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Termini giapponesi nelle fanfiction

Ultimo Aggiornamento: 11/08/2009 13:21
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23/07/2009 23:26
 
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Non so se questa discussione esista già, è da un po' che sono sul forum e non l'ho mai vista. Se già c'era scusatemi^^

Un classico delle fanfiction, soprattutto di quelle ambientate in Giappone, sono i termini Giapponesi messi un po' qua un po' là nel parlato.
Ci sono poi i suffissi (-chan, -san, -kun, e via dicendo), e, in casi particolari, nomignoli usati dai personaggi per chiamarsi tra di loro.

Sono l'unica a cui tutto questo, in una fanfiction scritta in italiano, suona molto strano?

Li ho utilizzati anch'io in passato, ma ora, frequentando lingue orientali, ho avuto modo di rendermi conto non solo che spesso sono usati in modo errato e/o incompleto/ambiguo, ma che, a mio parere, stonano proprio. Mi sono fermata a riflettere e ho provato a capire cosa c'era che non andava.

Se dovessimo seguire il ragionamento "ma i personaggi sono giapponesi," dovremmo scrivere l'intero parlato in giapponese, suppongo.
Ad utilizzare un linguaggio simile, mezzo e mezzo, sono più che altro gli apassionati di anime e manga -e per fortuna non tutti in modo eccessivo-. Nella nostra società, in Italia e di conseguenza parlando in italiano, non c'è nessun altro che incroci termini come "baka", "kawaii", e simili nel suo linguaggio.

Prendiamo quindi, per dire, un Kakuzu in contesto AU, uomo d'affari in Giappone (ma ripeto che la fanfiction è scritta in Italiano): fargli utilizzare certi termini equivale a mettergli in bocca un linguaggio da otaku in pratica. Un uomo d'affari che parla come un apassionato di anime e manga parla con gli amici?
Insomma, scriviamo in italiano e dobbiamo sottostare alle regole della lingua italiana, secondo me. Non per essere pignola, ma esiste il gergo, esistono linguaggi diversi a seconda del contesto, della cultura di una persona, dell'ambiente in cui vive e del con chi sta parlando. Bisognerebbe tenerne conto quando si scrive una fanfiction, cercando di usare questi elementi a proprio favore a seconda delle necessità e del personaggio.

Vale lo stesso per i registri linguistici, in Giappone ci sono, in Italia no. La maggior parte dei fanwriter che non conoscono un po' di giapponese non lo sanno nemmeno, eppure scrivono senza problemi lo stesso, e allora perché usare per forza i suffissi?
In Italia abbiamo il tu e il lei, e se proprio un personaggio vuole chiamare la sua ragazza "puccipucci-chan" si può sempre togliere il -chan e descrivere il tono usato, penso.

C'è poi il problema degli appellativi. Esempio classico: Deidara che chiama Sasori "danna". "Danna" in giapponese vuol dire maestro, marito, padrone, signore, e un altro po' di cose. Qui diventa un problema, perché tradurlo come "maestro", come è stato fatto da Mediaset secondo me è abbastanza orribile, tradurlo come "marito"... beh, potrebbe creare qualche incomprensione. Sugli altri due termini non mi esprimo nemmeno.
Questo è un po' problematico, ma penserò a come aggirare il problema.




Pareri?
Post: 924
Utente Senior
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24/07/2009 10:14
 
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In generale sono d'accordo con te. Ho avuto occasione di sfogliare un libro di grammatica giapponese e effettivamente ci sono talmente differenze a seconda di grado, sesso, età, formale e informale che l'uso di suffissi a caso può essere poco efficace. E come dici, scriverli in italiano in un contesto AU...
Detto ciò tuttavia, credo i suffissi possano venire usati senza esagerazioni, e in modo opportuno. Io per esempio credo che il suffisso -sama sia più efficace di una sua traduzione, così come quello sensei, anche se credo che questo sia più legato all'immaginario che alla realtà.
Poi comunque ci sono i casi come danna. Secondo me quell'appellativo ha moltissime sfumature, quindi tradurlo comporterebbe comunque la perdita di parte di esse, quindi non biasimo chi non lo traduce.
[Modificato da Kagura92 24/07/2009 10:17]

"Ti amo e ti odio.Come possa accadere ciò,forse ti chiedi.Non lo so ma sento che così accade e me ne tormento"




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Post: 218
Utente Junior
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24/07/2009 10:25
 
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Tuttavia i suffissi sono molto usati anche nei manga che si leggono in italiano: ad esempio ricordo che in Maison Ikkoku erano sempre presenti.
Dipende dall'uso e dal contesto, però secondo me un uso moderato lo si può fare.
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Giudice
Utente Master
Goddess of Pornazz
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24/07/2009 11:04
 
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Io li odio.
Ma io odio anche trovare dei vittoriani che abitano a londra e che mangiano l'amatriciana, quindi forse non conto.

Mi pare una forzatura, quei kamisama et similia... a parte che nessun giappo che ho conosciuto lo dice...
--
Under construction.
Firma in ristrutturazione dopo soli 4 anni!

"Cosa mi dici di te?"
"Beh..." Logan si guardò intorno: l'acqua che inondava il pavimento, le candele, il cavo metallico annodato alla testata del letto, le carte, le bottiglie di birra, lattine di zuppa vuote, le briciole di crackers in mezzo al letto, e Victor che provava con ben poco successo a non ridere. "Sto bene", disse onestamente.



"Se il tuo odio scorre profondo, fa' che diventi la tua anima, il tuo respiro, il sangue nelle vene, il nucleo di ogni tua cellula. Quando ti avrà riempito completamente prendilo e modellalo, plasmalo, fallo diventare la tua arma e scaglialo contro il tuo nemico. Che possa morire distrutto da ciò che egli stesso ha creato." (Mark Volk)
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Utente Gold
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24/07/2009 11:25
 
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Se si può tradurlo meglio, ma se la traduzione fa si che si perda qualcosa (tipo la spontaneità della frase) allora è meglio lasciare l'originale.
Ad esempio, senpai lo si usa per indicare il collega o il compagno di scuola più anziano.
Quindi, Akari-senpai lo si potrebbe tradurre con Akari- compagna di corso più anziana. Argh, la spontaneità della frase e anche ciò che vuol dire verrebbe azzerata. Anche il togliere il senpai andrebbe ad alterare il contesto. In una fanfiction in cui si sente sempre e comunque un personaggio chiamare un altro personaggio aggiungendo il senpai, non metterlo significherebbe snaturare la storia.

Personalmente tendo ad utilizzare i suffissi quando scrivo fanfiction e non li trovo, comunque, fastidiosi. L'importante è, poi, non esagerare utilizzando termini di cui si potrebbe usare la traduzione in italiano senza alcun problema (a meno che non si tratti di termini entrati nell'uso comune - ma questa è una cosa che esiste anche per le altre lingue e non solo per il giapponese -).

Hasta Luego
Post: 218
Utente Junior
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24/07/2009 12:22
 
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Senpai è un termine usatissimo nel linguaggio corrente in Giappone: una mia pen-friend giapponese parla del suo capoufficio sempre e solo come "COGNOME-senpai".
[Modificato da Hotaru-Tomoe 24/07/2009 13:53]
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Post: 2.039
Utente Veteran
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24/07/2009 13:06
 
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Io sono una di quelle che i suffissi li usa e non mi danno alcun fastidio, anzi li trovo utili per sottolineare il "grado" di rapporti tra una persona e l'altra.
Non li uso solitamente nelle fan fiction, ma nelle originali ambientate in Giappone.
Uso il "chan", il "kun", il "san" e il "sama", perché so comunque abbastanza bene il loro significato e quindi mi so più o meno gestire.
Non uso altri termini a parte questi suffissi, non mi sogno minimamente di scrivere "baka" et similia, anche se so cosa vogliono dire. Non mi piacciono e preferisco scrivere le loro traduzioni.
Certo però ultimamente mi sono ritrovata a scrivere un capitolo "particolare" dove ho dovuto utilizzare vari termini giapponesi: quali "yukata" (provate a tradurlo xD) e "onigiri" (andava bene "polpetta di riso"? Mi suonava male...). Per il resto assolutamente.
Lo stesso vale per come nipoti o figli chiamano nonni e genitori, preferisco i termini italiani.
Il "senpai" e il "sensei" non li uso, anche se forse in alcuni casi dovrei.

Nelle fan fiction non li suo perché conosco (purtroppo) più le traduzioni in italiano che le originali giapponesi e non vorrei quindi andare contro una cosa che non conosco, o magari finire OOC.
Lo vedrei innaturale.



"Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti."
Karl Popper
Post: 513
Utente Senior
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24/07/2009 13:19
 
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Oddio, stavo proprio pensando di aprire una discussione del genere....
Comunque, mi sto cimentando da poco nello scrivere su manga/anime o comunque storie ambientate in Giappone... sarà perchè, appunto, il genere mi è nuovo e ho paura di combinare pasticci, ma a me anche usare i suffissi sembra strano, quasi artificioso... mentre invece (e mi pare ovvio) sentirli detti da un giapponese mi sembrano perfettamente naturali *sigh*
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Post: 125
Utente Junior
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24/07/2009 13:55
 
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A me i suffissi danno piuttosto fastidio. In parte perchè il più delle volte non so cosa significhini, e poi mi suonano molto strani. Rispetto, soggezione, parità, secondo me si possono rendere bene anche in italiano. Certo, bisogna far attenzione a filtrare e non far sparire completamente le sfumature, ma la bravura di un buon scrittore sta anche in questo. Forse è un esempio poco azzeccato, ma leggendo Harry Potter si capisce come i personaggi stimino Silente senza sama o altri suffissi strani.
E usare termini come baka mi sembra ancora più strano, come se un inglese in inghilterra, in una storia scritta in italiano, dicesse son of a bitch O_o
Gli unici che mi risultano meno alieni sono sensei(forse merito di karate kid? XD) e vagamente senpai...
Post: 147
Utente Junior
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24/07/2009 16:08
 
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Mi ritrovo abbastanza d’ accordo con quello che hai detto, ma, per quanto riguarda l’ ultimo punto da te elencato, penso che in questo caso l’ uso di termini originali sia adeguato.
Penso che, specie quando si scrive una fan fiction, lasciare immutati alcuni suffissi , che hanno nella storia un ruolo importante e non un preciso corrispettivo italiano, e che oltre ciò sono caratteristici di un certo personaggio e hanno la funzionalità di lasciar intravedere il tipo di relazioni e i rapporti di forza che intercorrono tra protagonisti, sia abbastanza giustificabile. Un –san o un –chan, come hai detto tu, sono facilmente sostituibili dall’ uso del lei o di vezzeggiativi, o anche essere saltati a piè pari, ma quando un suffisso diventa un appellativo abituale e ricorrente, come che so, un ojou-sama riferito a Yoruichi (Bleach), un comunissimo sempai o un raro -dono e anche alcuni titoli onorifici tipici dei manga di arti marziali (che in effetti vengono anche usati in un contesto reale) sostituirli o cercare di tradurli mi pare una forzatura.
È pur vero che operando in questo modo non si tenga conto delle peculiarità della lingua e cultura giapponese (cosa peraltro impossibile date le ovvie barriere linguistiche), e che ciò possa far storcereun po' il naso e dare l’ impressione di un bizzarro patchwork multilinguistico, , ma aiuta anche a trasmettere parte dell’ atmosfera originale del manga o dell’ anime, e anche un certo senso di familiarità con chi in effetti segue una stessa serie.
È da otaku? Possibile. Ma c’ è anche da menzionare il fatto che il lettore medio ormai è abbastanza avvezzo a questo uso (smodato e fuori luogo, a volte) di termini stranieri, e che, volenti o nolenti, questa sorta di ibridazione è sempre più comune (specie nel fandom inglese, però: qui in Italia si è ancora abbastanza moderati).
Ma è un discorso che può essere esteso ad altre categorie: in un romanzo storico o di ambientazione tale in cui tale scelta può risultare plausibile il ricorso a termini stranieri favorisce l’ immedesimazione o può essere lasciato intatto, essendo molte volte il significato della parola utilizzata diventata di dominio pubblico. Io personalmente non mi scandalizzo se ,in un libro dedicato al ciclo arturiano, trovo espressioni come Sir Gwayn al posto di Ser o Cavalier Galvano o Lady Igraine invece di Dama Igraine.
Il purismo linguistico, a volte, deve o può scendere a patti con le necessità narrative, almeno in alcuni, ristretti casi. Perché è verissimo che l’ opposto , cioè uno scritto infarcito di vocaboli stranieri o di origine incerta è certo peggiore di un normale testo redatto completamente in italiano.
Post: 91
Utente Junior
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24/07/2009 17:20
 
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Mi trovo d'accordo su alcune cose, ho letto fanfic che hanno un misto di italiano e giapponese,ad esempio le frasi dette dai personaggi sono normalmente in italiano, ma alcune volte sono anche in giapponese (anche perchè sono le solite frasi che chiunque a forza di sentire e vedere anime impara). Questo mi da un sacco fastidio, ancora peggio quando mi ritrovo tali persone su msn e riempiono ogni frase di "desu".
Ora, a me piace il Giappone, mi piace vedere anime e dorama, quindi quelle frasi semplici le capisco, tuttavia mi da un sacco di fastidio.
Anche se devo ammettere che i suffissi mi lasciano indifferente.
24/07/2009 17:47
 
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Davvero ci sono persone che usano il "desu" scrivendo su msn?
Già è assurdo leggere un miscuglio linguistico simile, se poi aggiungiamo che è pure sbagliato, visto che il "desu" è cortese e che tra amici si usa la forma piana.. .___.°°
Altro esempio classico che potrebbe portare ad incomprensioni è il termine "sensei". Molti pensano che voglia dire unicamente "maestro, insegnane", e invece viene usato in molti più casi, persino con il medico. Se io utilizzassi "sensei" in un contesto atipico avrei buone possibilità di essere fraintesa.

Un esempio clamoroso di termine utilizzato in modo sbagliato è l'"aishiteru" che troppo spess capita di trovare nelle fanfiction, in contesti dove stona. In giappone non viene quasi mai utilizzato per timidezza, viene preferito usare lo "suki", letteralmente "piacere". E' un "mi piaci" al posto di un "ti amo", in pratica, usato perché il primo suona troppo impegnativo, ed è comunissimo tra i giovani.
Posso capire se un'autrice in una fanfiction fa dire ad un suo personaggio "ti amo" in un contesto in cui a me non sarebbe sembrato il caso (ci sono eprsone dal "ti amo" facile, e da noi non è così strano dirlo), ma un "aishiteru" davvero non lo capisco. E' una traduzione diretta, ma è il classico esempio dove bisognerebbe usare la propria, di lingua.

Per quanto riguarda i termini di uso comune come "yukata", "onigiri", "sushi", "kimono" e via dicendo sono entrati nella nostra lingua almeno quanto sono entrati "jeans" e "film". Fanno parte del linguaggio italiano. Sarebbe assurdo tradurre "onigiri" come "polpette di riso", visto che non sono polpette di riso, o almeno non solo. Vale lo stesso per i nomi di tutte le pietanze, per quanto mi riguarda. Stesso discorso con termini come "waka" o "nikki", ma questi li farei utilizzare unicamente ad un personaggio che, all'interno della storia, abbia un certo tipo di cultura. Qualcuno che possa effettivamente conoscerli, in breve.

Post: 1.094
Utente Veteran
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25/07/2009 00:44
 
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Personalmente li odio. A morte.
Non li sopporto, proprio no. Mi dà contemporaneamente fatica, fastidio e una puntina di disgusto leggere robe con dodici cappa che nemmeno so cosa significhino. Sarà ignoranza mia, per carità, ma mi farebbe piacere afferrare almeno il 70/80% di ciò che sto leggendo.
Anzi, forse una volta sono caduto nell'eccesso opposto: mi è stato fatto notare, peraltro con fondamento, che un ragazzo cinese difficilmente bestemmierebbe una certa signora vergine della cultura cattolica (non che fosse proprio una bestemmia, ma era un'esclamazione piuttosto forte).
ST: Stormrider - Iced Earth.




Extreme Improvisation Project
Ingredienti per l'uso:

un programma di messaggistica istantanea, tipo MSN o Skype;
due o più persone minimamente capaci di buttare giù una storia;
voglia di scrivere insieme.

Aggiungere una totale disorganizzazione di partenza, intuito, affinità elettive, Libertà assoluta e spregiudicata.

Primi risultati:
Mattia e Arcibaldo (Kaos e Rowina)
Mikhaila Vartusan, l'Arpia dello Spazio (Kaos e Dragon)
La Mezzamorta (Kaos e Jan)
Fantasmagoria (Kaos e AhiUnPoDiLui)
Post: 50
Utente Junior
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26/07/2009 22:21
 
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mah, dipende.
per i suffissi non ho problemi, purchè siano giustificati dal contesto. per esempio, in una fanfiction su un manga ambientato in giappone, o anche per un originale ambientata sempre nella terra del sol levante mi sembrano al loro posto.
-sempai o -sensei, o anche -chan o -kun mi sembrano equiparabili a mademoiselle o monsieur, dopotutto. [SM=g7560]
per il resto mi sembra esagerato, o anche peggio forzato mettere termini stranieri in una storia scritta in italiano.


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

La “seconda vista” di cui gli artisti, in quanto tali, sono dotati, consente loro di andare oltre, oltre la superficie delle cose, oltre la maschera di un volto, oltre la densità e opacità del reale, oltre la mera visibilità ottica del mondo. La “seconda vista” è dunque una visione oltrepassante: scorge nel visibile l’invisibile.
- Gavina Cerchi -
Post: 21.538
Utente Gold
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27/07/2009 10:16
 
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-sempai o -sensei, o anche -chan o -kun mi sembrano equiparabili a mademoiselle o monsieur, dopotutto.
per il resto mi sembra esagerato, o anche peggio forzato mettere termini stranieri in una storia scritta in italiano.



Quindi tu dici di usare mademoiselle al posto di senpai per evitare di usare un termine giapponese (usandone uno francese)?
Al posto dello Yen useremo l'euro?

Edit.
Dimenticavo.
Tra l'altro non possiamo neanche considerarli giusti come termini.

Hasta Luego
[Modificato da suinogiallo 27/07/2009 10:37]
Post: 659
Utente Senior
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27/07/2009 10:39
 
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Re:
suinogiallo, 7/27/2009 10:16 AM:



Quindi tu dici di usare mademoiselle al posto di senpai per evitare di usare un termine giapponese (usandone uno francese)?
Al posto dello Yen useremo l'euro?





Credo che intendesse dire che in una storia ambientata in Francia, un "mademoiselle" usato al posto di "signorina" ci possa stare e così in una storia ambientata in Giappone ci può stare un "senpai" o un "-chan" usati nel giusto contesto


Post: 50
Utente Junior
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27/07/2009 10:58
 
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Re:
suinogiallo, 27/07/2009 10.16:


Quindi tu dici di usare mademoiselle al posto di senpai per evitare di usare un termine giapponese (usandone uno francese)?
Al posto dello Yen useremo l'euro?



ehm, no...in verità intendevo quello che ha detto eugeal

eugeal, 27/07/2009 10.39:



Credo che intendesse dire che in una storia ambientata in Francia, un "mademoiselle" usato al posto di "signorina" ci possa stare e così in una storia ambientata in Giappone ci può stare un "senpai" o un "-chan" usati nel giusto contesto



infatti


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

La “seconda vista” di cui gli artisti, in quanto tali, sono dotati, consente loro di andare oltre, oltre la superficie delle cose, oltre la maschera di un volto, oltre la densità e opacità del reale, oltre la mera visibilità ottica del mondo. La “seconda vista” è dunque una visione oltrepassante: scorge nel visibile l’invisibile.
- Gavina Cerchi -
Post: 21.538
Utente Gold
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27/07/2009 11:00
 
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Re: Re:
eugeal, 27/07/2009 10.39:



Credo che intendesse dire che in una storia ambientata in Francia, un "mademoiselle" usato al posto di "signorina" ci possa stare e così in una storia ambientata in Giappone ci può stare un "senpai" o un "-chan" usati nel giusto contesto






Rleggendo la frase alla luce di quanto dici può essere anche se, ad esempio, nel caso di mademoiselle avremmo una traduzione italiana del termine, nel caso di -cha, -kun o senpai (ma anche nel caso di oni-chan se andiamo bene a vedere dato che spesso viene usato anche quando non ci sono rapporti di parentela e tradurlo sempre e solo con fratello mi darebbe una idea diversa) una traduzione esatta non c'è.

Secondo me, ripeto, l'importante è non esagerare ne da una parte ne dall'altra (nessun termine, termini usati a sproposito).

Hasta Luego
Post: 739
Utente Senior
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27/07/2009 12:02
 
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Io sono dell'idea che alcuni termini Giapponesi - come diceva suino - non possano essere sostituiti con altrettanti termini italiani proprio perchè, magari, non si riesce a rendere la stessa enfasi o proprio lo stesso significato nel caso della nostra lingua.
Poi, esistono anche altri motivi per non tradurre alcuni termini... Portando casi specifici ne cito uno da Saint Seiya: il caso di Shun e di suo fratello Ikki.
Nella versione Italiana il "Niisan" di Shun è stato tradoto con il semplice "Fratellone", forse perchè "niisan" detto dal doppiatore Italiano non aveva lo stesso effetto che aveva, invece, sul doppiatore Giapponese; fatto sta che il "fratellone" ancora oggi mi suona strano.
Il "niisan" che Shun gnaula a Ikki ogni sacrosanta volta è un po' come il suo marchio di fabbrica, non posso pensare di tradurlo con un semplice "fratellone" - per quanto il significato Italiano sia reso BENISSIMO - perchè è proprio il suono - nella mia testa - che risulterebbe molto diverso.
Questo è un caso limite, sottolineo questo, ma ci sono scelte linguistiche che - spesso - dipendono anche da queste cose XD
Parlando di me, DIFFICILMENTE inserisco termini giapponesi che non siano niichan, niisan o il loro corrispettivi femminili.
Ogni tanto mi è sfuggito anche qualche aniki e senpai e kohai sono sempre presenti, qualora le mie fanfiction o originali lo richiedano.

Piuttosto, molto spesso, tendo ad usare termini appartenenti alla lingua tedesca - spero senza abusarne - che a mio avviso sono richiesti dal contesto...
Vi metto un caso tratto da una delle mie fanfiction su Captain Tsubasa: "Ich liebe dich, mein liebe Freund" [Anche se sospetto che quel "mein" debba essere un meinen o un meiner XD]
Perchè non fargli dire semplicemente: "Ti amo/ti voglio bene, mio caro amico?"
Sinceramente è perchè in Italiano mancherebbe di tutti quegli espedienti linguistici che io trovo affascinanti e musicali...
Ad esempio: la ripetizione del termine liebe, prima come verbo e poi come aggettivo; il dubbio che si nasconde dietro la polivalenza del termine Ich liebe dich che è pur sempre un "ti voglio bene" molto profondo, ma in alcuni casi - credo soprattutto nella Germania del Nord da Amburgo o giù di lì - viene usato anche per amici di vecchia data - ed è questo il contesto della dichiarazione - e per polivalenza parlo di un "Ich liebe dich" che, seppur immutato nella forma prettamente grammaticale, ha cambiato significato nel tempo, diventato il corrispettivo di un "Ti amo" italiano.
E proprio perchè in italiano diciamo "ti voglio bene" e "ti amo" tutto questo ragionamento sul mutamento 'interiore' di quella frase va a farsi benedire... XD

In ogni caso, sottolineo ancora che si tratta di casi limite eh XD
wb . da . efp . fw . elf . yt . lj . fb . ƒrance

Don't cry for me Argentina The truth is I never left you All through my wild days My mad existence I kept my promise Don't keep your distance And as for fortune, and as for fame I never invited them in Though it seemed to the world they were all I desired
Post: 125
Utente Junior
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27/07/2009 14:34
 
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Piuttosto, molto spesso, tendo ad usare termini appartenenti alla lingua tedesca - spero senza abusarne - che a mio avviso sono richiesti dal contesto...
Vi metto un caso tratto da una delle mie fanfiction su Captain Tsubasa: "Ich liebe dich, mein liebe Freund" [Anche se sospetto che quel "mein" debba essere un meinen o un meiner XD]


E l'Amico Lettore, trovandosi davanti questa frase, cosa dovrebbe capire? Personalmente io penserei che si stia parlando di Freud(insomma, una n in meno, che differenza farà mai? XD)e basta.
Se viene usato come essen per indicare il mangiare degli uomini e fressen il mangiare degli animali in "Se questo è un uomo", con le dovute spiegazioni e nei contesti giusti, ben venga :)
E' proprio un caso limite, come hai detto XD


Credo che intendesse dire che in una storia ambientata in Francia, un "mademoiselle" usato al posto di "signorina" ci possa stare e così in una storia ambientata in Giappone ci può stare un "senpai" o un "-chan" usati nel giusto contesto


Io sto leggendo orgoglio e pregiudizio ora, ma mi confondo sempre tra mr e mrs, se letti in fretta sembrano così simili [SM=g7532]
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