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MILANO
Una volta che Nino Rota era ospite nel nostro palco all'Opera, mi pare dessero «Il lago dei cigni», lo sentimmo sospirare tra sé prima di addormentarsi beatamente (come sempre faceva): «Ma come si farà a scrivere della musica così famosa?» Ecco: come si farà a mettere insieme un musical dal successo immancabile come «Tutti insieme appassionatamente»? Quando vivevo a Edimburgo, doveva essere il 1965, la produzione del film festeggiò il fatto che il numero dei biglietti venduti nella città aveva superato quello degli abitanti. Questo non voleva dire che proprio tutti lo avessero visto, se qualcuno non aveva mangiato il pollo c'era chi ne aveva mangiati due. Per esempio, fu intervistata una ragazza, segretaria d'ufficio, che era andata nel cinema dove lo davano ogni sabato pomeriggio per trentasei settimane. Tergiverso perché non ho molto da dire sul nuovo allestimento italiano del lavoro, se non che mi sembra perfettamente adeguato e quindi votato a rinnovare i fasti della pièce messa insieme dai mitici Rodgers e Hammerstein (musiche e parole delle canzoni) più Lindsay e Crouse (testo). La situazione, tratta pare da una storia vera, la conoscono tutti, quella della radiosa novizia di convento, siamo nell'Austria cattolica, che doma i sette figlioletti di un barone vedovo insegnando loro il canto, e quindi fa breccia nel cuore di quel rigido ex comandante di marina militare. Non manca un risvolto drammatico, quando dopo le nozze, ed essendosi verificata l'Anschluss, la famigliola fugge a piedi in Svizzera per sottrarsi al regime nazista. L'occasione è la sua esibizione canora al Festival di Salisburgo (non quello dedicato a Mozart): talmente canonica che nello slang della borsa londinese si chiama ancora «concerto» una operazione diversiva, fatta per gettare fumo negli occhi in vista di un'altra molto più importante. Lo spettacolo al Teatro della Luna di Assago (Milano), diretto da Saverio Marconi, anche adattatore della traduzione di Michele Renzullo, è, dicevo, impeccabile, a partire dalle piacevoli, luminose scenografie di Lucia Goj, un panorama di prati e vette innevate come sfondo di tre o quattro ambienti fondamentali che si alternano con agilità, convento, salone, camera da letto di Maria, ingresso della villa. Qui, nei non meno piacevoli costumi di Chiara Donato, agiscono in congruo numero monache, invitati a un ballo e militi del Terzo Reich. Le musiche immagino siano ancora nell'orecchio di molti («Edelweiss...!»), e ormai non ci sorprende sentirle cantate dal vivo ma su base registrata, gli orchestrali non si usano più, nemmeno in queste superproduzioni. Il peso maggiore della serata, l'ingrediente senza il quale la torta non lieviterebbe, è comunque costituito - atipicamente in un musical, specie in Italia - dai sette pargoli; e qui Marconi ha avuto la mano felice per non dire prodigiosa. I tre più grandicelli, che si chiamano Arianna Sala, Paolo Fabris e Laura Bagnato, saranno sempre gli stessi, mentre nelle parti degli altri quattro se ne alterneranno ben dodici: se tutti dimostreranno la disciplina, la grazia senza smancerie, la simpatia e la musicalità dei prescelti per il debutto, il trionfo - decollato nell'occasione dal numero con tutti e sette più l'istitutrice a compiere evoluzioni in bicicletta - è garantito, anche se non so se ci sarà un'altra Gretl irresistibilmente piccola come quella di ieri sera. Tra coloro che si battono per non essere sopraffatti dai vittoriosi fanciulli si difende Luca Ward, anche puntando su una vaga somiglianza con l'archetipo Christopher Plummer, e piace Christine Grimandi come la Madre Superiora. Dal canto suo l'attesa Michelle Hunziker è straordinariamente carina, una olandesina da libro illustrato, si muove con energia e grande eleganza, parla con disinvoltura, sorride abbacinantemente, è anche discretamente intonata; avesse una voce all'altezza del resto, sarebbe un portento della natura e probabilmente passeremmo dall'ammirazione al fastidio; e poi ci sono i microfoni, no? Grandi applausi, si replica fino al 28 febbraio.
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