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MEDITIAMO LE SCRITTURE (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 04/12/2014 07:14
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28/01/2014 06:29
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi".

Come vivere questa Parola?
L'episodio che la liturgia odierna ci propone segue quello dell'invio dei dodici. Due episodi analoghi la cui differenza, tutt'altro che marginale, è data dai numeri.
Dodici, quante le tribù di Israele, sono gli apostoli, a cui è affidata la prima missione. Settantadue sono i membri della seconda spedizione, cioè tanti quante le nazioni della terra, secondo il computo di allora.
Israele non è ripudiato: è il primo ad essere raggiunto dal messaggio portato da Cristo. Ma lo sguardo è spinto, subito dopo, a spaziare oltre gli angusti confini di un popolo. Viene in mente la parabola degli invitati alle nozze raccolti da tutti i crocicchi, oppure le parole stesse del Maestro: "Ho altre pecore, che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore"(Gv 10,16).
Ogni steccato che crei caste, ghetti, è bandito dal cuore di Dio. Per lui non ci sono figli e figliastri, ma tutti sono avvolti dal suo sguardo di amore. Anzi, i "lontani" sono quelli verso cui vanno le sue maggiori attenzioni, perché maggiormente esposti al rischio di smarrirsi. Anche per loro è preparato un posto nel tepore della casa paterna. Ma è necessario che vengano raggiunti dai messaggeri inviati loro dal Padre. È necessario che io, tu, tutti coloro che si riconoscono cristiani, affrontino le strade polverose della storia, tenendo alta la luce che ci è stata affidata il giorno del battesimo. "Voi siete la luce del mondo" continua a ricordarci Gesù. E una luce non la si può tenere nascosta sotto il letto: il suo compito è di illuminare.

Donami, Signore, di essere luce là dove vivo, perché nessuno accanto a me continui a dibattersi nelle tenebre che tu stesso sei venuto a diradare.

La voce di un filosofo cinese
Le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell'infinito.
Confucio
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29/01/2014 07:14
 
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padre Lino Pedron


Fino a questo punto l'insegnamento di Gesù si era reso visibile nel suo agire: insegnava con i fatti: Ora esprime la sua dottrina in parabole, cioè con degli esempi, con dei paragoni illustrativi.
Le parabole evangeliche non nascono semplicemente da un'esigenza didattica preoccupata della chiarezza e della vivacità. Nascono da un'esigenza teologica, dal fatto che non possiamo parlare direttamente del regno di Dio che è oltre le nostre esperienze, ma solo in parabole, indirettamente, mediante paragoni presi dalla vita quotidiana.
La parabola del seminatore inizia e termina con il comandamento dell'ascolto: "Ascoltate!", "Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti".
La parola di Gesù è il seme immortale che ci rigenera: "Siete stati rigenerati non da un seme incorruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna" (1Pt 1, 23). Il regno di Dio è paragonato costantemente al seme, la cui forza vitale è attiva proprio nella morte. La morte non distrugge il seme, ma anzi è la condizione perché germini e si manifesti in tutta la sua potenza, a differenza di tutte le altre cose che marciscono e finiscono.
L'oggetto dell'insegnamento di Gesù è la sua stessa vita, spiegata con similitudini. Queste parabole, mentre illustrano la storia di Gesù, ci danno anche il criterio di discernimento per essere tra i suoi e appartenere al suo regno: Non dobbiamo cercare il successo (vv. 3-9), la fama e la rilevanza (vv. 21-25), il protagonismo e la grandezza (vv. 26-32).
L'opera di Dio passa attraverso le difficoltà, il fallimento, il nascondimento, l'irrilevanza, l'attesa paziente e la piccolezza, Queste sono le qualità del seme da cui nasce l'albero del Regno. Esso è come un chicco, che porta frutto abbondante non "nonostante" la morte, ma proprio perché muore (cfr Gv 12,24).
Sono parabole di speranza contro ogni speranza, di una fede che sa che la parola di Dio è un seme che produce sempre il frutto e l'effetto per cui è mandata (cfr Is 55,11). Le resistenze che incontra, rappresentate dai vari tipi di terreno, fanno parte del progetto di Dio.
Gesù è il seminatore, il seme e il raccolto, perché chi l'ascolta si identifica con lui.
Il risultato di questa semina sembra disastroso. Sembra che la parola di Gesù non riesca a entrare nel cuore dell'uomo; e, se entra, non mette radici; e, se mette radici, è soffocata. Eppure lui va avanti nella sua semina. "Egli disse loro: Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto" (Mc 1,38).
Noi oggi vediamo quanto Gesù abbia avuto ragione. Il suo seme è germinato in tutto il mondo.
Gesù è la parola di Dio seminata in noi. Il mistero del regno di Dio nella storia è quello del seme, che rivive in noi la sua stessa vicenda di allora.
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30/01/2014 07:27
 
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padre Lino Pedron


La lampada è la parola di Dio: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Sal 119,105; cfr 2Pt 1,19). La parola del vangelo è come una luce posta sul candelabro: essa illumina tutto ciò che è nascosto nel cuore dell'uomo. Nella Lettera agli Ebrei 4,12-13 si legge: "Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto".
E' la parola che mostra chiaramente se l'uomo è simile a un buon terreno o a un terreno pieno di pietre o di spine. Essa ha la funzione di giudice: è l'espressione del giudizio di Dio. Ognuno faccia dunque attenzione al proprio modo di ascoltare, perché l'ascolto è la misura del messaggio ricevuto: ognuno infatti intende solo ciò che può o vuole intendere. L'uomo si giudica da se stesso, secondo il modo e la misura del suo ascolto.
La frase finale: "A chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha" si chiarisce alla luce del contesto: ciò che si tratta di avere sono, anzitutto, delle orecchie in grado di ascoltare. Ritroviamo qui il tema sapienziale della capacità di accoglienza della conoscenza; questa aumenta a misura della disponibilità. La sapienza divina è principio di comprensione sempre più profonda per chi si lascia ammaestrare da lei: "Ascolti il saggio e aumenterà il sapere" (Pr 1,5), ma diventa progressivamente impenetrabile per chi la rifiuta: "Il beffardo ricerca la sapienza, ma invano" (Pr 14,6).
Come nella parabola del seminatore si sottolinea la necessità di non soffocare il seme del regno di Dio, annunciato dalla parola di Gesù, così in questo brano siamo invitati a non chiudere gli occhi dinanzi alla luce che si manifesta e che, se accolta, diventerà sempre più sfolgorante.
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31/01/2014 09:01
 
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padre Lino Pedron


L'ottimismo di Gesù è evidente. Egli ha fiducia nel suo lavoro, crede nella forza delle idee e sa che quelle racchiuse nella parola di Dio hanno una potenza divina che supera tutte le altre: la parola uscita dalla bocca di Dio non tornerà senza effetto, senza aver operato ciò che egli desidera e senza aver compiuto ciò per cui egli l'ha mandata (cfr Is 55,11).
Perché la Parola produca frutto basta seminarla, annunciando il vangelo: il resto viene da sé. Forse che il contadino, dopo la semina, si ferma nel campo per ricordare al seme che deve germogliare? Il seme non ha bisogno di lui, è autosufficiente: ha in sé tutto il necessario per diventare spiga matura. Così il regno di Dio annunciato dalla Parola.
Compito del cristiano è l'evangelizzazione: il resto non dipende da lui, ma da chi accoglie la parola di Dio. Riferendosi alla comunità cristiana di Corinto, Paolo ha scritto: "Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere" (1Cor 3,6).
Non è l'azione dell'uomo che produce il Regno, ma la potenza stessa di Dio, nascosta nel seme della sua parola. Tante nostre ansie per il bene, non solo non sono utili, ma dannose. Tutte le nostre inquietudini non vengono da Dio, che ci ha comandato di non affannarci (cfr Mt 6,25-34), ma dalla nostra mancanza di fede.
L'efficacia del vangelo è l'opposto dell'efficienza mondana. Il regno di Dio è di Dio. Quindi l'uomo non può né farlo né impedirlo. Può solo ritardarlo un po', come una diga sul fiume.
Gesù ha seminato la Parola, ed è lui stesso il seme di Dio gettato nel campo della storia. Ha bisogno solo di trovare una terra preparata che lo accoglie e una pazienza fiduciosa che sa attendere.
Gesù ha proclamato: "Il regno di Dio è vicino" (Mc 1,5), ma apparentemente nulla è cambiato nel mondo: la gente continua a vivere, a soffrire e a morire. Di nuovo c'è semplicemente un uomo che predica in un luogo poco importante dell'impero e i suoi ascoltatori sono malati, analfabeti, squattrinati: quelli che non contano niente. E' tutto qui il regno di Dio? Sì, è tutti qui! Grande come un granellino di senapa. Proprio perché Dio è grande non ha paura di farsi piccolo; proprio perché il suo regno è potente, può fare ameno di ogni apparato esterno grandioso: non ha bisogno di terrorizzare per affermarsi.
Il mondo oppone al regno di Dio le sue terribili seduzioni: il denaro, il piacere, e le sue forze che impauriscono: la persecuzione, le tribolazioni, la morte violenta... Le parabole presentano una visione severa del Regno: esso viene attraverso lotte e opposizioni. Eppure esso prevarrà certamente contro ogni ostacolo.
La venuta del regno di Dio non è tanto ostacolata dalla malvagità dei cattivi, ma dalla stupidità dei buoni. La nostra inesperienza spirituale è la più grande alleata del nemico. Il diavolo ci dà volentieri tanto zelo quando manchiamo di esperienza evangelica, perché usiamo per la venuta del regno di Dio quei mezzi che il Signore scartò come tentazioni: il successo, la pubblicità, l'efficienza e la grandezza.
Gesù è la grandezza di Dio che per noi si è fatto piccolo fino alla morte di croce. Proprio così è diventato il grande albero dove tutti possono trovare accoglienza. Il discepolo deve rispecchiare il suo spirito di piccolezza e di servizio. Questo vince il male del mondo, che è desiderio di grandezza e di potere.
Chi ama si fa piccolo per lasciare posto all'amato; il suo io scompare per diventare pura accoglienza dell'altro. Per questo la piccolezza è il segno della grandezza di Dio (cfr Lc 2,12).
"Annunciava loro la parola secondo quello che potevano intendere" (v. 33). E' un tratto importante della pedagogia di Gesù: progressività, adattamento alle persone e ai loro ritmi di crescita.
Anche noi, a imitazione di Gesù, dobbiamo incarnarci nella situazione di chi non capisce o non riesce a convertirsi rapidamente e a reggersi costantemente in piedi, ricordandoci che un tempo eravamo anche noi nelle medesime condizioni e forse lo siamo ancora.
L'evangelizzatore deve agire come Gesù. Egli vuole la conversione di tutti: il suo atteggiamento è dettato dalla misericordia e dalla compassione. Egli si rivolge a tutti, buoni e cattivi, disposti e indisposti (ricordiamo i quattro tipi di terreno della parabola!) perché vuole che tutti siano salvati.




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01/02/2014 08:22
 
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Eremo San Biagio
Commento su Marco 4, 36

"Lo presero con sé, così com'era, nella barca"
Mc 4, 36

Come vivere questa Parola?

Prendere Gesù così com'è, nella barca della propria vita. Ma com'è Gesù secondo versetti del vangelo odierno?

Si presenta come uno che dorme mentre i suoi discepoli sono presi dal panico. Nello stesso tempo però è uno che si sveglia al momento giusto e ha forza di calmare la potenza del mare in tempesta.

Infine è uno che mette le persone davanti alle proprie paure e gli rivela il loro deficit di fede.

Questi in pochi e veloci tratti alcune delle caratteristiche di Colui che possiamo decidere di prendere nella barca delle nostra esistenza che a volte sembra imbarcare acqua o addirittura affondare.

Se lo facciamo dobbiamo accettare il Signore così com'è, un Signore che talvolta pare dormire un sonno profondo, incurante delle nostre sofferenze, fatiche e timori ma che è venuto con noi sulla barca e ci è rimasto.

Un Signore che non ci toglie la sensazione di sentirci perduti ma può stupirci con la forza della sua parola, che può far tacere le nostre agitazioni ma che ci chiede anche di curare le nostre paure con la fiducia.

Forse con troppa facilità ci dimentichiamo che proprio le nostre paure sono lo "spazio" della fede.

Gesù ci insegna a partire dal suo comportamento, dal suo dormire, che Lui sta dentro le difficoltà con la fiducia del figlio verso il Padre. La paura la vive nella fiducia.

Non possiamo impedirci di avere paura quando la vita ci porta al largo, senza appigli e al buio, ma possiamo decidere di viverla nello stesso modo di Gesù, da figli che si fidano del Padre. Cristo che è sulla nostra barca ci aiuterà a farlo.

Voglio accoglierti nella mia barca così come sei Signore, perché proprio così come sei mi salvi. Posso avere paura, posso cadere nel panico, ma poi mi ricordo che tu ci sei sulla mia barca e tieni a me. Allora mi metto nella tue mani e mi fido. Mi fido.

La voce di uno scrittore

"Come ogni essere umano, anche il credente è immerso nelle fatiche e nei dolori quotidiani. Ma trova nella fede una lente che gli permette di vedere le stesse cose di sempre sotto una luce nuova. La fede non cambia il paesaggio, ma modifica lo sguardo dell'uomo".
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02/02/2014 08:13
 
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Gaetano Salvati
Commento su Luca 2,22-40

"Vieni, Signore, nel tuo tempio santo", recita il ritornello del Salmo. Veramente il Signore, incarnato nel mondo, è il messaggero della buona novella fin dalla sua nascita; Colui che ha trasformato le ombre deserte della storia in strade nuove, in un cammino di gioia e di pace per ogni uomo che desidera incontrare la verità. L'autore della Lettera agli Ebrei afferma, infatti, che Cristo "è divenuto partecipe" della medesima condizione degli uomini, "sangue e carne" (Eb 2,14), per essere pienamente solidale con "la stirpe di Abramo" (v.16).
Ma cosa significa essere solidali, prendersi cura di ogni uomo (v.16)? Il vangelo di Luca narra che "Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, secondo la Legge" (Lc 2,22). Il Figlio incarnato ha voluto essere completamente sottomesso alla legge data a Mosè e, soprattutto, a tutti i vincoli che la condizione umana impone a ciascuno. Egli ha percorso tutte le tappe della crescita umana: sottomesso ai genitori, educato da loro, ha conosciuto le esperienze dei limiti umani, compresa la morte. Proprio per questo, allora, è il sommo sacerdote che libera dalle catene delle tenebre e compassiona le sofferenze di tutti, perché ne ha fatto esperienza.
Vero Dio e vero uomo, luce che illumina la candela della nostra anima, Egli dà a ciascuno la libertà e la responsabilità di accoglierLo come Salvatore, come compagno di strada nella vita, che dona un nuovo valore a tutto: alle ansie, all'esultanza, alla dolcezza, ai nostri sacrifici. Tutto in Lui ha un senso nuovo, una nuova direzione, che conduce alla gloria e alla pienezza.
Ritorna ancora il ritornello inizale: "Vieni Signore". È il grido di ogni uomo, di coloro che hanno conosciuto il Maestro e di quelli che sperano di ospitarLo. A tutti il Signore rivolge la parola che la liturgia di oggi proclama: "Andate incontro al vostro Salvatore". Non rimaniamo chiusi nelle nostre preghiere, in attesa di un segno straordinario dal cielo; apriamo, invece, il cuore, tutta l'esistenza, alla venuta di Dio, alla Sua volontà di venire incontro a noi; "egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova" (Eb 2,18). Il nostro, infatti, è un Dio dinamico, in perenne movimento d'amore; non il Dio della filosofia, ma "misericordioso e degno di fede" (v.17), che accetta le nostre suppliche, e ci accetta per quello che siamo, le invocazioni d'aiuto, perdona sempre le offese, e riscalda i cuori raffreddati dal peccato e dalla nostalgia della verità. Amen.
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03/02/2014 07:32
 
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Gesù ci libera

Lettura
I discepoli "giungono all'altra riva" e si trovano in territorio pagano. Il Vangelo di Marco rompe qui, per la prima volta, i confini etnici nei quali, sino ad ora, ha operato Gesù.

Meditazione
L'episodio del vangelo di Marco che abbiamo ascoltato oggi può presentare alcune difficoltà di comprensione. Il tutto si svolge in territorio pagano e questo sta ad indicarci che nessuno è escluso dal messaggio di salvezza e dall'opera redentrice di Cristo. Quel mondo è tutto "invasato" dal male: non si tratta, infatti, di un singolo demonio, ma di una "legione", un numero sterminato, che ha ridotto il malcapitato, che ne è posseduto, a vivere come un morto nei sepolcri. È interessante la dichiarazione che il demonio fa urlando, prostrato ai piedi di Gesù: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Ancora una volta, i demoni lo riconoscono come Figlio del Dio altissimo. Chiedono poi in particolare di non essere scacciati da quella regione o almeno che possano trasferirsi in un branco di porci, che sono al pascolo in un monte vicino. Viene da pensare che esistano luoghi prediletti da satana, che abbia i suoi inferni anche nel mondo, lì dove il male dilaga, dove è accettato e vissuto come stile di vita, dove nessuno gli è contrario, dove può prendervi stabile dimora. Sono spiriti immondi e quindi l'abitare nei porci potrebbe essere loro di sollievo rispetto all'essere relegati nel loro inferno. La loro presenza è sempre e comunque devastante anche nei confronti di quegli animali, i quali, infatti, precipitano in mare. I mandriani avvertono i padroni dell'accaduto, ma questi più che considerare l'intervento salvifico e prodigioso operato da Gesù, calcolano il grave danno economico subito e lo invitano ad uscire dal loro territorio. Capita ancora oggi che l'interesse per le cose di questo mondo, per quanto misere possano apparire, prevalga su quello per lo stesso Cristo. Al desiderio dell'indemoniato guarito di stare con Gesù, il Signore risponde inviandolo in missione. Egli diventa apostolo perché è in grado di raccontare ciò che il Signore gli ha fatto. Il vangelo è la buona notizia di quanto Gesù ha fatto per noi. L'evangelizzazione non è tanto un'esposizione di dottrina o di idee, ma un racconto di fatti, una narrazione di quanto il Signore ha operato per noi.

Preghiera
Signore Gesù, libera il mio cuore e la mia vita da tutto quello che mi impedisce un cammino di libertà e di luce, liberami dai demoni che mi spingono a fare il male.

Agire
Dedicherò un momento di preghiera di fronte a Cristo Eucaristia o ad un'immagine sacra, per riflettere sulle cose che mi ostacolano nel vivere più generosamente il Vangelo di Cristo, e chiederò a Dio la forza di abbandonarle.

Commento a cura di Cristoforo Donadio - P. Antonio Izquierdo, LC
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04/02/2014 07:19
 
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Di fronte alla malattia e alla morte, tutte le differenze si attenuano. Ci sentiamo tutti uguali: ricchi e poveri, potenti e meschini, ebrei e pagani. È questa l’esperienza che fanno i due personaggi del vangelo di oggi. Giairo, capo della sinagoga, vede sua figlia morire senza poter fare nulla. La donna pagana, che soffre di emorragie, nonostante spenda tutti i suoi beni, non ha nessun miglioramento. La perdita della salute, la morte di un essere caro ci mettono di fronte alla nostra impotenza, alla nostra piccolezza, ai nostri limiti. Fortunati, dunque, coloro che si rendono conto di essere semplicemente delle “creature” che hanno bisogno del loro Creatore.
Giairo e la donna pagana sanno farlo. Essi si rivolgono a Gesù, lo cercano e, ognuno a suo modo, compiono un gesto pieno d’umiltà. Il capo della sinagoga cade ai piedi del Maestro; la donna si accontenta di toccare leggermente il suo vestito. In entrambi i casi, il Signore commosso dalla loro fiducia vuole confermare questa fede. “Chi mi ha toccato?”, chiede Gesù. E la donna, che avrebbe ben preferito restare nell’anonimato della folla, si presenta, si getta ai suoi piedi: “La tua fede ti ha salvata”. A Giairo, che apprende all’improvviso che sua figlia è appena morta, egli dice: “La bambina non è morta, ma dorme”. Il Signore non si accontenta di essere gentile con due persone disperate; egli vuole molto di più. Egli vuole la loro fede in lui, salvatore del mondo.
Entrambi devono credere, avere la fede, nel bel mezzo dell’indifferenza e della incredulità. Essi devono credere controcorrente. Poiché gli stessi discepoli non comprendono perché Gesù possa essere “toccato” in modo diverso. E la folla si burla del Signore quando egli dice che la bambina dorme.
I momenti di sofferenza e di dolore possono diventare momenti di grazia. Essi ci allontanano dalle nostre false certezze, dalla fiducia troppo grande in noi stessi e nei nostri mezzi umani. Ci ricordano la nostra condizione di creature, di figli di Dio, di redenti. Possono risvegliare la nostra fede e la nostra fiducia. Ci aiutano non solo a cercare di strappare una guarigione al Signore, ma soprattutto a rimetterci alla sua volontà, nelle mani del Padre.
In questo senso l’“alzati” di Cristo alla piccola figlia di Giairo è un invito a superare il semplice fatto del miracolo che si compie in lei. Questo “alzati” si indirizza a noi: “Offrite voi stessi a Dio come vivi, tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio” (Rm 6,13).
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05/02/2014 07:48
 
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padre Lino Pedron


La visita di Gesù nella sua patria è un avvenimento penoso che riprende il tema della mancanza di fede del popolo ebraico già sottolineata nell'insegnamento delle parabole e nella discussione su Beelzebùl.
I parenti di Gesù prima (cfr Mc 3,21.31-32), e la gente di Nazaret poi, tentano di impadronirsi di lui per impedirgli di illudersi e di nuocere agli altri, ma egli non accetta di lasciarsi circoscrivere entro i legami naturali. Ormai i legami umani si definiscono in rapporto a lui e non viceversa: i "suoi" sono coloro che vivono con lui, ascoltano la sua voce e fanno la volontà del Padre.
Gli abitanti del suo paese credono di conoscere Gesù meglio di chiunque altro. L'hanno visto crescere ed esercitare il suo mestiere. Incontrano ogni giorno sua madre e i membri della sua famiglia di cui conoscono nomi, vita e miracoli. Di fronte a lui si sentono turbati, imbarazzati, irritati. Rifiutano di lasciar mettere in discussione il loro piccolo mondo e la valutazione che si erano fatta sulla sua persona. Si fa fatica a cambiare parere e a ricredersi: è più facile e sbrigativo cancellare una persona dalla nostra vita che l'immagine o il giudizio che ci siamo fatto di lei. Gli abitanti di Nazaret non sanno aprirsi al Gesù reale, perché restano caparbiamente attaccati al ritratto che si erano fatto di lui.
L'episodio va al di là del rifiuto di un piccolo paese della Galilea: prefigura il rifiuto dell'intero Israele (cfr Gv 1,11). Che un profeta sia rifiutato dal suo popolo non è una novità: c'è perfino un proverbio che lo dice. E' un proverbio nato da una lunga esperienza che ha accompagnato tutta la storia d'Israele, che trova la sua più clamorosa dimostrazione nella storia del Figlio di Dio e che continuerà a ripetersi puntualmente nella storia successiva.
Dio è dalla parte dei profeti, eppure i profeti sono sempre rifiutati; gli uomini di Dio, i giusti, sono sistematicamente tolti di mezzo, salvo poi costruire loro sepolcri e monumenti tardivi (cfr Lc 11,47-48).
"E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì" (v. 5). I miracoli di Gesù sono una risposta alla sincerità dell'uomo che cerca la verità; non sono il tentativo di forzare, in ogni modo, il cuore dell'uomo. Diversamente dagli uomini, Dio non usa la violenza per imporre i propri diritti. E neppure fa miracoli per permettere agli uomini di esimersi dal rischio e dalla fatica del credere.
Anche a Nazaret Gesù ha cercato i malati e i poveri; essi sono il buon terreno arato dalla sofferenza e irrigato dalle lacrime: il seme della Parola viene accolto da loro e produce frutto. Nella sua città purtroppo il bilancio è deludente, ma non fallimentare.
A Nazaret tutti si sono scandalizzati di Gesù. Tutti gli uomini inciampano e cadono davanti alla grandezza dell'amore di un Dio che si fa piccolo e insignificante. Tutti rifiutano un Dio la cui sapienza è la follia e l'impotenza dell'amore. Noi lo pensiamo e lo vogliamo diverso. La nostra mancanza di fede è così incredibile che il Signore stesso se ne meraviglia.
In Gesù ci troviamo davanti allo scandalo di un Dio fatto carne, che sottostà alla legge della fatica umana e del bisogno, del lavoro e del cibo, della veglia e del sonno, della vita e della morte. Lo vorremmo diverso. Ci piacerebbe condividere le sue caratteristiche divine, ma non ci piace che egli condivida le nostre prerogative umane, delle quali volentieri faremmo a meno.
Il cristiano e la Chiesa devono sempre misurarsi sulla carne di Gesù, venduta per trenta sicli, il prezzo di un asino o di uno schiavo.
La prima eresia - è e sarà sempre la prima! - non consistette nel negare la divinità di Cristo, ma nel minimizzare e trascurare l'umanità di Gesù che nella sua debolezza e stoltezza crocifissa è la salvezza per tutti. Il cardine della salvezza è la carne crocifissa e risorta di Cristo.



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06/02/2014 07:30
 
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padre Lino Pedron


I Dodici erano stati scelti da Gesù perché "stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (Mc 3,14-15). Nei capitoli precedenti li abbiamo visti stare con lui, ascoltare e imparare, ora Marco ci mostra la seconda dimensione del discepolo, quella missionaria. Per descrivere la missione degli apostoli, Marco usa le medesime parole con cui ha descritto la missione di Gesù: predicavano la conversione, guarivano i malati e scacciavano i demoni.
L'invio dei discepoli avviene "a due a due", sia in riferimento alla duplice testimonianza (Dt 17, 6; 19, 15; Nm 35, 40), sia secondo il consiglio del saggio Qoelet (4,9-12) adottato poi anche dalla comunità cristiana di Gerusalemme (At 13,2).
Gli ordini che Gesù dà ai suoi inviati riguardano, anzitutto, la povertà e la rinuncia: senza alcun aiuto umano, i discepoli hanno come appoggio solo la fede in colui che li manda.
Queste parole condannano il trionfalismo e la ricchezza e impongono la povertà e la discrezione, L'apostolo non deve usare i mezzi del mondo (denaro, potere e forza) per conquistare l'adesione dei suoi ascoltatori. Il vero apostolo non compera nessuno e non si lascia comperare da nessuno: forse sarà venduto a poco prezzo come il suo Maestro (Mc 14,10-11).
La povertà è una condizione indispensabile per la missione: i missionari devono essere "truppe leggere". Questa povertà è fede, libertà e leggerezza. Un discepolo appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio, abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo. La povertà è fede concreta di chi non confida in se stesso e nei propri mezzi, ma nell'assistenza e nella provvidenza di chi l'ha mandato.
L'annuncio del vangelo deve sempre essere in povertà, perché proclama la croce che ha salvato il mondo. Più che ciò che dobbiamo dire, Gesù ci insegna ciò che dobbiamo essere. Ciò che siamo grida più forte di ciò che diciamo. Finché non siamo poveri, ogni cosa che diamo o che diciamo non è dono, ma solo esercizio di potere sugli altri.
Già nell'Antico Testamento, povertà, piccolezza e impotenza sono i mezzi che Dio sceglie per vincere (cfr 1Sam 2,1-10; Es 3,11; 4,10; Gdc 7,2). Infatti "Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1Cor 1,27-29).
Questa lezione l'aveva imparata bene Pietro, quando compì il primo miracolo. Egli disse allo storpio: "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina" (At 3,6). Se Pietro e Giovanni avessero avuto argento e oro, avrebbero fatto un'opera buona, forse avrebbero fondato un istituto per portatori di handicap, avrebbero dato dei soldi, ma non avrebbero pensato che dovevano dare Gesù, il salvatore.
La salvezza viene dalla croce, svuotamento che rivela Dio. Guai se la nostra potenza o sapienza la vanifica: "Cristo mi ha mandato a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo" (1Cor 1,17).
Gesù invia i suoi in povertà, come il Padre aveva mandato lui in povertà. I discepoli, mediante la missione, sono chiamati alla forma più alta di vita cristiana: sono pienamente associati al Figlio, che conoscendo l'amore del Padre, è spinto verso tutti i fratelli.
I Dodici possono annunciare agli altri la conversione mostrando di essere loro stessi convertiti perché sono e vivono come Gesù.
Il vangelo parla anche della possibilità, tutt'altro che teorica, vista la sorte toccata a Gesù, che i discepoli non siano accolti e ascoltati. E' una sofferenza che il discepolo deve affrontare senza perdersi d'animo. A lui è stato affidato un compito, non garantito il successo.
Sulla attività dei Dodici, Marco non dà alcuna indicazione di tempo e di luogo; gli basta segnalare che essi realizzano esattamente ciò che aveva detto e fatto il Maestro: proclamare la conversione e operare esorcismi e guarigioni.



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07/02/2014 07:19
 
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Pietre nascoste e luci visibili

COMMENTO ALLE LETTURE a cura di padre Alvise Bellinato

Al tempo di Gesù c'era un modo curioso di salare i cibi.
Si mettevano delle pietre saline all'interno della pentola e durante il processo di cottura le pietre rilasciavano lentamente il sale che contenevano, dando sapore al cibo.
Una pietra poteva essere usata varie volte, ma alla fine, dopo aver dato tutto il sale, diventava "scarica" e doveva essere buttata via. Siccome l'apparenza esteriore della pietra carica di sale, prima dell'uso, e scarica di sale dopo l'uso, era la stessa, si rendeva necessario eliminarla, per non correre il rischio di confonderla con le altre. Era meglio, quindi "gettarla in mezzo alla strada" e tenere in cucina solo le pietre ancora "cariche".
Tanto per fare un esempio, potremmo dire che un'esperienza simile può capitare, oggi, agli uomini che si fanno la barba con il rasoio. Dopo un paio di usi, la lametta perde il filo. Il rasoio, esteriormente, sembra sempre lo stesso, come se nulla fosse cambiato, ma quando lo si porta al viso, ci si accorge che non taglia... Meglio prendere la lametta e gettarla via, per non confonderla con le altre, che invece hanno il filo buono.
Questo esempio delle pietre salate, che se perdono il sapore "a null'altro servono che ad essere gettate via e calpestate dalla gente" ci offre un insegnamento curioso e profondo: trasferito alla realtà concreta della vita di ciascuno di noi ci fa capire una cosa importante.
Non è l'aspetto esteriore che conta, ma l'essere "carichi" o "scarichi" di sale, che determina la qualità della nostra vita cristiana.
In altre parole: non conta l'esteriorità (che può ingannare), e nemmeno ciò che diciamo (magari con autorevolezza) o gli atteggiamenti che assumiamo, come nemmeno il ruolo (magari importante o altolocato) che possiamo avere nella comunità, per poterci definire seguaci di Gesù.
Esiste un altro requisito, imprescindibile e fondamentale: la nostra presenza deve "salare" la realtà attorno a noi, deve portare sapore e diffondere gusto. Solo questa sarà la prova sicura che in noi è presente il Signore, solo questa sarà la testimonianza che convince e coinvolge chi ci sta attorno.
Il sociologo e giornalista Francesco Alberoni ha dedicato una serie di articoli ad analizzare come ciascuno di noi proietti sempre qualcosa di se stesso nell'ambiente che frequenta e nelle relazioni che instaura. A volte basta guardare il luogo di lavoro di una persona, o le sue amicizie, o la sua casa, per capire che tipo di "sale" essa emette. A volte basta entrare in una azienda per capire da piccoli dettagli se l'imprenditore che ne è a capo è una persona meschina o generosa.
L'insegnamento di Gesù sulle pietre che hanno perso il sapore ci mette davanti ad una scelta importante: solo se sapremo portare sapore buono dove viviamo, potremo dire di essere suoi discepoli. In caso contrario saremo solo persone che recitano un ruolo, magari bello o nobile, ma che è destinato a non cambiare nulla nella sostanza.
Anche altre parabole di Gesù ritornano sullo stesso tema: pensiamo a quella del lievito. Anche nel caso del lievito contano gli effetti, cioè i frutti: se la massa di acqua e farina cresce, questo significa che il lievito ha fatto il suo dovere. In caso contrario non serve a nulla: meglio gettarlo.
Oggi sentiamo una grande necessità di testimoniare innanzitutto con il sapore, cioè con uno stile di vita capace di comunicare senso profondo, suscitare interrogativi, aiutare chi ci sta intorno a recuperare la speranza. In questo processo spesso le parole non contano molto. Oggi è come se Gesù ci dicesse: anche se la pietra non parla, ciò che conta è che porti sapore e cambi ciò che sta attorno ad essa.
La seconda parabola che ci viene offerta per la riflessione personale è quella della luce.
Il giorno del battesimo ciascuno di noi ha ricevuto una candela accesa: "Ricevi la luce di Cristo".
È la luce della fede che deve accompagnarci per tutta la vita, fino alla morte.
Si dice che Giovanni Paolo II, avesse chiesto che al momento della sua morte fosse accesa una candela e gliela fosse messa in mano, recitando il credo.
Nel momento del passaggio alla vita eterna, ci presentiamo a Dio con la fede che ha segnato l'inizio del nostro pellegrinaggio terreno.
Gesù nel Vangelo di oggi ci ricorda che dobbiamo far risplendere senza paura la luce che abbiamo ricevuto diventando figli di Dio. Si tratta della luce concreta delle nostre azioni, della nostra testimonianza cristiana di amore a Dio e ai fratelli, dell'osservanza gioiosa della legge di Dio. In una parola: si tratta di essere fedeli all'impegno (rinunce e promesse) che abbiamo assunto nel Battesimo, e tutto questo affinché "gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli".
Forse il Vangelo di oggi ci aiuta anche a capire un po' meglio la prima delle sette invocazioni del Padre Nostro. "Sia santificato il tuo nome".
Se pensavamo che questa invocazione si riferisse alla abolizione delle bestemmie e alla promozione di un movimento di lode del nome Santo di Dio allora non abbiamo inteso bene il senso originale e profondo di questa richiesta così importante e che ci chiama in causa personalmente più delle altre sei.
La Bibbia interconfessionale in lingua corrente traduce "Sia santificato il tuo nome" in un altro modo: "Fa' che tutti ti riconoscano come Dio". Sembrerebbe un concetto molto diverso da "Sia santificato il tuo nome", in realtà è lo stesso. Chiediamo al Padre che, attraverso le nostre opere buone e la testimonianza della nostra luce che splende, tante persone possano dire a Dio "Tu sei Santo e tu sei grande!".
Nel Padre nostro chiediamo a Dio che non ci accada una terribile sventura: che qualcuno maledica il nome di Dio per colpa nostra, cioè per causa della nostra cattiva testimonianza o di qualche scandalo da noi suscitato.
La vocazione cristiana è un "essere posti sul monte", è una chiamata a "splendere sul lampadario" e non un comodo ripiegamento a favore del nascondimento o del mimetismo sociale.
Essere cristiani ed essere testimoni è la stessa cosa. Non si può essere veramente cristiani senza testimoniare, sottraendosi alla chiamata che Gesù ci fa a diventare sale e luce.
Ciascuno lo può fare a modo proprio. C'è chi lo può fare come le pietre dentro la pentola, cioè nascostamente, e chi invece è chiamato a farlo pubblicamente. Ciascuno ha la propria chiamata, ma dobbiamo tutti salare e illuminare.
Preghiamo affinché il Signore ci illumini e ci "sali" in modo che ciascuno di noi possa trovare il proprio stile, unico e irripetibile, di testimoniare l'amore di Dio ai fratelli.

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08/02/2014 07:29
 
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padre Lino Pedron


Gesù non si fida dell'entusiasmo: sa che svanisce di fronte alle prime difficoltà (cfr Mc 4,16-17) e che non è segno di fede. E' la situazione che viene descritta in questo brano. I discepoli sono presi dall'entusiasmo e raccontano a Gesù tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Il risultato della loro missione è lì sotto gli occhi di tutti, in quella gente che va e viene e non lascia più loro neppure il tempo per mangiare. Risultato strepitoso. Quella gente li fa sentire veramente "pescatori di uomini" (cfr Mc 1,7) realizzati.
Questo racconto mira a rispecchiare già la futura immagine dell'attività missionaria della Chiesa: fare e insegnare come Gesù.
Dopo le guarigioni descritte nel primo capitolo di questo vangelo, Gesù si era ritirato in un luogo deserto a pregare (1,35) e alla provocante espressione: "Tutti ti cercano" (1,37) aveva risposto con un atteggiamento, umanamente parlando, poco intelligente: "Andiamocene altrove!" (1,38).
Gesù non sfrutta mai le occasioni favorevoli della popolarità e dell'entusiasmo viscerale: ci vuol ben altro per recidere alla radice il peccato del mondo e per immettere la novità di Dio in un'umanità così malandata.
In questo brano, l'entusiasmo della folla è per i discepoli oltre che per Gesù. In questa cornice, la parola di Gesù: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'" (v. 31) acquista il suo giusto valore. Gesù li vuole sfebbrare (cfr Lc 10,17-20). L'entusiasmo è pericoloso: per la folla e per i discepoli.
L'insegnamento è chiaro: se vogliamo evitare i pericoli della popolarità, non dobbiamo lasciarci travolgere dall'entusiasmo viscerale e acritico che fa perdere il senso del limite e dà i fumi alla testa. L'antidoto è la solitudine e la preghiera.
Gesù ha pietà della folla perché è disorganizzata. Non c'è nessuno che si occupi di essa ed è abbandonata a se stessa: non forma un popolo, ma un'accozzaglia di gente. La pietà di Gesù si traduce in insegnamento. Nel vangelo di Marco, quando Gesù si trova con la folla si può stare certi che non perderà l'occasione per istruirla. Il seguito del vangelo ribadirà, con maggiore forza, questo comportamento costante di Gesù: "La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare" (10,1).
Il legame che Marco instaura tra insegnamento e formazione di un popolo non è artificiale. Siamo davanti a un gregge senza pastore: solo la parola di Gesù può radunare e riunire gli smarriti e i dispersi.

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09/02/2014 07:36
 
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don Marco Pozza
Passami il sale e accendi la luce. Ovvio: per favore

Col profumo della ferialità cucito addosso: un pizzico di sale dentro la minestra e una lanterna sopra la credenza a far luce sulla casa. Perché Lui, Rabbì di una sperduta borgata della Galilea, sembra divertirsi a leggere dentro i petali di un papavero i segreti dell'esistenza stessa, a registrare nei piccoli dettagli di una vita comune le grandi manovre che fanno di una vita qualunque una autenticamente vissuta. Stupisce l'Uomo di Nazareth, forse per quell'innata capacità di saper scrutare il regno di Lassù dentro la confusa carenza della vita di quaggiù. D'allora - da quella prima pedagogia della sorpresa - qualunque uomo scoprirà che non sarà da come una persona parla di Dio ma da come ti parla delle realtà comuni che avrai la percezione se costei avrà dimorato o meno nel fuoco dell'amore di Dio. "Voi siete il sale della terra (...) Voi siete la luce del mondo": sale e luce, come un giorno acqua e cenere, Grazia e pentimento, uomo e Dio. Eppur non basta essere dei predestinati, non basta essere sale e luce per insaporire e illuminare il mondo: sarà necessario rimembrare ad oltranza che "se il sale perde il suo sapore, a null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente". Che la lampada è fatta per essere messa sul candelabro e non sotto il moggio. Insomma: che il sale deve trattenere il suo sapore e la luce stare sul candelabro, altrimenti non sono più sale e non sono più luce. Diverranno ingredienti scaduti che la buona donna di cucina, tutta presa dalla smania dell'ordine e della pulizia, decreterà scaduti o incapaci di produrre chiarore. Cioè metterà da parte perché inutili.
Cosicché, stando alla logica del Vangelo, anche un cristiano potrà divenire inutile, così inutile da succedere che passi un'intera vita e nessuno s'accorga della differenza ch'era in lui, del di più accadutogli dopo aver fatto i conti con la sorpresa di Dio, dopo esser stato imbrigliato dentro una storia con Dio. Il Vangelo è netto nella sua impossibilità di essere frainteso: se il sale perde il sapore non serve a nulla, ma anche se si mette tanto sale nella minestra essa diventa immangiabile, disgustosa, indispone l'appetito. Non dunque solo il cristianesimo insipido sembra scoraggiare il Nazareno, ma anche il cristianesimo indiscreto, guardone, onniscente e dunque fatiscente: per favorire la sorpresa di Dio, sembra suggerire Cristo, occorre la "giusta dose" di presenza e assenza, d'intervento e di tregua, d'ingresso e d'uscita. Come la mamma che, foriera di chissà quale laurea in arte culinaria, sa dosare la giusta misura di sale per fare in modo che la pietanza sia appetitosa. Con un di più che le viene dall'esperienza: quando è scappato troppo sale, diventa impossibile tirarlo via dal cibo. Quando invece manca, lo si può sempre aggiungere. Meraviglioso Cristo, anche questo mostra di sapere: meglio apparir deboli e poi aggiungere l'intervento della Grazia, piuttosto che apparire forti ad oltranza e relegare la Grazia di Dio a suppellettile. Meglio in punta di piedi - come nel lontano meriggio di Emmaus - e poi, con discrezione avanzare a passi rapidi quando le disposizioni del cuore sono pronte, piuttosto che entrare nella vita delle persone come elefanti in un negozio di Swarovski. Forse, Vangelo alla mano, per diventare cristiani il segreto sta nell'essere ostinati e flessibili, più o meno contemporaneamente. Naturalmente la cosa difficile è capire quando essere l'uno o l'altro. La cosa difficile, ma anche la sapienza cristiana: quella che non è solo sapere ma anche sapienza e sapore. Sapore, per l'appunto. Cioè gusto, il gusto di una storia con Dio.
Non eroi i cristiani, ma diversamente uomini. Gente che - sorpresa dall'irruzione di Dio nella propria vita - prima decide di essere presente al mondo e poi, meditando sul mondo, s'azzarda di proporre delle trasformazioni. Presenti al mondo, a se stessi, a Dio: per essere un'umanità che non teme l'avventura della vita ma, misurandosi con essa, condivide la meraviglia d'essere stata chiamata ad umanizzare la storia. Spandendo il gusto di Dio.
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10/02/2014 07:51
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Custodisci sempre con paterna bontà
la tua famiglia, Signore,
e poiché unico fondamento della nostra speranza
è la grazia che viene da te,
aiutaci sempre con la tua protezione. Per il nostro... 




2) Lettura

Dal Vangelo secondo Marco 6,53-56
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genesaret.
Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe, e accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci gli ammalati, dovunque udivano che si trovasse.
E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano gli infermi nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano.



3) Riflessione

? Il testo del Vangelo di oggi è la parte finale dell?insieme del passaggio di Marco 6,45-56 che espone tre temi diversi: a) Gesù va da solo sulla montagna per pregare (Mc 6,45-46). b) Subito dopo, cammina sulle acque, va verso i discepoli che lottano contro le onde del mare (Mc 6,47-52). c) Ora, nel vangelo di oggi, stando già in terra la gente cerca Gesù affinché lui curi le loro malattie (Mc 6,53-56).
? Marco 6,53-56. La ricerca della gente. ?In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genesaret. Appena scesi dalla barca, la gente lo riconobbe?. La gente si reca numerosa alla ricerca di Gesù. Viene da tutte le parti, portando i malati. Stupisce l?entusiasmo della gente che riconosce Gesù e gli va dietro. Cosa spinge alla ricerca di Gesù non è solo il desiderio di incontrarsi con lui, di stare con lui, ma piuttosto il desiderio di essere curati dalle malattie. ?E accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci gli ammalati, dovunque udivano che si trovasse. E dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano gli infermi nelle piazze e lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano?. Il vangelo di Matteo commenta e illumina questo fatto citando la figura del Servo di Yavé, di cui Isaia dice: ?Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze? (Is 53,4 e Mt 8,16-17).
Insegnare e curare, curare e insegnare. Fin dall?inizio della sua attività apostolica, Gesù va per tutti i villaggi della Galilea, per parlare alla gente della venuta imminente del Regno di Dio (Mc 1,14-15). L¡ dove trova gente per ascoltarlo, lui parla e trasmette la Buona Novella di Dio, accoglie i malati, in qualsiasi luogo: nelle sinagoghe durante la celebrazione della Parola, il sabato (Mc 1,21; 3,1; 6,2); nelle riunioni informali a casa di amici (Mc 2,1.15; 7,17; 9,28; 10,10); andando per la strada con i discepoli (Mc 2,23); lungo la spiaggia, seduto in una barca (Mc 4,1); nel deserto dove si rifugiò e dove la gente lo cercava (Mc 1,45; 6,32-34); sulla montagna, da dove proclamò le beatitudini (Mt 5,1); nelle piazze dei villaggi e delle città, dove la gente gli portava i malati (Mc 6,55-56); nel Tempio di Gerusalemme, in occasione dei pellegrinaggi, ogni giorno, senza paura (Mc 14,49)! Curare ed insegnare, insegnare e curare è ciò che Gesù faceva di più (Mc 2,13; 4,1-2; 6,34). Cosi soleva fare (Mc 10,1). La gente rimaneva ammirata (Mc 12,37; 1,22.27; 11,18) e lo cercava, in massa.
Alla radice di questo grande entusiasmo della gentestava, da un lato, la persona di Gesù che chiamava ed attraeva e, dall?altro, l?abbandono della gente che era come pecore senza pastore (cf. Mc 6,34). In Gesù, tutto era rivelazione di ciò che lo spingeva dal di dentro! Non solo parlava di Dio, ma lo rivelava anche. Comunicava qualcosa che lui stesso viveva e sperimentava. Non solo annunciava la Buona Novella. Lui stesso era una prova, una testimonianza viva del Regno. In lui si manifestava ciò che avviene quando un essere umano lascia che Dio regni nella sua vita. Ciò che vale non sono solo le parole, ma anche e sopratutto la testimonianza, il gesto concreto. Questa è la Buona Novella che attira!



4) Per un confronto personale

? L?entusiasmo della gente di Gesù, alla ricerca di un senso per la vita e una soluzione per i loro mali. Dove esiste questo oggi? Esiste in voi, esiste in me?
? Ciò che attira è l?atteggiamento affettuoso di Gesù con i poveri e gli abbandonati. Ed io come mi comporto con le persone escluse della società? 




5) Preghiera finale

Quanto sono grandi, Signore,
le tue opere!
Tutto hai fatto con saggezza,
la terra è piena delle tue creature.
Benedici il Signore, anima mia. 
(Sal 103)


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11/02/2014 07:50
 
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padre Lino Pedron


Questi primi versetti del capitolo 7 di Marco possono sembrare a noi oggi, questioni ridicole e controversie definitivamente superate da un pezzo: e in parte è vero, per fortuna! Dobbiamo però cogliere almeno due affermazioni importanti e valide in tutti i tempi e sotto tutti i cieli:
1. Comandamenti di Dio e tradizioni degli uomini devono essere tenuti sempre distinti: i comandamenti di Dio hanno valore perenne e universale e quindi sono immutabili; le tradizioni degli uomini sono provvisorie e quindi possono, e spesso devono, essere cambiate. Di conseguenza il cristiano, e più in generale l'uomo onesto e intelligente, si rinnova in continuità ed è disponibile alle riforme e al progresso.
2. Gesù rifiuta la distinzione giudaica tra puro e impuro, tra una sfera religiosa separata, in cui Dio è presente, e una sfera ordinaria, quotidiana, in cui Dio è assente. Non ci si purifica dalla vita quotidiana cercando Dio altrove, fuori dalla vita di tutti i giorni, ma al contrario ci si deve purificare dal peccato che è dentro di noi. Gesù contesta la distinzione allora ritenuta sicura e indiscutibile: l'ebreo è puro e tutti gli altri sono impuri.
La questione del puro e dell'impuro ha avuto una grande importanza nei primi tempi della Chiesa, soprattutto per la partecipazione alla stessa mensa tra giudei e pagani (cfr Gal 2,11-17). Ci ritorna alla mente la voce che Pietro sentì nella visione di Ioppe: "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano" (At 10,15).
Citando il quarto comandamento Gesù dimostra di accettare la forza vincolante della legge di Dio, ma rifiuta le tradizioni asfissianti e cavillose che contraddicono ai comandamenti del Signore più che aiutare a capirli e ad osservarli meglio.
Gesù sceglie un caso particolarmente grossolano per dimostrare che il precetto umano può condurre alla trasgressione del comandamento divino. Il dovere di onorare il padre e la madre e di assistere i genitori vecchi e bisognosi era stato affermato da un comandamento di Dio. Ma anche mantenere un voto costituiva un dovere sacro. L'abuso di danneggiare i genitori col voto del korbàn era frequente al tempo di Gesù.
Gesù pone il comandamento dell'amore al di sopra dell'olocausto e degli altri sacrifici (cfr 12, 33) e non permette di trascurare il dovere verso i genitori nemmeno con la scusa di un voto. Dio non vuole essere amato e onorato a spese dell'amore del prossimo. Dio è amore e vuole solo amore, quell'amore del prossimo per mezzo del quale egli stesso viene amato.
E' il principio fondamentale posto alla base di tutta la nostra condotta: l'amore di Dio e del prossimo si inseriscono l'uno nell'altro indissolubilmente (cfr 12,30-31).
Leggiamo nella Prima Lettera di Giovanni: "Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il fratello" (4,21). Nell'amore viene superata ogni forma di legalismo.
Ciò che talvolta tiene lontano da Dio e dal prossimo le persone buone sono le tradizioni religiose staccate dall'amore, che è la loro sorgente e la loro unica motivazione.

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12/02/2014 07:31
 
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Eremo San Biagio
Commento su Mc 7,20

«Ciò che esce dall'uomo è quello che rende impuro»
Mc 7,20

Come vivere questa Parola?

I farisei pensavano che i tanti piccoli precetti osservati con scrupolo rendevano l'uomo gradito a Dio. Gesù ci ricorda che le norme ci aiutano sì a vivere bene, ma non a meritarci la benevolenza di Dio - che è gratuita - e a farci sentire la coscienza a posto. Tutto deve essere collocato nell'orizzonte dell'amore di Dio e del prossimo e non nella illusione di "metterci in regola" esteriormente. Se il cuore dell'uomo è inquinato, se le intenzioni cattive portano al male, la sporcizia morale pervade il nostro animo: non è questione di cibi mondi o immondi, o di pulizia esteriore delle mani, l'attenzione va posta a ciò che esce dal cuore (cioè nel senso antico: dalla mente, dallo spirito).

Come uno pensa, così agisce: si devono temere l'impurità dell'anima, le contaminazioni del cuore. Dobbiamo vigilare sui nostri pensieri, dai quali scaturiscono poi le nostre azioni: dal nostro intimo escono le intenzioni buone o cattive, che portano a realizzare il bene o il male.

Signore, aiutami a purificare la mia mente, a riconoscere le mie responsabilità, a diffondere luce e pensieri positivi.

Dalla voce di un autore dei primi secoli della Chiesa:

«Conservati nella semplicità, nell'innocenza, e sarai come i bambini, i quali non conoscono il male che devasta la vita degli uomini».
Erma, Pastore 27, 1 [Precetti 2, 1]

D. Mario Maritano SDB -
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13/02/2014 07:21
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 7,24-30

1) Preghiera

Custodisci sempre con paterna bontà
la tua famiglia, Signore,
e poiché unico fondamento della nostra speranza
è la grazia che viene da te,
aiutaci sempre con la tua protezione. Per il nostro...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Marco 7,24-30
In quel tempo, Gesù, partito da Genesaret, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi.
Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. Ed egli le disse: ?Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini?. Ma essa replicò: ?Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli?. Allora le disse: ?Per questa tua parola va?, il demonio è uscito da tua figlia?.
Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n?era andato.



3) Riflessione
? Nel vangelo di oggi vediamo come Gesù si occupa di una donna straniera, appartenente ad un?altra razza e ad un?altra religione, pur essendo ciò proibito dalla legge religiosa di quell?epoca. All?inizio Gesù non se ne vuole occupare, ma la donna insiste ed ottiene ciò che lei vuole: la guarigione della figlia.
? Gesù sta cercando di aprire la mentalità dei discepoli e della gente oltre la visione tradizionale. Nella moltiplicazione dei pani, lui aveva insistito nella condivisione (Mc 6,30-44), aveva dichiarato puri tutti gli alimenti (Mc 7,1-23). In questo episodio della donna cananea, supera le frontiere del territorio nazionale ed accoglie una donna straniera che non era del popolo e con cui era proibito parlare. Queste iniziative di Gesù, nate dalla sua esperienza di Dio Padre, erano estranee alla mentalità della gente dell?epoca. Gesù aiuta la gente ad uscire dal suo modo di sperimentare Dio nella vita.
? Marco 7,24: Gesù esce dal territorio. Nel vangelo di ieri (Mc 7,14-23) e dell?altro ieri (Mc 7,1-13), Gesù aveva criticato l?incoerenza della ?Tradizione degli Antichi? ed aveva aiutato la gente e i discepoli ad uscire dalla prigione delle leggi della purezza. Qui, in Marco 7,24, lui esce dalla Galilea. Sembra voler uscire dalla prigione del territorio e della razza. Trovandosi all?estero, lui non vuole essere riconosciuto. Ma la sua fama era giunta prima. La gente ricorre a Gesù.
? Marco 7,25-26: La situazione. Una donna arriva vicino a Gesù e comincia a chiedere aiuto per sua figlia che è malata. Marco dice in modo esplicito che lei appartiene ad un?altra razza e ad un?altra religione. Ciò vuol dire che era pagana. Lei si lancia ai piedi di Gesù e comincia a supplicare la guarigione della figlia che era posseduta da uno spirito immondo. Per i pagani non era un problema ricorrere a Gesù. Per i giudei vivere con i pagani era invece un problema!
? Marco 7,27: La risposta di Gesù. Fedele alle norme della sua religione, Gesù dice che non conviene togliere il pane ai figli per darlo ai cagnolini. Frase dura. Il paragone veniva dalla vita in famiglia. Ancora oggi, bambini e cani sono ciò che abbonda maggiormente nei quartieri poveri. Gesù afferma una cosa: nessuna madre toglie il pane dalla bocca dei figli per darlo ai cani. In questo caso, i figli erano il popolo ebreo e i cagnolini, i pagani. Al tempo dell? AT, a causa di rivalità tra i popoli, la gente soleva chiamare l?altro popolo ?cane? (1Sam 17,43). Negli altri vangeli, Gesù spiega il perché del suo rifiuto: ?Sono stato mandato solo per le pecore perdute della casa di Israele!? (Mt 15,24). Cioè: ?Il Padre non vuole che io mi occupi di questa donna!?
? Marco 7,28: La reazione della donna. Lei è d?accordo con Gesù, ma allarga il paragone e lo applica al suo caso: ?Gesù, è vero, ma anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dal tavolo dei figli!? E? come se dicesse: ?Se sono un cagnolino, allora ho il diritto dei cagnolini, cioè: le briciole mi appartengono!? Lei trae semplicemente conclusioni dalla parabola che Gesù aveva raccontato e dimostra che perfino nella casa di Gesù, i cagnolini mangiavano le briciole cadute dal tavolo dei figli. E nella ?casa di Gesù?, cioè, nella comunità cristiana, la moltiplicazione dei pani per i figli era talmente abbondante che erano rimasti dodici cesti pieni (Mc 6,42) per i ?cagnolini?, cioè per lei, per i pagani!
? Marco 7,29-30: La reazione di Gesù: ?Per questa tua parola, và. Il demonio è uscito da tua figlia!? Negli altri vangeli si esplicita: ?Grande è la tua fede! Sia fatto come tu vuoi!? (Mt 15,28). Se Gesù accoglie la richiesta della donna, è perché capisce che ora il Padre voleva che lui accogliesse la sua richiesta. Questo episodio aiuta a capire qualcosa del mistero che avvolgeva la persona di Gesù e la sua vita con il Padre. Osservando le reazioni e gli atteggiamenti delle persone, Gesù scopre la volontà del Padre negli eventi della vita. L?atteggiamento della donna apre un nuovo orizzonte nella vita di Gesù. Grazie a lei, lui scopre meglio il progetto del Padre per tutti coloro che cercano la vita e di liberarsi dalle catene che imprigionano la loro energia. Cosi, lungo le pagine del vangelo di Marco, c?è un? apertura crescente in direzione degli altri popoli. In questo modo, Marco porta i lettori ad aprirsi nei confronti della realtà del mondo che li circonda, ed a superare i preconcetti che impedivano la convivenza pacifica tra la gente. Questa apertura verso i pagani appare in modo molto chiaro nell?ordine finale dato da Gesù ai discepoli, dopo la sua risurrezione: ?Andate per il mondo intero e proclamate il Vangelo a tutte le genti? (Mc 16,15).



4) Per un confronto personale

? Cosa fai tu concretamente per vivere in pace con persone delle altre chiese cristiane? Nel quartiere dove abiti, ci sono persone di altre religioni? Quali? Parli normalmente con persone di altre religioni?
? Qual è l?apertura che questo testo richiede da noi, oggi, nella famiglia e nella comunità?



5) Preghiera finale

Beati coloro che agiscono con giustizia
e praticano il diritto in ogni tempo.
Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo,
visitaci con la tua salvezza. (Sal 105)

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14/02/2014 07:20
 
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Eremo San Biagio
Commento su At 13,49

Dalla Parola del giorno
La parola del Signore si diffondeva in tutta la regione.

Come vivere questa Parola?
Oggi celebriamo la festa dei santi patroni d'Europa, e la liturgia ci fa riflettere su un brano degli Atti degli Apostoli: un testo del Nuovo Testamento che possiamo definire come la meravigliosa ?cronaca' della prima comunità cristiana. Una comunità che viveva della Parola di Gesù meditata celebrata e annunciata.
Ciò che gli apostoli e con loro tutti quelli che avevano sperimentato la potenza dell'amore di Gesù, non potevano tacere. E d'altra parte la Parola stessa ricordata e proclamata realizzava quanto diceva! Questa è stata la travolgente esperienza della prima comunità cristiana: le parole di Gesù sulla bocca degli apostoli davano vita a quanto annunciavano!
Gli Atti ci presentano 3 caratteristiche fondamentali della Parola: la forza della Parola, per cui si diffonde...; il servizio alla Parola che non è proprietà della comunità ma ad essa è affidata per essere annunciata; la concretezza della Parola che non è un insieme di dottrine ma una persona: Cristo Gesù.
È quanto hanno fatto i santi che oggi celebriamo: forti della Parola del Signore la hanno donata ai loro popoli e a quanti la loro missione ha fatto incontrare. Hanno tradotto la Parola e adattato la liturgia alla lingua dei popoli slavi presso i quali sono stati inviati.

Oggi nel mio rientro al cuore faccio un piccolo momento di memoria Dei, richiamo alla memoria del cuore la Parola del giorno e lascio che mi invada con tutta la sua forza.

Signore, la tua parola è lampada ai miei passi e luce al mio sentiero!

La voce di un vescovo coraggioso
La mia voce scomparirà, ma la mia parola che è Cristo resterà nei cuori di quanti lo avranno voluto accogliere. Fratelli, custodite questo tesoro. Non è la mia povera parola a seminare speranza e fede; è che io non sono altro che l'umile risuonare di Dio in questo popolo.
Oscar Romero



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15/02/2014 07:45
 
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padre Lino Pedron


Marco riporta due moltiplicazioni dei pani (6,35-46; 8,1-9).
Ciò che anzitutto impressiona in questi racconti è la folla: una folla numerosa, venuta a piedi da ogni parte, che segue Gesù giorni e giorni.
Secondo alcuni, tanta folla farebbe sospettare la formazione di un movimento messianico di tipo politico che vedeva in Gesù un possibile capo. Ciò è verosimile: del resto Giovanni, a proposito del medesimo episodio, annota che le folle cercavano Gesù per farlo re (Gv 6,15).
Il clima politico della Galilea di quel tempo era surriscaldato e bastava poco a suscitare fanatismi messianici. Scrive ad esempio Giuseppe Flavio: "Uomini ingannevoli e impostori, che sotto apparenza di ispirazione divina operavano innovazioni e sconvolgimenti, inducevano la folla ad atti di fanatismo religioso e la conducevano fuori nel deserto, come se là Dio avesse mostrato loro i segni della libertà imminente" (Guerra giudaica 2, 259).
In questa luce, nella prima moltiplicazione dei pani, acquista importanza l'annotazione che Gesù obbligò i discepoli ad allontanarsi, ed egli, dopo aver congedata la folla, si ritirò sulla montagna a pregare (6,45-46).
Gesù non accondiscende alle attese politiche della folla, ma si allontana da essa, ritrovando nella preghiera la chiarezza della via messianica della croce e il coraggio per percorrerla.
Questa seconda moltiplicazione dei pani avviene in pieno territorio pagano come prefigurazione dell'eucaristia universale, offerta in pienezza anche ai pagani. Le sette ceste di pezzi avanzati sono destinate alle settanta nazioni pagane della tradizione biblica ebraica (cfr Gen 10).
Ancora una volta Gesù dona il pane e rinnova la sua misericordia. Non si stanca di noi, non si scoraggia per la nostra durezza di cuore. Insiste con il suo dono infinite volte. Tutta la storia è il tempo della pazienza di Dio.

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16/02/2014 08:53
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Mt 5,17-37

Collocazione del brano

Continua la nostra lettura del discorso della montagna. Dopo il brano dedicato alla nuova legge, quella delle Beatitudini, e alle caratteristiche del discepolo (sale della terra e luce del mondo), Gesù dichiara la sua posizione nei confronti di quello che era l'elemento fondamentale della religione ebraica: la Legge di Mosè. Nel lungo brano che leggeremo oggi Gesù afferma che con la sua predicazione la legge non viene abolita, ma portata a compimento. In filigrana possiamo leggere i problemi che la comunità di Matteo doveva affrontare nel suo passaggio dalle usanze ebraiche alla nuova religione portata da Gesù. Anche Paolo dovette pronunciarsi su questo argomento e fu molto duro, accusando la Legge di essere addirittura "complice del peccato". Matteo assume una posizione più conciliante, non distrugge il passato, ma indica la "incompletezza" di una legge e invita a cogliere i valori che in essa erano racchiusi.

Lectio

17 Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.

Gesù afferma di voler portare a compimento la Legge e i Profeti. Legge e Profeti erano le prime due grandi parti della Bibbia ebraica: i precetti del Signore e le parole dei suoi servi (i profeti appunto) che ricordavano al popolo di Israele tali precetti nei momenti in cui vi erano delle difficoltà (invasioni, deportazione...). Si tratta dunque di tutto l'Antico Testamento. Queste parole iniziali attiravano l'attenzione di tutti coloro che erano cresciuti studiando e osservando tutto ciò che era scritto nella Bibbia e che poi avevano aderito al Vangelo.

E' importante ricordare che la Legge (la Torah consegnata sul Sinai a Mosé) è prima di tutto un dono che Dio ha fatto al suo popolo, con lo scopo di far conoscere la sua volontà salvifica. Un esempio di questo pensiero lo si può trovare nel lungo salmo 118 (119) in cui si cantano le lodi della Legge. In ebraico Torah deriva dal verbo istruire con un particolare riferimento all'istruzione trasmessa dal Pentateuco. La Torah è un insieme di leggi, ma anche una maestra di vita.

Gesù dà pieno compimento alla legge poiché la osserva. Inoltre egli è il Messia predetto dalla Scritture, quindi le porta a compimento. Infine la porta a compimento in quanto nel comandamento dell'amore indica il perno attorno a cui ruota tutta la Rivelazione.

18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.

Ricorrendo a un iperbole di stile orientale Gesù ribadisce il concetto. Fino alla fine del mondo, quindi in modo del tutto assoluto, la Legge manterrà la sua validità. Questo poteva mettere in pace quanti erano rimasti fedeli alla Legge e che con il cristianesimo si sentivano certo defraudati di un valore importante. L'iperbole è ancora più forte perché della Legge vuole mantenere i segni più piccoli. Uno è lo iota, traduzione della parola iod la lettera dell'alfabeto ebraico più piccola, in quanto somiglia al nostro apostrofo. Il trattino ( keraia, in greco) indica un segno grafico piccolissimo.

Senza che tutto sia avvenuto: la Torah, l'Antico Testamento mantengono la loro forza riguardo a quanto hanno insegnato e predetto. La presenza di Gesù li porta a compimento, sia per quanto riguarda il giudizio alla fine dei tempi, sia rispetto alla morte e risurrezione di Gesù.

19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

Gesù indugia ancora nel rassicurare il suo pubblico israelita affermando la validità della legge. Anzi si mette in atteggiamento polemico nei confronti dei rabbini del suo tempo che osavano fare delle gerarchie all'interno della Legge distinguendo tra precetti più o meno importanti. Già qui troviamo affermato il senso generale della Legge, va osservata per il suo valore di unione a quel Dio che l'ha donata, non in forza del singolo precetto. Così l'osservanza o meno della legge si traduce in termini di importanza all'interno del regno dei cieli, cioè nella maggiore o minore intensità di relazione con Dio.

20 Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

La Legge da sempre è il termometro della giustizia di una persona, del suo essere giusto davanti a Dio. Gli scribi e i farisei che tendevano alla giustizia, ma che alla fin fine si accontentavano di assumere una bella facciata, non sono i modelli da seguire. La loro giustizia non serve per entrare nel regno dei cieli, cioè nella relazione di amicizia più vera nei confronti di Dio.

Termina qui il lungo preambolo reso necessario poiché l'argomento era estremamente scottante. Quattro le affermazioni preliminari: 1. Gesù è venuto a dare compimento non ad abolire la Legge. 2. La legge rimane del tutto valida fino alla fine del mondo perché contiene delle promesse che si devono realizzare. 3. Essa dunque va osservata in modo integrale, senza cercare scappatoie. 4. La Legge permette di realizzare una vera giustizia, non quella ipocrita dei farisei.

21 Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio.

Finalmente si entra nel vivo del discorso. Gesù afferma in modo esplicito in cosa consista il compimento della Legge, attraverso sei antitesi (quattro le leggiamo nel brano di oggi e due le leggeremo domenica prossima). Nella loro lettura sarà chiaro in quali termini la Legge si dichiara compiuta.

La prima antitesi riguarda l'omicidio, cioè la soppressione ingiusta della vita di qualcuno (l'omicidio viene tuttora ammesso in caso di legittima difesa). Il divieto di uccidere era presente nel decalogo (Es 20,13; Dt 5,17), mentre il rinvio a giudizio si trova in altri passi del Pentateuco.

22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna.

Gesù compie il comandamento risalendo alla radice dell'omicidio, cioè all'ira e ad ogni atteggiamento che può condurre a un gesto estremo. Non basta dunque non uccidere, dobbiamo coltivare in noi atteggiamenti di benevolenza e di accoglienza nei confronti degli altri, nel rispetto della loro vita. Proseguendo Gesù equipara all'omicidio anche altre mancanze di rispetto: la maldicenza e l'offesa. Sono tutti atteggiamenti che sminuiscono la dignità di una persona, dignità che invece ha anche solo per il fatto di essere figlio di Dio, perciò nostro fratello. Le sanzioni previste per questa infrazione ricorrono ai tribunali umani: il giudizio, cioè il tribunale, il Sinedrio, un tribunale religioso e infine la Geena, cioè l'inceneritore pubblico di Gerusalemme, simbolo del giudizio finale. L'accoglienza del fratello e il rispetto della sua vita sono dunque molto importanti se la loro mancanza produce pene così forti.

23 Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,

Nel compimento del "non uccidere" Gesù approfondisce i valori che si devono seguire nelle relazioni tra i fratelli. Fratelli erano considerati coloro che appartenevano al popolo di Israele, ma anche alla nuova comunità dei cristiani. Il vangelo ci ha insegnato a considerare fratelli tutti coloro che appartengono alla natura umana. Con questa affermazione Gesù intende sottolineare il fatto che non si può essere in pace con Dio se non si è prima in pace con i fratelli. Interessante notare che è il fratello che ha qualcosa contro di te, quindi sei tu che devi averlo offeso e quindi gli devi chiedere il perdono.

24 lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.

L'offerta a Dio deve aspettare di essere compiuta da un animo pienamente rappacificato. C'è una comunione che si esprime soprattutto nei rapporti con le altre persone e poi viene portata a compimento davanti a Dio. Qui Gesù era certo polemico contro gli atteggiamenti farisaici di chi calpestava il proprio prossimo ma era ligio ai doveri del culto e della preghiera al tempio.

25 Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!

Troviamo qui una norma prudenziale. Gesù suggerisce di risolvere i problemi a tu per tu con il proprio avversario, cercando mediazioni e accordi personali. Forse vi erano nella comunità di Matteo delle vertenze giudiziarie tra i cristiani e queste davano motivo di scandalo. Il suggerimento è quello di evitare il più possibile il ricorso ai tribunali e ai giudici che realizzano una giustizia alla fin fine disumana.

27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio.28 Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.z
La seconda antitesi ripropone lo stesso schema riguardante l'omicidio. Anche l'adulterio era previsto dal Decalogo (Es 20,14; Dt 5,18). Per adulterio si considerava quello tra una donna sposata o promessa sposa e un uomo che non fosse suo marito. L'offesa era fatta al marito legittimo e doveva essere punita con la morte di entrambi i colpevoli (Dt 22,22-24). Anche qui Gesù va alla radice del peccato in questione: già il desiderio di una donna è un adulterio, rompe un relazione di armonia tra persona e persona, tra la persona e il proprio Dio. Del resto questo divieto del desiderio era già previsto dal nono comandamento.

29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna.

Collegandosi con la citazione dell'occhio del versetto precedente Gesù continua a parlare in senso ampio di azioni che non vanno fatte. La parte destra del corpo umano solitamente è considerata la più nobile soprattutto perché quella più utilizzata (i sinistorsi, cioè i "mancini" dovrebbero essere attorno al 7-10% della popolazione totale). Ciò riguarda soprattutto la mano, però si riflette anche sull'occhio (per esempio per prendere la mira). L'occhio nell'anatomia spirituale ebraica era appunto la sede dei desideri e delle passioni. Gesù ci invita decisamente a coltivare i nostri desideri e a indirizzarli al bene. Come abbiamo ricordato più sopra, la Geenna era il fuoco della pena eterna.

30 E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.

Lo stesso discorso del versetto precedente vale per la mano, simbolo per eccellenza dell'azione.

31 Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio".

La terza antitesi riguarda ancora il matrimonio. La legge ebraica permetteva il divorzio, o meglio il marito poteva ripudiare la moglie qualora avesse trovato in lei qualcosa di vergognoso (Dt 24,1). La legge non specificava meglio, per cui le scuole rabbiniche si schieravano in giudizi più o meno restrittivi riguardo a tale vergogna.

32 Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

Anche per questa norma Gesù risale al significato più profondo del matrimonio, simbolo del legame di amore che c'è tra Dio e le sue creature. L'abbandonare la propria moglie la pone in una situazione di necessità e di adulterio, peccato ancora peggiore di quello che può aver causato il ripudio.

Gesù ammette il ripudio solo in caso di unione illegittima. Il termine greco originale ( porneia) viene riportato solo da Matteo e la sua interpretazione è ancora controversa. Si tratta forse di un'unione illecita (come nel caso di consanguinei, cfr. Lv 18,6-18; Mt 19,3-9) che altre culture invece ammettevano.

33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: "Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti".34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re.

La quarta antitesi riprende il testo di Lv 19,12 che vietava esplicitamente di giurare il falso utilizzando il nome di Dio. Qui l'uso improprio del nome di Dio nei giuramenti si deduce dal seguito del discorso. Gesù chiede ai suoi discepoli di non giurare per niente perché una persona che è retta e onesta non deve prendere a testimone nessuno per avvalorare le proprie affermazioni. E' la sua rettitudine che vale come garanzia di ciò che dice.
Vi era al tempo di Gesù l'abitudine di giurare su Dio, non nominandolo direttamente, bensì usando dei termini sostitutivi (il cielo, la terra, Gerusalemme...). Gesù ricorda che questi termini sostitutivi avevano comunque la loro dignità e che quindi non era corretto farvi ricorso.

36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.

Anche l'uso di giurare per la propria testa viene riprovato da Gesù. Il proprio corpo è dono di Dio e non ne possiamo disporre a nostro piacimento! Divertente l'affermazione di Gesù sul colore dei capelli. L'uso di tingere i capelli era diffusissimo sin dall'antichità, ma non poteva mai essere definitivo, quindi risultava essere una prova ulteriore dell'impotenza umana nel cambiare la natura delle cose.

37 Sia invece il vostro parlare: "Sì, sì", "No, no"; il di più viene dal Maligno.

Gesù richiama a non sprecare parole inutilmente, ma a parlare e ad agire con rettitudine. Il maligno di cui si parla nel v. 37 può essere riferito sia all'uomo che compie il male sia a Satana, che si annida nei falsi giuramenti e nei discorsi troppo lunghi e complicati.

Meditatio

- Ti sembra più facile attenerti a una norma o comprendere e vivere più profondamente il valore che questa norma cerca di salvaguardare?
- Ti è mai capitato di uccidere una persona con la calunnia o l'insulto?
- Quando il tuo occhio o la tua mano ti sono stati motivo di scandalo?
- Come è il tuo modo di parlare? Ricorri anche tu a iperboli o a qualcosa che assomiglia ai giuramenti?

Preghiamo
(Colletta della VI domenica del Tempo Ordinario - Anno A)

O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore...
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17/02/2014 07:26
 
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padre Lino Pedron


La situazione di Gesù è veramente tragica e la sua immagine impressionante. E' un uomo addolorato per il rifiuto dei farisei e meravigliato e deluso per il comportamento dei discepoli che ancora non capiscono.
I primi sono totalmente chiusi alla fede. Se chiedono a Gesù un segno, un miracolo, non è perché vogliono credere in lui, ma per tendergli un tranello (v. 11). Gesù capisce la loro manovra, rifiuta il segno e li abbandona (vv. 12-13). E' la rottura definitiva.
La differenza tra i farisei e i discepoli sta nel fatto che questi ultimi non hanno deciso di farlo morire e non l'abbandonano. E questo non è poco. Per il resto sono uguali: il loro atteggiamento di incomprensione nei confronti di Gesù è colpevole. Hanno il cuore indurito perché si ostinano a non capire e non riflettono su ciò che vedono e odono (vv. 17-18).
Gesù si sforza di farli ragionare; ricorda loro le due moltiplicazioni dei pani, ma deve concludere con una amara constatazione: "E non capite ancora?" (v. 21). Sono ciechi e sordi davanti a Dio che si rivela.
Gesù ci ha già dato il suo massimo segno donandoci se stesso nel suo pane. Non bisogna chiedergli altri segni, ma credere nel segno che ci ha dato. Oltre a questo non c'è più niente: è Dio stesso, tutto per noi. Non resta che riconoscere, adorare, gustare e viverne.
Il discepolo, invece di chiedere nuovi segni, chiede la capacità di vedere quelli che Gesù gli ha già dato.



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18/02/2014 07:19
 
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padre Lino Pedron


I discepoli sono talmente immersi nei pensieri terra-terra di ogni giorno, che non riescono a penetrare nelle severe parole di Gesù e continuano a manifestarsi l'un l'altro le loro preoccupazioni per il pane.
Gesù interviene e parla loro in tono di tale rimprovero come non aveva mai fatto prima.
Il loro cuore è indurito fin dal tempo della moltiplicazione dei pani (6,52); essi non hanno capito nulla dell'opera messianica di Gesù né hanno compreso il mistero della sua personalità mentre egli camminava sulle onde del lago. Tuttavia Gesù non abbandona nemmeno ora i suoi discepoli, ma cerca di portarli a riflettere e a capire.
I discepoli devono stare attenti a non lasciarsi contagiare dalla mentalità dei farisei e di Erode. Gesù vuole che stiano lontani da questi due partiti: da quello dei farisei, la cui religione è più esteriore che profonda; da quello di Erode che è totalmente preso dalle cose del mondo e della politica. L'avvertimento è tutt'altro che fuori posto: Giuda ci cascherà dentro in pieno, purtroppo!
Ma mentre Gesù diceva loro queste cose, essi pensavano ad altro: «E quelli dicevano tra loro: "Non abbiamo pane"» (v. 16). E' evidente la "distrazione" dei discepoli, la loro incapacità di ascoltare: Sono talmente immersi nella preoccupazione del pane che non afferrano altro. Non avvertono neppure l'urgenza e l'importanza di quanto Gesù sta dicendo. Si comportano come se egli non parlasse.
"Non intendete e non capite ancora?" (v. 17). Il rimprovero di Gesù assume un'ampiezza insospettata e si risolve in una diagnosi completa delle malattie di cui sono afflitti i discepoli: scarsa intelligenza, cecità, sordità, durezza di cuore, sospetta perdita della memoria.
In questi versetti, il martellamento delle domande incalzanti, che vanno verso il fortissimo e passano in rassegna tutti i sensi dell'uomo, fa capire ai discepoli che non hanno capito proprio nulla.
Essi ricordano perfettamente i fatti. Rispondono senza alcuna esitazione e sanno ricordare benissimo ciò che è accaduto. Sono tutt'altro che stupidi, ma non comprendono il grande dramma che si sta svolgendo sotto i loro occhi.
In questa circostanza i nodi vengono al pettine e Gesù coglie l'occasione per fare ai suoi discepoli un esame di coscienza piuttosto ruvido. Non è possibile leggere questo brano senza sentire il tono alto, altissimo della voce di Gesù, con una buona dose d'ira, di accoramento e di delusione. Il Maestro si trova davanti dodici discepoli che non sanno risolvere l'equazione ad un'incognita: e in questo caso l'incognita è Gesù.
"Avete il cuore indurito?". La diagnosi di Gesù si concentra essenzialmente su una malattia: la durezza di cuore. Il cuore, nel linguaggio biblico, indica non tanto la sede della vita affettiva, quanto la fonte dei pensieri e della comprensione. Qui è denunciata la mancanza d'intelligenza, l'incapacità di vedere la portata messianica di ciò che sta accadendo: è l'accecamento dello spirito. I discepoli sono duri di cuore perché non hanno l'intelligenza per capire chi è Gesù: e questa intelligenza si identifica, di fatto, con la fede.
"Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?" Tutti questi interrogativi non sono una condanna, ma un invito accorato e costante a convertirsi, che richiama i rimproveri di Mosè (Dt 29,3) e dei profeti (Ger 5,21; Ez 12,2) al popolo ribelle.
Egli li rimanda alla loro esperienza passata. Come il ricordo dei benefici d'un tempo provocava Israele a uscire dal suo torpore e a tornare a Dio (cfr Sal 77,4.6.12.13; 105,5), così la memoria di quello che essi avevano fatto, distribuendo alle folle il pane che sazia in abbondanza, può richiamarli alla loro responsabilità e aiutarli a capire finalmente chi egli sia.
La funzione di questo brano corrisponde alla prima fase del miracolo che segue: vuol farci vedere che non vediamo. Siamo come il cieco che scambia gli uomini per alberi.

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19/02/2014 08:00
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, che hai promesso di essere presente
in coloro che ti amano
e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola,
rendici degni di diventare tua stabile dimora.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Marco 8,22-26
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsaida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo.
Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: ?Vedi qualcosa??.
Quegli, alzando gli occhi, disse: ?Vedo gli uomini; infatti vedo come degli alberi che camminano?.
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa. E lo rimandò a casa dicendo: ?Non entrare nemmeno nel villaggio?.



3) Riflessione

? Il vangelo di oggi racconta la guarigione di un cieco. Questo episodio di guarigione costituisce l?inizio di una lunga istruzione di Gesù ai discepoli (Mc 8,27 a 10,45) che, a loro volta, termina con la guarigione di un altro cieco (Mc 10,46-52). In questo contesto più ampio, Marco suggerisce ai lettori che i veri ciechi sono Pietro e gli altri discepoli. Siamo tutti noi! Loro non capivano la proposta di Gesù quando parlava della sofferenza e della croce. Pietro
accettava Gesù come Messia, ma non come messia sofferente (Mc 8,27-33). Lui era colpito anche dalla propaganda dell?epoca che solo parlava di messia, di re glorioso. Pietro sembrava essere cieco. Non capiva nulla, ma voleva che Gesù fosse come lui voleva.
? Il vangelo di oggi ci indica come è stato difficile curare il primo cieco. Gesù dovette fare questa guarigione in due tappe. Anche difficile fu la guarigione dei discepoli. Gesù dovette dare una lunga spiegazione riguardo al significato della Croce per aiutarli a capire, perché ciò che produceva in loro la cecità era la croce.
? Nell?anno 70, quando Marco scrive, la situazione delle comunità non era facile. C?era molta sofferenza, molte croci. Sei anni prima, nel 64, l?imperatore Nerone aveva decretato la prima grande persecuzione, uccidendo molti cristiani. Nel 70, in Palestina, i romani stavano distruggendo Gerusalemme. Negli altri paesi, stava cominciando una forte tensione tra giudei convertiti e giudei non convertiti. La difficoltà maggiore era la Croce di Gesù. I giudei pensavano che un crocifisso non potesse essere il messia così atteso dalla gente, poiché la legge affermava che tutti i crocifissi dovevano essere considerati persone maledette da Dio (Dt 21,22-23).
? Marco 8,22-26: Guarigione di un cieco. Portarono un cieco, chiedendo che Gesù lo curasse. Gesù lo curò, ma in modo diverso. Prima di tutto, lo portò fuori dal villaggio. Poi gli mise saliva sugli occhi, gli impose le mani e chiese: Vedi qualcosa? L?uomo rispose: Vedo degli uomini; infatti sembrano alberi che camminano! Vedeva solo in parte. Scambiava alberi per persone, o persone per alberi! Solo in un secondo momento Gesù guarisce il cieco e gli proibisce di entrare nel villaggio. Gesù non voleva una propaganda facile.
? Come è stato detto, questa descrizione della guarigione del cieco funge da introduzione alla lunga istruzione di Gesù per curare la cecità dei discepoli, ed alla fine termina con la guarigione di un altro cieco, Bartimeo. In realtà il cieco era Pietro. Lo siamo noi tutti. Pietro non voleva l?impegno della Croce! E noi capiamo il significato della sofferenza nella vita?
? Tra le due guarigioni del cieco (Mc 8,22-26 e Mc 10,46-52), si trova la lunga istruzione sulla Croce (Mc 8,27 a 10,45). Sembra un catechismo, fatto di frasi di Gesù stesso. Parla sulla croce nella vita del discepolo. La lunga istruzione consta di tre annunci della passione. Il primo è quello di Marco 8,27-38. Il secondo di Marco 9,30-37. Il terzo di Marco 10,32-45. Tra il primo e il secondo, ci sono una serie di istruzioni per aiutare a capire che Gesù è il Messia Servo (Mc 9,1-29). Tra il secondo e il terzo, una serie di istruzioni che indicano che tipo di conversione deve avvenire nella vita di coloro che accettano Gesù, Messia Servo (Mc 9,38 a 10,31):
Mc 8,22-26: la guarigione di un cieco
Mc 8,27-38: primo annuncio della Croce
Mc 9,1-29: istruzioni ai discepoli sul Messia Servo
Mc 9,30-37: secondo annuncio della Croce
Mc 9,38 a 10,31: istruzioni ai discepoli sulla conversione
Mc 10,32-45: terzo annuncio della Croce
Mc 10,46-52: la guarigione del cieco Bartimeo
L?insieme di questa istruzione ha come sfondo il cammino dalla Galilea fino a Gerusalemme. Dall?inizio fino alla fine di questa lunga istruzione, Marco informa che Gesù è in cammino verso Gerusalemme, dove patirà la morte (Mc 8,27; 9,30.33; 10,1.17.32). La comprensione piena della sequela di Gesù non si ottiene da idee teoriche, ma dall?impegno pratico, camminando come lui lungo il cammino del servizio, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Chi insiste nel mantenere l?idea di Pietro, cioè, del Messia glorioso senza la croce, non capirà nulla e non giungerà mai ad assumere l?atteggiamento del vero discepolo. Continuerà ad essere cieco, scambiando la gente per alberi (Mc 8,24). Perché senza la croce è impossibile capire chi è Gesù e cosa significa seguire Gesù.
Il Cammino della sequela è il cammino del dono di sé, dell?abbandono, del servizio, della disponibilità, dell?accettazione del conflitto, sapendo che ci sarà la risurrezione. La croce non è un incidente di percorso, ma fa parte di questo cammino. Perché in un mondo, organizzato partendo dall?egoismo, l?amore e il servizio possono esistere solo crocifissi! Chi fa della sua vita un servizio agli altri, scomoda coloro che vivono attaccati ai privilegi, e soffre.



4) Per un confronto personale

? Tutti crediamo in Gesù. Ma alcuni lo capiscono in un modo, altri in un altro. Qual è oggi il Gesù più comune nel modo di pensare della gente? La propaganda, come interferisce nel modo di vedere Gesù? Cosa faccio per non cadere nell?inganno della propaganda?
? Cosa chiede Gesù alle persone che vogliono seguirlo? Oggi, cosa ci impedisce di riconoscere ed assumere il progetto di Gesù?



5) Preghiera finale

Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?
Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia e parla lealmente. (Sal 14)
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20/02/2014 08:25
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 8,27-33

1) Preghiera

O Dio, che hai promesso di essere presente
in coloro che ti amano
e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola,
rendici degni di diventare tua stabile dimora.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 8,27-33
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?" Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti". Ma egli replicò: "E voi chi dite che io sia?" Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi parla della cecità di Pietro che non capisce la proposta di Gesù quando costui parla della sofferenza e della croce. Pietro accetta Gesù messia, ma non messia sofferente. E' influenzato dal "lievito di Erode e dei farisei", cioè, dalla propaganda del governo dell'epoca per cui il messia era un re glorioso. Pietro sembrava cieco. Non si rendeva conto di nulla, ma voleva che Gesù fosse come lui voleva. Per capire bene tutta la portata di questa cecità di Pietro è bene inquadrarla nel suo contesto letterario.
? Contesto letterario: Il vangelo di Marco ci trasmette tre annunci della passione e morte di Gesù: il primo in Marco 8,27-38; il secondo in Mc 9,30-37 ed il terzo in Mc 10,32-45. Questo insieme, che va fino a Mc 10,45, è una lunga istruzione di Gesù ai discepoli per aiutarli a superare la crisi prodotta dalla Croce. L'istruzione è introdotta con la guarigione di un cieco (Mc 8,22-26) e alla fine si conclude con la guarigione di un altro cieco (Mc 10,46-52). I due ciechi rappresentano la cecità dei discepoli. La guarigione del primo cieco fu difficile. Gesù dovette farla in due tappe. Anche difficile fu la guarigione della cecità dei discepoli. Gesù dovette procedere ad una lunga spiegazione riguardo al significato della Croce per aiutarli a capire, poiché la croce stava producendo in loro la cecità. Vediamo da vicino la guarigione del cieco.
? Marco 8,22-26: La prima guarigione del cieco. Portano davanti a Gesù un cieco, chiedendo a Gesù di guarirlo. Gesù lo guarisce, ma in modo diverso. Prima, lo porta fuori dal villaggio. Poi mette un poco della sua saliva sugli occhi del cieco, gli impone le mani e chiede: Vedi qualcosa? L'uomo risponde: Vedo persone; sembrano alberi che camminano! Notava solo una parte. Scambiava alberi per persone, o persone per alberi! Gesù lo guarisce solo nel secondo tentativo. Questa descrizione della guarigione del cieco introduce l'istruzione dei discepoli, in realtà il cieco era Pietro. Lui accettava Gesù messia, ma messia glorioso. Vedeva solo una parte! Non voleva l'impegno della Croce! Anche la cecità dei discepoli è guarita da Gesù, in più volte, non in una sola.
? Marco 8,27-30. La scoperta della realtà: Chi dice la gente che io sia? Gesù chiede: "Chi dice la gente che io sia?" Loro rispondono esponendo le diverse opinioni: "Giovanni Battista", "Elia o uno dei profeti". Dopo aver ascoltato le opinioni degli altri, Gesù chiede: "E voi, chi dite che io sia?" Pietro risponde: "Il Signore, il Cristo, il Messia!" Cioè il Signore è colui che la gente sta aspettando! Gesù è d'accordo con Pietro, ma gli proibisce di parlare di ciò con la gente. Perché? Perché in quel tempo tutti aspettavano la venuta del messia, ma ognuno a modo suo: alcuni aspettavano il re, altri il sacerdote, dottore, guerriero, giudice, profeta! Nessuno sembrava che stesse aspettando il messia servo e sofferente, annunciato da Isaia (Is 42,1-9).
? Marco 8,31-33. Primo annuncio della passione. Poi Gesù comincia ad insegnare dicendo che lui è il Messia Servo ed afferma che, come tale Messia Servo annunciato da Isaia, presto sarà condannato a morte nello svolgimento della sua missione di giustizia (Is 49,4-9; 53,1-12). Pietro si spaventa, chiama a parte Gesù per sconsigliarlo. E Gesù gli risponde: "Lungi da me satana. Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!" Pietro pensava aver dato la risposta giusta. Infatti, lui dice la parola giusta: "Tu sei il Cristo!" Ma non le dà il senso giusto. Pietro non capisce Gesù. Era come il cieco. Scambiava la gente per alberi! La risposta di Gesù fu durissima: "Lungi da me, satana!" Satana è una parola ebraica che significa accusatore, colui che allontana gli altri dal cammino di Dio. Gesù non permette che qualcuno lo allontani dalla sua missione. Letteralmente il testo dice: "Allontanati da me, satana!" Pietro deve seguire Gesù. Non deve cambiare le carte e pretendere che Gesù segua Pietro.


4) Per un confronto personale

? Tutti crediamo in Gesù. Ma alcuni credono che Gesù sia di un modo, altri di un altro. Qual è oggi l'immagine più comune che la gente ha di Gesù? Qual è la risposta che la gente darebbe oggi alla domanda di Gesù? Ed io che risposta do?
? Cosa ci impedisce oggi di riconoscere in Gesù il messia?




5) Preghiera finale

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino. (Sal 33)
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21/02/2014 07:21
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La fede senza le opere è senza calore

Fede e opere - Il richiamo e l'invito che San Giacomo rivolge a tutti i fedeli è quello di una vita cristiana coerente con la fede che si professa e con l'annunzio del vangelo. Ma la coerenza viene manifestata dalle opere che si compiono, dal comportamento personale e comunitario in ogni situazione della vita. Per noi tutti, che difettiamo di coerenza nella vita, mi sembra un richiamo molto opportuno. Nella vita pubblica come in quella privata notiamo con disagio e amarezza la separazione tra il dire e fare. Ci si professa cristiani e poi le scelte che vengono fatte nella vita sono in pieno contrasto con il vangelo. San Giacomo ci mostra come la fede viene convalidata e confermata dalle opere adducendo l'esempio di Abramo che obbedisce alla voce di Dio quando questi gli chiede di sacrificargli il figlio Isacco. Quanti "Isacco" o idoli abbiamo ciascun di noi che non siamo disposti a lasciare! Il brano del vangelo che ci viene proposto è in linea con le affermazioni di S. Giacomo. Gesù si rivolge a tutti: Seguire Lui, significa rinnegare se stesso, rinnegare i propri idolo, prendere la propria croce e esser disposti a condividere la sua sorte, fino a perdere la vita come lui ha offerto la propria esistenza donandola per la salvezza del mondo. Avere il coraggio di manifestare la propria fede nel Signore, senza rispetto umano o vergogna significa prepararsi una buona testimonianza presso il Padre da Gesù stesso. Chi invece si vergogna di Lui dinanzi agli uomini, non potrà attendersi che riprovazione e confusione. Ci dia il Signore il coraggio delle fede, che viene testimoniata dalle opere, dalla nostra vita concreta...
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22/02/2014 08:25
 
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La liturgia di oggi è illuminata dal pensiero della paternità di Dio. Gesù stesso afferma che Pietro ha parlato per ispirazione del Padre, riconoscendo in lui il Messia, il Figlio di Dio: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli". È dal Padre che viene ogni cosa buona, e in particolare è dal Padre che viene la vita soprannaturale, il cui inizio e fondamento è la fede in Gesù.
E anche Gesù è docile al Padre. Non sceglie di sua iniziativa il primo fra gli Apostoli, ma aspetta che il Padre manifesti la sua scelta e soltanto dopo, quando il riconoscimento di Pietro indica la scelta del Padre, dice a Simone, a Pietro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". C'è dunque un riconoscimento reciproco, basato sull'iniziativa del Padre. Simone riconosce in Gesù il Figlio di Dio, Gesù riconosce in Simone la pietra fondamentale della sua Chiesa.
Anche nella sua bellissima lettera Pietro rivela la sua docilità all'ispirazione del Padre e la sua riconoscenza verso di lui.
Nei primissimi versetti parla della prescienza del Padre: tutto si compie per iniziativa di Dio, che sceglie i suoi eletti "mediante la santificazione dello Spirito per obbedire a Gesù Cristo". E all'opera il Dio Trinitario.
E subito dopo erompe in una acclamazione: "Sia benedetto Dio e Padre", per i benefici che già ci ha elargito e per quelli che ci ha preparati: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore Gesù Cristo: nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati". Dio si è di nuovo
manifestato Padre per noi; già ci aveva dato la vita, ora ci ha nuovamente generati, "mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti". Il Padre si è di nuovo rivelato tale donandoci una vita al di là della morte, una vita, dunque, eterna.
Questa generosità che il Padre ci ha dimostrato nel passato è evidentemente promessa di una altrettanto grande generosità per il futuro. Infatti Pietro continua: "Ci ha rigenerati per una speranza viva". Già possediamo la vita eterna, ma in germe, un germe colmo di speranza, teso verso il perfetto compimento. Pietro non ha parole abbastanza belle per descrivere quello che Dio ci darà: "Una eredità che non si corrompe, non si macchia, non marcisce, conservata nei cieli...".
È una prospettiva estremamente positiva. Pietro vede la grande bontà di Dio nel passato, vede la grande bontà di Dio per il futuro.
E fra questi due spazi immensi di gioia c'è un piccolo momento di prova: "Perciò siete ricolmi di gioia anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove".
Realmente tutte le difficoltà, le contrarietà, le tribolazioni della vita, che spesso occupano tutto il nostro orizzonte soffocandoci, Pietro le vede come qualcosa quasi trascurabile, un breve momento di afflizione fra due manifestazioni indescrivibili della bontà e generosità divine.
E anche queste prove sono lette in maniera molto positiva sono necessarie per purificare la nostra fede, come l'oro si purifica nel fuoco.
È molto consolante per noi questa visione della vita cristiana, la vita che noi viviamo giorno per giorno e che san Pietro ci presenta con tanto entusiasmo.
Chiediamo a lui che ci aiuti ad essere docili al Padre e pieni di fiducia nel suo amore.
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23/02/2014 08:05
 
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Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Mt 5,38-48

Collocazione del brano

Stavamo leggendo il discorso della montagna, con le 6 antitesi che mostrano in che modo Gesù sia venuto a portare a compimento, non ad abolire la Legge di Mosè. Le prime quattro antitesi sono state lette settimana scorsa. Oggi vediamo le ultime due, quelle dal significato più sconvolgente.

Lectio

38 Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente.

La "legge del taglione" si trova in Es 21,24 e in altri due testi del Pentateuco. Al suo nascere era una legge molto saggia. In una società ancora piuttosto primitiva aveva l'intento di contenere la vendetta entro certi limiti e di evitare il prolungarsi delle vendette e delle rappresaglie tra tribù e clan avversari. Come è formulata nell'Antico Testamento affermava la responsabilità personale delle proprie azioni, l'uguaglianza delle persone davanti alla legge e la giusta proporzione tra il reato e la punizione. Non si sa se questa legge fosse ancora vigente all'epoca di Gesù.

39 Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra,

Il superamento della legge compiuto da parte di Gesù si applica qui alle situazioni di conflitto. Se la legge del taglione cercava di porre un argine al male, Gesù ci richiede un atteggiamento che cerca soprattutto la pace, il superamento dei rancori e dei conflitti. Quindi chiede di non opporsi al male, ma di lasciarlo cadere, di far comprendere a colui che compie il male l'inutilità del suo gesto. Gli esempi riportati vanno tutti in questa direzione. Il malvagio, l'avversario con un gesto di violenza richiederebbe una reazione uguale e contraria. Il credente risponde in modo magnanimo, dando il doppio di ciò che gli viene richiesto, offrendo al malvagio un nuovo modo di vedere le cose.

Lo schiaffo sulla guancia destra è quello che procura meno dolore poiché viene fatto con la mano destra rovesciata. Era considerato più un gesto di offesa che di violenza. Il porgere la guancia sinistra era dunque una provocazione alla rovescia per far capire all'aggressore che il male non porta a niente.

40 e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.

Questo caso è quello del creditore che in tribunale chiede la soddisfazione del proprio credito. La tunica ( chiton) era l'indumento maschile principale. Sopra la tunica si poteva portare anche il mantello. Era il mantello solitamente che si lasciava in pegno per i propri debiti. Anche qui viene sottolineata un'esagerazione per sottolineare l'esagerazione di una tale richiesta.

41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due.

I soldati romani avevano il diritto di costringere i civili a prestare qualche servizio. Essi dunque potevano costringerli a portare dei bagagli per dei tratti di strada più o meno lunghi (è questo il caso del Cireneo, costretto ad aiutare Gesù a portare la croce, Mt 27,32). Gesù consiglia di raddoppiare la lunghezza del
percorso, quasi a dire "Non sei tu che mi costringi, sono io che ti voglio aiutare di mia spontanea volontà".

42 Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.

La quinta antitesi esorta alla generosità nei confronti dei mendicanti e di coloro che chiedono prestiti, senza guardare alla restituzione. Questa affermazione si trovava anche in Dt 15,7-11.

43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico.

Il comandamento dell'amore del prossimo riguardava i membri del popolo di Israele e si trova in Lv 19,18.

L'odio per il nemico non risulta nell'Antico Testamento. Nei rotoli di Qumran vi è l'esortazione ad "odiare i figli delle tenebre", intendendo coloro che si oppongono all'angelo della Luce.

44 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,

Il compimento della Legge anche in quest'ultima antitesi è totale. Il male non deve trovare strada nei nostri cuori. Anche se vi fossero dei cosiddetti nemici essi non vanno odiati e il male che ci fanno deve essere bloccato in ogni modo. Gesù ci esorta ad amarli e a pregare per loro.

45 affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Amare i nemici non è una cosa che possiamo fare in base alle nostre forze, dobbiamo attingere all'amore che Dio Padre ha nei confronti nostri e anche dei nostri nemici. Se siamo figli dobbiamo seguire l'esempio del nostro Padre che elargisce i doni della natura sia ai buoni che ai malvagi.

46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?

Qui vengono dati due esempi che portano a una giustizia superiore (come in Mt 5,20, dove i discepoli erano invitati ad essere superiori agli scribi e ai farisei). I pubblicani e i pagani erano considerati persone inferiori rispetto ai credenti israeliti, quindi l'esempio è calzante. Gesù invita i suoi discepoli ad andare oltre alle simpatie semplicemente umane.

48 Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

L'epilogo delle antitesi è dunque l'invito a seguire l'esempio del Padre. Perfetto in questo senso riguarda l' "interezza" di Dio che si cura di tutti, che ama tutti. L'obiettivo della Legge è dunque quello di renderci
capaci di amare come ama il Padre.

Meditatio

- Quali reazioni suscitano in me queste parole di Gesù?
- Mi è mai capitato di sopportare il male perché situazioni di odio e di rancore avessero fine?
- Cosa significa per me amare i miei nemici?

Preghiamo
(Colletta della VII domenica del Tempo Ordinario - Anno A)

O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce hai rivelato la forza dell'amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e spezza le catene della violenza e dell'odio, perché nella vittoria del bene sul male testimoniamo il tuo vangelo di pace. Per il nostro Signore...
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24/02/2014 07:53
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Il tuo aiuto, Padre misericordioso,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere
ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 9,14-29
In quel tempo, Gesù sceso dal monte e giunto presso i discepoli, li vide circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.
Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: ?Di che cosa discutete con loro?? Gli rispose uno della folla: ?Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti?. Egli allora, in risposta, disse loro: ?O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me?. E glielo portarono.
Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. Gesù interrogò il padre: ?Da quanto tempo gli accade questo?? Ed egli rispose: ?Dall?infanzia; anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell?acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci?. Gesù gli disse: ?Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede?. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: ?Credo, aiutami nella mia incredulità?.
Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: ?Spirito muto e sordo, io te l?ordino, esci da lui e non vi rientrare più?. E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: ?È morto?. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: ?Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?? Ed egli disse loro: ?Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera?.



3) Riflessione

? Il vangelo di oggi informa che i discepoli di Gesù non furono capaci di scacciare il demonio dal corpo di un ragazzo. Il potere del male fu più grande della loro capacità. Anche oggi, ci sono molti mali che superano la nostra capacità di affrontarli: violenza, droga, guerra, malattie, mancanza di impiego, terrorismo, ecc. Ci sforziamo molto nella vita, ma sembra che invece di migliorare, il mondo peggiori. A che scopo lottare? Con questa domanda in testa, leggiamo e meditiamo il vangelo di oggi.
? Marco 9,14-22: La situazione della gente: disperazione senza soluzione. Scendendo dalla montagna della Trasfigurazione, Gesù incontra molte persone attorno ai discepoli. Un padre era disperato, poiché uno spirito immondo si era impossessato di suo figlio. Con molti dettagli, Marco descrive la situazione del ragazzo posseduto, l?angoscia del padre, l?incapacità dei discepoli e la reazione di Gesù. Colpiscono in particolare due cose: da un lato, la confusione e l?impotenza della gente e dei discepoli dinanzi al fenomeno della possessione, e dall?altro, il potere della fede in Gesù davanti al quale il demonio perde tutta la sua influenza. Il padre aveva chiesto ai discepoli di scacciare il demonio dal ragazzo, ma loro non ne furono capaci. Gesù si spazientisce e dice: ?O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me?. Gesù chiede informazioni sulla malattia del ragazzo. E dalla risposta del padre, Gesù sa che il ragazzo, ?fin da piccolo?, è affetto da una grave malattia che mette in pericolo la sua vita. Il padre chiede: ?Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci!? La frase del padre esprime la situazione ben reale della gente: (a) è incredula, (b) non è in condizioni di risolvere i problemi, ma (c) ha tanta buona volontà.
? Marco 9,23-27: La risposta di Gesù: il cammino di fede. Il padre aveva detto: ?Se puoi fare qualcosa,....!? A Gesù non piacciono queste parole: ?Se il signore può...?. Non è possibile mettere questa condizione, poiché ?tutto è possibile a chi ha fede!? Il padre risponde: Credo, Signore! Ma aiutami nella mia incredulità! La risposta del padre occupa il posto centrale dell?episodio. Indica come deve essere l?atteggiamento del discepolo, che malgrado i suoi limiti e dubbi, deve essere fedele. Vedendo che veniva molta gente, Gesù agì rapidamente. Ordinò allo spirito di uscire dal ragazzo e di non ritornare ?mai più!? Segno del potere di Gesù sul male. Segno anche del fatto che Gesù non voleva una propaganda populista.
? Marco 9,28-29. Approfondimento con i discepoli. In casa, i discepoli vogliono sapere perché non erano stati capaci di scacciare il demonio. Gesù risponde: Questa specie di demoni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera! Fede e preghiera vanno insieme. Non esiste l?una senza l?altra. I discepoli erano peggiorati. Prima loro erano capaci di scacciare i demoni (cf. Mc 6,7.13). Ora, non più. Cosa manca? Fede o preghiera? Perché manca? Sono domande che escono dal testo ed entrano nella nostra testa in modo da procedere anche noi ad una seria revisione della nostra vita.
? L?espulsione dei demoni nel vangelo di Marco. Nel tempo di Gesù, molte persone parlavano di Satana e dell?espulsione dei demoni. La gente aveva paura, e c?erano persone che sfruttavano la paura della gente. Il potere del male aveva molti nomi: Demonio, Diavolo, Belzebù, Principe dei demoni, Satana, Dragone, Dominazioni, Potestà, Sovranità, Bestia-fiera, Lucifero, ecc. (cf. Mc 3,22.23; Mt 4,1; Ap 12,9; Rm 8,38; Ef 1,21). Oggi, tra di noi il potere del male ha anche molti nomi. Basta consultare il dizionario e cercare la parola Diavolo o Demonio. Anche oggi, molta gente disonesta si arricchisce, sfruttando la paura che la gente ha del demonio. Orbene, uno degli obiettivi della Buona Novella di Gesù è, precisamente, aiutare la gente a liberarsi da questa paura. La venuta del Regno di Dio significa la venuta di un potere più forte. L?uomo forte era un?immagine che indicava il potere del male che manteneva la gente imprigionata nella paura (Mc 3,27). Il potere del male opprime le persone e le aliena da sé. Fa in modo che vivano nella paura e nella morte (cf. Mc 5,2). E? un potere così forte che nessuno riesce a frenarlo (cf. Mc 5,4). L?impero romano con le sue ?Legioni? (cf. Mc 5,9), cioè, con i suoi eserciti, era lo strumento usato per mantenere questa situazione di oppressione. Ma Gesù è l? uomo più forte che vince, afferra e scaccia il potere del male! Nella lettera ai Romani, l?apostolo Paolo enumera tutte le possibili potenze o demoni che potrebbero minacciarci e riassume tutto in questo modo: ?Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun?altra creatura potrà mai separarci dall?amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore!? (Rom 8,38-39) Nulla di tutto questo! E le prime parole di Gesù dopo la risurrezione sono: ?Non abbiate paura! Gioite! Non abbiate paura! La pace sia con voi!? (Mc 16,6; Mt 28,9.10; Lc 24,36; Gv 20,21).



4) Per un confronto personale

? Hai vissuto qualche volta un?esperienza di impotenza davanti al male o alla violenza? E? stata un?esperienza solo tua o anche della comunità? Come l?hai vinta?
? Qual è il tipo di potere del male che oggi si vince solo con molta preghiera?



5) Preghiera finale

Gli ordini del Signore sono giusti,
fanno gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi. (Sal 18)
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25/02/2014 09:08
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 9,30-37

1) Preghiera

Il tuo aiuto, Padre misericordioso,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere
ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: ?Il Figlio dell?uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà?. Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: ?Di che cosa stavate discutendo lungo la via?? Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: ?Se uno vuol essere il primo, sia l?ultimo di tutti e il servo di tutti?.
E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: ?Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato?.



3) Riflessione

? Il vangelo di oggi narra il secondo annuncio della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. Come nel primo annuncio (Mc 8,27-38), i discepoli sono spaventati ed hanno paura. Non capiscono la parola sulla croce, perché non sono capaci di capire né di accettare un Messia che diventa servo dei fratelli. Loro continuano a sognare un Messia glorioso e mostrano, oltre a ciò, un?enorme incoerenza. Quando Gesù annuncia la sua Passione e Morte, loro discutono su chi di loro sia il più grande. Gesù vuole servire, loro pensano solo a comandare! L?ambizione li conduce ad autopromuoversi a fianco di Gesù. Fino ad oggi, questo stesso desiderio di auto-promozione appare nelle nostre comunità.
? Sia al tempo di Gesù come al tempo di Marco, c?era un ?lievito? di ideologia dominante. Anche oggi, l?ideologia delle propagande del commercio, del consumismo, delle telenovela influisce profondamente sul modo di pensare e di agire della gente. Al tempo di Marco, non sempre le comunità erano capaci di mantenere un atteggiamento critico dinanzi all?invasione dell?ideologia dell?impero romano. Ed oggi?
? Marco 9,30-32: L?annuncio della Croce. Gesù attraversa la Galilea, ma non vuole che la gente lo sappia, poiché è occupato con la formazione dei discepoli e parla con loro della Croce. Dice che secondo la profezia di Isaia (Is 53,1-10), il Figlio dell?Uomo deve essere consegnato e condannato a morte. Ciò indica l?orientamento di Gesù verso la Bibbia, sia nella realizzazione della propria missione, che nella formazione data ai discepoli. Traeva il suo insegnamento dalle profezie. Come nel primo annuncio (Mc 8,32), i discepoli lo ascoltano, ma non capiscono ciò che dice sulla croce. Ma non chiedono chiarimenti. Hanno paura che emerga la loro ignoranza!
? Marco 9,33-34: La mentalità di competitività. Giungendo a casa, Gesù chiede: ?Di che cosa stavate discutendo lungo la via?? Loro non rispondevano. E? il silenzio di chi si sente colpevole, ?per la via, infatti, avevano discusso tra loro chi fosse il più grande?. Gesù è un buon pedagogo. Non interviene subito. Sa attendere il momento opportuno per combattere contro l?influsso dell?ideologia nei suoi formandi. La mentalità di competitività e di prestigio, che caratterizzava la società dell?Impero Romano, si stava già infiltrando nella piccola comunità che stava nascendo! Ecco il contrasto, l?incoerenza: Gesù si preoccupa di essere il Messia Servo e loro solo pensano a chi è il più grande. Gesù cerca di scendere, loro di salire!
? Marco 9,35-37: Servire, invece di comandare. La risposta di Gesù è un riassunto della testimonianza di vita che lui stesso stava dando fin dall?inizio: Se uno vuol essere il primo sia l?ultimo di tutti e il servo di tutti! Poiché l?ultimo non vince un premio né ottiene una ricompensa. E? un servo inutile (cf. Lc 17,10). Il potere deve essere usato non per salire e dominare, ma per scendere e servire. Ecco il punto su cui Gesù insiste maggiormente e di cui rende maggiore testimonianza (cf. Mc 10,45; Mt 20,28; Gv 13,1-16). Poi Gesù mette in mezzo a loro un bambino. Una persona che solo pensa a salire e dominare, non presterebbe tanta attenzione ai piccoli e ai bambini. Ma Gesù rovescia tutto! Dice: Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato?. Lui si identifica con i piccoli. Chi accoglie i piccoli in nome di Gesù, accoglie Dio stesso!
? Una persona non è santa e rinnovata per il semplice fatto di ?seguire Gesù?. In mezzo ai discepoli, e sempre di nuovo, il ?lievito di Erode e dei farisei? (Mc 8,15) si faceva notare. Nell?episodio del vangelo di oggi, Gesù appare come un maestro che forma i suoi seguaci. "Seguire" era un termine che formava parte del sistema educativo del tempo. Si usava per indicare la relazione tra discepolo e maestro. La relazione maestro-discepolo è diversa da quella di professore-alunno. Gli alunni assistono alle classi del professore su una determinata materia. I discepoli "seguono? il maestro e vivono con lui, ventiquattro ore al giorno. In questa "convivenza" di tre anni con Gesù, i discepoli e le discepole riceveranno la loro formazione. Il vangelo di domani ci darà un altro esempio assai concreto di come Gesù formava i suoi discepoli.



4) Per un confronto personale

? Gesù vuole scendere e servire. I discepoli vogliono salire e dominare. E io? Qual è la motivazione più profonda del mio ?io? sconosciuto?
? Seguire Gesù e stare con lui, ventiquattro ore al giorno, e lasciare che il suo modo di vivere diventi il mio modo di vivere e di convivere. Sta avvenendo questo in me?



5) Preghiera finale

Ti siano gradite le parole della mia bocca,
davanti a te i pensieri del mio cuore,
Signore, mia rupe e mio redentore. (Sal 18)
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26/02/2014 07:48
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Chi non è contro di noi è per noi

Oggi San Giacomo ci offre una lezione molto appropriata. Ci fa toccare con mano una certa "arroganza" nei nostri atteggiamenti e nei nostri programmi, predisposti come se fossimo noi i padroni della vita e delle realtà terrene, dimentichi di quel detto: L'uomo propone, ma Dio dispone!
Egli invita quindi tutti noi a riconoscere la nostra dipendenza piena e assoluta da Dio, convinti che non possiamo aggiungere nemmeno un centimetro alla nostra statura senza la volontà del Signore. E' bene quindi tener sempre presente questa nostra precarietà in modo che la nostra vita possa trascorrere nell'ordine e nella piena fiducia in Lui, senza mai prevaricare e crederci padroni del tempo e della vita. Il brano del vangelo ci richiama alla stessa riflessione, anche se con diverse sfumature. I doni di Dio sono distribuiti dal Signore, secondo la sua volontà e scelta... ma Giovanni, l'apostolo della carità, qui si dimostra intransigente, osando perfino di proibire di scacciare i demoni a una persona che pure agiva in nome di Gesù. Anche qui è presente l'arroganza. Si tratta di una appropriazione esclusiva di doni e privilegi il cui donatore e distributore è solo il Signore. Gesù corregge questo ardente e focoso zelo: Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel nome mio e subito possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi."

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