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MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2014 07:14
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29/05/2014 08:44
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Che cos'è questo che dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?

Come vivere questa Parola?
È la via del ritorno al Padre, quella che Gesù sta prospettando ai discepoli turbati dall'approssimarsi della sua "ora". Egli sa che tra poco saranno dispersi e andranno errando come "pecore senza pastore" e vuole prevenirli e rincuorarli, insegnando loro a guardare oltre. Non si tratta di una 'fuga' dalla realtà, ma di una sua assunzione nell'ottica del realismo cristiano.
Sì, esiste anche l'ora delle "tenebre", l'ora in cui sembra che "il principe di questo mondo" debba trionfare, ma la sua non è mai la parola definitiva.
"Io ho vinto il mondo", continua a ripeterci Gesù nei nostri smarrimenti. Se sembra che le ombre debbano oscurare definitivamente l'orizzonte, così da impedirci di riconoscere i suoi lineamenti, apriamo il cuore all'ascolto. "Sono Io", Egli torna a sussurrarci, come in quella notte tempestosa agli apostoli in balia della tempesta sul lago di Tiberiade. Sì, "Sono Io", qui, presente, "Sono Io" che 'cammino' sulle acque minacciose e torbide della storia, anche di quella tua personale, "Sono Io" che mi affretto a salire sulla tua fragile barchetta, se lo vuoi... E allora ti accorgerai che l'aurora non è lontana e la sponda, appena lambita dalle onde, ti accoglie ridente di vita.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, dirò al mio cuore: chetati! Lui è qui, presente alle mie lotte, per sostenermi e farmi raggiungere in fretta sponde più tranquille. Deporrò, quindi, nel suo cuore ogni preoccupazione, angoscia, ansia... Lui sa! Questo mi basta.

Signore Gesù, vorrei sempre scavalcare "l'ancora un poco e non mi vedrete", per rimanere costantemente nel "ancora un po' e mi vedrete". Ma credo fermamente nel tuo amore che tutto permette per procurarmi una gioia maggiore, per farmi comprendere ciò che veramente conta e che permane. Mi abbandono a te, al tuo amore e fin d'ora ti ringrazio perché so che dietro le nubi c'è il sole e nel cuore di ogni notte viene concepito il giorno.

La voce di una beata
Quando tutto sembra oscuro, Gesù può far guizzar la luce! E quando tutto sembra insormontabile Gesù può appianare! Una sola cosa è necessaria: fidarsi di Gesù-Amore, che non lascia mai di soccorrere anche quando sembra tutto perduto.
Beata Madre Maria Candida dell'Eucaristia
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30/05/2014 08:23
 
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Eremo San Biagio
Commento su Gv 16,23

«Nessuno potrà togliervi la vostra gioia.»

Gv 16,23
Come vivere questa Parola?

Gesù, incoraggiando i suoi discepoli alla vigilia della sua passione, continua il discorso sull'afflizione che poi si cambia in gioia. Ricorre ad un paragone molto significativo e concreto: la donna quando partorisce, si trova nella sofferenza e nel travaglio, ma quando ha dato alla luce il bambino non si ricorda dell'afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo (cf Gv 16,21). Così anche i discepoli devono attraversare il momento doloroso della passione e morte del loro Maestro, ma poi si rallegreranno per la risurrezione e la loro gioia sarà piena e totale e nessuno la potrà togliere.

Anche per i cristiani il dolore rende possibile la gioia di una vita nuova: quella in Cristo Gesù risorto. Anche oggi il cristiano si rattrista per un mondo lontano da Dio, per le persecuzioni che tormentano i buoni, per le incomprensioni che li offuscano: ma essi sanno che tutto questo è transitorio, avendo la certezza che Dio è sempre presente e li aiuta a raggiungere il fine ultimo.

La gioia del cristiano si sprigiona dove la vita è piena ed esplosiva, ma non è esente da prove e difficoltà, e sorge dalla consapevolezza che egli si sente amato da Dio e che ogni dolore può generare gioia, quando accettato e superato. Con la Parola di Dio e l'Eucaristia il cristiano attinge energie sempre nuove per alimentare la gioia.
O Spirito di Dio, riversa in me gioia e pace e alimenta sempre in me la speranza che dopo il "venerdì santo" mi attende sempre la "Pasqua di risurrezione"
La voce di una missionaria della carità

Se nel vostro lavoro incontrate difficoltà e le accettate con gioia, con un largo sorriso, in ciò, al pari di molte altre cose, vedrete le vostre opere buone. E il modo migliore per dimostrare la vostra gratitudine consiste nell'accettare ogni cosa con gioia.

Beata Madre Teresa di Calcutta
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31/05/2014 07:31
 
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VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA


Il vangelo ci rivela che Maria è regina della comunicazione e dell’accoglienza.
Il mistero della Visitazione, infatti, è il mistero della comunicazione mutua di due donne diverse per età, ambiente, caratteristiche e della rispettosa vicendevole accoglienza.
Due donne, ciascuna delle quali porta un segreto difficile a comunicare, il segreto più intimo e più profondo che una donna possa sperimentare sul piano della vita fisica: l’attesa di un figlio.
Elisabetta fatica a dirlo a causa dell’età, della novità, della stranezza. Maria fatica perché non può spiegare a nessuno le parole dell’angelo. Se Elisabetta ha vissuto, secondo il Vangelo, nascosta per alcuni mesi nella solitudine, infinitamente più grande è stata la solitudine di Maria. Forse per questo parte “in fretta”; ha bisogno di trovarsi con qualcuno che capisca e da ciò che le ha detto l’angelo ha capito che la cugina è la persona più adatta. Quando si incontrano, Maria è regina nel salutare per prima, è regina nel saper rendere onore agli altri, perché la sua regalità è di attenzione premurosa e preveniente, quella che dovrebbe avere ogni donna. Elisabetta si sente capita ed esclama: “Benedetta tu tra le donne”. Immaginiamo l’esultanza e lo stupore di Maria che si sente a sua volta compresa, amata, esaltata. Sente che la sua fede nella Parola è stata riconosciuta.
Il mistero della Visitazione ci parla quindi di una compenetrazione di anime, di un’accoglienza reciproca e discretissima, che non si logora con la moltitudine delle parole, che non richiede un eloquio fluviale ma che con semplici accenni di luci, di fiaccole nella notte, permette una comunicazione perfetta”

[Da La donna nel suo popolo, Ed. Ancora, 1984, pp. 77ss].
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01/06/2014 07:47
 
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don Alberto Brignoli
Con noi, tutti i giorni

Gesù, dopo che Dio lo ha risuscitato dalla morte, si è mostrato vivo ai suoi discepoli in varie opportunità e in momenti distinti: come dice Luca all'inizio degli Atti degli Apostoli, "si mostrò vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio". Varie di queste prove sono testimoniate dai Vangeli stessi, in modo particolare da Giovanni e da Luca, che sono i più prodighi nelle narrazioni dei Vangeli di Risurrezione: pensiamo all'episodio di Emmaus, alle apparizioni nel giardino (a Maria di Magdala più che ad altri) e nel Cenacolo (tra cui quella a Tommaso), alla pesca miracolosa... Luca addirittura va oltre il Vangelo, e inizia la seconda parte della sua opera (l'abbiamo letto oggi) con il discorso di commiato di Gesù, in cui dà delle norme di comportamento da seguire nei giorni immediatamente successivi al suo ritorno al cielo.
Il Risorto di Matteo, però (anche quello di Marco, ma non così tanto), di prove e di parole ai suoi discepoli non ne offre molte: non è attivo, e non è per nulla loquace. Si mostra vivo alle donne che lo cercano nel giardino, le saluta molto semplicemente, e chiede loro di convocare i discepoli in Galilea, su un determinato monte. Fine della trasmissione. Nessuna catechesi lungo la strada, nessun ingresso al Cenacolo, nessuna pesca miracolosa...piuttosto, Matteo parla con realismo della diceria che tra i Giudei circolava insistentemente circa il trafugamento del corpo di Gesù da parte dei discepoli, e di come si sia risolta tra il popolo eletto la vicenda terrena di Gesù Cristo. Il capitolo 28 di Matteo non è per nulla generoso di testimonianze sul Risorto. Quasi a dire: "Poche parole, ci vediamo in Galilea, come all'inizio". Ripartiamo da capo.
E siamo al momento narrato dal Vangelo che oggi la liturgia ci propone nella solennità dell'Ascensione: giunto il momento di salutare i suoi (anche se Matteo non dice manco questo), Gesù vuole lasciare loro in consegna il suo testamento, le parole più preziose, come quelle dette da un padre ai figli in punto di morte. Era la prima volta che gli undici s'incontravano con il Risorto, non sapendo che sarebbe stata pure l'ultima. Era quindi anche un po' scontato, forse, che tra di loro serpeggiassero dei dubbi, come Matteo ricorda. Gli undici fanno solo tre cose, con Gesù Risorto, e per di più senza dire una parola: vanno in Galilea, al vederlo si prostrano davanti a lui, e dubitano. In Galilea, ci vanno per obbedienza, su un comando del Maestro; davanti a lui, si prostrano in maniera spontanea, quasi irriflessa, come una reazione immediata a un sentimento misto di timore e meraviglia; ma ciò che fanno in maniera cosciente e deliberata è proprio il dubitare. Dubitano coscienti, volontariamente e razionalmente: e gli risulta bene, a quanto pare, se l'unico sentimento comune a tutti i racconti di resurrezione dei quattro Vangeli è proprio quello del dubbio.
Del resto, come condannarli? Avevano delle grandi attese su Gesù, ognuno a modo suo; sapevano bene che fine avesse fatto, anche se tra di loro di testimoni oculari ce n'erano ben pochi; due di loro, tra l'altro, al momento opportuno gli avevano pure girato le spalle, e di questi, uno non ha resistito al senso di colpa e se l'è fatta pagare da solo. Ci mancava pure di trovare la tomba del Maestro vuota, il terzo giorno, con un gruppo di donne invasate convinte di averlo incontrato in vita...va bene tutto...ma un po' di dubbio è pure lecito, no? Come capita anche alla nostra vita di fede quando, dopo aver condiviso le nostre speranze, le nostre attese e la nostra stessa vita con gli ideali che lui ci propone, sul più bello, Dio sparisce dalla nostra vita, e l'unica cosa che ci rimane di lui è il vuoto e il silenzio... a questo punto, non solo il dubbio è lecito, deliberato e razionale, ma diventa quasi normale prendere le distanze da Dio. Come fecero gli undici, quel giorno, sul Monte di Galilea: talmente distanti che toccò nuovamente a Gesù avvicinarsi a loro e rivolgere loro la parola. Il dubbio e il vuoto li avevano lasciati senza parole. Il Risorto di Marco li avrebbe rimproverati, quello di Luca a Emmaus redarguiti come stolti, e quello di Giovanni con Tommaso sfidati alla prova della fede.
Il Risorto di Matteo no: si avvicina e parla loro. E dice loro che nulla è più potente di lui, per cui non bisogna più avere paura né avere dubbi. Bisogna fidarsi, credere che tutto, in cielo e in terra è suo, e che nessun luogo della terra è lontano e ostile, per chi crede in lui: dunque, bisogna andare e fare altri discepoli, tanti, anzi tutti, tutti i popoli, nessuno escluso! Follia allo stato puro...questo sparuto gruppo dei Dodici (meno uno, morto suicida), illetterati, quasi ignoranti, spesso indecisi, traditori, fifoni, e ora per giunta increduli e dubbiosi, vengono da lui scelti per la missione. E a quanto pare, gli risulta bene, se dopo duemila anni siamo ancora qui a parlarne, a tesserne le lodi, a celebrare...
Sapete, spesso abbiamo l'idea - di fronte a molte eroiche figure di missionari e di missionarie che lungo i secoli hanno reso discepoli di Cristo i più disparati popoli della terra - che abbiamo a che fare con dei veri e propri eroi della fede, con dei testimoni impeccabili, con uomini e donne irreprensibili e particolarmente baciati dalla Grazia, senza dubbi e senza paure. Lasciatemelo dire, perché lo vivo sulla mia pelle: non è così. Se i primi grandi missionari, quelli che per primi hanno portato l'annuncio del Vangelo sino ai confini della terra, erano questi Undici, pieni di dubbi e di fallimenti, pieni di tradimenti e di timori, quanto più coloro che nei secoli a venire ne hanno seguito le orme. Nessun eroe, tra di loro, ma certamente molti santi, spesso anche martiri.
Dov'è, allora, il segreto del successo? Nelle parole del Maestro, quel giorno, sul Monte di Galilea, prima di andarsene definitivamente, testamento spirituale senza precedenti: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra...ed ecco, io sono con voi tutti i giorni". A lui, e non a noi, è dato il potere di fare opere grandi: l'unica forza di noi cristiani, missionari tutti in virtù del battesimo da loro trasmesso e ricevuto, è che lui è con noi tutti i giorni.
Tutti i giorni. Anche nei giorni del dubbio. Anche nei giorni della sofferenza. Anche nei giorni del vuoto e del silenzio. Anche nei giorni della speranza, della gioia, della gloria, delle porte che si spalancano al cielo.
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03/06/2014 08:43
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Padre, glorifica il tuo Figlio

Siamo nel cosiddetto discorso sacerdotale, nel quale Gesù ci lascia vedere la profondità del suo cuore e ci svela quali sono le ansie e i sentimenti di questo cuore. Ecco quello che possiamo apprendere: in primo luogo il cuore di Cristo è come divorato dal desiderio del Padre suo. Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: "Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio tuo glorifichi te". Sappiamo dall'evangelista Giovanni il significato che assume il verbo: glorificare. La croce è la Glorificazione del Padre, è il mistero dell'amore obbediente di Cristo Signore e dell'amore fraterno per tutti noi. Ed ecco l'ansia di glorificare il Padre, ansia che non si ferma dinanzi alla croce e che ci da la misura di quale dev'essere anche il nostro desiderio di glorificare il Padre che chiamiamo con questo nome e che tale è nei nostri riguardi. Se gli occhi di Gesù sono 'alzati al cielo', nell'atteggiamento di chi implora il Padre, di fatto il suo sguardo del cuore è posato su "gli uomini che il Padre gli ha dato dal mondo", affidandoli a lui. A loro Gesù ha "fatto conoscere" la realtà profonda e misteriosa del Padre, e ha trasmesso le parole da lui ricevute. Se il Padre deve glorificare Gesù, lo faccia anche prendendo questi credenti sotto la sua protezione. Proprio l'andata di Gesù al Padre rende necessaria e urgente questa fervida intercessione. Anche noi che ora abbiamo ascoltato queste parole, ci sentiamo posti da questa supplica nelle mani del Padre, e viviamo la nostra appartenenza terrena nella fiducia del Signore. E' bello e consolante sapere che Gesù ha pregato e continua a pregare così per noi, ancora in cammino per le vie del mondo.
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04/06/2014 08:51
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Che siano una cosa sola

Gesù, «alzati gli occhi al cielo» prega per i suoi, prega per il futuro della sua chiesa nascente. Gli apostoli, come inviati e messaggeri dello stesso Cristo e annunciatori del suo vangelo, debbono vivere con lui una intimità di comunione come quella che unisce il Figlio al Padre. Debbo essere, per tutti e per sempre, segno visibile di unità. Li ha mantenuti sotto la sua personale custodia durante la sua esperienza terrena, ora però dovranno affrontare il mondo, immergersi nella storia travagliata degli uomini, spesso contrassegnata da divisioni, persecuzioni e discordie. L'unità è la via privilegiata della pace, è la forza che per realizzare i migliori progetti umani, è il segno visibile e convincente della presenza di Dio nel mondo. La preghiera perenne di Cristo al Padre è la garanzia che rende possibile l'unità nell'amore, è la fonte della vera gioia, è «la pienezza della gioia», quella che scaturisce dalla certezza della verità, che ci rende consapevoli del trionfo del bene partecipato a tutti. Per questo Gesù chiede al Padre: «Conservali nella verità». La divisione più scandalosa deriva dalla mancanza di fedeltà alla Parola e alle verità rivelate, deriva dalla colpevole mancanza dello Spirito Santo, che illumina ed unisce nell'unica verità e nell'amore. Costatiamo ancora continuamente che, quando si vogliono vedere e definire le verità di Dio per noi, se non le guardiamo con la stessa luce divina, vengono inevitabilmente deformate e confuse e diventano causa di scismi e divisioni. È quanto è accaduto ripetutamente nella nostra santa Madre Chiesa. È vero che quella parola che ci è stata data, sin dall'inizio ha generato odio da parte del mondo, ma ciò non giustifica le nostre divisioni interne, quelle causate da coloro che s'identificano nello stesso Cristo ed hanno in custodia lo stesso vangelo. Il difficile compito da adempiere è fare la verità nella carità, come afferma San Paolo: «Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo». La proposta paolina è diventata da sempre l'impegno primario della sua chiesa, anche se soffre ancora divisioni antiche e nuove. Il Signore Gesù ci fa' chiaramente intendere che la via dell'unità, non può essere percorsa con strumenti giuridici e confronti e scontri di potere, ma solo mediante l'affermazione del primato nell'amore. A Pietro, chiamato ad essere il primo papa, Gesù chiederà per tre volte se è animato da un amore più grande degli altri undici e solo dopo la triplice confessione gli affiderà definitivamente il compito di guidare la sua chiesa.
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05/06/2014 07:27
 
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Eremo San Biagio
Commento su Gv 17, 20-21a

"Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa".

Gv 17, 20-21a
Come vivere questa Parola?

Questa ulteriore espressione di Gesù ci mette ancor di più al riparo da forme strane di esclusività, legate ad un'esperienza particolare di lui. Non sono più fortunati di noi quelli che Gesù lo videro. Non sono i soli consacrati nella verità. Non averlo visto nella storia, non averlo ascoltato direttamente, non averlo visto agire, non diminuisce la nostra possibilità di essere in comunione con lui. La parola di Dio, quella di Gesù sono generative: vengono accolte, rielaborate, riespresse e sempre portano frutto. L'immagine dinamica di Isaia 55, 10-11 si rivela la più adeguata:

Come infatti la pioggia e la neve

scendono dal cielo e non vi ritornano

senza avere irrigato la terra,

senza averla fecondata e fatta germogliare,

perché dia il seme al seminatore

e pane da mangiare,

così sarà della parola

uscita dalla mia bocca:

non ritornerà a me senza effetto,

senza aver operato ciò che desidero

e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.
Ogni uomo che nel tempo annuncia Gesù ricostruisce quel momento prodigioso della storia che l'incarnazione di Dio ha reso possibile: Dio incontra l'uomo nella sua condizione e dalla sua condizione desidera che esprima l'accoglienza a lui, e sempre rimanendo in essa, gli chiede di essere testimone della sua volontà di vita e di bene.
Signore, fa' che non ci venga voglia di scappare da quello che stiamo vivendo, aiutaci ad essere tuoi testimoni anche nella contraddizioni e stranezze che ci capita di vivere ogni giorno.
La voce di un vescovo

In questo modo ci viene svelato in pienezza il dinamismo della parola di Dio: è parola che, provenendo da Dio, vuole incrociare il cammino del mondo, cerca di trasformarlo perché il mondo assuma la forma di Dio (la forma dell'amore), tende a fare entrare il nostro mondo (limitato, effimero, opaco) dentro al mondo di Dio (completo, duraturo, luminoso). La parola di Dio ottiene questo non in modo magico, attraverso formule segrete o meccanismi automatici. L'ottiene piuttosto suscitando nell'uomo il desiderio, la fede, la decisione, l'impegno fino al dono di sé nell'amore. In questo modo la parola di Dio non ci allontana da noi stessi, non ci porta a diventare angeli; piuttosto rende operante nel modo più profondo quell'apertura al reale (a tutta la realtà) che è iscritta nella nostra condizione umana e che ci porta a conoscere e amare senza limiti.

Luciano Monari
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06/06/2014 07:09
 
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Paolo Curtaz
Commento su Giovanni 21,15-19

Per tre volte aveva giurato di non conoscerlo. Per tre volte ora Pietro è chiamato a riaffermare la propria fede, a ridire la propria appartenenza al Maestro. Pensava di essere cresciuto, Simone, di essere saldo: era questa la ragione per cui il Signore lo aveva chiamato a diventare responsabile dei fratelli! E, invece, davanti alla croce era fuggito come un coniglio, aveva negato davanti ad una serva di essere uno dei discepoli. Anche noi, spesso, ci vergogniamo di essere cristiani, facciamo finta di non essere del gruppo dei discepoli o, se lo ammettiamo di farne parte, ci preoccupiamo di fare dei "distinguo", di sottolineare le differenze. Non va di moda, oggi, dichiararsi cattolici! Ora, dopo molte settimane, Pietro è lontano dal risorto. Lo ha incontrato, certo, ma il suo cuore è gonfio e pesante. È come se la resurrezione non lo riguardasse più...; è tornato a pescare, nulla più lo scalfisce: non è riuscito a perdonare la propria colpa. E il Signore viene apposta per lui, appare per riprenderselo. Mi ami? Chiede. Ti voglio bene, si sente rispondere. La terza volta è Gesù a chiedere: mi vuoi bene? Si rattrista Pietro, è stato Dio ad abbassare le pretese. Bene: ora è pronto, Pietro, a sostenere la fede dei proprio fratelli...
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07/06/2014 08:01
 
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Il Vangelo di Giovanni termina con questa sequenza quasi cinematografica. Gesù si allontana. È seguito da Pietro. Pietro si gira e vede Giovanni che li segue. Ancora confuso per la fiducia che Gesù gli ha appena dimostrato (Gv 21,15-17), interroga il Maestro sul conto di questo discepolo che si è comportato certo meglio di lui. Ma Gesù non risponde in modo chiaro. Ma, a dire il vero, non importa molto la sua risposta. Ciò che conta è che Giovanni l’abbia sentita e che possa perciò riferirla. Ciò che conta è la fiducia data al testimone. E, al termine del proprio Vangelo, Giovanni insiste sulla serietà della sua testimonianza: “Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Gv 21,24). Niente importa più di questo. Bisogna che sia vero, altrimenti perché credere? Giovanni lo ripete continuamente. Si ricordi quest’altro passo: “Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate” (Gv 19,35). La nostra fede si fonda sulla testimonianza degli apostoli, come la fede degli apostoli si fonda sulla testimonianza di Gesù (Gv 8,18). Gesù ha dato la vita in segno di fedeltà alla verità che egli stesso testimonia. Così, gli apostoli moriranno martiri, non perché fanatici, ma perché testimoni di fatti e non di idee. Quand’anche li si ucciderà, i fatti resteranno delle realtà, proprio come la morte e la risurrezione di Gesù. È su tale realtà che Giovanni insiste concludendo il suo Vangelo. È questa realtà che noi dobbiamo testimoniare. Ecco perché gli apostoli e, dopo di loro, tutti i fedeli tengono a sottolineare che Gesù è risorto veramente e che è veramente vivo. E ciò è vero perché reale (Lc 24,34). Cristo è risorto, alleluia! È davvero risorto, alleluia!
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08/06/2014 09:14
 
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Gaetano Salvati


Alla fine del tempo di pasqua rincontriamo Gesù che visita i suoi discepoli nel cenacolo. Questo è il luogo in cui il Risorto dona la pace e dimora nei cuori dei credenti per mezzo dello Spirito Santo.
La liturgia della Parola oggi offre due chiavi di letture riguardo la Pentecoste.
La prima è la testimonianza di san Luca. Egli descrive la comunità dei discepoli che si radunava dopo l'Ascensione di Gesù (At 1,12-14). Tale descrizione è ricca di particolari: vi è un luogo, il Cenacolo; ci sono gli Undici Apostoli; Maria, la madre del Signore; alcune donne. Questa comunità si raduna nel Cenacolo la mattina della festa ebraica di Pentecoste, nella quale si faceva memoria dell'Alleanza di Dio sul Sinai (Es 19). Il patto antico, secondo il libro dell'Esodo, fu descritto attraverso una manifestazione terrificante del Signore: Dio era sceso nel fuoco e tutto il monte tremava (Es 19,18). Il vento e il fuoco li ritroviamo nella Pentecoste del Nuovo Testamento ma senza eco di terrore. Il fuoco, che si manifesta attraverso lingue, si posa sui discepoli, i quali "furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue" (At 2,4). È nell'evento di Pentecoste, quindi, che la Chiesa viene costituita dalla forza dello Spirito. È solo lo Spirito di Cristo che crea unità nella comunità. Infatti, lo Spirito Santo, generatore di unità nell'amore, attua la reciproca accettazione delle diversità di ciascuno e rende possibile sia il linguaggio nuovo, quello della comunione assoluta, sia l'esperienza esistenziale della risurrezione, il quale apre alla nuova realtà dell'incontro con il Cristo risorto.
Per Giovanni risurrezione e Pentecoste coincidono in una sola realtà. Il Cristo crocifisso e risorto è il medesimo che dona la sua presenza e ci rende creature nuove, trasformate, perché divenuti testimoni dell'evento che ha cambiato il corso del tempo. Dalla sua presenza nasce anche la missione della Chiesa che è quella di diffondere la pace nel mondo. Infatti, la comunità dello Spirito, coerente con l'insegnamento del suo Maestro, è inviata per essere segno e strumento di perdono, non di giudizio; di liberazione dalle catene del male, dell'oppressione e dell'ingiustizia.
Infine, un'altra valutazione del vangelo forse può esserci di aiuto quando percorriamo il sentiero del dubbio e dell'incertezza. Giovanni dice che i discepoli erano chiusi nel cenacolo per timore dei Giudei. E Gesù si manifesta in mezzo a loro, incrociando le loro paure, anticipando le insicurezze e schiarendo le timidezze, per renderli testimoni dell'Amore che ha vinto il pianto e l'amarezza della solitudine (essere lontani da Dio). Si mostra donando la pace (Gv 20,21), perché Egli è la pace senza fine, la consolazione che non siamo soli ma amati da Dio e in grado di rispondere al Suo amore infinito per noi.
Ora il Crocifisso-Risorto non lascia loro un testamento, ma un contatto, un colloquio silenzioso, continuo con lo Spirito di verità. Questo Spirito, questa verità non è un'idea ma una persona che abita in noi, che grida in noi, nella misura in cui siamo disposti ad ascoltarlo. Amen.
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09/06/2014 07:15
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 5,1-12

1) Preghiera

O Dio, sorgente di ogni bene,
ispiraci propositi giusti e santi
e donaci il tuo aiuto,
perché possiamo attuarli nella nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi".


3) Riflessione

? Da oggi, inizio della 10a Settimana del Tempo Ordinario, fino alla 21ª Settimana del Tempo Ordinario, i vangeli quotidiani sono tratti dal vangelo di Matteo. A partire dalla 22ª Settimana del Tempo Ordinario, fino al termine dell'anno liturgico, sono tratti dal vangelo di Luca.
? Nel vangelo di Matteo, scritto per le comunità di giudei convertiti della Galilea e Siria, Gesù è presentato come il nuovo Mosè, il nuovo legislatore. Nell'AT la Legge di Mosè venne codificata in cinque libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Imitando l'antico modello, Matteo presenta la Nuova Legge in cinque grandi discorsi sparsi nel vangelo: a) Il Discorso della Montagna (Mt 5,1 a 7,29); b) Il Discorso della Missione (Mt 10,1-42); c) Il Discorso delle Parabole (Mt 13,1-52); d) Il Discorso della Comunità (Mt 18,1-35); e) il Discorso del Futuro del Regno (Mt 24,1 a 25,46). Le parti narrative, intercalate tra i cinque Discorsi, descrivono la pratica di Gesù e mostrano come osservava la nuova Legge e la incarnava nella sua vita.
? Matteo 5,1-2: Il solenne annuncio della Nuova Legge. D'accordo con il contesto del vangelo di Matteo, nel momento in cui Gesù pronuncia il Discorso della Montagna, c'erano appena quattro discepoli con lui (cf. Mt 4,18-22). Poca gente. Ma una moltitudine immensa stava dietro di lui (Mt 4,25). Nell'AT, Mosè salì sul monte Sinai per ricevere la Legge di Dio. Come avvenne con Mosè, Gesù sale sulla Montagna e, guardando la folla, proclama la Nuova Legge. E' significativo il modo solenne con cui Matteo introduce la proclamazione della Nuova Legge: "Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola li ammaestrava dicendo: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli". Le otto Beatitudini aprono in modo solenne il "Discorso della Montagna". In esse Gesù definisce chi può essere considerato beato, chi può entrare nel Regno. Sono otto categorie di persone, otto porte di ingresso per il Regno, per la Comunità. Non ci sono altre entrate! Chi vuole entrare nel Regno dovrà identificarsi almeno con una di queste otto categorie.
? Matteo 5,3: Beati i poveri in spirito. Gesù riconosce la ricchezza e il valore dei poveri (Mt 11,25-26). Definisce la propria missione in questi termini: "annunciare la Buona Novella ai poveri" (Lc 4,18). Lui stesso vive da povero. Non possiede nulla per sé, nemmeno una pietra su cui reclinare il capo (Mt 8,20). E a chi vuole seguirlo, ordina di scegliere: o Dio, o il denaro! (Mt 6,24). Nel vangelo di Luca si dice: "Beati voi poveri!" (Lc 6,20). Ma chi è il "povero in spirito"? E' il povero che ha lo stesso spirito che animò Gesù. Non è il ricco, nemmeno il povero con la mentalità di ricco. Bensì è il povero che, come fa Gesù, pensa ai poveri e ne riconosce il valore. E' il povero che dice: "Penso che il mondo sarà migliore quando il minore che soffre pensa al minore".
1. Beati i poveri in spirito => di essi è il Regno dei Cieli
2. Beati i miti => erediteranno la terra
3. Beati gli afflitti => saranno consolati
4. Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia => saranno saziati
5. Beati i misericordiosi => otterranno misericordia
6. Beati i puri di cuore => vedranno Dio
7. Beati i promotori di pace => saranno figli di Dio
8. Beati i perseguitati per causa della giustizia => di essi è il regno dei cieli
? Matteo 5,4-9: Il nuovo progetto di vita. Ogni volta che nella Bibbia si cerca di rinnovare l'Alleanza, si ricomincia ristabilendo il diritto dei poveri e degli esclusi. Senza di questo, l'Alleanza non si rifà! Così facevano i profeti, così fa Gesù. Nelle beatitudini, Gesù annuncia il nuovo Progetto di Dio che accoglie i poveri e gli esclusi. Denuncia il sistema che esclude i poveri e che perseguita coloro che lottano per la giustizia. La prima categoria dei "poveri in spirito" e l'ultima categoria dei "perseguitati per causa della giustizia" ricevono la stessa promessa del Regno dei Cieli. E la ricevono fin da ora, nel presente, poiché Gesù dice "di essi è il Regno!" Il Regno è già presente nella loro vita. Tra la prima e l'ultima categoria, ci sono sei altre categorie che ricevono la promessa del Regno. In esse appare il nuovo progetto di vita che vuole ricostruire la vita nella sua totalità mediante un nuovo tipo di rapporto: con i beni materiali (1a coppia); con le persone tra di loro (2a coppia); con Dio (3a coppia). La comunità cristiana deve essere un esempio di questo Regno, un luogo dove il Regno comincia a prendere forma fin da ora.
? Le tre coppie:
- Prima coppia: i miti e gli afflitti: I miti sono i poveri di cui parla il salmo 37. Loro sono stati privati delle loro terre e le erediteranno di nuovo (Sal 37,11; cf Sal 37.22.29.34). Gli afflitti sono coloro che piangono dinanzi all'ingiustizia nel mondo e nella gente (cf. Sal 119,136; Ez 9,4; Tb 13,16; 2Pd 2,7). Queste due beatitudini vogliono ricostruire il rapporto con i beni materiali: il possesso della terra ed il mondo riconciliato.
- Seconda coppia: coloro che hanno fame e sete di giustizia ed i misericordiosi: Coloro che hanno fame e sete di giustizia sono coloro che desiderano rinnovare la convivenza umana, in modo che sia di nuovo d'accordo con le esigenze della giustizia. I misericordiosi sono coloro che hanno il cuore nella miseria degli altri perché vogliono eliminare le disuguaglianze tra fratelli e sorelle. Queste due beatitudini vogliono ricostruire il rapporto tra le persone mediante la pratica della giustizia e della solidarietà.
- Terza coppia: i puri di cuore ed i pacifici: I puri di cuore sono coloro che hanno uno sguardo contemplativo che permette loro di percepire la presenza di Dio in tutto. Coloro che promuovono la pace saranno chiamati figli di Dio, perché si sforzano affinché una nuova esperienza di Dio possa penetrare il tutto e riesca ad integrare il tutto. Queste due beatitudini vogliono ricostruire il rapporto con Dio: vedere la presenza di Dio che agisce in tutto, ed essere chiamati figlio e figlia di Dio.
? Matteo 5,10-12: I perseguitati per causa della giustizia e del vangelo. Le beatitudini dicono esattamente il contrario di ciò che dice la società in cui viviamo. Infatti, nella società il perseguitato per la giustizia è considerato un infelice. Il povero è un infelice. Beato è colui che ha denaro e può andare al supermercato e spendere come vuole. Beato è colui che ha fama e potere. Gli infelici sono i poveri, coloro che piangono! In televisione, i teleromanzi divulgano questo mito della persona felice e realizzata. E senza che ce ne rendiamo conto, diventano il modello di vita per molti di noi. C'è ancora posto nella nostra società per queste parole di Gesù: "Beati i perseguitati per causa della giustizia e del vangelo! Beati i poveri! Beati coloro che piangono!"? E per me, che sono cristiano o cristiana, di fatto chi è beato?


4) Per un confronto personale

? Tutti vogliamo essere felici. Tutti e tutte! Ma siamo veramente felici? Perché sì? Perché no? Come capire che una persona possa essere povera e felice allo stesso tempo?
? Quali sono i momenti nella tua vita in cui ti sei sentito/a veramente felice? Era una felicità come quella che fu proclamata da Gesù nelle beatitudini, o era di un altro tipo?


5) Preghiera finale

Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l'aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra. (Sal 120)
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10/06/2014 07:25
 
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Eremo San Biagio
Commento su Matteo 5,13

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?
Mt 5,13

Come vivere questa parola?

L'immagine del sale è un modo originale e suggestivo per descrivere il discepolo fedele del Regno. Il sale, infatti, dà sapore e preserva dalla corruzione; il discepolo è il sale della terra e dà sapore dove abita, dove lavora, ovunque passa con la testimonianza della sua vita. Con la vita, prima che con le parole, egli proclama che la compagnia di Gesù è stupenda! È ricca di gioia, di equilibrio, di amore verso tutti; sono solo alcune delle virtù che crescono dal di dentro della persona che segue Gesù.

E così il discepolo diventa la luce sul lucerniere: illumina irradia la vita intorno a sè. Sì, è la presenza dinamica di Gesù nel cuore che ispira e continua l'opera salvifica nel mondo attraverso ciascuno di coloro che lo accolgono e lo custodiscono in cuore puro.

Però, come il sale può perdere il sapore e l'efficacia diventando scipito, e la luce non sul lucerniere non illumina, così anche il discepolo può perdersi nella mondanità.

Oggi, nel mio rientro al cuore, mi propongo di riflettere sulla mia vita in quanto ?sale della terra' e ?luce del mondo'.

Signore Gesù, aiutami a custodire i valori delle beatitudini nella mia vita per poter influire positivamente su quanti mi vivono accanto.

La voce di un monaco benedettino

Per Gesù il cammino verso la sua meta passa attraverso il dolore, attraverso la morte. Questo vale anche per noi che con Gesù giungiamo al regno di Dio attraverso molte difficoltà. Gesù è il principe della vita. Come re egli ci apre la strada verso la vita vera.
Anselm Grun
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11/06/2014 08:03
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Matteo 10,7-13

1) Preghiera

O Padre, che hai scelto san Barnaba,
pieno di fede e di Spirito Santo,
per convertire i popoli pagani,
fa' che sia sempre annunziato fedelmente,
con la parola e con le opere,
il Vangelo di Cristo,
che egli testimoniò con coraggio apostolico.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 10,7-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento. In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi".


3) Riflessione

? Oggi è la festa di san Barnaba. Il vangelo parla degli insegnamenti di Gesù ai discepoli su come annunciare la Buona Novella del Regno alle "pecore perdute di Israele" (Mt 10,6). Loro devono: a) guarire i malati, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni (v.8); b) annunciare gratuitamente ciò che gratuitamente ricevono (v.8); c) non procurarsi oro, né sandali, né bastone, né bisaccia, né due tuniche (v.9); d) cercarsi una casa dove poter esser accolti fino al termine di una missione (v.11); e) essere portatori di pace (v.13).
? Al tempo di Gesù c'erano vari movimenti che, come lui, erano alla ricerca di una nuova maniera di vivere e convivere, per esempio, Giovanni Battista, i farisei, esseni ed altri. Molti di loro formavano comunità di discepoli (Gv 1,35; Lc 11,1; At 19,3) ed avevano i loro missionari (Mt 23,15). Però c'era una grande differenza! I farisei, per esempio, quando andavano in missione, erano prevenuti. Pensavano che non potevano fidarsi degli alimenti della gente, perché non sempre erano ritualmente "puri". Per questo, portavano bisaccia e denaro per poter occuparsi loro stessi di ciò che mangiavano. Cosi, le osservanze della Legge della purezza, invece di aiutare a superare le divisioni, indebolivano ancora di più il vissuto dei valori comunitari. La proposta di Gesù è diversa. Il suo metodo traspare nei consigli che lui dà agli apostoli quando li manda in missione. Per mezzo delle istruzioni, cerca di rinnovare e riorganizzare le comunità di Galilea in modo che fossero di nuovo un'espressione dell'Alleanza, una mostra del Regno di Dio.
? Matteo 10,7: L'annuncio della vicinanza del Regno. Gesù invita i discepoli ad annunciare la Buona Novella. Loro devono dire: "Il Regno dei cieli è vicino!" Cosa vuol dire che il Regno è vicino? Non significa una vicinanza nel tempo, nel senso che basta aspettare un poco di tempo e dopo il Regno verrà. "Il Regno è vicino" significa che già è alla portata della gente, già "è in mezzo a voi" (Lc 17,21). E' bene acquisire uno sguardo nuovo, per poter percepire la sua presenza o prossimità. La venuta del Regno non è frutto della nostra osservanza, come volevano i farisei, ma si rende presente, gratuitamente, nelle azioni che Gesù raccomanda agli apostoli: guarire i malati, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni.
? Matteo 10,8: Guarire, risuscitare, purificare, scacciare. Malati, morti, lebbrosi, posseduti erano gli esclusi dalla convivenza, ed erano esclusi in nome di Dio. Non potevano partecipare alla vita comunitaria. Gesù ordina di accogliere queste persone, di includerle. Il Regno di Dio si rende presente in questi gesti di accoglienza e di inclusione. In questi gesti di gratuità umana si nota l'amore gratuito di Dio che ricostruisce la convivenza umana e ricuce i rapporti interpersonali.
? Matteo 10,9-10: Non portare nulla. Al contrario degli altri missionari, gli apostoli non possono portare nulla: "Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento". L'unica cosa che potete e dovete portare è la Pace (Mt 10,13). Ciò significa che devono fidarsi dell'ospitalità e della condivisione della gente. Perché il discepolo che non porta nulla con sé e porta la pace, indica che ha fiducia nella gente. Crede che sarà ricevuto, e la gente si sente valorizzata, apprezzata e confermata. L'operaio ha diritto al suo alimento. Facendo questo, il discepolo critica le leggi di esclusione e riscatta gli antichi valori della condivisione e della convivenza comunitaria.
? Matteo 10,11-13: Vivere insieme ed integrarsi in comunità. Giungendo a un luogo, i discepoli devono scegliere una casa di pace e lì devono rimanere fino alla fine. Non devono passare da una casa all'altra, bensì vivere lì stabilmente. Devono divenire membri della comunità e lavorare per la pace, cioè per ricostruire i rapporti umani che favoriscono la Pace. Per mezzo di questa pratica, loro riscattano un'antica tradizione della gente, criticano la cultura di accumulazione, tipica della politica dell'impero romano ed annunciano un nuovo modello di convivenza.
? Riassunto: le azioni raccomandate da Gesù per l'annuncio del Regno sono queste: accogliere gli esclusi, fidarsi dell'ospitalità, spingere alla condivisione, vivere stabilmente e in modo pacifico. Se questo avviene, allora possiamo e dobbiamo gridare ai quattro venti: Il Regno è tra di noi! Annunciare il Regno non consiste in primo luogo nell'insegnare verità e dottrine, catechismo o diritto canonico, ma portare le persone ad una nuova maniera di vivere e convivere, una nuova maniera di pensare e di agire partendo dalla Buona Novella, portata da Gesù: Dio è Padre e Madre, e quindi tutti siamo fratelli e sorelle.


4) Per un confronto personale

? Perché tutti questi atteggiamenti raccomandati da Gesù sono segni del Regno di Dio in mezzo a noi?
? Come fare oggi ciò che Gesù ci chiede: "Non portare bisaccia", "Non passare di casa in casa"?


5) Preghiera finale
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto prodigi.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. (Sal 97)
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12/06/2014 09:30
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Ma io vi dico

Il modo di essere giusti o di ritenersi tali come veniva praticato dagli scribi e dai farisei, vittime di un formalismo esteriore e sterile, non è più quello che Gesù richiede dai suoi. Egli è il perfezionatore della Legge antica e lo ha dimostrato con la proposta e l'adempimento del comandamento dell'amore. Il cristiano quindi, non solo non si limita ad un'osservanza esteriore e formale, ma, sentendosi sorretto dalla grazia divina riversata abbondantemente nei nostri cuori, cerca la perfezione in tutti i suoi comportamenti. I comandamenti, dati a Mosè sul Sinai, assumono una dimensione diversa sul Gòlgota. Colui che viene ucciso crudelmente e inchiodato ad una croce, ora può dire al mondo che anche chi si rende responsabile di un gesto di ira o di un insulto nei confronti di un fratello sarà sottoposto a giudizio. Sono ancora gli effetti dell'amore a far dire a Gesù che se stiamo per andare a portare la nostra offerta all'altare per vivere con lui un'esperienza di comunione, dobbiamo prima ristabilire la comunione anche con i nostri fratelli che ci hanno offeso o che sono stati offesi da noi. Chi sa quante Messe dovrebbero essere interrotte per dare ai fedeli tempo e modo di realizzare detta riconciliazione!
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13/06/2014 07:45
 
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È un grande privilegio per un Apostolo del Signore poter applicare a sé il magnifico testo di Isaia che Gesù a Nazaret ha applicato a se stesso: "Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri...".
Veramente lo Spirito era su Antonio di Padova, che ha portato il lieto annuncio, il Vangelo, ai poveri con un successo straordinario. E ha fasciato le piaghe dei cuori spezzati, ha annunciato la liberazione dei prigionieri, in modo così luminoso, così straordinario, che è stato canonizzato dopo un solo anno dalla sua morte. È una cosa che oggi sarebbe impossibile, ma che dice bene quanto profonda fosse la venerazione del popolo cristiano.
In questo testo di Isaia, in cui vediamo chiaramente l'azione dello Spirito consolatore che fascia le piaghe del cuore, che consola gli afflitti, vorrei sottolineare l'annuncio di libertà, che ci fa vedere lo Spirito all'opera come creatore, così come lo invoca l'inno di Pentecoste.
Tutti siamo prigionieri di tanti condizionamenti, provenienti dal nostro temperamento, dalle circostanze, dallo stato di salute, dai rapporti interpersonali che non sempre sono armoniosi... E cerchiamo la liberazione.
Ma la vera liberazione viene in modo inatteso, in modo paradossale dallo Spirito di Dio, che non risolve i problemi, ma li supera, portandoci a vivere più in alto.
Nella vita di sant'Antonio possiamo constatare questa liberazione operata dallo Spirito. Antonio avrebbe potuto essere grandemente deluso, depresso, perché tutti i suoi progetti sono stati scombussolati. Voleva essere missionario, voleva perfino morire martire e proprio per questo si era imbarcato per andare fra i musulmani. Ma il suo viaggio non raggiunse la meta: invece di sbarcare nei paesi arabi fu sbarcato fra i cristiani, in Sicilia e poi rimase in Italia.
Avrebbe potuto passare il resto della sua vita a compiangere se stesso: "Non posso realizzare la mia vocazione ! ". E invece fiori dove il Signore lo aveva inaspettatamente piantato: cominciò subito a predicare, a fare il bene che poteva, e acquistò una fama straordinaria.
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14/06/2014 07:24
 
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Al tempo della guerra tra Cartagine e Roma, i Cartaginesi mandarono a Roma un prigioniero romano, per invocare la
fine dei combattimenti. Gli fu fatto giurare di tornare a Cartagine se avesse fallito la missione.
Arrivato in città, il prigioniero andò direttamente al Senato e pronunciò una requisitoria contro Cartagine. Poiché in questo modo aveva fallito la sua missione, i senatori lo supplicarono di rimanere a Roma, aggiungendo che un giuramento strappato con le minacce non aveva nessun valore. Il prigioniero rispose: “Il mio onore di Romano mi impedisce di mancare alla mia parola. Devo andare fino in fondo, nei miei doveri di cittadino. Sarò ucciso, ma l’onore di Roma sarà salvo”.
Che cosa ne è dell’onore dei cristiani? Abbiamo paura di vivere la verità, mentre abbiamo la garanzia di Cristo?
Molti giurano sul loro onore, sui loro morti, sulla loro vita, su Dio e sui santi di dire la verità. È facile giurare. Chiunque può farlo senza sentirsi impegnato se non a parole. Se la verità non traspare dai nostri occhi e dai nostri atti, è inutile sminuirla al rango di semplice enunciato. Quanti tacciono il loro impegno cristiano in un ambiente ostile, per strappare un posto vantaggioso, o per mille altre ragioni, per amor proprio, quando basterebbe un po’ più di coraggio, un po’ più di fede, un po’ più di amore e di fiducia in Gesù Cristo per non temere di restar fedeli alla sua verità.
“Tutte le cose nascoste saranno rivelate un giorno”. Ci pensiamo ogni tanto?
Cristo non ci ha mai ingannati. Che garanzia per la nostra fede!
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15/06/2014 07:28
 
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mons. Gianfranco Poma
Dio ha tanto amato il mondo

Dopo aver celebrato il mistero di Cristo, la Liturgia ci fa contemplare il mistero di Dio, per ricordarci che tutto è con Lui, in Lui, per Lui: attraverso Cristo, Dio ci è svelato come infinito mistero di Amore che ci avvolge e ci fa vivere. I pochi versetti del cap.3 del Vangelo di Giovanni che oggi leggiamo, ci collocano nel cuore della rivelazione di Dio donata agli uomini attraverso Gesù Cristo: questo è per noi, oggi, uomini e donne più che mai alla ricerca del senso della vita, di una "salvezza" come possibilità di trovare gioia in ciò che sentiamo nel profondo del nostro cuore.
Il tema della "salvezza" per una umanità smarrita e incerta come quella ebraica del tempo di Gesù, ha spinto Nicodemo ad incontrare questo singolare maestro approvato da Dio come dimostrano i segni da lui compiuti. Nicodemo: il suo rango sociale e la sua appartenenza religiosa ne fanno il rappresentante autorevole del sapere teologico giudaico del tempo. Egli viene di notte: per mantenere segreto il suo cammino di accostamento a Gesù o forse perché la notte è nel suo cuore alla ricerca di una luce che gli rinnovi la vita. Nicodemo e Gesù: l'ebraismo e la via nuova aperta da Gesù; l'uomo che con le sue forze cerca la realizzazione di sè, e l'uomo che ha il coraggio di abbandonarsi ad un dono che lo sorprende. Noi e Gesù: l'uomo moderno che conoscendo sempre meglio se stesso e le proprie potenzialità pensa di trovare da solo le vie della propria realizzazione, e Gesù, "il Figlio dell'uomo che parla delle cose del cielo", Colui che è salito al cielo perché è disceso dal cielo". Nicodemo e Gesù: la filosofia, la ragione che cerca, (oggi la ragione scientifica) e la fede...
Nicodemo incontra Gesù: "Maestro, noi sappiamo che tu sei venuto da Dio per istruirci..." Gesù "viene da Dio": Nicodemo pensa di "conoscere" Gesù, come un maestro autorevole, uno dei tanti... Ma Gesù non è come pensa Nicodemo: non è un semplice maestro degno di fiducia, un buon interprete della parola di Dio, un maestro la cui dottrina è frutto di una interpretazione fedele della Legge. Egli viene da Dio in un senso totalmente nuovo: è "il Figlio unigenito". Al maestro esperto di interpretazione della Scrittura, Gesù non offre semplicemente una dottrina confermata da Dio. Gesù spiazza Nicodemo: l' "umano" è solo infinita domanda, inesauribile ricerca, ma genera vita che rimane mortale. La "salvezza" desiderata dall'uomo (l'entrare nel regno di Dio") rimane sempre oltre il cammino che l'uomo compie: è una rinascita dallo "Spirito".
Il dialogo adesso si ferma: Gesù non si rivolge più con il "voi" a Nicodemo. Il dialogo tra due maestri del pensiero è oltrepassato da un meraviglioso discorso di rivelazione, il cuore della rivelazione cristiana: Lui che è disceso dal cielo e per questo è salito, parla di cose celesti. Non è una dottrina, è Lui stesso, la sua persona, la sua Croce, come concretezza umana, l'estrema fragilità, l'estrema debolezza, la creaturalità fragile, come non senso per la ragione umana, luogo dell'estremo Amore di Dio, la tenebra che si illumina, la notte che diventa giorno, l'annientmento come luogo estremo dell'abbraccio di Amore tra il Figlio e il Padre, esperienza di una vita nuova, lo Spirito che dalla Croce si diffonde in tutti gli spazi della povertà umana.
"Dio ha tanto amato il mondo che ha donato il suo Figlio, l'unigenito, perché ogni uomo che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna": ecco, la grande rivelazione. Un Dio che ama: per la prima volta nel Vangelo di Giovanni appare questo verbo "amare", che diventerà così frequente nella seconda parte. Giovanni, nella prima parte insiste sul verbo credere: credere in un Dio che ama, non giudica, non condanna la sua creatura che quanto più cerca e tanto più si sente incapace di raggiungere la salvezza che cerca. Credere in un Dio che ama a tal punto da donare il proprio Figlio: i verbi all' "aoristo" sottolineano l'evento storico di Gesù, la sua Croce come concretezza di un Amore di Dio che si incarna sin nel profondo dell'oscurità umana, che accetta di entrare nell'estrema abbiezione umana.
La salvezza è l'esperienza personale (la fede) dell'Amore con il quale Dio ha amato il mondo sino al dono del proprio Figlio nella morte in Croce: credere che in ogni esperienza, anche la più oscura della vita umana, è presente lo Spirito d'Amore effuso da Gesù nel momento nel quale, in un abbraccio d'Amore del Padre, ha donato tutto. La ragione umana cerca, dilata gli spazi: la risposta è solo il dono dello Spirito d'Amore che ha cominciato ad illuminare la notte di Nicodemo.
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16/06/2014 08:04
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo
senza il tuo aiuto,
soccorrici con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 5,38-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi fa parte di una piccola unità letteraria che va da Mt 5,17 fino a Mt 5,48, in cui si descrive come passare dall'antica giustizia dei farisei (Mt 5,20) alla nuova giustizia del Regno di Dio (Mt 5,48). Descrive come salire sulla Montagna delle Beatitudini, da dove Gesù annunciò la nuova Legge dell'Amore. Il grande desiderio dei farisei era vivere nella giustizia, essere giusti dinanzi a Dio. E questo è anche il desiderio di tutti noi. Giusto è colui o colei che riesce a vivere dove Dio vuole che viva. I farisei si sforzavano di raggiungere la giustizia mediante la stretta osservanza della Legge. Pensavano che con il loro sforzo potevano arrivare a stare dove Dio li voleva. Gesù prende posizione nei confronti di questa pratica e annuncia la nuova giustizia che deve superare la giustizia dei farisei (Mt 5,20). Nel vangelo di oggi stiamo giungendo quasi alla cima della montagna. Manca poco. La cima è descritta in una frase: "Siate perfetti come il vostro Padre celestiale è perfetto" (Mt 5,48), che mediteremo nel vangelo di domani. Vediamo da vicino questo ultimo grado che ci manca per giungere alla cima della montagna, di cui San Giovanni della Croce dice: "Qui regnano il silenzio e l'amore".
? Matteo 5,38: Occhio per occhio, dente per dente.Gesù cita un testo dell'Antica legge dicendo: "Avete inteso che è stato detto: Occhio per occhio, dente per dente!"Abbreviò il testo, perché il testo intero diceva: "Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, colpo per colpo" (Es 21,23-25). Come nei casi precedenti, anche qui Gesù fa una rilettura completamente nuova. Il principio "occhio per occhio, dente per dente" si trovava alla radice dell'interpretazione che gli scribi facevano della legge. Questo principio deve essere sovvertito, perché perverte e distrugge il rapporto tra le persone e con Dio.
? Matteo 5,39ª: Non restituire il male con il male. Gesù afferma esattamente il contrario: "Ma io vi dico di non opporvi al malvagio". Dinanzi a una violenza ricevuta, la nostra reazione naturale è pagare l'altro con la stessa moneta. La vendetta chiede "occhio per occhio, dente per dente". Gesù chiede di restituire il male non con il male, ma con il bene. Perché se non sappiamo superare la violenza ricevuta, la spirale di violenza occuperà tutto e non sapremo più cosa fare. Lamech diceva: "Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" (Gen 4,24). E fu proprio per questa terribile vendetta che tutto è finito nella confusione della Torre di Babele (Gen 11,1-9). Fedele all'insegnamento di Gesù, Paolo scrive nella lettera ai Romani: "Non rendete a nessuno male per male; la vostra preoccupazione sia fare il bene a tutti gli uomini. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene" (Rom 12,17-21). Per poter avere questo atteggiamento è necessario avere molta fede nella possibilità di recupero che ha l'essere umano. Come fare questo in pratica? Gesù offre quattro esempi concreti.
? Matteo 5,39b-42: I quattro esempi per superare la spirale di violenza. Gesù dice: "anzi (a) se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra;
(b) e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.
(d) E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.
(e) Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle". (Mt 5,40-42). Come capire queste quattro affermazioni? Gesù stesso ci offre un aiuto per aiutarci a capirle. Quando il soldato gli colpì la guancia, lui non gli porse l'altra. Anzi, reagì con energia: "Se ho parlato male, dimostrami dove è il male, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?" (Gv 18,23). Gesù non insegna ad essere passivi. San Paolo crede che ripagando il male con il bene "tu ammasserai carboni ardenti sul capo dell'altro" (Rm 12,20). Questa fede nella possibilità di recupero dell'essere umano è possibile solo partendo dalla radice che nasce dalla gratuità totale dell'amore creatore che Dio ci mostra nella vita e negli atteggiamenti di Gesù.


4) Per un confronto personale

? Hai sentito dentro di te qualche volta una rabbia così grande da voler applicare la vendetta "occhio per occhio, dente per dente"? Cosa hai fatto per superarla?
? La convivenza comunitaria oggi nella Chiesa favorisce in noi l'amore creatore che Gesù suggerisce nel vangelo di oggi?


5) Preghiera finale

Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole:
intendi il mio lamento.
Ascolta la voce del mio grido, o mio re e mio Dio,
perché ti prego, Signore. (Sal 5)
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17/06/2014 08:30
 
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Eremo San Biagio
Commento su 2Cor 8,1

Dalla Parola del giorno
?Nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità.?

Come vivere questa Parola?
La generosità è qui considerata da Paolo, come una grande grazia data da Dio alle chiese della Macedonia.
Infatti la possibilità di dare è dono di Dio e così anche la volontà, lo slancio del dare.
Vi è anche una ragione ancora più profonda: là dove il credente s?impegna a dare quello che Dio stesso gli dà la possibilità di donare (e dona disinteressatamente!) il suo cuore si apre sempre di più al dono di Dio.
Nella sua prima lettera S. Giovanni scrive: ?Se uno ha ricchezze in questo mondo e, vedendo il fratello in necessità, gli chiude il cuore, come l?amore di Dio può dimorare in lui?? (1Gv 3,17).
Si evidenzia così che la generosità è una condizione indispensabile perché l?amore di Dio rimanga in noi e noi in Lui. La grazia per noi, se siamo generosi, come per le chiese di Macedonia, è questa: ricevere l?amore di Dio, vivere nel suo amore, partecipare attivamente al suo essere amore-dono.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiederò di unirmi strettamente a Gesù durante il giorno con rapidi ma frequenti rientri al cuore.

Rendi il mio cuore attento alle necessità dei fratelli e generoso nel dono totale di me.

Le parole di un testimone
Condividere discretamente e a ogni occasione le pene e le gioie, le difficoltà della vita, dare un ascolto pieno di tenerezza: questo è il dono da chiedere ogni giorno al Signore.
Charles de Foucauld
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18/06/2014 09:29
 
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Profùmati la testa e làvati il volto

Gesù chiede ai suoi discepoli di vivere ogni loro relazione con un principio nuovo: ogni cosa da essi realizzata, compiuta, attuata, fatta, deve essere vissuta nel più grande nascondimento, nel grande silenzio, nella massima discrezione, in modo che nessuno veda, ma solo il Padre nostro che è nei cieli, il quale è anche colui che dona la vera, giusta ricompensa, nel tempo e per l'eternità beata nel Cieli. Si fa l'opera per il Signore, al Signore, si riceve il giusto salario dal Signore.
Perché si possa ricevere il salario da parte del Signore, è necessario che l'opera sia fatta al Signore. Quando un'opera è fatta al Signore e quando invece è fatta per noi stessi o per altri? Quando è fatta per la gloria di Dio e quando invece per la nostra? Quando essa manifesta tutte le qualità divine e quando invece rivela la pochezza del nostro cuore e la stoltezza della nostra mente? È fatta per il Signore l'opera quando la mano destra opera e la sinistra neanche se ne accorge. Quando vi è quella somma discrezione, in modo che in nessun modo venga turbato il cammino della verità. Quando l'uomo scompare e rimane solo il Signore dinanzi ai nostri occhi.
L'opera è fatta per il Signore, quando la ricolmiamo di amore puro, libero, senza alcun interesse, offerto a Lui con coscienza retta, mani innocenti, mente sgombra da ogni egoismo, superbia, vanità, invidia, gelosia, spirito di rivalità e di contesa. Quando si dona a Dio il meglio del meglio, l'ottimo dell'ottimo, senza badare a nulla. Di certo non si dona al Signore, quando diamo a lui le cose vecchie perché a noi servono le nuove. Quando ci priviamo di ciò che è passato di moda perché urge aggiornare il guardaroba. Così facendo non serviamo il Signore. Facciamo un po' di spazio nella nostra casa.
La Scrittura Santa ci insegna che Abele offrì al Signore gli agnelli più sani e più belli del suo gregge. Il Signore gradì l'offerta di Abele. Caino invece gli offrì lo scarto dei suoi raccolti. Dio non degnò di uno sguardo la sua offerta. A Lui si offre ciò che è puro, santo, senza macchia, bello. La cosa migliore sempre. Se offriamo lo scarto, la parte malata, ciò che a noi non serve, di certo mai Lui potrà gradire la nostra offerta. Ad Abramo il Signore chiese l'offerta del suo figlio unigenito, del suo unico figlio. Abramo ascoltò il Signore e per questo ascolto gli promise l'obbedienza di tutta la terra. Cristo Gesù ha offerto se stesso al Padre e fu la redenzione e la giustificazione dell'umanità.
Abbiamo parlato di offerta a Dio perché nella Nuova Alleanza Cristo e l'uomo sono divenuti una cosa sola. Una sola regola vale per ogni offerta: per il Signore, per Cristo Gesù, per l'uomo. Se facciamo due, tre regole, allora siamo fuori della verità dell'offerta. Essa è una offerta umana e non più divina. È secondo il nostro cuore e non più secondo il cuore del Padre. Anche la più piccola offerta all'uomo deve essere pensata come fatta al Signore, a Cristo Gesù. Deve essere santa, pura, libera, segreta.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci offerta pura per Cristo.
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19/06/2014 07:34
 
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Il “Pater”, la cui prima parte riguarda Dio e la seconda noi, condensa tutte le preghiere passate, presenti e future, e il "fiat” riassume tutto l’atteggiamento cristiano nei confronti della vita.
Chiedendo a Dio che sia fatta la sua volontà, dovremmo comprendere che questa volontà non può essere fatta nell’astratto, o unicamente attraverso l’opera degli altri. Deve essere fatta da noi, in ognuno di noi, con ognuno di noi.
Noi tutti desideriamo che Dio esaudisca i nostri desideri. Vorremmo dirgli: “Signore, sia fatta la mia volontà. Digiunerò, ti accenderò delle candele, farò delle novene, farò l’elemosina, farò qualunque cosa, purché tu esaudisca le mie preghiere. Tu hai detto, fra l’altro, che tutto ciò che domanderemo nel tuo nome ci sarà accordato. Allora?”.
Allora noi dimentichiamo che pregare o domandare nel nome di Gesù, è innanzi tutto pregare per avere un cuore simile al suo, affinché sia nella gioia, come nelle prove più grandi, nelle sofferenze più atroci e anche nell’avvicinarsi della morte, possiamo dire con la stessa fiducia infinita, con lo stesso amore infinito: “Sia fatta la tua volontà”. Che fortuna per noi avere un Dio chiamato Padre. Egli ci ama infinitamente, sa tutto e può tutto. Può dunque soddisfare le mie richieste, se il suo cuore paterno e la sua scienza divina vedono che ciò corrisponde al mio bene, cioè alla mia felicità.
Il mio amore verso me stesso consiste nell’avere fiducia in lui, poiché non posso immaginare un cuore più tenero e caldo per proteggermi, capirmi e rendermi felice. Quando avremo capito questa preghiera, quando essa diverrà parte integrante della nostra vita, sapremo, non solo per mezzo della ragione, ma con tutto il nostro essere, che Dio ci esaudisce sempre, anche se non sempre afferriamo il modo in cui egli si prende cura di noi.
Un malato chiede la salute ed ecco che Dio gli manda la pazienza. Noi chiediamo ciò che ci piace ed egli ci manda ciò di cui abbiamo bisogno.
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20/06/2014 07:51
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, fortezza di chi spera in te,
ascolta benigno le nostre invocazioni,
e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo
senza il tuo aiuto,
soccorrici con la tua grazia,
perché fedeli ai tuoi comandamenti
possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Matteo 6,19-23
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!"


3) Riflessione

? Nel vangelo di oggi continuiamo le nostre riflessioni sul Discorso della Montagna. Due giorni fa e ieri abbiamo riflettuto sulla pratica delle tre opere di pietà: elemosina (Mt 6,1-4), preghiera (Mt 6,5-15) e digiuno (Mt 6,16-18). Il vangelo di oggi e di domani presenta quattro raccomandazioni sul rapporto con i beni materiali, esplicitando così come vivere la povertà della prima beatitudine: (a) non accumulare (Mt 6,19-21); (b) avere una visione corretta dei beni materiali (Mt 6,22-23); (c) non servire due padroni (Mt 6,24); (d) abbandonarsi alla provvidenza divina (Mt 6,25-34). Il vangelo di oggi presenta le due prime raccomandazioni: non accumulare beni (6,19-21) e non guardare il mondo con occhi malati (6,22-23).
? Matteo 6,19-21: Non accumulare tesori sulla terra. Se, per esempio, oggi in TV si annuncia che il mese prossimo mancheranno nel mercato zucchero e caffè, tutti compreremo il massimo possibile di caffè e zucchero. Accumuliamo, perché non abbiamo fiducia. Nei quaranta anni di deserto, la gente è stata provata per vedere se era capace di osservare la legge di Dio (Es 16,4). La prova consisteva in questo: vedere se erano capaci di raccogliere solamente la manna necessaria per un solo giorno, e non accumulare per il giorno seguente. Gesù dice: "Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano." Cosa significa accumulare tesori nel cielo? Si tratta di sapere dove pongo la base della mia esistenza. Se la pongo nei beni materiali di questa terra, corro sempre il pericolo di perdere ciò che ho accumulato. Se metto la base in Dio, nessuno potrà distruggerla ed avrò la libertà interiore di condividere con gli altri ciò che posso. Per fare in modo che questo sia possibile e vivibile, è importante giungere ad una convivenza comunitaria che favorisca la condivisione e l'aiuto reciproco, ed in cui la maggiore ricchezza o tesoro non è la ricchezza materiale, bensì la ricchezza o il tesoro della convivenza fraterna nata dalla certezza portata da Gesù: Dio è Padre e Madre di tutti. Perché là dove è il tuo tesoro, è anche il tuo cuore.
? Matteo 6,22-23: La lucerna del corpo è l'occhio. Per capire ciò che Gesù chiede è necessario avere occhi nuovi. Gesù è esigente e chiede molto: non accumulare (6,19-21), non servire Dio e il denaro insieme (6,24), non preoccuparsi del cibo e delle bevande (6,25-34). Queste raccomandazioni esigenti hanno a che vedere con quella parte della vita umana dove le persone hanno più angoscia e preoccupazioni. Fa parte anche del Discorso della Montagna, che è più difficile da capire e praticare. Per questo Gesù dice: "Se il tuo occhio è malato,....". Alcuni traducono occhio malato e occhio sano. Altri traducono occhio meschino e occhio generoso. E' uguale. In realtà, la peggiore malattia che si possa immaginare è una persona chiusa in se stessa e nei suoi beni e che si fida solo di loro. È la malattia della meschinità! Chi guarda la vita con questi occhi vivrà nella tristezza e nell'oscurità. La medicina per curare questa malattia è la conversione, il cambio di mentalità e di ideologia. Mettere la base della vita in Dio e così lo sguardo diventa generoso e la vita tutta diventa luminosa, perché fa nascere la condivisione e la fraternità.
? Gesù vuole un cambiamento radicale. Vuole l'osservanza della legge dell'anno sabbatico, dove viene detto che nella comunità dei credenti, non ci possono essere poveri (Dt 15,4). La convivenza umana deve essere organizzata in modo tale che una persona non debba preoccuparsi del cibo e delle bevande, dei vestiti e della casa, della salute e dell'educazione (Mt 6,25-34). Ma ciò è possibile se tutti cerchiamo prima il Regno di Dio e la sua giustizia (Mt 6,33). Il Regno di Dio vuol dire permettere che Dio regni: è imitare Dio (Mt 5,48). L'imitazione di Dio porta alla condivisione giusta dei beni e dell'amore creativo, che genera una vera fraternità. La Provvidenza Divina deve essere mediata dall'organizzazione fraterna. Solo così è possibile eliminare qualsiasi preoccupazione per il domani (Mt 6,34).


4) Per un confronto personale

? Gesù disse: "Là dove è il tuo tesoro, è anche il tuo cuore". Dove si trova la mia ricchezza: nel denaro o nella fraternità?
? Qual è la luce che ho nei miei occhi per guardare la vita, gli avvenimenti?


5) Preghiera finale

Il Signore ha scelto Sion,
l'ha voluta per sua dimora:
"Questo è il mio riposo per sempre;
qui abiterò, perché l'ho desiderato." (Sal 131)
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21/06/2014 07:45
 
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Eremo San Biagio
Commento su Seconda Corinti 12,10

Quando sono debole, è allora che sono forte
2Cor 12,10

Come vivere questa Parola?

Mentre Paolo continua a parlare o a domandarsi della necessità di vantarsi, le sue confidenze ai Corinzi ci mostrano ancora di più un uomo appassionato del suo apostolato, fragile, ma fermo e sicuro di essere in Cristo qualsiasi cosa faccia o viva. Parla di sé in terza persona e sposta l'accento sull'area delle visioni e rivelazioni, esperienze di sicuro al di sopra di quelle dei suoi avversari; ma poi ritorna alle situazioni concrete legate alla sua missione: è un momento estremamente critico della sua vita e dall'intimo del cuore Paolo fa risuonare un grido di fiducia nella potenza di Cristo: «...Quando sono debole, è allora che sono forte!».

La debolezza l'ha reso apostolo perché lo rende sempre più simile a Cristo crocifisso, conforme alla parola che sempre ha proclamato; diventa in lui la premessa, la condizione importante per la manifestazione della potenza di Dio come "grazia"; è il segno dell'efficacia della croce e della risurrezione del Signore [cf Angelo Colacrai, Forze dei deboli e debolezza dei potenti, 423].

Mantieni in me, Signore, la consapevolezza della mia debolezza e la fiducia nella tua fortezza, per poter gridare, nelle angosce e avversità quotidiane: «Quando sono debole, è allora che sono forte».

La voce di un padre della Chiesa:

Ci deridano pure i forti e i potenti; noi, deboli e bisognosi, ci confessiamo a Te, Signore
s. Agostino, Confessioni IV,1
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22/06/2014 09:01
 
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padre Antonio Rungi
Donaci sempre il tuo corpo e il tuo sangue

In questa domenica in cui celebriamo la solennità del Corpo e Sangue di Gesù il mio primo pensiero va a quanti questo corpo e questo sangue, sacramento della presenza reale e divina di Gesù, non possono riceverlo e per tanti sacerdoti che non possono e non hanno potuto celebrarlo nel corso dei millenni, da quel giovedì santo, durante l'ultima cena, in cui Gesù istituiva l'eucaristia e il sacerdozio per essere più vicino a noi con le specie del pace e del vino. Penso a quanti non lo possono ricevere e soffrono per questo e penso, in secondo luogo, a quanti lo possono ricevere e non sentono il bisogno di farlo, dai più piccoli ai più grandi, dai bambini della prima comunione che anche quest'anno 2014, nei giorni scorsi ed oggi in particolare si accosteranno per la prima volta al Santissimo Sacramento dell'Altare. Penso agli ammalati in ospedale o nelle case in cui difficilmente arriva il ministro dell'eucaristia o il ministro straordinario della comunione per portare a quanti soffrono il viatico della gioia del cuore, che è Cristo Signore. Penso a quanti si sono fatti santi mettendo al centro della loro vita la messa, l'eucaristia e l'adorazione eucaristica, la partecipazione al culto eucaristico dentro e fuori la celebrazione della messa. I santi religiosi, sacerdoti, vescovi e papi, i tantissimi fedeli laici che hanno alimentato la loro esistenza alla fonte inesauribile della grazia eucaristica. Ecco, oggi festeggiare il Corpus Domini, non è solo replicare le abitudini quotidiane o settimanali della partecipazione alla messa e alla santa comunione, molte volte senza fervore e senza zelo, ma è essenzialmente immergersi in questo mistero della fede, mediante il quale annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell'attesa della sua venuta. L'eucaristia ci immerge in questo mistero del già e del non ancora. La certezza della vita e della risurrezione e la speranza della salvezza eterna e definitiva. Noi nell'eucaristia anticipiamo tutto questo. Ecco perché è chiamata in tanti modi: sacrificio, mensa, banchetto nuziale, cena, frazione del pace, comunione ed altri termini teologici, elaborati dalla riflessione dei santi e del magistero che si sono concentrati sull'eucaristia e sulla messa, memoriale della pasqua del Signore.

La liturgia della parola che oggi ascoltiamo e sulla quale siamo invitati a meditare e riflettere per vivere questa giornata di gioia con lo spirito giusto e con il cuore libero da ogni altra preoccupazione che non sia quello di dare lode a Dio, ci aiuta proprio in questo cammino eucaristico che ci spinge quasi naturalmente verso la santità, che è la meta più alta alla quale possiamo aspirare. Lo facciamo con la preghiera della sequenza che oggi tutta l'assemblea convocata per la santa messa, recita prima della proclamazione del vangelo: Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev'essere gettato. Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell'agnello della Pasqua, nella manna data ai padri. Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi.

In questa speciale preghiera eucaristica vogliamo soffermarci su questa espressione: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni. E' l'essenza stessa dell'eucaristia. In essa Gesù si fa nostro cibo e nostra bevanda per nutrirci e difenderci dagli assalti del male e del peccato.

Come nella vita fisica, senza il necessario, adeguato e specifico nutrimento si abbassano le difese immunitarie, così nella vita spirituale senza l'eucaristia si abbassano i livelli di spiritualità e moralità e la vita di un vero cristiano si riduce a vita materiale, spesso vissuta anche rettamente, ma non certamente contrassegnata da questo rapporto continuo e sacramentale con Cristo che proprio l'eucaristia ci offre.

Con Cristo in noi, tutto possiamo realizzare dei nostri sogni più veri e delle nostre aspettative più certe. Nell'eucaristia, infatti, la nostra vita si trasforma continuamente in Cristo, vive e rivive la vita di Cristo non solo nel momento in cui riceve il corpo del Signore, ma perché quel corpo donato e quel sangue versato sulla Croce per noi ci redime continuamente da ogni colpa, ci rivitalizza sempre.

Perciò i cristiani, i martiri dei primi secoli pur di celebrare l'eucaristia, non temevano di andare a morire per questo valore. Le catacombe erano i luoghi speciali di preghiera, ma soprattutto i luoghi per fare memoria del Signore, facendo tesoro quel comando che Cristo aveva dato loro nell'ultima cena: Fate questo ogni memoria di me. San Paolo Apostolo nel brano della prima lettera ai Corinzi, ci rammenta, infatti, cosa in effetti produce in noi l'eucaristia: " Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane". E' la dimensione ecclesiale dell'eucaristia. E sappiamo bene come il magistero della chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, specialmente con San Giovanni Paolo II, abbia voluto accentuare la dimensione ecclesiale dell'eucaristia, in quanto non c'è chiesa senza eucaristia e non c'è eucaristia se non nella chiesa, cioè nella comunione. Possiamo comprendere questa dimensione alla luce del discorso di Gesù sul pane della vita, come ci viene testualmente riportato dall'evangelista Giovanni, nel brano di oggi: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Ed aggiunge: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda". Pane per la vita del mondo è questa l'eucaristia. E questa la solennità del Corpus Domini che ci accingiamo a vivere con un cuore rinnovato dall'amore e dall'ardore eucaristico. Facciamo accendere dentro di noi questa fiamma che possa guidare i nostri gesti quotidiani, quando l'eucaristia dalla celebrazione, passa ad essere solo e soltanto diaconia e servizio. Non c'è chiesa eucaristica se non si fa serva per amore sull'esempio del proprio Maestro e Signore. Ecco che con grande gioia nel cuore possiamo oggi pregare così con tutta la chiesa sparsa nel mondo e che si ritrova particolarmente in questo giorno intorno alla sorgente della sua carità e del suo amore per l'umanità: "Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre, ravviva in noi il desiderio di te, fonte inesauribile di ogni bene: fa' che, sostenuti dal sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita, fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del regno". Amen.
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23/06/2014 07:18
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La trave e la pagliuzza

Gesù oggi ci ammonisce: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati». Per ergerci a giudici del nostro prossimo dovremmo avere almeno due condizioni che raramente si realizzano in noi: dovremmo essere sgombri da difetti e da peccati, avere cioè uno sguardo limpido e poi essere certi di essere smossi e guidati dalla carità vera. Al quel punto però non si tratterebbe più di giudizio, ma di correzione fraterna. Ci torna alla mente la famosa favola di Fedro e delle due bisacce, una posta dietro le nostre spalle carica dei nostri difetti e l'altra sul davanti con i difetti degli altri. Vuol dire che siamo umanamente propensi a vedere facilmente le manchevolezze altri e restii a vedere le nostre. Pare inoltre che ci piaccia scrutare ilo male degli altri anche per scusare il nostro. Questi potremmo definirli i moti spontanei dell'anima, ma sicuramente non danno spazio alle virtù cristiane. Gesù dice chiaramente: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui». Se avessimo subito il giudizio di Dio secondo la più perfetta equità, saremmo tutti incappati inevitabilmente in una severa ed irrevocabile condanna. È prevalsa invece la misericordia, il perdono, la redenzione a prezzo del sangue di Cristo. Per questo il Signore non solo ci sollecita a non giudicare alcuno, ma aggiunge: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro». Non possiamo mai dimenticare che Colui che ha predicato e praticato amore fino al dono della vita, come suprema testimonianza, è stato vittima di un giudizio iniquo e di una condanna assurda. E dopo di Cristo i giudizi e le condanne inique si sono moltiplicate nel mondo, creando una vera schiera di vittime e di condannati innocenti. Così si agisce quando la misura dell'agire umano è la fredda norma scandita dalla ragione e spoglia di misericordia. Capita ancora che proprio coloro che hanno la trave negli occhi vogliano togliere la pagliuzza dall'occhio altrui cadendo nella peggiore ipocrisia.
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24/06/2014 07:20
 
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don Marco Pozza
La testa di lui la fa impazzire

Come un amante smemorato. Perché l'orologio e il calendario non accettano distrazioni. Così la sentenza è divenuta definitiva. E lui è arrivato troppo tardi per far carriera tra i profeti: di Zaccaria, ultimissimo profeta del Vecchio Testamento, s'avverte l'eco delle nenie funebri. Per la carriera opposta, è arrivato troppo in anticipo: le moglie dei vecchi pescatori sono appena gravide e dei loro bambini - i primi pescatori di Galilea - ancora non s'avvertono i primi vagiti. Appena chiuse o ancora da aprire, le iscrizioni non lasciano scampo a questo bel figlio di Elisabetta e Zaccaria: i tempi sono stati calcolati male. Eppure il vecchio padre, reso orbo dal troppo studio delle Scritture, armeggiando con le vecchie profezie e i vaticini dell'Antico Patto sapeva bene che Lassù l'importante non era vincere o perdere ma farsi trovare pronti quando la sfida s'accendeva. Ecco perché sulla tavoletta scrisse senz'indugio: "Giovanni è il suo nome" (liturgia della Solennità della Natività di Giovanni Battista) L'avrà letto negli astri o al crepuscolo dei mattini ebraici, battendo l'attesa sulla soglia del tempio o carezzando la chioma della sua Elisabetta. O semplicemente porgendo l'orecchio a quell'Eterno che da giorni gli ronzava attorno. Fatto sta che da un grembo sterile - simile ad un laboratorio d'artigiano privo di armamentario - nacque l'uomo cerniera tra ciò che era stato promesso e ciò che diverrà mantenuto. Lui e l'Altro: come Otello e Desdemona, Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra, Renzo e Lucia, Ulisse e Penelope. Due amici per la pelle e un'unica grande passione: la parola. Perché la loro religione - fatta di sguardi prima che di dogmi - era fondata sulla vera Parola, quella che s'impianta nel cuore nel senso botanico del termine. Giovanni è uno di loro: prima c'era stato Geremia e Amos, Isaia e Abacuc, Osea ed Elia. Dopo di lui ci sarà un effluvio innumerevole di gente dalla voce contagiosa: giù, giù, giù dentro al ventre della storia. Dalle rive del lago di Genezaret alle baraccopoli delle periferie orientali, passando per lo sfarzo dei centri commerciali e l'opulenza delle grandi cattedrali. Come vecchi intarsiatori.

come un intarsiatore che dispone di pietre e di legni altrui; o come uno di quei vecchi aggiustatori di ombrelli che abitano ancora nell'antica, amatissima e accogliente città di Roma, e riparati dentro un protone - fuori scende la pioggia, o soffia il vento o il maggio caldo promette già una torrida estate - congiungono stecche, riparano manici e tessuti, perché gli altri possano passeggiare con una lieve difesa tra i temporali del mondo (P. Citati, Ritratti di donne, 330 ss)

Gente tosta e senza mezze misure: col Vangelo su una mano e nell'altra il giornale. Una baraonda di gente frastornata dall'Amore che rischia all'inverosimile, dopo essersi messi in ginocchio: e questo rimarrà il sospetto della loro riuscita perché, al contrario, chi rischia tanto per rischiare è un folle. Del Battista è rimasto un corpo senza testa. Non gli hanno chiesto la mano o un piede, l'avambraccio o il ginocchio. E nemmeno un pezzo d'orecchio come nei più infami dei sequestri di persona. Erodiade ha voluto la testa perché quella era la zona ad alto potenziale esplosivo. Una testa da paura perché collegata al cuore; e il cuore annodato ad una stella. Non a caso per lui l'Amico Gesù spese parole dense di gaudio: "non è sorto tra i nati di donna uno più grande di Giovanni Battista" (Mt 11,11). Il pesce comincia a marcire dalla testa: anche l'uomo più o meno funziona così. La testa del Battista - capostipite di mille altri profeti - non era marcia: perciò faceva paura e andava tagliata. Ed Erodiade (matrona di migliaia di tagliateste) lo sapeva. Le sfuggiva un particolare: che tagliato un fiore, il profumo non s'arresta ma s'espande furibondo. E' la legge della natura. Perciò è anche la legge di Dio, l'artigiano di tutto ciò ch'è natura.

Di tre figure la liturgia celebra la nascita, oltreché la morte (che altro non è se non la nascita al cielo). Di Lui, ovvero del Figlio di Nazareth: perché quando nacque una certa storia prese a brillare. Di Lei, Bellezza di Nazareth: perché senza la sua di nascita, all'Eterno sarebbe stato precluso forse un grembo in cui far atterrare la speranza. Dell'altro, del Giovanni figlio di Zaccaria (meglio noto con l'appellativo di Battista): perché serve sempre uno che scaldi gli animi in vista della festa. La nascita di Lei fu temuta da Lucifero, la nascita di Lui fu l'inizio della capitolazione di Erode, la nascita dell'altro rimase la certezza che quando tu li pensi sbagliati loro ti lasciano il sospetto d'essere stati i soli uomini giunti in orario all'appuntamento della storia. Per questo li hanno voluti morti; d'altronde a nessun uomo piace il suono della sveglia all'approssimarsi della giornata.
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25/06/2014 10:11
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Un albero buono non può produrre frutti cattivi

Dio è la verità. Dio, che è la verità, è tutto in Cristo Gesù. Cristo Gesù è la verità piena, perfetta, divina e umana di Dio, nello Spirito Santo, che è lo Spirito della verità. L'uomo è stato creato ad immagine della verità di Dio. Vive se rimane in questa verità, che lui deve accogliere con la volontà e con la sapienza e intelligenza di cui è stato arricchito da Dio deve trasformarla in sua vita. Attinge la verità da Dio, il quale gliela comunica attraverso la sua Parola, che è purissima verità, la trasforma in suo corpo e in suo sangue, in sua storia quotidiana, vive. Se si distacca dalla Parola, muore.
Dio però non comunica la sua Parola direttamente ad ogni uomo, la comunica attraverso i suoi profeti, i suoi messaggeri, persone incaricate da Lui a trasmettere la sua Parola ad ogni sua creatura. Chi vive in Dio, vive di Parola di Dio, comunica la Parola di Dio. Chi non vive in Dio, non vive di Parola di Dio, mai potrà comunicare, trasmettere la Parola di Dio. Costui trasmetterà una sua propria parola, non certamente la Parola di Dio. Per farsi accreditare in modo che alla sua parola si dia vera accoglienza di fede, costui dirà che la sua è Parola di Dio. Lo dice, ma inganna. Lo attesta il fatto che lui non vive di Parola di Dio, la Parola di Dio non conosce.
Gesù sa quanto danno produce una parola non di Dio fatta passare come Parola di Dio. Invita i suoi discepoli a porre ogni attenzione. Essi non devono ascoltare la parola, devono osservare la vita di coloro che si annunziano come veri profeti del Signore. Osservando la vita, noteranno che vi è una perenne contraddizione tra ciò che essi dicono e ciò che fanno. Le loro opere non sono il frutto della vera Parola di Dio, sono invece il frutto della loro carne, delle loro passioni, dei loro peccati.
La parola della vera profezia è sempre attestata, garantita dalla vita ricca di frutti di ogni bontà, mansuetudine, pazienza, carità, magnanimità, umiltà, grande gratuità. La vera profezia è nella più grande libertà dalle cose di questo mondo. Il vero profeta mai guadagnerà un qualcosa dalla sua missione. Gesù vero profeta del Dio vivente è nato nella più grande povertà ed è morto nudo su una croce. Nulla ha ricevuto da questo mondo. Tutto invece Lui ha donato al mondo. Gli ha fatto dono finanche del suo corpo e del suo sangue come vero nutrimento e bevanda di vita eterna.
Gesù dona ai suoi discepoli una regola infallibile. La Parola vera oltre che dono di Dio è anche il frutto della vita vera della persona. La vita vera attesta per la sua parola vera. La vita è vera se intessuta di frutti dello Spirito. Poiché l'albero è buono, sempre produrrà parole buone. Sempre dirà parole che sono dalla verità di Dio, indipendentemente se vengono o non vengono direttamente da Dio, sempre però provengono dalla sua natura vera che non può produrre se non frutti veri. La parola vera è sempre il frutto di una persona vera. L'albero è buono e il frutto è anche buono.
Non si guarda prima l'albero e poi si dice che il frutto è buono. Sempre invece si deve partire dal frutto. Si prende il frutto, se esso è buono l'albero e buono. Se il frutto è cattivo, l'albero è cattivo. Poiché l'albero del falso profeta non produce solo parole, ma ogni altro frutto, osservando i suoi frutti, è facile comprendere che ci si trova dinanzi ad un albero guasto, malato, non buono. La sua parola è anch'essa guasta, malata, non buona. Questa regola di Gesù è infallibile. Perché allora molti si lasciano ingannare, fuorviare, raggirare? Perché Dio vuole che l'uomo metta sempre in atto sapienza e intelligenza. Vuole che sempre l'uomo creda nella sua Parola. Chi non crede nella Parola di Dio, sempre si lascerà ingannare. Anche lui è albero cattivo con frutti cattivi.
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26/06/2014 07:38
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità

Gesù è dal cuore ricolmo di Dio. Dal suo cuore pieno di Dio attinge ogni parola di Dio e la dona all'uomo. I farisei del tempo di Gesù e gli scribi non avevano Dio nel cuore. Lo attesta la loro parola, che non è parola di Dio. È invece una parola d'uomo fatta passare per parola di Dio, per sua legge, sua verità, suo comandamento, suo statuto.
Le folle avvertono la differenza e la manifestano. Esse riconoscono in Gesù una persona che parla con autorità, parla cioè con coscienza, intelligenza, vera conoscenza, autentica sapienza, costante frequentazione di Dio. È come se Gesù e Dio vivessero insieme, dialogassero insieme e Gesù portasse agli uomini il frutto di un dialogo perenne con il Padre suo. È come se Gesù proferisse ogni sua parola attingendola dal cuore stesso di Dio. Questo nota la folla e lo dice, lo grida.
Oggi si ha paura della differenza di Parola. Si impone a tutti un unico modo di parlare, dialogare, spiegare, argomentare. Uno afferma una falsità e tutti la ripetono, senza neanche sapere il significato delle parole che vengono pronunciate. Un altro coniuga uno slogan ad effetto e tutti come scimmie dello zoo teologico universale devono farla risuonare, altrimenti si sentono menomati, minorati, privi di scienza e di intelligenza. È uno strano mondo quello della teologia. Quasi tutti sono obbligati a seguire lo stesso metodo, gli stessi argomenti, le stesse tracce, gli stessi autori. La verità non ha più valore. Non viene più accolta. È dichiarata falsità perché non si confà ai canoni di questa moderna scienza che fonda se stessa sul nulla di Dio e dell'uomo.
Oggi viviamo con una teologia malata, perché malato è il teologo che la pone in essere. Se non si risana il teologo, mai si potrà risanare la teologia. Questa teologia non genera salvezza. Non dona verità salvifica. Non smuove i cuori. Non turba le menti. È un puro esercizio vuoto. Urge reagire. La teologia deve ritornare ad essere sapienza, saggezza, retta e santa comprensione nello Spirito Santo della divina rivelazione. Di certo non è santa quella teologia che abolisce la verità di Dio per mettere sul candelabro dei tizzoni fumiganti di falsità e di umana stoltezza. Con questi tizzoni nessuna luce di verità sarà mai fatta e la casa della scienza di Dio rimarrà per sempre avvolta da un fumo puzzolente che è preludio del fumo eterno.
Le folle sono distaccate dal nostro vano insegnamento e lo dicono spesso anche con rabbia. Sentono la necessità di un sano nutrimento, ma sono perennemente condannate a sentire le dottrine sterili degli scribi e dei farisei del nostro tempo. Urge che tutti coloro che sono investiti di autorità per parlare di Dio si liberino dalle cordate, dalle metodologie, dalle strutture, prendano il mano il Vangelo e gli diano voce, lo intonino perché risuoni e riscaldi i cuori. Questo Gesù ha fatto. Ha preso in mano la Parola del Padre suo e le ha dato voce. L'ha intonata tra la gente e subito essa ha compreso che si trovava dinanzi ad un vero cantore. I loro scribi e farisei erano cantori falsi, stonati, senza alcuno spartito divino. Gesù era tutto diverso. Lui cantava bene.
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27/06/2014 07:38
 
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Agenzia SIR


Dopo la minaccia (i versi che precedono, con quel duro "guai a voi!") viene la benedizione, l'abbraccio: anche i piccoli partecipano dell'amore ineffabile che scorre tra il Padre e il Figlio. Gesù è la porta di comunicazione fra gli uomini e il Creatore, la scala che porta il cielo sulla terra. Qui la rivelazione si fa inaudita: Dio non solo è padre, ma è addirittura il "papà" tenerissimo. Siamo al cuore del cristianesimo e solo lo Spirito Santo, effuso nei nostri cuori, ci rende audaci nel pronunciare quel nome: "Abbà!" che dice il massimo della vicinanza e della confidenza di un Dio che resta altissimo e onnipotente.
Per cogliere qualcosa del mistero di Dio i santi e i mistici hanno indicato la via dell'opposizione: Dio è vicino e altissimo, tenero e onnipotente, piccolo e grande, madre e padre, misericordioso e giusto. La nostra sapienza, più presuntuosa che efficace, tace. Se per il comune modo di pensare i piccoli sono ignoranti e incapaci persino di parlare, per Gesù sono proprio essi ad ereditare la Parola: "Abbà". Come essere o tornare ad essere "piccoli"? Con la purezza del cuore. Solo ad essa Dio non sa resistere.

Dopo la dura condanna per Corazim, Betsaida e Cafarnao, le città che non hanno riconosciuto e accettato Gesù, questa pagina è tutta un inno di benedizione, una vera danza gioiosa! Siamo all'apice del Vangelo perché ci dice che l'amore tra il Padre e il Figlio ? l'abisso del mistero trinitario! ? è partecipato ai piccoli. I "sapienti" cercano un Dio come loro e non lo trovano, oppure si costruiscono maschere deformanti della divinità. I piccoli, invece, sanno dove trovare Dio: nell'umanità di Gesù, che è mite ed umile di cuore.
Una vignetta con disegnato Gesù accovacciato e nascosto dietro a uno scoglio. Davanti a lui due bambini che lo avevano scoperto, ai quali il Signore intima con il dito alle labbra di fare silenzio. Intanto molti teologi e sapienti lo stanno cercando. In tutte le direzioni, meno in quella dove Egli si trova. Il commento è facile: "Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli".
Gesù rafforza questa sua dichiarazione: "Sì, Padre". Rafforzando, svela ulteriormente il volto di Dio. L'ebraico Abbà corrisponde al nostro appellativo Papà. Il Vangelo è vertiginoso e tenero.

Se questa è la proposta di Dio (essere suoi figli nel Figlio) allora occorre anche la nostra risposta: la responsabilità di vivere questo dono. Prima ci è detto cosa siamo, ora cosa dobbiamo fare. E dobbiamo andare a Gesù, tutti noi (anche quelli di Corazim, Betsaida e Cafarnao!) così come siamo, affaticati e oppressi, per imparare da lui e come lui portare il dolce giogo della mitezza e dell'umiltà. Tutti, infatti, siamo affaticati e oppressi, fisicamente e nello spirito. Il Signore ci attende per il riposo, che è la fine della fatica, il compimento della creazione. Ma è Dio stesso il vero riposo, la casa dove tornare dopo la fuga e la disperazione. Se c'è un giogo, un peso cui sottoporsi, sappiamo che questo è leggero perché l'amore non è un peso, ma una liberazione. L'umiltà, dinanzi a Dio, è il rovesciamento della condizione dello schiavo, perché dice una qualità dell'amore: è l'amore che è umile. Dio è umile.

I greci disprezzavano l'umiltà, non la consideravano una virtù. Più o meno come la dominante cultura odierna. Per il cristianesimo, invece è la qualità fondamentale di Dio: l'amore è umile. Anche la pace sta nella via della mitezza e dell'umiltà.
Mite e umile è colui che sceglie il bene e attende da Dio la ricompensa. La mitezza è attesa fiduciosa della promessa di Dio. Tornano in mente le immagini tante volte viste delle lunghe file dei profughi dalle mille guerre: poveri curvi sotto il carico delle misere cose rimaste o seduti a terra a raccogliere un boccone di riso tra un nugolo di mosche. Attendono una risposta. Dove sono i miti di Dio?

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
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28/06/2014 05:51
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, che hai preparato
una degna dimora dello Spirito Santo
nel cuore della beata Vergine Maria,
per sua intercessione concedi anche a noi, tuoi fedeli,
di essere tempio vivo della tua gloria.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Luca 2,41-51
I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l?usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.
Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l?udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: ?Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo?. Ed egli rispose: ?Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio??. Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.



3) Riflessione

? La dinamica del racconto. All?inizio c?è un richiamo alla «legge del Signore», a cui obbediscono Maria e Giuseppe compiendo il loro pellegrinaggio annuale alla città santa. Questo particolare indica al lettore che Gesù è cresciuto nella pietà giudaica e nell?osservanza della legge. Un angoscioso incidente ? Gesù dodicenne si perde ? offre l?occasione al narratore di presentarci una scena illuminante sul mistero della persona di Gesù. I suoi genitori dopo averlo cercato per tre giorno lo trovano nei cortili del tempio, in mezzo agli scribi, i maestri della legge: ascoltando i loro discorsi e ponendo delle domande. In questo contesto al lettore viene mostrato un primo segno della sapienza straordinaria di Gesù e che un giorno affascinerà le folle: «rimanevano stupiti per la sua intelligenza e le sue risposte» (v.47). Alle osservazione della madre Gesù risponde con espressioni che rivelano la sua coscienza di sé e la chiara visione che egli ha della missione che lo attende. L?evangelista poi riferisce del ritorno a Nazaret, luogo della crescita di Gesù (vv.39-40) e con quest?ultimo motivo (vv.51-52) Luca conclude il racconto che era iniziato con un atto di obbedienza di Gesù alla Legge e, ora, termina con un atto di sottomissione ai suoi genitori.
? Dio come il Padre suo (v.51). La prima idea che viene sottolineata in questa «fuga» di Gesù è che una famiglia senza Dio non ha fondamento. Innanzitutto Gesù dichiarando che Dio è il Padre suo evidenzia che il posto più connaturale alla sua relazione di Figlio lo porta a essere presso di Lui, nel Tempio, luogo per eccellenza della presenza di Dio.
Tale particolare ci spinge a fermare la nostra attenzione sul tempio e sulla centralità di tale luogo per la vita religiosa della comunità israelitica: in questo spazio sacro Gesù vi entra a dodici anni. La scelta del tempio come luogo per la manifestazione della sapienza sovrumana di Gesù è una caratteristica di Luca che altrove presenta il tempio come il luogo in cui ha inizio il vangelo (Lc 1,8-9) e il vegliardo Simeone riconosce nel bambino presentato dai genitori la salvezza attesa da Israele (2,29-32). Ma nel racconto del pellegrinaggio di Gesù dodicenne al tempio Luca intende affermare che da quel giorno si è passati dalla realtà del tempio, come dimora di Dio, alla sua presenza vivente nella persona di Gesù. È un appello alla comunità ebraica, centrata sul tempio a riconoscere che tutta la vita liturgica, cultuale dipende dal Padre e che il vero tempio consiste nell?obbedienza a Gesù. Questa prima parola di Gesù proietta una luce nuova sul mistero della sua identità di «figlio-servo» e fornisce al lettore una chiave di lettura per comprendere il resto del vangelo.
La risposta ai genitori che l?hanno cercato e l?hanno trovato il terzo giorno presenta il modo con cui Gesù agirà nei confronti degli uomini: il suo atteggiamento è incondizionatamente filiale. Gesù agirà con una sottomissione assoluta nei confronti del Padre. Tale aspetto introduce il lettore nel cuore stesso del mistero dell?identità di Gesù e che sfugge ad ogni tentativo di indagine esaustiva da parte dei suoi genitori: «ed essi non compresero» (v.50).
? La sapienza sovrumana di Gesù. Questa insistenza sulla sapienza di Gesù non passa inosservata all?attenzione del lettore. Già in 2,40 si diceva che Gesù «cresceva e si fortificava, pieno di sapienza», ora nel v.52 si dice che «Gesù cresceva in sapienza». Di che sapienza si tratta? Della sapienza del Figlio, il quale è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che rivela il Padre suo. Gesù è la Parola del Padre suo. La sua predicazione non sarà una dottrina astratta, né un?attualizzazione della parola dei profeti, ma è la sapienza del Figlio che vive in intimità col Padre. Una conferma ci viene dall?ultima parola di Gesù sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46). E da risorto, prima di ascendere al Padre, promette ai suoi discepoli lo Spirito come «la promessa del Padre» (Lc 24,49). La sapienza di Gesù, il suo insegnamento, la sua parola si radicano nella sua intimità col Padre, nella sua fedeltà totale in Lui. Ogni comunità ecclesiale quando è riunita dal Padre porta in sé questo mistero della relazione sapienziale, intima di Cristo Gesù col Padre suo.



4) Per un confronto personale

? I genitori di Gesù non sempre riuscivano a capire il comportamento del loro figlio e il suo modo di esprimersi, tuttavia gli dettero fiducia. Anche tu sai offrire fiducia agli altri, ai tuoi figli, ai tuoi collaboratori?
? Consideri la tua famiglia una scuola di umanità, la più ricca e la più completa?



5) Preghiera finale

Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno. (Sal 118)
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