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Vita in diretta - da Diari di vita - (10 pagine, ma vale la pena leggerle)

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2008 16:00
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Storia sia mia, sia di un qualsiasi infante dei miei tempi

Inizia l’avventura

Parlo di me in un misto di diario anomalo e autobiografia, spaziando in tempi, persone, fatti, affinché ne ricevano conoscenza figli, parenti, amici, posto che vogliano leggermi, nonché per me, onde ripercorrere un cammino non breve, che ho accettato, gradito, affatto tollerato.
Per quanto possibile uso grammaticalmente il presente in quanto le vicissitudini trascorse sono state talmente vive da formare un tutt’uno, indipendentemente dall'epoca del verificarsi, fondendosi anche con la realtà odierna e, forse, con il modesto futuro che mi attende.
Ho ritenuto di non fare nomi, salvo casi indispensabili, sia per rispettare privacy, sia perché non risulterebbe di utilità alcuna; perché non pensare che questa panoramica sia quella di ognuno di noi?
A quanti anni risalgono i primi ricordi? a meno di uno, poco più?
Comunque di quel periodo iniziale, che ho cercato di far rivivere, ho visioni a tutt’oggi simpatiche e chiare, pur se labili e un po’ sfumate.
Nasco a Roma nella casa dei nonni paterni, originari di Anagni, città del basso Lazio, come mio padre, portato a Roma all'età di un anno sul finire del XIX secolo. Essa è sita nel popolare e popoloso quartiere di San Lorenzo fuori le mura. E' la primavera del 1927, sono passate da poco le ventuno di un mercoledì 26 aprile quando mia nonna materna, ostetrica, giunta da Perugia per me, mi aiuta ad entrare nella vita.
Lascio con contrarietà il rifugio del seno di mia madre per affrontare una esistenza piena di incognite. Un amico di mio padre è in visita e si attarda non rendendosi conto sarebbe opportuno se ne andasse; poco dopo infatti, lui uscito, con i miei strilli avverto tutti del mio arrivo. E' un periodo interessante, sono romano di San Lorenzo ed è appena trascorso il Natale di Roma. Saprò poi che da pochi giorni si lavora per la bonifica Pontina, è stata appena emanata la “Carta del Lavoro”, è nata la nuova impostazione dei Balilla nonché la squadra di calcio della mia “Roma”. Nasco sotto buoni auspici, porteranno bene!
Astrologicamente sono un Toro con ascendente Sagittario, chi se ne intende dice siano segni molto positivi. Vedremo cosa potrò e saprò concludere. E’ certo che avrò i piedi saldi in terra, sarò cocciuto, ambizioso, conservatore. Per alcuni l’ascendente dovrebbe essere Scorpione che, assieme al Toro, dovrebbero far di me un duro “doc”.
Della primissima infanzia non rammento eventi specifici, salvo una sensazione tattile, olfattiva ed acustica, più che visiva, della pelle, dei capelli, del calore, della voce di mia madre. I primi ricordi che ho sono di un "girello" in vimini con l'aiuto del quale faccio del mio meglio per sgambettare nel poco spazio che offre la casa, nonché il portare alla bocca i piedini (meno di un anno?) e lo scendere o il salire scale con gradini troppo alti, afferrandomi alla ringhiera o poggiando le manine su un muro scrostato dipinto di verde (un anno, poco più?).
Ho anche il sentore dell’attaccarmi al seno di mia madre, dell’addormentarmi nel grembo di lei quando cuce, cullato dal ritmo delle sue gambe che azionano la pedaliera della Singer, nonché del succhiarmi i pollici delle mani e di qualche scenografico ruzzolone, per fortuna senza conseguenze.
Successivamente i ricordi divengono più chiari. Rivedo il cavallino bianco con la base rossa e le ruotine di latta dorata che mi tiro dietro con lo spago, il triciclo in ferro di mio fratello che cerco inutilmente di scalare, i due cortili polverosi e squallidi del palazzo ove passo parte della mia lunga giornata, sorvegliato dai miei o forse da nessuno. Due alberelli contorti e senza foglie sono la base dei giochi di noi bambini e sotto uno di essi mi sbuccio una volta gomiti, ginocchia e sedere, cadendo da una rudimentale altalena dopo che qualcuno mi spinge con troppo impeto. E’ un cortile poco luminoso e poco arioso, in quanto si trova al di sotto del piano stradale ed è chiuso oltre che dalle ali del nostro e altri palazzi, da due grandi edifici non abitativi, quelli della fabbrica di birra Paskowski e dell’albergo dell’Esercito della Salvezza per i poveri, gli sbandati , i barboni d’allora.
Indosso tutine bianche con coulottes, grembiulini chiari, porto ai piedi scarpine con il cinturino e il bottone - sì, quelle delle femmine -.
I gatti mi attirano e appassionano, temo invece i cani e il loro abbaiare (essi diverranno in seguito i miei migliori amici). Comunque dagli amati felini ricevo i primi graffi in cambio delle mie carezze, mentre nulla ho a soffrire dalla parte canina. Anni dopo subirò un paio di morsi anche dai cani, di certo provocati dal terrore verso di loro inculcatomi irresponsabilmente dai miei.
In questa prima età nasco con i capelli scuri, che divengono poi inspiegabilmente quasi biondi! le foto del tempo lo attestano e ciò è strano in quanto, come mostrano le immagini successive, sono tornato gradualmente al mio colore non chiaro, e non sono i tempi in cui si pensi di schiarire la capigliatura ai bambini, specie se figli di operai.
Rivedo in casa il lettone di mia madre il quale, ovviamente, è anche quello di mio padre; per me è però un periodo in cui esiste solo lei, le altre persone, padre, fratello, nonni, zii che siano, le considero da tollerare o accettare passivamente.
E come descrivere l’angoscia quando, a circa due anni di età, i miei genitori mi lasciano e partono per un lungo viaggio senza di me? (credo a Napoli, portandosi mio fratello con loro). Io sono affidato alle cure sbrigative della nonna e delle zie. Sono affranto! cosa ho fatto per meritare ciò? perché non mi hanno voluto con loro? e come faccio senza mia madre? Ma quale felicità quando, al loro ritorno, riceverò in regalo qualche dolce e un carrettino in legno con un Pulcinella che batte le mani, ove sono fissati due piattini di latta, una meraviglia!
Le finestre in casa sono poste molto in alto, irraggiungibili per me con qualsiasi sedia, figuriamoci con il seggiolino che mio padre mi ha acquistato o costruito. Esse sono precedute da un gradino che utilizzo come sedile e tavolo per le mie molte occupazioni. Per quanto concerne i pasti ho a disposizione un seggiolone impagliato, tazze per il latte e la minestrina, tovaglioli che dal collo scendono sulla pancia (bavaioli), qualche posata di piccole dimensioni. Vestitini particolari non li rammento, ne avrò certamente avuti. Ho presenti invece i grembiulini, le scarpine da femmina e le immancabili coulottes.
Noi quattro, i miei genitori, mio fratello ed io, occupiamo una stanza di quella piccola casa composta da un'altra stanza un po’ più grande, da una cucina, utilizzata anche come ingresso-tinello, e un gabinetto.
Siamo al secondo piano di un grande fabbricato popolare che ha pianerottoli e scale strettissimi, poco illuminati. Ho terrore del buio e le persone che incontro sono di scarsi complimenti, anche non garbate. A volte mi aiuta a salire o scendere gli scalini una signorina che abita accanto a noi (Santina), altre sono accettato, forse tollerato, nella casa di un anziano ciabattino al piano sottostante, ove egli lavora su un misero deschetto, che tutti chiamano il “pecione" considerati i miracoli fatti per ridar vita a calzature giunte all’estremo dell’usura. Da una matura signora, amica della nonna e mia madre (Concetta), ricevo a volte qualche mandorla o noce, o una caramella alla menta. I tempi dell'abbondanza e gentilezze per noi bambini sono ancora lontani.
Il gabinetto, che tutti chiamano volgarmente "cesso", è posto all'interno della nostra camera. Non posso chiamarlo bagno in quanto vasca e bidet non ci sono, esiste solo un malandato water e un minuscolo lavandino con un rubinetto dal quale esce un filo d'acqua.
E' un locale stretto e piccolo, illuminato fiocamente da una finestrina in alto senza vetri e di sera da una lampada rossastra. Data l'età soddisfo le mie occorrenze in un vasetto smaltato, arrangiandomi da solo o con l'aiuto di mia madre; il tutto è così funzionale che non concepisco modo migliore per fare pipì o popò. Il nostro gabinetto, uffa quanto ne parlo! anche trovandosi all'interno della stanza, costituisce pur sempre un miglioramento rispetto molte case del quartiere che lo hanno in ballatoi esterni e spesso in comune fra più famiglie. Considerato poi il numero delle persone presenti in casa e le loro esigenze, ci sarà pur stato un bell’andrivieni nella nostra stanza, senza però me ne sia mai accorto.
Per me è un locale misterioso, di cui ho avuto sempre timore e dal quale ho desiderato tenermi lontano (pensavo dentro ci fosse il diavolo). E come dimenticare la volta che l'ho aperto e, con un tuffo al cuore, mi sono trovato di fronte l’abbondante sedere di mia nonna?
Per quanto abbia tentato di ricordare non mi sovviene ove dormissi; del trovarmi in letto con mia madre lo rammento, dell'utilizzo di altro lettino o culla la memoria non mi assiste, forse non li avrò avuti, anche per la limitatezza dello spazio.
Altre cose che rivedo in casa sono una pignatta piena di miele, che mia madre mi somministra nelle colazioni e merende, posta su uno scaffale al di fuori delle mie possibili incursioni, nonché cestini di fichi freschi provenienti dall'orto di mio padre, sistemati sotto il tavolo della cucina, che sono la disperazione delle mie manine appiccicose e la lingua rasposa per quelli mangiati di nascosto con la buccia.
Finora ho parlato di cose e di fatti. Le persone la cui traccia è più viva le ho riservate per ultime, onde potermi esprimere meglio. La presenza completa e appagante è per me quella di mia madre. Lei è me e io sono lei ed è per questo che non ne rammenterò in seguito, e con dispiacere, i lineamenti giovanili. La sento come persona talmente logica da memorizzarne soltamto le fattezze più recenti, quelle da anziana (ciò avviene in noi tutti, che perdiamo il ricordo del nostro aspetto da bambini, e comunque precedente).
A volte, osservando ritratti e foto, tento di immaginarla giovane e piena di vita, inutile! tale aspetto mi sfugge e ho presente solo quello dell'ultimo periodo, avanzato negli anni e alquanto debilitato.
Di lei conservo ancor oggi la sensazione di un aroma particolare, non un profumo, impensabile per le famiglie del popolo di allora, bensì un misto di pulito, di bucato, di fresco e, perché no? anche della sua persona, discreto e inconfondibile.
Da mia madre ho acquisito una comunanza di animo e sicurezza che non mi ha più lasciato. Ho avuto con lei un rapporto di perenne affetto e, ciò che più conta, non ne ho un solo ricordo spiacevole. Gli sono grato per l'amore e la comprensione elargitemi, le preghiere insegnatemi, la disponibilità ad ascoltare i miei problemini, nonché per i rari rimproveri e qualche sculaccione ricevuto e meritato.
In questi anni, pur se non è bello ammetterlo, odio il sapone da bucato che si usa in casa (non certo l'acqua e il lavarmi).
Quanto è repellente il sapone giallo o verde della mia infanzia, carico di sostanze caustiche e di odore nauseante, con il quale, oltre i panni, si lavano tutti, bambini compresi. A nulla vale l'invito a che io stringa le palpebre, quando è usato su di me esso penetra implacabile all’interno e attacca con ferocia i miei occhi. E come è viscido sulla pelle e penetrante il suo odore! Niente a vedere con quelli da toilette profumati e cremosi che avrò a disposizione anni dopo.
Quando poi ritengono io sia sudicio più del solito, cosa frequente, mi puliscono sia con il sapone, sia stropicciandomi con polveri granulose, soda o pomice, usate allora in casa, che cerco evitare con tutte le forze.
Mio padre lo rammento meno, non sono nell'età in cui possa apprezzarne la persona e la presenza. Per me è un punto di riferimento più da temere che amare. E' di scarsi complimenti, alquanto burbero, di mani facili. Di lui ho vaghi ricordi di fatica e lavoro. Saprò poi che è meccanico in una società ferroviaria e ha fatto degli studi tecnici. Lo vedo in casa di sera, a volte sobbarcato da canestri di verdura e frutta raccolte in un piccolo orto, distante un paio di chilometri, che egli e mia nonna curano di persona. Solo in seguito ho compreso, di sicuro in parte, il suo impegno affinché a noi tutti, nei limiti del possibile e della realtà di allora, non mancasse il necessario.
A proposito del suo orto lo vedo scavare per giorni un pozzo profondo due - tre metri e più con qualche attrezzo primitivo, piccone e badile, immerso nell'acqua fino all’inguine. A seguito di quel lavoro massacrante (e altri similari) subirà in seguito vari e perenni malanni.
Sull'area dell'orto e di quelli circostanti, sita lateralmente al cimitero del Verano, passa oggi la Via Tiburtina allargata e raddoppiata, nonché sorgono edifici universitari e commerciali.
Tutto è stato inghiottito dalla città moderna.
Anche di mio fratello, maggiore di cinque anni, ho scarsi ricordi. Lo sento lontano, non amico come lo si può desiderare all'età di due - tre anni; all'epoca io sono troppo piccolo per lui e lui è troppo grande per me (frequenta già le elementari!). Lo rammento comunque con il grembiule e il fiocco della scuola, con i calzoncini neri, il vestito e il berretto da marinaio, in divisa da balilla, nonché impegnato in baruffe fra bambini per difendere me, e in qualche scontro fra noi due ove, per ovvii motivi di età, sono destinato ad avere la peggio.
Comunque è il mio protettore dalle angherie dei più grandicelli ed io, purtroppo, non gli porto riconoscenza alcuna in quanto quello che fa rientra per me nei compiti istituzionali del fratello più grande, similmente a quelli assolti dai genitori e adulti della famiglia.
Devo aggiungere che nella casa, oltre i nonni, vivono due-tre zie e, a volte, uno zio. Dove dormano proprio non so e di loro mi sovviene poco, salvo l'affetto sempre dimostratomi dalla zia maggiore e l’indifferenza costante delle altre due. Mio nonno è anziano, senza pensione come quasi tutti i vecchi di allora, scontroso ma simpatico. Parla di rado, rientra la sera tardi, sovente alticcio, dopo aver mangiato qualcosa in una vicina osteria che considera un po’ il suo rifugio personale. Lo valutano poco, guadagna qualcosa gestendo nel quartiere un banchetto per la vendita di dolcetti per bambini (è la figura del "nonnetto", oggi scomparsa). Io ne approfitto per farmi regalare cioccolatine marca Duomo avvolte in carta rossa, bruscolini e altre piccole leccornie. In precedenza egli conduceva una delle postazioni per piccoli servizi ai viaggiatori, allora presenti numerose alla Stazione Termini, poi sostituite dai più moderni ed efficienti Alberghi Diurni.
La nonna, bassa, massiccia ma non grassa, decisa, di modi spicci, è una burbera-buona che considera mio padre, e non mio nonno, il capo della famiglia. Eppure il nonno ha i suoi lati positivi, sia pure poco palesi. Lo capirò in seguito rammentando:
- i discorsi sui suoi papà e nonno, miei bis e tris nonni, che in Anagni avevano un po’ di pecore, capre e terra, cose che nei primi decenni del 1800 significavano disporre di un certo benessere, almeno alimentare (ciò in quanto io gli dicevo che allora discendevo da pecorai);
- il rammarico, non celato, dell’essersi fatto attrarre, come tanti, dalla urbanizzazione della grande Roma, capitale post-unitaria;
- la fissazione che la sua stirpe, cioè lui, i suoi, noi, fosse qualcosa di non ben definito, ma sostanzialmente importante.
Egli infatti, sulla fine del 1800, fece redigere due alberi genealogici, dettagliati e scenografici, della famiglia sua nonché di mia nonna, che gli costarono varie decine di lire d’allora, un capitale, incaricando a ciò uno dei notai anagnini soli autorizzati a consultare i registri vescovili, rimasti integri dalle devastazioni di barbari e altri per nove – dieci secoli. Del suo albero ricordo la presenza di vari nobilastri e capitani, sempre inseriti nell’entourage papale, nonché la loro provenienza da Roma e il trasferimento in Anagni con Bonifacio VIII e poi, per qualche altro, anche in Avignone, sempre al seguito papale (quelli che rimasero in loco prenderanno, sembra, il cognome di Gauchers).
Quello di mia nonna lo rammento meno anche se il suo cognome, simile a un piccolo centro agricolo dell’Emilia Romagna, mi ha fatto pensare, forse errando, a qualche antenato ebraico, magari convertito.
Purtroppo questi due “poster” del nostro passato sono andati dispersi a seguito del bombardamento del luglio 1943, e a nulla sono valse le ricerche per rintracciarli fra i tanti parenti. Forse si sono smarriti con l’andrivieni dei vigili del fuoco, dei militari, dell’UNPA (protezione antiaerea), negli appartamenti rimasti vuoti nell’ala pericolante del palazzo, sgomberata per vari mesi, adiacente quella colpita e distrutta..
I nonni materni sono invece umbri, come mia madre, e vivono a Perugia. Sin dalla prima infanzia trascorro ogni anno almeno un mese estivo con loro e alcuni zii in Perugia, o in piccoli centri vicini, Passignano, Monte del Lago sul Trasimeno, Umbertide, Pierantonio, Tuoro, Castel Rigone. Nella loro casa sono adottato sin dall'arrivo da una zia nubile di media età, affetta da elevata sordità contratta con l'epidemia della febbre spagnola, che uccise più persone della guerra mondiale appena finita, e divengo oggetto-vittima delle sue attenzioni. In seguito lei sposerà uno smidollato fascista, marcia su Roma, che le farà passare un mare di guai (divenne squadrista per coprire le sue carenze personali e immaturità comportamentali).
I nonni sono affettuosi e disponibili, gli zii e zie altrettanto. Per tutti mia madre, la maggiore dei figli, è il riferimento per i loro problemi.
Di cugini e cugine ne ho diversi e alcuni sono più o meno della mia età, così possiamo capirci ed avere interessi comuni.
Passo buona parte delle giornate perugine a giocare sotto la casa nel vicolo dei Pellari, o nella via del Bulagaio, vicino la centrale Piazza Grimana, ove si trova l’Arco Etrusco e il palazzo Gallenga, sede sin d’allora dell’Università per gli stranieri. Vado sovente a trovare, passo dopo passo, mio nonno in un suo vicino negozietto di friggitoria; stupendo! ottengo sempre, assieme ai cugini, cartoccini di piccole delicatezze fritte! (sarà pure per questa generosità, con noi e con le donnette del quartiere, che l'attività sia andata presto in dissesto).
Mi sposto anche nei dintorni per esplorare il mondo che mi circonda anzi, una volta, mi perdo veramente ed i miei, grazie all'aiuto delle guardie e dei militi, allertati dai miei zii, cosa per allora eccezionale, mi ritroveranno dopo alcune ore nel piazzale del convento di San Francesco, alquanto distante, con le mie inconfondibili coulottine e per nulla impaurito o preoccupato. Su loro incombeva invece l’angoscia e la psicosi per i bambini rapiti dagli zingari, e per la sparizione del figlio del pilota USA Lindberg, quello del volo atlantico con lo Spirito di Saint-Louis, avvenuta di recente, che aveva fatto notizia nel mondo.
Per fortuna il traffico è a livelli umani, senza pericoli eccessivi per i bambini incoscienti come me. Per la cronaca non ricordo di avere ricevuto scapaccioni o sculacciate, penso che qualcuno me ne sia stato somministrato. Ugualmente non so come abbia potuto allontanarmi di tanto onde raggiungere una meta prefissata nella mente, il prato ove avevo giocato giorni prima con i cugini, ivi condotto da mia madre e qualche zia. Sono certo ad ogni modo che, se non si fosse attivata la gazzarra per ritrovarmi, me ne sarei tornato a casa pian-pianino, senza timore alcuno, fretta e difficoltà.
I miei interessi perugini sono più intensi e avvincenti di quelli romani. La casa dei nonni è tale un castello di fiabe. È una costruzione di secoli prima, con mobili antichi, lampadari liberty, soprammobili colorati, merletti, bambole e oggetti originali. Essa occupa il secondo e il terzo piano, che è pure l'ultimo, di un vecchissimo fabbricato di abitazione (come gli altri del quartiere), con le finestre più alte che guardano sui tetti circostanti coperti di tegole, ove spuntano comignoli e ruotano galli metallici indicatori del vento e regolatori dei fumi. Vi sono due grandi camere da letto, un ripostiglio buio, lungo e stretto, un salotto, un gabinetto rustico e molto vasto sito nel sottotetto, al solito senza vasca e bidet, un’ampia cucina-tinello con focolare, camino, acquaio, e una camera di disbrigo-emergenza ospiti.
Nel ripostiglio giacciono cesti di indumenti e oggetti dell'ottocento - primi novecento (forse anche prima) con cui noi bambini traffichiamo di continuo, soprattutto travestendoci con fantasia.
Sono presenti delle strane strutture in vimini, impilate l'una sull'altra le quali, mi spiegano, un tempo erano portate dalle donne sotto le gonne per ampliarle, come la moda voleva.
Inutile dire che il tutto farebbe oggi la felicità di ogni antiquario; purtroppo alla morte dei nonni, avvenuta nel periodo difficile della seconda guerra mondiale e immediato dopoguerra, tutto è andato disperso (nei medesimi tempi se ne andranno i nonni romani).
Anche gli zii e le zie vivono in edifici analoghi, con scale ripide e buie. Le case però sono piene di vita, allegria e oggetti interessanti.
Come non ricordare una bici francese per ragazzi a ruota fissa, gomme piene, tutta in legno, comprese le ruote (solo gli ingranaggi e la catena erano metallici), sulla quale siamo tutti abbondantemente caduti? E la bici dei bersaglieri di mio zio, anch’essa a ruota fissa e gomme piene? o il potente binocolo residuato della guerra mondiale? o una stupenda cornetta di ottone dei bersaglieri? Poi, meraviglia delle meraviglie, una vera macchina del cinema, con illuminazione ad arco voltaico, moderna per allora, di un mio zio che in seguito mi regalerà sia la tromba, sia varie pellicole? In una di queste case c'è anche un orto, ricavato in un’area sotto le mura cittadine, ove non si raccoglie mai nulla in quanto noi piccoli, come le locuste, mangiamo ogni cosa allo stato acerbo, con la scusa di controllarne la maturazione.
Sento parlare, spesso e sottovoce, di un certo nonno e di uno zio monsignore, padre il primo e fratello di mia nonna il secondo, morti di recente e coinvolti in problemi che comprendo poco.
Poi saprò in segreto, da un cugino più grandicello sempre informato, che il nonno, per me bisnonno, già benestante, morì angustiato e in difficoltà economiche a seguito di alcune garanzie rilasciate a favore di persone le quali, non onorando gli impegni assunti, lo ridussero quasi in miseria, e che lo zio prete, così chiamato pur se monsignore, diede fuori di senno per fissazioni sessuali e di donne (sesso, donne, cose per me del tutto sconosciute, di che si trattava?), tanto da doverlo ricoverare in un istituto di cura.
Le professioni di tutti mi affascinano. Oltre il nonno, che ha fatto il friggitore, il fornaio, il pastaio, il giornalaio e qualcos’altro, mia nonna è una delle pochissime ostetriche diplomate all’Università e in servizio presso il Comune di Perugia (dati i tempi è quasi un medico. Oggi sarebbe una laureata in ostetricia).
Uno zio è fonditore in bronzo e lavora in una sua officina vasta e scura, simile ad un antro medioevale, piena di stampi, moduli di gettata, terra da forma, modelli, forni con bagliori di fiamma, temperatura altissima e odore acre di coke e metallo fuso. Altro zio gira per i paesi, tenendo spettacoli cinematografici muti in qualche locale o piazzale, con la macchina da proiezione che parcheggia in casa, proiettando pellicole proprie o noleggiate, soprattutto di Charlot, Ridolini, delle guerre di Libia e mondiale, mentre mio nonno tenta di fare il cassiere, con le persone che s’infilano gratis da ogni parte. Egli conduce inoltre un piccolo laboratorio di elettricista ove, con lampi di genio, realizza strane invenzioni che lo mettono anche nei guai, come pericolosi sistemi antifurto, con sparo di cartucce da caccia, o congegni che avrebbero dovuto far girare meno i contatori elettrici e invece gli procureranno una bella denuncia con relative conseguenze.
Una zia, di una bontà e generosità particolari, è sposata con un valente scalpellino, professione diffusa in Perugia ove molte strade erano e sono in pietra. Lo incontriamo spesso al lavoro ed è di una simpatia contagiosa; è estroverso, un po’ spaccone; è stato volontario garibaldino in Francia nel 1914, come parecchi altri umbri e, parlando dei fatti e delle gesta di allora, spesso le spara grosse, senza accorgersi del sollazzo di noi tutti, figli e nipoti.
Altra zia è sposata con un tecnico dell'azienda elettrica, un po’ matto, simpatico, a cui piace alzare il gomito.
Un’ultima zia (quanti figli nelle famiglie di allora!) vive ed esercita la stessa professione ostetrica a Passignano sul Trasimeno. E’ sposata con un milite lacustre, ex marcia su Roma, affettuoso e sognatore.
Il suo saluto ricorrente è "viva il Duce" e mi fa cantare ripetutamente “Giovinezza” e “Fischia il Sasso”.
Con lui andrò all’inaugurazione di Littoria, alla Mostra della Rivoluzione Fascista a Roma, e vedrò per la prima volta il Duce.
In seguito, per la mia prima comunione, per la quale sarà il mio padrino, mi prometterà un orologio da polso che non riceverò mai.
Loro hanno una figlia, fine e carina, un po’ più grande di me. Li conoscerò meglio in seguito, apprezzando la simpatia ricorrente nella famiglia di mia madre, di un livello più elevato, oltreché benestante, di quella paterna (purtroppo questa zia e la figlia moriranno alquanto giovani, in tempi diversi, entrambe per gli stessi problemi cardiaci).
I genitori mi portano anche da un'altra zia, questa volta cugina di mia madre e non sorella, maestra elementare, che vive a Monte del Lago, frazione di pescatori sul Trasimeno. I nuovi cugini e gli altri parenti ci accolgono col consueto calore e da loro trascorro periodi molto gradevoli Devo però adattarmi al che non esistano in loco né acqua corrente, né gabinetti, salvo qualche buco alla turca da cui si sprigiona un fetore insopportabile. L'acqua da bere, scivolosa e sgradevole, si attinge ad un pozzo lontano. Per le necessità fisiche le “maggiori” si soddisfano all'esterno, le minori e le emergenze nei soliti pitali o negli antigienici buchi alla turca. Il caldo è elevato ed afoso, accentuato dallo specchio lacustre e monti circostanti. Le zanzare imperversano ovunque e poco vale combatterle con il Flit o i gerani in casa.
I bagni al lago mi piacciono, ma non sono quelli marini, è come mancasse qualcosa, forse è l'acqua dolce, la sabbia che non c'è, il fondale pietroso o melmoso, anche pericoloso.
Comunque mi diverto un mondo e non mi spiace affatto questa vita da pioniere o boy-scout assieme ai cugini di età vicina alla mia, ben affiatati, mentre altri sono o più grandi, o più piccoli, o da venire, quindi per me ancora lontani o non di interesse.
Ricordo il giorno in cui, con mia madre, vediamo un aereo militare sparire nel lago assieme al pilota, e la preghiera che diremo per lui (s’era alzato dal campo di Passignano, ove era ed è lo stabilimento Ambrosini), nonché quando un ragazzetto del paese (Nello), tuffandosi da un pilone del pontile, si ferirà vistosamente al mento, per fortuna senza gravi conseguenze successive, battendo su delle pietre sottostanti la superficie. Lui affermerà che ciò avvenne in conseguenza di una mia spinta; ancor oggi nego ciò, sono lì a vedere questa gara di tuffi con le braccia sulla ringhiera del pontile e forse potrei averlo in qualche modo sfiorato, anche se non lo ricordo assolutamente, ma spinto mai! oltretutto la mia tenera età, e il timore che ho per i ragazzi non intimi, avrebbero dovuto far capire ai "grandi" che ciò era fuori dalla realtà. Ma ciò non sarà ed io mi sentirò additato alla esecrazione generale. Mi chiudono in casa per alcuni giorni e poi, per qualche anno, non torneremo da questa zia. Come si può notare parlando dei periodi umbri e altri ho esteso alquanto l’arco temporale (ritornando poi nel suo ambito), non limitandolo cioè ai miei primi anni di età. Ciò perché a volte non è opportuno spezzare una continuità di esperienze e sensazioni che si sono formate e completate nel tempo.
I primi anni passano veloci. Frequento a Roma l'asilo comunale, situato nel cortile della casa di San Lorenzo, sotto le nostre finestre. Il piccolo edificio sarà distrutto da una bomba d’aereo il 19 Luglio 1943 e, assorbendo la potenza deflagrante dell’ordigno, salverà l’ala del palazzo ove noi abitiamo, distante solo una diecina di metri.
In esso è inserviente la mia zia alla quale sono simpatico, nonché una sua amica; verrò poi a sapere che questa signora, Lina, pur rispettata, presta soldi un po’ a tutti con interessi da capogiro (anche mio padre a volte ci dovrà purtroppo ricorrere). Dell'asilo, formato da una grande aula e qualche locale di servizio, ho presenti le finestre alte, lavagne con figure tracciate con gessi colorati, pareti con grandi disegni, banchi malandati e una polverosa e ridotta area recintata, chiamata pomposamente giardino, con il solito paio di alberelli scheletriti.
Ho presente anche un gesto di solidarietà dei compagni quando una volta, avendo dimenticato a casa il pacchetto della colazione, riceverò un piattino con spicchi di arancia, qualche biscotto e altro, frutto di una colletta alimentare da parte loro. E come dimenticare un Natale da "ricchi", con cavolfiori fritti, gallina in brodo e dolci di casa, organizzato da mia nonna a seguito di una vincita al lotto del nonno?
Conosco poi tre cugini più grandi di me, due maschi ed una femmina, figli di un'altra zia romana (pure i nonni di quì non scherzano a figliolanza), da poco rientrata dal Brasile a seguito della morte in loco di tre figli e del marito a causa della febbre spagnola, nonché di un quarto figlio nel viaggio di ritorno in nave e sepolto in mare (altro che le sdolcinate telenovele di oggi su emigranti!). Essa vive in una lontana borgata romana coi figli superstiti dei quali uno, operaio infante, perse in Brasile un occhio a causa di uno schizzo di calce viva, mentre l’altro, reduce poi dalla guerra in Albania, ove contrarrà un’insidiosa malaria, morirà in malo modo nel 1944 schiacciato da un cingolato tedesco. Dei tutti di allora rimarrà una sola cugina, oltre due nuovi fratelli e una sorella avuti dalla zia con un secondo marito (!!),avversato da mio padre in quanto sembrava non avesse una vera occupazione e, pare, anche con qualche precedente penale (si rivelerà invece, nel complesso, un discreto marito e padre).
Poi un evento e un viaggio indimenticabili. Mio padre un mattino carica mobili e masserizie su un carro a cavallo, noleggiato per l'occasione, condotto da un corpulento carrettiere, e ci trasferiamo in una casa nuova, nella lontana periferia cittadina.
Rivedo tale viaggio per me interminabile e avventuroso. Il carro, con noi seduti sul bordo e mio padre accanto il carrettiere, lascia lento siti familiari e attraversa una oscura frontiera, la galleria sottostante il cavalcavia ferroviario che divide il quartiere San Lorenzo dall’Esquilino. Oltrepassiamo una ulteriore barriera, le mura romane di Porta Maggiore, e imbocchiamo lentamente la Via Casilina.
Alla sinistra della piazza c’è il residuo di un boschetto prospiciente una palazzina d’altri tempi, di un certo tono, adibita oggi ad uffici, seguita da un edificio lungo, basso, con i muri scuri a mattoni, dai cui finestroni si notano cumuli di sacchi pieni di qualcosa, oltre una miriade di macchinari, pulegge e cinghie in movimento vorticoso.
E' il molino della Società Pantanella, che verrà distrutto nel bombardamento del luglio 1943 (non posso ancora immaginare che in questa società avrei passato venticinque anni di lavoro e ne avrei abitati quattordici proprio nel palazzetto degli uffici).
Il carro della speranza (mi pare di leggere Brecht) attraversa gli archi di un altro acquedotto e giunge in piazza Lodi, nel quartiere San Giovanni, scende infine per la via Enna nel cui fondo si staglia la mole del grande palazzo, appena finito di costruire, ove andremo ad abitare.
Sulla sinistra c'è una villa ampia e ben tenuta, la villa Fiorelli (quanto è minuscola e trascurata oggi!). Sulla destra un edificio ancora più grande e altrettanto nuovo, già abitato, fa compagnia al nostro; è di proprietà dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni.
Tutto intorno poche palazzine e tanti, tanti prati per le nostre avventure e scorribande future. Ci fermiamo all'ingresso del caseggiato. Di fronte, su una collinetta, si erge la chiesa e l’Istituto delle suore della Madonna dell'Orto, provvisoriamente anche parrocchia (verrà distrutta nell’incursione aerea del 13 agosto 1943).
Siamo arrivati. Mio padre, praticamente da solo, effettua una movimentazione triplice di quanto trasportato (il carrettiere lo aiuta solo a scaricare mobili, pacchi e suppellettili dal carro), cioè sposta ogni cosa dal marciapiede esterno al cortile interno, da questi alla base della scala, la nona, e poi tutto su, fino al nostro appartamento, che è al quinto e ultimo piano, senza ascensore. Per quanto possono mia madre e mio fratello collaborano in qualcosa, mentre io sorveglio blandamente quanto accatastato in strada e gioco con una calamita e una lanterna magica che si trovano a mia portata.
La nostra zona, oggi fra le più affollate di Roma, è l'Appio-Tuscolano. Rimarremo per poco in mezzo campi, orti e vigne, tutte imminenti aree fabbricabili. E’ vicina una stazione ferroviaria secondaria, la Tuscolana, ove transitano linee passeggeri minori e convogli merci. Inizia, almeno per me, un nuovo ciclo di vita.
Sono eccitato! mi pare sia la seconda metà del 1931, o i primissimi del 1932? Ho sui quattro anni. Siamo in una stagione buona, non calda, forse autunno o primavera.
Assieme a noi si stanno trasferendo più di centottanta famiglie; lascio immaginare il traffico e la moltitudine di persone e bambini che circolano indaffarati nei due cortili-giardino, entrambi con aiole fiorite, una fontana centrale e una edicola con la statua di Santa Geltrude per noi e una Madonnina in grotta nell’altro. Vedremo come andranno le cose in questa nuova zona e casa. Come quinto piano siamo alti sul quartiere, anche perché di fronte non c’è per ora alcun edificio e la vista spazia in ampiezza e lontananza. Dappertutto sono percepibili gli odori tipici delle case nuove, non sgradevoli, quali vernici, gessi, calce, cemento. Residui di mattoni, stucchi, legname, sono ovunque. Cosa accadrà ora nel mio e nel nostro futuro? Per quanto mi riguarda sono felice del cambiamento e non mi pongo problemi, anche perché alla mia età questi è un compito dei grandi, vorrei vedere! Addio casa, amichetti, interessi, del quartiere San Lorenzo, non vi appartengo più.
[Modificato da florentia89 04/09/2008 20:24]
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10/09/2008 16:00
 
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ho letto metà racconto, l'altra metà me la tengo per la prossima volta [SM=g1602841]
Ogni fatto che ci racconti mi fa venire in mente molte cose delle famiglie dei miei genitori, forse perché i miei nonni avevano la tua età (mia nonna in particolare è del 27 ed è ancora vivente anche se non c'è più con la testa).
Riguardo ai ricordi di tua madre ti riporto solo una conversazione di alcuni bambini all'asilo di mia figlia.
La maestra: - Qual è il profumo che vi piace di più?
Un bambino: - Il profumo di mamma.
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