Medieval 2 Total War
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Royaume d'Outremer

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2011 20:39
30/07/2010 16:24
 
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Bene, queste sono le ultime parti della campagna. Ringrazio tutti quelli che si sono presi la briga di leggerla e spero si stata apprezzata.
Buone vacanze a tutti! [SM=x1140506] le userò per sistemare al meglio il resonconto della campagna seguente.


Fase VII – Nuova linfa alla jihad (1265-1276)

Nel 1260 viene siglata una tregua con i Mori e ogni fronte pare in pace. Le uniche operazioni avvengono nel lontano Occidente, sulle sponde del Tirreno (vd. cap. seg.) e ogni attività è volta a assumere l’assoluto controllo sulle regioni recentemente conquistate. A Medina e Urfa vengono edificate grandiose cattedrali, Mardin assume il ruolo di fortezza-chiave fino ad allora detenuto da Homs, il commercio si espande ulteriormente e il tesoro reale arriva a toccare la fantascientifica cifra di 1.982.000 fiorini d’oro. Ma la jihad non si è ancora spenta e, seppur timidamente, qualche imam continua a chiamare alla guerra santa. Nel 1265, quando ormai il fervore zenghide è ai minimi storici, i selgiuchidi rompono gli indugi e scendono ufficialmente in campo, inviando un’armata da Amasya. L’Outremer prende la cosa con una notevole dose di spavalderia – cosa vogliono questi predoni anatolici, confrontarsi davvero con la potenza crociata? – e così facendo rischia: lo scontro, che avviene a sud di Urfa, è sì una vittoria, ma decisamente più sanguinosa di quanto preventivato, con molti nobili cavalieri caduti sul campo e il generale franco fra le vittime. La battaglia dimostra che, tutto sommato, i crociati non sono invincibili e i siriani rialzano ancora una volta la testa, allestendo una nuova armata.
Ma, soprattutto, nel 1267 una gigantesca spedizione mongola arriva da Oriente, comparendo in modo del tutto imprevisto sotto le mura di Baghdad. L’antica sede califfale è poco protetta e il più vicino esercito è l’armata di Mardin, che si sta riprendendo dopo aver sconfitto i turchi a Urfa. L’altra grande forza della regione, l’armata ospitaliera, è in marcia per Antiochia, da dove si intende mandarla via mare ad Attaleia, per strappare ai turchi la loro ultima base meridionale e punirli per aver partecipato alla jihad. Pur avendo assoluta libertà e scarsa opposizione, i comandanti mongoli dirigono le proprie orde senza indugio a nord, attraverso il Kurdistan e l’Azerbajan: il motivo di un simile colpo di fortuna, capitale per il mantenimento della regione in mano gerosolimitana, è da ricercarsi nella lunga guerra che vede opposti i mongoli ai russi di Vladimir-Suzdal, attualmente in vantaggio; gli eserciti servono al nord e lì si dirigono.
Ma, probabilmente dietro le pressioni dei diplomatici siriani e turchi, i mongoli accettano di distaccare l’armata al comando del sanguinario Jebe per sobbarcarsi l’onere della jihad.
La notizia non scuote più di tanto gli ambienti della corte gerosolimitana ma, memori della difficile vittoria di Urfa, questa volta il nemico viene affrontato con il dovuto rispetto. Ancora una volta i Templari lasciano le possenti mura di Gerusalemme e marciano nel deserto verso la battaglia. E, in modo forse un poco monotono, il Gran Maestro può mandare, come Giulio Cesare, al proprio sovrano un laconico messaggio: “veni, vidi, vici”.
Con il crollo della jihad mongola e la morte di Jebe si chiude ufficialmente la nuova ondata di attacchi. I turchi, battuti e sconfitti, assistono impotenti al loro sultano che, imprigionato ad Attaleia, soccombe sotto i feroci assalti degli inarrestabili Ospitalieri: un trattato di pace viene siglato nel 1278 e relega la potenza selgiuchide alle sponde meridionali del mar Nero. I Mongoli, dopo aver sprecato parte dei soccorsi necessari al nord, vengono sconfitti definitivamente dalla Rus di Vladimir-Suzdal e il loro nome, un tempo temuto, si perde nelle pieghe del tempo. Peggio di tutti va a quel che rimane della dinastia zenghide. Sconfitta a sud, senza più alcun controllo su nessun territorio né di Aleppo né di Mosul, a malapena in gradi di difendere le rocche di Ani e Ankara e le città di Malatya e Sivas, con rivolte indipendentiste in atto tanto in Azerbaijan quanto in Georgia, schiacciata dai Bizantini a Konya, la Siria si vede costretta ad un passo quanto mai umiliante: nel 1276 il sultano zenghide riceve in Ankara una delegazione gerosolimitana guidata dalla principessa Perronette. L’Atabeg sfoggia vesti dorate e una corte in pompa magna, mentre gli emissari franchi sono abbigliati con sobria ricchezza; ma tutti sanno chi è il vincitore e chi il vinto. Dopo lunghe discussioni il sultano appone assieme a Perronette la sua firma sul nuovo trattato: con esso l’Outremer si impegna a sedare la rivolta di Tabriz e a riconsegnare la città ai legittimi signori; inoltre assicura assistenza e protezione militare all’atabeg. Che, dal canto suo, compie formale giuramento di vassallaggio al rex latinorum. Cento anni prima le armate di Siria marciavano fiere e sicure sulla spaventata Gerusalemme; ora il sultano si umilia fino al punto di rinunciare alla propria sovranità pur di sopravvivere. Il trionfo dell’Outremer è assoluto.

Fase VIII – Il favoloso Occidente

Anno 1247. La pace regna ai confini settentrionali e, benché circolino voci a riguardo, non vi sono nuove jihad in vista. A Gerusalemme re Sasset I riceve l’ambasciatore d’Italia, rientrato dopo una vita spesa a blandire Sua Santità. Si apprende che la situazione italica è quanto mai spezzettata, con il comune di Milano e la repubblica di Venezia ai ferri corti nel settentrione, il regno normanno alle prese con i Mori e la fiera repubblica pisana ancora indipendente. Inoltre la Sardegna non è unita sotto un unico signore: il meridione è controllato dai normanni, la parte settentrionale mantiene una propria indipendenza e le sue milizie sono arroccate nel castello di Alghero. Desideroso di avere una base per meglio gestire la propria influenza a Roma, il rex latinorum ordina l’approntamento di una spedizione per occupare Alghero. Le truppe vengono radunate a Dumyat e una flotta, allestita nei vari porti del regno, si ammassa nel porto. I preparativi vengono completati nel tardo 1249 e la partenza posticipata alla primavera seguente. Lo scoppio della guerra con l’islam non ferma la spedizione, che lascia Dumyat ai primi di marzo del 1250. La via è resa insidiosa dai pirati e soprattutto dalle flotte moresche, che pattugliano attivamente le acque mediterranee; la flotta dunque si vede costretta a fare una lunga sosta a Barqah e a ripartire dopo mesi, quando la notizia di una grande vittoria navale normanna sgombra momentaneamente il passaggio. Solo nella tarda estate del 1251 la spedizione arriva ad Alghero e può assaltare la rocca. Le milizie locali, mal equipaggiate e demoralizzate, oppongono una debole resistenza e lo scontro si risolve con una facile vittoria. Tuttavia la fortissima presenza moresca nel sud dell’isola preoccupa non poco il neogovernatore: i trattati con il regno normanno vengono rinsaldati e i franchi, pur impossibilitati a portare concreto aiuto militare presso Cagliari, si sobbarcano l’onere di eliminare il feroce Tutush, che comanda le forze moresche. In una notte oscura, mentre il sovrano normanno in persona sbarca a oriente di Cagliari con un esercito di soccorso, la fredda lama dell’assassino spegne brutalmente la vita di Tutush. I Mori, scossi dall’assassinio del proprio comandante, vengono pesantemente sconfitti e la loro presenza sull’isola drasticamente ridotta.
Con le mani decisamente più libere – e consapevole che in patria tutto va per il meglio – i gerosolimitani iniziano i lavori di fortificazione di Alghero e la preparazione della prossima mossa: la sottomissione di Pisa e l’acquisizione di una base territoriale sulla penisola italiana, a strettissimo contatto con la Santa Sede di Roma. La piccola repubblica toscana è estremamente fiera della propria libertà e l’ha sempre difesa con orgoglio e determinazione; le sue milizie sono fortemente addestrate e motivate, i suoi capitani decisi a tutto. Tuttavia la prima penetrazione gerosolimitana in territorio toscano non è di carattere militare, bensì religioso: Sua Santità non sopporta più la diffusa tolleranza all’eresia dei pisani e, essendo tanto i milanesi quanto i veneziani dei pessimi credenti, il Papa si rivolge ai suoi figli prediletti – che, per inciso, continuano a controllare in maniera assoluta il Sacro Collegio cardinalizio – per estirpare la malaerba dalla Toscana. Così un paio di abili uomini di Dio vengono inviati a Pisa con il compito di distruggere l’eresia e, ovviamente, informare di ogni novità il governatore di Alghero. Che, dal canto suo, continua a portare avanti i preparativi.
L’operazione scatta nel 1278, due anni dopo la fine della guerra in Oriente. Un grande esercito, composto da truppe franche e milizie italiane, sbarca in Toscana e pone l’assedio a Pisa. La città si difende con grande coraggio e i combattimenti per le strade sono sanguinosi: ogni metro deve essere davvero sudato, ogni conquista costa un bagno di sangue e rischia di essere persa senza sostegno immediato. Ma alla fine l’esperienza e il superiore addestramento franco hanno la meglio, la resistenza viene spezzata e le bandiere di Gerusalemme sventolano sulle mura di Pisa.


Fase IX – La guerra della Sirte (1280-1295)
Padrone assoluto dell’Oriente e dell’Egitto, incontrastato signore del Mediterraneo orientale, con forti basi in Anatolia e nel Tirreno, l’Outremer è pronto per nuove sfide. Anzitutto tiene fede alla propria parte di accordo e riconquista Tabriz in nome dell’atabeg, riconsegnando quindi la città ai siriani: questo gesto consolida il vassallaggio e rende gli zenghidi un prezioso cuscinetto fra il regno franco e i turchi, coi quali non si riesce a raggiungere un accordo. Il successivo spostamento di ingenti forze al confine siriano, minacciato dai bizantini, non fa che accrescere le relazioni fra i due stati. Ma l’occhio di tutti si sta spostando verso Occidente, su quello stato moresco che tanto zelo ha dimostrato nella jihad e che le forze congiunte degli stati cristiani di Spagna non sembrano riuscire più di tanto ad intaccare. L’obbiettivo diventa dunque l’assunzione del controllo del golfo della Sirte e dei suoi porti commerciali; senza ovviamente scordare la potente roccaforte di Tunus, la cui conquista renderebbe assai più sicura la situazione sarda. Ingenti forze vengono spostate dalla Siria e dall’Iraq e ammassate a Barqah. Dall’Egitto arrivano invece i nuovi parchi d’assedio, destinati a sostituire le utili ma ormai antiquate catapulte: Gerusalemme, infatti, è il primo stato a dotare le proprie truppe di cannoni e le operazioni della Sirte sono il banco di prova perfetto per testarne l’efficacia. Finalmente nel 1288 le truppe muovo da Barqah in tre grandi colonne: in testa c’è l’esercito nubiano-sudanese, il cui compito è prendere la piccola cittadina di Sirt; seguono poi le armate vere e proprie, quelle che devono disintegrare ogni resistenza e marciare trionfanti fino a Tunus. La reazione moresca è più rapida del previsto e i nubiano-sudanesi trovano Sirt difesa da un’ingente guarnigione: dimostrando il consueto coraggio e sprezzo del pericolo, l’attacco viene comunque portato e ancora una volta questi incredibili soldati escono vincitori dal carnaio di Sirt. Le altre armate nel frattempo proseguono a nord lungo la costa fino a Tarabulus senza incontrare resistenza alcuna: ma una volta giunti nel cuore della Tripolitana si trovano a fronteggiare una grande armata moresca: la vittoria arride ai franchi, ma a un prezzo ben più alto di quel che si pensava; tanto che solo una delle due armate prosegue verso Mahdia. I giorni di Tunus, però, sono egualmente segnati giacché il governatore di Alghero, con un’abile mossa, salpa dalla Sardegna con un forte contingente e sorprende completamente i Mori, catturando con estrema facilità la cittadella di Tunus. La Sirte è in mano gerosolimitana, ma le perdite sono state più alte del previsto e si necessita un periodo di riposo prima di intraprendere ogni altra operazione.


Intendevo ovviamente proseguire a mazzolare i Mori in Africa, ma a questo punto Sua Santità è morto e ha deciso di trascinarmi con sé tramite simpatico crash papale... [SM=x1140417]
Era da tanto che non ci giocavo, mi ero dimenticato per via alcuni problemucci della 5.0, scemo io... Però devo dire che costringere gli zenghidi al vassallaggio ha un sapore tutto particolare... [SM=g27963]
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