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C.F.GROSSO:PROTEGGERE RISERVATEZZA SENZA ANNULLARE INFORMAZIONE,MA CHI VALUTERA' INTERESSE PUBBLICO?

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2007 14:19
17/03/2007 14:19
 
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"Limitare il controllo massmediatico costituisce da tempo obiettivo di molti politici italiani, di destra come di sinistra. Esplode il caso Sircana, ma si scatena pure il Garante per la privacy. Che vieta, con effetto immediato, la pubblicazione di notizie che «si riferiscano a fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico» ...
In questo modo il cerchio si chiude. Il disegno di legge sulle intercettazioni mira a vietare ogni pubblicazione di atti di un’inchiesta penale e a punire con durezza i responsabili dell’infrazione. L’editto del Garante interviene a tutto campo minacciando a sua volta una dura repressione. Nei casi dubbi chi valuterà tuttavia se c’è interesse pubblico, chi stabilirà se i particolari sono essenziali all’informazione?"


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LA STAMPA
17/3/2007
Quel sesso d'interesse (pubblico)
CARLO FEDERICO GROSSO

Dalle cronache giornalistiche di questi giorni abbiamo appreso che, dopo l’esplosione del caso Sircana, Mastella ha inviato i suoi ispettori a Potenza, Pizzetti ha previsto lacrime e carcere per i giornalisti che violano la privacy, politici di ogni sponda hanno invocato l’approvazione urgente di un disegno di legge sulle intercettazioni che giaceva, sepolto, alla Camera. La barbarie della gogna mediatica dev’essere stroncata, si è detto; e dev’essere stroncata, ha sostenuto qualcuno, anche la consuetudine dei magistrati a intercettare.

Per carità, il caso Sircana è emblematico di ciò che non dovrebbe accadere in un Paese normale; tutelare la privacy è sacrosanto. Sircana, mi dicono, è persona perbene, per cui ciò che gli è accaduto sconvolge doppiamente. Non stupisce d’altronde che, quando un politico viene colpito, la categoria d’appartenenza si agiti contro la stampa e invochi drastici rimedi. Al di là delle polemiche, non era tuttavia mai capitato che si ponesse concretamente mano, con tanta rapidità, a misure restrittive. Ma allora, davvero sono in gioco soltanto la tutela della riservatezza e la garanzia dell’anonimato contro possibili infrazioni alla privacy? O non si intende, piuttosto, cogliere il momento per introdurre, sotto l’incalzare dell’emozione, norme limitative in materia di stampa e informazione? Si è invocata a gran voce l’approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche; se tale progetto fosse stato già approvato, si è ripetuto, la vicenda Sircana non avrebbe potuto accadere. Certamente, dato che tale progetto vieta di pubblicare, anche soltanto «parzialmente, per riassunto o nel contenuto», ogni atto processuale o comunicazione telefonica, informatica o telematica «fino alla conclusione delle indagini preliminari».

Ma non si rischia, in questo modo, di gettare con l’acqua anche il bambino? Vietare la pubblicazione di ogni notizia relativa ad indagini penali significherebbe limitare la libertà di stampa e il diritto all’informazione. Il cronista giudiziario che venisse a sapere non potrebbe comunque scrivere; nessun editorialista potrebbe commentare. Svanirebbe ogni possibilità di controllo da parte dell’opinione pubblica sull’andamento dei processi. Certo, la privacy sarebbe salvaguardata e Sircana, ed altri come lui, potrebbero dormire sonni più tranquilli. Ma a quale prezzo e con quale abbassamento del livello democratico del Paese! Mentre sarebbe ampiamente sufficiente limitarsi a vietare, più modestamente, la trascrizione di conversazioni riguardanti circostanze estranee alle indagini ed a prescrivere al giudice di espungere dalle trascrizioni i nominativi dei soggetti estranei.

Limitare il controllo massmediatico costituisce da tempo obiettivo di molti politici italiani, di destra come di sinistra. Esplode il caso Sircana, ma si scatena pure il Garante per la privacy. Che vieta, con effetto immediato, la pubblicazione di notizie che «si riferiscano a fatti e condotte private che non hanno interesse pubblico», che contengano «dettagli e circostanze eccedenti rispetto all’essenzialità dell’informazione», che enuncino «particolari della vita privata delle persone diffusi in violazione della tutela della loro sfera sessuale». Pena da due mesi a tre anni di reclusione. Nell’impossibilità di irrogare direttamente le sanzioni, impegno del Garante a riferire all’autorità giudiziaria ogni ritenuta violazione.

In questo modo il cerchio si chiude. Il disegno di legge sulle intercettazioni mira a vietare ogni pubblicazione di atti di un’inchiesta penale e a punire con durezza i responsabili dell’infrazione. L’editto del Garante interviene a tutto campo minacciando a sua volta una dura repressione. Nei casi dubbi chi valuterà tuttavia se c’è interesse pubblico, chi stabilirà se i particolari sono essenziali all’informazione? E nel caso in cui notizie relative alla sfera sessuale dovessero interessare l’opinione pubblica, la loro pubblicazione concreterà davvero l’illecito? Mi spiego. Pubblicare che ad un parlamentare piacciono ecstasy e notti con ragazze costituisce fatto privato o abitudine sessuale coperta dalla privacy; ma se egli ha partecipato a campagne in difesa della famiglia tradizionale, la notizia non può più, forse, dirsi privata. Passare le notti in discoteca è fatto privato; ma se si tratta di un campione sportivo che il giorno dopo deve giocare, la notizia diventa certamente di interesse pubblico. Sniffare cocaina è evenienza privata; ma se si tratta di un politico, di un dirigente d’azienda, potrebbe diventare di interesse pubblico.

Si tratta dunque di problemi delicati, la cui soluzione non può essere decisa col machete. Ecco perché molte dichiarazioni arrembanti che ho ascoltato ieri e ieri l’altro mi hanno disturbato. Si deve cercare di proteggere la riservatezza, ma senza annullare l’informazione. L’informazione pattumiera dev’essere combattuta, senza tuttavia vietare ogni pubblicazione gossip, sarebbe ridicolo farlo. Tanto più che, anche se il Parlamento dovesse incautamente calare un velo di censura sulla stampa, i giornalisti, quando dovessero entrare in possesso di una notizia vietata, la pubblicherebbero comunque. Non la pubblicherebbero soltanto se la divulgazione dovesse contraddire la loro coscienza. E farebbero bene.



INES TABUSSO
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