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Le aziende ''non possono ledere la dignità e la riservatezza del dipendente''

Ultimo Aggiornamento: 22/07/2007 08:55
22/07/2007 08:55
 
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Le aziende ''non possono ledere la dignità e la riservatezza del dipendente''

Mai spiare il lavoratore anche se fannullone

Lo ha stabilito la Cassazione che ha annullato il licenziamento inflitto a un tecnico dell'Eni Spa per ''comportamento ripetutamente inadempiente''. A rivelare i ritardi dell'uomo, il badge per il parcheggio aziendale: un metodo di controllo non lecito

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Roma, 21 lug. - (Adnkronos/Ign) – Non è permesso spiare il proprio dipendente sul posto di lavoro, anche se è lavativo. E’ ciò che ha stabilito la Cassazione, chiarendo che un’azienda, anche se si trova di fronte alla ‘’insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti’’ non può mettersi a spiarli con l'utilizzo ‘’esasperato di mezzi tecnologici’’ tale da annullare ‘’ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore’’.

Applicando questo principio, piazza Cavour ha annullato il licenziamento che era stato inflitto il 3 luglio del 2002 a un dipendente dell'Eni Spa, Sergio P., reo - a detta dell'azienda - di avere mantenuto un ‘’comportamento malizioso e ripetutamente inadempiente, o comunque idoneo ad ingenerare sfiducia’’. A rivelare i ritardi del dipendente, è stato il 'badge' fornito ai dipendenti, che consentiva loro di parcheggiare l'auto nel garage aziendale.

Se per la Corte d'appello di Milano (marzo 2005) il dipendente legittimamente era stato licenziato per la ‘’gravità del comportamento svoltosi in maniera sistematica tale da avere spezzato il vincolo fiduciario’’, per la Cassazione va immediatamente riassunto con tanto di condanna dell'azienda al risarcimento dei danni fatti patire al lavoratore, oltre al versamento di un’indennità corrispondente alla retribuzione di circa 1.500 euro per quattordici mensilità, dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso di Sergio P., ricorda che sussiste il ‘’divieto di utilizzazione di mezzi di controllo a distanza, tra i quali, in primo luogo, gli impianti audiovisivi sul presupposto che la vigilanza sul lavoro va mantenuta in una dimensione umana’’, anche se - concede la Cassazione - le aziende possono richiedere ‘’l'eventuale installazione di impianti e apparecchiature di controllo, dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori’’.

Tornando al caso in questione, dice la Suprema Corte, il meccanismo del badge, oltre a favorire l'ingresso nel garage aziendale ai dipendenti permetteva, ‘’attraverso l'incrocio di dati con quelli rilevati elettronicamente all'ingresso degli uffici, di controllare gli orari di entrata e di uscita’’ degli stessi. Un'apparecchiatura di controllo che, ‘’a differenza di quella analoga agli ingressi dell'ufficio - annota la Cassazione - non era stata concordata con le rappresentanze sindacali né era stata autorizzata dall'ispettorato del lavoro". E che, quindi, ha violato la privacy del lavoratore che è stato reintegrato.

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