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I libri

Ultimo Aggiornamento: 14/04/2019 23:09
20/07/2006 10:28
 
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recensione del libro di melloni
una recensione un po' fuori dal coro che aiuta a capire tante "stranezze" dell'atteggiamento dello scrittore.


Il time-out dell’«officina bolognese»

Domenico Savino
16/05/2006


Un libro amaro quello di Alberto Melloni sull' incipit di Benedetto XVI «L'inizio di Papa Ratzinger», Einaudi, 2006.
Un libro amaro di chi vede tramontare, forse irreversibilmente, la speranza di una «Chiesa-altra» tra i colpi di coda velenosi del cardinal Martini, le dimissioni frettolose di un gesuita d'oltreoceano e le memorie pubbliche e domestiche di qualche anziano professore conciliare, pateticamente avviato sul viale del tramonto.
Un libro che pare - più che altro - il tentativo di certificare, con una prosa sovente ampollosa e non di rado abrasiva, l'esistenza di una minoranza nella Chiesa, di rivendicarne il ruolo storico, di esibire inediti giornalistici e ostentare - senza convincere - capacità di analisi del passato prossimo assieme all'introspezione improbabile del futuro anteriore.
Un libro che sembra talvolta la richiesta disperata di «time out» da parte di chi sognava di «stravincere la partita del Conclave» e si è trovato sotto alla prima «ripartenza» e senza più possibilità di rimonta, consapevole per di più di non essere «nel cannocchiale teologico di Benedetto XVI».
Un libro che ripropone - in chiave revisionista - l'andamento del Conclave, presentandolo come un testa a testa, in cui la vittoria di Ratzinger sarebbe avvenuta contro il «martiniano» Bergoglio, in una ricostruzione che si basa sul «Diario Brunelli», vaticanista del TG2, che ne pubblicò uno degli estratti sulla rivista di geopolitica Limes, traendoli dal memoriale di un misterioso cardinale.

Una versione che serve contemporaneamente a Melloni per accreditare la tesi strumentale secondo cui il Papa sarebbe stato eletto da una maggioranza e non da un plebiscito e che consentirebbe al professore reggiano di affermare - chissà perché - che la vera «vittima» dello scoop giornalistico sarebbe in realtà «il cardinale Martini, al quale si vuole sottrarre (da parte di chi? nda) quel ruolo di grande elettore che egli ha rivendicato e che potrebbe avere degli effetti nel governo della Chiesa».
Una sorte di invocazione per una «grosse Koaliton ecclesiastica», cui l'inizio di Papa Ratzinger non sembra lasciare in realtà molte speranze.
Un libro che celebra come protagonista del Conclave non tanto lo Spirito Santo, quanto padre Raniero Cantalamessa, francescano «carismatico» e predicatore della casa pontificia, che avrebbe dettato nella sua meditazione ai cardinali, precedente il Conclave, soggetto e sceneggiatura in 7 tesi per l'elezione di un Papa, individuato in Ratzinger.
Un libro che frettolosamente si appropria, anche oltre il lecito [«l'enciclica 'Deus est caritas' - scrive Melloni - si presta anche a una forzatura (ovviamente estranea al pensiero dello scrivente, ma pur sempre reale) in ordine al vincolo d'amore tra persone dello stesso sesso]» di tutto ciò che di Benedetto XVI è disponibile, descrivendo Ratzinger come un figlio un po' renitente del Concilio e omettendo di sottolineare le mazzate tremende che con «soave mansuetudine» il Papa ha inferto all'«ermeneutica della discontinuità» ed alla «scuola bolognese», di cui oggi Melloni rappresenta la residua speranza e l'enfant prodige.

Un libro che, mentre si affanna a rivendicare - pro domo sua - «l'immenso diametro del cattolicesimo», appare diretto a rianimare e consolare gli afflitti della Chiesa progressista che fu, nell'elogio malinconico di una supposta quanto indimostrata superiorità morale nella carità, apertura al pluralismo, nostalgia della speranza, lungimiranza nella profezia: un libro vecchio,che sa di ricordi, nascosti tra sottili rimproveri, volpine allusioni, malcelati imbarazzi, saccenti puntualizzazioni, pettegole insinuazioni, impertinenti quesiti.
Un libro che disegna una strategia - quella dell'arrocco - in attesa che la Chiesa colga i segni dei «tempi nuovi», si apra ai nuovi problemi che il «mondo» le pone, dissolvendo il «Dogma della fede» (di cui parla la profezia vera di Fatima) nell'irenismo col «mondo»: una strategia di attesa di «tempi migliori», praticando nel frattempo quella di resistere ed interloquire, arrogandosi il ruolo di ampliare «la visione di una Chiesa che deve ridurre al minimo sia la conversatio con il mondo, sia quella interna, pena la dissoluzione della verità in dialogo».

«Can we talk?'» - si domanda provocatoriamente Melloni riprendendo il titolo di un seminario tenuto alla Fordham University nel settembre 2005 e già conoscendo la risposta del Papa: «Nel governo di Ratzinger come prefetto, la risposta sarebbe stata: 'dipende'».
In quello come Pontefice - ci auguriamo - pure.
Un libro frutto dell'attesa del gran gesto di Benedetto XVI che avrebbe dovuto stupire il «mondo» e che fin qui non c'è stato e che francamente non pare alle viste.
Un libro - dunque - quello di Melloni, da cui traspare l'amarezza dello sconfitto in attesa di rivincita, dell'interpellante cui non è stata data una risposta, che - chissà perché - si riteneva di dover meritare: «non per questo smetterà di esistere, smetterà di attendere che - qualunque sia il progetto o l'esisto delle ristrutturazioni della dottrina alle quali si dedicherà il Pontefice - qualcuno dia un nome a ciò che si aspetta».
Un libro insinuante e pericoloso, perché stende sull'alterigia di uno stile supponente e su una malcelata presunzione di superiorità, il velo fastidioso e sottile d'una falsa umiltà e l'ipocrisia di fraterni e caritatevoli rimproveri al curaro, somministrati col pungiglione d'una prosa talvolta irridente.
Consolato dalla recensione ponderosa di Sergio Romano dalle colonne della pagina culturale de Il Corriere della Sera e dal compiacimento dei cenacoli ecumenici e giudaico-cristiani dell'Infedele di Gad Lerner su LA 7, il libro di Melloni appare a tratti come una lugubre e malaugurante attesa che il pontificato di Ratzinger si decanti, nella speranza di ripartire dalle periferie della «Ecclesia» per realizzare quella «Chiesa-altra» che ne demolisca definitivamente le architravi della tradizione, dopo i decenni - per ora interrotti - dell'autodemolizione conciliare e post-conciliare… sperando magari in qualche presule latino-americano o in qualche cardinale africano espressione - a detta del professor Melloni, in aperta polemica con le parole di Papa Ratzinger - d'un cristianesimo indubbiamente poco consapevole «dei problemi posti dall'irruzione dell'aristotelismo nella teologia medievale,
ma capaci di 'inventare' cose straordinarie come il processo di riconciliazione del Sud-Africa o del Ruanda».


Nel frattempo ci si consola con qualche polemichetta con la Fraternità San Pio X, compiacendosi del fatto che - sottolinea Melloni - «chi sperava in una campagna contro il Concilio è rimasto deluso» (come dimostra anche una inviperita omelia di Fellay del 2 febbraio), tesi questa ribadita anche nella trasmissione di Lerner e segno - evidentemente - di un malcelato nervosismo verso la lettura critica che il Papa del Concilio ha fatto e del timore che le porte della Chiesa si aprano ai seguaci di Lefebvre.
Un sentore comprovato anche dal fatto che nel libro si senta la necessità di sottolineare che «nonostante la cortesia di Ratzinger verso Fellay il sinodo dei vescovi ha pronunziato un solenne elogio della riforma liturgica»: una sottolineatura - questa di Melloni - che esplicita come il timore di una paventata «riforma della riforma» liturgica sia fortissimo in ambito progressista, ben sapendo che questo significherebbe la sconfessione di tutta una certa modalità di interpretare e trasmettere la Fede.
Da ultimo, fedele al proprio personaggio, il professor Melloni, non pago evidentemente dello scambio dialettico intrattenuto col Superiore Generale della Fraternità San Pio X dalle colonne de Il Corriere della Sera nell'estate scorsa, ritiene di poter decretare che l'udienza concessa dal Papa a monsignor Fellay sarebbe stata sciupata dalla scarsa umiltà di quest'ultimo.
Da quale pulpito…

Domenico Savino


alla luce delle sparate di melloni, non posso che concordare con domenica savino soprattutto sulla teoria dell'arrocco, che melloni non fa altro che citare, ricitare e citare di nuovo [SM=g27811] [SM=g27811]
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