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ROVI di Liberto Savoca e Francesca Rizzato

Ultimo Aggiornamento: 07/06/2013 00:07
29/05/2013 21:53
 
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Rovi è un cortometraggio che si può definire un perfetto esercizio di stile. C’è una fotografia d’atmosfera, inquadrature artistiche, tentativo di originalità nel punto di vista, regia disinvolta, cesure narrative, ritmo sincopato. Tutto sembra funzionare bene, e ad una prima occhiata sembra di essere davanti a un’opera matura, consapevole e coinvolgente. Ma ahimè, come spesso accade con gli “esercizi di stile”, anche in questo caso ci si accorge ben presto che si è badato più alla forma che al contenuto.

Premessa necessaria: cari autori, qui non siamo a Masterchef, dove i concorrenti vengono maltrattati senza che ce ne sia il bisogno. Io ho il massimo rispetto per chi decide di assecondare una passione e mettersi alla prova, ed ho apprezzato il vostro sforzo creativo. Se quindi nelle righe successive mi vedrete andare a cercare il pelo nell’uovo sappiate che non lo sto facendo per assalirvi, o per farmi bello; quanto per cercare di trarre un frutto dal vostro lavoro sia nel bene che nel male, cercando di dare indicazioni utili a voi e ad altri.

Iniziamo.

Ammetto di aver rivisto il corto più volte, per cercare di capirne il senso, ma non sono sicuro di esserci riuscito. Questo può essere per colpa mia (e in questo caso sarei lieto – pubblicamente o privatamente – di conoscere l’eventuale versione “corretta” dei fatti che gli autori vorranno – se vorranno - comunicarmi), ma alcune cose mi hanno lasciato perplesso. Non ho capito, in particolare, se l’ermetismo di questa breve opera (comunque gradevole, promettente per il futuro) sia frutto di un’errata via di comunicazione da parte di regista e sceneggiatore, se sia frutto di una scelta consapevole o di semplice assenza di significato. Troppo pochi sono infatti gli elementi ai quali appoggiarsi per tentare un’interpretazione del testo, e al contrario troppi sono gli elementi prettamente scenografici, i quali praticamente riempiono tutta la vicenda e invece di essere al servizio della storia la fanno precipitare in secondo piano.
Mi spiego con una metafora: immaginate di vedere un quadro semplice, chiaro e sensato come la Gioconda…e poi di guardarlo attraverso una spessa lente deformante di color verde pisello… stiamo ancora guardando lo stesso quadro? E riusciamo a vederlo ancora per quello che è e per quello che significa? Il tentativo di aggiungere livelli e inquadrature simboliche e colori e deformazioni ha giovato al quadro o è solo riuscito a renderlo più nebuloso? Ecco: in questo corto mi pare sia successo più o meno questo: tanto stile ma non altrettanta riflessione.

Riassumiamo la trama: un ragazzo e una ragazza sono nascosti in un bosco, cacciati da un misterioso figuro (mentre una misteriosa mano maschile raccoglie da terra un coltello). La ragazza viene aiutata dal ragazzo a nascondersi, ma la mano armata di coltello la guarda da lontano. Poi lei viene raggiunta e scoperta dal misterioso figuro, che però anziché assalirla si da alla fuga, con lei che lo rincorre: scopriamo che la caccia era in realtà una partita a nascondino e lei è stata appena “tanata”. Parte a questo punto la sigla di chiusura, ma c’è un epilogo: si vede lei che conta e che inizia la caccia, vediamo il ragazzo che l’aveva aiutata ancora nascosto…e una mano femminile armata di coltello che di colpo emerge da dietro le sue spalle. Fine.

Ok. Analisi.

Il corto è tutto virato in azzurro-verde. E’ qualcosa di più di una scelta stilistica? Beh, il verde, il gelido bosco, l’ombra degli alberi… direi che funziona, e la regia è ben fatta. Eppure questo filtro così pesante mi sembra molto artificioso, molto “esercizio di stile”, anche per il fatto che rimane tale per tutto il corto - anche quando il registro narrativo sembra diventare ironico- confondendo chi guarda. Stesso discorso anche per le inquadrature a livello dei piedi dei protagonisti, o con la telecamera che si sofferma su un rametto o una fogliolina mentre l’azione si svolge fuori campo: da una parte molto interessanti… la tecnica NON è brutta, anzi: è una valida alternativa per comunicare l’impressione della corsa, della caccia, limitandosi alle espressioni dei personaggi. E l’occhieggiare della cinepresa dietro le frasche suggerisce un senso di angoscia e di oppressione. Ma alla lunga rimane anche qui il sospetto del manierismo, della mera scelta stilistica; la storia è messa in secondo piano e il messaggio che viene dato è ambivalente: a volte si ha impressione di partecipazione e pathos, in altre – quando la camera indugia troppo sui particolari – di distacco. Poteva forse funzionare bene come introduzione, ma quando la storia è ormai partita, e soprattutto quando il ritmo narrativo accelera, forse bisognava abbandonarla per concentrarsi sui personaggi (anche perché ormai siamo DENTRO l’azione, non c’è più bisogno di distacco, suggestione, angoscia o di lasciare elementi fuori dall’inquadratura per creare mistero!). Cmq, ripeto, perlomeno è un approccio originale.

La trama: procede per “inganni”, a quanto pare. Musica, inquadrature, espressioni dei personaggi e filtro colore ci dicono che siamo sul luogo di un dramma. Scopriremo poi che non è così (o forse si? Ci tornerò dopo)…ma se siamo davvero in una “commedia” il modo a cui arriviamo a questa scoperta non è propriamente corretto: gli elementi tecnici sono quelli di una tragedia, mentre un regista capace dovrebbe portarci allo stesso inganno SENZA usare un taglio narrativo palesemente falsato. Dovrebbe farci vedere i personaggi che si divertono e intanto farci credere che sono morti di paura!
Tanto per fare un esempio, riuscì bene in questa operazione M.Night Shamalayan - o come si chiama, il regista de “Il Sesto Senso”, che per tutto il film ci fa vedere uno spettro senza che noi ce ne rendiamo conto, e senza cambiare una virgola (o quasi, ovviamente) delle sue apparizioni, contando solo sulle nostre false impressioni e tacendo solo un elemento. SE MNS ci avesse fatto vedere un uomo che parla con la gente per poi dirci alla fine “eh no, era solo uno spettro, quando parlava con le persone in realtà era lui che si immaginava i dialoghi!” allora era meglio farsi ridare i soldi del biglietto
Questo corto invece mi pare provi a fare l’opposto: “giriamo una commedia come fosse una tragedia, e poi riveliamo che era una commedia!” Eh, si può fare, nessuno vi picchierà per questo, ma è troppo facile! (qualcuno a volte lo fa, ma spesso per ricercare un effetto ironico, non serioso!)

Certo, c’è da segnalare una cosa, e cioè che il finale sembra tornare sulla Tragedia, suggerendo forse che la Commedia non c’è mai stata…ma sinceramente a questo punto le cose diventano troppo complicate per riuscire a capire quello che sta succedendo veramente. Andiamo avanti.

La ragazza sfugge, e l’altro giocatore di nascondino la aiuta a nascondersi. Una mano misteriosa raccoglie il coltello. Ora le domande sono: 1.come mai il coltello stava piantato a terra? Chi ce lo ha messo? Stiamo forse giocando una sorta di “nascondino roulette russa” in cui chi caccia ha facoltà di uccidere i concorrenti? (non è una brutta idea: nascondino omicida o suicida) Ma nulla sull’origine del coltello ci viene spiegata. 2.Quando c’è la scena in cui la ragazza passa in secondo piano e davanti a noi sta la mano che regge il coltello con aria minacciosa…come mai la persona armata – che chiaramente è di fronte alla ragazza – non la insegue o le dice “tana!” visto che quello è l’obiettivo del gioco, ma la lascia sfilare via? 3. Se la persona che ha raccolto il coltello è il “cacciatore”, com’è che quando lo vediamo apparire davanti alla ragazza, nel momento in cui le dice “trovata” in mano non ha niente? Non ha raccolto lui il coltello? Lo ha messo in tasca? E se non lo usa, allora il coltello che ruolo ha in questo nascondino?

Questione “coltello”: nei primi minuti, una mano raccoglie da terra l’arma. Dalle scarpe e dalla mano si intuisce che si tratta di un uomo, e tutto ci farebbe pensare che si tratti del “cacciatore” che scopre il nascondiglio della ragazza. Alla fine poi, quando lo stesso coltello sbuca da dietro l’albero oltre il quale si nasconde il terzo personaggio, esso è impugnato da mano femminile…il che sembra suggerire che ora sia la tipa di prima ad averlo raccolto, visto che ora “sta sotto lei”. Sembra anche che stia per uccidere il ragazzo, e allora mi chiedo: se lo scopo del nascondino è uccidere, perché allora il ragazzo di prima non ha ucciso la ragazza? E perché dopo aver fatto tana a lei non è andato a caccia del secondo ragazzo, come dicono le regole del gioco? Forse Ragazza e Cacciatore sono alleati? Forse il Cacciatore può uccidere i concorrenti solo se questi non si accorgono di lui? O forse lei è pazza e ha deciso di uccidere il terzo tizio? Oppure c’è una quarta persona che li ha spiati per tutto questo tempo e ora vuole farli fuori? (ma se c’è una quarta persona come mai la mano prima sembra maschile e poi sembra femminile?). E ancora: se colui che viene “tanato” diventa l’assassino, che convenienza hanno i Cacciatori a fare tana alle Prede, ben sapendo che nel turno successivo saranno loro ad essere inseguiti e forse uccisi? Alla fine, l’unica ipotesi plausibile è quella di una quarta persona in gioco, ma niente di quello che vediamo durante il corto ci aiuta a decidere, e il ruolo del coltello in tutto ciò rimane dunque indecifrabile.

In conclusione, il mio giudizio è incerto. Lo stile è buono, a tratti intressante, ma mi sembra troppo di maniera e non meditato per essere davvero convincente; e la trama ha troppi “non detti”. Ci sono degli stacchi netti nel montaggio (ragazzo suggerisce a lei dove nascondersiSTACCOragazzo spia il cacciatore da dietro l’albero!) e in generale un senso di incomprensione che mi ha lasciato perplesso. Più di tutto vorrei sapere il senso della storia, per capire se le scene che ho visto facevano parte di un progetto ben congegnato. I casi sono due: o una parte della trama è “rimasta nella sceneggiatura”, cioè sulla carta, ed è stata tradotta in scene che per chi conosce la storia – cioè regista e sceneggiatore – sono chiarissime, mentre sono incomprensibili per chi guarda perché non sono state spiegato abbastanza…oppure davvero la storia è stata messa insieme per “accumulo di scene”, senza però pensare se queste avessero una coerenza.

Questo sospetto me lo da anche l’uso della sigla a metà del corto: quanti film usano trucchi del genere sul finale? Il problema è che qui la sigla arriva troppo presto, è troppo lunga (avverto gli autori che sicuramente ci sarà qualcuno che di certo avrà terminato la visione del corto proprio sui titoli di coda), e il secondo colpo di scena non chiarisce nulla. Suggerisce solo questa scelta sia stata fatta “perché è una bella idea”. Ma non bastano le belle idee per mettere in piedi una storia.

La terza ipotesi è che io non ci abbia capito un cavolo. Anche questa plausibile, visto che gli anni passano e io mi rimbecillisco.

Un saluto comunque agli autori: tre minuti di corto sono troppo pochi per capire il vostro talento, che comunque mi pare di intravedere. La vostra passione è genuina, certe cose viste mi fanno ben sperare, tecnicamente siete già avanti, vi do dunque la mia fiducia e spero di rivedervi presto con una prova più significativa.

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