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"Motu Proprio"

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2009 20:53
17/10/2008 10:09
 
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Culto Divino: Il Papa ama il latino, ma governa da tedesco

Ott 14, 2008 il Riformista

Che la Chiesa consideri la liturgia come l’acme di tutta la sua vita è cosa risaputa. Del resto lo ha detto pure il Concilio Vaticano II che la liturgia è «fonte e culmine della vita della Chiesa». E che le cose stiano in questo modo lo si capisce bene anche dall’attenzione tutta particolare che Benedetto XVI sta dedicando al “ministero” della curia romana che, appunto, di liturgia si occupa: la congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Tanto che proprio qui, nelle prossime settimane (si dice entro il 2008), per volere del Pontefice avverrà un doppio cambio al vertice: in un sol colpo, probabilmente distanziati di qualche settimana, cambieranno sia il prefetto, il cardinale nigeriano Francis Arinze, che il segretario, il cingalese Malcolm Ranjith.
L’addio di Arinze non fa parlare più di tanto. È un addio previsto: il porporato, infatti, lascerà per motivi di età. Al suo posto si parla con insistenza dell’arrivo a Roma del cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, arcivescovo di Toledo. Questi, oltre a dirigere una diocesi piccola ma prestigiosa tanto che gli vale la qualifica di primate di Spagna, è porporato che ha sempre contrapposto alla politica laicista del premier Zapatero una linea dura e, soprattutto, consumata a colpi di manifestazioni sul campo, tra la gente, in piazza. E, infatti, per Zapatero, l’eventuale partenza di Cañizares non sarebbe una brutta notizia.
Molto, invece, fa parlare la partenza di Ranjith. Benedetto XVI, una volta divenuto Pontefice, dimostrò di stimare a tal punto il presule cingalese da chiamarlo subito al Culto Divino: dopo l’arrivo di William Joseph Levada a prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede, quella di Ranjith fu la seconda nomina di rilievo effettuata dal Papa. Fu un segnale: in sostanza, Ranjith si insediava a Roma come uno di quelli della cerchia degli stretti collaboratori personalmente scelti dal Papa.
Benedetto XVI mise Ranjith al posto di monsignor Domenico Sorrentino, promosso vescovo di Assisi, le cui idee probabilmente non erano, liturgicamente parlando, consone con quelle del Pontefice. A Ranjith, infatti, il Papa chiedeva anzitutto una cosa: aiuto nell’attuazione e comprensione del motu proprio Summorum Pontificum dedicato alla messa in latino secondo il rito antico. Ma poi qualcosa è cambiato. Ranjith, in effetti, si è dato da fare più volte contro la cosiddetta “ribellione” di alcuni episcopati mondiali restii ad attuare nelle proprie diocesi una corretta applicazione del motu proprio. Ma c’è chi sostiene che questa continua denunzia sia stata portata avanti con troppa enfasi tanto da far sembrare che, dietro la promulgazione del Summorum Pontificum, vi fosse la volontà di screditare ciò che, dopo l’antico rito, c’è stato: la riforma liturgica del post Concilio e quindi il novus ordo. Di qui, sempre secondo alcuni, l’allontanamento di Ranjith che in qualche modo potrebbe dare spago a coloro che, nella Chiesa, non amano il motu proprio e il conseguente ritorno dell’antico rito. Ma, in realtà, pare che le cose stiano anche in un altro modo. Benedetto XVI è parecchio preoccupato per le sorti dei cristiani in Asia e in particolare nel sud est asiatico. Lo Sri Lanka, come l’India, è teatro di violenze portate avanti dai buddisti tradizionalisti contro i cristiani colpevoli di rovinare «la millenaria armonia del paese». E l’invio di Ranjith in una diocesi prestigiosa come quella di Colombo - potrebbe garantirgli anche la berretta cardinalizia - è un modo per rispondere a questa offensiva. Alla liturgia e all’antica messa in latino ormai liberalizzata - per il Papa il rito è uno solo ma ci sono due modi, l’antico e il nuovo, per celebrarlo - ci penserà qualcun’altro.


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