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IL VENETO CHE PRODUCE E IL VIZIETTO DI EVADERE

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2006 23:32
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LA REPUBBLICA
SUPPLEMENTO AFFARI & FINANZA
24 luglio 2006
OLTRE IL GIARDINO
Il Veneto che produce e il vizietto di evadere
di ALBERTO STATERA


Novantasei virgola tre per cento (96,3%). In questa quasi totalitaria percentuale si può tentare con qualche ardimento di riassumere la topica «Questione settentrionale», esplosa dopo le ultime elezioni, con buona parte del Nord schierato politicamente a destra, e persino l’alto dibattito sull’esistenza o meno del «Lombardo Veneto» come area economicamente e intellettualmente coesa.
Sono esattamente novantasei virgola tre su cento i titolari di partita Iva nel Veneto, roccaforte della «Questione settentrionale», che hanno mentito al Fisco o, se preferite, frodato lo Stato. Parole grosse, ma non sapremmo come altro dire. E stavolta non è una delle solite statistiche a vanvera che circolano sull’evasione — 100, 200 o chissà quanti miliardi di euro imboscati ogni anno in Italia — ma una verifica sul campo, sia pur parziale, che sembra proprio indiscutibile.
L’Agenzia delle Entrate del Veneto gestisce 400 mila partite Iva, cioè posizioni di lavoro autonomo e di piccole imprese. Ha deciso, nonostante la lunga stagione dei condoni e delle amnistie di fatto, di fare un controllo a tappeto: all’incirca una posizione Iva su dieci. E orrore cos’ha scoperto? Che su 38 mila controlli, il 96,3% dei controllati ha, per l’appunto, commesso una frode, sottraendo circa il 16 per cento della base imponibile, diciamo quasi un miliardo di euro. Una possibile «manovrina», certo non risolutiva, ma di qualche peso.
Da settore a settore, nel popolo delle partite Iva «scoperto» un decennio fa da Giulio Tremonti, che oltre ad essere un intellettuale di vaglia, è un commercialista coi fiocchi, il livello di «compliance», come dicono quelli che se ne intendono, varia notevolmente. Il minor livello di «compliance», cioè quello che noi tradurremmo volgarmente come il maggior livello di furbizia, si manifesta tra i discotecari. La meritevole Agenzia delle Entrate veneta ha messo sotto osservazione 22 discoteche, con una verifica quotidiana alla cassa sull’emissione di scontrini e ricevute. Risultato: nei giorni dei controlli sul posto gli incassi sono aumentati del 300 per cento. «Si vede che noi portiamo fortuna», ha commentato con qualche amarezza Giuseppe Greggio, dirigente dell’Agenzia, intervistato dal «Corriere Veneto».
Per carità, non criminalizziamo i discotecari, titolari di un’importante funzione sociale per i giovani, tanto più che il maggior numero di frodi al Fisco non è certo il loro, ma si registra nelle province di Treviso e di Vicenza, le più ricche di piccole e medie industrie di tutto il paese, e culla della «Questione settentrionale», come ben sa il presidente degli industriali Luca Montezemolo dopo lo shock vicentino di qualche mese fa innescato dallo show da Berlusconi.
A che serve tutto questo affannarsi nei controlli fiscali quando poi per un’intera legislatura si lascia intendere che chi elude o evade ha la piena comprensione del governo in carica? Assolutamente a niente, visto che, fatti i controlli, lo Stato riesce mediamente a recuperare soltanto l’1 per cento dei tributi frodati. Questo, almeno, è il dato che si è trovato di fronte il viceministro per l’Economia Vincenzo Visco, tornato dopo un lustro di condoni e creatività alla guida delle Finanze. La sua fama, come si sa, è quella di vampiro dei Carpazi, goloso del sangue dei contribuenti, ma le sue vittime sono alquanto anemiche, a stare all’Agenzia delle Entrate veneta. Non che nel resto d’Italia il dovere fiscale sia più sentito. Tutt’altro. Il popolo della partita Iva tremontiano, a Nord come a Sud, vive, vegeta e continua a votare non tanto con la mano sul cuore, piuttosto con la mano sul portafoglio. Ma nel «Lombardo Veneto» il portafoglio è molto, molto più gonfio.
a. statera@repubblica. it






INES TABUSSO
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