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All'armi!....il doc.

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2015 21:05
19/02/2015 15:47
 
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1 - All'armi...!


Pur novello ma schietto post-fascista, nemmeno avverso ai regimi militari di allora in Sud America e Turchia, nonchè sgomento dal "ribaltone" di Tehran che, a mio avviso, avrebbe regredito la Persia di mezzo secolo almeno...nel maggio 1978, ovvero quando fui convocato per la Visita di Leva, giudicai il Servizio Militare coatto di allora...un'autentica scemenza istituzionale. Perchè, ciascuna delle reclute sarebbe stata da impiegarsi e retribuirsi in virtù di una formazione/addestramento obbligatori, ma specifici sulla base dei livelli.
E mi sembrava palese come, la quota-valore di un medico non potesse venir equiparata ad altre cento professioni in essere od in divenire. Senza con ciò screditarne alcuna, ma ritenendo di ispirazione vagamente comunista l'organizzazione di quel tempo del medesimo SM.
Invero, ricordo come molti genitori di amici e conoscenti, sin dalla visita di idoneità alla leva, si fossero attivati in ogni modo e con ogni sforzo per evitare al pargolo di "buttare" nel WC dodici mesi della propria vita. I miei genitori, certamente non giunsero al ragionamento della presunta bontà o meno di una tale esperienza: semplicemente, iscrivendosi il sottoscritto alla Facoltà di Medicina, si disinteressarono totalmente alla questione, quasi si trattasse del destino di un estraneo...(!).
In breve, giunse il 1985, anno in cui mi laureai e, prima ancora del rintocco dei tamburi di guerra, avevo assunto dunque autonomamente, delle informazioni in merito alle possibilità alternative alla Leva nell'Esercito.

La prima opzione che mi si offriva era quella canonica della Scuola per Ufficiale Medico che, a quel tempo si teneva a Firenze. Il vantaggio sarebbe stato quello di un decoroso stipendio/trattamento per 12 / 15 mesi di "ferma" ma, gli svantaggi che mi si paravano innanzi erano davvero notevoli.
Prima di tutto, in quegli anni...occorreva...ehm...diciamo...l'italicissimo "aiutino" (che io non avevo affatto...!) per essere ammesso al Corso medesimo.
Inoltre, i mesi sarebbero stati quindici anzichè dodici e la destinazione, quasi certamente lontana dalla mia città, ove già....coltivavo importanti affetti... [SM=g27828]. Scartai, dunque, a priori questa via.

La seconda via alternativa era quella di far domanda come Allievo CC, col vantaggio di una durata di 12 mesi, una decorosa retribuzione ed una buona possibilità di restare non lontano da casa...quanto meno entro l'ambito regionale di appartenenza.
La terza possibilità, meno nota ed ambita, era quella di propormi come agente penitenziario: bussai senza remore particolari ai portoni delle "Nuove" di Torino ma venni informato che, no, con la laurea...proprio non si poteva...perchè mi sarebbe dovuta corrispondere una posizione funzionale che, proprio non rientrava nei parametri del Servizio di Leva stesso.
Decisi, pertanto, di percorrere la seconda strada e, lieto di aver superato la severa selezione psico-fisica nell'ottobre 1985, lo fui assai di meno quando, a metà gennaio 1986, mi recapitarono la temuta "cartolina" dell'Esercito per "esubero di domande" e conseguente esclusione dall'ARMA. In tal modo, ebbi preclusa ogni altra chance ed il 26 gennaio 1986, in una fredda serata degli inverni di allora, mi imbarcai nell'ultima mesta carrozza di un diretto verso il Sud, con destinazione Ascoli Piceno (CAR) che avrei raggiunto solamente il mattino successivo. Ricordo, come la rivivessi oggi che, quella decina giorni pre-partenza, per me e la mia bella fu autenticamente tragica: uscivamo, quasi senza avere la forza di dirci nulla, spesso con gli occhi pieni di lacrime che nessuno dei due intendeva lasciar sgocciolare. Ci tenevamo la mano stretti, come un muto cenno di ferrea intesa e dovevamo, impotenti, lasciar scorrere un crepuscolo dopo l'altro, in attesa del destino che stava per compiersi. Come contraltare, i rispettivi genitori seguitavano la propria vita come si trattasse di una nostra semplice parentesi universitaria oppure di lavoro: credo, avessi mai desiderato ed avuto un figlio...non sarei riuscito a perseguire un simile quasi disinteressato atteggiamento. Da quel momento, i nostri rapporti con la generazione del'29 (o quanto meno, quella micro-porzione di essa che ci gravitava intorno), si fecero irreversibilmente più distaccati. E, tutt'oggi, mi scosterei con piena coscienza e determinazione...!
Dimenticavo di aggiungere per completezza come, il mio defunto padre, per un qualche motivo che non fu mai così chiaro...il SM non lo fece affatto (::)

Gianni S.


Segue...

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Benito è morto. Ma lotta insieme a noi.


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Una divisa a cui poter credere....(:)





[Modificato da Gianni Sperone 13/03/2015 21:12]
19/02/2015 16:21
 
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2 - La notte più lunga, eterna non è...!

Avevo sonnecchiato a sprazzi in quell'infausta notte, con le vetture dinanzi alla mia dalle quali trasalivano zaffate di vociante rumore...quasi fosse una marcia trionfale (?). Il sedile era duro e lercio ed, alcune figure indistinte soggiornavano qualche mezz'ora nel mio lugubre ed ultimo scompartimento, prima di scendere in giro per l'Emilia e le prime Marche. Di quando in quando, ingurgitavo un sorso di Coca-Cola, provando a concentrarmi sul dannunziano "Trionfo della Morte" ma realizzai che non avevo affatto voglia di leggere. In più, rimuginavo come tutti se ne fossero altamente infischiati della mia sorte mentre io, giovane medico, venivo mandato al macello chissà dove. Il calendario segnò la data 27 gennaio molto presto, forse prima di Tortona e realizzai pure che, il 29 mattina avrei dovuto senza scampo trovarmi nuovamente a Torino per il primo giorno di Specialità in Medicina dello Sport. Almeno una volta la settimana, DOVEVO, pena...perdere il primo anno (!). Come sarei riuscito ad "evadere", ancora non lo sapevo...ma avrei studiato la situazione sul posto, non appena arrivato.
Le stazioni emiliano-romagnole mi parevano dei globi fastidiosi di luce che mi turbavano ulteriormente ed accolsi quasi con sollievo l'arrivo a S. Benedetto del Tronto, donde mi attendeva un "locale" per Ascoli. Ricordo che la notte si stemperava un poco nelle prime luci del giorno mentre questo convoglio secondario percorreva a bassa velocità un tragitto remoto, punteggiato di quando in quando da stazioncine che parevan dei caselli ferroviari, fra basse groppe collinari. Nasceva il giorno quando il trenino si fermò, come per caso, nel terminal ascolano; avevo nuovamente preso un po' di sonno e, l'uscire di vettura all'albeggiare di un inverno poco clemente con bagagli al seguito, nel nitrire di un'orda di ragazzi decisamente più giovani e divisi fra l'annichilito e l'euforico, mi infondeva sensazioni di fastidio ed estraneità. Che mai ci stavo a fare li in mezzo...?

Mi strappò bruscamente dai miei pensieri erranti, la voce mezza meridionale di un caporalmaggiore indigeno (sai che roba...!) che, a suon di urla e gesticolare, provò a metterci in colonna...vestiti come eravamo...ognuno diverso dall'altro. Mentre cercavo di capire gli intenti di questo scimmiotto urlante, feci caso come, sul piazzale antistante la stazione ferroviaria, non fosse parcheggiato nessun pullman grigio-verde, ma solamente due camion sgangherati. Totalmente aperti (!). Ricordo come, il mio primo pensiero fu: "Guarda 'sti co......i! Già cominciano a giocare alla guerra...!" Colto da improvvisa agilità, più che altro per non smarrire qualcosa di mio, mi issai incredibilmente lesto su una panca del cassone aperto (se ben ricordo, quei rottami motorizzati erano denominati CM...), prendendo rapidamente coscienza della torma di umani che mi circondava. "Attento a te", mi dissi immediatamente, ed inalberai un grugno simile a quello di un'aquila contrariata. Muto, ma pronto all'attacco al minimo segnale di pericolo (:)
Il tragitto sino alla caserma di CAR fu eternamente lungo, pur se trattavasi di non più di tre chilometri: buche e vento gelido, oltre ad una improvvisa nausea...fortunatamente senza esiti susseguenti...

Gianni S.

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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:16]
19/02/2015 18:55
 
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3 - Ascoli: fra puzze, assistenza ed olive ripiene (!)

La Caserma CAR di Ascoli Piceno l'ho rivista casualmente ad inizio ottobre scorso ed, almeno dall'esterno, non pare affatto cambiata rispetto a come mi apparve dinanzi quella fine di gennaio 1986, quando scesi dall'infernale CM come ubriaco, insonnolito, infreddolito e tormentato da una nausea da manuale. Il complesso era costituito da tre corpi paralleli di edifici a tre piani l'uno, più la palazzina dei servizi, gli alloggi dei graduati ed il ricovero degli automezzi. Solo gli ufficiali potevano parcheggiare all'interno il proprio mezzo, ma ciò mi parve una delle poche norme di buon senso. Irreggimentati in colonna, fummo dirottati da arcigni caporali nelle varie camerate dove, a 26 anni, feci conoscenza con i letti a castello che avevo sempre detestato. Su ciascuno di essi stava appoggiato un "cubo" di lenzuola e coperte che, dalla mattina successiva avremmo dovuto rifare esattamente tale e quale. Ci fu concessa una mezz'ora scarsa per affastellare le nostre cose in rugginosi armadietti che, manco a piangere in turco, ne avrebbero contenute più di un terzo. Il resto del primo giorno venne invece trascorso a far la coda ovunque per il ritiro dei vari effetti militari, col monito che qualunque pezzo mancasse alla riconsegna, esso sarebbe stato addebitato.

Era un campionario da film comico, con tanto di mutande lunghe, calzettoni che già puzzavano da nuovi e la lista di ammenicoli di biancheria che ben si può immaginare. L'unico intervallo concessoci fu per il pranzo che io, con un po' di fatica, dribblai...per telefonare alla mia bella senza rompiscatole nei pressi. In effetti, la colazione ed il pranzo sarebbero stati obbligatori ma il sottoscritto provò soltanto una colazione...col cioccolato che pareva un severo corpo contundente...poi evitò tutto, nella maniera che spiegherò più innanzi. Mentre andavo per scale, corridoi e cortili, appestati da un ammorbante odore dolciastro di due aziende chimiche a fianco (!), cercavo...per così dire...di prendere le misure all'insieme che mi circondava, tenuto conto che, entro la seconda mattina successiva, sarei dovuto essere obbligatoriamente al corso di specialità a Torino (!)
Intanto dovevo anche reinventarmi come medico...mica potevo morire fra marce, sfilate e robe simili!
Ecco che, di tardo pomeriggio, attirò la mia attenzione una lunga fila di soldati apparentemente malaticci che, con smorfie più o meno realistiche, stazionava sotto il palazzotto dell'Infermeria.
In quel momento di "terra di nessuno", in cui non avevo ancora indossato la divisa, mostrai il tesserino da medico e raggiunsi al primo piano l'ambulatorio vero e proprio. Il locale, modesto ma fornito di tutto l'occorrente per un eventuale pronto soccorso, era presidiato da un omicino alto come Brunetta ma smilzo e coi capelli scuri e lisci sulla fronte abbronzata: trattavasi di un dottore di Pescara (il solito raccomandato...pensai all'istante), in camice bianco con la stella da sottotenente che io avevo lasciato involarsi sull'Arno con un po' di superficialità di troppo. Lo aiutava un cosiddetto ASA, ovvero un aiutante di sanità che poteva essere o non essere medico. In sostanza, mi fosse andata di lusso, anch'io avrei potuto ricoprire il ruolo di l'ASA. Solo che, ad una rapida considerazione, l'organico era già al completo ed occorreva una proposta alternativa.

"Buonasera, collega!", esordii con fare bonario..."medico anche tu?". La domanda, di per se stessa era quanto mai stupida; in più il pescarese stava pure lavorando... ma non gli lasciai troppo tempo per replicare.
"...Senti, ho visto una bella fila qua sotto. Ma è così tutte le sere?..."..."Eh già" fu la risposta del "collega", che stava rifiatando per cacciarmi in malo modo.
"... Beh, ti propongo un supporto. Alla sveglia ti faccio io la prima scrematura e tu la sera, da visitare, te ne ritrovi la metà..."
L'accigliato sanitario comprese improvvisamente che, alfine, in quella proposta c'era da guadagnarci e, dopo pochi convenevoli di prammatica, il patto fu sancito in questi termini.
Ogni mattina, avrei accompagnato il cosiddetto "caporale di giornata" alla sveglia nelle camerate ed, ai cosiddetti "chiedenti visita", avrei definito quali potevo curare nelle camerate e quali indirizzare al collega stellato la sera.
Naturalmente, occorreva una richiesta autorizzativa per il capitano di compagnia che egli redasse immediatamente a macchina e firmò.

Così, provvisto di filze di supposte che parevano cartucciere e mi fuoriuscivano dalle tasche della "mimetica", aspirine militari e poco altro, dal mattino seguente iniziai la mia opera di coadiutore sanitario.
All'incirca, una decina/quindicina di malati li lasciavo in camerata mentre, un pari numero lo "spedivo" dal pescarese.
Naturalmente, c'era bisogno di assistere questi malati [SM=g27828] e, soprattutto, arieggiare con cadenza oraria gli stanzoni per "fare uscire i microbi" [SM=g27828] . Intanto, le reclute avevano iniziato le loro attività esterne cui, ahimè, io non potevo partecipare per via del ricambio d'aria. Tutto per la salute dei miei assistiti (!)...Vero che "saltavo" colazione e pranzo: la sera mi rifacevo, però, in una trattoria poco discosto dalla pittoresca Piazza del Popolo, ove non c'erano militari ma una deliziosa cameriera bruna con occhioni da cerbiatta, che mi trattava in maniera davvero regale.

Gianni S.


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La Caserma "CAR" di Ascoli Piceno - Ingresso;



[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 19:23]
19/02/2015 20:42
 
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4 - Ascoli-Torino e ritorno...

Se mi ero creato una nicchia lavorativa più che soddisfacente per un soldato semplice in un CAR, avevo l'incubo da risolvere alla svelta nell'essere il sabato mattino alle 8 alla Scuola di Specialità a Torino. Era già venerdì e non c'era tempo da perdere. Chiesi un colloquio col Capitano di Compagnia e mentre lo conducevo per le camerate illustrandogli il mio piano sanitario per un pronto recupero dei malati, grazie anche all'ossigenazione oraria delle stanze infette [SM=g27828] , dovetti significargli la mia necessità di partire. "Ma come? E' appena arrivato e già vuol partire...Per Torino, poi! Ma...si rende conto?" Il suo viso baffuto si era fatto ancora più burbero, ma non mi pareva un cattivo diavolo (::)
Mi misi quasi sull'attenti mentre gli dicevo "Signor Capitano, mi rendo conto. Ma lei sa che io perdo un anno se domattina non sono a Torino. Naturalmente, sarà cosa di ogni sabato...ma io posso rinunciare a qualsiasi altro tipo di permesso". Era tutto vero ed egli, uomo di esperienza, lo comprese subito. Mi fece andare nel suo ufficio, firmandomi in sostanza un permesso di 24 ore. In sostanza, sarei partito col primo treno dopo la libera uscita pomeridiana, con l'obbligo di rientrare in caserma entro le ore 23 del giorno dopo, ovvero del sabato. Stava tutto stretto. Ma ci stava!

Quello che, per altri militari, poteva apparire uno sfacciato colpo di fortuna, era in realtà una sfacchinata coi fiocchi. Ricordo infatti come, dopo la tratta lenta, avevo la coincidenza a S. Benedetto del Tronto con un direttissimo proveniente da Lecce per Milano, il quale approdava nel capoluogo lombardo verso le 23. Già abbastanza frullato per l'impatto col nuovo mondo che mi avrebbe circondato per un anno, dovevo attendere oltre un'ora alla Stazione Centrale, prima di salire poi su un diretto praticamente deserto da film thriller che giungeva a Torino quando mancavano pochi minuti alle 2. In pratica, avevo il tempo di gettarmi sotto la doccia a casa e, fra un racconto e l'altro, dormire ...più o meno dalle 4 alle 6.30...per essere, in divisa e col bagaglio al seguito, all'ex Stadio Comunale cittadino nei cui interni si tenevano per l'appunto le irrinunciabili lezioni del sabato. Dopo una pausa-caffè dove sbranavo a quattro palmenti tutto ciò che trovavo sui vassoi, il corso non terminava che alle 14. A quel punto, senza più poter passare da casa, dovevo filare in stazione per riprendere la via del ritorno, tenendo conto anche dei ritardi dovuti al maltempo che, in questo caso, non mi sarebbero stati abbuonati. Comunque, verso le 22.30, varcavo la carraia della mia temporanea abitazione ascolana, prima di una domenica passata come pattuito, ad "arieggiare" le camerate ed assistere gli infermi.
Tornando al mio impegno quotidiano è vero che fossi in tal modo (quasi) del tutto esentato dalla routinaria attività delle reclute (che lì venivano amorevolmente chiamati "rospi"), ma è altrettanto vero come, per essere vestito di tutto punto insieme al caporale di giornata, dovessi svegliarmi almeno mezz'ora prima di tutti gli altri e trascinarmi verso quei desolanti lavatoi, per lo più sozzi ed intasati da ogni genere di schifezze. Sui bagni, pure lì..."turche a porte aperte"...meglio stendere un velo pietoso.
Il contraltare positivo è che, nessuno si permetteva di "fare il furbo" o comunque il prepotente col sottoscritto che, bene o male, si ritrovava in mano l'enorme potere di poter disporre o meno di "riposi in branda" con una sufficiente discrezionalità che il pescarese gallonato mi aveva ceduto ben volentieri.

Gianni S.

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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:20]
20/02/2015 08:49
 
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5 - Ascoli: alleato con tutti (o quasi...)

Con i giorni che trascorrevano tutt'altro che veloci, sempre in quell'aria talora rossastra o giallognola, davvero ammorbata in maniera insopportabile dalle due adiacenti industrie chimiche, cercavo sempre maggiormente di assimilare le regole di caserma e, soprattutto, di comprenderne lo spirito reale che, agli occhi di un 26enne era ben diverso da come poteva presentarsi ad un ragazzotto di 6-7 anni di meno. Un po' di nonnismo c'era ma nemmeno più di tanto perchè la sera eran tutti abbastanza "cotti" da andarsene a dormire...; i caporalmaggiori li conoscevo ormai tutti, facendo con loro il giro del mattino ed, in un certo senso, mi spiegavano le "dritte" migliori da seguire per esser lasciato in pace, tratteggiandomi anche come potesse essere questo o quell'altro ufficiale. Mi misero in guardia soprattutto da un tenente di Arezzo, tracagnotto con folte sopracciglia brune che, in effetti, era un vero str.... e tale, a sprazzi, si mostrò pure con me, dicendomi che ero un falso dottore (::). Ovviamente non potevo ribattere a tale scemenza, così cercavo di schivarlo per evitare una risposta non proprio ingiuriosa ma tagliente che, di sicuro, non mi avrebbe giovato (::); fu lui, comunque, a disporre che un giorno, andassi a lanciare pure io la bomba dalle parti delle Ripe, già nel Teramano, (più o meno dove fu commesso l'omicidio di Melania Rea). Così, non essendo preparato all'evento, mi trovai un mattino freddo e nebbioso, coi monti avvolti dalle nubi, intruppato su di un camion aperto totalmente e guidato da un autentico imbecille che, per farci patire le curve, guidava come un pazzo. Vestito assai meno degli altri, che apparivano imbacuccati come fossimo andati alle Svalbard, raggiungemmo, dopo quasi un'ora di supplizio da Ascoli, questa radura immersa nella nebbia a circa 900 metri d'altezza dove, nel giro di cinque minuti, come comparso dal nulla sullo sfondo di quattro povere case di montagna raggruppate fra loro, si materializzò un ambulante a venderci panini con rancida porchetta, letteralmente a peso d'oro, sotto gli occhi assenti dello stron.. aretino.

Quando venne il mio turno di lanciare questo scomodo e pesante involto (la "bomba"), un caporalmaggiore che conoscevo mi diede due istruzioni al volo ma, appena l'ebbi fra le mani...non l'aspettavo così pesante...in più non avevo svolto alcuna esercitazione in precedenza...talchè il mio lancio fu pessimo fra i pessimi e l'ordigno atterrò silenziosamente quasi sui piedi di un ignaro sergente che beveva un'aranciata a garganella.
L'Aretino mi si avvicinò con occhi di fuoco, quasi volesse colpirmi ma, un capitano nei pressi gli disse qualcosa a bassa voce e questi, girò sui tacchi da dov'era venuto e non mi importunò ulteriormente nel mio soggiorno marchigiano.
Nuovo carosello infernale sui tornanti a discendere ad Ascoli, ed ebbi tempo ad entrare in caserma... per vomitare le splendide olive ripiene della cena precedente (!)
Le settimane si srotolavano molto lentamente sul calendario, scandite da un ritmo quanto mai monotono della mia giornata-tipo che, dopo una sveglia ad ore antelucane, prevedeva l'intera mattinata a razzolare fra le lerce camerate che un po' di "rospi" (come me), tentava con poca convinzione di ripulire alla meglio sotto le direttive ringhiose dei caporali. Tuttavia, l'acqua dei secchi non veniva quasi mai cambiata e lo strofinaccio utilizzato, si impregnava di acqua, via via più lurida (:) Oddio, è sin eccessivo parlare di mattinata intera: per me era sufficiente che le varie ludiche (:) attività avessero inizio...poi potevo mettermi a leggere LA STAMPA acquistata la sera prima, guarnita da uno schifoso caffè da macchina automatica di mezzo Novecento (:). La movimentazione del mio tempo disperso nel limbo di un mondo irreale, giungeva puntuale il venerdì quando, sin dal mattino, iniziavo ad organizzare la mercanzia da viaggio per la mia sfacchinata sin sotto la Mole, che compii tre volte in quel primo mese di ferma. Il perché non la effettuai la quarta, ve lo spiegherò successivamente.

Un'altra nota preziosa in quei primi venti giorni in divisa, fu costituito dall'arrivo della mia bella che si sciroppò quasi sedici ore di treno per passare una cena ed una notte insieme all'Hotel Pennile che, non saprei se esista ancor oggi ma che, in quel contesto fetente, mi parve un reggia pur se la stanza era piccola ed il bagno non certo lussuoso (:).
Un risvolto positivo del mio giornaliero lavoro di "medico errante" fu che, la voce iniziò rapidamente a spargersi e, molti ufficiali, piuttosto che andare poi la sera dal pescarese, iniziavano a venir da me che, piuttosto imbarazzato, dovevo visitarli su un letto vuoto nelle camerate...ma, quasi nessuno di loro soffriva di qualcosa di diverso da ansia e modesta depressione. In tal modo, nella libera uscita serale, saccheggiavo a mie spese le farmacie di Ascoli con ansiolitici di ogni foggia: loro eran contenti e dormivano come ghiri. In più, mi reputavano chissà che in gamba perché, in realtà, si sentivano meglio. All'inizio il pescarese gallonato si mostrò ben contento di risparmiarsi un'altra fetta di utenti; in seguito, probabilmente si piccò di non essere più il fulcro dei santoni e mi tolse il saluto, anche perché (fra i gallonati) gli era rimasto solo lo stron.. aretino che, mai, si sarebbe umiliato a venire da me (!). Per quello che mi interessava, poi (::)


Gianni S.


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1986: sogno...anzi, utopia!


[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:24]
20/02/2015 20:28
 
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6 - Ascoli: zero gradi, Torino: quaranta...(!)

Il periodo del CAR stava volgendo verso l'ultima settimana ed iniziava il toto-destinazioni per la parte più lunga e definitiva della leva. Una cosa era certa comunque: da Ascoli, le mete finali riguardavano eminentemente il NE, soprattutto la pianura fra Conegliano ed Udine e qualcuno avrebbe già potuto ritenersi fortunato se finiva a Mantova , Padova o Rovigo...una illusoria maggior vicinanza al Piemonte (si era per lo più di Torino e dintorni...) e dico illusoria perché, alfine, i servizi di collegamento erano peggiori e più rari rispetto alla direttrice Venezia-Trieste. Per la quarta volta, di venerdì verso le 17.30, mi issai sul direttissimo per Milano già con uno strano malessere addosso. Sentivo freddo, dato del tutto insolito per il sottoscritto, tossicchiavo come un vecchio fumatore ed avevo il volto lucido di sudore con gli occhi che, letteralmente, mi si chiudevano per una stanchezza pesante e generalizzata. Arrivai a Torino che parevo un reduce dalla Russia ma minimizzai il tutto per andare a lezione dopo poche ore. Verso le 13 del sabato, realizzai che dovevo mettermi a letto: non era una semplice influenza ed i miei avevano già dichiarato una sorta di stato d'emergenza con arrivo pomeridiano del buon medico curante. Paiono quasi i tempi odierni: di sabato pomeriggio, ti becchi si e no una guardia medica iraniana...(:)

Caro dottor Giaccone...chissà se sarà ancor vivo ora che lo ricordo (?). "...Qua c'è una bronchitaccia e tu te ne stai qua bello tranquillo per un po' di giorni. Faccio io il certificato." Invero ero piuttosto preoccupato perché allora non c'era affatto da scherzare: il non tornare entro i termini stabiliti comportava un reato penale di diserzione già nelle 24 ore successive. Insomma, da domenica sera alle 23, potevano di fatto venirmi i CC in casa. I miei parevano non considerare nemmeno la questione; il sottoscritto, al contrario, cercava di capire come uscire da quella situazione piuttosto incresciosa. Era ormai quasi sera del sabato ed io, anziché ad Ancona, mi trovavo febbricitante ed imbottito di farmaci nel mio letto. D'improvviso, mi venne in mente un giovane "maggiore" cui avevo sradicato le pene d'amore con robuste dosi di ansiolitici...una persona mite e non certo invasata. Provai a telefonare ad Ascoli e, fortunosamente, riuscii a trovarlo ed anche il centralinista fu corretto a cercarlo in giro per passarmelo. Gli raccontai la situazione con voce realmente contrita ed il buon stellato mi rispose di curarmi e star tranquillo per il tempo che occorreva. Beh, fra le righe...mi disse che, fossi rientrato nel giro di otto giorni era meglio. Non tanto per il giuramento, cui avrebbe provveduto lui stesso a farmi esentare ma per la prova di tiro che, assolutamente avrei dovuto effettuare prima di lasciare il CAR. A farla breve, dopo una settimana ero di ritorno ad Ascoli e tutti mi guardavano a metà fra l'imboscato ed il miracolato. Il "maggiore" che di cognome faceva Garibaldi (??), mi attendeva con una certa benevola comprensione e provvide lui stesso ad aggregarmi ad una seduta di tiri con un'altra Compagnia. Il punteggio fu, ovviamente, disastroso ma, per me, il CAR finiva lì e non avevo certo l'aspirazione di venir promosso caporale (::). Di lì a breve si sarebbe dischiuso il periodo nella cosiddetta destinazione finale, che poi...finale non fu (!).
Bisogna sapere come, la vita militare nelle caserme italiane a metà anni Ottanta era molto più disordinata di quanto volesse apparire come facciata. Pertanto, già un banale trasferimento di un migliaio di reclute alle Sedi loro assegnate per il servizio di leva, si tramutava in un'impresa quasi epica. Come si fosse dovuto smontare l'intero Paese in tasselli e trasportarli altrove, senza averli nemmeno numerati: è quello che vedremo oggettivamente nella, chiamiamola...puntata successiva. Ma, il dato che debbo anticipare è che, a dieci ore dalla partenza da Ascoli, nessuno di noi (salvo, forse, i "raccomandati", sapevano dove sarebbe stato effettivamente smistato: chi pensava a Mantova finì in Friuli, insomma. E viceversa.


Gianni S.


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Un malato...affatto immaginario...(!)


[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:29]
21/02/2015 09:49
 
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7 - Il giorno più lungo

Ecco, se debbo ricordare una giornata davvero infernale del mio servizio di leva...ebbene, essa coincise con quella del trasferimento dalla Caserma di Ascoli verso NE su un'autentica tradotta ferroviaria che, probabilmente, veniva concordata appositamente con le FS ed aveva meno priorità di transito che un treno di merci non deperibili (!).
Si era verso l'inizio di marzo 1986, agli albori di una primavera piuttosto fredda dunque, e credo ci svegliammo ad un'ora simile alle due di notte allorquando, in una bolgia davvero dantesca, ciascuno dovette riconsegnare una parte del casermaggio e riceverne dell'altra. Pensai immediatamente che si trattasse di una selva di idioti: e disporre la medesima operazione il pomeriggio precedente (??). Comunque, senza quasi esserci lavati, nella semi-oscurità dei lugubri corridoi e cortili raggelati da una brezza disumana, e fra le urla scomposte dei piccoli graduati che cercavano di formare dei gruppi come fossimo state pecore o vacche, si preparò una lunga fila di puzzolenti e scassati CM che ci avrebbero condotti sino alla stazione ferroviaria di S. Benedetto. Giusto per esemplificare i termini di paragone, era tuttavia meno orrifico il puzzo di nafta combusta dei vetusti mezzi, rispetto alle nubi policrome impregnate di chissà quali veleni, che mi avevano tenuto compagnia per circa un mese (:)

Il convoglio, di normale, aveva solo al traino un onesto "636" beige; per il resto, esso era una lunga teoria di carrette diseguali fra cui non ricordo però le famigerate "centoporte" che, a panche interamente ed esclusivamente in legno, sarebbero state davvero troppo per una tratta così temporalmente lunga. Potevano essere le 8 circa (ovvero, ben sei ore dopo la sveglia!) quando il treno si mosse lentamente dalla banchina; in teoria, mi dicevo che, ogni metro percorso...mi avvicinava a casa sebbene, il rischio di deviare poi verso NE era quasi scontato. La sera precedente, per la prima volta non avevamo avuto la libera uscita, dunque non avevo potuto godere manco del piacere della gustosa cena, confortata dal sorriso della bruna ascolana (!). Naturalmente, non si vive di soli sorrisi ed, avendo evitato le "cena" offerta dallo Stato, avevo una fame barbina ed iniziavo cautamente a rovistare nel sacchetto da viaggio che avrebbe costituito l'unico genere di conforto fino a sera. In pratica, vi si trovava un po' la sintesi confezionata di tutto ciò che avevo accuratamente evitato nel mese precedente n caserma; come dire che, per me, eran quasi tutte novità. Fui colpito dalle due scatoline di tonno "Insuperabile", uno dei pochi prodotti non a marchio militare ma il rischio di insozzarmi già appena partito mi fece desistere dall'aggredirle...senza posate, poi (!). Si costeggiava l'intera regione Marche ad una velocità irrisoria, tanto che, quando la strada affiancava per brevi tratti la linea ferrata, anche la più infima delle utilitarie pareva una lepre. Il treno era inoltre sempre fermo, ripeto, cedendo il passo a qualsiasi altro convoglio con tale nome (:) bisogna aggiungere come, i finestrini fossero stati bloccati e, se non aleggiava il lezzo chimico quasi insopportabile di Ascoli, si comprendeva bene come, per lo più, l'uso delle docce, di sapone e deodoranti...nel mese precedente fosse stato certamente molto parco (:)
I più, dormivano coi visi già stravolti, dopo cinque ore di viaggio che ci traghettarono oltre il confine con l'Emilia-Romagna: calcolai approssimativamente come, il TGV avesse viaggiato alla spaventosa media di 40 km/h (!). Di lì in poi, un interminabile pomeriggio servì per raggiungere Ferrara, via Bologna e, nel capoluogo estense, ci si alleggerì di una ventina di "rospi" (su mille...!), più un centinaio a Padova. La sera avanzava ormai spedita e, si arrivò a Mestre col buio pesto per una sosta davvero lunga, quando ormai mancava poco alle 21 (!) Il nostro missile su rotaia, viaggiava da ben tredici ore... (::)
Nella più totale confusione, ci fecero scendere e, sul piazzale antistante la stazione, rantolava disperatamente una fila di camion, non più giovani di quelli ascolani ma, per lo meno, telonati nella parte posteriore. Il freddo era comunque notevole e, questo trasferimento, andava assumendo nella notte, connotati sempre più lugubri, ancorché eterni (:). Verso le ore 23 arrivammo ad una delle caserme di S. Donà di Piave ove avremmo potuto finalmente dormire, dopo giuste 21 ore trascorse dalla sveglia (:). Mi accorsi come, i veicoli residui fossero soltanto tre. Dunque, Mestre doveva essere un punto di biforcazione verso destinazioni differenti. Più che una camerata, pareva un magazzino semibuio; in ogni caso, approntato sommariamente un giaciglio, mi addormentai vestito com'ero e nessuno venne più a disturbarci.


Gianni S.


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Poco meglio che le tradotte per la Russia del'42...;


[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:32]
21/02/2015 17:17
 
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8 - Fontanafredda: i miei tre mesi friulani...

Dopo una notte piuttosto breve, una sveglia con accento veneto ed una colazione che assaggiai per la prima volta da che ero partito da casa, fummo abbastanza rapidamente ancora suddivisi in gruppi verso mete diverse. Il sottoscritto, quasi incredulo, si trovò a salire su un pullman grigio-verde dell'E.I. che aveva persino i sedili. Forse ero riuscito a non perdere nulla e questa rappresentava già una nota consolante mentre la campagna sfilava ad una velocità più decorosa rispetto al giorno precedente. Ora non ricordo esattamente ma credo che, in meno di un'ora, giungemmo a destinazione: una caserma del tutto isolata fra campi di girasole, ad almeno tre chilometri dal paese più vicino, ovvero Fontanafredda. Mi trovavo dunque nel Pordenonese, poco lontano da Sacile, e vi avrei trascorso i successivi tre mesi. Ovvero, sino all'inizio di giugno.

Il termine "punitivo" doveva andare per la maggiore in quell'anno...quasi i militari di leva dovessero scontare già in terra la metà dei loro peccati...ma, insomma...sta di fatto che anche la caserma di Fontanafredda era definita "punitiva" anche se questo aspetto, francamente, non ebbi per nulla modo di coglierlo. Certo, isolata in mezzo ai campi ma, al sottoscritto, la libera uscita non interessava affatto perché anche lì dovevo barattare permessi vari e licenze con la possibilità di essere a Torino ogni venerdì sera per seguirmi il sabato mattino i corsi della Specialità e poi rientrare entro le ore 23 del sabato. Due furono le figure-chiave della mia naja in Friuli: il Comandante ed il Maresciallo aiutante di sanità che vi trovai al mio arrivo. Si trattava di un reparto di artiglieria/contraerea coi baschi neri, in tutto meno di 200 ragazzi, molti dei quali provenienti dal Sud. Dicevo, il Comandante era il Capitano Lunelli, di Trento, il cui fratello era così appassionato di meteorologia da averlo parzialmente contagiato. Niente di meglio come argomento di conversazione per il sottoscritto che, peraltro, si rivolgeva a persona assolutamente ammodo, con la giusta dose di rigore mai sconfinando nel fanatismo. E, soprattutto, il rispetto. Egli, che poteva avere una quarantina d'anni...forse meno, da quel punto di vista non faceva particolare caso che io non avessi le stellette ma era molto contento di avere un medico con sé, anche per un semplice dialogare la sera o quando era libero da esercitazioni.

Il Maresciallo Giacomini era invece una sorta di amabile caricatura...Pover'uomo: erano mesi e mesi che si arrabattava fra garze e aspirine nel suo studiolo in infermeria che non gli parve vero di poter essere sostituito dal sottoscritto. A maggior ragione fu ben lieto che io, per i motivi noti, preferissi restare in caserma anche durante la libera uscita. Anche su indicazione del Comandante, fui dunque alloggiato in una stanzetta decorosa dove prima dormiva lo pseudo-dottore, attigua all'infermeria vera e propria. Avevo i servizi privati, mi comprai un cuscino come si deve ed, in pratica, potevo organizzare (quasi) come volevo le mie giornate. Dico quasi perché, anch'io seguii con l'ambulanza alcune esercitazioni presso Udine e, comunque, mi rendevo disponibile per tutti, non solo nell'orario di ambulatorio. Ovvio come, dovessi riservare anche un po' di disponibilità per me stesso: dunque, ci mancava ancora che mi sorbissi la vaccinazione ad ago condiviso che, prima o poi, toccava a tutti (!). Un bello scarabocchio sul mio libretto sanitario rosso e, la pratica...per circostanze particolari (::) era già stata sbrigata ad Ascoli (!)
I ragazzi presero a volermi bene o, comunque, a trattarmi con un certo cortese rispetto che era proprio opposto al "nonnismo" imperante in quei tempi che, seppi, aveva provocato anche qualche suicidio: proprio nelle caserme del NE!. Ad esempio, il cuoco sapeva che mi piaceva il pesce e lo cucinava (bene) tutte le volte che poteva; i militari, la sera mi invitavano allo spaccio a giocare a calcetto con loro, mi offrivano caffè e frullati energetici...vero che ad Ascoli avevo perduto cinque o sei chili...insomma mi volevano "efficiente e gagliardo".
Anziché con le supposte in tasca come ad Ascoli, qua giravo con le filze di gettoni telefonici impacchettati: già, il telefono...la distanza erano le uniche "spine" in un ambiente che, oggi, potrei definire persino abbastanza confortevole...ovviamente fatte le debite proporzioni col contesto generale.


Gianni S.


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[Modificato da Gianni Sperone 14/03/2015 10:29]
24/02/2015 20:45
 
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9 - Fontanafredda: meglio di Torino...!

Si era ormai alla fine di aprile di una fredda primavera ed un giorno, il capitano mi disse che, indipendentemente da tutto il resto, almeno un turno di guardia doveva farmelo fare. Mi spiegò due cosette, raccomandandosi solo di non addormentarmi per non finire fra le fauci ... magari di un graduato invasato. Dunque, mi feci pure questa guardia che, manco mi andava tanto di salire sulla garitta con quella scaletta erta nel buio (uhm...!!), congelando prima per due ore, poi per altre due dopo un riposo della stessa durata inframmezzato fra i due turni di vedetta. Inoltre, c'era la solita sfacchinata del venerdì pomeriggio da Sacile a Pordenone, poi da Pordenone a Mestre...insomma, la solfa era assai simile a quella di Ascoli ma in Friuli mi trovavo decisamente meglio. Mi ero portato su i miei libri preferiti che tenevo sul comodino, avevo una piccola TV che vibrava tutta e non è che mi fidassi troppo a lasciar accesa per più di mezz'ora, finchè la spensi definitivamente. E' pur vero che, nel frattempo, a Torino avevo cercato di smuovere un po' di acque per "avvicinarmi" ma non avevo osato dir nulla a Lunelli che, viceversa sperava che mi fermassi l'intero anno con lui (:).
Poteva esser fine maggio quando arrivò un telex che disponeva, poniamo entro una settimana, il mio trasferimento alla Caserma Berardi di Pinerolo, luogo necessario per essere successivamente distaccato alla "Monte Grappa" di Torino. La mia gioia era palese ma cercai di controllarla; il cap. Lunelli, da uomo equilibrato quale era, fu contento per me, ma sentì di darmi un consiglio ... un saggio consiglio (!!).

"...Lei, certo, è contento di andare nella sua città...vicino a casa, libera uscita, la ragazza, i familiari ma, mi creda: non è sempre detto che, a far la leva, si stia meglio nella propria città e poi, tenga conto che il Corpo degli Alpini è un po'...ehm...rigido. Decisamente più rigido di qua. Comunque, facciamo una cosa, se vorrà ritornare, io sarò ben contento di accoglierla....". Era un discorso onesto e veritiero, persino con una nota di rincrescimento personale (!). Chi invece quasi divenne paonazzo, ed affatto lieto per me, fu il povero maresciallo Giacomini che, dopo tre mesi di quiete, rivedeva lo spettro di forbici, cerotti e pinzette (!!) profilarsi sempre più incombente.
E venne così il prima agognato giorno del trasferimento che, ora, valutavo tuttavia anche con le osservazioni del Comandante ed iniziavo ad intravedere nubi all'orizzonte occidentale, forse più significative degli apparenti vantaggi. Feci naturalmente il viaggio da solo, su di un treno normale e, potrebbe essere, a mie spese: la tratta era piuttosto lunga e frammentaria; in più avevo ancora una divisa abbastanza pesante che comunque dovevo indossare non essendo in libera uscita od in licenza. A farla breve, nel tardo pomeriggio giunsi a Torino, in attesa della coincidenza per Pinerolo, punto di "snodo" per il cambio di Corpo. La cosa mi pareva assurda ma, per finire a Torino dovevo comunque "transitare" dall'arcigna "Berardi" di Pinerolo, ove vi giunsi a sera. Fortunatamente, il tempo fu così breve fra pratiche da svolgere, fogli, moduli ed incartamenti vari, che ebbi solo il tempo di fiutare un luogo decisamente da evitare; i militari, leva compresa, mi parevano mediamente "fissati" nel loro mondo grigio-verde fatto una finta guerra in una falsa realtà (:) ed anche ... maleodoranti...sotto questo ridicolo cappello piumato che tutto aveva, fuorchè un aspetto belligerante. Evitai i pasti, col conforto di qualche povera cosa consumata allo spaccio e passai due notti in una camerata semi-vuota ove scambiai solo due parole di saluto ma non raccontai proprio a nessuno della mia casuale presenza in quel luogo tetro, ed irto dei peggiori fantasmi che potevano evocarmi le storie di nonnismo che, diffusamente, circolavano.

Il mattino del terzo giorno, mi accompagnò a Torino un sergente che doveva fare delle commissioni a Torino con una AR, la camionetta militare più piccola e veloce, solitamente utilizzata dagli ufficiali, in testa e coda ai convogli. In realta questo gallonato, mi pareva semplicemente trovasse la scusa per prendersi una giornata di libertà nella metropoli, una volta che mi ebbe scaricato alla porta carraia della "Monte Grappa", consegnando una bolla di accompagnamento al cosiddetto ufficiale di picchetto che la presidiava, come fossi un pacco postale o roba del genere.
La Caserma "Monte Grappa", situata nella zona di Torino non lontana dall'ex Stadio Comunale, poi "Olimpico" costituiva un insieme quasi medievale di imponenti quanto decrepiti edifici che attorniavano un vasto cortile porticato ed ospitavano circa 1500 militari, fra reclute e graduati. Alcune compagnie erano, come suol dirsi, operative: ovvero trattavasi di quei gruppi sciagurati che finiscono in Norvegia d'inverno od in Afghanistan d'estate, giusto per dirne una. Solo che oggi, si parla di un lavoro retribuito, con un incentivo-missione tutt'altro che malvagio; al tempo, le reclute erano un po' come mandate al confino...e pure a sfacchinare, in nome della Patria.
A farla breve, venni subito accompagnato in Infermeria che era costituita da una stanza dedicata alle visite e da altre, comunicanti fra di loro, in teoria con funzione di provvisorio ricovero. Ma, quasi nessuno veniva mai ricoverato perchè i letti erano occupati dagli aiutanti di sanità (ASA). Gli ufficiali medici, viceversa, dormivano a casa propria ed erano entrambi di Torino (:)
Tutto era scrostato e fatiscente; i servizi igienici erano numerosi ma mediocri ed esisteva anche una cucinotta da dove, in seguito scoprii, si lanciavano in strada i propri effetti/vestiti quando si "evadeva" con l'ambulanza, prima di recuperarli, è il caso di dire, voltato l'angolo (:).

Gianni S.

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Come ridicoli pennuti...!


[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:40]
25/02/2015 10:49
 
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10 - Torino: sette mesi e mezzo buttati...

Se a Fontanafredda avevo, per così dire, un mio ruolo e dunque vivevo abbastanza bene anche l'idea di passare del tempo, alfine sprecato per la mia progressione di lavoro e tutto il resto, a Torino ebbi, quasi da subito, la sensazione di quanto avesse ragione il Capitano Lunelli. Quasi per contrappunto alle attività spesso frenetiche che interessavano i militari, l'Infermeria rispondeva con una specie di gara a chi faceva di meno: chi dormiva tutto il giorno, chi leggeva fumetti o giornali sportivi, chi contava ore e minuti alla libera uscita. Il tutto accadeva sotto gli occhi un po' pietosi ed un po' adirati degli ufficiali medici che non erano minimamente considerati e finivano col farsi da soli buona parte del non molto lavoro che si presentava. Tuttavia, mentre il sottotenente medico aveva un discreto stipendio, pranzava alla mensa ufficiali e la sera se ne tornava a casa, gli aiutanti di sanità, quasi tutti medici pure loro ma non "stellati"...erano trattati come pezze da piedi (o quasi) e andavano o meno alla mensa dei disperati (le prime due volte non pareva pessima, poi vi rinunciai e cenavo a casa la sera). In più, gli ASA (di cui era parte anche il sottoscritto), stilavano un calendario di reperibilità per cui, su dieci, due restavano sempre di sera per le eventuali emergenze, così come accadeva nei sabati e domeniche. Per nostra fortuna, vi erano due buoni diavoli di siciliani che, salvo qualche cena fuori, non avevano particolare interesse ad uscire di caserma. Così, in pratica tutte le sere (mi pare alle ore 17), ero libero di andarmene a casa con rientro alle ore 23.
Si aveva diritto poi, a tutta una serie graduata di permessi e permessini di poche ore durante il giorno. Questi erano firmati dai due Ufficiali Medici...dunque non bisognava esagerare a farli arrabbiare (:). Inoltre c'era il "24 ore", il "36 ore", il "48 ore" e la licenza ordinaria (una sorta di ferie) che, se ben ricordo, durava cinque giorni.

Diciamo che, i vari permessi e licenze brevi, erano un diritto mensile della recluta, non irrevocabile però ; infatti, certe manchevolezze in comportamenti od atti, potevano comportarne il decadimento.
Ma, prima di un sfilza di mesi sostanzialmente noiosa ed improduttiva, anzi un danno autentico creato dalla strutturazione della leva di allora per l'inserimento nella vita lavorativa vera e propria, debbo ricordare il passaggio più aspro del mio anno da recluta: il classicissimo ed arcinoto "campo", cui venni inviato pochi giorni dopo il mio sbarco a Torino...proprio perchè ero l'ultimo arrivato e, comunque, pareva una sorta di bonus/malus (::) che tutti dovessero sobbarcarsi almeno una volta sotto le armi.
Il "campo" consisteva, per lo più, nel trasferire una modesta aliquota rispetto al contingente totale (poniamo, un'ottantina di reclute) in una zona del tutto disagevole sia come ubicazione che come strutture di ricovero sul luogo, accompagnati per solito da un paio di ufficiali invasati e da un paio di sottufficiali che ne avrebbero fatto assai volentieri a meno. Se questa potrebbe essere una definizione abbastanza esaustiva del termine, gli elementi accessori (ovvero le variabili aggiuntive), consistevano in quanti giorni sarebbe durato il supplizio e quale tipo di esercitazioni si sarebbero effettuate.

Nel mio caso, si era quasi a metà giugno ma la primavera era stata fredda e neve in quota ve n'era ancora parecchia, finii in una delle più desolate valli del Cuneese (la Val Maira) e sarà anche per quello che ancor oggi, le montagne della "Granda" non riscuotono il massimo dei miei consensi (!). Esattamente, trovammo ricovero (è il caso di dirlo!) in una specie di alpeggio mezzo diroccato dove dormivamo (vestiti) su delle brandine cigolanti con le classiche coperte da scuderia. Alcuni chilometri sotto, si trovava lo sperduto borgo di Acceglio che trovai di una mestizia infinita: d'altronde il nome "Maira", attribuito alla vallata, deriva da "magro, povero, scarso di risorse". Attributo assolutamente calzante (::).
Le attività giornaliere costituivano in prevalenza nello spalare neve lungo viottoli ove mai nessuno sarebbe passato prima dell'estate salvo forse i camosci, e poco altro. Il regista di questa buffonata era un certo capitano Serra, che ambiva a diventare elicotterista e si pavoneggiava col suo rasoio portatile ultra-sottile e specchietto annesso. Il suo vice era invece lo stro... che, in questi teatrini d'allora non mancava mai: un certo tenente Cuzzelli che, veramente, era una testa di Cuzz. Lo ricordo nei mesi successivi a Torino, in libera uscita: pareva un ranocchio scoliotico ed ingobbito mentre si guardava d'attorno, quasi impaurito dal traffico e dalla gente. In caserma, viceversa, si sentiva una potenza (::).
Insomma, mangiando schifezze, potendosi lavare meno che sommariamente e dormendo poco, con quel puzzo di giacche e pantaloni sempre indossati, passò quella fetida settimana e mi ritrovai seduto su una più comoda AR, in direzione Torino.

Gianni S.


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Lo sterminato interno della Caserma "Monte Grappa" di Torino;


[Modificato da Gianni Sperone 01/03/2015 18:54]
27/02/2015 08:34
 
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11 - Un'estate alla...parmigiana...(:)

Rientrato in caserma dopo quell'infame "campo" ad Acceglio, entrai rapidamente nella "routine" quotidiana che, salvo poche varianti, consisteva nello stare tutto il giorno nei locali dell'infermeria a far passare il tempo in un qualche modo, aspettando l'ora della libera uscita che, credo, fosse alle 17. Il sottoscritto si era portato una serie di libri di climatologia ed anche dei vecchi appunti che ricopiavo in bella calligrafia. In più, un paio di termometri a sonda, il cui cavo penzolava da due finestre diverse dell'infermeria stessa e iniziava a suscitare più di uno sguardo di perplessità da chi transitava al di sotto.

Forse per l'incedere dell'età, realizzo di aver più chiari nella mente i ricordi di tempi lontani; pertanto, mi è parsa inaspettatamente semplice la rimembranza di eventi di trent'anni or sono mentre, immagino, avrei maggior difficoltà a ricordare il mio menù della cena di ieri (:).
Pertanto, giusto per descrivere la giornata tipo di un ASA 26enne in una caserma torinese, ricordo come (forzatamente) non vi fosse sveglia da parte di nessuno ma, giusto per stare in equilibrio, ci svegliavamo alle 7 circa, naturalmente evitando sia la colazione che l'adunata, cui sopperivamo con un caffè preparato dai due buoni diavoli siculi che, per ironia della sorte, facevano di cognome...l'uno PACE, più basso e smilzo, e l'altro, GUERRA, più corpulento ma bonaccione e conciliante come un dinosauro addomesticato. Verso le 8.30 entravano i due sottotenenti medici, di cui l'uno era sempre trafelato ed ansioso e divenne, una decina di anni fa, vice-sindaco di Torino. Il secondo, viceversa, era stato mio compagno delle elementari ed era più alto ed altezzoso insieme. Pur, globalmente, non essendo certo degli orchi nessuno dei due (!) La mattinata procedeva con qualche visita da sbrigare...pochissime, invero, rispetto ad Ascoli (anche fatte le debite proporzioni numeriche della forza in servizio...) ed era più a rischio per l'eventuale incursione di qualche graduato con idee insane per la testa (:). All'ora di pranzo, i due siculi andavano coraggiosamente in mensa che, onestamente, era meno che modesta ma non schifosa (:) mentre il resto degli ASA viveva, per così dire, con l'aria della libera uscita ( e relativa cena ) di sette-ore più tardi in casa propria oppure in pizzeria. Il pomeriggio, difficilmente accadeva qualcosa degno di nota, ed il sottoscritto lo dedicava alla lettura (quotidiani, libri, libri di climatologia, appunti da ricopiare ecc.), francamente estraniandomi da ogni altro soggetto presente in infermeria. Alle ore 17, si usciva e potevo raggiungere in mezz'oretta d'auto casa mia con doccia, cena, dopocena e poi, il costante tormentone del rientro puntuale: dunque finiva che, preso dall'ansia di fare tardi, alle 21.30 già mi avviavo verso la mia temporanea residenza montegrappina...sebbene in auto impiegassi appena mezz'ora... (:)

Quella lontana estate del 1986, tuttavia, non vide solo il rifiorire in divisa delle mie primissime attività di medico, quanto pure il risorgere della mia già allora smisurata passione per la meteo-climatologia (come vedremo in seguito...). Avevo citato in precedenza come, anch'io alfine fossi riuscito a trovarmi un paio di Santi...non proprio in Paradiso ma...almeno due o tre nuvole di sotto (::). Meglio di niente, comunque...cosìcchè, da artigliere fra i campi di girasole della Bassa Friulana, mi ero tramutato in Alpino nella mia città di residenza, Torino. Di queste figure che, in capo alle squadre sportive militari frequentanti a vario titolo gli ambienti della medicina dello sport (:), mi avevano dato una mano, ricordo un certo Generale Minetti, già anziano allora...ed oggi...chissà se ancora vivente (!?).
Questi era pure appassionato di meteorologia, pur essendo a mio parere un asino in materia, perchè non ne aveva le basi più elementari climato-geografiche. Ad ogni modo, in quel periodo, egli, oltre a scrivere qualche orrido articolino su LA STAMPA, era Direttore del Meteomont torinese, ovvero quel servizio, al tempo di esclusiva pertinenza militare, che forniva indicazioni previsionali del tempo sui vari comparti alpini. In sostanza, giornalmente (salvo i festivi), venivano emessi forse tre bollettini (Alpi Occidentali, Centrali ed Orientali), poi trasmesso via telex alle varie Sedi Operative da Cuneo ed Aosta, fino a Bolzano, Val Pusteria e Tarvisiano. Aree, fra l'altro, in quegli anni ad elevata densità di installazioni e relativi insediamenti militari.
Avendo un giorno di luglio incontrato il Minetti in caserma, scambiammo quattro parole e ne scaturì l'immediata elegante richiesta di favore a sua volta.

In pratica, il sabato mattina, avrei dovuto recarmi al suo posto al Meteomont fin verso le 11-11.30, ovvero dopo aver compilato i famosi tre bollettini su cui mi lasciava carta bianca perchè la mia passione autentica per la meteo-climatologia...ormai la conoscevano sin i muri e, certo, la cosa era giunta sino a lui. Il punto ora critico che mi si presentava era però costituito dal fatto che, in materia di previsioni, ero io l'asinaccio...e non sono progredito di sicuro negli ultimi trent'anni (::). Teniamo in conto inoltre di come, nel 1986, Internet fosse un mondo totalmente sconosciuto.
Come potevo fare?
Anzitutto ero in buoni rapporti col Meteo dell'AP di Aosta ed un poco, pure con le Stazioni AM di Dobbiaco e Tarvisio. Poi, la mia libera uscita "fissa", mi avrebbe consentito il venerdì sera di seguire il buon Caroselli con relative previsioni del tempo (se ben ricordo, poco prima delle 20). Non mi restava che prendere due appunti, confidando che non vi fosse un venerdì di sciopero RAI (!!)
Dunque, dopo aver dormito in infermeria, il sabato mattina andavo con passo deciso (e vestito in borghese) verso la carraia con un pacco di fogli sotto il braccio che fan sempre un certo effetto: "Apri, apri...che devo andare al Meteomont dal generale...!". Così, dopo una ristoratrice colazione al bar, entravo in quell'ufficietto che raggiungevo in auto, facevo qualche telefonata da chi sapevo non mi avrebbe staccato la comunicazione subito (:) ed imbastivo i tre bollettini, poi trasmessi dal vicino ufficio alle varie Compagnie delle Sedi Operative. Non vi furono incidenti mortali, valanghe od eventi catastrofici da lì a Natale, correlati in un qualche modo alle "mie" previsioni.
Vabbè...suppongo che qualche migliaio di reclute, al massimo si sia preso addosso talvolta, degli inaspettati temporaloni (specie al NE), dove io avevo previsto la salomonica " modesta variabilità con sviluppo cumuliforme ad evoluzione diurna "

Il trimestre estivo sarebbe proceduto decisamente bene se, un giorno di fine luglio, il Minetti non m'avesse detto di non sentirsi bene, un malessere strano, sudorazione, pallore, vago dolore gastrico etc etc. Mi pregò pertanto di accompagnarlo all'Istituto di Medicina dello Sport per una visita urgente.
L'elettrocardiogramma glielo feci io e, francamente, non mi accorsi di nulla di significativo. Ad esami successivi più approfonditi ed a seguito della visita cardiologica, gli fu viceversa diagnosticato un brutto infarto di fresca data. Il generale era così spaventato che accomunò soprattutto l'innocente specialista in cardiologia come un "disgraziato che non capiva nulla" mentre, in realtà, l'errore iniziale era stato mio. "Basta...!", mi sibilò pallido come un cadavere..." Andiamo via di qua...che questi mi fanno morire...". Certo, certo...lo blandii. A farla breve, il Minetti aveva ampie conoscenze e si fece ricoverare a Parma, in un vasto complesso ospedaliero alla periferia W cittadina, oltre il medesimo torrente Parma. Tuttavia, volle che io lo accompagnassi e, non solo, che mi fermassi con lui per tutto il tempo del ricovero. Che "puzzava" terribilmente di lungo (:).

Gianni S.

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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:45]
03/03/2015 14:17
 
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12 - A Parma con Herr General: libero...solo in apparenza...!

La dimostrazione inconfutabile di come, anche apparati farraginosi come la Sanità Pubblica od il Servizio di Leva o le procedure presso qualsiasi Ente statale: dai VV.UU. ai Togati...debbano la loro esasperante inerzia ad una pura e semplice negligenza/omissività, si estrae (ad esempio) dal fatto di come, nel breve spazio di un giorno, il Generale Minetti, non solo avesse ottenuto un ricovero quasi immediato c/o la Cardiologia del P.O. di Parma, ma, con analoga lestezza, mi avesse sottratto con una semplice telefonata all'abbraccio montegrappino...per tutto il tempo che fosse da lui ritenuto necessario. Punto.
Già va bene che egli non intendesse occuparmi come schiavo personale... [SM=g27828] ...muratore, factotum, giardiniere od altro (!!). Herr Minetti si accontentava di portarmi con sè a Parma per un compito di elevato impegno intellettivo e corposa durata pro/die. Poichè egli doveva essere stato in prevalenza un generale degli uffici, più che d'assalto, era un omicino mite e schivo che non voleva assolutamente farsi vedere in divisa. L'analogo, ovviamente, valeva per me; in tal modo, preparai a casa un borsone simil-rumeno con un paio di vestiti, alcune camicie, cravatte e poi, Lacoste a volontà con comodi pantaloni estivi...che Parma non è Dobbiaco (::).

Nel contempo, Herr General, delegò qualcuno di prender contatto con una caserma nel centro di Parma, ripiena di lombardi, per il mio pernottamento e, se mi stava bene, anche per i pasti giornalieri. Se il sottoscritto, anzichè quattro soldini in tasca, fosse stato un poco più benestante...avrei potuto tranquillamente prenotarmi un soggiorno in un medio albergo della città emiliana, senza che, assolutamente nessuno, avesse in alcun modo avuto la stura a contestarmi il fatto. Il punto risiedeva nella questione più pratica dei termini: le mie 2000 lirette giornaliere si volatilizzavano totalmente in telefonate alla mia bella (e, che eran mai 40 gettoni al giorno per una o due interurbane....?). Poi, toccava mettere insieme il pranzo con la cena (quanti panini...!) e pure uno/due quotidiani al giorno irrompevano d'imperio nel mio più che modesto "budget". Il lettore potrà obiettare che i pasti avrei potuto farmeli in caserma: ma, se un militare si ritrova a zonzo in jeans e maglietta ed, in caserma, ci va solo a dormire avendone la possibilità autorizzata, scappa letteralmente...dieci minuti dopo la sveglia, ritornandovi (come un misterioso simil-007) giusto entro l'ora della ritirata.
Dunque, la mia mansione delegata consisteva nel presentarmi (a mezzo bus) verso le 9 di mattina al capezzale dell'infartuato, chiedergli le due solite cose di cortese/formale prammatica, conferire dai due ai tre minuti col primo camice bianco che vedevo transitare nei pressi e recarmi infine in piazza del centro per chiamare la "Monte Grappa", fornendo uno scarno bollettino medico che poteva durare fra uno e due minuti. Il che significa che, a sovrastimare il tutto, verso le 10 di mattina io avevo esaurito i miei compiti per tutto il giorno. Certo, con LA STAMPA e LA REPUBBLICA, mi passavo un'oretta e mezza al caffè centrale all'aperto. E va bene. Ma poi? Sino alle ore 22, vi assicuro che non era uno scherzo esser libero...Libero di far che, poi? Di far quadrare la piadina del pranzo con quella della cena; lunghe passeggiate per una città che conosco sin nel minimo anfratto: dal mercato ai negozi di tortellini/reggiano et altro che, nella mia posizione, potevo soltanto guardare.
Pur vero che, dopo una decina di giorni, il Minetti mi disse che, se volevo passarmi due giorni a Torino...mi autorizzava di suo pugno, ovvero a parole perchè, in quell'arco di tempo mi trovavo del tutto svincolato dalla forza in caserma (!)
Ma, insomma, sciropparmi col caldo...quasi 500 km di treno A/R per una doccia e due pasti a casa...mi pareva una scemenza. Dunque vi rinunciai.

Non ho ancora raccontato a chi legge (o leggerà...) che, il viaggio Torino-Parma costituì un'anomalia nel Paese delle anomalie: io, il Minetti a guidar piano piano la propria REGATA 70 berlina e la di lui moglie che, di quando in quando, si voltava all'indietro con un muto sorriso di cui poco comprendevo il significato (::)
Non era certo un'orco il Minetti ma, molto spesso, occhieggiava la spia del carburante con la lancetta che fletteva a sinistra, come si trattasse di una mezza sciagura che aggravava ulteriormente la propria cardiopatia e, pur faticando alla guida continuativa, non fece alcuna sosta nelle aree di servizio perchè...immaginai...che...un "diecimila" avrebbe finito per ridursi in parte o parecchio dai suoi poderi (!)
Per il sottoscritto, a farla breve, rispetto alla situazione ormai acquisita sotto la Mole, Parma era solo un'apparente parentesì di relax. In realtà, è la noia mortale a fiaccare...ben più che un impegno moderato; oltre a ciò, finivo, fra magri pasti e telefonate anche sanitarie alla "Monte Grappa", di spendere oltre 10.000 L al giorno...che, nonostante una richiesta inoltrata un mese dopo, MAI ritornarono nelle mie tasche. A fare il cosiddetto "conto della serva", i circa 22 giorni trascorsi a camminare, mangiucchiare e poco altro a Parma, mi costarono circa 250.000 Lire. Non sarà stata un'enormità ma, ricordate che eravamo nel 1986.
Un sabato venne la mia belle e curiosammo in giro per il mercato; dormimmo insieme in un alberghetto presso la stazione ferroviaria e, naturalmente, essendo io un "corpo estraneo e misterioso" alla caserma ove dormivo, mai nessuno mi appuntò un qualcosa nei giorni successivi. Verso il 20 agosto, dopo una diagnosi e terapia che lo rassicuravano maggiormente, il mite Minetti lasciò l'ospedale e, la di lui signora venne a riprenderci. Guidò lei sino a Torino: quattro ore. Era un pomeriggio di sabato...non sapendo bene che fare, me ne andai a casa, presentandomi alla Monte Grappa il successivo lunedì mattina verso le 10.
Giusto per aumentare l'inerzia della confusione imperante, entrai alla "carraia", e poi in infermeria, in "gessato blu scuro" con cravatta rossa. Un ASA, nel frattempo appena arrivato, si mise sull'attenti salutandomi militarmente...non conoscendomi e pensando fossi chissà chi (:::) "Comodo, comodo...", con altra pacca sulla spalla. Tutto a posto? chiesi in giro..."Beh sì...ma tu...dov'eri?". "In missione, ragazzi....!"

Gianni S.

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Il centro di Parma che mi vide per ore la mattina a leggermi quotidiani che finivano sempre troppo presto...un "ristretto" dopo l'altro. Per farmi compagnia, anche...!



[Modificato da Gianni Sperone 04/03/2015 10:15]
03/03/2015 20:42
 
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13 - Le reclute degli Anni Ottanta: l'olio di un ingranaggio complesso


Ad oltre metà della narrazione della mia esperienza di leva nell'ormai lontanissimo anno 1986, anche per non rendere troppo pedante ai Lettori l'esposizione dei fatti, avevo l'intenzione di esporre alcune considerazioni e valutazioni su ciò che l'organizzazione e la strutturazione del SM mi aveva al tempo palesato. Anche perché, il sottoscritto ha sempre rispettato ed onorato le divise, riponendo in esse la fiducia come garanti dell'ordine e della sicurezza e non vorrei che il mio pensiero venisse travisato dal racconto di, invero, poco onorevoli rappresentanti di questa particolare casta sociale.
Tanto per iniziare, il ruolo di comando nell'ambito dell' Esercito (soprattutto ma, ovviamente, non solo), si acquisisce solamente se in possesso di stellette. Che il sottoscritto non aveva.
Ma...il ruolo di comando è onorevole quando si lavora...e non già quando si gioca in maniera assolutamente inutile alla guerra.
La mansione di reggenza di un reparto militare assume, indubbiamente, un livello di onore e rispetto quando essa sia finalizzata ad azioni reali: ad esempio, di ordine pubblico, di difesa dei confini del Paese e, financo, di azioni di guerra o di reggenza temporanea di un Paese allo sbando politico-sociale.
Ma cosa poteva mai valere un esercito di pezzenti come quello coatto di allora?

Gli uomini, perché possano esser formati ed addestrati ad indossare con onore la divisa del proprio Paese, anzitutto debbono essere incentivati, ben nutriti ed equipaggiati, vivere in ambienti confortevoli e, comunque, considerati con rispetto in funzione delle professionalità di ciascuno.
Che si vorrà mai, viceversa, da disgraziati infagottati in vestiti goffi, scomodi e lerci, nutriti come animali o poco meglio e sotto il comando di graduati, spesso più ignoranti delle stesse reclute?
Da questo punto di vista, già al tempo, mi era parso un apparato tipico di un Paese terzomondista; e, si badi bene, non mi sento di condannare gli ufficiali e sottufficiali in toto: spesso, semplici impiegati statali soggetti ad una sorta di "obediencia debida", giusto per portare a casa uno stipendio nemmeno così lauto.
Inoltre, il vecchio discorso sulla presunta preferenza destrorsa da parte dei graduati, credo vada considerata con molta cautela. Peggio ancora, sarebbe definire "fascisti" di primo acchito, gli uomini in divisa grigio-verde che, per lo più, manco sono al corrente di ciò che fu il glorioso Ventennio e, se ne parlano o ne hanno parlato, ebbene...in larga misura l'han fatto probabilmente con vergognosa ignoranza, sin sporcandone il nome con le asserzioni/concetti in merito proferiti.

D'altra parte, sono fermamente convinto che, la leva obbligatoria, costituisse in quegli anni un ingegnoso e perverso meccanismo che riempiva (in proporzione assai variabile e poco prevedibile) le tasche di molti. A parte i furtarelli dei marescialli, che facevano tranquillamente il pieno alla propria autovettura dalla pompa mezzo scassata, sita giusto nei pressi dell'infermeria, oppure infilavano lestamente in auto una forma di "Reggiano" od un prosciutto...mi spiegarono (ed, in effetti era palese!) come, il grosso introito extra per una serie di graduati, provenisse dalla differenza fra la quota versata dallo Stato per le spese di vitto (allora, 6000 L al dì pro recluta) e la spesa effettiva per dei pasti di qualità molto modesta...per utilizzare un eufemismo (:).
Su questi elementi routinari, per un certo periodo, alla "Monte Grappa" di Torino, si innestò un ulteriore giochino. Che, alfine, stava bene a tutti.
Infatti, improvvisamente, tutti iniziammo a fruire settimanalmente di un insperato quanto graditissimo "36". Il "36" era, per l'appunto una licenza breve di 36 ore che ci consentiva di uscire alle 12 del sabato, per rientrare in caserma entro le 23 della successiva domenica.
Per essere precisi, diciamo che "restava dentro" un'aliquota minima di militari, giusto per i servizi essenziali. Che so...un centinaio di unità, forse...
Se noi consideriamo, due pranzi, due cene ed una colazione, non erogati a 1400 persone ogni settimana, fermo restando il contributo statale...il conto è presto fatto, e non si trattava certo di due lirette (!)
La manna durò comunque quattro o cinque mesi, poi il Comandante venne rimpiazzato da un nuovo generale e vi fu una riduzione (ma non una scomparsa) del "premio" di fine settimana. Tuttavia, la mia vacanza torinese volgeva a quel punto, alla fine...dunque, personalmente, non ne subii alcun effetto negativo...


Gianni S.


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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:49]
03/03/2015 20:47
 
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14 - Cuzzelli: le lacrime di un "eroe"...

Come avevo accennato in occasione del nefasto "campo" di Acceglio, che mi avevano affibbiato pochi giorni dopo il mio sbarco alla "Monte Grappa" di Torino, il tenente Cuzzelli era più che un emerito stron... Quello che, fuori dalle mura militari, pareva un povero disabile, quasi atterrito dal passeggio della gente e sin dal passaggio del traffico...così a disagio che, forse, non sarebbe stato in grado di indicare ad un turista dove fosse la Mole..., con quella testa ovalare e rasata, un po' infossata nelle spalle e gli occhi miopi un po' stralunati che roteavano all'intorno...prima di infilarsi nel proprio vetusto e malandato "Maggiolino", in caserma era un autentico aguzzino. A parte che, mesi prima, mi aveva fatto spalar inutile neve nei boschi con sadico malgarbo, spesse volte l'avevo veduto, addirittura, negare l'accesso all'infermeria a reclute che si erano procurati piccoli tagli od escoriazioni o che, comunque, lamentavano malesseri vari.
Per carità, potevano pure essere eventi mezzo inventati ma, un comportamento simile da un ufficiale (o no, che fosse stato...!), non poteva certo passare liscio al doc...posto ne avesse avuto l'occasione, naturalmente! D'altra parte, la vita militare in un complesso pure molto grande come quello torinese, finisce gradualmente ma inevitabilmente, per trasformare il tutto in una specie di comunità e sagomarne forme, parole ed atti...secondo un ubiquitario sapere di ciascuna cosa... (:).
Dove le alleanze acquisiscono un discreto valore e, prima o poi, i nodi vengono al pettine. Per l'appunto, vuoi incidentalmente, vuoi con l'intenzione specifica...iniziavo ad entrare in contatto per motivi professionali con alcuni capitani di compagnia ed un paio di tenenti colonnelli, con i quali alle volte si conversava di patologie e meteorologia e questi avevano realizzato che, pur non possedendo stelle vere sulla casacca, teoricamente ero quasi un loro pari grado e, come tale, andavo considerato e trattato. In un paio di occasioni fui invitato a pranzo da loro in mensa-ufficiali e, debbo dire, era come trovarsi in un ristorante di discreto livello dove non mancava filetto del Cuneese e ravioli al plin oppure fonduta valdostana e camoscio "in civet" (stracotto nel vino rosso...). Oppure, richiesto per prendere il caffè o l'amaro al loro circolo nel primo pomeriggio, su poltroncine in similpelle e divanetti in vellutino, serviti da militari vestiti come impeccabili camerieri ed ugualmente preparati e professionali ai suddetti.

Ma, ritorniamo al nostro Testa di Cuzzelli (::).
Era un pomeriggio d'estate caldo ed assolato e l'infermeria era praticamente deserta: dei due ufficiali medici, uno era in vacanza e l'altro se ne era uscito per i fatti propri; un paio di ASA cazzeggiavano, un altro guardava la televisione ed un quarto dormiva. Ricoverati, ovviamente...zero...perché nei letti teoricamente assegnati a loro, dormivamo noi (::).
Io stavo immerso nella climatologia del Québec o del Manitoba, non ricordo esattamente, quando il campanello squillò.
Era il Cuzzelli, che si era procurato un modesto taglio sull'avambraccio facendo chissà che cosa: forse voleva dimostrare di riuscire anche ad affilare la lama dei coltelli sulla propria inossidabile cute (?!).
L'esordio fu consueto: senza nemmeno salutarmi, mi disse perentorio: "Mi chiami il dottore!". Naturalmente, nel suo cervello bacato, gli unici due dottori erano i due ufficiali medici! Peccato che, in quella specifica contingenza, non ci fosse né l'uno, né l'altro. "Signor tenente", iniziai con una certa professionale ma rispettosa premura, "se crede...sono un medico anch'io e posso vedere questo problemino subito...! Se no, eh...dovrebbe tornare fra un paio d'ore. Forse. "
Cuzzelli fece una smorfia come avesse veduto un insetto sgradevole ma ignoto e mi bofonchiò: "Si, ma lei mica è un dottore!".
Mentre estraevo con noncuranza il magico Tesserino dell'Ordine di tasca, con la più disinvolta soavità gli spiegai ciò che non sapeva (o non intendeva sapere...!).
Improvvisamente la sua sgradevole voce nasale si addolcì e normalizzò: "Perché non ha fatto la Scuola Ufficiali...? ". Naturalmente non gli dissi che non avrei avuto la minima raccomandazione per entrarvi, ma addussi la questione (vera, peraltro) della distanza da Torino che mi avrebbe pure inficiato il corso di specializzazione.
"Ah, ma lei è anche un medico dello sport. Caspita, non pensavo..." E parlammo un po' delle idoneità sanitarie e dei criteri per erogarle a seconda della singola attività sportiva mentre, ormai rassicurato pienamente, lo facevo accomodare sul lettino dell'ambulatorio.
Non si scusò, naturalmente, ma ci arrivò vicino: "Vede dottore, io non sapevo, non pensavo...". Era in pugno. "Su, su tenente, adesso si rilassi perché è un taglio...un pochino...". La paura iniziava a farlo impallidire: "Un pochino...come...?". " Ma no, no...solo che la sovrapposizione batterica, sa...Beh, cerchiamo di evitare l'infezione. Lei si rilassi...". Era, in verità, poco più che un'abrasione cutanea...davvero nulla... ma questo, il caro Cuzzelli non l'aveva capito (::).

Non che fosse un ambulatorio iper-attrezzato ma...l'occorrente, debbo dire, non mancava. Tuttavia, mica potevo sprecare su questo porco l'alcool che non brucia. Trassi l'alcool old-style, bello rosato e ne impregnai una garza doppia sino a che ne fu zuppa. Dopo, appoggiai con delicatezza la stessa sulla ferita di guerra del nostro eroe, iniziando però una lenta compressione. Dovevo pur fermare l'emorragia, no? Strisce sottili di sudore andavano traversando il volto del nostro sadico tenentino che digrignava letteralmente i denti per non lamentarsi, pure se, un sordo grugnito gli usciva a tratti dalle labbra serrate. "Tranquillo...tanto male...ora risolviamo tutto!", feci io con un sorrisetto di circostanza. Il Cuzzelli, con la mano, mi fece segno che...no...non aveva male.
Naturalmente, la sovrainfezione batterica è un incubo per noi medici (::) dunque, purtroppo per lui, dovetti rimuovere la garza appena rosata di sangue e sostituirla con un'altra, più zuppa d'alcool della prima.
Ovvio come, per bloccare un'emorragia, tocchi operare la compressione del vaso lesionato. E qua...eh...toccava comprimere di nuovo. Con forza e per un lungo, lunghissimo minuto.
Cuzzelli quasi piangeva ma io lo rassicuravo, ricordandogli quanto fosse sempre impegnato ed attivo nel proprio ruolo. "Beh, complimenti, lei onora le stelle che porta...", conclusi beffardo.
Lui mi guardò come un vitello prima d'esser macellato e quasi mi supplicava silenziosamente la fine della seduta.

"...Abbiamo finito...solo che, per la rimarginazione occorre un cerotto ben posizionato...": e gli stampai, direttamente sull'escoriazione, un bel cerotto largo e protettivo.
Lo feci sedere e gli offrii una birra e facemmo pure un mini-brindisi. Una "amichevole" pacca sulla spalla col monito di ritornare il giorno dopo alla stessa ora per la rimozione del tutto. Alla stessa ora...perché non ci sarebbero stati i due tenenti medici (:).
"Grazie dottore" sussurrò l'eroe della Monte Grappa. "Su, su, Cuzzelli... vada tranquillo ". E, per chi il militare l'ha fatto, sa che, solo un pari grado od uno superiore può permettersi di chiamare un ufficiale omettendone il grado (!)
A farla breve, il giorno dopo venne. Con infinita cura (::) gli estirpai il cerotto e stavolta gridò per davvero, mentre due ASA di là se la ridevano. Dopo, però, gli apposi una medicazione "seria" più piccola che avrebbe potuto rimuovere egli stesso in capo a due giorni.
Il Cuzzelli era servito e domato: "Buongiorno dottore, se ha bisogno, venga da me quando vuole!".
Andare da lui era proprio cosa cui non tenevo... però, sarà un caso, nei mesi successivi lo vidi con le reclute (un po') meno stro...Viceversa, quando mi incrociava, mi salutava compìto, chinando lievemente il capo.

Gianni S.


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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:52]
03/03/2015 20:55
 
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15 - Medico e meteorologo (:)

A parte l'incontro sanitario col tenentino schizofrenico, non creda il lettore che il sottoscritto sia mai venuto meno, sin con esagerato puntiglio, alla propria etica professionale. E ciò, dal giorno successivo in cui acquisii l'abilitazione con l'Esame di Stato sino ai nostri giorni ove, per la propria burosaurica strutturazione ed organizzazione, il mio ente di appartenenza ne meriterebbe si e no un quinto (::).
In ogni caso, col lento procedere dell'estate torinese, certamente non potevo far la fine del topo come altri ASA che trascorrevano la massima parte della giornata sbadigliando ed attendendo l'ora della libera uscita. Senza profondervi chissà quale impegno, misi semplicemente le mie nozioni di medicina (allora assai più teoriche che pratiche) a disposizione dell'intorno di esseri che mi circondava. Che avessero tre stelle, la coroncina o la casacca lurida col viso brufoloso...per me era naturalmente la stessa cosa. In tal modo, di sicuro non divenni figura di spicco perchè...su 1500 militari o forse più in movimento continuo fra congedi ed avvicendamenti...il sottoscritto era uno come tanti altri; ciò nondimeno, gli ufficiali (od una parte di essi, per lo meno...) iniziarono col passaparola a realizzare che esisteva in servizio anche un medico non stellato ma nemmeno deficiente (:).
Pertanto, cominciò a crearsi una situazione curiosa...strana direi: un maggiore, qualche capitano ed un paio di colonnelli...più i soliti marescialli e sergenti vabbè...mi chiedevano di esser visitati non in infermeria ma nei loro uffici o locali dedicati. E, l'aspetto più significativo della questione fu che, la maggioranza di essi aveva più problemi psicologici che fisici. Non si sarebbe detto...eppure, un paio almeno, mi confidarono di faticare ad impartire gli ordini alle adunate del mattino nell'immenso cortile interno della stessa caserma. Chi era più ansioso che depresso e chi, più depresso che ansioso, oppure costellati di varie manie, fobie, ossessioni ecc.
Già trent'anni fa, dunque, il male oscuro del vivere era notevolmente diffuso fra la popolazione, e la comunità militare dei graduati, in tal caso ne era campione abbastanza significativo.
Per mia fortuna, non si trattava certo di sindromi cliniche difficili da gestire: già allora mi sentivo abbastanza "in forma" su quel settore ed era, per lo più, sufficiente somministrare delle terapie ansiolitiche mirate. Certo. Ciò vuol dire che ciascun individuo, oltre ad avere una propria storia, reagisce all'assunzione dei farmaci in maniera differente. E, la comprensione di questo assioma, ritengo dovrebbe far parte del bagaglio minimo di ciascun medico che onori tale attribuzione e non l'incentivo economico dei rappresentanti farmaceutici.

Per non tediare troppo il lettore, comunque, questo gruppo di conoscenze che avevo gradualmente imbastito finì per rendermi le giornate meno insulse e la vita di caserma ancor più semplice. Diciamo che, senza con ciò rivestire la parte del gradasso, se ad esempio giravo per i porticati del complesso di edifici in giacca e cravatta, oppure in maglietta e jeans ed andavo a prendermi un caffè al bar, nessuno mi diceva nulla.
Naturalmente, anch'io alcune volte me ne uscii nel retro dell'ambulanza che mi scaricava dietro l'angolo; a quel punto, mi prendevo l'auto e filavo a casa per rientrare la sera prima delle 23. Ma, insomma, non è che approfittassi troppo di questi sotterfugi anche perchè...tutto questo bisogno non lo sentivo.
Diciamo che, il capitano Lunelli di Fontanafredda, nelle linee generali e soprattutto riguardanti i miei primi due mesi da alpino, era stato assolutamente lungimirante...sino a che non avevo potuto scavarmi gradualmente, quelle che definivo le nicchie personali di miglior sopravvivenza, fra cui anche quelle di sopra citate (:)

In un'altra occasione, un tenentino appena arrivato acchiappò tre dell'infermeria fra cui il sottoscritto e si impuntò a farci smontare e rimontare un fucile. Il sottoscritto, ancora un po' manco sapeva da che verso tenerlo fra le mani...altro che smontarlo. Mentre questo sbarbatello, forse venti-ventiduenne, già si accingeva ad inveirmi contro, passava di lì il Maggiore Cappa che quasi lo prese per il bavero, dicendogli che io ero un dottore e non mi trovavo lì per fare quelle ca.....(:).
Beh, i miei ansiolitici iniziavano a dare i primi frutti (!!)
Un'altra volta, credo una domenica sera, un sergente maggiore mi chiese se il giorno successivo mi fossi reso disponibile a non andare in libera uscita e fare il servizio di "ronda" con lui ed un'altra recluta come me. Non avevo nulla in contrario, anzi era un'esperienza che non mi dispiaceva affatto, dunque accettai di buon grado.
Solo che, il giorno dopo verso le 17, quando ci preparammo per uscire, lo stesso sergente mi raccomandò di non usare in nessun caso il manganello, perchè il medesimo era rotto ed incollato alla meglio verso la metà (!!). In effetti, apprezzai anch'io una profonda crepa diagonale che l'avrebbe reso di fatto inservibile.
Ricordo che gironzolammo un po' alla Stazione ferroviaria centrale di Porta Nuova poi, il nostro "capo" ci suggerì di infilarci in un cinema...tanto non si pagava l'ingresso. Ovviamente, il primo era un film porno ed il secondo (perchè uscimmo dopo un'oretta), un più banale film d'azione. Un caffè ed un cognac chiusero la serata in un bar del centro e, per le 24 (in tram), ritornammo in caserma.
Sempre all'inizio dell'estate, trassi dal cassetto, e con un certo vigore, la mia passione per la meteo-climatologia, già a quel tempo affermata da quasi vent'anni. Ma, di questo aspetto, tratterò successivamente.

Gianni S.


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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:56]
04/03/2015 10:45
 
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16 - Un quieto autunno...

Rientrato dunque alla "Monte Grappa" dopo l'insulsa parentesi parmigiana, potevo ulteriormente accrescere quella posizione di discreta benevolenza che, complessivamente, avevo acquisito. Ciò sta a significare che, ad agosto ormai inoltrato, avevo già svolto i 7/12 del mio servizio di leva, essendo pure sopravvissuto all'impatto con le truppe alpine ed al calore dell'estate che (fortunosamente) non fu eccessivo. Ormai, di fatto, uscivo il sabato mattina verso le 7-7.30, anche valutando i momenti di maggior ciclico transito di mezzi e, con libri e fascicoli sottobraccio, dopo una colazione ristoratrice al bar, raggiungevo in auto il Meteomont, situato in un palazzo austero della Torino barocca, nei pressi della Stazione di Porta Susa, ovvero a circa tre chilometri dalla mia temporanea residenza montegrappina.
Progressivamente, andavo sempre maggiormente erodendo, di minuto in minuto, la durata della mia presenza in ufficio, delegato a stilare i già nominati tre bollettini previsionali (validi 48 ore) per i differenti settori alpini. In pratica, dalle tre ore iniziali, giunsi ad un'ora e mezza...si e no...(!). Pertanto, prima delle 11 ero a casa, per una immediata doccia purificatrice e...tutto il resto, sino al dopocena della seguente domenica quando, entro le 23 dovevo rientrare. Ma, per solito, ero già appollaiato in infermeria alle 22, perchè preferivo essere fra i primi a re-insediarmi negli spazi che mi eran stati assegnati...

Ripresi, ovviamente, le mie consulenze mediche agli ufficiali che me le chiedevano, rimediando qualche altro pranzo decente alla loro mensa. Un giorno, il nuovo comandante però (un certo generale Job), si accorse della cosa e rimproverò con asprezza il capitano che sedeva con me. Dunque, di lì in poi, non potei più fruire di quel piccolo "bonus". Per ripianare un poco la situazione, grazie alla questione del sabato al Meteomont, mi capitò di "doverci andare" anche in altri giorni...che so, il martedì od il giovedì. Naturalmente non era vero ma io incedevo spedito verso la carraia e col braccio da lontano, già facevo cenno di alzare la sbarra. A nessuno, naturalmente, dei miei passaggi in settimana...importava qualcosa: l'importante è che fossi carico di fogli, fascicoli e libri (::) Una sola volta, il cosiddetto "ufficiale di picchetto" che, per specifica delega, presidiava l'accesso...mi chiese dove andavo e cos'era tutta 'sta roba che avevo sottobraccio. Cortesemente gli misi in mano una piccola parte di fogli che egli scorse...non capendoci nulla...fra numeri, grafici e testo scritto in svedese (::). Finse di aver compreso il tutto, dando l'ordine di alzare la fatidica sbarra (::)
In tal modo, anzichè pranzare alla mensa ufficiali...divenutami preclusa, "sbranavo" a casa mia; l'insieme era tornato in equilibrio pure se, il pomeriggio, un po' d'ansia sul fatto che qualcuno mi cercasse, di sicuro l'avevo e non saprei alla fine se, nel bilancio...fossero più i vantaggi o gli svantaggi nel compiere queste "fughe" indebite (?!)
Ad inizio settembre, inoltre, usufruii della cosiddetta "licenza ordinaria" che allora equivaleva un po' alla concessione di un breve periodo di ferie. Cinque giorni erano comunque meglio di nulla ed, "attaccati" al sabato e domenica...diventarono sette. Fu l'unica volta...per carità...ma, in quella ghiotta circostanza, chiesi al buon Minetti se poteva sostituirmi quel sabato mattina al Meteomont. In virtù della mia amorevole assistenza a Parma, non mi negò questo favore e consentì, pertanto, al povero doc di starsene una settimana a Ceresole Reale con la sua "bella" (::)

Non ero certamente il più anziano in infermeria, poi c'eran sempre i due tenenti che, più dei mesi, recavano la stella sulle spalline; ciò nonostante, il mio alternare la massima disponibilità ad un cortese atteggiamento di distacco, almeno in quell'ambiente...funzionava.
In sostanza, erano sempre i più deboli/sciocchini/rospi...chiamiamoli un po' come volete, ad esser rimproverati e puniti per qualsiasi mancanza avessero palesato.
Lì, mi accorsi, che non bisognava aver paura di chiedere. Permessi e licenze intendo. Senti (il tenente medico Calgaro, ad esempio), dovrei far questo, quello o quell'altro...avrei bisogno di un giorno, di tre ore, di un "24" o di un "36". In sintesi, mi accorsi che, a parte la già citata "licenza ordinaria" che era conteggiata, registrata e dunque irripetibile...eran tutte storie che ciascun militare non potesse avere più di un "tot" ciascun mese. Vero, in certe compagnie sempre a spasso per i monti o sin in Norvegia, c'erano reclute che stavano anche 40 o 50 giorni senza poter andare a casa. Ma, quelle erano delle sfortunate minoranze. Oppure, ovvio che, il militare di Crotone, Avellino od Udine, certo che mica poteva con un "24" andarsene a casa propria. In fondo, in Friuli anch'io c'ero stato e ad Ascoli, pure !).

Gianni S.

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[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 20:58]
04/03/2015 14:02
 
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17 - Due mesi e mezzo alla fine...!

Anch'io, precocemente, mi adeguai evidentemente alla concezione poggesco-massimina delle ripartizioni del calendario tanto che, sin dal giorno 1.11.1986...immaginai (con una certa dose di fantasia...) che, non solo l'inverno fosse iniziato ma che, soprattutto, fossi all'incirca a -80 (giorni) dal congedo.
Quasi trent'anni fa non lo potevo realizzare ma, proprio l'aver narrato in presa diretta alla pubblica platea dei lettori le vicende personali in ambito di leva per uno spicchio della mia vita durato un anno...mi rende oggi più conscio di quale fosse il naturale decorso verso un "nonnismo responsabile" con lo scorrere dei mesi.
I deficienti, i frustrati od i violenti, esisteranno sempre su questo sciagurato pianeta e non sono manco degni di citazione. Tuttavia, la banale esperienza acquisita in grigio-verde, credo che conduca gradualmente la recluta a degli atteggiamenti, non tanto di attacco al prossimo, quanto di difesa delle più decorose stigmate del decoro personale di giovane uomo.
Se questo può definirsi nonnismo, ebbene divenni nonno pure io da settembre '86 a gennaio '87 ...pure se, questo termine...sinceramente, mi fa un po' sorridere (!)

Le foglie andavano via via accartocciandosi al suolo, riempiendo le sedi tramviarie lungo il fitto reticolo dei viali torinesi ed il freddo penetrava in maniera più incisiva dei nostri giorni, anche nelle strutture militari, riempiendo grandi e piccoli cortili, androni e porticati, di aria progressivamente più rigida. Di fatto, le mie giornate trascorrevano ormai con una cadenza del tutto ripetitiva: gli ufficiali, tutto sommato, erano guariti, la loro mensa mi era stata interdetta, in infermeria regnava il consueto inconcludente fervore e ci toccò, per forza di cose, addirittura effettuarvi il primo ricovero di tutto l'arco di tempo in cui fui presente. In tal modo, l'ultimo ASA arrivato...filò a dormire in camerata, sebbene i due ST medici borbottassero al vento che anche gli altri letti avrebbero dovuto restare per lo più liberi. Tutti noi, seguitammo a giocare proprio su quel "per lo più" anche perché, gli stellati avrebbero sempre potuto esser disturbati a casa la notte. D'altronde, i medici veri, secondo la normativa dell'E.I., erano loro. Punto. Ma, evidentemente, stava benissimo anche a loro la nostra guardia ininterrotta passiva durante le ore notturne. Guardia in infermeria, ovviamente, che...mai fossimo stati in camerata, come avremmo potuto esercitare con scrupolo professionale e secondo il giuramento di Ippocrate (??)
Con un prolungamento d'antenna che finiva col penzolare di fuori, insieme alla sonda del termometro, riuscivo a captare Radio Bayern 3 che, dopo l'ultimo notiziario delle 23, trasmetteva un accurato bollettino meteo, cui seguiva, per la buona notte, l'inno tedesco.
Ed il sottoscritto, proprio non poteva evitare, di mettersi sull'attenti col braccio romanamente teso, sulle note del "Deutschland ueber alles", imitato dapprima per gioco, poi un po' più convinti, anche dai due ASA siculi ed uno di Pavia. L'emiliano di S. Felice sul Panaro, quasi congedante, si limitava ad una smorfia di disgusto...recandosi immancabilmente ai servizi. Beh, la RFT di Kohl era ancora degna del massimo rispetto; od, almeno, la pensavo al tempo così...

In questa narrazione sotto le armi, dimenticavo di ricordare che, l'ormai decorsa estate, vide anche il sottoscritto dinanzi agli esami del I anno di specialità. Mi presentai in divisa col viso contrito ma, nonostante gli immani sforzi per presenziare alle lezioni del sabato (dal CAR di Ascoli a Fontanafredda), avevo studiato poco o nulla e fui promosso al secondo anno col minimo dei voti..
Ormai si era recuperato un laureato in agraria ed io venni immediatamente rimpiazzato al Meteomont od esonerato prontamente, se preferite. (::). Beh, insomma...avevo fatto ciò che potevo. Tutto gratis poi...con quelle 2000 Lire al dì che mi bastavano per andare e tornare in macchina a casa la sera...(!)
L'esser stato cacciato dal Meteomont, alfine si rivelò un ulteriore vantaggio; infatti, al giovedì pomeriggio od al venerdì mattina, chiedevo al ST un "48" che non mi negava anche perché, di gente col mio titolo ormai ce n'era una torma e, nell'ambulatorio, spesso...per così dire, ci sarebbe voluto il vigile (::)
Quatte quatte, giunsero le Festività ed il sottoscritto che, a quasi 27 anni iniziava a non avere più un rapporto idilliaco in casa, compì l'atto generoso di restare lì quasi tutto il tempo. Acquisii in tal modo la gratitudine di tutti i restanti ASA (::) ed io, ero a tre settimane dalla fine.


Gianni S.


Segue...



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Cittadino del mondo...quasi....(!)


[Modificato da Gianni Sperone 12/03/2015 21:03]
05/03/2015 08:32
 
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18 - Fra gran neve, gelo e considerazioni: comunque, è finita...!

La mia rinuncia quasi totale ad acquisire licenze durante le festività natalizie e di fine anno fra 1986 e 1987 non fu soltanto il non voler perseguire dei giorni cui tenevo allora in maniera modesta.
Mi parve anche e soprattutto, una specie di regalo dovuto in effetti alla pazienza di tutti coloro che mi avevano "sopportato" (::) senza mai irridermi od infastidirmi, durante l'intero arco di tempo da giugno in poi. E, naturalmente, mi riferisco soprattutto ai due siculi dell'Agrigentino che, utilizzando la "licenza ordinaria" più due giorni loro concessi per il viaggio, avrebbero dopo mesi...finalmente potuto restarsene un po' tranquilli nella propria casa lontana. Ecco, già lo spedire a Torino una recluta di Agrigento, mostrava lo stato di arretratezza globale in cui versava quello (e non solo) apparato istituzionale italiano. Posso comprendere gli ufficiali di carriera che, qualche "passaggio" fra Alto-Adige e Friuli, prima di rientrare a Torino, se lo sobbarcavano di fisso. Ma, la loro era stata una scelta di lavoro, consci di ciò che tale iter avrebbe comportato (!)

Per ritornare al periodo di fine 1986, rimasi dunque tranquillo in un'infermeria quasi deserta, insieme ad un unico altro ASA di Pavia. Ciò non mi creava problemi significativi: anzichè la cena, con la questione di dover acquisire dati meteo a Caselle od, addirittura, Linate (::), alcuni pranzi me li facevo a casa. Di lavoro medico, sbrigavo il minimo indispensabile la mattina: un'oretta di impegno, non di più. Prima di un caffè che molti mi offrivano al bar dello "spaccio".
Naturalmente, da inizio gennaio, la maggior parte degli ASA mi issò, per così dire, sul piedistallo dell'altruismo per la fruita licenza. Addirittura mi portarono i cannoli siciliani ed altri dolcetti natalizi, mentre altri mi ringraziarono di cuore con sincera riconoscenza.
Intanto, il gelo si faceva più crudo...non per nulla ricordiamo il gennaio 1987 ancor oggi...e, quasi 40 cm di neve ricoprivano per più giorni consecutivi la città, consolidati da schiarite con cui i -10° venivano valicati senza tentennamenti. E giunse il fatidico, agognato momento della partenza: già, perchè io ero costretto a congedarmi alla "Berardi" di Pinerolo, luogo in cui ero piovuto da Fontanafredda, trasformandomi da artigliere in alpino.
A quel punto, un problemino ce l'avevo: la maggior parte dei cenci militari che mi avevano al tempo consegnati, li avevo perduti, gettati, regalati o, comunque, non avevo la pallida idea di dove potessero essere. Ed, a Pinerolo, sarebbero stati, come suol dirsi, dolori (!!).
Tuttavia, si mise in moto la solidarietà degli ASA...più, un paio di sergenti che, in un paio d'ore, mi recuperarono in magazzino la lista completa dell'occorrente: poi, insomma, poco importava se qualche capo non era proprio della mia taglia (:).
Ed i saluti vennero, verso il 18 gennaio, credo di ricordare. Vennero in infermeria anche alcuni ufficiali e sottufficiali che avevo curato mesi prima: il Maggiore Cappa aveva le lacrime agli occhi; gli ASA tutti, mi dissero: "...In gamba, camerata,...vai che è ora anche per te...!" con un mini vassoio di paste acquistato di sorpresa ed un paio di bottiglie di spumante. Una scena davvero commovente che non potrò dimenticare.
Il Maggiore Albertini, uomo di mezza età usualmente piuttosto rigido, mi salutò con una vigorosa stretta di mano: "Ci venga a trovare, se ne avrà voglia....!"
Come inciso, debbo dire che, se in quel momento non ci pensavo affatto, un mattino di un annetto dopo...ci andai per davvero
(!). Non era presente il Cuzzelli, perchè inerpicatosi chissà dove con un manipolo di disgraziati ai suoi ordini ma, di sicuro, mi risparmiai una stretta di mano che quasi mi ripugnava...

Dopo un momento che oserei sin definire bello ed indelebile, mi attendeva ora una breve fase piuttosto onerosa; ovvero, al di là di ogni piccola conquista effettuata in undici mesi e mezzo, la Caserma di Pinerolo non faceva sconti: avrei dovuto recarmi là in divisa, con zaini e biglietto ferroviario all-inclusive, senza deroghe entro le ore 18 del, credo di ricordare, 20 gennaio. Va già bene che, quei fetidi alpini esaltati non mi traducessero nel covo berardiano su di un CM all'aria aperta perchè, con il gelo di quei giorni...c'era davvero da restarci secco (!)
Dunque, all'esterno in divisa, come forse mai ero dovuto star prima, carico come un mulo...mi issai sul trenino della linea Torino-Pinerolo-Torre Pellice che procedeva lentamente e silenzioso fra autentici banchi nevosi ai lati della sede ferroviaria. Il tutto era come ovattato nel buio che incedeva rapido e, giusto a Pinerolo, la linea si fermava perchè, i 7-8 km successivi erano addirittura bloccati da cumuli nevosi inamovibili in breve tempo. Mi ritrovai ormai a sera sul piazzale antistante la stazione della stessa Pinerolo ove, a soli 375 m/slm., riuscii a misurare un metro tondo di neve al suolo. In centro, i mucchi cumulati si susseguivano come bianche gibbosità, alte quasi come il primo piano delle case.
Arrancando per oltre un chilometro e mezzo sui marciapiedi gelati, mi presentai stanco e persino un poco impaurito alla porta carraia della famigerata Caserma "Berardi". Nessuno sapeva nulla ed il sottoscritto, prudentemente saltò la cena per rifugiarsi, sotto l'indicazione di un sergente, in un posto libero entro una squallida camerata. Il giorno successivo, 21 gennaio direi, evitai adunata, colazione e tutte 'ste bal.., infilandomi fra un corridoio e l'altro per cercare di istruire i tratti finali della mia pratica di leva coatta. Trattato come un mendicante da sudici caporalmaggiori, alfine rintracciai il capitano di compagnia (una delle tante) che realizzò la mia fine-servizio, impostandone la procedura amministrativa. Mi concessero la libera uscita verso le 18, o meglio...uscii dalla carraia insieme alla massa, con un ultimo magro pasto in una bettola locale. Ultima sera, ultima notte!

E, mi ero giusto addormentato quando, una vera testa di Cuzz...pinerolese, stavolta...mi svegliò per chiedermi se volevo far la foto di gruppo in cortile con gli altri congedanti. Figuriamoci un po' (!); con un grugnito mi voltai dall'altra parte ma, verso le 4, ero già sveglio ed allerta. Pronto per evacuare definitivamente.
A quel punto, dopo le 8, apposi ancora un po' di firme qua e là perchè i cenci militari li avevo già riconsegnati la sera prima, sebbene ciò non fosse molto in regola con la norma.
L'ultimo passo fu un colloquio con un Maggiore, uomo di poche ma misurate parole, che mi strinse la mano dicendomi: "Bene, ora inizia la naja della vita!".
Ero libero, era finita!
In capo ad un'oretta risalii sul lento convoglio che mi riportava a Torino. Ed, il mattino dopo, all'apertura degli uffici, ero già in una sede comunale per farmi apporre un certo qual timbro sul retro del cosiddetto "Congedo Illimitato".
Un'esperienza di vita? In parte potrei anche ammetterlo, ma il danno al mio incedere lavorativo, interrotto brutalmente appena divenuto medico, lo reputavo assai grande. E lo era stato! Dall'Italia ero dunque già in credito eppure, ne onoravo ancora il Tricolore (:)
Oggi, posso solamente onorare il glorioso Ventennio, sepolto fra le pagine polverose del grande libro della storia...Ma questa, è altra questione...
Ringrazio i lettori per l'attenzione...se mai qualcuno, avrà avuto la costanza di giungere a queste righe conclusive (::)

Gianni S.

*********

Benito è morto. Ma lotta insieme a noi.


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Come limpida acqua di fonte...



[Modificato da Gianni Sperone 20/03/2015 10:37]
12/03/2015 21:05
 
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The end..

THE END!


Gianni S.


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