EUROPA
21 dicembre 2004
LE RIFORME DELLA GIUSTIZIA LE FAREMO NOI
GABRIELLA MONTELEONE
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FAMIGLIA CRISTIANA n. 36
3 settembre 2006
Commento
Se il buongiorno si vede dal mattino...
di Adriano Sansa
Rimpiangere Castelli? No, non ancora. Aveva un progetto, e lo ha in parte realizzato: ridurre contemporaneamente l’indipendenza e l’efficienza della giustizia, impresa nefasta e, a suo modo, ardua. Ma nessuno ora sembra avere un disegno di riforma all’altezza delle necessità del Paese. Non solo non è stata sospesa in tempo l’attuazione del programma berlusconiano. Si è cominciato con un indulto troppo ampio, e comprensivo di reati che avrebbero dovuto restarne fuori. Come non vedere la costernazione che prende i più equilibrati cittadini davanti a scarcerazioni di recidivi e colpevoli di gravissimi crimini dopo brevi detenzioni? Come trascurare lo sconcerto diffuso per lo spreco di processi costosissimi per l’erario ancora da celebrare, la cui eventuale pena è fin d’ora cancellata? Ma non basta. E’ l’intero impianto della giustizia che scricchiola mentre il disappunto prolungato e la frustrazione di chi lo osserva si trasformano quasi in indifferenza. Si era detto e ripetuto che amnistia o indulto avrebbero dovuto essere accompagnati da una contemporanea iniziativa di riforme, di costruzione di nuove carceri e ristrutturazione di altre. Invece l’opera procede lentissimamente, e non se ne è neppure parlato in occasione dell’indulto. Così si formerà nuovamente una condizione di invivibilità carceraria che imporrà altri condoni, in una spirale distruttiva della sicurezza e del senso della giustizia. Non basta ancora. A colpire il sentimento di legalità ci si dedica da ogni parte: così le arroganti espressioni di solidarietà dei compagni di schieramento al capogruppo ds calabrese Pacenza sono giunte a parlare di ‘errore giudiziario’ quando ancora non ci sono sentenze di condanna, per una presunzione di ‘innocenza della sinistra’ ridicola prima che stolta . Una conferma, in sé sinistra, della linea ‘bipartisan’ di svalutazione della giustizia. Mentre nel mondo, soprattutto nei paesi liberi, la giurisprudenza affronta e concorre a elaborare di giorno in giorno i problemi più ardui del tempo presente, da quelli dei limiti dei poteri dell’esecutivo- ecco le sentenze statunitensi su Guantanamo o le foreste di sequoie- fino all’eutanasia, la nostra giustizia arranca nelle vicende minime quotidiane. Mastella ha appena descritto l’autentica miseria ‘ereditata’ nella quale si muovono i nostri uffici giudiziari. Vero. Non siamo al passo con le urgenze dell’epoca, la civiltà giuridica stenta ad avere respiro nei tribunali che si dibattono spesso nella meschinità dell’arretrato. Ma non vediamo le riforme dei codici, delle procedure, dell’organizzazione –neppure quelle senza costi- cui il governo deve mettere mano immediatamente, secondo le promesse recentissime e già in via di spegnimento. Se non ci sono i mezzi minimi, il Ministro deve ottenerli in giusta misura, secondo una gerarchia dei valori dello Stato e della comunità che non può essere attenta solo ai temi, sia pure pressanti, dell’economia. Siamo o no il paese di mafia, camorra e ’ndrangheta? Siamo stati quello della P2. Abbiamo un livello di corruzione elevato. Viviamo inquieti cambiamenti sociali che esigono la chiarezza delle regole. Veniamo continuamente richiamati e condannati in sede internazionale per la lentezza dei processi, civili e penali. Nel buon senso e nel pragmatismo che il ministro della Giustizia esprime e a tratti coloritamente esibisce non si coglie la comprensione della gravità della situazione, della profondità del valore della giustizia e del diritto, del dislivello tra i testi costituzionali europei e italiani e l’angustia della realtà giudiziaria. Non rimpiangiamo Castelli, non pretendiamo miracoli, ma la direzione giusta, e qualche segnale positivo sì. Se il buongiorno si vede dal mattino, la giornata della giustizia dopo tre mesi di governo è buia.
INES TABUSSO