pronunciate da un cardinale dopo il Conclave (Ennio Antonelli ha parlato a una radio toscana) ci dicono infatti di un'elezione avvenuta in un clima di "unità e comunione". Un'espressione che, decifrando il linguaggio Vaticano, porta a ritenere che proprio Martini, dato nei giorni scorsi come candidato contrapposto a Ratzinger, potrebbe aver dirottato i propri voti sul nuovo Pontefice garantendone una rapida elezione. Del resto nessuno ha mai messo in dubbio la stima che lega Martini a Benedetto XVI, pur nel rispetto delle reciproche posizioni.
Per il nuovo Papa si apre adesso un fitto calendario di appuntamenti, a partire dalla prima messa celebrata questa mattina nella Cappella Sistina con i cardinali presenti al Conclave.
Per la solenne inaugurazione del pontificato bisognerà invece attendere domenica 24 aprile, con la celebrazione che si terrà alle ore 10 in Piazza San Pietro. Lo ha confermato ieri sera il portavoce del Vaticano, Joaquim Navarro Valls, sottolineando anche come nella scelta di Benedetto XVI ci sia una evidente continuità con il pontificato di Giovanni Paolo II.
Più a lunga scadenza ci sono due impegni che sembrano già certi: il Congresso eucaristico nazionale di Bari, in programma dal 21 al 29 maggio, per il quale c'era già una promessa di presenza da parte di Giovani Paolo II e che Benedetto XVI dovrebbe confermare. Subito dopo il ritorno in Germania, il prossimo 16 agosto, per la giornata mondiale della Gioventù, che potrebbe coincidere con il primo viaggio internazionale del Pontefice, anche se circolano voci di un possibile viaggio in Polonia prima dell'estate.

Fonte: Il sole 24 ore 20 aprile


28/05/2005 19:24
 
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Un documento che apre il cuore
UN CARDINALE: DOPO AVERLO LETTO HO MESSO LA MANO SUL CUORE, AVEVO PAURA CHE SI FERMASSE
Il documento che ha favorito Ratzinger
«Clero in pericolo: violazione del celibato e confessioni non rispettate»


22 aprile 2005

di Marco Tosatti

CITTÀ DEL VATICANO. Un documento riservato ma molto dettagliato, sulla situazione della Chiesa, e soprattutto «nella» Chiesa, è circolato fra i cardinali nei giorni scorsi, creando una grande impressione; e, probabilmente, contribuendo in maniera indiretta alla scelta di Joseph Ratzinger quale successore di Giovanni Paolo II. «Ho messo la mano qui, perché avevo paura che si fermasse il cuore, dopo averlo letto», ci ha detto un porporato. È un documento senza intestazione, di una decina di cartelle, che presenta un quadro sulla situazione del clero nei Paesi del mondo, soprattutto in Europa, Africa e America del Nord. Non ci è stato detto chi ne fosse l’autore; ma certamente qualcuno che era nella posizione di avere un punto di osservazione privilegiato, e molto interno, sulla Chiesa. E anche su Roma.

Si metteva in rilievo la «mancanza di coerenza» di troppi sacerdoti. Violazione delle regole del celibato, certamente, ma non solo; problemi legati al denaro, l’uso dei soldi dei fedeli, e anche le confessioni. Si portava come esempio il caso di due giovani sacerdoti, colpevoli di violazione del segreto confessionale e per questo posti allo stato laicale per trent’anni dalla Congregazione per la dottrina della fede. «La segretezza del confessionale una volta era un baluardo inespugnabile», ha commentato il porporato.
È probabile che questo documento sia alla radice degli interventi apparentemente così severi, dell’ancora cardinale Ratzinger.

Il primo della serie è avvenuto durante le meditazioni della Via Crucis, il venerdì Santo, alla nona Stazione, quella della terza caduta di Gesù sotto il peso della croce. Scrisse il teologo amico del Papa: «Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa?...Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di Lui!...Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute!».



Era la meditazione in cui si parlava della Chiesa come di «una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzannia che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti».

Due giorni dopo il cardinale Ratzinger incontrò per strada, vicino al Vaticano, un monsignore di Curia ormai in pensione che gli chiese il perché di una meditazione così apparentemente sconfortante. «Dobbiamo pregare molto, dobbiamo pregare molto - gli rispose Benedetto XVI - tu hai i capelli bianchi, capisci di che cosa parlo, sai che cosa vuol dire. Noi sacerdoti! Noi sacerdoti!», concluse in tono di deprecazione. E aggiunse: «Pensa alla preghiera che si recita per il Sacro Cuore, quella in cui si chiede perdono specialmente per i peccati dei sacerdoti. So che fa male dire che la barca fa acqua da tutte le parti, ma è così, è così. Noi sacerdoti...».

Il monsignore rimase impressionato dal modo in cui diceva «noi sacerdoti, noi sacerdoti», ne capì la sofferenza interiore, e non chiese altro.Lunedì scorso il decano del Collegio cardinalizio, Joseph Ratzinger, durante il primo atto del Conclave, la «Missa pro eligendo pontifice» ha ripetuto, in altra forma, lo stesso grido di allarme: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... la piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde e gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore».

Alla fine della messa molti fra i presenti, anche fra i cardinali elettori, hanno applaudito. Secondo il nostro interlocutore è avvenuta allora una prima «conta» fra i favorevoli e i contrari, che tenevano stretto il libretto liturgico fra le mani. Ma il quadro desolante della situazione interna, e la necessità di un Pontefice in grado di prendere e tenere il timone della barca di Pietro ha fatto cadere le riserve di molti sulla candidatura di Benedetto XVI
02/06/2005 15:18
 
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I due punti di vista: Ratzinger - Ruini
Chiesa di minoranza, Chiesa di massa. Le due strategie di R. & R., Inc.
In che cosa concordano e in che cosa si dividono Ratzinger e Ruini, circa il futuro della Chiesa. Minoranza creativa o religione civile? Un’analisi di Silvio Ferrari







ROMA, 30 maggio 2005 – Pochi giorni dopo l’elezione a papa di Joseph Ratzinger l’ufficio centrale di statistica della Chiesa ha pubblicato l’“Annuarium Statisticum Ecclesiae” relativo al 2003, un volume di 500 pagine fitto di dati e in tre lingue, latina, inglese e francese.

Il confronto più interessante è tra questi dati e quelli del 1978, l’anno d’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II. In un quarto di secolo che cosa è cambiato nel profilo statistico della Chiesa che il nuovo papa Benedetto XVI ha cominciato a governare?

In cifre assolute i cattolici battezzati sono cresciuti del 43,5 per cento, da 757 milioni a 1 miliardo e 85 milioni.

Ma in proporzione alla popolazione mondiale sono diminuiti. Nel 1978 i cattolici erano il 18 per cento, nel 2003 il 17.

Questa variazione è molto disuguale da continente a continente. In Europa le cifre sono rimaste stazionarie. In Africa invece l’aumento dei battezzati è stato esplosivo: da 55 milioni nel 1978 a 144 milioni nel 2003, dal 12 per cento della popolazione africana nel 1978 al 17 per cento nel 2003.

L’Africa ha accresciuto il suo peso anche all’interno del cattolicesimo mondiale. In venticinque anni i cattolici africani sono saliti dal 7 al 13 per cento dell’insieme. Viceversa, i cattolici europei sono scesi dal 35 al 26 per cento del tutto.

Fatte le proporzioni tra i preti e i fedeli, però, l’Europa continua ad essere un continente privilegiato. Lì a ogni sacerdote diocesano o religioso corrispondono, in media, 1.386 fedeli. In Africa 4.723, un carico ancor più pesante che nel 1978, quando i fedeli per sacerdote erano 3.200.

Dell’evoluzione futura sono un indicatore importante le vocazioni al sacerdozio. In Europa, ogni 100 sacerdoti attivi, i candidati a rimpiazzarli sono solo 12, mentre in Africa sono 72 e in Asia 60. Analogamente, per ogni milione di fedeli, i candidati al sacerdozio sono 87 in Europa, 150 in Africa e 250 in Asia.


* * *

Queste le cifre nude, alcune. Dalle quali si ricava che l’Europa è uno dei punti critici più seri.

Ma oltre alle cifre è necessaria un’analisi più fine e multidisciplinare, sulla quale gli studiosi non sono concordi.

Tra i sociologi della religione, ad esempio, vi sono interpretazioni molto diverse della condizione del cristianesimo in Occidente.

E anche tra gli uomini di Chiesa le visioni sono differenti. Anche due personalità tra loro molto vicine, come papa Ratzinger e il suo vicario Camillo Ruini, concordano sulla diagnosi ma si dividono in parte sulle strategie di risposta.

È quanto sostiene – in questo saggio scritto per www.chiesa – il professor Silvio Ferrari, docente di diritto canonico e di relazioni tra Stato e Chiesa all’Università Statale di Milano e all’Università di Lovanio.



Religione civile o intransigenza: le due strategie


Dalle ricerche sociologiche sommariamente sintetizzate nei due punti precedenti discendono indicazioni che disegnano, per le grandi religioni europee, prospettive orientate in due direzioni diverse e difficilmente compatibili.

Una prima strada – che sembra interpretare alcuni suggerimenti impliciti nelle analisi di Grace Davie e Danièle Hervieu-Léger – va nella direzione di trasformare il cristianesimo in una sorta di religione civile dell'Europa, valorizzandone il carattere di custode della memoria e della tradizione europea.

In questa prospettiva non è essenziale che le Chiese siano sempre più vuote: se le grandi religioni cristiane sono capaci di riposizionarsi sul terreno del patrimonio culturale europeo, esse possono divenire ancora più minoritarie e, al tempo stesso, continuare a giocare un ruolo pubblico rilevante come depositarie dell'identità europea e fornitrici di simboli accettati dall'intera collettività.

Sta qui il significato profondo della domanda di inserire un richiamo alle radici cristiane dell'Europa nella futura costituzione dell'Unione. Il riconoscimento del ruolo giocato dal cristianesimo nella formazione dell'Europa è una garanzia di sicurezza. Se il futuro è incerto, il passato non può essere rimesso in discussione e fornisce un solido fondamento alla richiesta di ritagliare una posizione particolare per le Chiese cristiane all'interno dell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea: esse meritano l'appoggio dei pubblici poteri non soltanto perché raccolgono l'adesione della maggioranza dei cittadini europei – cosa che in futuro potrebbe non essere più vera – ma perché costituiscono una parte fondamentale della tradizione e dell'identità dell'Europa.

Diversa è la prospettiva se si accolgono le conclusioni a cui sono giunti i teorici della economia religiosa e si imbocca la strada di una riaffermazione intransigente dell'identità cristiana e della sua alterità rispetto non soltanto alle altre religioni ma anche alla società laica e liberale dell'Occidente.

Questa strada implica infatti un certo grado di riconfessionalizzazione del cristianesimo: come ha sottolineato Jean-Paul Willaime, le tendenze “a rendere il cattolicesimo più cattolico, il protestantesimo più protestante e l’ortodossia più ortodossa percorrono in realtà ciascuna Chiesa e perfino ciascun fedele” e non sono appannaggio esclusivo dei gruppi integralisti o fondamentalisti presenti in ciascuna di queste Chiese.

Queste tendenze colgono ed esprimono la forte domanda di identità collettiva che percorre l'Europa intera, provocata dalla paura che l'Occidente esca perdente da uno scontro di civiltà con il mondo islamico, dal disorientamento innescato dai processi di deterritorializzazione conseguenti alla globalizzazione, dal dubbio che lo stato laico e liberale non sia in grado di governare la transizione verso la società multi-culturale e multi-religiosa determinata dai flussi migratori. Tutte le Chiese sentono l'esigenza di sottolineare la propria differenza e rimarcare la propria identità. La costruzione di un'immagine della Russia come paese ortodosso passa attraverso la riaffermazione della nozione di territorio canonico esclusivo, e la polemica contro il proselitismo della Chiesa cattolica e delle “sette” straniere. La ricostruzione del nesso tra religioni e identità nazionali si è compiuta nei paesi della ex Jugoslavia mediante il coinvolgimento – voluto o subito, poco importa – di cattolicesimo, ortodossia e islam nel conflitto che ha opposto Croazia, Serbia e Bosnia. Su un piano diverso, le linee di distinzione tra cattolicesimo ed altre religioni, che sembravano aver perduto nettezza nel processo del dialogo interreligioso, sono state di fatto rafforzate da documenti come la dichiarazione “Dominus Jesus” della congregazione per la dottrina della fede.


4. La Chiesa cattolica tra Ratzinger e Ruini


Le due linee interpretative indicate nel paragrafo precedente aiutano anche a comprendere le differenti strategie ecclesiali seguite da due protagonisti dell’ultimo conclave, Joseph Ratzinger e Camillo Ruini.

Papa Benedetto XVI, ex prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ed il suo vicario per la diocesi di Roma muovono dalla stessa diagnosi: la cultura illuminista radicale che “taglia coscientemente le proprie radici storiche privandosi delle forze sorgive dalle quali essa stessa è scaturita” (così Ratzinger nella sua conferenza del 1 aprile 2005 a Subiaco) è il vero nemico dell’Europa e le impedisce, per il proprio intrinseco relativismo, di individuare alcuni capisaldi etici condivisi che servano da guida nel confronto con altre civiltà e nella gestione delle trasformazioni interne al Vecchio Continente.

Per Ruini la speranza sta nel “risveglio dell’identità cristiana”, di cui il cardinale coglie alcuni segni soprattutto in Italia ma anche in altri paesi dell’Europa cattolica, protestante ed ortodossa. Fare del cristianesimo la religione civile dell’Europa è il progetto che si intravede dietro questa analisi del vicario di Roma, sviluppata in una sua conferenza dell’11 febbraio 2005. “La cosiddetta ‘religione civile’ americana, di carattere non confessionale” ma con una chiara impronta cristiana, sembra il modello “meglio in grado di garantire, nell’attuale società libera e democratica i fondamenti morali della convivenza e in ultima analisi una comune visione del mondo”, dice Ruini. E il cristianesimo, conclude, ha ancor oggi la capacità di “alimentare, in un’ottica non confessionale ma pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e stato, una visione della vita ed alcuni fondamentali valori etici che forniscano le basi dell’identità delle nostre nazioni”.

Questo progetto, per essere realizzato, richiede però che si avverino tre condizioni.

La prima consiste nella riconciliazione con gli ortodossi e nel superamento di alcune incomprensioni che hanno reso più tesi i rapporti con i protestanti. La religione civile degli europei non può avere il volto del cattolicesimo soltanto, ed i rapporti della Chiesa cattolica con le altre confessioni cristiane non hanno fatto segnare grandi progressi, al di là delle apparenze, durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Ma il nuovo papa, che non proviene dalla Polonia, dovrebbe incontrare meno resistenze a ristabilire con Mosca rapporti di buon vicinato, che potrebbero essere ricostruiti a partire da una comune visione dell’Europa: la riaffermazione dell’identità cristiana del Vecchio Continente è stato il profilo del pontificato di Giovanni Paolo II che ha riscosso maggiori consensi nell’ortodossia russa.

Più difficile appare mantenere aperto il dialogo con la cultura di ispirazione laica e secolare, attenuando le chiusure intransigenti e le condanne senza appello. Le posizioni tendono ad allontanarsi ed il diritto di famiglia, la morale sessuale, la bioetica sono gli esempi più chiari di questa divaricazione. Il timore delle gerarchie ecclesiastiche è che possa ripetersi in altri paesi cattolici ciò che sta accadendo nella Spagna di Zapatero ed era già avvenuto, senza troppo clamore, in Belgio: riconoscimento dei matrimoni omosessuali, introduzione di un divorzio “veloce”, progressiva estensione delle possibilità di eutanasia, libertà di ricerca sull’embrione e via dicendo. Finora è prevalso in Vaticano un atteggiamento di netto rifiuto, che non ha lasciato spazio a mediazioni anche quando esse erano possibili (riaffermare il carattere eterosessuale del matrimonio non significa necessariamente respingere ogni riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali), e non sembra che papa Ratzinger intenda cambiare rotta: ma è difficile comprendere, se prevalgono queste spinte a radicalizzare le differenze, in qual modo il cristianesimo possa presentarsi come insieme di principi e valori condivisi dalla maggioranza degli europei.

Infine resta il problema del rapporto tra Europa ed islam e della possibilità di concepire il cristianesimo come religione civile di un’Unione Europea di cui fosse membro la Turchia, “uno stato, o forse meglio, […] un ambito culturale, che non ha radici cristiane” (Ratzinger).

La questione è stata sinora diplomaticamente ignorata dal vicario di Roma ma non dall’ex prefetto della congregazione per la dottrina della fede, secondo il quale – quand’anche la Turchia accettasse i principi di libertà e di democrazia che tutti i membri dell’Unione debbono rispettare – rimarrebbe il problema dell’“intreccio di radici” su cui “questa cultura della libertà e della democrazia viene impiantata”. A giudizio di Ratzinger, solo ignorando tale questione e dando partita vinta alla “cultura illuminista e laicista dell’Europa” in base a cui “Dio non c’entra […] niente con la vita pubblica e con le basi dello Stato”, si potrebbe ammettere la Turchia tra i membri dell’Unione Europea.

Affiora qui una differenza importante tra le visioni dell’Europa sottese alle analisi di Ruini e Ratzinger. Quest’ultimo non sembra condividere le speranze di Ruini ed appare convinto che il destino dei cristiani in Europa sia quello di essere minoranza: una minoranza assediata da un “laicismo aggressivo […] che si presenta come l’unica voce della razionalità”.

In questa prospettiva, per Ratzinger, la prima necessità è quella di formare “uomini che tengano lo sguardo diritto verso Dio” perché “soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”. Parole che danno voce ai convincimenti delle comunità e dei movimenti – da Comunione e Liberazione all’Opus Dei – che si battono per una riaffermazione forte della identità cristiana e ritengono inutile imbarcarsi in una politica di estenuanti compromessi con la società laica e liberale, attraversata da una crisi che è giudicata irreversibile. Secondo costoro, è meglio andare al confronto aperto e duro con le altre identità religiose e non religiose in Europa facendosi forti del proprio intatto patrimonio dottrinale,rimarcando la propria differenza e puntando sulla possibilità che un cattolicesimo integrale riesca a interpretare il bisogno di sicurezza e identità che percorre l’Europa intera. In tal senso la posizione del nuovo pontefice appare più vicina a quelle dei sostenitori di un cattolicesimo a forte intensità, anche se ciò potrebbe significare in Europa (ma forse non altrove) una sua minore diffusione.

Si tratta di due posizioni – quelle di Ratzinger e Ruini – realmente inconciliabili? La storia sembra suggerire una risposta negativa. Molte volte in passato la riaffermazione della proposta cristiana in tutta la sua radicale integrità si è espressa in forme che sono riuscite a rivitalizzare, senza traumi e fratture irreparabili, società che apparivano altrettanto lontane dal messaggio evangelico come quella odierna. Basta pensare alla storia degli ordini religiosi: la Chiesa li ha sovente valorizzati per trasformare dall’interno la società civile ma ha sempre evitato di incoraggiare le pulsioni più radicali e “fondamentalistiche” che dentro di essi si sono in più occasioni manifestate. È questa la strategia che seguirà papa Ratzinger?

Di fronte a posizioni così nette e precise, le analisi che provengono da altri settori del mondo ecclesiastico appaiono meno esplicite e articolate. Alcuni, come il cardinale Walter Kasper in una conferenza a Camaldoli del luglio 2002, hanno sottolineato che “la nuova realtà in cui viviamo rappresenta per la Chiesa non solo un pericolo, ma anche una sfida e un’opportunità”, aggiungendo che – diversamente dal secolo XIX – “Chiesa e modernità, Chiesa e scienza oggi non sono più avversarie, ma sono divenute alleate”.

Ma da queste premesse vengono tratte conseguenze modeste, circoscritte all’opportunità di un approccio ecumenico ai problemi dell’Europa e di una presentazione dell’ “assolutezza del Vangelo” non come “rivendicazione autoritaria” ma come “forma di servizio”.

È mancata fino ad ora, insomma, la forza di declinare il tema dell’identità cristiana in chiave non solo di resistenza ma anche di progetto, ridefinendola in rapporto (e non solo in opposizione) alla società europea contemporanea, secolarizzata e pluralista. Un’analisi coraggiosa che individui nella laicità politica e culturale la caratteristica che distingue l’Europa da altre regioni del mondo, una riflessione sulle radici cristiane della laicità e sulla sua capacità di agire come elemento di integrazione delle diverse identità religiose e culturali presenti in Europa potrebbero condurre a conclusioni capaci di aprire prospettive diverse da quelle indicate da Ruini e da Ratzinger.




04/06/2005 03:41
 
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Il Discorso della Montagna Ratzinger vs Marini


Di Martini, arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002, oggi tornato ai suoi studi biblici a Gerusalemme, Biffi è stato vescovo ausiliare, prima di diventare arcivescovo di Bologna.

L’omelia divenuta oggetto di discussione è quella pronunciata da Martini l’8 maggio scorso nel Duomo di Milano, in occasione del XXV anniversario della sua ordinazione episcopale.

In essa, commentando il comando di Gesù: "Ammaestrate tutte le nazioni", Martini ha spiegato che esso significa “insegnare a osservare tutto ciò che il Signore ha comandato. E tutto ciò che ha comandato, in Matteo, è il Discorso della Montagna, o ancora, Matteo 25: ‘Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me’”.

Dopo di che, Martini ha così proseguito:

“È questo che dobbiamo insegnare a osservare ed è molto importante tale discorso oggi. Io lo avverto vivendo in un luogo di particolare sofferenza, dove vengono al pettine i nodi dell’umanità, a Gerusalemme, in Medio Oriente. Abbiamo tutti un immenso bisogno di imparare a vivere insieme come diversi, rispettandoci, non distruggendoci a vicenda, non ghettizzandoci, non disprezzandoci e neanche soltanto tollerandoci, perché sarebbe troppo poco la tolleranza. Ma nemmeno – direi – tentando subito la conversione, perché questa parola in certe situazioni e popoli suscita muri invalicabili. Piuttosto ‘fermentandoci’ a vicenda in maniera che ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità di fronte al mistero di Dio.

“A questo scopo non c’è mezzo più concreto, più accessibile, delle parole di Gesù nel Discorso della Montagna. Parole che nessuno può rifiutare perché ci parlano di gioia, di beatitudine, ci parlano di perdono, ci parlano di lealtà, ci parlano di rifiuto dell’ambizione, ci parlano di moderazione del desiderio di guadagno, ci parlano di coerenza nel nostro agire (‘sia il vostro parlare sì, sì; no, no’), ci parlano di sincerità. Queste parole, dette con la forza di Gesù, toccano ogni cuore, ogni religione, ogni credenza, ogni non credenza. Nessuno può dire: ‘Non sono parole per me: la sincerità non è per me, la lealtà non è per me, il lottare contro la prevaricazione sui beni di questo mondo non è per me…’. È un discorso per tutti, che accomuna tutti, che richiama tutti alle proprie autenticità profonde, ed è quel discorso che ci permetterà di vivere insieme da diversi rispettandoci, non ghettizzandoci, non distruggendoci, nemmeno tenendo le dovute distanze, ma ‘fermentandoci’ a vicenda.

“Allora, se faremo così, tutti gli uomini si riconosceranno in tali valori, si sentiranno più vicini, più compagni e compagne di cammino, sentiranno di avere in comune delle realtà profonde e vere, delle realtà che forse non avrebbero saputo scoprire senza le parole di Gesù. Allora, al di là di differenze etniche, sociali, addirittura religiose e confessionali, l’umanità troverà una sua capacità di vivere insieme, di crescere nella pace, di vincere la violenza e il terrorismo, di superare le differenze reciproche. Sarà allora pienamente manifesto il messaggio della grazia di Dio”.

Questa omelia del cardinale Martini è stata rilanciata l’indomani, 9 maggio, in prima pagina, dal principale quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, come un “manifesto” alternativo alla linea “neoconservatrice” impersonata da papa Joseph Ratzinger.

E in effetti, che tra Ratzinger e Martini gli accenti siano diversi, è fuori dubbio.

Domenica 29 maggio, nell’omelia nella messa del Corpus Domini, a Bari, Benedetto XVI ha così commentato le parole di Gesù: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Gv 6,53), parole che avevano suscitato sconcerto tra i discepoli:

“Di fronte al mormorio di protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti: ‘Amici – avrebbe potuto dire – non preoccupatevi! Ho parlato di carne, ma si tratta soltanto di un simbolo, ciò che intendo è solo una profonda comunione di sentimenti’. Ma no, Gesù non ha fatto ricorso a simili addolcimenti. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, tutto il suo realismo, anche di fronte alla defezione di molti suoi discepoli (Gv 6,66). Anzi, egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la concretezza del suo discorso: ‘Forse anche voi volete andarvene?’ (Gv 6,67), ha domandato. Grazie a Dio, Pietro ha dato una risposta che anche noi, oggi, con piena consapevolezza facciamo nostra: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna’ (Gv 6,68)”.


“Per afferrare la vera profondità delle Beatitudini dobbiamo porre in luce un aspetto che nell’esegesi moderna viene poco considerato, ma che è a mio parere decisivo per una realistica interpretazione del Discorso della Montagna nel suo insieme. Intendo la dimensione cristologica di questo testo. [...] Il soggetto segreto del Discorso della Montagna è Gesù. Il Discorso della Montagna non è un moralismo esagerato e irreale, che allora perde ogni rapporto concreto con la nostra vita e appare nell’insieme impraticabile. E non è neppure – come ritiene l’ipotesi opposta – semplicemente uno specchio in cui si vede che tutti sono e restano peccatori in tutto, e che possono giungere a salvezza solo per una grazia incondizionata. Con questa opposizione di moralismo e di pura teoria della grazia non si penetra nel testo ma lo si allontana da sé. Cristo è il centro che unisce le due cose, e soltanto la scoperta di Cristo nel testo lo apre per noi e lo fa diventare una parola di speranza. Se andiamo al fondo delle Beatitudini, ovunque appare il soggetto segreto Gesù. Egli è colui in cui si vede ciò che significa ‘essere poveri nello Spirito Santo’. Egli è l’afflitto, il mite, colui che ha fame e sete di giustizia, il misericordioso. Egli ha il cuore puro, è colui che porta pace, il perseguitato per causa della giustizia. Tutte le parole del Discorso della Montagna sono carne e sangue in lui. Il Discorso della Montagna è chiamata all’imitazione di Gesù Cristo. Egli soltanto è ‘perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli’ (Mt 5, 48). Non possiamo da noi essere ‘perfetti come il Padre nostro che è nei cieli’, ma lo dobbiamo per corrispondere al compito della nostra natura. Noi non lo possiamo, ma possiamo seguire Gesù, aderire a lui, ‘diventare suoi’. Se noi apparteniamo a lui come sue membra, allora diventiamo per partecipazione ciò che egli è; la sua bontà diventa la nostra. Le parole del Padre nella parabola del figliol prodigo si realizzano in noi: tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15, 31). Il moralismo del discorso, troppo arduo per noi, viene raccolto e trasformato nella comunione con Gesù, nell’essere discepoli di Gesù, nell’amicizia con lui, nella fiducia in lui”.

__________


Il nuovo libro del cardinale Giacomo Biffi da cui è tratto il passo sull’Anticristo:

Giacomo Biffi, “Pinocchio, Peppone, l’Anticristo e altre divagazioni”, > Cantagalli, Siena, 2005, pp. 256, euro 14,90.

Nel Nuovo Testamento l’Anticristo è evocato in tre passi.

Prima lettera di Giovanni 4, 3: "Ogni spirito che non riconosce Gesù non è da Dio. Questo è lo spirito dell'Anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo".

Seconda lettera di Giovanni 1, 7: "Molti sono i seduttori che sono apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'Anticristo!".

Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi 2, 3-5: "Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà venire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose?".
14/06/2005 03:18
 
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INCREDIBILE!!!!
Esiste ancora l'Antipapa!!!



MORTO GREGORIO XVII. NUOVO ANTIPAPA: PIETRO II


E’ deceduto il 22 marzo scorso a Utrera, nei pressi di Siviglia, Gregorio XVII, l’unico antipapa del XX secolo. Il 12 aprile si è proceduto alla elezione di uno nuovo. E’ stato eletto il vescovo Manuel Alonso Corral, principale esponente della Chiesa Palmariana, che ha assunto il nome di Pietro II. Il nome sembra rappresentare un goffo tentativo di assecondare le indicazioni profetiche di San Malachia sulla successione dei papi. Come è noto, infatti, questo nome corrisponderebbe a quello dell’ultimo papa della Chiesa di Roma, il quale dovrà sedere sul trono pontificio alla morte del papa attualmente in carica. Sembra pertanto che Corral abbia voluto in qualche modo precedere i tempi. Gregorio XVII, il predecessore, rispondeva al nome di Clemente Dominguez y Gomez. Aveva 59 anni, e da laico aveva svolto la professione di elettricista. Era uno dei due vescovi nominati dal cardinale vietnamita scismatico Ngo Dinh Thuc, il quale rientrò in seno alla Chiesa nel 1976 in seguito ad un atto di sottomissione e grazie al perdono di papa Paolo VI. Dall’agosto del 1969 fu testimone diretto di una serie di presunti eventi prodigiosi verificatisi nella cittadina di El Palmar de Troya, in Andalusia, mai riconosciuti dalla Chiesa. In queste occasioni Clemente Dominguez avrebbe avuto ripetute visioni della Madonna che lo avrebbe informato sulla crescente crisi della Chiesa di Roma, sulla degradazione del clero e sulla fuga popolare dalle pratiche religiose. Tra gli atti ufficiali del suo antipontificato si annoverano l’elevazione agli onori degli altari il “caudillo” Francisco Franco, l’istituzione dell’Ordine Carmelitani del Volto Santo e ripetuti contatti, andati sistematicamente a vuoto, con il vescovo francese ribelle Marcel Lefebvre. La monarchia spagnola tentò di reprimere le manifestazioni pubbliche dei suoi seguaci. Lui stesso venne incriminato e imprigionato per alcuni mesi con l’accusa di “usurpazione di titoli e di onori”, reato contemplato e considerato grave nel codice penale ispanico. Poi fece ripetuti viaggi nell’America del Sud per propagandare il suo stranissimo apostolato. Rientrato in Spagna si dedicò ad organizzare la sua Chiesa, creando un proprio collegio cardinalizio e nominando un segretario di stato nella persona di Manuel Alonso Corral, appunto l’attuale nuovo antipapa. Nel luogo delle presunte apparizioni mariane Dominguez fece erigere una grande basilica che, di fatto, divenne la santa sede antivaticana. Nello stesso tempo Gregorio XVII emise decreti di scomunica per la famiglia reale spagnola e per tutta la gerarchia cattolica romana, compresi papa Luciani e papa Wojtyla, dichiarando nulla ogni eventuale elezione papale che si fosse svolta a Roma.

Eccolo qua [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825] [SM=g27825]

14/06/2005 03:25
 
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Il Codice da Vinci messo all'Indice
Anatema sul Codice da Vinci
Bertone: «Non leggetelo. C'è una strategia anticattolica. Cosa accadrebbe se stravolgessero la Shoah o Maometto?»



Chi ancora non l’avesse letto, farà bene a non chiederne una copia nelle librerie cattoliche, tratto in inganno da una trama che intreccia i suoi molteplici fili con la storia della Chiesa e la vita di Gesù. Sugli scaffali non ne troverà traccia, e probabilmente si beccherà un’occhiata in tralice da più di un commesso. Perché da oggi Il Codice Da Vinci , clamoroso successo internazionale dell’americano Dan Brown, è ufficialmente off limits . Bandito. «Scomunicato». Ci aveva già provato qualche mese fa un misconosciuto scrittore spagnolo, José Antonio Ullate Fabo, giornalista cattolico di Navarra. Il suo La verdad sobre el Codigo Da Vinci mancava però di un elemento fondamentale: l’autorità. Ieri contro il «Codice satanico» è sceso in campo uno dei principi della Chiesa, il cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova. Di fatto, è il Vaticano stesso a rompere il silenzio corrucciato con il quale aveva reagito alla pubblicazione del thriller esoterico di Brown.

«Non leggete e non comprate quel romanzo».Un appello ai microfoni della Radio Vaticana, per combattere uno stereotipo secondo cui «bisogna leggere questo libro per capire le manipolazioni che la Chiesa avrebbe operato nel corso della storia». Stereotipo che circola soprattutto nelle scuole, e per cui «non si può essere giovani moderni senza aver letto il Codice ». Di fronte alle «bugie a buon mercato» del bestseller, Bertone schiera la verità del Vaticano. E la verità è che «c’è un grande pregiudizio anti-cattolico» (un’idea del resto condivisa dal sociologo Usa Philip Jenkins): «Se fosse stato scritto un libro pieno di menzogne su Buddha o su Maometto, o se fosse uscito un romanzo che avesse manipolato la storia dell’Olocausto o della Shoah, che cosa sarebbe accaduto?».

Bertone è stato il vice di Ratzinger all’ex Sant’Uffizio, culla dell’ortodossia cattolica. La quasi-scomunica era quindi nell’aria, anche perché proprio per stasera il cardinale ha organizzato un dibattito (a Genova, in Sala del Quadrivium) per smascherare «inesattezze e falsità» del thriller. Un romanzo che un tempo si sarebbe detto «popolare», pure un po’ furbetto nel suo mescolare abilmente Gesù ai templari, il genio di Leonardo a delitti da manuale noir . Fiction, insomma. Ma dal contenuto esplosivo. Brown, di suo, non ha fatto nulla per sedare le polemiche: quando nel calderone finiscono la liaison tra Gesù e la Maddalena, un figlio segreto e un’Opus Dei «custode» di misteri per i quali non esita a uccidere, a furia di rimestare qualche turbamento verrà a galla. Il resto è abilità manageriale. Da due anni ormai lo scrittore va dicendo che la sua è un’opera di pura invenzione, salvo affermare en passant che «tutte le descrizioni di documenti e rituali segreti rispecchiano la verità». Un colpo al cerchio, uno alla botte. Un approccio naïf che non convince Bertone: «C’è una strategia nella diffusione di questo castello di menzogne», non a caso uscite «dopo l’evento dell’Anno Santo. Giovanni Paolo II ha avuto un impatto eccezionale con l’attualità dell’umanità, e questo ha disturbato molti». Un pizzico di dietrologia, seguita da un cenno alla «strategia di marketing» e un rimprovero secco alle librerie cattoliche che vendono il romanzo «per motivi di lucro».

Resta da chiedersi, adesso, che effetto sortirà la scomunica sulle coscienze dei lettori. Una nota legge del mercato stabilisce un legame di crescita proporzionale tra polemiche e vendite, fedele al motto «anche male, purché se ne parli». E non è molto che nelle vetrine italiane ha fatto la sua comparsa un nuovo romanzo di Brown, Angeli e demoni . Scritto tre anni prima del Codice , tradotto solo dopo il suo successo planetario. In cui, nella Roma della Controriforma, una setta di scienziati è perseguitata fino alla morte... indovinate da chi?
14/06/2005 13:48
 
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Dalla Santa Inquisizione??[SM=g27833]
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ehehe
Dal Vaticano....in realtà....anche se il libro non è piaciuto un granchè, è apparso come la brutta copia del Codice da Vinci....[SM=g27820] [SM=g27820] [SM=g27820] [SM=g27821]
14/06/2005 18:13
 
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A me non è piaciuto nemmeno Il codice da Vinci.Troppo complesso e confuso...poi quella teoria su Gesù Cristo è semplicemente assurda![SM=g27812]
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14/06/2005 23:55
 
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La nuova regia di papa Benedetto
Messe papali in tv. Benedetto XVI vuole un nuovo regista




Dei due uomini che costantemente apparivano in pubblico al fianco di Giovanni Paolo II, il primo – il suo segretario personale Stanislaw Dziwisz – non lo si vede più, è stato promosso alla sede arcivescovile di Cracovia.

Ma il secondo sì, continua ad apparire anche vicino al nuovo papa Benedetto XVI. È l’arcivescovo Piero Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie.

Marini è dal 1987 il regista delle messe papali. Che molto spesso, grazie al fatto di essere teletrasmesse, sono viste da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo e quindi assurgono a modello universale.

È in buona misura grazie a Marini che le messe di Giovanni Paolo II hanno preso la loro forma caratteristica. Una forma meno romana e più internazionale. Il canto gregoriano e la polifonia sono stati largamente rimossi, a vantaggio di una frequente immissione nei riti papali di musiche, linguaggi e danze ripresi dall’America Latina, dall’Africa e dall’Asia.

Ma oltre che internazionali, le liturgie di Giovanni Paolo II erano tipicamente televisive. È stato sempre Marini a teorizzare – in un’intervista a “La Civiltà Cattolica” del 19 luglio 2003 – che “la regia liturgica è obbligata a mettersi in sintonia con la regia televisiva”.

Con Benedetto XVI l’utilizzo sistematico della televisione per le messe papali rimarrà.

È prevedibile, invece, che la “regia liturgica” non sarà più la stessa. Da cardinale, Joseph Ratzinger non ha mai fatto mistero delle sue critiche a taluni indirizzi cari a Marini.

E già dalla messa d’inizio del suo pontificato Benedetto XVI ha fatto capire di voler operare, su questo terreno, una energica “riforma della riforma”, più fedele alla grande tradizione della Chiesa.

È prevedibile, quindi, che anche Marini uscirà di scena, sostituito da un maestro delle celebrazioni pontificie più consono all’attuale papa.

Resterà comunque l’esigenza di raccordare le messe papali con il mezzo televisivo. Su questo argomento, “La Civiltà Cattolica” ha pubblicato sul suo quaderno del 21 maggio 2005 un articolo di grande interesse.

L’autore, il gesuita Virgilio Fantuzzi, è specialista di critica cinematografica e televisiva. Nell’articolo egli dà una descrizione accurata di come le cerimonie papali e vaticane sono arrivate sugli schermi di tutto il mondo nelle settimane cruciali di passaggio da un papa all’altro.

A fornire le immagini alle televisioni di tutto il mondo è il Centro Televisivo Vaticano diretto dal gesuita Federico Lombardi, che è anche direttore dei programmi della Radio Vaticana. In qualche occasione il CTV agisce in coproduzione con la RAI, la televisione di stato italiana. In ogni caso, va tenuto presente che il CTV non è responsabile dei commenti audio che accompagnano le immagini sulle singole reti.
15/06/2005 21:01
 
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I FUORI PROGRAMMA ^__^
Papa, fuori programma in udienza
Benedetto XVI indossa casco da pompiere


E' stata un'udienza all'isnegna dei fuori programma, quella di Benedetto XVI mercoledì mattina in Vaticano. Il Papa ha scherzato sul tempo, ringraziando Dio per un raggio di sole spuntato dopo la pioggia, quindi ha parlato al telefonino che un disabile gli ha passato dopo il baciamano, e alla fine ha indossato il casco di un vigile del fuoco, calandoselo sopra la papalina. Tutti gesti accolti con lunghi applausi.




In apertura dell'udienza il Pontefice aveva espresso l'augurio che spuntasse il sole: "Avete, purtroppo, sofferto sotto la pioggia - ha detto il Papa ai fedeli riuniti in piazza San Pietro - e adesso speriamo che il tempo migliori". E puntuale, al termine dell'udienza, ecco un raggio di sole che ha illuminato la piazza. Benedetto XVI non ha mancato di notarlo: "Un po' di sole - ha detto soddisfatto - Il Signore ci ha dato questo segno di tenerezza nel quale avevamo sperato".

Ma i fuori programma sono venuti dopo il termine dell'udienza, durante l'incontro con i fedeli. Un uomo di circa 50 anni, costretto su una sedia a rotelle, si è fermato qualche istante a parlare con il Papa. Poi, non senza difficoltà, gli ha passato un telefonino, e Ratzinger, dopo un momento di esitazione, ci ha parlato. All'altro capo del "filo" una suora, malata terminale, che aveva chiesto all amico disabile di fare di tutto per farla parlare al telefono con Benedetto XVI.



Le sorprese, però, sono continuate: Benedetto XVI ha voluto provare un elmetto da pompiere, facendoselo prestare da uno dei tanti vigili del fuoco presenti in piazza San Pietro. Il Papa ha chiesto istruzioni sul suo uso, e poi si è calato il casco sulla papalina, facendo sfoggio del copricapo rosso fuoco.

Ratzinger, insomma, sembra aver superato l'imbarazzo e la timidezza dei primi giorni, quando si è trovato all'improvviso e in modo inaspettato al centro dell'attenzione di tutto il mondo. Ed è riuscito a cambiare l'immagine stereotipata di un Papa "tedesco", rigido e inflessibile nella forma, avvicinandosi invece ai fedeli andando molto spesso al di là del protocollo vaticano.
16/06/2005 00:07
 
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GRANDE PAPA RATZI!Non è da tutti conquistare in cosi'poco tempo il cuore di milioni di persone.[SM=x40791] [SM=x40791]
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