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Aggiornamenti sul lavoro del Papa

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2019 00:14
19/12/2005 19:11
 
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Omelia 18 Dicembre 2005 Santa Maria Consolatrice (a braccio)
Cari fratelli e sorelle,

è per me realmente una grande gioia essere qui con voi questa mattina e celebrare con voi e per voi la Santa Messa. Questa mia visita a Santa Maria Consolatrice, prima parrocchia romana in cui mi reco da quando il Signore ha voluto chiamarmi ad essere Vescovo di Roma, è infatti per me in un senso molto vero e concreto un ritorno a casa. Mi ricordo molto bene di quel 15 ottobre 1977, quando presi possesso di questa mia chiesa titolare. Parroco era Don Ennio Appignanesi, viceparroci erano Don Enrico Pomili e Don Franco Camaldo. Il cerimoniere che mi era stato assegnato era Mons. Piero Marini. Ecco, tutti siamo di nuovo qui insieme! Per me è realmente una grande gioia.

Da allora in poi il nostro reciproco legame è divenuto progressivamente più forte, più profondo. Un legame nel Signore Gesù Cristo, di cui in questa chiesa ho celebrato tante volte il Sacrificio eucaristico e amministrato i Sacramenti. Un legame di affetto e di amicizia, che ha realmente riscaldato il mio cuore e lo riscalda anche oggi. Un legame che mi ha unito a tutti voi, in particolare al vostro parroco e agli altri sacerdoti della parrocchia. E’ un legame che non si è allentato quando sono diventato Cardinale titolare della Diocesi suburbicaria di Velletri e Segni. Un legame cha ha acquisito una dimensione nuova e più profonda per il fatto di essere ormai Vescovo di Roma e vostro Vescovo.

Sono poi particolarmente lieto che la mia visita odierna – come Don Enrico ha già detto – si compia nell’anno in cui celebrate il 60° anniversario dell’erezione della vostra parrocchia, il 50° di ordinazione sacerdotale del nostro carissimo parroco Mons. Enrico Pomili, e finalmente i 25 anni di episcopato di Mons. Ennio Appignanesi. Un anno dunque nel quale abbiamo speciali motivi per rendere grazie al Signore.

Saluto ora con affetto proprio lo stesso Mons. Enrico, e lo ringrazio per le parole tanto gentili che mi ha rivolto. Saluto il Card. Vicario Camillo Ruini, il Card. Ricardo Maria Carles Gordò, titolare di questa chiesa, e quindi mio successore in questo Titolo, il Card. Giovanni Canestri, già vostro amatissimo parroco, il Vicegerente, Vescovo del Settore Est di Roma, Mons. Luigi Moretti; abbiamo già salutato Mons. Ennio Appignanesi, che è stato vostro parroco, e Mons. Massimo Giustetti, che fu vostro vicario parrocchiale. Un saluto affettuoso ai vostri attuali vicari parrocchiali e alle religiose di Santa Maria Consolatrice, presenti a Casalbertone fin dal 1932, preziose collaboratrici della parrocchia e vere portatrici di misericordia e di consolazione in questo quartiere, specialmente per i poveri e per i bambini. Con i medesimi sentimenti saluto ciascuno di voi, tutte le famiglie della parrocchia, coloro che a vario titolo si prodigano nei servizi parrocchiali.



* * *






Vogliamo adesso brevemente meditare il bellissimo Vangelo di questa quarta Domenica d’Avvento, che è per me una delle più belle pagine della Sacra Scrittura. E vorrei – per non essere troppo lungo – riflettere solo su tre parole di questo ricco Vangelo.

La prima parola che vorrei meditare con voi è il saluto dell’Angelo a Maria. Nella traduzione italiana l’Angelo dice: "Ti saluto, Maria". Ma la parola greca sottostante, "Kaire", significa di per sé "gioisci", "rallegrati". E qui c’è una prima cosa che sorprende: il saluto tra gli ebrei era "Shalom", "pace", mentre il saluto nel mondo greco era "Kaire", "rallegrati". E’ sorprendente che l’Angelo, entrando nella casa di Maria, saluti con il saluto dei greci: "Kaire", "rallegrati, gioisci". E i greci, quando quarant'anni anni dopo hanno letto questo Vangelo, hanno potuto qui vedere un messaggio importante: hanno potuto capire che con l’inizio del Nuovo Testamento, a cui questa pagina di Luca faceva riferimento, si era avuta anche l’apertura al mondo dei popoli, all’universalità del Popolo di Dio, che ormai abbracciava non più soltanto il popolo ebreo, ma anche il mondo nella sua totalità, tutti i popoli. Appare in questo saluto greco dell’Angelo la nuova universalità del Regno del vero Figlio di Davide.

Ma è opportuno rilevare subito che le parole dell’Angelo sono la ripresa di una promessa profetica del Libro del Profeta Sofonia. Troviamo qui quasi letteralmente quel saluto. Il profeta Sofonia, ispirato da Dio, dice ad Israele: "Rallegrati, figlia di Sion; il Signore è con te e prende in te la Sua dimora". Sappiamo che Maria conosceva bene le Sacre Scritture. Il suo Magnificat è un tessuto fatto di fili dell’Antico Testamento. Possiamo perciò essere certi che la Santa Vergine capì subito che queste erano parole del Profeta Sofonia indirizzate a Israele, alla "figlia di Sion", considerata come dimora di Dio. E adesso la cosa sorprendente che fa riflettere Maria è che tali parole, indirizzate a tutto Israele, vengono rivolte in special modo a lei, Maria. E così le appare con chiarezza che proprio lei è la "figlia di Sion" di cui ha parlato il profeta, che quindi il Signore ha un'intenzione speciale per lei, che lei è chiamata ad essere la vera dimora di Dio, una dimora non fatta di pietre, ma di carne viva, di un cuore vivo, che Dio intende in realtà prendere come Suo vero tempio proprio lei, la Vergine. Che indicazione! E possiamo allora capire che Maria cominci a riflettere con particolare intensità su che cosa voglia dire questo saluto.

Ma fermiamoci adesso soprattutto sulla prima parola: "gioisci, rallegrati". Questa è la prima parola che risuona nel Nuovo Testamento come tale, perché l’annuncio fatto dall'angelo a Zaccaria circa la nascita di Giovanni Battista è parola che risuona ancora sulla soglia tra i due Testamenti. Solo con questo dialogo, che l'angelo Gabriele ha con Maria, comincia realmente il Nuovo Testamento. Possiamo quindi dire che la prima parola del Nuovo Testamento è un invito alla gioia: "gioisci, rallegrati!". Il Nuovo Testamento è veramente "Vangelo", la "Buona Notizia" che ci porta gioia. Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi, così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del "tu" a questo Dio.

Soprattutto il mondo greco ha avvertito questa novità, ha avvertito profondamente questa gioia, perché per loro non era chiaro se esistesse un Dio buono o un Dio cattivo o semplicemente nessun Dio. La religione di allora parlava loro di tante divinità: si sentivano perciò circondati da diversissime divinità, l'una in contrasto con l'altra, così da dover temere che, se facevano una cosa in favore di una divinità, l'altra poteva offendersi e vendicarsi. E così vivevano in un mondo di paura, circondati da demoni pericolosi, senza mai sapere come salvarsi da tali forze in contrasto tra di loro. Era un mondo di paura, un mondo oscuro. E adesso sentivano dire: "Gioisci, questi demoni sono un niente, c’è il vero Dio e questo vero Dio è buono, ci ama, ci conosce, è con noi, con noi fino al punto di essersi fatto carne!" Questa è la grande gioia che il cristianesimo annuncia. Conoscere questo Dio è veramente la "buona notizia", una parola di redenzione.

Forse noi cattolici, che lo sappiamo da sempre, non siamo più sorpresi, non avvertiamo più con vivezza questa gioia liberatrice. Ma se guardiamo al mondo di oggi, dove Dio è assente, dobbiamo constatare che anch’esso è dominato dalle paure, dalle incertezze: è bene essere uomo o no? è bene vivere o no? è realmente un bene esistere? o forse è tutto negativo? E vivono in realtà in un mondo oscuro, hanno bisogno di anestesie per potere vivere. Così la parola: "gioisci, perché Dio è con te, è con noi", è parola che apre realmente un tempo nuovo. Carissimi, con un atto di fede dobbiamo di nuovo accettare e comprendere nella profondità del cuore questa parola liberatrice: "gioisci!".

Questa gioia che uno ha ricevuto non può tenersela solo per sé; la gioia deve essere sempre condivisa. Una gioia la si deve comunicare. Maria è subito andata a comunicare la sua gioia alla cugina Elisabetta. E da quando è stata assunta in Cielo distribuisce gioie in tutto il mondo, è divenuta la grande Consolatrice; la nostra Madre che comunica gioia, fiducia, bontà e ci invita a distribuire anche noi la gioia. Questo è il vero impegno dell’Avvento: portare la gioia agli altri. La gioia è il vero dono di Natale, non i costosi doni che impegnano tempo e soldi. Questa gioia noi possiamo comunicarla in modo semplice: con un sorriso, con un gesto buono, con un piccolo aiuto, con un perdono. Portiamo questa gioia e la gioia donata ritornerà a noi. Cerchiamo, in particolare, di portare la gioia più profonda, quella di avere conosciuto Dio in Cristo. Preghiamo che nella nostra vita traspaia questa presenza della gioia liberatrice di Dio.

La seconda parola che vorrei meditare è ancora dell’Angelo: "Non temere, Maria!", egli dice. In realtà, vi era motivo di temere, perché portare adesso il peso del mondo su di sé, essere la madre del Re universale, essere la madre del Figlio di Dio, quale peso costituiva! Un peso al di sopra delle forze di un essere umano! Ma l’Angelo dice: "Non temere! Sì, tu porti Dio, ma Dio porta te. Non temere!" Questa parola "Non temere" penetrò sicuramente in profondità nel cuore di Maria. Noi possiamo immaginare come in diverse situazioni la Vergine sia ritornata a questa parola, l'abbia di nuovo ascoltata. Nel momento in cui Simeone le dice: "Questo tuo figlio sarà un segno di contraddizione, una spada trafiggerà il tuo cuore", in quel momento in cui poteva cedere alla paura, Maria torna alla parola dell’Angelo, ne risente interiormente l'eco: "Non temere, Dio ti porta". Quando poi, durante la vita pubblica, si scatenano le contraddizioni intorno a Gesù, e molti dicono: "E’ pazzo", lei ripensa: "Non temere", e va avanti. Infine, nell’incontro sulla via del Calvario e poi sotto la Croce, quando tutto sembra distrutto, ella sente ancora nel cuore la parola dell'angelo; "Non temere". E così coraggiosamente sta accanto al Figlio morente e, sorretta dalla fede, va verso la Resurrezione, verso la Pentecoste, verso la fondazione della nuova famiglia della Chiesa.

"Non temere!", Maria dice questa parola anche a noi. Ho già rilevato che questo nostro mondo è un mondo di paure: paura della miseria e della povertà, paura delle malattie e delle sofferenze, paura della solitudine, paura della morte. Abbiamo, in questo nostro mondo, un sistema di assicurazioni molto sviluppato: è bene che esistano. Sappiamo però che nel momento della sofferenza profonda, nel momento dell’ultima solitudine della morte, nessuna assicurazione potrà proteggerci. L'unica assicurazione valida in quei momenti è quella che ci viene dal Signore che dice anche a noi: "Non temere, io sono sempre con te". Possiamo cadere, ma alla fine cadiamo nelle mani di Dio e le mani di Dio sono buone mani.

Terza parola: al termine del colloquio Maria risponde all’Angelo: "Sono la Serva del Signore, sia fatto come hai detto tu". Maria anticipa così la terza invocazione del Padre Nostro: "Sia fatta la Tua volontà". Dice "sì" alla volontà grande di Dio, una volontà apparentemente troppo grande per un essere umano; Maria dice "sì" a questa volontà divina, si pone dentro questa volontà, inserisce tutta la sua esistenza con un grande "sì" nella volontà di Dio e così apre la porta del mondo a Dio. Adamo ed Eva con il loro "no" alla volontà di Dio avevano chiuso questa porta. "Sia fatta la volontà di Dio": Maria ci invita a dire anche noi questo "sì" che appare a volte così difficile. Siamo tentati di preferire la nostra volontà, ma Ella ci dice: "Abbi coraggio, dì anche tu: ‘Sia fatta la tua volontà’, perché questa volontà è buona. Inizialmente può apparire come un peso quasi insopportabile, un giogo che non è possibile portare; ma in realtà non è un peso la volontà di Dio, la volontà di Dio ci dona ali per volare in alto, e cosi possiamo osare con Maria anche noi di aprire a Dio la porta della nostra vita, le porte di questo mondo, dicendo "sì" alla Sua volontà, nella consapevolezza che questa volontà è il vero bene e ci guida alla vera felicità. Preghiamo Maria la Consolatrice, la nostra Madre, la Madre della Chiesa, perché ci dia il coraggio di pronunciare questo "sì", ci dia anche questa gioia di essere con Dio e ci guidi al Suo Figlio, alla vera Vita. Amen!


[una delle più belle omelie mai sentite!!!]
21/12/2005 01:11
 
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Il Papa ha incontrato i ragazzi dell'Azione Cattolica
Carissimi ragazzi e ragazze
dell’Azione Cattolica Italiana!

E’ un incontro voluto a suo tempo da Papa Paolo VI e vissuto ogni anno con grande gioia dal mio Predecessore, Giovanni Paolo II, che avete conosciuto tutti. Con la stessa gioia anch’io vi accolgo. Saluto con affetto ciascuno di voi, insieme con il vostro Assistente Generale, Mons. Francesco Lambiasi, ed il Presidente, il prof. Luigi Alici, e vi ringrazio sentitamente per gli auguri che mi avete rivolto per il prossimo Santo Natale. Nel Natale di Gesù celebriamo l’infinito amore di Dio per tutti gli uomini: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) e si è così intimamente unito alla nostra umanità, da volerla condividere fino a diventare uomo tra gli uomini, uno di noi. Nel Bambino di Betlemme la piccolezza di Dio fatto uomo ci rivela la grandezza dell’uomo e la bellezza della nostra dignità di figli di Dio, di fratelli di Gesù. Contemplando questo Bambino, vediamo quanto sia grande la fiducia che Dio ripone in ciascuno di noi e quanto ampia sia la possibilità che ci viene offerta di fare cose belle e grandi nelle nostre giornate, vivendo con Gesù e come Gesù. Quest’anno il vostro cammino formativo è accompagnato dallo slogan "Sei con noi". Cari ragazzi, il Signore Gesù è sempre con noi e cammina sempre con la sua Chiesa, la accompagna e la custodisce. Non dubitate mai della sua presenza! Colui che ci viene incontro come l’Emmanuele, il "Dio con noi", ci assicura di essere sempre in mezzo ai suoi: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Cercate sempre il Signore Gesù, crescete nell’amicizia con Lui, imparate ad ascoltare e a conoscere la sua parola e a riconoscerlo nei poveri presenti nelle vostre comunità. Vivete la vostra vita con gioia ed entusiasmo, certi della sua presenza e della sua amicizia gratuita, generosa, fedele fino alla morte di croce. "Sei con noi": il Signore Gesù è veramente con noi. Testimoniate la gioia di questa sua presenza forte e dolce a tutti, a cominciare dai vostri coetanei. Dite loro che è bello essere amici di Gesù e che vale la pena seguirlo. Mostrate con il vostro entusiasmo che tra tanti modi di vivere che oggi il mondo sembra offrirci, tutti apparentemente sullo stesso piano, solo seguendo Gesù si trova il vero senso della vita e perciò la gioia vera e duratura. E così anche questo impegno per la pace, che assumete con i fratelli di Sarajevo, è veramente un segno della vostra amicizia con Gesù che dalle Scritture è chiamato "Principe della pace". I vostri gruppi dell’ACR siano il seme della gioia nelle vostre parrocchie, nelle vostre famiglie e nelle scuole che frequentate. Grazie ancora, carissimi, per la vostra visita. Vi benedico con affetto, insieme con i vostri cari, gli educatori, gli assistenti e tutti gli amici dell’ACR. Buon Natale!
22/12/2005 12:44
 
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Discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al Concerto della Cappella Musicale Pontificia
A braccio le parole rivolte da Benedetto XVI ai partecipanti al Concerto della Cappella Musicale Pontificia, tenutosi martedì sera nella Cappella Sistina.



Caro Maestro, Mons. Liberio,
Cari ragazzi della Cappella Sistina,
Cari cantori, insegnanti, collaboratori e collaboratrici,

non ho trovato il tempo di preparare un discorso, anche se la mia idea era molto semplice: dire, in questi giorni prima di Natale, che si tratta di giorni di ringraziamento per i doni; dire, in questi giorni, grazie a voi, per quanto ci donate in tutto l’anno, per questo grande contributo per la gloria di Dio e per la gioia degli uomini sulla terra.

Nella notte della nascita del Salvatore gli angeli hanno annunciato ai Pastori la nascita di Cristo con le parole: "Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus". La tradizione è da sempre convinta che gli angeli non abbiano semplicemente parlato come fanno gli uomini, ma che abbiano cantato e che fosse un canto di una bellezza celeste, il quale rivelava la bellezza del Cielo.

La tradizione è anche convinta che i cori delle voci bianche possano farci sentire una risonanza del canto angelico. Ed è vero che nel canto della Cappella Sistina, nelle grandi liturgie, noi possiamo sentire la presenza della liturgia celeste, un po’ della bellezza nella quale il Signore ci vuole comunicare la sua gioia.

In realtà, la lode di Dio esige il canto. Perciò in tutto l’Antico Testamento - con Mosè e con Davide - fino al Nuovo Testamento - nell’Apocalisse - sentiamo di nuovo i canti della liturgia celeste, la quale offre un insegnamento per la nostra liturgia nella Chiesa di Dio. Per questo, il vostro contributo è essenziale per la liturgia: non è un ornamento marginale, ma la liturgia come tale esige questa bellezza, esige il canto per lodare Dio e per dare gioia ai partecipanti.

Per questo grande contributo vi vorrei dire grazie con tutto il mio cuore. La liturgia del Papa, la liturgia in San Pietro, deve essere la liturgia esemplare per il mondo. Voi sapete che con la televisione, con la radio, oggi in tutte le parti del mondo tante persone seguono questa liturgia. Imparano da qui, o non imparano da qui, che cosa è liturgia, come si deve celebrare la liturgia. Perciò è così importante, non solo che i nostri cerimonieri insegnino al Papa come celebrare bene la liturgia, ma anche che la Cappella Sistina sia un esempio di come si deve dare bellezza nel canto per la lode di Dio.

Io so - siccome mio fratello mi ha fatto un po’ toccare con mano la bellezza di un coro di voci bianche - che questa bellezza esige molto impegno e anche molti sacrifici da parte vostra. Voi, ragazzi, dovete alzarvi presto per arrivare a scuola; conosco il traffico romano e posso quindi indovinare com’è difficile spesso arrivare in tempo. Poi, si deve lavorare duramente sino alla fine, affinché sia realizzata questa perfezione, con la competenza che adesso abbiamo di nuovo ascoltato.

Per tutto questo, vi dico grazie. Anche perché in queste feste, mentre i vostri compagni fanno grandi gite, voi dovete restare in Basilica per cantare e qualche volta anche aspettare un’ora senza poter cantare. E, tuttavia, siete sempre pronti a dare il vostro contributo.

Io sento questa gratitudine ogni volta, e, in questa occasione, volevo comunicarvela. Natale è la festa dei doni. Dio stesso ci ha fatto il dono più grande. Ci ha donato se stesso. Si è incarnato, si è fatto bambino. Dio ci ha dato il vero dono e così invita anche noi a donare, a donare con il cuore; a donare a Dio e al prossimo un po’ di noi stessi. E a donare anche i segni di questa nostra bontà, della volontà di offrire gioia agli altri. Così, anch’io ho tentato di rendere visibile la mia gratitudine attraverso dei doni, che adesso saranno consegnati come espressione della gratitudine per la quale mi mancano le parole.



[anche nel dire cose semplici usa sempre espressioni bellissime!!!Viva il nostro Papa!!!! [SM=x40799] [SM=x40799] ]
22/12/2005 15:18
 
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UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI


Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!

"Expergiscere, homo: quia pro te Deus factus est homo -Svegliati, uomo, poiché per te Dio si è fatto uomo" (S. Agostino, Discorsi, 185). Con quest’invito di Sant’Agostino a cogliere il senso autentico del Natale di Cristo, apro il mio incontro con voi, cari collaboratori della Curia Romana, in prossimità ormai delle festività natalizie. A ciascuno rivolgo il mio saluto più cordiale, ringraziandovi per i sentimenti di devozione e di affetto, di cui si è fatto efficace interprete il Cardinale Decano, al quale va il mio pensiero riconoscente. Iddio si è fatto uomo per noi: è questo il messaggio che ogni anno dalla silenziosa grotta di Betlemme si diffonde sin nei più sperduti angoli della terra. Il Natale è festa di luce e di pace, è giorno di interiore stupore e di gioia che si espande nell’universo, perché "Dio si è fatto uomo". Dall’umile grotta di Betlemme l’eterno Figlio di Dio, divenuto piccolo Bambino, si rivolge a ciascuno di noi: ci interpella, ci invita a rinascere in lui perché, insieme a lui, possiamo vivere eternamente nella comunione della Santissima Trinità.

Con il cuore colmo della gioia che deriva da questa consapevolezza, riandiamo col pensiero alle vicende dell’anno che volge al suo tramonto. Stanno alle nostre spalle grandi avvenimenti, che hanno segnato profondamente la vita della Chiesa. Penso innanzitutto alla dipartita del nostro amato Santo Padre Giovanni Paolo II, preceduta da un lungo cammino di sofferenza e di graduale perdita della parola. Nessun Papa ci ha lasciato una quantità di testi pari a quella che ci ha lasciato lui; nessun Papa in precedenza ha potuto visitare, come lui, tutto il mondo e parlare in modo diretto agli uomini di tutti i continenti. Ma, alla fine, gli è toccato un cammino di sofferenza e di silenzio. Restano indimenticabili per noi le immagini della Domenica delle Palme quando, col ramo di olivo nella mano e segnato dal dolore, egli stava alla finestra e ci dava la benedizione del Signore in procinto di incamminarsi verso la Croce. Poi l'immagine di quando nella sua cappella privata, tenendo in mano il Crocifisso, partecipava alla Via Crucis nel Colosseo, dove tante volte aveva guidato la processione portando egli stesso la Croce. Infine la muta benedizione della Domenica di Pasqua, nella quale, attraverso tutto il dolore, vedevamo rifulgere la promessa della risurrezione, della vita eterna. Il Santo Padre, con le sue parole e le sue opere, ci ha donato cose grandi; ma non meno importante è la lezione che ci ha dato dalla cattedra della sofferenza e del silenzio. Nel suo ultimo libro "Memoria e Identità" (Rizzoli 2005) ci ha lasciato un’interpretazione della sofferenza che non è una teoria teologica o filosofica, ma un frutto maturato lungo il suo personale cammino di sofferenza, da lui percorso col sostegno della fede nel Signore crocifisso. Questa interpretazione, che egli aveva elaborato nella fede e che dava senso alla sua sofferenza vissuta in comunione con quella del Signore, parlava attraverso il suo muto dolore trasformandolo in un grande messaggio. Sia all'inizio come ancora una volta alla fine del menzionato libro, il Papa si mostra profondamente toccato dallo spettacolo del potere del male che, nel secolo appena terminato, ci è stato dato di sperimentare in modo drammatico. Dice testualmente: "Non è stato un male in edizione piccola… È stato un male di proporzioni gigantesche, un male che si è avvalso delle strutture statali per compiere la sua opera nefasta, un male eretto a sistema" (pag. 198). Il male è forse invincibile? È la vera ultima potenza della storia? A causa dell'esperienza del male, la questione della redenzione, per Papa Woytila, era diventata l'essenziale e centrale domanda della sua vita e del suo pensare come cristiano. Esiste un limite contro il quale la potenza del male s'infrange? Sì, esso esiste, risponde il Papa in questo suo libro, come anche nella sua Enciclica sulla redenzione. Il potere che al male mette un limite è la misericordia divina. Alla violenza, all'ostentazione del male si oppone nella storia – come "il totalmente altro" di Dio, come la potenza propria di Dio – la divina misericordia. L'agnello è più forte del drago, potremmo dire con l'Apocalisse.

Alla fine del libro, nello sguardo retrospettivo sull'attentato del 13 maggio 1981 ed anche sulla base dell'esperienza del suo cammino con Dio e con il mondo, Giovanni Paolo II ha approfondito ulteriormente questa risposta. Il limite del potere del male, la potenza che, in definitiva, lo vince è – così egli ci dice – la sofferenza di Dio, la sofferenza del Figlio di Dio sulla Croce: "La sofferenza di Dio crocifisso non è soltanto una forma di sofferenza accanto alle altre… Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza, l'ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell'amore… La passione di Cristo sulla Croce ha dato un senso radicalmente nuovo alla sofferenza, l'ha trasformata dal di dentro… È la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell'amore… Ogni sofferenza umana, ogni dolore, ogni infermità racchiude una promessa di salvezza… Il male… esiste nel mondo anche per risvegliare in noi l'amore, che è dono di sé… a chi è visitato dalla sofferenza… Cristo è il Redentore del mondo: ‘Per le sue piaghe noi siamo stati guariti’ (Is 53, 5)" (pag. 198 ss.). Tutto questo non è semplicemente teologia dotta, ma espressione di una fede vissuta e maturata nella sofferenza. Certo, noi dobbiamo fare del tutto per attenuare la sofferenza ed impedire l'ingiustizia che provoca la sofferenza degli innocenti. Tuttavia dobbiamo anche fare del tutto perché gli uomini possano scoprire il senso della sofferenza, per essere così in grado di accettare la propria sofferenza e unirla alla sofferenza di Cristo. In questo modo essa si fonde insieme con l'amore redentore e diventa, di conseguenza, una forza contro il male nel mondo. La risposta che si è avuta in tutto il mondo alla morte del Papa è stata una manifestazione sconvolgente di riconoscenza per il fatto che egli, nel suo ministero, si è offerto totalmente a Dio per il mondo; un ringraziamento per il fatto che egli, in un mondo pieno di odio e di violenza, ci ha insegnato nuovamente l'amare e il soffrire a servizio degli altri; ci ha mostrato, per così dire, dal vivo il Redentore, la redenzione, e ci ha dato la certezza che, di fatto, il male non ha l'ultima parola nel mondo.

Due altri avvenimenti, avviati ancora da Papa Giovanni Paolo II, vorrei ora menzionare, se pur brevemente: si tratta della Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Colonia e del Sinodo dei Vescovi sull'Eucaristia che ha concluso anche l'Anno dell’Eucaristia, inaugurato da Papa Giovanni Paolo II.

La Giornata Mondiale della Gioventù è rimasta nella memoria di tutti coloro che erano presenti come un grande dono. Oltre un milione di giovani si radunarono nella Città di Colonia, situata sul fiume Reno, e nelle città vicine per ascoltare insieme la Parola di Dio, per pregare insieme, per ricevere i sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia, per cantare e festeggiare insieme, per gioire dell’esistenza e per adorare e ricevere il Signore eucaristico durante i grandi incontri del sabato sera e della domenica. Durante tutti quei giorni regnava semplicemente la gioia. A prescindere dai servizi d'ordine, la polizia non ebbe niente da fare – il Signore aveva radunato la sua famiglia, superando sensibilmente ogni frontiera e barriera e, nella grande comunione tra di noi, ci aveva fatto sperimentare la sua presenza. Il motto scelto per quelle giornate – "Andiamo ad adorarlo" – conteneva due grandi immagini che, fin dall'inizio, favorirono l'approccio giusto. Vi era innanzitutto l'immagine del pellegrinaggio, l'immagine dell'uomo che, guardando al di là dei suoi affari e del suo quotidiano, si mette alla ricerca della sua destinazione essenziale, della verità, della vita giusta, di Dio. Questa immagine dell'uomo in cammino verso la meta della vita racchiudeva in se ancora due indicazioni chiare. C'era innanzitutto l’invito a non vedere il mondo che ci circonda soltanto come la materia grezza con cui noi possiamo fare qualcosa, ma a cercare di scoprire in esso la "calligrafia del Creatore", la ragione creatrice e l'amore da cui è nato il mondo e di cui ci parla l'universo, se noi ci rendiamo attenti, se i nostri sensi interiori si svegliano e acquistano percettività per le dimensioni più profonde della realtà. Come secondo elemento si aggiungeva poi l'invito a mettersi in ascolto della rivelazione storica che, sola, può offrirci la chiave di lettura per il silenzioso mistero della creazione, indicandoci concretamente la via verso il vero Padrone del mondo e della storia che si nasconde nella povertà della stalla di Betlemme. L'altra immagine contenuta nel motto della Giornata Mondiale della Gioventù era l'uomo in adorazione: "Siamo venuti per adorarlo". Prima di ogni attività e di ogni mutamento del mondo deve esserci l'adorazione. Solo essa ci rende veramente liberi; essa soltanto ci dà i criteri per il nostro agire. Proprio in un mondo in cui progressivamente vengono meno i criteri di orientamento ed esiste la minaccia che ognuno faccia di se stesso il proprio criterio, è fondamentale sottolineare l'adorazione. Per tutti coloro che erano presenti rimane indimenticabile l’intenso silenzio di quel milione di giovani, un silenzio che ci univa e sollevava tutti quando il Signore nel Sacramento era posto sull'altare. Serbiamo nel cuore le immagini di Colonia: sono una indicazione che continua ad operare. Senza menzionare singoli nomi, vorrei in questa occasione ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile la Giornata Mondiale della Gioventù; soprattutto, però, ringraziamo insieme il Signore, perché in definitiva solo Lui poteva donarci quelle giornate nel modo in cui le abbiamo vissute.

La parola "adorazione" ci porta al secondo grande avvenimento di cui vorrei parlare: il Sinodo dei Vescovi e l'Anno dell’Eucaristia. Papa Giovanni Paolo II, con l'Enciclica Ecclesia de Eucharistia e con la Lettera apostolica Mane nobiscum Domine ci aveva già donato le indicazioni essenziali e al contempo, con la sua esperienza personale della fede eucaristica, aveva concretizzato l'insegnamento della Chiesa. Inoltre, la Congregazione per il Culto Divino, in stretto collegamento con l'Enciclica, aveva pubblicato l'istruzione Redemptionis Sacramentum come aiuto pratico per la giusta realizzazione della Costituzione conciliare sulla liturgia e della riforma liturgica. Oltre tutto ciò, era veramente possibile dire ancora qualcosa di nuovo, sviluppare ulteriormente l’insieme della dottrina? Proprio questa fu la grande esperienza del Sinodo quando, nei contributi dei Padri, si è vista rispecchiarsi la ricchezza della vita eucaristica della Chiesa di oggi e si è manifestata l'inesauribilità della sua fede eucaristica. Quello che i Padri hanno pensato ed espresso dovrà essere presentato, in stretto collegamento con le Propositiones del Sinodo, in un documento post-sinodale. Vorrei qui solo sottolineare ancora una volta quel punto che, poco fa, abbiamo già registrato nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù: l'adorazione del Signore risorto, presente nell'Eucaristia con carne e sangue, con corpo e anima, con divinità e umanità. È commovente per me vedere come dappertutto nella Chiesa si stia risvegliando la gioia dell'adorazione eucaristica e si manifestino i suoi frutti. Nel periodo della riforma liturgica spesso la Messa e l'adorazione fuori di essa erano viste come in contrasto tra loro: il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato, secondo un’obiezione allora diffusa. Nell'esperienza di preghiera della Chiesa si è ormai manifestata la mancanza di senso di una tale contrapposizione. Già Agostino aveva detto: "… nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit;… peccemus non adorando - Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; … peccheremmo se non la adorassimo" (cfr Enarr. in Ps 98,9 CCL XXXIX 1385). Di fatto, non è che nell'Eucaristia riceviamo semplicemente una qualche cosa. Essa è l'incontro e l'unificazione di persone; la persona, però, che ci viene incontro e desidera unirsi a noi è il Figlio di Dio. Una tale unificazione può soltanto realizzarsi secondo la modalità dell'adorazione. Ricevere l'Eucaristia significa adorare Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui. Perciò, lo sviluppo dell'adorazione eucaristica, come ha preso forma nel corso del Medioevo, era la più coerente conseguenza dello stesso mistero eucaristico: soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri.

L'ultimo evento di quest’anno su cui vorrei soffermarmi in questa occasione è la celebrazione della conclusione del Concilio Vaticano II quarant'anni fa. Tale memoria suscita la domanda: Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l'altro: "Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …" (De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis, pag. 524). Non vogliamo applicare proprio questa descrizione drammatica alla situazione del dopo-Concilio, ma qualcosa tuttavia di quanto avvenuto vi si riflette. Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono "amministratori dei misteri di Dio" (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati "fedeli e saggi" (cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all'amministratore: "Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto" (cfr Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola.

All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma, come l'hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Papa Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio "vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti", e continua: "Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell'opera, che la nostra età esige… È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata" (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865). È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; è chiaro pure che la nuova parola può maturare soltanto se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che, d’altra parte, la riflessione sulla fede esige anche che si viva questa fede. In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica. Ma ovunque questa interpretazione è stata l’orientamento che ha guidato la recezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi. Quarant’anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo è più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell’agitazione degli anni intorno al 1968. Oggi vediamo che il seme buono, pur sviluppandosi lentamente, tuttavia cresce, e cresce così anche la nostra profonda gratitudine per l’opera svolta dal Concilio.

Paolo VI, nel suo discorso per la conclusione del Concilio, ha poi indicato ancora una specifica motivazione per cui un'ermeneutica della discontinuità potrebbe sembrare convincente. Nella grande disputa sull'uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell'antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l'uomo ed il mondo di oggi, dall'altra (ibid., pp. 1066 s.). La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine generico di "mondo di oggi" ne scegliamo un altro più preciso: il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna. Questo rapporto aveva avuto un inizio molto problematico con il processo a Galileo. Si era poi spezzato totalmente, quando Kant definì la "religione entro la pura ragione" e quando, nella fase radicale della rivoluzione francese, venne diffusa un'immagine dello Stato e dell'uomo che alla Chiesa ed alla fede praticamente non voleva più concedere alcuno spazio. Lo scontro della fede della Chiesa con un liberalismo radicale ed anche con scienze naturali che pretendevano di abbracciare con le loro conoscenze tutta la realtà fino ai suoi confini, proponendosi caparbiamente di rendere superflua l’"ipotesi Dio", aveva provocato nell'Ottocento, sotto Pio IX, da parte della Chiesa aspre e radicali condanne di tale spirito dell'età moderna. Quindi, apparentemente non c'era più nessun ambito aperto per un’intesa positiva e fruttuosa, e drastici erano pure i rifiuti da parte di coloro che si sentivano i rappresentanti dell'età moderna. Nel frattempo, tuttavia, anche l'età moderna aveva conosciuto degli sviluppi. Ci si rendeva conto che la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese. Le scienze naturali cominciavano, in modo sempre più chiaro, a riflettere sul proprio limite, imposto dallo stesso loro metodo che, pur realizzando cose grandiose, tuttavia non era in grado di comprendere la globalità della realtà. Così, tutte e due le parti cominciavano progressivamente ad aprirsi l’una all'altra. Nel periodo tra le due guerre mondiali e ancora di più dopo la seconda guerra mondiale, uomini di Stato cattolici avevano dimostrato che può esistere uno Stato moderno laico, che tuttavia non è neutro riguardo ai valori, ma vive attingendo alle grandi fonti etiche aperte dal cristianesimo. La dottrina sociale cattolica, via via sviluppatasi, era diventata un modello importante tra il liberalismo radicale e la teoria marxista dello Stato. Le scienze naturali, che senza riserva facevano professione di un proprio metodo in cui Dio non aveva accesso, si rendevano conto sempre più chiaramente che questo metodo non comprendeva la totalità della realtà e aprivano quindi nuovamente le porte a Dio, sapendo che la realtà è più grande del metodo naturalistico e di ciò che esso può abbracciare. Si potrebbe dire che si erano formati tre cerchi di domande, che ora, nell'ora del Vaticano II, attendevano una risposta. Innanzitutto occorreva definire in modo nuovo la relazione tra fede e scienze moderne; ciò riguardava, del resto, non soltanto le scienze naturali, ma anche la scienza storica perché, in una certa scuola, il metodo storico-critico reclamava per sé l'ultima parola nella interpretazione della Bibbia e, pretendendo la piena esclusività per la sua comprensione delle Sacre Scritture, si opponeva in punti importanti all’interpretazione che la fede della Chiesa aveva elaborato. In secondo luogo, era da definire in modo nuovo il rapporto tra Chiesa e Stato moderno, che concedeva spazio a cittadini di varie religioni ed ideologie, comportandosi verso queste religioni in modo imparziale e assumendo semplicemente la responsabilità per una convivenza ordinata e tollerante tra i cittadini e per la loro libertà di esercitare la propria religione. Con ciò, in terzo luogo, era collegato in modo più generale il problema della tolleranza religiosa – una questione che richiedeva una nuova definizione del rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo. In particolare, di fronte ai recenti crimini del regime nazionalsocialista e, in genere, in uno sguardo retrospettivo su una lunga storia difficile, bisognava valutare e definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e la fede di Israele.

Sono tutti temi di grande portata - erano i grandi temi della seconda parte del Concilio - su cui non è possibile soffermarsi più ampiamente in questo contesto. È chiaro che in tutti questi settori, che nel loro insieme formano un unico problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi – fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma. In questo processo di novità nella continuità dovevamo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti – per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia – dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l’aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro. Non sono invece ugualmente permanenti le forme concrete, che dipendono dalla situazione storica e possono quindi essere sottoposte a mutamenti. Così le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare. Così, ad esempio, se la libertà di religione viene considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale e storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che l'uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come una conseguenza intrinseca della verità che non può essere imposta dall'esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo del convincimento. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l'insegnamento di Gesù stesso (cfr Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi. La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori e per i responsabili politici considerando questo un suo dovere (cfr 1 Tm 2,2); ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli, e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato. I martiri della Chiesa primitiva sono morti per la loro fede in quel Dio che si era rivelato in Gesù Cristo, e proprio così sono morti anche per la libertà di coscienza e per la libertà di professione della propria fede – una professione che da nessuno Stato può essere imposta, ma invece può essere fatta propria solo con la grazia di Dio, nella libertà della coscienza. Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve necessariamente impegnarsi per la libertà della fede. Essa vuole trasmettere il dono della verità che esiste per tutti ed assicura al contempo i popoli e i loro governi di non voler distruggere con ciò la loro identità e le loro culture, ma invece porta loro una risposta che, nel loro intimo, aspettano – una risposta con cui la molteplicità delle culture non si perde, ma cresce invece l'unità tra gli uomini e così anche la pace tra i popoli.

Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue "il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio", annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8). Chi si era aspettato che con questo "sì" fondamentale all'età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l’"apertura verso il mondo" così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione storica è una minaccia per il cammino dell'uomo. Questi pericoli, con le nuove possibilità e con il nuovo potere dell'uomo sulla materia e su se stesso, non sono scomparsi, ma assumono invece nuove dimensioni: uno sguardo sulla storia attuale lo dimostra chiaramente. Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un "segno di contraddizione" (Lc 2,34) – non senza motivo Papa Giovanni Paolo II, ancora da Cardinale, aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa Paolo VI e alla Curia Romana. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell'uomo. Era invece senz'altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l'esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza. Il passo fatto dal Concilio verso l'età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come "apertura verso il mondo", appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. La situazione che il Concilio doveva affrontare è senz'altro paragonabile ad avvenimenti di epoche precedenti. San Pietro, nella sua prima lettera, aveva esortato i cristiani ad essere sempre pronti a dar risposta (apo-logia) a chiunque avesse loro chiesto il logos, la ragione della loro fede (cfr 3,15). Questo significava che la fede biblica doveva entrare in discussione e in relazione con la cultura greca ed imparare a riconoscere mediante l'interpretazione la linea di distinzione, ma anche il contatto e l'affinità tra loro nell'unica ragione donata da Dio. Quando nel XIII secolo, mediante filosofi ebrei ed arabi, il pensiero aristotelico entrò in contatto con la cristianità medievale formata nella tradizione platonica, e fede e ragione rischiarono di entrare in una contraddizione inconciliabile, fu soprattutto san Tommaso d'Aquino a mediare il nuovo incontro tra fede e filosofia aristotelica, mettendo così la fede in una relazione positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo. La faticosa disputa tra la ragione moderna e la fede cristiana che, in un primo momento, col processo a Galileo, era iniziata in modo negativo, certamente conobbe molte fasi, ma col Concilio Vaticano II arrivò l’ora in cui si richiedeva un ampio ripensamento. Il suo contenuto, nei testi conciliari, è tracciato sicuramente solo a larghe linee, ma con ciò è determinata la direzione essenziale, cosicché il dialogo tra ragione e fede, oggi particolarmente importante, in base al Vaticano II ha trovato il suo orientamento. Adesso questo dialogo è da sviluppare con grande apertura mentale, ma anche con quella chiarezza nel discernimento degli spiriti che il mondo con buona ragione aspetta da noi proprio in questo momento. Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa.

Infine, devo forse ancora far memoria di quel 19 aprile di quest'anno, in cui il Collegio Cardinalizio, con mio non piccolo spavento, mi ha eletto a successore di Papa Giovanni Paolo II, a successore di san Pietro sulla cattedra del Vescovo di Roma? Un tale compito stava del tutto fuori di ciò che avrei mai potuto immaginare come mia vocazione. Così, fu soltanto con un grande atto di fiducia in Dio che potei dire nell'obbedienza il mio "sì" a questa scelta. Come allora, così chiedo anche oggi a tutti Voi la preghiera, sulla cui forza e sostegno io conto. Al contempo desidero ringraziare di cuore in quest'ora tutti coloro che mi hanno accolto e mi accolgono tuttora con tanta fiducia, bontà e comprensione, accompagnandomi giorno per giorno con la loro preghiera.

Il Natale è ormai vicino. Il Signore Dio alle minacce della storia non si è opposto con il potere esteriore, come noi uomini, secondo le prospettive di questo nostro mondo, ci saremmo aspettati. L'arma sua è la bontà. Si è rivelato come bimbo, nato in una stalla. È proprio così che contrappone il suo potere completamente diverso alle potenze distruttive della violenza. Proprio così Egli ci salva. Proprio così ci mostra ciò che salva. Vogliamo, in questi giorni natalizi, andargli incontro pieni di fiducia, come i pastori, come i sapienti dell'Oriente. Chiediamo a Maria di condurci al Signore. Chiediamo a Lui stesso di far brillare il suo volto su di noi. Chiediamogli di vincere Egli stesso la violenza nel mondo e di farci sperimentare il potere della sua bontà. Con questi sentimenti imparto di cuore a tutti Voi la Benedizione Apostolica.
24/12/2005 12:25
 
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Benedetto XVI chiede alla Gran Bretagna di difendere la vita umana e la famiglia

Il discorso di benvenuto di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore della Gran Bretagna presso la Santa Sede, ricevuto questo venerdì, è divenuto un appello alla difesa della vita e della famiglia.

Il nuovo rappresentante di Sua Maestà la Regina Elisabetta II è Francis Martin-Xavier Campbell, che all’età di 35 anni è l’ambasciatore più giovane nonché il primo cattolico ad aver assunto questo incarico. Fra il 2001 e il 2003 è stato Segretario privato del Primo Ministro Tony Blair.

Il Regno Unito ha fatto molto per promuovere i valori della tolleranza e il rispetto per le differenze tanto all’interno delle sue frontiere come all’estero, derivanti dall’apprezzamento della dignità umana e dei diritti inalienabili di tutta la persona umana”, ha affermato il Pontefice nel suo discorso.

Il Papa ha quindi appoggiato le parole espresse dal nuovo ambasciatore, originario dell’Irlanda del Nord, nel riconoscere “l’importanza per il Regno Unito di rimanere fedele alle ricche tradizioni dell’Europa”.

Questa fedeltà implica naturalmente un profondo rispetto della verità che Dio ha rivelato sulla persona”, ha detto da parte sua il Vescovo di Roma.

Questo esige riconoscimento e protezione da parte nostra per la santità della vita dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale”, ha aggiunto.

Obbliga a considerare con attenzione le implicazioni etiche del progresso scientifico e teconologico, in particolare, nel campo della ricerca medica e della ingegneria genetica”, ha sottolineato.

Soprattutto – ha spiegato -, questo ci porta ad una comprensione appropriata della libertà umana, che non si può mai realizzare indipendentemente da Dio, ma solo cooperando con il suo piano amorevole per l’umanità”.

Esige inoltre il riconoscimento del ruolo indispensabile della stabilità del matrimonio e della famiglia per il bene della società”, ha affermato il Papa all’ambasciatore del Regno Unito, dove lo scorso 5 dicembre le coppie omosessuali hanno ottenuto riconoscimento legale grazie al “Civil Partnership Act”(legge sui patti civili).

I principali vantaggi recati dalla nuova normativa, che si applica in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord, per le coppie omosessuali di età superiore ai 16 anni, sono principalmente di carattere finanziario, e non mirano a stabilire una vera equiparazione al matrimonio.

Nel caso di morte di uno dei due partner, in assenza di testamento, l’altro riceve un trattamento analogo a quello del coniuge sposato, avendo diritto all’eredità e alla reversibilità della pensione come se fosse stato sposato.

Affinchè la tolleranza e il rispetto per le differenze siano realmente di beneficio per la società, si deve costruire sopra la roccia di una comprensione autentica della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e chiamata a condividere la sua vita divina”, ha detto il Papa.

Il Santo Padre ha poi applaudito le iniziative promosse dall’esecutivo britannico volte a contribuire finanziariamente allo sviluppo dei Paesi poveri e a compiere “passi concreti nella realizzazione nel tempo previsto degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio”.

In particolare, ha riconsciuto che molti Paesi africani si sentono confortati dagli impegni assunti durante il summit che ha riunito lo scorso luglio a Gleneagles (Scozia), sotto la presidenza britannica, i sette Paesi più sviluppati al mondo e la Russia (G-8).

Prego perchè questa solidarietà effettiva verso i nostri fratelli e sorelle che soffrono si mantenga e si approfondisca nei prossimi anni”, ha auspicato.

Nel suo discorso, il Papa ha promosso con energia il dialogo con la Chiesa anglicana, affermando che “l’ecumenismo non è semplicemente una preoccupazione di carattere interno alle comunità cristiane, quanto un imperativo di carità che esprime l’amore di Dio per l’umanità e il suo piano per l’unità di tutti i popoli in Cristo”.

Il Successore di Pietro ha quindi incoraggiato il processo di pacificazione nell’Irlanda del Nord, facendo appello alle chiese locali e alle comunità ecclesiali affinché “superino le storiche differenze fra gli strati della popolazione”.

Uno dei segni più chiari dell’aumento del rispetto reciproco è il recente abbandono della armi da parte dell’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA)”, ha riconosciuto.

Infine, il Papa ha fatto anche riferimento agli attentati a Londra dello scorso mese di luglio, assicurando “il continuo appoggio da parte della Chiesa mentre si cercano soluzioni alle tensioni che hanno dato luogo a tali atrocità”.

La popolazione cattolica in Gran Bretagna si caratterizza per un alto livello di diversità etnica e vuole prendere parte alla promozione della riconciliazione e dell’armonia fra i diversi gruppi razziali presenti nel suo Paese”, ha concluso.

24/12/2005 19:49
 
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PAPA AI LAVORATORI NEL VATICANO 23/12/05
Ratzigirl - un'altra discorso a braccio, con catechesi spontaneo:

UDIENZA AI DIPENDENTI CHE HANNO COLLABORATO ALLA RISTRUTTURAZIONE DELL’APPARTAMENTO PONTIFICIO

Alle ore 12 di questa mattina (23/12/2005), nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i dipendenti che hanno collaborato alla ristrutturazione dell’Appartamento Pontificio ed ha loro rivolto il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Collaboratori e Collaboratrici,

purtroppo i tanti impegni di questi giorni non mi hanno permesso di preparare un discorso degno del lavoro che voi avete fatto. Chiedo scusa. Posso solo parlare, come si dice, " a braccio". Ma le parole vengono realmente dal cuore.

Non ho molto da dire. Solo una parola. Ma questa parola, con tutta la mia convinzione, è un sentito "grazie" che viene dalla profondità del mio cuore. In meno di tre mesi avete fatto un lavoro immenso nel restauro del mio Appartamento. Sono convinto - perché in Germania ho fatto costruire una piccola casa per me - che altrove questi lavori sarebbero durati almeno un anno o probabilmente di più. Così, ho visto come e con quale dedizione avete lavorato, con quale competenza, e con un tipo di collaborazione fra i diversi servizi tecnici impegnati in un tale lavoro che posso solo ammirare, e che, per me, è testimonianza di un impegno interiore a lavorare bene e a servire la Santa Sede e il Successore di Pietro. Così avete realmente dato l’esempio di un lavoro responsabile. Posso soltanto ammirare le cose che avete fatto, come questi bei pavimenti. Poi, mi piace, in modo particolare, la mia nuova biblioteca, con quel soffitto antico. Per me è come essere circondato da amici, adesso che sono arrivati gli scaffali con i libri. Poi, lo studio medico, e tutte le altre cose che ora non posso elencare. Ma ho visto, anche se ho poca competenza in materia, che in quei tre mesi avete lavorato, direi quasi giorno e notte, con una dedizione incredibile. Io posso soltanto assicurarvi la mia profonda gratitudine e la mia preghiera.

Mi è venuto in mente che nel Nuovo Testamento, come professione del Signore Gesù prima della sua missione pubblica, appare la parola "tecton", che di solito noi traduciamo "falegname", perché allora le case erano sostanzialmente case di legno. Ma, più che "falegname", è un "artigiano" che deve poter fare tutto quanto è necessario per la costruzione di una casa. Così, in questo senso, siete "colleghi" di Nostro Signore, avete proprio realizzato quanto Egli aveva fatto volutamente, secondo la sua scelta, prima di annunciare al mondo la sua grande missione. Il Signore ha voluto mostrare così la nobiltà di questo lavoro. Nel mondo greco solo il lavoro intellettuale era considerato degno di un uomo libero. Il lavoro manuale era lasciato agli schiavi. Totalmente diversa è la religione biblica. Qui il Creatore - che secondo una bella immagine, ha fatto l’uomo con le sue mani - appare proprio come l’esempio dell’uomo che lavora con le mani, e, così facendo, lavora con il cervello e con il cuore. L’uomo imita il Creatore perché questo mondo datoci da Lui sia un mondo abitabile. Questo appare nella narrazione biblica sin dall’inizio. Ma infine, in modo forte, nel fatto che Gesù era "tecton", "artigiano", "lavoratore", appare la nobiltà e la grandezza di questo lavoro.

Adesso, in prossimità della festa di Natale, è il momento di dire "grazie" per tutto questo, per il vostro lavoro che mi incoraggia - come voi avete dato tutto - a dare da parte mia, in questa ora tarda della mia vita, tutto quanto posso dare.

Saluti ai vostri cari e per voi tutti imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica!

[01687-01.02] [Testo originale: Italiano]

[Modificato da TERESA BENEDETTA 24/12/2005 19.50]

25/12/2005 11:33
 
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OMELIA PER LA NOTTE DI NATALE (24 DICEMBRE 2005)

Il Signore mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato»". Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme. Un volta, questo Salmo apparteneva al rituale dell'incoronazione dei re di Giuda. Il popolo d'Israele, a causa della sua elezione, si sentiva in modo particolare figlio di Dio, adottato da Dio. Siccome il re era la personificazione di quel popolo, la sua intronizzazione era vissuta come un atto solenne di adozione da parte di Dio, nel quale il re veniva, in qualche modo, coinvolto nel mistero stesso di Dio. Nella notte di Betlemme queste parole, che erano di fatto più l'espressione di una speranza che una realtà presente, hanno assunto un senso nuovo ed inaspettato. Il Bimbo nel presepe è davvero il Figlio di Dio. Dio non è solitudine perenne, ma, un circolo d'amore nel reciproco darsi e ridonarsi, Egli è Padre, Figlio e Spirito Santo.

Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio stesso si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: "Tu sei mio figlio". L'eterno oggi di Dio è disceso nell'oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell'oggi perenne di Dio. Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato". Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci – su ogni bambino, anche su quello non ancora nato.

Ascoltiamo una seconda parola della liturgia di questa Notte santa, questa volta presa dal Libro del profeta Isaia: "Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (9,1). La parola "luce" pervade tutta la liturgia di questa Santa Messa. È accennata nuovamente nel brano tratto dalla lettera di san Paolo a Tito: "È apparsa la grazia" (2,11). L'espressione "è apparsa" appartiene al linguaggio greco e, in questo contesto, dice la stessa cosa che l’ebraico esprime con le parole "una luce rifulse": l’"apparizione" – l’"epifania" – è l'irruzione della luce divina nel mondo pieno di buio e pieno di problemi irrisolti. Infine, il Vangelo ci racconta che ai pastori apparve la gloria di Dio e "li avvolse di luce" (Lc 2,9). Dove compare la gloria di Dio, là si diffonde nel mondo la luce. "Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre", ci dice san Giovanni (1 Gv 1,5). La luce è fonte di vita.

Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della menzogna e dell'ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c'è amore, emerge una luce nel mondo; dove c'è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la sua gloria – la gloria dell'amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell'amore. La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, "li ha avvolti di luce". Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità – la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi – da Paolo ed Agostino fino a san Francesco e san Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d'Avila a Madre Teresa di Calcutta – vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio oppone, in quel Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il Bambino.

Insieme con l'albero di Natale, i nostri amici austriaci ci hanno portato anche una piccola fiamma che avevano acceso a Betlemme, per dirci: il vero mistero del Natale è lo splendore interiore che viene da questo Bambino. Lasciamo che tale splendore interiore si comunichi a noi, che accenda nel nostro cuore la fiammella della bontà di Dio; portiamo tutti, col nostro amore, la luce nel mondo! Non permettiamo che questa fiamma luminosa si spenga per le correnti fredde del nostro tempo! Custodiamola fedelmente e facciamone dono agli altri! In questa notte, nella quale guardiamo verso Betlemme, vogliamo anche pregare in modo speciale per il luogo della nascita del nostro Redentore e per gli uomini che là vivono e soffrono. Vogliamo pregare per la pace in Terra Santa: Guarda, Signore, quest'angolo della terra che, come tua patria, ti è tanto caro! Fa’ che lì rifulga la tua luce! Fa’ che lì arrivi la pace!

Con il termine "pace" siamo giunti alla terza parola-guida della liturgia di questa Notte santa. Il Bambino che Isaia annuncia è da lui chiamato "Principe della pace". Del suo regno si dice: "La pace non avrà fine". Ai pastori si annuncia nel Vangelo la "gloria di Dio nel più alto dei cieli" e la "pace in terra…". Una volta si leggeva: "… agli uomini di buona volontà"; nella nuova traduzione si dice: "… agli uomini che egli ama". Che significa questo cambiamento? Non conta più la buona volontà? Poniamo meglio la domanda: Quali sono gli uomini che Dio ama, e perché li ama? Dio è forse parziale? Ama forse soltanto alcuni e abbandona gli altri a se stessi? Il Vangelo risponde a queste domande mostrandoci alcune precise persone amate da Dio. Ci sono persone singole – Maria, Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna ecc. Ma ci sono anche due gruppi di persone: i pastori e i sapienti dell'Oriente, i cosiddetti re magi. Soffermiamoci in questa notte sui pastori. Che specie di uomini sono? Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di Lui. La loro vigilanza era disponibilità – disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto all’attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. Dio cerca persone che portino e comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace – proprio nel nostro tempo.

Tra i cristiani la parola pace ha poi assunto un significato tutto speciale: è diventata un nome per designare l'Eucaristia. In essa è presente la pace di Cristo. Attraverso tutti i luoghi dove si celebra l'Eucaristia una rete di pace si espande sul mondo intero. Le comunità raccolte intorno all’Eucaristia costituiscono un regno della pace vasto come il mondo. Quando celebriamo l'Eucaristia ci troviamo a Betlemme, nella "casa del pane". Cristo si dona a noi e ci dona con ciò la sua pace. Ce la dona perché noi portiamo la luce della pace nel nostro intimo e la comunichiamo agli altri; perché diventiamo operatori di pace e contribuiamo così alla pace nel mondo. Perciò preghiamo: Signore, compi la tua promessa! Fa’ che là dove c'è discordia nasca la pace! Fa’ che emerga l'amore là dove regna l'odio! Fa’ che sorga la luce là dove dominano le tenebre! Facci diventare portatori della tua pace! Amen.


26/12/2005 14:17
 
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MESSAGGIO NATALIZIO DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE URBI ET ORBI , 25.12.2005
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

"Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore: Cristo Signore" (Lc 2,10-11). Questa notte abbiamo riascoltato le parole dell’Angelo ai pastori, ed abbiamo rivissuto il clima di quella Notte santa, la Notte di Betlemme, quando il Figlio di Dio si è fatto uomo e, nascendo in una povera grotta, ha posto la sua dimora fra noi. In questo giorno solenne risuona l’annuncio dell’Angelo ed è invito anche per noi, uomini e donne del terzo millennio, ad accogliere il Salvatore. Non esiti l’odierna umanità a farlo entrare nelle proprie case, nelle città, nelle nazioni e in ogni angolo della terra! E’ vero, nel corso del millennio da poco concluso e specialmente negli ultimi secoli, tanti sono stati i progressi compiuti in campo tecnico e scientifico; vaste sono le risorse materiali di cui oggi possiamo disporre. L’uomo dell’era tecnologica rischia però di essere vittima degli stessi successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro ad un’atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore. Per questo è importante che apra la propria mente e il proprio cuore al Natale di Cristo, evento di salvezza capace di imprimere rinnovata speranza all’esistenza di ogni essere umano.

"Svegliati, uomo: poiché per te Dio si è fatto uomo" (Sant’Agostino, Discorsi, 185). Svegliati, uomo del terzo millennio! A Natale l’Onnipotente si fa bambino e chiede aiuto e protezione. Il suo modo di essere Dio mette in crisi il nostro modo di essere uomini; il suo bussare alle nostre porte ci interpella, interpella la nostra libertà e ci chiede di rivedere il nostro rapporto con la vita e il nostro modo di concepirla. L’età moderna è spesso presentata come risveglio dal sonno della ragione, come il venire alla luce dell’umanità che emergerebbe da un periodo buio. Senza Cristo, però, la luce della ragione non basta a illuminare l’uomo e il mondo. Per questo la parola evangelica del giorno di Natale - "Veniva nel mondo / la luce vera, / quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9) – echeggia più che mai come annuncio di salvezza per tutti. "Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo" (Cost. Gaudium et spes, 22). La Chiesa ripete senza stancarsi questo messaggio di speranza, ribadito dal Concilio Vaticano II che si è concluso proprio quarant’anni or sono.

Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui! La forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell’edificazione di un nuovo ordine mondiale, fondato su giusti rapporti etici ed economici. Il suo amore guidi i popoli e ne rischiari la comune coscienza di essere "famiglia" chiamata a costruire rapporti di fiducia e di vicendevole sostegno. L’umanità unita potrà affrontare i tanti e preoccupanti problemi del momento presente: dalla minaccia terroristica alle condizioni di umiliante povertà in cui vivono milioni di esseri umani, dalla proliferazione delle armi alle pandemie e al degrado ambientale che pone a rischio il futuro del pianeta.

Il Dio che si è fatto uomo per amore dell’uomo sostenga quanti operano in Africa a favore della pace e dello sviluppo integrale, opponendosi alle lotte fratricide, perché si consolidino le attuali transizioni politiche ancora fragili, e siano salvaguardati i più elementari diritti di quanti versano in tragiche situazioni umanitarie, come nel Darfur ed in altre regioni dell’Africa centrale. Induca i popoli latino-americani a vivere in pace e concordia. Infonda coraggio agli uomini di buona volontà, che operano in Terra Santa, in Iraq, in Libano, dove i segni di speranza, che pure non mancano, attendono di essere confermati da comportamenti ispirati a lealtà e saggezza; favorisca i processi di dialogo nella Penisola coreana e altrove nei Paesi asiatici, perché, superate pericolose divergenze, si giunga, in spirito amichevole, a coerenti conclusioni di pace, tanto attese da quelle popolazioni.

Nel Natale il nostro animo si apre alla speranza contemplando la gloria divina nascosta nella povertà di un Bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia: è il Creatore dell’universo, ridotto all’impotenza di un neonato! Accettare questo paradosso, il paradosso del Natale, è scoprire la Verità che rende liberi, l’Amore che trasforma l’esistenza. Nella Notte di Betlemme, il Redentore si fa uno di noi, per esserci compagno sulle strade insidiose della storia. Accogliamo la mano che Egli ci tende: è una mano che nulla vuole toglierci, ma solo donare.

Con i pastori entriamo nella capanna di Betlemme sotto lo sguardo amorevole di Maria, silenziosa testimone della nascita prodigiosa. Ci aiuti Lei a vivere un buon Natale; ci insegni a custodire nel cuore il mistero di Dio, che per noi si è fatto uomo; ci guidi a testimoniare nel mondo la sua verità, il suo amore, la sua pace.


26/12/2005 14:18
 
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UGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DEL SANTO NATALE , 25.12.2005
AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DEL SANTO NATALE

Ai fedeli radunati in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione, dopo il Messaggio Natalizio "Urbi et Orbi" dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI invia l’augurio natalizio in 32 lingue:

A quanti mi ascoltano, rivolgo un cordiale augurio nelle diverse espressioni linguistiche:

italiano:
Buon Natale ai romani e agli abitanti dell’intera Nazione italiana: alle Autorità e ai responsabili delle pubbliche Istituzioni, alle famiglie, alle diverse comunità e a coloro che vivono in ogni ambiente sociale. A tutti auguro di sperimentare la serenità, la gioia e la pace, doni preziosi recati all’umanità da Dio, che per noi si è fatto uomo.
Possa il popolo italiano mantenere sempre viva la memoria di questo evento su cui poggia quell’eredità cristiana che ha fecondato la tradizione, l’arte, la storia e l’intera cultura dell’Italia.

francese:
Heureuse et sainte fête de Noël ! Que le Christ Sauveur vous garde dans l’espérance et qu’il vous fasse le don de la paix profonde !

inglese:
May the birth of the Prince of Peace remind the world where its true happiness lies; and may your hearts be filled with hope and joy, for the Saviour has been born for us.

tedesco:
Die Geburt Jesu Christi, des Erlösers der Menschen, erfülle Euer Leben mit tiefer Freude und reicher Gnade; sein Friede möge in Euren Herzen wohnen. Gesegnete und frohe Weihnachten!

spagnolo:
¡Feliz Navidad! Que la Paz de Cristo reine en vuestros corazones, en la familias y en todos los pueblos.

portoghese:
Feliz Natal para todos! O nascimento do Menino Jesus ilumine de alegria e paz vossos lares e Nações!
26/12/2005 14:20
 
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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.12.2005
Cari fratelli e sorelle!

Dopo aver celebrato ieri con solennità il Natale di Cristo, facciamo oggi memoria della nascita al cielo di Santo Stefano, il primo martire. Un particolare legame unisce queste due feste ed è ben sintetizzato nella liturgia ambrosiana da questa affermazione: "Ieri il Signore è nato sulla terra perché Stefano nascesse al cielo" (Allo spezzare del pane). Come Gesù sulla croce si è affidato completamente al Padre e ha perdonato i suoi uccisori, così Stefano al momento della sua morte prega dicendo: "Signore Gesù, accogli il mio spirito"; e ancora: "Signore, non imputare loro questo peccato" (cfr At 7,59-60). Stefano è un autentico discepolo di Gesù e un perfetto suo imitatore. Inizia con lui quella lunga serie di martiri che hanno suggellato la propria fede con l’offerta della vita, proclamando con la loro eroica testimonianza che Dio si è fatto uomo per aprire all’uomo il Regno dei Cieli.

Nell’atmosfera di gioia del Natale non sembri fuori luogo il riferimento al martirio di Santo Stefano. In effetti, sulla mangiatoia di Betlemme già s’allunga l’ombra della Croce. La preannunciano la povertà della stalla in cui il Bambino vagisce, la profezia di Simeone sul segno di contraddizione e sulla spada destinata a trafiggere l’anima della Vergine, la persecuzione di Erode che renderà necessaria la fuga in Egitto. Non deve stupire che un giorno questo Bambino, diventato adulto, chieda ai suoi discepoli di seguirlo sul cammino della Croce con totale fiducia e fedeltà. Attratti dal suo esempio e sorretti dal suo amore molti cristiani, già alle origini della Chiesa, testimonieranno la loro fede con l’effusione del sangue. Ai primi martiri ne seguiranno altri nel corso dei secoli fino ai giorni nostri. Come non riconoscere che anche in questo nostro tempo, in varie parti del mondo, professare la fede cristiana richiede l’eroismo dei martiri? Come non dire poi che dappertutto, anche là dove non vi è persecuzione, vivere con coerenza il Vangelo comporta un alto prezzo da pagare?

Contemplando il divino Bambino fra le braccia di Maria e guardando all’esempio di Santo Stefano, chiediamo a Dio la grazia di vivere con coerenza la nostra fede, pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15).

[01691-01.02] [Testo originale: Italiano]

DOPO L’ANGELUS

Je vous salue cordialement, chers pèlerins francophones. En la fête de saint Étienne, premier martyr, et dans la joie de Noël que vous avez pu vivre en famille, puissiez-vous être artisans de paix et témoins de l’amour infini de Dieu pour nous.

I greet all the English-speaking visitors present at today’s Angelus and I wish you the joy and peace of Christmas! Through the intercession of the martyr Saint Stephen, may Christians everywhere give clear witness to Christ, Saviour of all humanity.

Mit weihnachtlicher Festfreude grüße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache. Heute gedenkt die Kirche ihres ersten Märtyrers, des Diakons Stephanus. Dieser Heilige sagt uns: In Jesus Christus hat Gott uns Menschen alles – das Heil selbst! – geschenkt. Schenken wir dem Herrn unser Herz! In seiner Kraft werden wir zu Boten seiner erlösenden Liebe, im Leben und im Tode. Euch allen eine gesegnete und friedvolle Weihnachtszeit!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española aquí presentes y a cuantos participan en el rezo del Ángelus a través de la radio y la televisión. Que el Misterio del Dios hecho hombre en Belén, que iluminó la vida del primer mártir, San Esteban, cuya fiesta celebramos hoy, alumbre nuestro camino para dar testimonio de amor y paz. ¡Felices fiestas!

Pozdrawiam wszystkich Polaków. Przezywanie tajemnicy Bozego Wcielenia niech napelnia was radoscia i pokojem. Niech Bóg Wam blogoslawi!

[Saluto tutti i polacchi. Vivere il mistero dell’incarnazione di Dio vi colmi di gioia e di pace. Dio vi benedica!]

Rivolgo, infine, il mio cordiale saluto a tutti voi, cari pellegrini di lingua italiana, e vi auguro di conservare in questi giorni il clima spirituale di gioia e di serenità del Santo Natale.
26/12/2005 17:57
 
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Nota sull'Enciclica
Carissime, ho letto da poco una nota che porta la data di ieri,
del portavoce vaticano Navarro Vals sulla prima enciclica del nostro Benedetto. S'intitolerà DEUS EST CARITAS porterà la data del giorno di Natale,non sarà rivisionata e verra pubblicata a Gennaio. Non so se di questo eravate già informate, comunque vi posto ugualmente la notizia così come è stata pubblicata su Libero.
Saluti RATZOSI Eugenia [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=x40799]
28/12/2005 15:43
 
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L’UDIENZA GENERALE , 28.12.2005
L’Udienza Generale di questa mattina si svolge alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre incontra gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, riprendendo il ciclo di catechesi sui Salmi e i Cantici, il Papa commenta il Salmo 138,13-18.23-24 - O Dio, tu mi scruti e mi conosci - Vespri del Mercoledì della 4a Settimana (Lettura: Sal 138,13-16.23-24).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, Benedetto XVI rivolge particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si conclude con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

1. In questa Udienza generale del mercoledì dell’Ottava di Natale, festa liturgica dei Santi Innocenti, riprendiamo la nostra meditazione sul Salmo 138, la cui lettura orante è proposta dalla Liturgia dei Vespri in due tappe distinte. Dopo aver contemplato nella prima parte (cfr vv. 1-12) il Dio onnisciente e onnipotente, Signore dell’essere e della storia, ora questo inno sapienziale di intensa bellezza e passione punta verso la realtà più alta e mirabile dell’intero universo, l’uomo, definito come il «prodigio» di Dio (cfr v. 14). Si tratta, in realtà, di un tema profondamente in sintonia con il clima natalizio che stiamo vivendo in questi giorni, nei quali celebriamo il grande mistero del Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza.

Dopo aver considerato lo sguardo e la presenza del Creatore che spaziano in tutto l’orizzonte cosmico, nella seconda parte del Salmo che meditiamo oggi, gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo. Egli è ancora «informe» nell’utero materno: il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’«embrione», descritto in quel termine come una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio (cfr v. 16).

2. Il Salmista per definire l’azione divina all’interno del grembo materno ricorre alle classiche immagini bibliche, mentre la cavità generatrice della madre è comparata alle «profondità della terra», ossia alla costante vitalità della grande madre terra (cfr v. 15).

C’è innanzitutto il simbolo del vasaio e dello scultore che «forma», plasma la sua creazione artistica, il suo capolavoro, proprio come si diceva nel libro della Genesi per la creazione dell’uomo: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo» (Gn 2,7). C’è, poi, il simbolo «tessile», che evoca la delicatezza della pelle, della carne, dei nervi «intessuti» sullo scheletro osseo. Anche Giobbe rievocava con forza queste e altre immagini per esaltare quel capolavoro che è la persona umana, pur percossa e ferita dalla sofferenza: «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte… Ricordati che come argilla mi hai plasmato… Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d’ossa e di nervi mi hai intessuto» (Gb 10,8-11).

3. Estremamente potente è, nel nostro Salmo, l’idea che Dio di quell’embrione ancora «informe» veda già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena. Torna così ad emergere la grandezza trascendente della conoscenza divina, che non abbraccia solo il passato e il presente dell’umanità, ma anche l’arco ancora nascosto del futuro.

Noi ora vorremmo affidarci alla riflessione che san Gregorio Magno, nelle sue Omelie su Ezechiele, ha intessuto sulla frase del Salmo da noi prima commentata: «Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro» (v. 16). Su quelle parole il Pontefice e Padre della Chiesa ha costruito un’originale e delicata meditazione riguardante quanti nella Comunità cristiana sono più deboli nel loro cammino spirituale.

Costoro, pur non costituendo la parte più perfetta, dell'edificio spirituale della Chiesa, vi «vengono tuttavia annoverati... in virtù del buon desiderio. È vero, sono imperfetti e piccoli, tuttavia per quanto riescono a comprendere, amano Dio e il prossimo e non trascurano di compiere il bene che possono. Anche se non arrivano ancora ai doni spirituali, tanto da aprire l'anima all'azione perfetta e all'ardente contemplazione, tuttavia non si tirano indietro dall'amore di Dio e del prossimo, nella misura in cui sono in grado di capirlo. Per cui avviene che anch'essi contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all'edificazione della Chiesa, poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo, tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell'amore, nel quale trovano la loro solidità» (2,3,12-13, Opere di Gregorio Magno, III/2, Roma 1993, pp. 79.81).

Il messaggio di san Gregorio diventa, allora, un invito alla speranza rivolto a tutti, anche a coloro che procedono con fatica nel cammino della vita spirituale ed ecclesiale.

[01693-01.01] [Testo originale: Italiano]

SINTESI DELLA CATECHESI NELLE DIVERSE LINGUE

? Sintesi della catechesi in lingua francese

? Sintesi della catechesi in lingua inglese

? Sintesi della catechesi in lingua tedesca

? Sintesi della catechesi in lingua spagnola

? Sintesi della catechesi in lingua francese

Chers Frères et Sœurs,

Dans le temps de Noël où nous célébrons le mystère du Fils de Dieu fait homme pour notre salut, la lecture du Psaume 138 nous conduit à méditer la réalité la plus haute et la plus admirable de l’univers, l’homme, «prodige» de Dieu (v. 14). Sur cette merveille de la création, le Seigneur porte un regard d’amour, et il l’entoure de toute sa tendresse dès son origine, dès qu’il est dans le sein maternel; Dieu l’aime, car c’est Lui qui l’a façonné, qui l’a tissé dans le secret. Dieu connaît l’être humain alors même qu’il n’est qu’un tout petit embryon et qu’il n’est pas visible aux yeux des autres hommes, et, en raison de la grandeur transcendante de sa connaissance, il envisage déjà son avenir, car tous ses jours sont inscrits dans le livre de vie. Saint Grégoire le Grand assimile à ce petit être toutes les personnes qui sont faibles dans leur démarche spirituelle, invitant chacune à l’espérance, car le Seigneur accompagne tous les hommes avec amour.

Je salue cordialement les pèlerins francophones, notamment les membres du Conseil général élargi de la Congrégation de Jésus et Marie, et le groupe de la paroisse Saint-Victor de Meylan. À tous, je souhaite une heureuse et sainte année 2006, avec la Bénédiction apostolique

[01694-03.01] [Texte original: Français]

? Sintesi della catechesi in lingua inglese

Dear Brothers and Sisters,

As we celebrate the Octave of Christmas and the Feast of the Holy Innocents, we again focus our attention on Psalm 138. This hymn of praise proposes a theme that deeply resonates with the spirit of Christmas, when we commemorate the great mystery of the Son of God made man for our salvation. The second part of this psalm offers a meditation on God’s all-encompassing loving gaze upon human beings. In order to describe the divine action within a mother’s womb, the psalmist refers to classic biblical images. In particular, we see the Creator represented as a potter and sculptor who fashions his masterpiece from the "dust of the ground". Extremely powerful is the idea that from the moment of our conception God already sees the future: in the Lord’s book of life the experiences of our earthly existence are already written. In conclusion, let us together contemplate the message of my predecessor Saint Gregory the Great who offered hope and encouragement even to those who struggle on the spiritual and ecclesial journey: "those who have not yet obtained the spiritual gifts that would open their hearts to contemplation … need not hesitate to aspire to the love of God and neighbour".

I am pleased to welcome the English-speaking pilgrims present at this Audience, especially those from Japan and the United States of America. Upon all of you I invoke the blessings of this Christmas Season.

[01695-02.01] [Original text: English]

? Sintesi della catechesi in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

Die Katechese am heutigen Fest der Unschuldigen Kinder befaßt sich mit dem zweiten Teil von Psalm 139. Der Psalmist stellt uns darin die allmächtige und liebevolle Zuwendung Gottes vor Augen, die einen jeden Menschen vom Mutterschoß an begleitet. Gott kennt unsere Vergangenheit und hat einen Plan für unser Leben, den er uns Schritt für Schritt zu erkennen gibt. Darum können wir allezeit vertrauensvoll mit dem Psalm beten: „Sieh her, ob ich auf dem Weg bin, der dich kränkt, und leite mich auf dem altbewährten Weg!" (V. 24). Diesen „altbewährten Weg" beschreibt Gregor der Große in einer Predigt: Gott und den Nächsten lieben und das Gute nicht unterlassen, das wir zu tun vermögen.

In weihnachtlicher Freude begrüße ich euch, liebe Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. In der Menschwerdung Christi, die wir in diesen Tagen feiern, offenbart sich die Zuwendung Gottes zu uns Menschen in ihrer Fülle. Vor dem göttlichen Kind in der Krippe sollen auch wir unser Herz öffnen. Wir wollen es bitten, uns auf den Weg der Liebe und der Hingabe an den Nächsten zu führen. Unser Heiland, der in Bethlehem geboren ist, begleite euch mit seinem Segen.

[01696-05.01] [Originalsprache: Deutsch]

? Sintesi della catechesi in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

En sintonía con el clima navideño de estos días y la fiesta de hoy, los Santos Inocentes, el Salmo que se ha proclamado se refiere a la obra maestra de la Creación, el ser humano. Dios le presta una particular atención ya desde su primer momento de vida, cuando le "tejía en el seno materno", como dice el salmista. Ya entonces, Dios se fija en él con amor para completar su designio en esta obra prodigiosa que es el hombre. De cada uno conoce todo, su pasado y su futuro, sin descuidar nada ni a nadie. Por eso, como decía san Gregorio Magno, por pequeños e informes que sean, no se apartan del amor a Dios y al prójimo según sus posibilidades, contribuyendo a su modo a la edificación de la Iglesia. Este es, pues, un mensaje de esperanza, que se dirige también a los que aún son débiles en la vida espiritual.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta audiencia. En estos días natalicios, invito a todos a contemplar en el Niño Jesús la grandeza del amor de Dios por todos nosotros.

Muchas gracias y, de nuevo, Feliz Navidad.

[01697-04.01] [Texto original: Español]

SALUTI PARTICOLARI NELLE DIVERSE LINGUE

? Saluto in lingua polacca

? Saluto in lingua italiana

? Saluto in lingua polacca

Pozdrawiam obecnych tu Polaków. W atmosferze swiat Bozego Narodzenia i bliskiego juz Nowego Roku zycze wszystkim wielu lask, a zwlaszcza daru pokoju i radosci. Nich wam Bóg blogoslawi!

[Saluto i polacchi qui presenti. Nell’atmosfera del Natale e dell’ormai vicino Anno Nuovo auguro a tutti tante grazie, soprattutto il dono della pace e della gioia. Dio vi benedica!]

[01698-09.01] [Testo originale: Polacco]

? Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale augurio natalizio ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto la Comunità dei Legionari di Cristo; i fedeli della parrocchia Santissimo Nome di Maria, in Caserta; i Volontari di Don Bosco e i rappresentanti del Comando provinciale Guardia di Finanza, di Livorno. Saluto, inoltre i giovani, i malati e gli sposi novelli.

La luce di Cristo, che nella Notte di Natale ha brillato sull’umanità, splenda su ciascuno di voi, cari amici, e vi guidi nell’impegno di una coraggiosa testimonianza cristiana.

Mi unisco, infine, al ricordo che in questi giorni accomuna le care popolazioni colpite un anno fa dallo tsunami, che ha causato innumerevoli vittime umane e ingenti danni ambientali. Preghiamo il Signore per loro e per quanti, anche in altre regioni del mondo, hanno subíto calamità naturali, e attendono ancora la nostra concreta e fattiva solidarietà.
30/12/2005 19:34
 
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Ricordi....
Ehehehehe Sonia....ricordo bene queste parole dell'udienza....chissà perchè.... [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791]
30/12/2005 19:35
 
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VISITA DEL SANTO PADRE AL DISPENSARIO PONTIFICIO "SANTA MARTA"


Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita al Dispensario Pontificio "Santa Marta". Accolto dalle Figlie della Carità e dai Medici dell’Ambulatorio, il Papa visita le varie stanze del Dispensario dove Medici e Volontari assistono i bambini. Quindi, nella Sala delle proiezioni del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, il Santo Padre incontra le Religiose, i Medici, i Volontari e i bambini assistiti. Qui, introdotto dall’indirizzo di omaggio di un medico, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici!

Con grande affetto saluto tutti voi, che operate in questo Dispensario, che porta il nome di Santa Marta, sorella di Maria e di Lazzaro e modello di grande disponibilità nei confronti del divino Maestro. Vi ringrazio per la vostra accoglienza così familiare, come pure per le cortesi espressioni che, a nome di tutti, mi ha rivolto un vostro rappresentante. Saluto Suor Chiara e le altre Suore, i medici, i volontari e ciascuna delle famiglie che qui trovano un aiuto prezioso. Il servizio, che voi svolgete, si ispira all’esempio di Santa Marta, la quale si prendeva cura di Gesù, che essendo uomo aveva necessità umane: aveva fame e sete, era stanco del viaggio, aveva bisogno di un momento di riposo, di stare un po’ ritirato dalle folle e dalla città di Gerusalemme. Come lei, anche voi vi sforzate di servire Gesù nelle persone che incontrate.

Questa mia visita assume un significato singolare, perché si svolge nel periodo natalizio: in questi giorni il nostro sguardo si posa sul Bambino Gesù. Proprio Lui, venendo qui, ritrovo nei bambini da voi amorevolmente curati. Essi sono oggetto della vostra attenzione, così come il Messia appena nato è al centro delle cure di Maria e Giuseppe nel presepe. In ciascuno di loro, come nella grotta di Betlemme, Gesù bussa alla porta del nostro cuore, domanda di fargli spazio nella nostra vita. Dio è così: non si impone, non entra mai con la forza ma, come un bambino, chiede di essere accolto. In un certo senso, anche Dio si presenta bisognoso di attenzione; attende che gli apriamo il cuore e che ci prendiamo cura di Lui. Ed ogni volta che ci volgiamo con amore verso "uno solo di questi miei fratelli più piccoli", come ha detto il Signore, è a Lui che rendiamo servizio (cfr Mt 25,40).

Celebriamo quest’oggi la festa della Santa Famiglia di Nazaret. Trovandomi in mezzo a voi e vedendo il vostro impegno per i bambini e i genitori, desidero sottolineare la fondamentale vocazione della famiglia ad essere il primo e principale luogo di accoglienza della vita. La concezione moderna della famiglia, anche per reazione al passato, riserva grande importanza all’amore coniugale, sottolineandone gli aspetti soggettivi di libertà nella scelta e nei sentimenti. Si fa invece più fatica a percepire e comprendere il valore della chiamata a collaborare con Dio nel procreare la vita umana. Inoltre, le società contemporanee, pur dotate di tanti mezzi, non riescono sempre a facilitare la missione dei genitori, sia sul piano delle motivazioni spirituali e morali che su quello delle condizioni pratiche di vita. C’è un grande bisogno, tanto sotto il profilo culturale quanto sotto quello politico e legislativo, di sostenere la famiglia, ed iniziative come quella del vostro dispensario risultano al riguardo quanto mai utili. Si tratta di realtà piccole ma importanti e, grazie a Dio, la Chiesa ne è ricca e non cessa di metterle al servizio di tutti.

Cari fratelli e sorelle, prima di lasciarvi vi invito a pregare con me per tutte le famiglie di Roma e del mondo, specialmente per quelle che versano in condizioni difficili, soprattutto perché costrette a vivere lontano dalla loro terra d’origine. Preghiamo per quei genitori che non riescono ad assicurare ai figli il necessario per la salute, per l’istruzione, per un’esistenza dignitosa e serena. Per tutti invochiamo insieme la materna protezione di Maria: Ave Maria…

Ed ora imparto di cuore la Benedizione Apostolica a voi e ai vostri cari, augurando a tutti un nuovo anno colmo di pace e di ogni bene.
31/12/2005 13:01
 
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I PROSSIMI IMPEGNI DI PAPA RATZI
PAPA/ IL 26/3 VISITA PARROCCHIA ROMANA, IL 3/4 MESSA PER WOJTYLA
Via crucis al Colosseo il 15 aprile, il 16 aprile 'Urbi et Orbi'

Città del Vaticano, 31 dic. (Apcom) - Fitta l'agenda di Papa Benedetto XVI per i prossimi mesi. A partire da domani mattina, quando alle 10, Papa Ratzinger presiederà la sua prima messa di Capodanno da pontefice nella basilica vaticana. Per l'occasione si prevede il 'tutto esaurito': già 9mila, infatti, i biglietti distribuiti dalla Prefettura della Casa Pontificia. Il 6 gennaio, alle 9.30, Benedetto XVI presiederà la messa nella cappella papale di san Pietro per la solennità dell'Epifania, mentre l'8 gennaio battezzerà alcuni bambini nella Cappella Sistina (come era solito fare Giovanni Paolo II).

Ricco di impegni anche il mese di marzo. Si comincia con la processione dalla Chiesa di Sant'Anselmo, il primo mercoledì delle Ceneri, per la benedizione e imposizione delle Ceneri. Dal 5 all'11 marzo, invece, settimana dedicata agli esercizi spirituali, presso la Cappella 'Redemptoris Mater', mentre il 26 marzo Papa Ratzinger, continuando una tradizione di Giovanni Paolo II, visiterà la seconda parrocchia romana: quella di Dio Padre Misericordioso. La prima era avvenuta il 18 dicembre presso la Parrocchia di Santa Maria Consolatrice, la parrocchia di cui Ratzinger fu per anni cardinale titolare.

Il 3 aprile Benedetto XVI presiederà una messa in suffragio di Papa Wojtyla, nel suo primo anniversario della morte. Il 9 aprile, invece, processione e messa per la Domenica delle Palme, alle 9.30 in san Pietro. In quell'occasione si celebra anche la Giornata Mondiale della Gioventù, a livello diocesano. L'11 aprile, invece, Benedetto XVI presiederà il rito per la riconciliazione dei più penitenti con la confessione e l'assoluzione individuale. Il 13 aprile, invece, inizierà il triduo pasquale, con la messa, poi la Via Crucis al Colosseo (anche questo uno degli appuntamenti cari a Giovanni Paolo II), la veglia pasquale nella notte del 15 aprile e la messa di Pasqua, il 16 aprile, in cui ricorre anche il compleanno di Joseph Ratzinger, che compie 79 anni. La messa si conclude con la Benedizione 'Urbi et Orbi' dalla Loggia delle benedizioni, alle 12.

WAO!!!! quest'anno doppia festa il 16 aprile: pasqua e compleanno del nostro papino!!! [SM=x40799]



PAPA/TRE TRASFERTE PRIMA DI PASQUA,19 MARZO MESSA COI LAVORATORI
Una novità: l'11 aprile tiene rito della penitenza per Pasqua

Città del Vaticano, 31 dic. (Apcom) - Saranno tre le trasferte di Papa Ratzinger prima di Pasqua, il 19 aprile, che quest'anno coincide con il giorno del suo compleanno. Nei prossimi mesi, nel calendario di Benedetto XVI ci sono tre uscite fuori dal Vaticano: il 25 gennaio si recherà alla Basilica di san Paolo fuori le Mura per la festa della Conversione di san Paolo. Il Papa celebrerà i vespri alle 17.30.

La seconda trasferta si svolgerà il primo mercoledì di marzo, per la benedizione e imposizione delle Ceneri. Benedetto XVI si recherà dunque alla Basilica di s. Sabina, dove alle 17, presiederà la messa. Infine, una terza 'gita' fuori dal Vaticano per il pontefice si terrà il 26 marzo, per la visita alla parrocchia romana di Dio Padre Misericordioso. La seconda parrocchia della Capitale che Benedetto XVI visiterà è stata costruita il 26 ottobre del 2003 dall'architetto americano Richard Meier. Si trova nel quartiere Tor tre Teste ed è una di quelle poche parrocchie che Papa Wojtyla non riuscì a visitare. La parrocchia di Dio Padre Misericordioso è caratterizzata da tre grandi vele di calcestruzzo bianco che si gonfiano come sospinte da un vento da Est.

Il 19 marzo, invece, giorno del suo onomastico, il Papa tedesco ha deciso di incontrare i lavoratori, nella festa che la Chiesa dedica proprio a san Giuseppe lavoratore. Il pontefice celebrerà dunque una messa in loro onore. Tra le altre novità introdotte da Benedetto XVI nei prossimi mesi, c'è quella della celebrazione della Penitenza l'11 aprile, il martedì santo prima della Pasqua. Nella basilica vaticana, il Papa presiederà il rito per la riconciliazione con l'assoluzione individuale a tutti i fedeli che prenderanno parte al rito.

[SM=x40801]
31/12/2005 17:42
 
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VATICANO: PAPA RATZINGER COME WOJTYLA INCONTRERA' I LAVORATORI

Papa Ratzinger come il suo predecessore incontrera' i lavoratori. Accadra' il 19 marzo, festa di San Giuseppe Lavoratore,quando il papa tedesco, mantenendo una consuetudine cara a Karol Wojtyla,incontrera' il mondo del lavoro celebrando una Santa Messa. Il Pontefice la celebrera' nella Basilica Vaticana come aveva fatto il papa polacco negli ultimi tempi quando la salute non gli consentiva piu' di viaggiare. Nel pieno del suo vigore, invece, papa Wojtyla incontrava i lavoratori direttamente nelle fabbriche. Come accadde, ad esempio, il 19 marzo del 1981 quando si reco' alle acciaierie di Terni, assistendo personalmente alle fasi della produzione.

01/01/2006 12:29
 
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CELEBRAZIONE DEI VESPRI E DEL TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO FINE ANNO


OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


Cari fratelli e sorelle!

Al termine di un anno, che per la Chiesa e per il mondo è stato quanto mai ricco di eventi, memori del comando dell’Apostolo: "camminate… saldi nella fede... abbondando nell'azione di grazie" (Col 2,6-7), ci ritroviamo questa sera insieme per elevare un inno di ringraziamento a Dio, Signore del tempo e della storia. Il mio pensiero va, con profondo e spirituale sentimento, a dodici mesi fa, quando, come questa sera, l’amato Papa Giovanni Paolo II, per l’ultima volta, si è fatto voce del Popolo di Dio per rendere grazie al Signore dei numerosi benefici accordati alla Chiesa e all’umanità. Nella medesima suggestiva cornice della Basilica Vaticana tocca ora a me raccogliere idealmente da ogni angolo della terra il cantico di lode e di ringraziamento che si eleva a Dio, al compiersi del 2005 e alla vigilia del 2006. Sì, è un nostro dovere, oltre che un bisogno del cuore, lodare e ringraziare Colui che, eterno, ci accompagna nel tempo senza mai abbandonarci e sempre veglia sull’umanità con la fedeltà del suo amore misericordioso.

Potremmo ben dire che la Chiesa vive per lodare e ringraziare Dio. E’ essa stessa "azione di grazie", lungo i secoli, testimone fedele di un amore che non muore, di un amore che abbraccia gli uomini di ogni razza e cultura, disseminando in modo fecondo principi di vera vita. Come ricorda il Concilio Vaticano II, "la Chiesa prega e insieme lavora, affinché la totalità del mondo sia trasformata in Popolo di Dio, Corpo del Signore e tempio dello Spirito Santo, e in Cristo capo di tutti sia reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell’universo" (Lumen gentium, 17). Sostenuta dallo Spirito Santo, essa "prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio" (Sant’Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 51,2), traendo forza dall’aiuto del Signore. In questo modo, con pazienza e con amore, supera "le afflizioni e difficoltà tanto interne che esterne", e svela "fedelmente al mondo, anche se sotto l’ombra dei segni, il mistero del Signore, fino al giorno in cui finalmente risplenderà nella pienezza della luce" (Lumen gentium, 8). La Chiesa vive di Cristo e con Cristo. Egli le offre il suo amore sponsale guidandola lungo i secoli; ed essa, con l’abbondanza dei suoi doni, accompagna il cammino dell’uomo, affinché coloro che accolgono Cristo abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Questa sera mi faccio voce anzitutto della Chiesa di Roma, per innalzare verso il Cielo il comune cantico di lode e di azione di grazie. Essa, la nostra Chiesa di Roma, nei trascorsi dodici mesi è stata visitata da molte altre Chiese e Comunità ecclesiali, per approfondire il dialogo della verità nella carità, che unisce tutti i battezzati, e sperimentare insieme più vivo il desiderio della piena comunione. Ma anche molti credenti di altre religioni hanno voluto testimoniare la propria stima cordiale e fraterna a questa Chiesa e al suo Vescovo, coscienti che nell'incontro sereno e rispettoso si cela l'anima di un'azione concorde a favore dell'umanità intera. E che dire delle tante persone di buona volontà, che hanno rivolto il proprio sguardo a questa Sede per intessere un dialogo proficuo sui grandi valori concernenti la verità dell'uomo e della vita, da difendere e promuovere? La Chiesa vuol essere accogliente sempre, nella verità e nella carità.

Per quanto riguarda il cammino della Diocesi di Roma, mi piace soffermarmi brevemente sul programma pastorale diocesano, che quest’anno ha fissato la sua attenzione sulla famiglia, scegliendo come tema: "Famiglia e comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede". La famiglia è sempre stata al centro dell’attenzione dei miei venerati Predecessori, in particolare di Giovanni Paolo II, che ad essa ha dedicato molteplici interventi. Egli era persuaso, ed in più occasioni lo ha ribadito, che la crisi della famiglia costituisce un grave pregiudizio per la stessa nostra civiltà. Proprio per sottolineare l’importanza nella vita della Chiesa e della società della famiglia fondata sul matrimonio, anch’io ho voluto offrire il mio contributo intervenendo, la sera del 6 giugno scorso, al Convegno diocesano in San Giovanni in Laterano. Mi rallegro perché il programma della Diocesi sta procedendo positivamente con una capillare azione apostolica, che viene svolta nelle parrocchie, nelle prefetture e nelle varie aggregazioni ecclesiali. Conceda il Signore che il comune sforzo conduca a un autentico rinnovamento delle famiglie cristiane. Colgo qui l’occasione per salutare i rappresentanti della Comunità religiosa e civile di Roma presenti a questa celebrazione di fine anno. Saluto in primo luogo il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici convenuti da varie parrocchie; saluto inoltre il Sindaco della Città e le altre Autorità. Estendo il mio pensiero all’intera comunità romana, della quale il Signore mi ha chiamato ad essere Pastore, e rinnovo a tutti l’espressione della mia vicinanza spirituale.

Illuminati dalla Parola di Dio, abbiamo cantato insieme con fede il "Te Deum". Tanti sono i motivi che rendono la nostra azione di grazie intensa, facendone una corale preghiera. Mentre consideriamo i molteplici eventi che hanno segnato il corso dei mesi in quest’anno che si avvia alla sua conclusione, voglio ricordare in modo speciale coloro che sono in difficoltà: le persone più povere e abbandonate, quanti hanno perso la speranza in un fondato senso della propria esistenza, o sono involontarie vittime di interessi egoistici, senza che a loro sia chiesta adesione o opinione. Facendo nostre le loro sofferenze, li affidiamo tutti a Dio, che sa volgere ogni cosa al bene; a Lui consegniamo la nostra aspirazione a che ogni persona veda accolta la propria dignità di figlio suo. Al Signore della vita chiediamo di lenire con la sua grazia le pene provocate dal male, e di continuare a dare vigore alla nostra esistenza terrena, donandoci il Pane e il Vino della salvezza, per sostentare il nostro cammino verso la patria del Cielo.

Mentre ci congediamo dall’anno che si conclude e ci avviamo verso il nuovo, la liturgia di questi primi Vespri ci introduce nella festa di Maria, Madre di Dio, Theotókos. A otto giorni dalla nascita di Gesù, celebriamo Colei che "quando venne la pienezza del tempo" (Gal 4,4) fu prescelta da Dio per essere la Madre del Salvatore. Madre è colei che dà la vita, ma che anche aiuta ed insegna a vivere. Maria è Madre, Madre di Gesù al quale ha dato il suo sangue, il suo corpo. Ed è Lei a presentarci il Verbo eterno del Padre, venuto ad abitare in mezzo a noi. Chiediamo a Maria di intercedere per noi. Ci accompagni la sua materna protezione oggi e sempre, perché Cristo ci accolga un giorno nella sua gloria, nell’assemblea dei Santi: Aeterna fac cum sanctis tuis in gloria numerari. Amen!

01/01/2006 12:30
 
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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO E NELLA XXXIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
Domenica, 1° gennaio 2006


Cari fratelli e sorelle!

Nell’odierna liturgia il nostro sguardo continua ad essere rivolto al grande mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, mentre, con particolare risalto, contempliamo la maternità della Vergine Maria. Nel brano paolino che abbiamo ascoltato (cfr Gal 4,4), l’apostolo accenna in maniera molto discreta a colei per mezzo della quale il Figlio di Dio entra nel mondo: Maria di Nazaret, la Madre di Dio, la Theotòkos. All’inizio di un nuovo anno, siamo come invitati a metterci alla sua scuola, a scuola della fedele discepola del Signore, per imparare da Lei ad accogliere nella fede e nella preghiera la salvezza che Dio vuole effondere su quanti confidano nel suo amore misericordioso.

La salvezza è dono di Dio; nella prima lettura essa ci è stata presentata come benedizione: "Ti benedica il Signore e ti protegga…rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6,24.26). Si tratta qui della benedizione che i sacerdoti usavano invocare sul popolo al termine delle grandi feste liturgiche, particolarmente nella festa dell’anno nuovo. Siamo in presenza di un testo assai pregnante, scandito dal nome del Signore che viene ripetuto all’inizio di ogni versetto. Un testo che non si limita ad una semplice enunciazione di principio, ma tende a realizzare ciò che afferma. Come è noto, infatti, nel pensiero semitico, la benedizione del Signore produce, per forza propria, benessere e salvezza, così come la maledizione procura disgrazia e rovina. L’efficacia della benedizione si concretizza poi, più specificamente, da parte di Dio nel proteggerci (v. 24), nell’esserci propizio (v. 25) e nel donarci la pace, cioè, in altri termini, nell’offrirci l’abbondanza della felicità.

Facendoci riascoltare questa antica benedizione, all’inizio di un nuovo anno solare, la liturgia è come se volesse incoraggiarci ad invocare a nostra volta la benedizione del Signore sul nuovo anno che muove i primi passi, perché sia per tutti noi un anno di prosperità e di pace. Ed è proprio questo augurio che vorrei rivolgere agli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, i quali prendono parte all’odierna celebrazione liturgica. Saluto il Cardinale Angelo Sodano, mio Segretario di Stato. Insieme con lui, saluto il Cardinale Renato Raffaele Martino e tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Ad essi sono particolarmente riconoscente per l’impegno profuso nel diffondere l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, diretto ai cristiani e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Un saluto cordiale anche ai numerosi pueri cantores, che con il loro canto rendono ancor più solenne questa Santa Messa con la quale invochiamo da Dio il dono della pace per il mondo intero.

Scegliendo per il Messaggio dell’odierna Giornata Mondiale della Pace il tema: "Nella verità, la pace", ho voluto esprimere la convinzione che "dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace" (n. 3). Come non vedere di ciò un’efficace ed appropriata realizzazione nel brano evangelico appena proclamato, dove abbiamo contemplato la scena dei pastori in cammino verso Betlemme per adorare il Bambino? (cfr Lc 2,16). Non sono forse quei pastori che l’evangelista Luca ci descrive nella loro povertà e nella loro semplicità obbedienti al comando dell’angelo e docili alla volontà di Dio, l’immagine più facilmente accessibile a ciascuno di noi, dell’uomo che si lascia illuminare dalla verità, divenendo così capace di costruire un mondo di pace?

La pace! Questa grande aspirazione del cuore d’ogni uomo e d’ogni donna si edifica giorno dopo giorno con l’apporto di tutti, facendo anche tesoro della mirabile eredità consegnataci dal Concilio Vaticano II con la Costituzione pastorale Gaudium et spes, dove si afferma, tra l’altro, che l’umanità non riuscirà a "costruire un mondo veramente più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla verità della pace" (n. 77). Il momento storico nel quale veniva promulgata la Costituzione Gaudium et spes, il 7 dicembre del 1965, non era molto diverso dal nostro; allora, come, purtroppo, anche ai nostri giorni, tensioni di vario genere si profilavano sull’orizzonte mondiale. Di fronte al permanere di situazioni di ingiustizia e di violenza che continuano ad opprimere diverse zone della terra, davanti a quelle che si presentano come le nuove e più insidiose minacce alla pace - il terrorismo, il nichilismo ed il fondamentalismo fanatico - diventa più che mai necessario operare insieme per la pace!

E’ necessario un "sussulto" di coraggio e di fiducia in Dio e nell’uomo per scegliere di percorrere il cammino della pace. E questo da parte di tutti: singoli individui e popoli, Organizzazioni internazionali e potenze mondiali. In particolare, nel Messaggio per l’odierna ricorrenza, ho voluto richiamare l’Organizzazione delle Nazioni Unite a prendere rinnovata coscienza delle sue responsabilità nella promozione dei valori della giustizia, della solidarietà e della pace, in un mondo sempre più segnato dal vasto fenomeno della globalizzazione. Se la pace è aspirazione di ogni persona di buona volontà, per i discepoli di Cristo essa è mandato permanente che impegna tutti; è missione esigente che li spinge ad annunciare e testimoniare "il Vangelo della Pace", proclamando che il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace. Possa questa consapevolezza crescere sempre più, sì che ogni comunità cristiana diventi "fermento" di un’umanità rinnovata nell’amore.

"Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Il primo giorno dell’anno è posto sotto il segno di una donna, Maria. L’evangelista Luca la descrive come la Vergine silenziosa, in costante ascolto della parola eterna, che vive nella Parola di Dio. Maria serba nel suo cuore le parole che vengono da Dio e, congiungendole come in un mosaico, impara a comprenderle. Alla sua scuola vogliamo apprendere anche noi a diventare attenti e docili discepoli del Signore. Con il suo aiuto materno, desideriamo impegnarci a lavorare alacremente nel "cantiere" della pace, alla sequela di Cristo, Principe della Pace. Seguendo l’esempio della Vergine Santa, vogliamo lasciarci guidare sempre e solo da Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre!
01/01/2006 12:33
 
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ANGELUS 1 GENNAIO 2006


Cari fratelli e sorelle!

In questo primo giorno dell’anno la Chiesa fissa lo sguardo sulla celeste Madre di Dio, che stringe tra le braccia il Bambino Gesù, fonte di ogni benedizione. "Salve, Madre santa - canta la liturgia -: tu hai dato alla luce il Re che governa il cielo e la terra per i secoli in eterno". Nel cuore materno di Maria risuonò, colmandolo di stupore, l’annuncio degli angeli a Betlemme: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14). Ed il Vangelo aggiunge che Maria "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Come Lei, anche la Chiesa custodisce e medita la Parola di Dio, mettendola a confronto con le diverse e mutevoli situazioni che incontra lungo il suo cammino.

Guardando Cristo, venuto sulla terra per donarci la sua pace, noi celebriamo a Capodanno la "Giornata Mondiale della Pace", che ebbe inizio per volere del Papa Paolo VI trentotto anni or sono. Nel mio primo Messaggio per questa occasione, ho voluto quest’anno riprendere un tema ricorrente nel magistero dei miei venerati Predecessori, a partire dalla memorabile Enciclica del beato Papa Giovanni XXIII Pacem in terris: il tema della verità come fondamento di un’autentica pace. "Nella verità, la pace": è questo il motto che propongo alla riflessione d’ogni persona di buona volontà. Quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, diventa interiormente coraggioso artefice di pace. Dal tempo liturgico che stiamo vivendo viene a noi una grande lezione: per accogliere il dono della pace, dobbiamo aprirci alla verità che si è rivelata nella persona di Gesù, il quale ci ha insegnato il "contenuto" e insieme il "metodo" della pace, cioè l’amore. Dio, infatti, che è l’Amore perfetto e sussistente, si è rivelato in Gesù sposando la nostra condizione umana. In questo modo ci ha anche indicato la via della pace: il dialogo, il perdono, la solidarietà. Ecco l’unica strada che conduce alla vera pace.

Volgiamo lo sguardo a Maria Santissima, che oggi benedice il mondo intero mostrando il suo Figlio divino, il "principe della pace" (Is 9,5). Con fiducia invochiamone la potente intercessione, affinché la famiglia umana, aprendosi al messaggio evangelico, possa trascorrere l’anno che oggi inizia nella fraternità e nella pace. Con questi sentimenti rivolgo a tutti voi, qui presenti in Piazza San Pietro, e a quanti sono collegati mediante la radio e la televisione, i miei più cordiali auguri di pace e di bene.
04/01/2006 19:47
 
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Udienza Generale 4 Gennaio 2006
CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

1. In questa prima Udienza generale del nuovo anno ci soffermiamo a meditare il celebre inno cristologico contenuto nella Lettera ai Colossesi, che è quasi il solenne portale d’ingresso di questo ricco scritto paolino ed è anche un portale di ingresso in questo anno. L’Inno proposto alla nostra riflessione è incorniciato da un’ampia formula di ringraziamento (cfr vv. 3.12-14). Essa ci aiuta a creare l’atmosfera spirituale per vivere bene questi primi giorni del 2006, come pure il nostro cammino lungo l’intero arco del nuovo anno (cfr vv. 15-20).

La lode dell’Apostolo e così la nostra sale a «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (v. 3), sorgente di quella salvezza che è descritta in negativo come «liberazione dal potere delle tenebre» (v. 13), cioè come «redenzione e remissione dei peccati» (v. 14). Essa è poi riproposta in positivo come «partecipazione alla sorte dei santi nella luce» (v. 12) e come ingresso «nel regno del Figlio diletto» (v. 13).

2. A questo punto si schiude il grande e denso Inno, che ha al centro il Cristo, del quale è esaltato il primato e l’opera sia nella creazione sia nella storia della redenzione (cfr vv. 15-20). Due sono, quindi, i movimenti del canto. Nel primo è presentato Cristo come il primogenito di tutta la creazione, Cristo, «generato prima di ogni creatura» (v. 15). Egli è, infatti, l’«immagine del Dio invisibile», e questa espressione ha tutta la carica che l’«icona» ha nella cultura d’Oriente: si sottolinea non tanto la somiglianza, ma l’intimità profonda col soggetto rappresentato.

Cristo ripropone in mezzo a noi in modo visibile il «Dio invisibile». In Lui vediamo il volto di Dio, attraverso la comune natura che li unisce. Cristo per questa sua altissima dignità precede «tutte le cose» non solo a causa della sua eternità, ma anche e soprattutto con la sua opera creatrice e provvidente: «per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... e tutte sussistono in lui» (vv. 16-17). Anzi, esse sono state create anche «in vista di lui» (v. 16). E così San Paolo ci indica una verità molto importante: la storia ha una meta, ha una direzione. La storia va verso l’umanità in Cristo, va così verso l’uomo perfetto, verso l’umanesimo perfetto. Con altre parole san Paolo ci dice: sì, c’è progresso nella storia. C’è - se vogliamo - una evoluzione della storia. Progresso è tutto ciò che ci avvicina a Cristo e ci avvicina così all’umanità unita, al vero umanesimo. E così, dentro queste indicazioni, si nasconde anche un imperativo per noi: lavorare per il progresso, cosa che vogliamo tutti. Possiamo farlo lavorando per l’avvicinamento degli uomini a Cristo; possiamo farlo conformandoci personalmente a Cristo, andando così nella linea del verso progresso.

3. Il secondo movimento dell’Inno (cfr Col 1,18-20) è dominato dalla figura di Cristo salvatore all’interno della storia della salvezza. La sua opera si rivela innanzitutto nell’essere «capo del corpo, cioè della Chiesa» (v. 18): è questo l’orizzonte salvifico privilegiato nel quale si manifestano in pienezza la liberazione e la redenzione, la comunione vitale che intercorre tra il capo e le membra del corpo, ossia tra Cristo e i cristiani. Lo sguardo dell’Apostolo si protende alla meta ultima verso cui converge la storia: Cristo è «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (v. 18), è colui che dischiude le porte alla vita eterna, strappandoci dal limite della morte e del male.

Ecco, infatti, quel pleroma, quella «pienezza» di vita e di grazia che è in Cristo stesso e che è a noi donata e comunicata (cfr v. 19). Con questa presenza vitale, che ci rende partecipi della divinità, siamo trasformati interiormente, riconciliati, rappacificati: è, questa, un’armonia di tutto l’essere redento nel quale ormai Dio sarà «tutto in tutti» (1Cor 15,28) e vivere da cristiano vuol dire lasciarsi in questo modo interiormente trasformare verso la forma di Cristo. Si realizza la riconciliazione, la rappacificazione.

4. A questo mistero grandioso della redenzione dedichiamo ora uno sguardo contemplativo e lo facciamo con le parole di san Proclo di Costantinopoli, morto nel 446. Egli nella sua Prima omelia sulla Madre di Dio Maria ripropone il mistero della Redenzione come conseguenza dell’Incarnazione.

Dio, infatti, ricorda il Vescovo, si è fatto uomo per salvarci e così strapparci dal potere delle tenebre e ricondurci nel regno del Figlio diletto, come ricorda con questo inno della Lettera ai Colossesi. «Chi ci ha redento non è un puro uomo - osserva Proclo -: tutto il genere umano infatti era asservito al peccato; ma neppure era un Dio privo di natura umana: aveva infatti un corpo. Che, se non si fosse rivestito di me, non m'avrebbe salvato. Apparso nel seno della Vergine, Egli si vestì del condannato. Lì avvenne il tremendo commercio, diede lo spirito, prese la carne» (8: Testi mariani del primo millennio, I, Roma 1988, p. 561).

Siamo, quindi, davanti all’opera di Dio, che ha compiuto la Redenzione proprio perché anche uomo. Egli è contemporaneamente il Figlio di Dio, salvatore ma è anche nostro fratello ed è con questa prossimità che Egli effonde in noi il dono divino.

È realmente il Dio con noi. Amen!
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