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I collaboratori di Papa Benedetto

Ultimo Aggiornamento: 24/02/2011 01:04
16/10/2006 18:50
 
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DOMANDINA....
Ma qualcuna ha visto per caso l'imitazione di Fiorello su RadioDue che ha fatto di Cioccio?..... [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819] [SM=g27819]

[Modificato da Ratzigirl 16/10/2006 18.50]

18/10/2006 09:48
 
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grazie discipula
molto interessante il contributo del cardinale dias [SM=g27811]
19/10/2006 09:24
 
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la chiesa dopo verona...
Oggi a Verona l´intervento del Papa: ad ascoltarlo Prodi, Marini, Rutelli, Berlusconi e Casini

Cattolici "attirati" dalla politica tornano le scuole di formazione

Al convegno ecclesiale parlano i promotori della collaborazione tra eletti nei due poli. Campi d´impegno dai prg ai detenuti

di marco politi

VERONA - Papa Ratzinger arriva stamane a Verona per indicare la rotta al cattolicesimo italiano. I convegni nazionali organizzati dalla Cei sono da sempre un momento privilegiato. Nel 1976 fu l´ora del «ripensamento» del ruolo dei cattolici, nel 1985 a Loreto papa Wojtyla scartò la «scelta religiosa» desiderata dalla vecchia dirigenza Cei e propugnò che i cattolici uniti riconquistassero la società, nel 1995 a Palermo lo stesso pontefice difese l´unità d´Italia e aprì la strada al «progetto culturale» ideato dal cardinale Ruini.
Ora al timone sta Joseph Ratzinger. Il suo discorso ai convegnisti è atteso spasmodicamente e per la messa del pomeriggio allo stadio si sono già prenotati i vip della politica: dal premier Prodi al presidente del Senato Marini, da Rutelli a Berlusconi, a Casini e a Fini.
Intanto si sono conclusi i gruppi di lavoro. Niente documenti, le conclusioni le trarrà la Conferenza episcopale con comodo. Ma le ultime quaratott´ore sono state un immenso laboratorio di idee, proposte, sfoghi, riflessioni e rivendicazioni. Un po´ autoscienza, un po´ dibattito senza rete. Dietro le quinte sta emergendo una nuova classe di cattolici impegnati nelle parrocchie e nelle associazioni - svegli, appassionati, attenti alla cultura, amanti del concreto - che vuole trovare un suo posto nella società e nell´istituzione ecclesiastica.
Riemerge, dopo anni di disamore per tutto ciò che puzzasse di partiti, la voglia di agire nella sfera politica. Lo si vede specialmente nei gruppi di lavoro dedicati al tema "cittadinanza".
«Bisogna far riscoprire la nobiltà della politica», ha esortato più d´uno. Le scuole di formazione politica, lanciate dall´episcopato negli anni ‘90 dopo il crollo della Dc e poi tramontate, stanno risorgendo un po´ ovunque. Dalla Lombardia alla Puglia. I nomi sono i più vari, "Scuole di educazione alla politica", "Centri di formazione sociale" e così via. Però il fine è identico: avere un luogo dove far crescere una "classe cattolica" che sia protagonista là dove si prendono le decisioni sociali e politiche.
A Cremona, racconta un delegato, si chiama "Scuola di impegno sociale e politico", opera in collaborazione tra Diocesi e Università Cattolica, ha trenta iscritti con frequenza obbligatoria, insegna a fare Piani di Zona, ad amministrare negli enti locali, a operare efficacemente nel Terzo settore. A Matera, spiega Emma, è stato creato un Laboratorio per «educare ad una cittadinanza attiva e responsabile». Si studiano i piani regolatori, si elaborano proposte. A Taranto, dice Giovanni Pergolese, sono stati lanciati tre progetti: uno sul reinserimento dei detenuti, l´altro sull´aiuto ai disabili, il terzo è una "Scuola di discernimento" delle questioni sociali. Ci si riunisce, si discute, si impara a progettare. Nel deserto dei partiti, il cattolicesimo ricrea nuclei di futura classe dirigente basandosi sulla dottrina sociale della Chiesa.
E riaffiora la voglia di non restare dispersi e di ricollegare i politici cattolici disseminati nei Poli. Emanuela Caselli dell´Azione cattolica di Reggio Emilia ritiene «indispensabile rimettere attorno ad un tavolo i politici cattolici dei diversi schieramenti». Per un confronto su problemi, valori, iniziative. Michelino Musso, consigliere comunale ad Asti, considera non solo utile che gli esponenti cattolici delle diverse liste si incontrino per riflettere sui valori da condividere, ma per le amministrative del 2007 guarda più in là: creare un "laboratorio di programma" in cui i candidati cattolici dei vari partiti si confrontino prima del voto. A Manfredonia Michele Liceto, direttore di un centro culturale cattolico, ha creato una piccola rete di quindici politici tra eletti e candidati non votati. Un investimento di rapporti per iniziative future. «Noi cattolici non vogliamo essere solo un serbatoio di voti - afferma - e nemmeno che ci si ricordi di noi solo per una raccomandazione».
E´ un impulso sotterraneo a ritrovare una fisionomia più marcata nell´Italia di oggi. Quale? Papa Ratzinger darà oggi la sua versione.

(da "la repubblica" del 19 ottobre 2006)
21/10/2006 21:13
 
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dove va ora la chiesa...
"Fallita l´unità dei cattolici in politica"
Il cardinale Ruini: la Chiesa è aperta alla sfida culturale con l´Italia laica

Il presidente della Cei chiude il convegno di Verona. "Anche l´ostilità è meglio dell´indifferenza"
Attenzione per il "risveglio dell´Islam", ma nella "chiarezza sui principi della nostra fede"
Riaffermata l´importanza dei rapporti con i "teocon". Accantonata invece la richiesta di coinvolgere i fedeli nelle decisioni


di Marco Politi


VERONA - Tradurre nei fatti «le grandi indicazioni offerteci dal Santo Padre» e il lavoro svolto per il quarto convegno ecclesiale. Il presidente della Cei Camillo Ruini chiude sovranamente gli stati generali di Verona. Obiettivo primario dei cattolici nell´arena pubblica, spiega il porporato, è «potenziare quella riserva di energie morali», di cui l´Italia ha bisogno se vuole crescere socialmente, culturalmente e anche economicamente. E la Chiesa agirà così «non per qualche interesse cattolico ma per il futuro del nostro popolo».
Da Loreto a Verona «don Camillo», com´è soprannominato nei palazzi ecclesiastici, è il vincitore morale di ben tre round. E´ passata la sua linea di incalzare la classe politica, bloccando le leggi non gradite alla gerarchia ecclesiastica, è diventata parola d´ordine l´affermazione della «visione antropologica» cristiana, è stata fatta propria dal pontefice la valorizzazione del rapporto con i "teocon", ha vinto la sua gestione ipercentralizzata della Cei. L´ala riformista, guidata dal cardinale Tettamanzi, che liquida i "teocon" e propugna un´apertura al mondo senza profezie di sventura, ha avuto visibilità, ma non arriverà alla guida della Cei. Resta accantonata anche la richiesta di un coinvolgimento dei credenti laici nei processi decisionali della Chiesa.
Alla Cei il cardinal Ruini passerà la mano non appena il segretario Betori si sarà rimesso da un delicato intervento. Salgono le candidature dei cardinali Scola e Caffarra, ma papa Ratzinger resta sempre uomo di sorprese.
Chi vince deve sapere fare degli aggiustamenti. Chiudendo il convegno, Ruini apre la porta al contraddittorio. «La Chiesa - assicura - accetta con animo sereno le critiche e talvolta le ostilità che il nostro impegno pubblico porta con sé». Fa parte della «libertà dialettica di un Paese democratico». Peggio sarebbe l´indifferenza. La gerarchia elogia comunque la «laicità sana e positiva», espressa «in maniera crescente anche tra coloro che non hanno in comune la fede cristiana o almeno non la praticano». Una rinnovata carezza ai "teocon". In ogni caso, promette il cardinale, la Chiesa non vuole scontri nemmeno con chi «pone l´accento unilateralmente sui diritti individuali e le libertà del singolo». Meglio promuovere i valori della relazionalità tra le persone.
In politica, ammette Ruini, non ha funzionato in passato il collegamento sui valori tra i cattolici dei diversi partiti, ma l´esempio del coordinamento durante il referendum sulla fecondazione assistita - vinto nel 2005 dal fronte astensionista organizzato appunto dalla Chiesa - è un esempio da seguire. D´ora in poi, insomma, la Chiesa italiana è chiamata a puntare sulla «elaborazione culturale» e la «formazione delle coscienze».
Infine, il problema islamico. Il presidente della Cei ha evocato il «risveglio religioso, sociale e politico dell´Islam» in cui il fenomeno del terrorismo si inserisce solo come un aspetto. Ruini ha esortato a riservare grande attenzione ai rapporti con i musulmani: «Nel cordiale rispetto reciproco e senza rinunciare a proporre con sincerità e chiarezza i contenuti della propria fede e le motivazioni che li sostengono».
Sul piano interno del cattolicesimo è stato invece forte il suo appello a rilanciare un vero e proprio spirito missionario per la conversione delle singole persone. Alla fin fine, la battaglia per l´Italia così cara al Papa si vince, se la gente crederà sul serio e andrà a messa.


(da "la repubblica" del 21 ottobre 2006)

22/10/2006 14:34
 
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I regali di don Georg....

Ma avevate letto la sorpresa finale durante la festa di compleanno di Don Georg? [SM=g27824] [SM=g27824] [SM=g27824] [SM=g27824] [SM=g27824]


Anche un filmino in regalo a don Georg
(del 07/09/2006 @ 10:20:00, in il Velino, linkato 54 volte)


In Vaticano se ne parla da un po’ di tempo. Di cosa? Del filmino che alla festa per i 50 anni di don Georg Gaenswein, segretario particolare di Ratzinger, i suoi amici (sacerdoti e non) hanno montato con le immagini dell’adolescenza del sacerdote tedesco salito il 19 aprile 2005 nella stanza più alta del palazzo apostolico vaticano.
Un filmino non troppo lungo, che mostra scene dell’adolescenza, della giovinezza, fino alla maturità (con l’ordinazione sacerdotale ed altro) del sacerdote tedesco che già da quando Ratzinger lavorava alla congregazione per la dottrina delle fede, aveva preso il posto del suo storico segretario particolare monsignor Josef Clemens, oggi promosso segretario del pontificio consiglio per i laici. È stata una sorpresa inaspettata, quella del filmino, inaspettata anche per il Papa che era presente alla festa avvenuta nei verdi e curati giardini del palazzo apostolico di Castelgandolfo. Il Papa, dopo aver preso parte ad un buffet assieme a don Georg e ad una cinquantina di invitati seduti su tavoli da cinque o sei posti ciascuno (invitati scelti da don Georg tra coloro che lui ritiene siano i suoi più stretti amici), ha seguito il breve filmino che narrava le gesta di don Georg e si è poi ritirato nelle sue stanze. Sia Benedetto XVI, che il riservato e schivo don Georg, hanno accolto con sorpresa la visione del filmino che ha chiuso una festa sobria ma allegra.
22/10/2006 17:39
 
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Un'altro articolo ...
Ciao a tutti,

Anche quest'articolo parla della festa per il cinquantesimo compleanno di Georg Gänswein:

Tempi numero 33 del 31/08/2006

CANOVACCI

Niente curia e due gradite sorprese per la festa più cool dell'estate

Di Pier delle Vigne

Tra tutte le feste romane è stata la più "cool" dell'estate. Quella più esclusiva, in uno scenario impagabile e bellissimo: i giardini all'italiana della villa pontificia di Castel Gandolfo, capolavoro di armonia, tra alberi di magnolie ed ippocastani, con papa Ratzinger come ospite d'onore per il cinquantesimo compleanno di don Georg Gänswein. Lui, il festeggiato, il segretario personale di Benedetto XVI - non a caso definito dai giornali tedeschi il personaggio più "cool" (appunto) di tutto il Vaticano perché in grado di unire fede e modernità, sport e rosario, ascesi e decisionismo - la sera di sabato 30 luglio ha raccolto attorno a sé una sessantina di ospiti sceltissimi. Una cerchia di fedelissimi il cui trait d'union è un sano vincolo di amicizia collaudato dal tempo e dall'affetto.

Per il bel don Georg sono arrivati anche supporter dalla Germania, con in testa gli anziani genitori, le due sorelle e i due fratelli, i quali alla fine della festa hanno intrattenuto tutti con una divertente sorpresa: una serie di diapositive sulla vita di monsignor Gänswein, dalla prima comunione alle gare sugli sci, alle conferenze di teologia, fino al lavoro da officiale alla Congregazione per la Dottrina della Fede all'epoca in cui era diretta dal cardinale Joseph Ratzinger. Don Georg non sapeva di questo fuori programma, ma anche lui, accantonato per un attimo il fare schivo e timido, si è fatto due risate vedendo proiettata la sua vita su uno schermo di fortuna.

Tra i commensali pochissimi i monsignori di curia ai quali è stato fatto l'onore di partecipare alla cena: solo qualche sacerdote dell'ex sant'Uffizio, il rettore della Lateranense monsignor Rino Fisichella, le due principesse Alessandra Borghese e Gloria [von] Thurn und Taxis e una nutrita pattuglia di suorine. A cominciare dalle oblate laiche che accudiscono la persona del pontefice fino alle suore di Schönstatt. Una di queste, suor Cristina, ha composto e cantato un paio di stornelli su musiche tedesche per don Georg. Clima di grande familiarità condito dalla semplice spontaneità di chi si conosce bene e non ha bisogno di dimostrare nulla. Molto familiare anche il menù curato da un servizio di catering di Asolo (petto di tacchino con rucola, risotto ai fiori di zucca, tortelli burro e salvia, maialino al forno e per finire bavarese alle fragole e torta di compleanno accompagnata dalle note di un Buon compleanno bilingue, intonate prima in tedesco e poi in italiano). Una preghiera (in latino, ovviamente) ha dato inizio alla cena conclusasi con l'attesa benedizione papale. Ite coena est.

© tempi.it
22/10/2006 20:55
 
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Viva don Camillo, altro che Cioccio!!!
ROMA - La Chiesa Italiana non ha paura dell'Islam. Ma da parte dei credenti di questa religione che vivono nel nostro Paese si devono rispettare le leggi dello Stato. Lo ha affermato il card. Camillo Ruini in una intervista a Rai Uno.

All'indomani del richiamo del Capo dello Stato Giorgio Napolitano sulla laicità dello Stato, il presidente della Cei è tornato a parlare su questo tema. «Una laicità sana e positiva - ha detto il card. Camillo Ruini - è qualla che tiene conto dell'autonomia delle realtà terrene. E dunque dell'indipendenza della Stato dall'autorità ecclesiastica, ma non significa prescindere dai valori inseriti nella natura dell'uomo e da quel bisogno di Dio che è inserito nel cuore umano».

Intervistato da Rai Uno per la trasmissione 'A Sua Immagine', il card. Ruini ha voluto anche chiarire il suo pensiero sul tema dell'unità politica dei cattolici nella difesa dei «valori irrinunciabili». «I titoli, più che i contenuti degli articoli che parlavano delle mie conclusioni al Convegno di Verona, hanno portato ad uno strano equivoco», ha rilevato il porporato, precisando di non aver detto che «l'obiettivo di questa unità è stato mancato sui contenuti essenziali». «Ho parlato - ha ricordato - sul discernimento comunitario in ambito ecclesiale. L'azione politica ha altri spazi nei quali svilupparsi o tradurre i valori morali».

Secondo Ruini, «i temi propriamente della politica devono trovare i loro luoghi di confronto non in ambito ecclesiale, non in parrocchie, ma in altri spazi e occorre produrre le opportune convergenze sia tra cattolici che tra coloro che condividono i valori con i cattolici». «La Chiesa - ha spiegato Ruini - tiene conto dell'autonomia delle realtà terrene, delle professioni, del lavoro, dell'economia, della scienza. Ma questo non significa prescindere da quei valori universali che sono insiti nella natura dell'uomo». Ruini ha ripetuto in proposito che non lo spaventano le critiche per gli interventi della Chiesa. Meglio le critiche, ha detto, che l'indifferenza, 'quando c'è indifferenza vuol dire che Dio è messo ai margini della vita. «Le critiche ci sono, ci sono sempre state - ha ricordato - e occorre accoglierle con lo stesso spirito che ci ha insegnato Gesù Cristo». Nell'intervista ad 'A Sua Immagine' il presidente della Cei ha ribadito che «alla scuola cattolica deve essere riconosciuto una parità effettiva».

RUINI [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
"Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et portae inferi non praevalebunt adversum eam " (Mt 16,18)
Nel menù di hitleriani e maomettani, gli ebrei, pochi di numero e relativamente deboli, sono soltanto l'antipasto: il piatto più consistente è a base di cristiani! (C. Langone)
EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS
31/10/2006 18:35
 
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Iniziativa dell'episcopato statunitense
Come annuncerebbe oggi Gesù la Buona Novella?

Convocato un concorso sul tema della Giornata delle Comunicazioni Sociali

La Campagna di Comunicazione Cattolica (CCC) della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti (http://www.usccb.org/) ha invitato i bambini del Paese a partecipare al concorso artistico che chiede loro come Gesù annuncerebbe oggi la Buona Novella.

Aperto a bambini dai 6 agli 11 anni di età (i primi sei gradi di istruzione), il concorso si fa eco del tema scelto da Benedetto XVI per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2007: “I bambini e i media: una sfida per l’educazione”.

Il termine per presentare le proposte scade il prossimo 5 marzo. I vincitori verranno annunciati il 1° maggio (mese in cui si celebra la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali) del prossimo anno.

I premi – primo, secondo e terzo – verranno attribuiti seguendo i criteri di originalità e creatività nei lavori presentati dai bambini.

Saranno accompagnati, rispettivamente, da una somma di 250, 150 e 100 dollari statunitensi per i vincitori, le cui opere verranno esposte nella pagina web della CCC.

“Chiediamo che ogni bambino scelga uno strumento e disegni come annuncerebbe Gesù personalmente la Buna Novella”, ha spiegato Ramón Rodríguez, Direttore per lo Sviluppo della CCC.

Nella convocazione, diffusa dall’episcopato statunitense, si aggiunge che l’anno scorso più di 1.600 studenti di tutto il Paese hanno presentato lavori unici che hanno dimostrato che i bambini vedono Gesù come parte della loro esperienza ordinaria.

Molti lo hanno disegnato seduto “al computer, mentre inviava posta elettronica, telefonava o inviava messaggi con il telefono cellulare”, ha ricordato Rodríguez.

I requisiti per partecipare sono disponibili su www.CatholicCommunicationCampaign.org (sezione “Good News Art Contest”). Si possono anche richiedere ulteriori informazioni attraverso l’indirizzo di posta elettronica contest@CatholicCommunicationCampaign.org.

Quanti parteciperanno al concorso potranno scaricare i loro Certificati di Ringraziamento dalla web della CCC a partire dal 1° maggio.

La Campagna annuale di Comunicazione Cattolica (CCC) ha sostenuto una serie di programmi a livello locale e nazionale per più di 25 anni.

L’esposizione CCC 2007 avrà luogo nella maggior parte delle parrocchie nel fine settimana del 20 maggio (data esatta, quest’anno, della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali).

[Modificato da Ratzigirl 31/10/2006 18.36]

01/11/2006 00:03
 
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«Liturgia e poveri, tesori della Chiesa»
Intervista con l’arcivescovo Malcolm Ranjith scelto da papa Benedetto XVI come segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

Da "30Giorni", settembre 2006, a cura di Gianni Cardinale




L’arcivescovo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, 59 anni da compiere a metà novembre, originario dello Sri Lanka, è stato nominato segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti il 10 dicembre dello scorso anno. Benedetto XVI lo ha richiamato in Curia per quella che è stata la seconda nomina di rilievo del suo pontificato, dopo quella di William Joseph Levada a prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Insieme al neoinsediato cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, monsignor Ranjith fa parte quindi della cerchia degli stretti collaboratori della Curia romana, personalmente scelta da papa Ratzinger. 30Giorni gli ha chiesto di approfondire alcuni aspetti della sua biografia.


Eccellenza, come è nata la sua vocazione?

Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don: Sono nato in una famiglia di buoni cattolici. La nostra era una parrocchia in cui si viveva con gioia la sana e buona tradizione della Chiesa, dove la messa quotidiana era una pratica diffusa tra molti semplici fedeli. Era retta da un bravo missionario francese, un oblato di Maria immacolata, padre Jean Habestroh, che ha dato tutto per Gesù e per la Sua Chiesa. Un vero modello di dedizione. E così, all’interno di questa intensa vita di fede nella famiglia e nella parrocchia, la chiamata a dedicarmi pienamente al servizio del Signore è nata fin da piccolo ed è maturata, quando facevo il chierichetto, quasi in modo naturale.

Dove ha studiato?

Ranjith: In una scuola dei Fratelli delle scuole cristiane di La Salle, scuole di ottima qualità e dove la vita devozionale era molto intensa. Ogni giorno recitavamo il Rosario, ed eravamo quasi tutti membri della Legio Mariae. Sono stato fortunato, perché in queste scuole sono cresciuto non solo nelle conoscenze scientifiche e nella formazione culturale, ma anche nella vita spirituale. E i fratelli di La Salle erano guide esemplari.

Lei ha frequentato il seminario maggiore nazionale di Kandy dal 1966 al 1970…

Ranjith: Avevo diciott’anni quando sono entrato. Mio padre in un primo tempo non era molto contento, perché ero il primogenito e unico figlio maschio. Ma poi, grazie soprattutto a mia madre, i miei genitori si sono messi d’accordo nel darmi il permesso di entrare in seminario. Dopo gli studi filosofici e un periodo di tempo passato fuori seminario, il primo e unico cardinale che ha avuto lo Sri Lanka, Thomas Benjamin Cooray, mi ha mandato a Roma, al Collegio di Propaganda Fide, per completare gli studi teologici.

E a Roma è stato ordinato sacerdote.

Ranjith: Sì, il 29 giugno 1975. Eravamo più di 350 diaconi ordinati da Paolo VI in occasione dell’Anno Santo. Successivamente ho frequentato il Pontificio Istituto Biblico dove, dopo quattro anni, ho conseguito la licenza in Sacra Scrittura. Durante questi anni ho avuto la fortuna anche di poter seguire un corso di otto mesi all’Università ebraica di Gerusalemme, dove dagli insegnanti rabbini ho potuto ricevere un grande senso di amore verso la Parola di Dio. La Terra Santa è piena di Dio e del Suo amore verso l’umanità, un amore che in quei luoghi si può quasi toccare con mano. La mia vocazione sacerdotale, quindi si arricchiva di nuove forze spirituali ogni giorno che respiravo quell’aria.

Chi sono stati i suoi maestri?

Ranjith: Ero studente dell’allora padre Carlo Maria Martini, intelligente e capace: ci insegnava il Vangelo di san Luca e la critica testuale. Un mio docente era anche un altro gesuita oggi cardinale, padre Albert Vanhoye. Con lui come relatore, nel 1978 ho scritto la mia tesina per la licenza in Sacra Scrittura sulla Lettera agli ebrei. All’Urbaniana mi è rimasta impressa la figura di padre Carlo Molari: presentava la dottrina dogmatica in una chiave diversa, però interessante, che suscitava dibattito e ci apriva gli occhi per gustare il vero valore della teologia. C’erano anche molti altri bravi insegnanti. Mi ricordo di monsignor Stefano Virgulin e del padre comboniano Pietro Chiocchetta: insegnavano non in modo libresco, ma con una fede intensa in Gesù.

Finiti gli studi, nel 1978 è tornato in patria.

Ranjith: Ho fatto il viceparroco in una zona poco sviluppata, in un villaggio di pescatori, tutti cattolici. E lì ho cominciato a scoprire il collegamento della teologia alla vita quotidiana dei fedeli attraverso il grande veicolo della liturgia. Chi celebra e prega intensamente viene aiutato a mettere in pratica ciò che celebra. Poi sono stato parroco sempre in altri villaggi di pescatori. Erano molto poveri ma avevano una grande fede. E proprio attraverso il contatto con queste realtà ho scoperto la necessità che la Chiesa si occupi anche della giustizia sociale. Fin da allora l’amore per la liturgia e l’amore per i poveri, due veri e propri tesori della Chiesa, si potrebbe dire, sono stati la bussola della mia vita di sacerdote. Anche se all’epoca non avrei mai pensato di diventare un giorno addirittura segretario della Congregazione per il culto divino…

Come ha aiutato queste popolazioni?

Ranjith: Ho sfruttato le conoscenze che avevo coltivato a Roma e in Germania. Ho chiamato i miei vecchi amici e, grazie a Dio, gli aiuti sono arrivati. È grazie anche a questa attività che, nel 1983, sono diventato direttore nazionale delle Pontificie opere missionarie. Incarico che ho ricoperto per dieci anni. E in questa veste ho partecipato a molti incontri con gli altri direttori delle Pontificie opere missionarie sparse per tutto il mondo. Proprio queste riunioni mi hanno aiutato ad avere una visione veramente cattolica, universale della Chiesa.

Nel 1991 lei è stato nominato vescovo ausiliare di Colombo. Come ha vissuto questa prima esperienza episcopale?

Ranjith: Da vescovo ausiliare ho potuto allargare la mia presenza a tutta la diocesi e collaborare così con il mio vescovo ordinario. Ho potuto scoprire inoltre come il popolo cristiano voglia sentire vicino i propri pastori dai quali si attendono una vita che rifletta quella del supremo pastore, Gesù. Durante questo periodo, su richiesta dell’episcopato, ho coordinato con il governo e la Santa Sede la preparazione del viaggio di papa Giovanni Paolo II nello Sri Lanka avvenuto nel gennaio 1995. È stata una grande esperienza anche questa. Era commovente vedere i nostri semplici fedeli che si stringevano attorno al Papa con un grande senso di affetto.

Era la prima volta che un papa toccava il suolo dello Sri Lanka?

Ranjith: No, trent’anni prima, nel dicembre 1970, Paolo VI, di ritorno a Roma dall’Australia, fece una sosta a Colombo, dove celebrò una messa nell’aeroporto. All’epoca ero un giovane seminarista e ricordo ancora la gioia con cui i cattolici, ma non solo, si raccolsero attorno alla figura del primo papa che metteva piede nella nostra isola.

Alla fine del 1995 lei viene chiamato a guidare la nuova diocesi di Ratnapura, dove è rimasto fino al 2001.

Ranjith: Mi hanno chiesto di occuparmi di una diocesi nuova, appena costituita, situata all’interno del Paese. E ho accettato. Sono stati cinque anni molto felici, nonostante i problemi che sempre ci sono, soprattutto quando si deve costruire un’intera struttura diocesana. Ho imparato a stare vicino al clero – che a Ratnapura era un po’ diviso al suo interno – e ai fedeli, la maggioranza dei quali erano e sono molto poveri. Non si trattava più di pescatori ma di coltivatori delle piantagioni di tè.

Quanti erano i cattolici a Ratnapura?

Ranjith: Solo il due per cento. Ma col resto della popolazione, nella stragrande maggioranza buddista, i rapporti erano ottimi. Quando sono entrato in diocesi come vescovo, sono andato a visitare tutti i templi buddisti della città e incontrare i monaci. Dal primo giorno abbiamo creato un organismo di dialogo e di cooperazione in quei campi, come in quello sociale, dove questo è possibile. Con alcuni di questi monaci è nata un’amicizia molto forte. A loro, a volte, abbiamo chiesto consigli e suggerimenti quando costruivamo nuove chiese.

Eppure, proprio negli ultimi tempi, nello Sri Lanka si sono discusse delle leggi per impedire la conversione da una religione a un’altra…

Ranjith: Si tratta di una questione discussa a livello nazionale e dovuta all’annosa guerra tra la minoranza tamil, perlopiù induista, e la maggioranza cingalese, perlopiù buddista, e dovuta anche alle attività poco corrette di alcune sette cristiane fondamentaliste. La maggioranza cingalese-buddista ha paura che le minoranze, quella tamil-induista ma anche le comunità cristiane che si trovano sia tra i tamil che tra i cingalesi, vogliano conquistare una posizione dominante nella società, e allora reagisce e cerca di controllarle, creando talvolta in esse un senso di oppressione. Questo a livello generale. Ma quando ero vescovo a Ratnapura, lì la situazione era tranquilla anche perché era fuori dalle zone più calde del conflitto, che sono quelle nordorientali del Paese.

Nel 2000 viene pubblicata la dichiarazione Dominus Iesus, sull’unicità salvifica di Gesù. Ha creato dei problemi nel dialogo con il buddismo?

Ranjith: A dire il vero, un primo problema era nato nel 1994, quando Giovanni Paolo II pubblicò il libro-intervista con Vittorio Messori intitolato Varcare la soglia della speranza, in cui c’erano delle frasi sul buddismo che suscitarono reazioni. Ma quelli che diedero ampia diffusione a queste affermazioni erano stranieri provenienti dall’estero. Furono loro a dare grande risalto sui giornali dello Sri Lanka alla notizia che il Papa in questo libro aveva attaccato il buddismo. Erano articoli che infiammavano le tensioni, anche se molti non avevano neanche letto il libro del Papa. Ma un monaco buddista, che io conoscevo, scrisse sul principale giornale di lingua inglese dello Sri Lanka, il Daily News, un articolo in cui difendeva il Santo Padre. Questo monaco scrisse che, secondo le indicazioni di Buddha, tutti gli insegnamenti andavano sottoposti a critica, anche i suoi. E quindi il Papa aveva tutto il diritto di dire quello che secondo lui era negativo della religione buddista. Paradossalmente furono più alcuni teologi cattolici a criticare il Papa che non gli stessi buddisti. Più o meno lo stesso è avvenuto con la Dominus Iesus: gli attacchi maggiori sono venuti dai teologi cattolici e non tanto dagli altri. Spesso in queste cose ci si lascia guidare dalle proprie emozioni più che da un’analisi dei fatti. E così si creano delle situazioni antipatiche e inutili.

Comunque durante la visita di Giovanni Paolo II in Sri Lanka del gennaio 1995 i leader buddisti non parteciparono all’incontro col Papa…

Ranjith: I leader no, ma moltissimi fedeli buddisti vi parteciparono con gioia. Devo specificare che l’altare principale sul quale il Papa celebrò la santa messa, nella spianata di Galle Face, era stato disegnato e costruito da un monaco buddista, nostro amico, che così rifiutò di essere strumentalizzato dagli altri.

Torniamo all’attualità. Come valuta il tentativo di introdurre leggi anticonversione nel suo Paese?

Ranjith: Innanzitutto noi cristiani diciamo chiaramente alla maggioranza buddista che non è nostro desiderio sovvertire le tradizioni religiose e culturali in cui si riconosce la maggioranza del popolo dello Sri Lanka. E poi, anche se una legge di questo tipo verrà approvata, le conseguenze potranno non essere tutte negative. Vorrà dire che il Signore vuole mettere alla prova la nostra fede e con il Suo aiuto non dubito che la fede del nostro popolo cristiano si rafforzerà.

Il 1° ottobre 2001 viene pubblicata la sua nomina a segretario aggiunto di Propaganda Fide. Come ricorda questa chiamata a Roma?

Ranjith: Nel 1995, oltre che vescovo di Ratnapura ero diventato anche segretario generale della Conferenza episcopale e presidente della Commissione episcopale per la giustizia e la pace. Insieme al vicepresidente di questa Commissione, il vescovo di Mannar Joseph Rayappu, di etnia tamil, ho lavorato molto per portare il governo di Colombo e le Tigri tamil al tavolo dei negoziati che hanno condotto al cessate il fuoco, infranto, ahimé, proprio questa estate. Ricordo che con monsignor Rayappu riuscimmo a portare 26 monaci buddisti nella zona controllata dai tamil per cercare di rompere l’ostilità che animava sia i buddisti che i tamil l’uno verso l’altro a causa delle atrocità commesse da entrambi nel passato. L’incontro tra i due gruppi fu un’esperienza molto felice. Proprio quando ero molto impegnato in queste iniziative di pace, mi chiamò il nunzio apostolico che mi annunciava la decisione del Papa di nominarmi segretario aggiunto a Propaganda Fide e chiedeva se aderivo a questa richiesta. Di fronte al desiderio del Papa ho detto sì. Così sono arrivato a Roma per svolgere la mia missione nella Congregazione posta sotto la guida del cardinale Crescenzio Sepe.

Dove è rimasto per circa due anni.

Ranjith: È stato un periodo molto interessante. Per me si è trattato un po’ come di una continuazione del lavoro che avevo già svolto in qualità di direttore delle Pontificie opere missionarie in Sri Lanka. Quasi due anni in cui ho cercato di essere il più possibile autentico, leale e sincero nel mio lavoro. Ho tentato di valorizzare al massimo il ruolo dei direttori nazionali delle Pontificie opere missionarie nelle varie Chiese locali, e di salvaguardare la trasparenza assoluta in tutte le delicate questioni finanziarie che riguardano queste opere.

Il 29 aprile 2004 viene resa nota la sua nomina a nunzio apostolico in Indonesia e Timor Est.

Ranjith: Dopo un periodo di riflessione mi è stato chiesto di diventare nunzio apostolico. Ho accettato con grande interesse. Anche se si trattava per me di un’esperienza nuova, in un campo che per me era ancora misterioso. Da vescovo avevo collaborato con la nunziatura di Colombo, ma non avevo avuto la formazione speciale che hanno i nunzi. Direi che è stata un’esperienza molto ricca e ho cercato di essere vicino a quella Chiesa e ai suoi pastori e manifestare così la vicinanza del Santo Padre a loro.

Proprio durante la sua permanenza a Jakarta c’è stato il terribile tsunami che ha sconvolto il Sud Est asiatico. Come ha vissuto quella esperienza?

Ranjith: In quei giorni si trovava da me un mio carissimo amico, l’arcivescovo di Vienna il cardinale Christoph Schönborn. Appresa la tragedia, abbiamo abbandonato il programma che avevamo già stabilito per lui e siamo andati a Banda Aceh. È stato un viaggio estremamente difficoltoso, ma siamo riusciti ad arrivare e a visitare le zone colpite. È stato uno spettacolo terribile: morte e distruzione dappertutto. Abbiamo trascorso due giorni da missionari, abbiamo dormito in alloggi di fortuna senza acqua corrente e senza luce. Ma siamo stati contenti di poter essere vicini alla piccola comunità cattolica di Banda Aceh e anche dell’isola di Nias. La voce del cardinale Schönborn che da quella zona raccontava alle radiotelevisioni europee la sua esperienza è stata anche determinante nella solidarietà che abbiamo ricevuto da ogni parte del mondo. Successivamente attraverso la rete delle Caritas e l’aiuto della Santa Sede siamo riusciti a stabilire un programma di aiuti solido per quelle popolazioni. La Caritas indonesiana era inattiva e così con l’aiuto del cardinale arcivescovo di Jakarta e della Caritas internationalis siamo riusciti a riattivare questo organismo ecclesiale e a stabilire progetti di aiuto per la ricostruzione di quelle zone. Ricordo che abbiamo partecipato a riunioni interminabili ma importanti grazie alle quali abbiamo potuto dare il nostro contributo come Chiesa cattolica per le popolazioni colpite da questa immane tragedia.

Poco prima della sua nomina a nunzio, L’Osservatore Romano del 26-27 aprile 2004 ospitò un suo articolo di commento alla istruzione Redemptionis Sacramentum «su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia», pubblicata poco tempo prima a cura della Congregazione per il culto divino d’intesa con la Congregazione per la dottrina della fede…

Ranjith: L’articolo lo scrissi su richiesta del prefetto della Congregazione per il culto divino, il cardinale Francis Arinze. Avevo trovato la Redemptionis Sacramentum assai utile e necessaria, e perciò sono stato ben contento di commentarla.

Fu un articolo per così dire profetico, visto l’incarico da lei oggi ricoperto…

Ranjith: Non lo so. Però come ho già detto, mi sono sempre interessato della liturgia soprattutto nei suoi risvolti pastorali, e ho sempre cercato di leggere e documentarmi su questi aspetti. E ricordo che quando mi capitava di incontrare l’allora cardinale Ratzinger, spesso nei nostri colloqui si finiva per parlare di liturgia.

Come ha conosciuto il cardinale Joseph Ratzinger?

Ranjith: Per una questione riguardante lo Sri Lanka, quella del teologo Tissa Balasuriya, il quale aveva scritto un libro, Mary and human liberation, in cui veniva fatta un’analisi teologica difficilmente compatibile con la dottrina cattolica. Allora ero un giovane vescovo appena nominato, mi sono interessato a questo libro e ho coordinato una commissione episcopale appositamente creata per studiare questo testo. Nel 1994, alla fine dei lavori di questa commissione, la Conferenza episcopale emise un comunicato in cui si avvisavano i fedeli che il libro non rispecchiava la dottrina della Chiesa. Questo comunicato scatenò una campagna stampa mondiale contro di noi e in favore di padre Balasuriya. La controversia fu talmente forte che anche Roma cominciò a indagare. E così venni richiamato nell’Urbe per spiegare quello che stava succedendo al Papa e al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Ratzinger. Le affermazioni di padre Balasuriya erano talmente gravi che nel gennaio 1997 vennero formalmente condannate dalla Congregazione e lui stesso, non avendole ritirate, venne colpito dalla scomunica latae sententiae. Scomunica che rientrò l’anno successivo, dopo una solenne dichiarazione pubblica dello stesso padre Balasuriya.

Fu quindi in questo contesto che cominciò la sua frequentazione con il cardinale Ratzinger…

Ranjith: Sì, l’ho incontrato diverse volte e in quelle occasioni avevo modo di illustrare a lui le mie impressioni e le mie preoccupazioni di vescovo specialmente riguardo alla questione del dialogo interreligioso e anche alle questioni liturgiche. Quando poi sono stato chiamato a Propaganda Fide, ho avuto modo di incontrare il cardinale Ratzinger più di frequente, anche durante le ordinarie del dicastero di cui anche lui faceva parte. Così, oltre a essere un avido lettore dei suoi libri, ho imparato ad apprezzarne personalmente anche le sue doti umane. In lui ho visto sempre un grande teologo e nelle sue parole non un pedante, ma essenzialmente una persona vicina al Signore.

A Jakarta quindi è stato poco meno di due anni. Il 10 dicembre 2005 è stata pubblicata la nomina a segretario del Culto divino. Si aspettava questa nuova chiamata a Roma?

Ranjith: Ricordo che Benedetto XVI mi chiamò in udienza a Castel Gandolfo durante l’estate del 2005, era metà settembre, e mi chiese se volevo accettare la nomina a segretario della Congregazione per il culto divino. Ho detto di sì. Ho sempre avuto un interesse per la liturgia, che ho sempre considerato la chiave del rapporto tra fede e vita, perché come viene celebrata la liturgia così viene vissuta la fede cristiana. La liturgia da un lato esteriorizza la fede, dall’altro la alimenta. Poter dare su questo punto, che sta molto a cuore a papa Benedetto, il mio pur modesto contributo mi ha riempito il cuore di gioia.

Eccellenza, la sua prima uscita pubblica da segretario della Congregazione per il culto divino è stata una conferenza tenuta in occasione della presentazione del libro di Uwe Michael Lang, oratoriano di origini tedesche residente a Londra, Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica (Cantagalli, Siena 2006, pp. 150, euro 14,90), avvenuta il 27 aprile presso l’Istituto patristico Augustinianum di Roma. Il volume, edito in tedesco nel 2003, contiene una prefazione dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, pubblicata per la prima volta in italiano sul numero di marzo 2004 di 30Giorni. Cosa l’ha colpita di più di questo libro?

Ranjith: Avevo già letto questo libro e la bellissima prefazione dell’allora cardinale Ratzinger. Così quando ho ricevuto l’invito, ho subito accettato. Perché è stata l’occasione per far nascere un dibattito molto positivo nella Chiesa. Si parla tanto di partecipazione dei fedeli alla liturgia. Ma i fedeli partecipano di più se il sacerdote celebra versus populum o se celebra verso l’altare? Non è detto infatti che questa partecipazione sia più attiva se il prete celebra verso il popolo; può darsi che in questo caso il popolo si distragga. Così è vera partecipazione quando al segno della pace in chiesa si crea una grande confusione, con dei sacerdoti che a volte vanno a dare il loro saluto fino alle ultime file? Si tratta della actuosa participatio, auspicata dal Concilio Vaticano II, o semplicemente di una grande distrazione che non aiuta per nulla a seguire con devozione il momento successivo della messa – a parte il fatto che a volte ci si dimentica pure di declamare l’Agnus Dei… Ripeto, il libro di padre Lang è stato ed è un’utilissima provocazione, a cominciare dall’introduzione in cui il cardinale Ratzinger ricorda che il Concilio non ha mai chiesto di abolire il latino né di rivoluzionare la direzione della preghiera liturgica…

Una sua intervista alla Croix del 26 giugno, intitolata La riforma liturgica del Vaticano II non è mai decollata, ha fatto molto rumore. Può spiegare meglio i suoi giudizi sulla riforma liturgica attuata dopo il Concilio Vaticano II?

Ranjith: Queste parole sono state messe fuori contesto. Non è che valuti negativemente tutto quello che è avvenuto dopo il Concilio. Ho detto invece che il risultato atteso dalla riforma liturgica non si è manifestato. Ci si domanda se la vita liturgica, la partecipazione dei fedeli alle sacre funzioni, sia più alta e migliore oggi rispetto a quella presente negli anni Cinquanta. Si è criticato il fatto che prima del Concilio i fedeli non partecipavano veramente alla messa, ma assistevano passivamente o facevano delle devozioni personali. Ma oggi davvero i fedeli partecipano in modo spiritualmente più elevato e personale? È davvero successo che tanti che erano fuori della Chiesa con le nuove liturgie si siano messi in fila per entrare nelle nostre chiese? O non è successo invece che molti se ne sono andati via e che le chiese si sono svuotate? Di quale riforma allora si parla?

Colpa della secolarizzazione…

Ranjith: Certamente, ma tale situazione è anche frutto del modo con cui è stata trattata o, meglio, bistrattata la liturgia… In pratica, secondo me, le sacrosante aspettative del Concilio di una liturgia meglio compresa e quindi spiritualmente più feconda, sono state ancora disattese. E quindi c’è ancora molto da fare, affinché le chiese si riempiano di nuovi fedeli che durante le sacre liturgie si sentano veramente toccati dalla grazia del Signore. In un mondo secolarizzato, invece di cercare di elevare i cuori verso la grandezza del Signore, si è cercato, piuttosto, credo, di abbassare i misteri divini a un livello banale.

Quando è stato nominato segretario al Culto divino, è stato scritto che lei avrebbe ottimi rapporti col mondo lefebvriano. Corrisponde al vero?

Ranjith: Non ho conosciuto monsignor Marcel Lefebvre per motivi anagrafici, perché lui è di un’altra epoca. Ma certamente ho avuto qualche contatto con alcuni dei suoi seguaci. Ma non sono un appassionato dei lefebvriani. Sfortunatamente non sono ancora rientrati nella piena comunione con la Santa Sede, ma quello che loro qualche volta dicono sulla liturgia lo dicono a ragion veduta. E perciò loro sono un pungolo che ci deve far riflettere su quello che stiamo facendo. Questo non vuol dire che posso essere definito come un aderente o un amico dei lefebvriani. Io condivido alcuni punti dei cosiddetti no global riguardo alla giustizia sociale, ma questo non vuol dire che sono un loro aderente… D’altra parte la messa tridentina non è proprietà privata dei lefebvriani. Essa è un tesoro della Chiesa e di noi tutti. Come il Papa ha detto alla Curia Romana l’anno scorso, il Concilio Vaticano II non è un momento di rottura, ma di rinnovamento nella continuità. Non si butta via il passato, ma si cresce su di esso.

Questo vuol dire che la messa cosiddetta di san Pio V in realtà non è stata mai abolita?

Ranjith: Il fatto che la Santa Sede abbia recentemente approvato l’istituzione, a Bordeaux, di una società di vita apostolica di diritto pontificio caratterizzata dal fatto di usare esclusivamente i libri liturgici preconciliari [si tratta dell’Istituto del Buon Pastore in cui si sono raccolti alcuni fuoriusciti “lefebvriani”, ndr], sta a significare in modo inequivocabile che la messa di san Pio V non può essere considerata come abolita dal nuovo messale cosiddetto di Paolo VI.
Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
05/11/2006 14:37
 
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Per 36 studenti su 100 la "Genesi" è solo un complesso rock

di steno sari

In un sondaggio fatto alcuni anni fa negli Stati Uniti risultò che il 22 per cento dei sedicenti cristiani pensava che nella Bibbia ci fosse un libro di Tommaso, mentre il 13 per cento non ne era sicuro. Quanto a Giona, il 27 per cento disse che non faceva parte della Bibbia, e il 12 per cento non sapeva come rispondere. Il 6 per cento non aveva alcuna idea di dove fosse nato Cristo, mentre il 16 per cento rispose che era nato a Gerusalemme e l'8 per cento a Nazaret. Un buon 13 per cento non sapeva dove si trovasse, nella Bibbia, il libro di Isaia, mentre l'11 per cento lo poneva nel Nuovo Testamento. E anche se la maggior parte sapeva che gli apostoli erano dodici, il 12 per cento rispose un altro numero, da due a più di venti, e il 10 per cento non ne aveva la più pallida idea. L'inchiesta sottolineava che le maggiori difficoltà si avevano nell'indicare se l'espressione "aiutati che Dio ti aiuta" compare nelle Sacre Scritture oppure no. Solo il 38 per cento degli intervistati sapeva che essa non compare nei Testi Sacri, mentre erano di più, per l'esattezza il 42 per cento, quelli che pensavano che si trattasse di una citazione biblica. Gli altri non lo sapevano. E in Italia? Qualcuno scrisse tempo fa che la Bibbia rappresenta il "grande buco nero" della nostra cultura. Gli italiani sembrano essere un popolo tradizionalmente religioso ma poco abituato a leggere direttamente i testi biblici che considerano piuttosto difficili e complicati, comprensibili solo da esegeti ed eruditi, non un testo di saggezza di vita accessibile a tutti. Così quando un periodico religioso condusse un'inchiesta tra studenti italiani dai tredici ai diciannove anni, il risultato fu che 56 studenti su 100 non avevano più letto un brano delle Scritture dopo la prima comunione. Inoltre l'83,4 per cento degli studenti non sapeva distinguere la differenze fra Antico e Nuovo Testamento e il 75 per cento affermò di non avere una Bibbia in casa. Per 36 studenti su 100 il termine "Genesi" era il nome di un complesso rock inglese anziché il nome del primo libro biblico. E i giornalisti? Secondo un sondaggio recentissimo commissionato dall'Unione Cattolica della stampa italiana (Ucsi) l'impreparazione di alcuni giornalisti in materia religiosa si fa notare. Per il 4 per cento degli operatori dell'informazione Cristo è il cognome di Gesù, mentre il 4,5 per cento ignora che il Corano è il libro sacro dell'Iilam. A questo punto permettetemi una considerazione. Se si è del tutto disinformati su cose elementari come quelle menzionate sopra, come ci si può aspettare di essere in grado di rispettare il dettato biblico che recita: "Siate sempre pronti a rispondere a quelli che vi chiedono spiegazioni sulla speranza che avete in voi"? Penso vi siano buone ragioni per riflettere un po' sulla consistenza della propria fede religiosa. Un intelligente approfondimento della propria spiritualità può rendere la vita molto più consapevole, mettendoci nelle condizioni di difendere le proprie ragioni con cognizioni di causa, competenza e preparazione.

libero 5 novembre 06
08/11/2006 00:43
 
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FEDE E STORIA

Una giornata dedicata dalla città natale, Pienza, a Enea Silvio Piccolomini è stato l’ultimo evento del ricco programma in occasione del sesto centenario dalla nascita del Pontefice toscano



Bertone chiude le celebrazioni di Pio II



Si sono conclusi domenica scorsa a Pienza i festeggiamenti per il sesto centenario della nascita di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II, che fu il fondatore di questo piccolo gioiello urbanistico della Toscana. Un avvenimento dedicato a una figura già «europea» il cui messaggio si è dimostrato prezioso e ancora attuale. A testimoniare la portata internazionale delle celebrazioni per questo sesto centenario è stata anche la presenza del segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone.
A fare gli onori di casa ci hanno pensato il vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, il francescano Rodolfo Cetoloni, coadiuvato dal vicario generale e parroco della Cattedrale monsignor Icilio Rossi. La giornata di festeggiamenti è iniziata con la cerimonia di benvenuto svoltasi nel cortile dell'ex Seminario diocesano. Davanti ad una folla di bambini sventolanti le bandiere bianco-gialle del Vaticano il sindaco di Pienza, Marco Del Ciondolo, il prefetto di Siena, Giuseppina Di Rosa, e il ministro Rosy Bindi (presente «come rappresentante del Governo ma soprattutto come figlia di queste terre», essendo originaria di Sinalunga) hanno salutato Bertone al suo arrivo nella cittadina.
Il cardinale ha poi presieduto la celebrazione eucaristica nel Duomo e nell'omelia ha ricordato il forte attaccamento di Enea Silvio Piccolomini a Pienza, tanto da lanciare la scomunica contro chiunque avesse osato in qualunque modo manomettere la sua struttura architettonica. Un segno di questa fedeltà all'eredità di Pio II è stato anche il fatto che, complice l'altare posto ancora nella sua posizione originaria, parte della Messa è stata celebrata, almeno in parte, «versus orientem», secondo l'usanza pre-conciliare.
Assente per imprescindibili impegni pastorali l'arcivescovo di Siena-Colle di Val D'Elsa-Montalcino, Antonio Buoncristiani, hanno concelebrato col cardinale, monsignor Cetoloni e i vescovi Mario Meini di Pitigliano-Sovana-Orbetello, Giovanni Santucci di Massa Marittima-Pio mbino e Divo Zadi, che pur essendo vescovo di Civita Castellana nel Lazio è originario di Montefollonico, piccolo centro non lontano da Pienza. Dopo l'Eucaristia a Pienza è giunto anche il vescovo di Grosseto, Franco Agostinelli, anch'egli trattenuto in mattinata da impegni pastorali.
E anche il pranzo si è svolto in una trattoria tipica, «La buca delle fate», all'insegna della tradizione, con le specialità senesi (dai pici all'aglione al celebre pecorino locale) accompagnate dagli ottimi vini del luogo (Brunello in primis).
Nel pomeriggio si è svolta la presentazione del volume curato da don Manlio Sodi, originario di Guazzino (frazione di Sinalunga), che riproduce il «Liber Pontificalis» di Agostino Patrizi Piccolomini e Giovanni Burcardo. All'incontro, coordinato da don Enrico Dal Covolo, postulatore generale dei salesiani, hanno partecipato - oltre al curatore dell'opera - il cardinale Bertone, un rappresentante del presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena Gabriello Mancini, i vescovi Cetoloni e Zadi, monsignor Walter Brandmueller presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche, don Claudio Rossini direttore della Libreria editrice vaticana e don Carlo Prezzolini, responsabile della Commissione iniziative culturali della diocesi.
Nell'occasione particolarmente significativo è stato l'intervento del cardinale Bertone che ha brevemente ricordato la figura di papa Pio II, sottolineando il suo amore per la città natìa e la sua pietà cristiana sintetizzata nella profonda devozione nei confronti di sant'Andrea. Il porporato ha poi ricordato la lettera che Pio II scrisse al sultano turco Maometto II, un ricordo che è stato l'occasione per invitare i presenti a pregare per il viaggio di Benedetto XVI in Turchia previsto per fine mese.
La giornata si è conclusa con una visita del cardinale Bertone alla mostra su «Pio II. La città, le arti», ricca di opere artistiche ma anche di curiosità d'epoca come un insolito spremiagrumi in legno del Cinquecento.
09/11/2006 10:56
 
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Renato Boccardo durante una Messa

10/11/2006 00:28
 
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La fondatrice dei Focolari ricoverata al Gemelli

A causa di un' insufficienza respiratoria causata da un episodio infettivo polmonare



Chiara Lubich, l'anziana fondatrice del Movimento dei Focolari, e' stata ricoverata nei giorni scorsi al Gemelli e il Papa prega per lei inviandole una speciale benedizione. Per lei sono mobilitati anche gli altri movimenti ecclesiali e molte realta' ecumeniche che ne hanno conosciuto il valore di testimonianza cristiana e che hanno apprezzato il suo servizio alla Chiesa e alla pace. Papa Benedetto XVI, - riferisce un comunicato del Movimento dei Focolari - informato personalmente dal Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, dello stato di salute di Chiara Lubich, ha voluto farle pervenire la sua benedizione e l'assicurazione della sua preghiera e vicinanza ''umana e spirituale''.

Le condizioni cliniche della fondatrice dei Focolari si stanno progressivamente stabilizzando. Era stata ricoverata giovedi' 2 novembre nel reparto di rianimazione del Policlinico Universitario ''Agostino Gemelli'' per un' insufficienza respiratoria causata da un episodio infettivo polmonare. Prosegue il trattamento medico. Si uniscono alla preghiera dei membri del Movimento nel mondo, anche fondatori e responsabili di vari movimenti e comunita' ecclesiali, come Andrea Riccardi, fondatore della Comunita' di Sant'Egidio e Kiko Arguello, iniziatore del Cammino neocatecumenale, che hanno assicurato il coinvolgimento delle loro comunita'. Hanno espresso la loro partecipazione anche i rappresentanti di altri movimenti, comunita' e gruppi cattolici, evangelici, anglicani e ortodossi presenti oggi e domani al Centro internazionale dei Focolari a Castelgandolfo (Roma). Sono i membri del gruppo ''Amici di Stoccarda'', giunti da vari Paesi europei, tra i promotori dell'evento Insieme per l'Europa che si sta preparando per il prossimo maggio 2007 a Stoccarda (Germania).

''Chiara aveva atteso questo momento con gioia''. Queste le prime parole di Eli Folonari, la piu' stretta collaboratrice della Presidente dei Focolari, all'inizio dell'incontro. Dando notizia del ricovero ospedaliero di Chiara, Eli Folonari ha espresso speranze di un miglioramento delle sue condizioni di salute. ''Ma ci vorra' un po' di tempo'' - ha aggiunto. ''Siamo tutti uniti nella preghiera''. Entrando nel merito del prossimo grande appuntamento europeo, Eli Folonari ha sottolineato quanto la preparazione di ''Insieme per l'Europa'' sia stata la prima attivita' di Chiara di questi ultimi mesi. ''Ripeteva: c'e' anche l'impegno nel dialogo con musulmani, buddisti e indu', pero' se non siamo uniti tra noi cristiani, che testimonianza diamo alle altre religioni?''. Un obiettivo questo che non tocca solo la gerarchia delle Chiese, ma anche i laici. ''Questo Chiara ha particolarmente a cuore''. La Folonari ha annunciato che la fondatrice dei Focolari ha gia' preparato il suo intervento. ''Vorrei rivelare qual e' il segreto dell'unita': l'amore a Gesu' crocefisso che sulla croce e' giunto a gridare l'abbandono del Padre'' - diceva. Le urge testimoniare che in Lui trova risposta ogni problema personale e collettivo, la divisione nelle famiglie, negli ambienti di lavoro, tra le Chiese, tra i popoli. Di qui l'impegno a ''creare comunione'', innanzitutto tra movimenti e comunita' cristiani, ''nati da un dono dello Spirito per rispondere alle varie 'notti' dell'Europa, perche' brilli il Vangelo incarnato, oggi''.
10/11/2006 13:14
 
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Da Il Velino

Presidenza Cei: per ora rimane il cardinale Ruini

Roma, 10 nov (Velino) - Si fanno sempre più insistenti le voci secondo cui il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa per la città di Roma, rimarrà alla guida della Conferenza episcopale italiana almeno fino alla prossima Pasqua. La figura di un vescovo della statura di Ruini non è ancora emersa con chiarezza e probabilmente è anche per questo motivo che Papa Ratzinger preferisce non affrettare i tempi per la sua successione. Bisogna tenere conto che Ruini fu scelto direttamente da papa Wojtyla quando, nel 1985, in coincidenza con il secondo Convegno ecclesiale nazionale di Loreto, scorse le potenzialità del vescovo di Sassuolo, ciò che lo spinse a nominarlo poi, il 7 marzo 1991, presidente della Cei. Una successione difficile, dunque. Monsignor Luciano Monari, vice presidente della Cei, non sembra avere un carisma sufficiente per succedere a Ruini. Tra i vescovi, anche le due speranze della Chiesa italiana sono fuori gioco per diversi motivi: monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, è stato operato per tre aneurismi cerebrali e ne avrà ancora per un po’ di mesi. Mentre monsignor Cataldo Naro, vescovo di Monreale, grande intellettuale, è purtroppo prematuramente scomparso nel mese di settembre.

La Chiesa italiana è divisa in due anime per certi versi contrapposte. Da una parte una Chiesa interventista, quella “ruin-ratzingeriana”, tesa a plasmare i fedeli in modo che imparino a stare con tutti e due i piedi “dentro” la società odierna, le sue sfide, le sue domande, le sue problematicità. Una Chiesa che vede in Ruini il suo punto di riferimento. Egli, nonostante le diverse amicizie in settori della politica italiana di sinistra - Ruini si è formato alla scuola della Bologna dossettiana -, nella propria azione di governo si è da tempo assestato su posizioni intransigenti, con interventi forti contro la manipolazione genetica, la difesa della famiglia e della vita dal suo inizio al suo termine. Meno intransigente e più aperto a diverse posizioni, il presidente della Cei lo è stato, invece, nei confronti dei due poli che compongono la politica italiana. Ruini, infatti, per legittimare con sempre maggior forza il peso della voce della Chiesa italiana sulle tematiche più attuali della vita della società - e per avere la certezza di essere sempre ascoltato -, si è premurato negli ultimi anni di avere dei “suoi uomini” sia nella maggioranza che nell’opposizione di governo. Così ha fatto nel 2001 quando al governo andò il centrodestra. Allo stesso modo ha fatto lo scorso aprile, quando in previsione di una schiacciante vittoria del centrosinistra, uomini vicini alla Cei entrarono a far parte dei candidati dell’Ulivo.

Dall’altra parte della barricata, esiste invece una Chiesa più “soft”, considerata oggi in un certo senso minoritaria.È una Chiesa il cui vate riconosciuto è tuttora il cardinale emerito di Milano Carlo Maria Martini, una Chiesa meno appariscente e più di retrovia, più accondiscendente con il mondo cosiddetto laico, una Chiesa definita - forse impropriamente -“più progressista e meno conservatrice”. Uno dei suoi esponenti di punta, il cardinale Dionigi Tettamanzi, proponeuna Chiesa che viva nel proprio intimo ciò in cui crede. Una Chiesa diversa rispetto a quella degli ultimi anni, che invece di parlare di speranza dovrebbe innanzitutto vivere. Una Chiesa che ha una «coscienza umile» di se stessa, una realtà fatta di uomini e donne che in silenzio vivono la propria fede senza proclami, composta dai fedeli laici che non continuano a «fare una professione di fede a parole» ma piuttosto «perseverano nella pratica della fede sino alla fine». È meglio, infatti, «essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo». Insomma, una Chiesa, quella “martin-tettamanziana” contro ogni deriva teo-con, nel nome del non interventismo e della moderazione.
Una linea che è stata però sconfessata dal papa in persona alla conclusione del recente Convegno eccelesiale di Verona. Benedetto XVI ha sconfessato ogni istanza anti “teo con”: per il papa, infatti, tutto l’impegno profuso da coloro che lavorano contro il rischio che la società si stacchi «dalle radici cristiane delle nostra civiltà» - si tratta spesso di «uomini di cultura che non condividono o almeno non praticano la nostra fede», ha detto il papa - è benedetto, accettato, ben visto. Non solo, quello del Papa è stato un vero e proprio squadernamento di una propria agenda programmatica dettata direttamente ai laici cattolici, partendo dal convincimento che una società senza Dio altro non può provocare che «un’ondata inarrestabile di laicismo» e «illuminismo» che porta l’uomo a divenire «mero prodotto della natura», «non libero» e, dunque, addirittura «suscettibile d’essere trattato come ogni altro animale». Proprio così, «come ogni altro animale». (segue)

Dopo Ratzinger, l’ultimo giorno veronese, ha visto in campo Ruini ed anche lui, come il pontefice, ha voluto richiamare la necessità di tornare ad un «cattolicesimo popolare», che non significa ridursi a vivere un «cristianesimo minimo», di retrovia, di rinunzia all’incisività e al costante richiamo alla difesa di quei «principi non negoziabili» tanto cari alla Chiesa, quanto, insieme a questa “non rinunzia”, aprirsi ad una vita di fede, coerente con i dettami del Vangelo, una vita che sia innanzitutto «rapporto personale con Dio». Come Ratzinger, anche Ruini è andato a dettagliare le priorità più particolari e riferite all’attualità della successiva azione della Chiesa: «Pace, bioetica ed educazione sono gli impegni» più specifici, di una Chiesa che «opera per i principi etici».

Il testimone, dunque, da Verona in poi, dovrà prima o poi passare nelle mani di colui, con ogni probabilità un cardinale, che, tra qualche mese, verrà chiamato al posto di Ruini. Lo scorso inverno, a seguito di un sondaggio promosso tra i vescovi italiani dal nunzio apostolico in Italia, Paolo Romeo (oggi primo candidato per la successione di Salvatore De Giorni quale arcivescovo di Palermo), su chi sarebbe potuto essere il successore di Ruini - un sondaggio da più parti giudicato anomalo perché solitamente è il papa a chiedere, se vuole, un parere riservato ad alcuni presidenti delle conferenze episcopali regionali - Benedetto XVI confermò Ruini «donec aliter provideatur» (finché non si provveda altrimenti), e le sue parole suonarono come una proroga concessa sia per bocciare il sondaggio di Romeo sia per permettere al presidente uscente di chiudere i lavori già precedentemente iniziati in vista di Verona. Oggi il sondaggio, nonostante l’evidente bocciatura arrivata da Verona, vede in testa con più di 50 voti il cardinale arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, seguito dal patriarca di Venezia Angelo Scola. Quest’ultimo, dunque, dopo la debacle di Tettamanzi a Verona, ha oggi buone chance di prevalere. Il fatto che i due abbiano preso quasi lo stesso numero di voti nel convegno indetto da Romeo, sta a testimoniare come, di fatto, la Chiesa sia divisa in due anime di divergenti concezioni. Scola, a differenza di Tettamanzi, si è formato alla scuola ciellina di don Luigi Giussani, una scuola che storicamente, con la curia arcivescovile milanese da Martini in poi, non ha mai trovato un particolare feeling. Tra gli oltre duecento vescovi chiamati a votare, però, ve ne sono stati anche molti che, quasi per protesta contro un sondaggio indetto da Romeo senza averne il diritto, hanno voluto votare ancora per Ruini.

Oltre a Scola e Tettamanzi, da qualche mese, anche un altro porporato sta prendendo sempre più quota. È l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, divenuto cardinale nell’ultimo concistoro. Caffarra, oltre che fine teologo, è esperto di questioni etiche, quelle stesse questioni che, negli ultimi tempi, sollecitano la Chiesa a continue prese di posizioni non sempre facili. Nel 1981 Wojtyla chiese lui di fondare il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia dove Caffarra ha poi tenuto corsi di etica e bioetica. Anche al recente forum mondiale della famiglie di Valencia, è stato Caffarra ad esporre una relazione su matrimonio e laicità dello Stato e, in generale, quando il Vaticano deve fare uscire documenti importanti inerenti la vita è anche a Caffarra che viene chiesto un parere. Oltre a Caffarra, seppure più indietro, vi sono i nomi di altri cardinali possibili successori di Ruini: sono gli arcivescovi di Torino e Firenze, Severino Poletto (sfavorito perché vicino all’età pensionabile) e Ennio Antonelli (vicino alla spiritualità dei focolari).
10/11/2006 23:57
 
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Iniziativa per Giovanni Paolo I


Don Albino e la sua
«avventura di santità»


Stasera nella Cattedrale di Belluno durante i primi vespri per il patrono san Martino verrà chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione di Papa LucianiLa causa è stata avviata nel 2003 Andrich: la sua era umiltà autentica È tale quando si crede di non averla



Ieri mattina, «Berto» Luciani, fratello di Albino, s'è recato in cimitero a Canale d'Agordo, a pregare per i suoi morti. Lo farà anche questa mattina. Nel pomeriggio, sarà nella Cattedrale di Belluno per partecipare ai primi vespri di san Martino patrono della città, e alla conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione di «don Albino» come ancora chiama Giovanni Paolo I. Un processo voluto nel 2003 dall'allora vescovo di Belluno-Feltre, Vincenzo Savio, convinto che «l'avventura di santità di Albino ci aiuterà a riscoprire le radici di una santità presente anche nei nostri padri; ancor più: sento che Papa Luciani ci prenderà per mano e inviterà ciascuno di noi ad inoltrarci con coraggio in quell'itinerario di santità a cui siamo tutti chiamati in Cristo Gesù».
Oggi sarà il vescovo Giuseppe Andrich a presiedere il rito. Avrà accanto a sé il postulatore don Enrico Dal Covolo, il vicepostulatore monsignor Giorgio Lise, gran parte dei 190 testimoni ascoltati tra Belluno, Vittorio Veneto, Venezia.
Nato a Forno di Canale (oggi Canale d'Agordo), ai piedi delle Dolomiti bellunesi, il 17 ottobre 1912, ordinato sacerdote il 7 luglio 1935, Luciani viene nominato vescovo di Vittorio Veneto da Giovanni XXIII il 15 dicembre 1958 e 11 anni dopo, il 15 dicembre 1969 Paolo VI lo nomina patriarca di Venezia. Il 26 agosto 1978 viene eletto al Soglio Pontificio assumendo il nome di Giovanni Paolo I. Muore 33 giorni dopo. Passa alla storia come «il Papa del sorriso».
I primi a sollecitare l'apertura della causa di beatificazione sono stati i vescovi brasiliani. «Quando nel febbraio 2001 fece l'ingresso in diocesi monsignor Vincenzo Savio, nessuno pensava a questa possibilità - ammette monsignor Giuseppe Andrich, che tra l'altro è compaesano di Luciani -. Lui stesso diceva a me, suo vicario generale, di temere il pericolo di mitizzare una persona sull'onda della popolarità. Dopo un anno, colpito intimamente dal sentire della gente e cogliendo le molte rich ieste che giungevano anche da fuori diocesi, monsignor Savio in maniera inaspettata promosse le necessarie consultazioni per avviare la causa. Ottenne dalla Santa Sede il consenso di istruirla con la prima inchiesta nella diocesi di Belluno-Feltre e subito ebbe plebiscitari pareri favorevoli in diocesi e nella Regione episcopale triveneta».
Oggi, a distanza di tre anni, la conclusione dell'inchiesta. Che «trova la nostra Chiesa molto riconoscente al misterioso disegno della Provvidenza E sentiamo quanto è stata determinante la sensibilità del vescovo Savio e l'opera di quanti hanno condotto l'inchiesta».
Il 23 novembre 2003 l'apertura del processo, con il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Fu lo stesso Savio a convincere «Berto» Luciani a partecipare. «Mio fratello non avrebbe gradito tanto clamore» - cercava di resistere. «Onoriamo un campione della santità popolare» - lo rassicurava Savio -. «Era sentita da tutti l'elevatezza della sua persona sulla cattedra della sofferenza - ricorda oggi Andrich - e le vibrazioni delle sue parole esprimevano l'immedesimazione commossa nel solenne atto». La recente fiction televisiva è stata soltanto la «prova del nove» dell'ammirazione popolare che non solo resiste, ma cresce a 28 anni di distanza verso la figura spirituale di Giovanni Paolo I. «La fama di santità è stata custodita con riconoscenza verso il Signore da quel senso di fede che i nostri cristiani esprimono senza ostentazione, senza trionfalismi o forme devozionali ridondanti. La sua umiltà era effettiva: è tale quando si crede di non averla. In lui si esprimeva in una grande amabilità - così l'ha conosciuto e così ama ricordarlo monsignor Andrich -. Anche da noi la gente sotto i cinquant'anni che non l'ha conosciuto può essere attenta e reattiva - e in genere positivamente - a quanto è stato diffuso sulla figura di Luciani dai grandi mezzi di comunicazione, con approssimazioni e alterazioni di alcuni fatti. I tes timoni della sua presenza e della sua opera in mezzo a noi sentono l'esigenza di scavare molto nel pensiero e nella vita di questo grande pastore. Il suo pensiero è di grande semplicità, ma mai semplicistico». Lo dimostrava da «vescovo del Concilio», a Vittorio Veneto, quando di ritorno da Roma riempiva la Cattedrale di preti e laici per parlarne con entusiasmo. «Sono d'accordo che per lui il Concilio Vaticano II è stato una conversione spirituale, teologica e culturale. Lo ha detto più volte. Mi sento meno d'accordo - puntualizza Andrich su talune interpretazioni - nell'alludere o affermare che prima del Concilio Luciani fosse su posizioni di chiusura e contrapposizione culturale all'evoluzione della società e della Chiesa. Fin dalla formazione in parrocchia, da seminarista, mostrava straordinaria apertura alla ricerca, al nuovo anche tecnologico, a studi e letture che spalancavano la sua mentalità. Nella città di Belluno sono molte le persone con lui e da lui formatesi alla lettura del linguaggio filmico, alla passione per le forme artistiche e alle espressioni più nuove della cultura. Certamente l'esperienza del Concilio è stata di grandiosa efficacia per la sua apertura; ma anche le stimolazioni precedenti, negli ambienti in cui visse, sono state per lui di arricchimento straordinario». Come le opere di Dino Buzzati, anch'egli bellunese, del quale quest'anno ricorre il centenario della nascita. Diceva Luciani: «Amo questo scrittore che non dimentica mai la morte».
15/11/2006 16:25
 
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Il Papa e don Georg

16/11/2006 11:54
 
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Bertone in versione inedita



16/11/2006 12:48
 
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Re: Bertone in versione inedita

Scritto da: josie '86 16/11/2006 11.54






Starà parlando con Benny??? [SM=g27818] [SM=g27818] [SM=g27818] [SM=g27828] [SM=g27828]
"Shemà Israel,Adonai elohenu,Adonai ehad"

16/11/2006 13:08
 
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Re: Re: Bertone in versione inedita

Scritto da: LadyRatzinger 16/11/2006 12.48


Starà parlando con Benny??? [SM=g27818] [SM=g27818] [SM=g27818] [SM=g27828] [SM=g27828]



Questa foto è una dimostrazione che il Vaticano usa anche mezzi all'avanguardia per comunicare...E pensare che il Papa è un esperto di computer e ascolta brani di musica classica con un iPod che porta con sè quando deve fare viaggi in aereo... [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
16/11/2006 13:55
 
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Re: Re: Re: Bertone in versione inedita

Scritto da: josie '86 16/11/2006 13.08


Questa foto è una dimostrazione che il Vaticano usa anche mezzi all'avanguardia per comunicare...E pensare che il Papa è un esperto di computer e ascolta brani di musica classica con un iPod che porta con sè quando deve fare viaggi in aereo... [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]



Cià!Guarda infatti cosa ho trovato in un giornale del 10 marzo scorso( [SM=g27821] [SM=g27821] )

Il Papa...

Il Pontefice,grazie al piccolo strumento elettronico che porta sul retro la dedica "per Sua Santità Benedetto XVI dai servizi informatici della Radio Vaticana-3 marzo 2006",potrà ascoltare anche alcuni radiodrammi e programmi in diverse lingue,comresa la sua,alcuni dei quali dedicati a Mozart;non risulta invece che l'I-pod contenga i servizi dedicati dalla Radio alla morte di papa Wojtyla e al conclave.Ma il corredo informatico di Joseph Ratzinger si compone anche di computer,compact disc e telefonino.Di quest'ultimo,in particolare,Benedetto XVI sarebbe un buon utilizzatore,tanto che nei primi tempi del pontificato sembra vi fosse stato qualche imbarazzo con la Prefettura della casa pontificia nella organizzazione degli appuntamenti papali,perchè alcuni venivano presi personalmente dal Papa con il suo telefonino.

[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]

[Modificato da LadyRatzinger 16/11/2006 13.55]

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