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"Motu Proprio"

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2009 20:53
17/07/2007 18:50
 
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Una tradizione che torna

Meglio le messe in latino che quelle con coretti e chitarre rock

di Marco Travaglio

Con un documento chiamato motu proprio, Papa Ratzinger ha autorizzato i fedeli che ne fanno richiesta ad assistere alla messa antica in latino secondo il messale di papa Giovanni XXIII al posto di quella in lingua volgare. La richiesta dovrà pervenire da gruppi di almeno 30 persone e potrà essere soddisfatta anche senza il parere dei vescovi.
Finora la parola del vescovo era vincolante: se lui era contrario, i credenti tradizionalisti dovevano andarsene altrove. Naturalmente la decisione di Benedetto XVI ha suscitato polemiche e critiche a non finire, in nome di un preteso progressismo contrapposto al presunto oscurantismo ratzingeriano. Certi commentatori improvvisati di cose di Chiesa , sempre pronti ( e spesso con piena ragione ) ad accusarlo di ingerenze in campo politico, ora pretendono di insegnare al Papa come si fa il Papa anche quando si muove nei campi suoi propri: la dottrina e, in questo caso, la liturgia. Ma il motu proprio sulla messa antica non è affatto oscurantista, come qualcuno ha detto. Anzi è il massimo della democrazia. Le messe normali continueranno a celebrarsi nelle lingue nazionali : litaliano in Italia, il francese in Francia e così via. Ma, se qualcuno preferisce quella antica in latino (che fra laltro resta la lingua ufficiale della Chiesa), sarà accontentato. E non si vede perché qualche trombone, che magari a messa neppure ci va, dovrebbe impedire alla gente di scegliersi il rito che preferisce. Oltretutto non è vero niente che la messa antica del Concilio di Trento (1563) riformata da Roncalli nel 1962, vada contro il Concilio Vaticano II.. Per la semplice ragione che Ratzinger è stato uno dei padri del Concilio e che il Vaticano II non riformò la liturgia. La riforma che di fatto abolì la messa in latino arrivò dopo, nel 1969, in piena ubriacatura sessantottina che vedeva il male assoluto in qualunque segno della tradizione. Qualcuno temeva che, con la messa antica, tornasse lorribile formula antisemita nella preghiera pasquale per i perfidi giudei: non è così, visto che laveva già cancellata Papa Giovanni. Qualcun altro paventa che si dia spago ai seguaci del vescovo scismatico Marcel Lefebvre, scomunicato per aver ordinato vescovi a dispetto di Roma, ma lo scisma Lefebvre dipende da ben altre questioni (il rifiuto del Concilio e dellecumenismo) e semmai lapertura alla tradizione potrebbe indurre alcuni lefebvriani a tornare allovile.
Personalmente ho assistito qualche volta, nella splendida chiesa della Misericordia in via Barbaroux a Torino alla messa antica, col prete rivolto verso il tabernacolo anziché verso i fedeli, con i chierichetti in ginocchio e con la sola omelia in italiano. Niente chitarre o batterie, se Dio vuole. Solo organo a canne, solo canti gregoriani. Molto più solenne e suggestiva, ma anche più consona al raccoglimento. Diciamo pure molto più bella. Cè qualcosa di male se qualcuno la preferisce così? Forse che le preghiere in latino, semprechè chi le fa lo conosca, valgono meno?
E poi, lo confesso, quando sento certe chitarre in chiesa, mi vengono istinti omicidi. E non è bello, durante una messa, desiderare la morte di qualcuno. Come dice il Padre Nostro, non ci indurre in tentazione.

© Copyright A Anna, n. 28 del 15 luglio 2007


Certo che meglio le Messe in latino... e senza chitarre!!!! [SM=g27823]



Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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La novità nella celebrazione della messa decisa da papa Benedetto XVI con motu proprio

Latino, parroci soddisfatti

A S. Gordiano un gruppo di fedeli pronto a chiedere il vecchio rito

di STEFANIA MANGIA

Parroci soddisfatti per il Motu proprio deciso da papa Benedetto XVI col quale si introduce la possibilità di celebrare la messa col vecchio rito latino (in base al Messale romano di Pio V riformato da Giovanni XXIII nel 1959). I parroci sottolineano come il latino non fosse mai stato abolito e il senso ecumenico della novità che entrerà in vigore il 14 settembre. A S.Gordiano un gruppo di fedeli già pronto a chiedere il ritorno al vecchio rito.
Il latino nella messa cattolica: né vezzo elitario, né presuntuoso intimismo e nemmeno nostalgico ritorno al passato.
Un giro in alcune parrocchie è stato quanto mai utile per capire cosa ne pensano i parroci e per approfondire il significato della recente decisione papale che entrerà in vigore il 14 settembre prossimo.
«Quella di Papa Benedetto XVI non suona affatto come una restaurazione - spiega don Franco Fronti, in questi giorni sostituto di don Vito Passantino, a San Liborio - da sempre il latino è la lingua della Chiesa e da sempre cè la possibilità di celebrare in latino: prima serviva lautorizzazione del Vescovo, adesso, se richiesta da un gruppo di fedeli, la messa più facilmente potrà essere celebrata nellantica lingua. E non necessariamente ogni giorno - conclude - ma in momenti liturgicamente rilevanti o solenni, o in contesti eccezionalmente multiculturali: il latino unirà cattolici divisi da lingue volgari diverse».
Anche per don Giuseppe Verdecchia, dei Salesiani, tale provvedimento va letto nellottica dellecumenismo: «Lunità della chiesa è molto importante, anche e soprattutto alla luce di scismi come quello del vescovo Marcel Lefebvre».
Padre Appio Rosi, dei Cappuccini, afferma: «Nessun cambiamento sconvolgente. Quello apportato dal Concilio Vaticano II lo fu realmente: rivoluzionò il modo di celebrare con il sacerdote che, da una posizione di portavoce del popolo verso Dio (spalle ai fedeli), si aprì verso la platea, ricordando il vero significato della parola ecclesia, assemblea. E poi la rivoluzione copernicana della lingua volgare, accessibile a tutti, non solo nellomelia. Già allora si poteva celebrare in latino. Certo, per una serie di non semplici passaggi burocrativi non lo si faceva spesso ma ora come allora il latino, un po come nella giurisprudenza, esprime con forza concetti teologici chiari, non soggetti ad ambigue interpretazioni post traduzione. Questa decisione si applicherà in contesti particolari, come la chiesa di San Pietro, dove coesitono quotidianamente lingue diversissime o quando un grupo di fedeli ne esprimerà il desiderio. Certo - conclude - il celebrante come i fedeli richiedenti dovranno masticare bene il latino, altrimenti si ridurrà a vuota esteriorità il valore della celebrazione stessa.
« La polemica è solo italiana  afferma deciso don Giuseppe Lamanna, parroco di Campo dellOro  nessuno vuole imporre il latino a chi non lo conosce! Il Papa dà unopportunità in più di sottolineare che il latino è stato, è e sarà la lingua ufficiale della religione cattolica. In questo modo, soprattutto in momenti particolarmente solenni o multietnici non esisteranno problemi di comunicazione».
E don Franco Nardin, parroco a San Gordiano, aggiunge: «Ho apprezzato questo tentativo di ricomporre lunità, sempre più minata, della Chiesa. Nella mia realtà parrocchiale, appena appresa questa novità, alcuni fedeli mi hanno chiesto di organizzarmi subito per la prima messa in latino&».

© Copyright Il Messaggero, 16 luglio 2007
Papa Ratzi Superstar









"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
17/07/2007 19:03
 
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LE IDEE

Caro Balletto sulla messa tridentina farò l´obiettore

Non è una banale questione di liturgia ma uno scontro di culture

DON PAOLO FARINELLA

DISPIACE che una delle «teste ordinate e ben fatte» come don Balletto abbia fatto cilecca d´un colpo, scrivendo dotte considerazioni filosofiche sul «Messa in latino» e sull´estetica della lingua latina. Questo modo di presentare il documento pontificio «Summorum Pontificum» è deformante, falso e purtroppo ci cascano tutti forse perché è un modo innocuo per far passare scelte destabilizzanti, mistificatorie e sbagliate.
No, caro don Antonio Balletto! Io non ci sto a questo irenismo di un colpo al cerchio e uno alla botte proposto alla fine dell´articolo. Il motu proprio di Benedetto XVI non restaura la «messa in latino», ma autorizza i fedeli a chiedere la celebrazione della «Messa tridentina», detta di Pio V, ritoccato più volte da Clemente VIII, Urbano VIII, Pio X, Benedetto XV e Pio XII. E´ una questione totalmente differente. Che la Messa di Pio V sia in latino o in greco o in siriano o in genovese è ininfluente perché puramente accidentale, ciò che invece è tragico, antistorico e dubbio da un punto di vista dottrinale, riguarda la restaurazione pura e semplice della teologia e della ecclesiologia che sottostanno al rito tridentino. Teologia ed ecclesiologia che configgono con il magistero successivo (potrei portare in qualsiasi sede ampia facoltà di prova) e specialmente con il magistero di Giovanni XXIII, Paolo VI e del Concilio, la cui Messa riformata da sempre si può dire in latino, se occorre la necessità. Io stesso l´ho utilizzata con amici polacchi.
I nostalgici lefebvriani hanno fatto della Messa la loro bandiera, ma dietro c´è un esercito di motivi teologici che essi contestano. Essi rifiutano a piè di lista il concilio ecumenico Vaticano II, definiscono Paolo VI papa demoniaco, i papi da Paolo VI a Giovanni Paolo II papi scismatici e senza autorità. Hanno formulato negli anni ´80 la tesi teologica detta di «Cassiaciacum» con cui dimostrano che questi papi pur essendo stati eletti legittimamente, non hanno ricevuto la potestà apostolica per cui non hanno autorità sulla chiesa. I fedeli non sono tenuti ad ubbidirgli, altro che latino!
Il papa non si limita a concedere «la Messa in latino», ma concede il «messale di Pio V», contrabbandato come «messale di Giovanni XXIII» che è un falso storico, dal momento che questi si è limitato ad aggiungere il nome di San Giuseppe nel canone e a togliere l´espressione «pro perfidis Iudaeis», editando il messale precedente in tutto e per tutto perché ancora non era giunta la riforma conciliare. Accanto al messale tridentino concede l´uso del «sacramentario» cioè la celebrazione dei sacramenti (battesimo, cresima, matrimonio, ecc.) secondo i riti preconciliari.
Addirittura a chi ne ha l´obbligo concede l´uso dell´antico breviario, azzerando in un solo colpo la riforma di Paolo VI che parlava di «Novum Messale» e di «Liturgia delle Ore».
Non è una questione banale di lingua che non interessa nessuno, è uno scontro titanico di culture e di teologie. Dietro Pio V c´è la teologia della Chiesa senza popolo: attore del culto divino è solo il prete che parla da solo come e scandisce in forma magica le parole consacratorie; c´è l´antigiudaismo viscerale, c´è la visione del mondo come «cristinairìtà», ecc..
Dietro Paolo VI c´è la chiesa popolo di Dio che è il soggetto celebrante, c´è la Chiesa «nel mondo»; c´è il popolo ebraico «fratello maggiore»; c´è la coscienza come termine ultimo di decisione, ecc. Dietro a tutto vi sono due ecclesiologie, due modi di concepire il mondo, l´uomo, le relazioni con gli Stati, la libertà religiosa e di coscienza. Altro che latino, lingua bella e formatrice di teste pensanti! Se questi sono i risultati, significa che il latino ha costruito teste fragili e pensieri deboli e sensibilità bambine.
Don Balletto vuole la prova? Il Capo degli scismatici lefebvriani: Bernard Fellay ha già dichiarato che questo è solo l´inizio perché ora si tratta di affrontare tutti i problemi che stanno dietro la Messa di Pio V e cioè i problemi dottrinali incompatibili con il Vaticano II. Questo motu proprio, un vero blitz del papa tedesco contro il parere della quasi totalità dei vescovi e dei cardinali, è solo l´inizio di una valanga. Infatti, coerentemente, ad esso è seguito l´ultimo documento della Congregazione della fede che ancora una volta sconfessa Paolo VI e il Concilio e chiude definitivamente il dialogo ecumenico. Non mi meraviglia questo secondo documento perché è in pieno nella logica della teologia e dell´ecclesiologia tridentina espressa nel messale di Pio V, sia che sia in latino sia che sia in genovese.
Il papa è ossessionato dal concilio e intende metterlo in soffitta. Non ci riuscirà perché anche i papi sbagliano e questo cammino antistorico all´indietro gli si ritorcerà contro, come sta già avvenendo.
La Lega di Bossi ha già mobilitato i suoi xenofobi a pretendere dai parroci la «Messa del passato» e il ritorno alla teologia di ieri, l´abolizione del concilio e il ripristino del magistero di sempre. Don Balletto è servito anche in lingua padana. Per quanto mi riguarda in quanto prete io mi dichiaro obiettore di coscienza in nome e per conto di Paolo VI e per fedeltà al Concilio ecumenico vaticano II.

© Copyright Repubblica (Genova), 15 luglio 2007


Sì, si vede che lo conosci bene il Concilio! [SM=g27825] Una domandina: tu non dovresti in realtà obbedire il Papa regnante? [SM=x40791]

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Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 17/07/2007 18.50:


Una tradizione che torna

Meglio le messe in latino che quelle con coretti e chitarre rock

di Marco Travaglio

...





OTTIMO!!! [SM=g27811]



[Modificato da Sihaya.b16247 17/07/2007 23:24]
17/07/2007 23:34
 
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Re: Dal blog di Lella...
Paparatzifan, 17/07/2007 19.03:


LE IDEE

Caro Balletto sulla messa tridentina farò l´obiettore

Non è una banale questione di liturgia ma uno scontro di culture

DON PAOLO FARINELLA

...
© Copyright Repubblica (Genova), 15 luglio 2007


Sì, si vede che lo conosci bene il Concilio! [SM=g27825] Una domandina: tu non dovresti in realtà obbedire il Papa regnante? [SM=x40791]




Questo Farinella non è nuovo a certi commenti (se ben ricordo un altro articolo in questo forum, non vorrei confonderlo con altri)...Ma di cosa ha paura? Che si ritorni ad essere seri?
E poi, che furbone, Scalfari, a far scrivere dalle colonne di Repubblica un...ehm...Merlo in tonaca! [SM=g27828]
18/07/2007 23:08
 
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Re: Re: Dal blog di Lella...
Sihaya.b16247, 17/07/2007 23.34:



Questo Farinella non è nuovo a certi commenti (se ben ricordo un altro articolo in questo forum, non vorrei confonderlo con altri)...Ma di cosa ha paura? Che si ritorni ad essere seri?
E poi, che furbone, Scalfari, a far scrivere dalle colonne di Repubblica un...ehm...Merlo in tonaca! [SM=g27828]


Sì, è questo prete qua! Uno a cui piace la polemica!!! [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812]




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Da Petrus

"Mai più perfidi giudei": la soddisfazione del mondo ebraico

CITTA’ DEL VATICANO - Le comunita' ebraiche italiane sono soddisfatte per la disponibilita', annunciata ieri dal segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, di eliminare la preghiera per la conversione degli ebrei contenuta nel messale pre-conciliare in latino, liberalizzato di recente da Benedetto XVI. Gli esponenti ebraici auspicano soprattutto - per dirla con le parole del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni - una ''conclusione sollecita della vicenda'' da parte della Santa Sede. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, ha ricordato che lo stesso Papa Benedetto XVI, nella lettera di spiegazioni del suo Motu Proprio sulla messa in latino, prevedeva la possibilita' di ritocchi, modifiche, aggiustamenti al messale risalente al 1962. ''Il testo - ha detto Lombardi - non va inteso in una sorta di fissita' definitiva, come qualcosa di eterno''. E in questo senso si spiegano le parole di Bertone. La preghiera per la conversione degli ebrei, scomparsa nel 1970 con la riforma post- conciliare di Paolo VI, torna formalmente ad avere cittadinanza nella liturgia cattolica a partire dal prossimo settembre, quando entrera' in vigore la liberalizzazione della messa pre-conciliare. Non si tratta della versione piu' antica (e anti-semita), quella dei ''perfidi giudei'', gia' epurata nel 1959 da Giovanni XXIII. Tuttavia nel messale in latino messo a punto da papa Roncalli nel 1962 e riproposto adesso da Benedetto XVI rimane l'invocazione a Dio perche' tolga il ''velo'' dal cuore dei giudei (Iudaei), li salvi dalla loro situazione di ''accecamento'' e di ''tenebre''. Ieri il card. Bertone, in una conferenza stampa in Cadore a pochi chilometri dalla villetta dove soggiorna Ratzinger, ha detto che ''si potrebbe studiare l'eliminazione della preghiera'' e con cio' risolvere ''ogni problema'' con le comunita' ebraiche, preoccupate da possibili rigurgiti antisemiti. Le dichiarazioni del segretario di Stato vaticano ''sgombrano il campo dai timori'', ha commentato il presidente dell'Unione delle Comunita' ebraiche italiane, Renzo Gattegna (nella foto). ''Si tratta - ha spiegato - di frasi molto precise e molto chiare che confermano la disponibilita' della chiesa cattolica a proseguire nel dialogo fra ebrei e cristiani su un irrinunciabile piano di pari dignita'''. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha rimarcato ''la fondatezza delle preoccupazioni ebraiche sul fatto che fosse possibile il ripristino di una preghiera inquietante''. ''Sono contento comunque - ha aggiunto - che il cardinale abbia dimostrato disponibilita' ad affrontare il problema''. Secondo Di Segni e' necessaria, in ogni caso, ''una conclusione molto sollecita del problema perche', se non fosse risolto, non gioverebbe al dialogo un clima di incertezza e di sospetto''. Bertone ha ipotizzato che la preghiera giudicata offensiva dagli ebrei venga sostituita semplicemente, anche nel messale in latino, da quella introdotta da Paolo VI nel 1970. ''Preghiamo per gli ebrei. Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedelta' alla sua alleanza'', si recita nel testo post- conciliare che resta tuttora valido nel rito ''ordinario'' cattolico.


30/07/2007 17:29
 
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L'accoglienza del Motu proprio “Summorum pontificum” /2 Il cardinale Martini: non celebro in latino

di Mattia Bianchi

L'arcivescovo emerito di Milano interviene nel dibattito sulla liberalizzazione del rito tridentino. Sono legato alla liturgia preconciliare, scrive, ma con il Concilio Vaticano II si è fatto un bel passo in avanti.

È una posizione che farà discutere. Nessuna critica al papa e anche spazio ai ricordi personali, ma il cardinale Carlo Maria Martini annuncia che non celebrerà la messa con il messale preconciliare. L'arcivescovo emerito di Milano ne parla in un intervento pubblicato sul supplemento domenicale de “Il Sole 24 Ore”: un testo per confermare il legame alla liturgia antica usata “dalla prima comunione all'ordinazione sacerdotale” e al tempo stesso, chiarire tre concetti che suonano come delle vere e proprie perplessità sulla liberalizzazione decisa da Benedetto XVI.

In primo luogo, il cardinale spiega di non voler usare il messale antico, “perché ritengo che con il Concilio Vaticano II si sia fatto un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci con la Parola di Dio, offerta in misura molto più abbondante rispetto a prima". "Di fatto bisogna riconoscere che per molta gente la liturgia rinnovata - continua il card. Martini - ha costituito una fonte di ringiovanimento interiore e di nutrimento spirituale". E anche se ci sono stati degli abusi, ''non mi pare tanti presso di noi''.

"In secondo luogo - sottolinea il cardinale - non posso non risentire quel senso di chiuso, che emanava dall'insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo ad esempio in Galati 5,1-17". Al contrario, "sono assai grato al Concilio Vaticano II perché ha aperto porte e finestre per una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile”.

La terza spiegazione tira in ballo la comunione e questioni di praticità.

"Pur ammirando l'immensa benevolenza del papa che vuole permettere a ciascuno di lodare Dio con forme antiche e nuove - conclude il cardinale - ho visto come vescovo l'importanza di comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprima in un solo linguaggio l'adesione di tutti al mistero altissimo". "

E qui confido nel tradizionale buon senso della nostra gente, che comprenderà come il vescovo fa già fatica a provvedere a tutti l'Eucaristia e non può facilmente moltiplicare le celebrazioni ne' suscitare ministri ordinati capaci di venire incontro a tutte le esigenze dei singoli - conclude il cardinale -

Ricavo come valido contributo del 'Motu propio' la disponibilità ecumenica a venire incontro a tutti, che fa ben sperare per un avvenire di dialogo fra tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero".

Korazym


Ma guarda un po! Se vede, Martini, che non hai molta voglia di dare una mano al Papa almeno standotene zitto qualche volta!!! [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826] [SM=g27826]


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Messa in latino, non tutti contro

Sono le voci critiche o contrarie a fare notizia, e non la stragrande maggioranza di coloro che hanno accolto senza riserve la decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’antico messale. Rilancio la segnalazione di un visitatore di questo blog e invito a leggere il messaggio inviato dal vescovo di Frosinone Salvatore Boccaccio al Papa e ai fedeli.

Andrea Tornielli


Motu proprio: il vescovo scrive ai fedeli e al S.Padre

Il Vescovo diocesano, Mons.Salvatore Boccaccio esprime il suo parere sul Motu proprio scrivendo ai fedeli della sua chiesa locale di Frosinone - Veroli - Ferentino e al S.Padre, Benedetto XVI.

In occasione della pubblicazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum", sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970 e in particolare circa la possibilità di usare i testi del Messale latino di S. Pio V, Mons. Vescovo ha voluto indirizzare ai fedeli della Diocesi la seguente lettera:

Carissimi fratelli di questa amata Diocesi di Frosinone - Veroli - Ferentino,

ho ricevuto lo scorso 19 luglio, il testo del Motu proprio "Summorum Pontificum" con cui il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato la opportunità di celebrare la S. Messa
secondo il rituale di S. Pio V nella edizione voluta dal B. Giovanni XXIII.

Ciò che mi ha colpito in questa pubblicazione sono alcune pagine che, sono pubblicate in appendice al Motu proprio, con le quali il Santo Padre si rivolge direttamente a noi Vescovi, chiedendoci di condividere la sua ansia pastorale e il suo amore per l'unità della Chiesa.

Ho ritenuto perciò importante rispondere al Santo Padre a nome di tutta la Chiesa di Frosinone - Veroli - Ferentino, con il testo che qui di seguito viene pubblicato.

Vi esorto ad accogliere di buon animo le indicazioni del nostro Pastore, nella ricerca del bene comune e della comunione tra tutti noi e vi benedico dal profondo del cuore.

Frosinone 25 luglio 2007

+ Salvatore Boccaccio


Questo, invece, il testo della missiva indirizzato a Papa Benedetto XVI:

Frosinone 25 luglio 2007

Beatissimo Padre, a nome mio personale e a nome di questa Chiesa di Frosinone - Veroli - Ferentino che mi è affidata, sento il bisogno di esprimere i più devoti ringraziamenti per il Motu proprio "Summorum Pontificum" con cui Vostra Santità ha voluto offrire alla Chiesa l'opportunità di utilizzare nella celebrazione della S. Messa il venerabile rito in lingua latina promulgato da San Pio V e nuovamente edito nel 1962 dal Beato Giovanni XXIII.
Comprendo pienamente lo sforzo di Vostra Santità di operare, anche per mezzo del Motu Proprio, una riconciliazione interna nel seno della Chiesa attraverso una illuminata disposizione che, mentre nulla rinnega della ricchezza apportata alla Liturgia dal Concilio Vaticano II, ribadisce la sacralità e la dignità di una forma celebrativa che costituisce un intramontabile patrimonio a cui sarebbe insano rinunciare.
Condivido poi senza riserve, l'intuizione di Vostra Santità circa le due forme di celebrazione della Liturgia romana che, laddove vissute in piena comunione ecclesiale e senza pericolosi preconcetti e chiusure, potranno arricchirsi a vicenda favorendo uno stile celebrativo che, senza cedere al formalismo, salvaguardi, insieme all'attiva partecipazione di tutti i fedeli, la dignità delle celebrazioni. Voglio poi esprimerLe, Santo Padre, tutta la mia riconoscenza per il tono affettuosissimo e paterno con cui si è rivolto a noi Vescovi nella lettera che ha accompagnato il documento.
Ho interpretato questa confidenza come una commovente espressione di quella Collegialità che ci rende unum in Christo.
In piena unione con il mio Presbiterio Le garantisco, Padre Santo, che nelle situazioni concrete sapremo far tesoro delle preziose indicazioni offerteci dal Motu Proprio, e nello spirito vero del Concilio Vaticano II, sapremo unire nova et vetera nel canto d'amore eterno che è la Liturgia.
Nel porgere a Vostra Santità i miei filiali saluti, invoco per questa mia Chiesa particolare l'apostolica benedizione come sostegno ed incoraggiamento ad essere sempre più nel nostro agire e nel nostro essere "un Sacrificio vivente gradito a Dio", una Lode vivente al Signore!

+ Salvatore Boccaccio
Vescovo

dal blog di Andrea Tornielli


[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]

[Modificato da Paparatzifan 01/08/2007 17:33]
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L’adorazione

La messa in latino cancella la fretta urticante della nuova liturgia e ci fa girare

Francesco Agnoli

Ai piedi di una bella montagna, slanciata verso il cielo, ogni uomo sente dentro di sé qualcosa, un movimento segreto, intimo, incomunicabile, che la parola non sa esprimere, ma che assomiglia molto ad un desiderio di umile adorazione. L’immensità buona e potente della montagna risveglia nell’uomo di città, nell’uomo delle moderne metropoli piatte e monotone, confuse e rumorose, quello che Romano Amerio considerava il cuore dell’esperienza umana: “Il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione e tutto il resto è fatto per portarvi luce e sostanza”. Che l’adorazione sia il problema dell’uomo, oggi, non è tanto facile capirlo. Non ci aiutano a farlo né le infinite occupazioni, né gli svaghi senza uscita offertici dalla tecnologia, né il diluvio di parole in cui siamo sommersi. Eppure, come scrive il Radaelli, nel suo bellissimo “Ingresso alla bellezza” (Fede & Cultura), “l’adorazione è un atto che soddisfa perfettamente il fine ultimo dell’universo, il quale, a cominciare dal nome, esige in primo luogo l’unità: ma non solo e non tanto l’unità del proprio essere universo, ma l’unità con l’Essere da cui esso, ‘ente per partecipazione’, in tutto dipende: con Dio, con l’Ente in sé sussistente; l’adorazione è l’atto che permette di non fratturarsi da Lui, pena trovarsi, statim, nulla”.
Su un pensiero analogo a questo si fonda la recente decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’antica messa latina, e di attuare col tempo una riforma liturgica nella riforma del 1970. Perché è innegabile che là dove l’adorazione dovrebbe trovare il suo culmine, nella sacra liturgia, nella preghiera comune della chiesa, nel sacrificio che unisce cielo e terra, purgatorio e paradiso, uomini e angeli, vi è sempre di più, oggi, qualcosa di assolutamente incongruo, dissonante. Al punto che il momento fondante della Messa, l’incontro con Gesù eucarestia, che dovrebbe rappresentare il massimo della umiliazione e divinizzazione, al tempo stesso, del fedele, avviene nella nuova liturgia nel più completo anonimato, alla fine della celebrazione, quasi in extremis, non più in ginocchio, come un tempo, ma in piedi, da pari a pari, con una frettolosità orticante, per chi, appunto, desideri adorare, prostrarsi; non più in bocca, con quella riverenza che si conviene, ma in mano, come se la comunione fosse non un panis angelicus caduto dal cielo ma un cibo qualsiasi, che si prende da soli, che si sceglie di afferrare, e non di ricevere in dono, così come si fa dalla tavola, a ogni pasto.

Per non degenerare in show

L’adorazione infatti implica un atto di umile sottomissione, e soprattutto un verso, una direzione: è un orare ad, cioè verso qualcuno, e quel qualcuno può e deve essere solo Dio, a cui è presente tutta l’umanità, non solo il “popolo”, la comunità di un determinato istante o di un determinato luogo. Pregare verso Dio, verso oriente, esige allora un atteggiamento del cuore e del corpo, che tutta la celebrazione deve contribuire a creare. La messa deve tornare a essere dialogo tra Dio e gli uomini, tramite il Dio che si è fatto uomo e che si presenta a noi sotto le spoglie del sacerdote, non dialogo tra un presidente e la sua assemblea.
E tutto, dall’arte, alle statue, all’altare, alla musica, deve tornare a servire a questo, perché “se manca il genius dell’adorazione trinitaria, subito subentra e gli si impone il genius opposto dell’antiadorazione, ossia della dispersione, della vacuità, del laicismo irrazionale e relativizzante”.
Antiadorazione significa, come scriveva il cardinal Ratzinger nella prefazione ad un libro del grande liturgista Klaus Gamber, “liturgia degenerata in show, nella quale si cerca di rendere la religione interessante sulla scia di sciocchezze di moda e di massime morali seducenti, con successi momentanei nel gruppo dei fabbricatori liturgici, e di conseguenza una tendenza al ripiegamento sempre più forte in coloro che nella liturgia non cercano lo showmaster spirituale ma l’incontro col Dio vivente”. Dio vivente, come nota sempre il Radaelli, che viene addirittura eliminato nelle immagini, nelle piante non più a croce, e nelle croci stesse, con una strana furia iconoclasta: “Non c’è più Volto, perché spesso il sacro Volto non lo si figura più o, se lo si figura, gli si svellono i caratteri dell’individuo: sacri volti senza occhi, sante mani senza dita, croci senza Crocifissi…”. Lo notava, quasi quarant’anni fa, anche Guareschi, in una amara lettera al suo don Camillo, in cui lo invitava ironicamente a seguire le disposizioni della riforma liturgica, a dimenticare la sua storia, ad abbandonare la liturgia che aveva sempre celebrato: “Lei don Camillo… aveva pur visto alla tv la suggestiva povertà dell’ambiente e la toccante semplicità dell’Altare, ridotto a una proletaria tavola. Come poteva pretendere di piazzare in mezzo a quell’umile sacro desco un arnese alto tre metri come il suo famoso crocifisso cui lei è tanto affezionato? … non si era accorto che il crocifisso situato al centro della tavola era tanto piccolo e discreto da confondersi coi due microfoni?”.
Ecco, dopo oltre trent’anni, torneremo, piano piano, alla centralità della croce, e alla centralità dell’Altare: verso il Signore.
E’ questa la restaurazione liturgica che Benedetto XVI persegue da quando era cardinale. La Croce che, come scrive Radaelli, significa “umiltà, obbedienza, dipendenza, contrizione, conversione del cuore, sacrificio, penitenza, silenzio”; la croce senza la quale il cristianesimo diviene una filosofia, una sociologia, una forma di moralismo, una forma di scoutismo, una serie di cose per le quali “mestier non era parturir Maria”.

© Copyright Il Foglio, 2 agosto 2007


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La messa in latino semina il panico tra i sacerdoti

di Paolo Rodari

Panico. Probabilmente è questo lo stato d’animo che vivono molti sacerdoti nel mondo di fronte al fatto che dal prossimo 14 settembre dovranno rispondere affermativamente alle richieste dei fedeli che, ai sensi del motu proprio Summorum Pontificum firmato papa Ratzinger, chiederanno che venga loro celebrata la messa in latino secondo la liturgia tridentina.

Panico, per vari motivi: il latino è una lingua oggi sconosciuta anche alla maggioranza dei chierici; le rubriche dell’antico rito pure; i paramenti “antichi” sono nella maggioranza dei casi andati persi, come andati persi (o forse venduti chissà perché e chissà a chi) sono gli arredi sacri adibiti alle funzioni tridentine; gli altari e i presbiteri non si trovano più nella posizione adattata per celebrare verso Oriente e pure il canto e la musica sacra, propri del rito tridentino, sono oramai caduti nel dimenticatoio.
Pietro Siffi, presidente dell’ Archivum Liturgicum (è l’unico sito web che raccoglie tutti i testi dei libri liturgici del rito romano precedenti alla riforma conciliare), è a suo modo “impietoso” quando va ad analizzare per il Riformista tutte le ragioni tecniche e logistiche che potrebbero non permettere al Summorum Pontificum di essere messo in pratica.

«Nel rito tridentino - spiega - il latino è obbligatorio, nella forma e nella pronuncia romana trasmessa dalla Chiesa. La sua conoscenza è indispensabile per chi voglia celebrare, dal momento che è richiesta la piena intelligenza dei testi. Per questo motivo il sacerdote che desidera accostarsi al rito tridentino dovrà possedere una buon padronanza della lingua: cosa non scontata, visto che oggi nei seminari vengono ammessi candidati che non hanno necessariamente studiato il latino, e che spesso non vengono tenuti corsi di lingua latina prima dell’ammissione agli ordini».

Dalla lingua alle rubriche: «Le rubriche sono le norme che la Chiesa imparte per la celebrazione dei riti. Esse traggono il proprio nome dal fatto di essere comunemente stampate in rosso, a differenza del testo del rito stesso che nei libri liturgici è in caratteri neri. Se nel nuovo rito il rispetto delle rubriche è comunemente considerato - a torto - quasi opzionale, nel rito tridentino esse hanno un valore vincolante e devono essere seguite scrupolosamente. Nessun arbitrio può essere ammesso, e l’improvvisazione è sempre da evitare. Ecco perché la celebrazione dovrà essere preventivamente studiata, imparata ed eventualmente provata… Ma alcune cerimonie potranno apparire al celebrante di difficile memorizzazione: inchini, genuflessioni, segni di croce, movimenti, tutto dovrà essere naturale, rifuggendo la sciatteria o l’affettazione. Cosa che per un sacerdote abituato al Novus Ordo è oggettivamente difficile: deve cambiare mentalità, pensare di essere un ministro di Dio che agisce in persona Christi e non il presidente di un’assemblea preposto all’animazione di uno specifico gruppo di fedeli».

Poi i paramenti: «Il postconcilio e la retorica iconoclasta degli ideologi della rottura con il passato hanno fornito le basi a molti ecclesiastici per la vendita degli arredi sacri e dei paramenti agli antiquari, quando non la loro distruzione. E quest’opera di svuotamento delle sacrestie è stata portata avanti soprattutto per rendere di fatto irreversibile l’applicazione della riforma liturgica. Oggi dovremmo chiederci dove sono finite centinaia, migliaia di paramenti preziosi - tutelati dalle soprintendenze - e perchè per decenni si sia finto di non sapere che tutti gli antiquari hanno lucrato sul commercio illegale di arredi sacri. Il sacerdote che vuole dire la messa tridentina, dovrà dotarsi di questi paramenti. Non potrà utilizzare le casule moderne ma pianete confezionate in materiali naturali: niente stoffe sintetiche, niente lurex, niente tessuti multicolori».

Quanto agli arredi sacri, «nelle chiese moderne, l’arte e il decoro hanno sovente ceduto il posto allo squallore o alla stravaganza: candelieri tozzi e di metallo non nobile; croci in cui a fatica si riconosce la figura del Salvatore; tabernacoli che nella migliore delle ipotesi sembrano degli armadietti del pronto soccorso; ostensori indegni di accogliervi il Santissimo Sacramento, calici in terracotta che paiono boccali da osteria. Tutte cose che nemmeno la liturgia riformata prevedeva, ma che la disobbedienza di molti ha costretto a tollerare. Parallelamente, le chiese sono state svuotate di gran parte degli arredi sacri propri del rito tradizionale: croci, candelieri, cartegloria, paliotti, conopei, reliquiari, baldacchini, turiboli, navicelle, aspersori. Alcune di queste cose sono fortunatamente ancora nelle soffitte delle chiese, altre nei musei diocesani: sarà perciò necessario ridare la precedenza alla funzione cultuale di queste suppellettili, riportandole su quegli altari da cui erano state rimosse per un frainteso pauperismo. Anche in questo caso la celebrazione del rito tridentino impone norme ben precise. Per la Messa servirà un calice di forma tradizionale, in argento e con la coppa dorata; dovrà essere utilizzata la patena al posto della ciotola in cui oggi si mettono le particole per i fedeli; il tabernacolo dovrà avere la collocazione e la forma di un tempo e dovrà essere coperto dal conopeo; dovranno essere riutilizzate le cartegloria, le prime vittime della riforma, vendute come cornici o specchi. Sull’altare dovranno essere collocati i sei candelieri e la croce, che oggi è posta su un lato o confinata dietro al celebrante».
Un grande problema è anche l’altare: «Dove non c’è un altare tradizionale sarà praticamente impossibile poter celebrare la messa di San Pio V, perché la posizione del sacerdote all’oriente liturgico è obbligatoria: ad eccezione delle antiche basiliche in cui l’Oriente coincide con il sacerdote rivolto al popolo, tutte le altre chiese sono state pensate per la celebrazione di spalle. Di sicuro durante le funzioni nel rito straordinario si dovrà rimuovere l’altare posticcio e usare quello antico, debitamente preparato».

Dall’altare al presbiterio: «La celebrazione del rito tridentino in un presbiterio costruito secondo le nuove norme risulterà molto difficoltosa: si dovrà rimuovere ove possibile l’ambone e la sede del celebrante dovrà rispondere alle rubriche: niente sedili di pietra se non per la cattedra del vescovo, ma semplici sgabelli senza dossale e senza braccioli. Il tabernacolo andrà collocato sull’altare o dovrà essere rimosso. Se la posizione lo consente, all’altare si dovrà celebrare verso l’Oriente e non verso il popolo».
Da ultimo il canto e la musica sacra: «Anzitutto dimentichiamo chitarre e strumenti profani: nel rito tridentino la musica sacra è a voce secca o accompagnata dal suono dell’organo. I ritmi tribali o da balera sono assolutamente proibiti, così come è proibito il canto in lingua volgare durante le celebrazioni. A differenza del Novus Ordo, nella liturgia romana i canti hanno una funzione eminentemente liturgica - sono essi stessi dei sacramentali - e fanno parte integrante del rito: si dovrà quindi dare grande spazio al gregoriano, formando una schola cantorum in grado di eseguire le parti del Proprio e dell’Ordinario tanto della Messa quanto dei Vespri e delle altre Ore canoniche, se vengono cantate. I fedeli in gran parte ricordano ancora alcune parti dell’Ordinario, come le risposte al celebrante, il Credo e le Messe più comuni: la Cum jubilo, la De Angelis e quasi tutto l’ufficio dei defunti. Ai giovani sarà necessario insegnare quasi tutto, perchè negli ultimi trent’anni il gregoriano è stato bandito dalle parrocchie. Questa potrebbe essere anche un’opportunità per estendere l’apprendimento ad altre Messe, - la Messa XI, Orbis factor - e quella per le domeniche di Avvento e Quaresima - la Messa XVII - che sono particolarmente belle. Si potranno anche eseguire Messe in polifonia: le cattedrali non dovrebbero avere problemi, e nelle parrocchie si riproporrà probabilmente il repertorio di Perosi, relativamente semplice. Anzi, le prove dei cantori saranno occasione per stringere i legami di amicizia e di fraternità tra i fedeli della comunità parrocchiale, come avveniva un tempo. Anche l’organista dovrà essere preparato per accompagnare decorosamente il canto, interludiare nei momenti di passaggio tra un pezzo e l’altro e suonare nei momenti in cui è permesso. Alla semplice esecuzione delle parti specifiche, sarà da affiancare una certa abilità nell’improvvisare e nel saper rimodulare “al volo” l’intonazione del celebrante».

© Copyright Il Riformista, 6 agosto 2007


Tutto questo "panico" si sarebbe potuto evitare se i candidati al sacerdozio avessero avuto un'istruzione adeguata in seminario! [SM=g27826]

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Spuntano gli “obiettori di coscienza” sulla liturgia. Lettera al Papa

Messa in latino: io, prete, dico no

di FRANCA GIANSOLDATI

«SANTO Padre, per molti motivi teologici, storici, pastorali e liturgici, io Paolo Farinella prete, incardinato nella chiesa particolare di Genova, per le mani del mio vescovo nonché presidente della Cei, Angelo Bagnasco, con cuore rattristato, ma con ferma determinazione dichiaro di non potere dare attuazione al Motu Proprio “Summorum Pontificum”, per cui mi dichiaro obiettore di coscienza per questo singolo atto magisteriale».
La lettera aperta indirizzata a Benedetto XVI appare in calce ad un pamphlet contro il ripristino della messa in latino secondo il rito antico, appena pubblicato da una piccola casa editrice lombarda, che già sta acquistando una certa notorietà al di là del Tevere. Autore dello scritto polemico è un sacerdote genovese, biblista, autore di diversi libri, in passato più volte bacchettato dall’autorità ecclesiastica per le sue intemperanze verbali. Stavolta però l’amaro sfogo di don Farinella non sembra voce isolata e c’è già chi teme che potrebbe addirittura aprire il fronte dei preti obiettori della messa tridentina.
«Il suo Motu Proprio - scrive il sacerdote rivolgendosi al pontefice - è irricevibile. Siamo in tanti disposti a subire qualunque conseguenza, materiale e spirituale, ma non possiamo tradire la Chiesa degli apostoli, del concilio di Trento, del concilio Vaticano II di Paolo VI. Non possumus». Parole durissime, indubbiamente insolite sulla bocca di un ecclesiastico ma inequivocabili. A condividere la sostanza ma non lo stile ed il linguaggio è padre Rinaldo Falsini, uno dei massimi liturgisti viventi, testimone del Concilio che firma la prefazione del libello. «Le osservazioni sul contenuto mi trovano consenziente, anzi oso dire di avervi ritrovato alcune mie precedenti annotazioni, essendomi occupato a lungo e continuando ad occuparmi della riforma liturgica, ultimamente rimessa in discussione anche da persone di rilievo».
Tre i rilievi mossi all’indulto ratzingeriano. Il primo fa riferimento all’applicazione del Concilio nei due messali: «Se il messale di Paolo VI deve giustamente essere usato con fedeltà alle prescrizioni, quello di Pio V come può garantire che i fedeli partecipino all’azione sacra consapevolmente, pienamente e attivamente?». La domanda resta aperta mentre viene rilevata la seconda falla: il Motu Proprio non dice mai espressamente «che il ripristino del Messale di Pio V (edizione 1962) deve essere subordinato all’accettazione formale e sincera del Concilio e del magistero papale che ne ha attuato la riforma». Senza questa «adesione del cuore», argomenta padre Falsini, «si rischia di mettere in contrapposizione il Concilio di Trento e il Vaticano II anche contro le intenzioni e il volere del Papa».
La terza osservazione riguarda gli intoppi sul fronte dell’ecumenismo e la sproporzione esistente delle letture bibliche nei due messali, quando il Concilio, a tal proposito, chiarisce che nelle celebrazioni la lettura della Sacra Scrittura deve essere «più abbondante, più varia e meglio scelta». La conclusione è che sarà difficile «se non impossibile» armonizzare queste due visioni - quella conciliare e quella tridentina - in un’unica pastorale come chiede Benedetto XVI. Indubbiamente più tranchant nei giudizi don Farinella, primo obiettore dichiarato in campo liturgico, angosciato da una parte per gli «inevitabili» effetti causati dal rito tridentino sulla comunità di fedeli (divisioni e spaccature), dall’altra per il timore che possa passare il principio che «il Vaticano II rappresenti una rottura rispetto al passato». Sicché il tanto contestato Motu Proprio viene definito sic et simpliciter un «attacco diretto al cuore del Concilio e al suo frutto più maturo, la riforma liturgica». Nato con l’intento di recuperare i lefebvriani e sanare lo scisma del 1988, l’indulto promulgato da Papa Ratzinger lo scorso 7 luglio continua a sollevare interrogativi e a fare riflettere. Due settimane fa dalle colonne del domenicale del Sole24ore il cardinale Carlo Maria Martini esprimeva i suoi dubbi e nonostante l’amore da sempre nutrito per il latino faceva sapere che lui la messa tridentina non l’avrebbe proprio celebrata. Proprio come don Farinella. «Non posso non risentire quel senso di chiuso - scriveva il cardinale - che emanava dall’insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà». Poi si diceva «grato al Concilio» per avere «aperto porte e finestre per una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile».

© Copyright Il Messaggero, 10 agosto 2007



Certo, non ci poteva mancare "l'autorevole" opinione di don Farinella come sempre così "fedele" al Papa! [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812] [SM=g27812]

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Rito Romano tradizionale e Primato di Pietro

di Roberto de Mattei

Il Motu Proprio Summorum Pontificum, promulgato da Benedetto XVI il 7 luglio 2007, è un evento storico di cui solo il futuro potrà rivelare la reale portata. Il Rito Romano antico della Santa Messa, peraltro mai giuridicamente abrogato, ritrova la sua piena cittadinanza. Il Messale Romano, impropriamente detto di san Pio V, deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” formulata dal Nuovo Messale di Paolo VI del 1969 e «deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico» (art. 1 del M.P.).

Ogni sacerdote potrà liberamente celebrare la Messa tradizionale (art. 2) e al Rito antico possono essere ammessi i fedeli che lo chiedano di loro spontanea volontà (art. 4). I parroci e i vescovi «accolgano volentieri» le richieste dei fedeli (art. 5). La Commissione “Ecclesia Dei”, i cui poteri sono stati rafforzati, vigilerà sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni pontificie (art. 11- 12). Questo in sintesi quanto stabilisce il nuovo documento pontificio.

Ma vediamo in cosa consiste la sua importanza. Il Motu Proprio, secondo le stesse parole del Papa, è innanzitutto destinato a costituire un fattore di riconciliazione e di unità all’interno della Chiesa, dove ancora non si sono rimarginate le ferite provocate dalle sperimentazioni liturgiche postconciliari, spesso «al limite del sopportabile». «Parlo per esperienza – ha scritto Benedetto XVI, nella lettera di accompagnamento al documento – perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni.

E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa».

Il carattere pacificatore del Rito Romano antico deriva anche dalla universalità della lingua latina, connaturale alla religione cattolica, come ha osservato Romano Amerio, perché
capace, più di ogni altra lingua, per la stabilità lessicale e grammaticale che le è propria, a formulare e a conservare, attraverso le generazioni, l’integrità e l’immutabilità della nostra fede.

L’epoca della globalizzazione contiene in sé un’aspirazione all’universalità che la lingua latina e il rito tradizionale sono in grado di appagare, mentre la strada imboccata in nome della “creatività” liturgica, è stata spesso quella della frammentazione linguistica, e teologica, fino ad arrivare a forme di inaccettabile “inculturazione” sul piano nazionale, locale, e qualche volta tribale.

Il secondo importante carattere del Rito Romano è la capacità di tradurre le formule dogmatiche della lex credendi in quelle di una in equivoca lex orandi. Nel libro che, prima dell’elezione al pontificato, dedicò alla Introduzione allo spirito della liturgia (San Paolo, Milano 2001), il cardinale Ratzinger, scriveva che oggi, nelle cerimonie liturgiche,
l’attenzione è rivolta sempre di meno a Dio e sempre di più all’Assemblea di cui il sacerdote – o il “presidente”, come si preferisce chiamarlo – diventa il vero e proprio punto di riferimento. «Tutto termina su di lui. È lui cui bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l’insieme della celebrazione».

Nella nuova liturgia, spesso il centro della Messa non è rappresentato dall’altare, dove il sacerdote opera in persona Christi, ma dall’assemblea dei fedeli. Espressione di questo fraintendimento della liturgia è la celebrazione versus populum,in modo che il sacerdote e il popolo possano guardarsi a vicenda e costituire così nel loro insieme il cerchio di celebranti.
In realtà, fin dai primi tempi della Chiesa, la liturgia eucaristica si svolge presso l’altare, che i fedeli circondano, rivolti tutti con il celebrante, ad Dominum, verso Oriente.

Si dice che la liturgia tradizionale, per la sua incapacità di adattarsi alla mentalità contemporanea, allontanerebbe l’uomo da Dio. In realtà l’epoca della secolarizzazione contiene un’aspirazione al sacro e al trascendente che il Rito Romano soddisfa pienamente, come dimostra l’attrazione crescente che esso continua ad avere tra i giovani.

Lo stesso Benedetto XVI lo ha sottolineato nella sua lettera del 7 luglio: «è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia».

L’importanza del Motu Proprio di Benedetto XVI va tuttavia al di là della questione liturgica. È a tutti noto che il Pontefice ha subito forti pressioni per non pubblicare il documento. Una volta appresa la sua decisione, gli intellettuali “progressisti”, italiani e stranieri, hanno accusato il Papa di aver voluto trasformare i vescovi in “notai”, chiamati solo a certificare la volontà del Pontefice (cfr. ad esempio Alberto Melloni, E il vescovo diventa notaio, sul “Corriere della Sera”, 5 luglio 2007). Se si desse retta a questi critici, sarebbe il Papa ad essere trasformato in “notaio”, chiamato so lo a certificare la volontà episcopale, che peraltro, su questo, come su altri punti, è tutt’altro che univoca e “collegiale”.

Il Papa ha ascoltato le obiezioni, lasciando passare qualche mese per far placare le acque, ma poi, come ha affermato nella sua lettera, «dopo aver ascoltato i Cardinali nel Concistoro
tenuto il 22 marzo 2006, dopo aver riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio», ha assunto personalmente e definitivamente le sue decisioni.

Con questo atto Benedetto XVI ha riaffermato il primato e l’autorevolezza del Romano Pontefice, responsabile del suo potere solo dinanzi a Dio, a differenza di tutti gli altri vescovi, responsabili anche dinanzi al Papa. Il Pontefice romano, scrive un illustre giurista, commentando i canoni 331 e 333 del nuovo Codice di Diritto Canonico, «è l’autorità giuridica sovrana di tutta la Chiesa e, in virtù del suo primato di governo universale, ne resta il legislatore supremo. Si tratta di un dogma di fede e di una realtà giuridica» (JOEL-BENOIT D’ONORIO, Le Pape et le gouvernement de l’Eglise, Paris 1992, p. 100).

Nella situazione di confusione in cui versa oggi il mondo, bisogna essere profondamente grati a Benedetto XVI non solo per aver restituito alla Chiesa il tesoro liturgico del Rito antico, ma per aver riaffermato l’autorità del Papa, l’unico a cui Gesù Cristo abbia trasmesso il pieno potere di pascere, reggere e governare la Chiesa universale (Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica Pastor Æternus).

© Copyright Radici Cristiane, agosto-settembre 2007


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Da Petrus

Perugia, il Vescovo celebra la Messa in latino in onore del Patrono

CITTA’ DEL VATICANO - Ha scelto un'occasione solenne, il vescovo di Perugia e vicepresidente Cei, Monsignor Giuseppe Chiaretti (nella foto), per tornare a celebrare stamani in cattedeale, in occasione della festa del patrono cittadino, San Lorenzo, la messa in latino, come sollecita un recente documento papale. Nell'omelia, Chiaretti ha fatto rilevare la presenza in duomo, come concelebranti, di numerosi sacerdoti stranieri presenti a Perugia per imparare l'italiano. ''Per questa molteplicita' di presenze ho accolto l'invito del Papa a celebrare le parti fisse della messa in lingua latina, una lingua che ha consentito e dovrebbe consentire a cristiani cattolici di tutto il mondo di intendersi anche sul piano semplicemente informativo''. Dopo aver ricordato che l'apertura alle lingue locali da parte del Concilio Vaticano 2/o aveva fatto prevalere ''talora una dolorosa linea liturgica 'fai-da-te', creando non poco sconcerto'', il vicepresidente dei vescovi italiani ha sottolineato che l'uso del latino ''consentira' anche un miglior recupero di testi e di canti preziosi e vetusti, come il gregoriano, che troppo sbrigativamente sono stati emarginati dall'uso liturgico per far spazio a testi, melodie e strumenti musicali a volte di discutibile dignità'.

13/08/2007 16:31
 
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Re: Da Petrus
Sihaya.b16247, 12/08/2007 23.25:


Perugia, il Vescovo celebra la Messa in latino in onore del Patrono

CITTA’ DEL VATICANO - Ha scelto un'occasione solenne, il vescovo di Perugia e vicepresidente Cei, Monsignor Giuseppe Chiaretti (nella foto), per tornare a celebrare stamani in cattedeale, in occasione della festa del patrono cittadino, San Lorenzo, la messa in latino, come sollecita un recente documento papale. Nell'omelia, Chiaretti ha fatto rilevare la presenza in duomo, come concelebranti, di numerosi sacerdoti stranieri presenti a Perugia per imparare l'italiano. ''Per questa molteplicita' di presenze ho accolto l'invito del Papa a celebrare le parti fisse della messa in lingua latina, una lingua che ha consentito e dovrebbe consentire a cristiani cattolici di tutto il mondo di intendersi anche sul piano semplicemente informativo''. Dopo aver ricordato che l'apertura alle lingue locali da parte del Concilio Vaticano 2/o aveva fatto prevalere ''talora una dolorosa linea liturgica 'fai-da-te', creando non poco sconcerto'', il vicepresidente dei vescovi italiani ha sottolineato che l'uso del latino ''consentira' anche un miglior recupero di testi e di canti preziosi e vetusti, come il gregoriano, che troppo sbrigativamente sono stati emarginati dall'uso liturgico per far spazio a testi, melodie e strumenti musicali a volte di discutibile dignità'.





GRANDISSIMO IL MIO EX VESCOVO GIUSEPPE!!!!!! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]

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Da Petrus

San Pio V messo alla porta

di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO – “Il Giornale” riporta una notizia curiosa e nel contempo allarmante: il parroco di una chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore in un luogo di villeggiatura nel novarese, ha deciso di anticipare l’entrata in vigore del motu proprio voluto da Benedetto XVI celebrando secondo il rito di San Pio V. La Chiesa è stata da subito strapiena, i giovani hanno commentato favorevolmente la Messa in latino e ne sono rimasti inevitabilmente affascinati, come d’altronde accadde in epoche diverse ai loro genitori e ai loro nonni. Ma - incredibile eppur vero - il Vicario episcopale ha preso carta e penna ed ha diffidato il parroco dal proseguire con il rito di San Pio V, malgrado il grande consenso di popolo riscosso. L'episodio, non c’è che dire, è sintomatico di quanto potrebbe accadere dal 14 settembre in poi. E cioè un’ostilità visibile e inspiegabile di alcuni rappresentanti dell’alta gerarchia ecclesiastica verso il rito tridentino. Sarebbe quanto mai opportuno, e lo diciamo con largo anticipo, che la Commissione “Ecclesia Dei” si adoperi a prevenire abusi al contrario, onde evitare che certi parroci "modernisti", intervenendo non con sana discrezionalità ma con arbitrio, rendano vano il motu proprio papale mortificando le legittime aspettative di quei fedeli che amano la cosiddetta Messa tradizionale. Sia chiaro, qui non si discute se sia meglio la Messa di San Pio V o quella del “Novus Ordo”: le due celebrazioni sono frutto dello Spirito Santo, e vi è del buono in entrambe. Ma è comunque innegabile che i fedeli, come anche osservato dal Cardinale Dario Castrillon Hoyos, stiano riscoprendo la bellezza, la spiritualità, il tesoro nascosto della Messa in latino; e chi, secondo la Scrittura, scopre la perle e il tesoro in un campo, è disposto a vendere tutto per entrarne in possesso.



14/08/2007 18:45
 
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Re: Da Petrus
Sihaya.b16247, 14/08/2007 15.02:


San Pio V messo alla porta

di Bruno Volpe

CITTA’ DEL VATICANO – “Il Giornale” riporta una notizia curiosa e nel contempo allarmante: il parroco di una chiesa dedicata a Santa Maria Maggiore in un luogo di villeggiatura nel novarese, ha deciso di anticipare l’entrata in vigore del motu proprio voluto da Benedetto XVI celebrando secondo il rito di San Pio V. La Chiesa è stata da subito strapiena, i giovani hanno commentato favorevolmente la Messa in latino e ne sono rimasti inevitabilmente affascinati, come d’altronde accadde in epoche diverse ai loro genitori e ai loro nonni. Ma - incredibile eppur vero - il Vicario episcopale ha preso carta e penna ed ha diffidato il parroco dal proseguire con il rito di San Pio V, malgrado il grande consenso di popolo riscosso. L'episodio, non c’è che dire, è sintomatico di quanto potrebbe accadere dal 14 settembre in poi. E cioè un’ostilità visibile e inspiegabile di alcuni rappresentanti dell’alta gerarchia ecclesiastica verso il rito tridentino. Sarebbe quanto mai opportuno, e lo diciamo con largo anticipo, che la Commissione “Ecclesia Dei” si adoperi a prevenire abusi al contrario, onde evitare che certi parroci "modernisti", intervenendo non con sana discrezionalità ma con arbitrio, rendano vano il motu proprio papale mortificando le legittime aspettative di quei fedeli che amano la cosiddetta Messa tradizionale. Sia chiaro, qui non si discute se sia meglio la Messa di San Pio V o quella del “Novus Ordo”: le due celebrazioni sono frutto dello Spirito Santo, e vi è del buono in entrambe. Ma è comunque innegabile che i fedeli, come anche osservato dal Cardinale Dario Castrillon Hoyos, stiano riscoprendo la bellezza, la spiritualità, il tesoro nascosto della Messa in latino; e chi, secondo la Scrittura, scopre la perle e il tesoro in un campo, è disposto a vendere tutto per entrarne in possesso.





Come era quello che dicevano più di due anni fa? Ah, sì: "Benedetto svuoterà non solo le piazze ma anche le chiese!" Eheheheheheh!!!! [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791] [SM=x40791]

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"CON IL CUORE SPEZZATO... SEMPRE CON TE!"
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Messa in latino, denunce a due preti

Richiesta a monsignor Zenti di istituire una parrocchia dove si celebri solo la liturgia tridentina
Lettera al Papa e al vescovo. I monsignori Breoni e Contri accusati di aver criticato il ripristino del rito antico

Enrico Giardini

Denunciati al Papa perché, in articoli di opinione pubblicati sul settimanale diocesano Verona Fedele del 5 agosto scorso, si sarebbero espressi contro la rientroduzione della messa in latino, autorizzata da Benedetto XVI con il documento «motu proprio». Sono i preti diocesani monsignor Antonio Contri, 74 anni, docente allo Studio teologico San Zeno e presidente del Gris, il Gruppo di ricerca sulle sette, e l’abate di San Zeno monsignor Rino Breoni, 74 anni, il bersaglio di una denuncia inoltrata alla Santa Sede da Una Voce, associazione tradizionalista cattolica per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana.
Secondo gli esponenti scaligeri di Una Voce Maurilio Cavedini (presidente), Nicola Cavedini e Pierluigi Bellé, i due preti, pur con diverse accentuazioni, sono andati contro i dettami del documento papale. E per questo, dicono, una volta accertatene le presunte responsabilità — a don Breoni addebitano di incitare alla disobbedienza contro un atto di ministero ecclesiastico, a don Contri anche l’eresia e l’apostasia — vanno puniti.
«Siamo indignati per il fatto che il vescovo Giuseppe Zenti abbia permesso la pubblicazione sul settimanale diocesano di due articoli contrari alle disposizioni del Pontefice che autorizzano a celebrare la messa in rito romano antico», spiega il presidente Maurilio Cavedini, «oltretutto, come nel caso di don Antonio Contri, con espressioni gravi quando egli scrive che quella di San Pio V sarebbe una messa “magica”, più vicina ai riti pagani che all’assemblea del popolo di Dio».
I tradizionalisti sottolineano che il rito antico «non è mai stato abrogato, nemmeno dal Concilio Vaticano II che ha introdotto nella liturgia le lingue volgari. Il latino è e sarà sempre la lingua della Chiesa e dopo il documento ufficiale del Papa è concesso ai fedeli che lo richiedono di celebrare la messa di San Pio V. A Verona invece il progressisti cattolici che invitano all’obbedienza sono i primi disobbedienti».
La lettera di denuncia è stata inviata a Benedetto XVI, alla Congregazione per la dottrina della fede, alla Pontifica commissione Ecclesia Dei, alla Congregazione per il clero e al vescovo Zenti. Proprio al vescovo, una volta accertate le presunte responsabilità, Una Voce chiede per i due preti «la punizione a norma dei Sacri Canoni. Per noi», sottolineano i tradizionalisti, «questi fatti sono uno stimolo a vigilare ancora di più sull’applicazione del documento motu proprio, che entrerà in vigore a partire dal 14 settembre».
Una Voce rilancia, intanto, la richiesta a Zenti di istituire a Verona «una parrocchia personale monorituale», dove si celebri solo con il rito romano antico, e «di poter inserire nelle parrocchie celebrazioni della messa tridentina, in base alle eventuali richieste dei fedeli. Con il motu proprio questo è possibile, senza ostacoli».

© Copyright L'Arena, 18 agosto 2007



Mi sa che il Motu Proprio servirà pure a smascherare chi è fedele alla Chiesa e chi non lo è!!! E questo sarebbe di un grandissimo aiuto per scoprire in quale "stato di obbedienza" si trovano certi preti! Ma, come cattolica, mi vergogno di sacerdoti come questi! [SM=g27826] [SM=g27811]



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LETTERE AL DIRETTORE

Caro Direttore: fatto gravissimo a Verona: un sacerdote è stato “violentato” da un fedele! Per fortuna lo sventurato don Rino Breoni, abate di San Zeno, la seconda Chiesa più importante di Verona, è stato prontamente e amorevolmente soccorso dal giornale diocesano Verona Fedele che nell’edizione del 5-8-2007 gli ha concesso una paginata per rispondere all’affronto di un “nostalgico” e anonimo parrocchiano che gli aveva chiesto, udite udite: di celebrare la Santa Messa secondo il rito Tridentino. Pazzesco e anacronistico, avrà pensato il solerte sacerdote, manifestamente infastidito da tutto ciò che emana fetore preconciliare. Cosicché, in barba alle disposizione del Motu Proprio papale del 7 luglio 2007 (che giova ricordare concede ai fedeli la possibilità, previa presentazione al proprio parroco di 30 firme, di assistere alla celebrazione della Messa in lingua latina), dopo aver discettato in lungo e in largo sulle magnifiche sorti e progressive della liturgia postconciliare, si è rivolto al fedele con le seguenti testuali parole: “Perché mi chiedi di celebrare con modalità ormai abbandonate e superate? Non puoi sospettare di una sorta di violenza che mi è fatta pur nell’obbedienza che devo a chi ha dal Signore il compito di comporre lacerazioni, scontri, nostalgie ed esperienzalismi discutibili?”. Pazzesco: “l’unto del Signore scaligero” nominato direttamente dall’alto (a proposito può don Rino riprodurre la delega di investitura?) per dirimere le problematiche cagionate dai nostalgici tradizionalisti, si è sentito violentato per una banale legittima richiesta. La feroce critica al Motu Proprio (poiché appare chiaro che la materia del contendere non verteva tanto sulla richiesta del fedele, ma sulle nuove linee guida di papa Ratzinger), assume una valenza ancora più sconcertante se non altro per il fatto che l’j'accuse è stata pubblicata su una testata diocesana che si vorrebbe fedele e umile servitrice della Chiesa Cattolica Romana e saldo punto di riferimento per i cattolici. Se si permette ai pastori “sovversivi” di esibirsi impunemente, quasi con proclami da antipapa, che ne sarà della sorte dei fedeli, a questo punto ormai smarriti?
Amletico dubbio: ma il nostro don, avrà l'audacia di porgere le medesime obiezioni al Santo Padre? Troppo facile proferirle ad un illustre sconosciuto! Ma come diceva un altro più illustre don...chi non ha coraggio...non se lo può dare!!!

Gianni Toffali

© Copyright Gazzetta di Sondrio, 10 agosto 2007


"Violentato", guardate che termine!!! [SM=g27825]
Papa, ti aspetta un lungo cammino per eliminare ogni traccia di sporcizia in questa Chiesa che è stata abusata da un progressismo sfrenato per tanti anni!!!
[SM=g27819]


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21/08/2007 19:57
 
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I vescovi frenano la messa in latino

di CATERINA MANIACI

MOLTI ALTI PRELATI NON SI ADEGUANO AL MOTU PROPRIO DI RATZINGER, CHE INVECE PIACE A GIOVANI E STUDIOSI

Sorpresa: il rito tradizionale, il latino a messa, con tanto di canti gregoriani, non solo non sembra affatto preoccupare i fedeli in Italia, ma anzi attira e "incuriosisce" soprattutto i più giovani e gli intellettuali. Mentre le gerarchie ecclesiastiche e molte diocesi ne scoraggiano l'uso, in qualche caso minacciano addirittura chi pensasse di prenderlo in considerazione. Monsignor Alessandro Plotti, arcivescovo di Pisa, monsignor Luca Brandolini, vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo, il priore di Bose, Enzo Bianchi, per esempio, non hanno usato mezzi termini per mostrare i loro forti dubbi. Attraverso alcune testimonianze "sul campo" a Roma e Milano abbiamo potuto farci un'idea, sia pure parziale, di quel che sta succedendo nella chiesa italiana, dopo il documento papale.

"LEZIONI" A SETTEMBRE

Chiesa di San Carlo, in una delle vie più importanti e animate di Roma, via del Corso. Nonostante sia una torrida mattina di agosto, c'è molta gente, in gran parte turisti. Chiediamo ad un giovane sacerdote che parla con un gruppo di ragazzi se in questa chiesa si pensa di celebrare la messa secondo il rito del Messale del '62, quello pre-conciliare, tutto in latino, ora che il Papa, con il suo motu proprio, ne ha liberalizzato la celebrazione. Il sacerdote risponde: «A settembre abbiamo intenzione di studiare la questione, magari invitando i fedeli, soprattutto i giovani, a conoscere le differenze di messale». Stessa domanda a San Lorenzo in Lucina e una laconica risposta: «No, qui nessuno ha chiesto nulla, ai fedeli non interessa la questione». Nella barocca chiesa Gesù e Maria, invece, la messa in latino non è un ricordo lontano, perché «qui si celebra da sempre e si continuerà a farlo», spiegano, sottolineando però che non si tratta del rito preconciliare e che i fedeli attratti dal latino sono numerosi. A Santa Susanna, sempre nel centro della capitale, ci sono le monache cistercensi. Qui si celebrano le messe in canto gregoriano, che ha molti estimatori. «Spesso vengono ragazzi, professori, persino giornalisti. Sono appassionati del gregoriano. E arrivano anche da lontano», ci spiega una gentile suora. Sostiene con semplicità che il ripristino del rito preconciliare non è un pericolo di ritorno al passato. Anzi, «è un modo per ritrovare le nostre antiche tradizioni e pregare meglio». «Alcuni sacerdoti di Milano si informano per sapere come celebrare la messa in latino secondo il rito ambrosiano. Ma mi hanno detto che la prima reazione della Curia è stata negativa», spiega Don Emanuele du Chalard, superiore del Priorato di Montalenghe (TO), la sede dell'Italia settentrionale della Fraternità San Pio X. La sua associazione è quella di Monsignor Lefebvre, che negli anni Sessanta rifiutò il Concilio Vaticano II perché lo considerava contrario allo spirito della Chiesa. I lefebvriani sono i tradizionalisti che non hanno mai smesso di celebrare la messa tridentina. Vescovi che appaiono chiaramente contrari al ripristino del rito antico: perché? Don Emanuele ha una sua spiegazione: «Dopo il Concilio i vescovi hanno ampliato molto i loro poteri sulla liturgia, il ripristino della messa in latino può ridurre la loro influenza». E poi «gli stessi vescovi sostengono che il problema della liturgia non esiste, ma non è vero: da quando è stata introdotta la messa in italiano la frequentazione dei fedeli è molto diminuita. Non vogliono ammettere che molti giovani preferiscono la tradizione. A Parigi, nella nostra chiesa di Saint Nicolas du Cardonnet, ogni domenica ci sono tra le tre e le quattromila persone, tra cui famiglie, giovani, studenti». Anche per i sacerdoti la situazione rivela delle sorprese: «Se i preti che hanno vissuto il dopo Concilio sono poco interessati, i giovani invece sono molto aperti. Sono ben disposti verso il motu proprio perché apre loro un mondo sconosciuto. In queste ultime settimane ho ricevuto sacerdoti e seminaristi, giovani o giovanissimi, al 90% in favore della tradizione. Spesso sono delusi dalla liturgia, nella messa latina trovano più spiritualità».

ISTRUZIONI SU DVD Nei seminari alcune encicliche ottocentesche verrebbero lette di nascosto, come testi proibiti: «Alcuni hanno scoperto da noi le encicliche di '800 e '900, c'è una specie di vuoto tra i Padri della Chiesa e il Vaticano II. Ma se perseverano nella tradizione in seminario vengono isolati. Qualcuno studia sotto banco, ma la maggior parte si lascia trascinare dal progressismo attuale». Addirittura i lefebvriani, per colmare i vuoti di cui soffre il clero nostrano in questo campo, hanno realizzato un dvd, «in cui si spiega come si celebra una messa tridentina. In Italia è stato ordinato da 500 religiosi. Di questi, il 10% è composto da seminaristi, gli altri sono sacerdoti. Dopo il motu proprio, abbiamo consacrato una settimana per fare "ripetizioni": abbiamo spiegato la spiritualità della messa latina e il ruolo del sacerdote secondo la tradizione a quattro religiosi». E per i sacerdoti milanesi, ecco i consigli: «Il motu proprio riguarda la liturgia romana; anche se Milano ha sempre conservato la liturgia primitiva deve accettare le leggi universali. Comunque ho già consultato i canonisti romani: possono tornare al vecchio rito ambrosiano. Rispetto alla messa tridentina, che si è arricchita nei secoli, è più legata ai primi secoli». (Ha collaborato Claudia Gualdana)

© Copyright Libero, 21 agosto 2007


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