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INTERVISTA A GIULIANO AMATO

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2006 23:30
06/08/2006 23:30
 
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LA STAMPA
6 agosto 2006
Intervista a Giuliano Amato
«Sbagliato chiudere i Cpt, basta con il business dei clandestini»
«La lotta alla mafia va bene, ora guerra alla micro-criminalità»
di Guido Ruotolo


Due mesi al ministero dell’Interno. Giuliano Amato traccia un primo bilancio. L’intervista non può non partire dall’attualità, dalle polemiche sull’indulto, sul quale esprime riserve: «Sono rimasto colpito dal fatto che ne beneficeranno anche i condannati per i reati finanziari e contro la pubblica amministrazione, colletti bianchi che non necessariamente affollano le carceri». E sull’azione di governo in tema di immigrazione, di cittadinanza, regolarizzazione, contrasto ai clandestini: «L’immigrazione clandestina - afferma il ministro - è un grande business della criminalità, che noi dobbiamo contrastare. Ammetto che nella maggioranza c’è chi rivendica la chiusura dei Ctp. Ma confido nell’ampia possibilità di ragionare con questa posizione».

Ministro Amato, il quotidiano dei vescovi, l’«Avvenire», si chiede se la cittadinanza favorirà l’integrazione degli immigrati o chi vuole sfruttarne solo i vantaggi. Giuseppe De Rita teme, invece, che senza integrazione economica e sociale questa legge non basti. Interrogativi che si accompagnano alle critiche dell’opposizione secondo cui la maggioranza invita all’invasione del paese, per calcoli elettorali. E’ così?
«Non ho il minimo dubbio che ci avviamo verso un mondo nel quale la contaminazione tra etnie, religioni, e culture collettive tornerà ad essere quello che era stato prima della formazione degli Stati nazionali, quando questi fenomeni erano assolutamente correnti, anche se accompagnati da fasi di sanguinosi conflitti. Dobbiamo evitare nel modo più assoluto - è l’errore del radicalismo di destra - il “noi e gli altri” come espressione di mondi che non comunicano, anzi che confliggono. Questo a prescindere addirittura da un altro tema, che per noi è importante: quello delle tendenze demografiche della vecchia Europa che ha bisogno, in realtà, per continuare ad esistere, di avere una popolazione non inferiore a una certa dimensione, con una forza lavoro che tendenzialmente superi gli anziani che non producono reddito. Ma devo tener conto, proprio per la tradizione storica, di una limitata capacità di assorbire l’immigrazione da parte della nostra società, una soglia che non posso superare per non provocare il demone della reazione negativa, che non a caso ha una sua rappresentanza politica. Devo stare attento a non scatenare la tigre».

Ma anche nella sua maggioranza ci sono spinte radicali, di segno opposto naturalmente, che teorizzano una politica di accoglienza senza freni...
«L’errore di questa impostazione è quello di non rendersi conto che c’è un’azione che va condotta, con la dovuta attenzione a sentimenti che esistono e che vanno affrontati. Devo aiutare i cittadini a superare le loro diffidenze, a cogliere il lato positivo della diversità e non spingerli ad alzare il ponte levatoio».

Quando si teorizza la chiusura dei Ctp significa che si vuole bloccare il rimpatrio, l’identificazione dei clandestini.
«L’immigrazione clandestina è un grande business della criminalità, che spoglia di risorse gli esseri umani e li manda a morire nel deserto o nel Mediterraneo. Noi dobbiamo contrastare questo business. Ammetto che nella maggioranza c’è chi rivendica la chiusura dei Ctp. Ma confido nell’ampia possibilità di ragionare con questa posizione. Naturalmente devo operare a monte, per evitare che queste carrette lascino i porti della Libia, perché se non lo faccio lancio un segnale alla criminalità organizzata: “Continuate a fare quello che state facendo”. Nessuno, nella mia maggioranza, mi dice che sbaglio. Però percepisco difficoltà ad accettare questa impostazione».

Cittadinanza. Venerdì lei ha ipotizzato che la chiederanno circa ventimila stranieri ogni anno. L’ex ministro Calderoli sostiene che saranno un milione. Forse pensa ai 630.000 regolarizzati con la sanatoria del 2002 dal governo Berlusconi?
«Non so dove Calderoli prenda questa cifra. E’ possibile che pensi ai 600mila della sanatoria nel 2002. Comunque anche per loro vale il fatto che solo una parte degli aventi diritto chiede effettivamente la cittadinanza. Pensi che oggi ne conferiamo circa 10 mila all’anno. Quanto ai bambini, ne stanno nascendo non più di 50mila all’anno da genitori stranieri e molti non sono interessati alla nostra cittadinanza. Inoltre per la cittadinanza degli adulti saranno necessari 5 anni non di soggiorno, ma di vera e propria residenza locale oltre alla dimostrazione dell’integrazione linguistica e culturale. Perciò dare i numeri è solo dare i numeri».

Ministro, se dovessimo sintetizzarlo in uno slogan, la sua politica sugli extracomunitari è quella permissiva dell’accoglienza senza distinzioni e limiti?
«Mi permetta di essere un po’ parroco, il messaggio è un altro: “Non vi odiamo”. Tutto quello che ho fatto finora è sottrarre questa gente a discipline che nessun italiano sopporterebbe per sé. L’ho fatto quando ho rivisto le norme sul ricongiungimento familiare, quando ho posto il problema della validità dei permessi di soggiorno in attesa di rinnovo. Le vessazioni sono inammissibili».

Lei ha detto che la Bossi-Fini produce clandestinità. Come la cambierete?
«Nella misura necessaria ad avere immigrati che vengono regolarmente, perché così riuscirò a combattere meglio l’immigrazione clandestina. Della Bossi-Fini salvo solo il principio di connessione - introdotto già con la Turco-Napolitano - tra l’ingresso in Italia e il lavoro. Vorrei che questa connessione fosse trasparente».

Ministro Amato, l’indulto le crea problemi?
«Un ministro dell’Interno viene messo in difficoltà dall’indulto non tanto perché vengono liberati autori di reati peraltro minori, che comunque sarebbero usciti, quanto perché escono tutti insieme. E’ questo il problema. Inoltre io sono tra quelli che pensano e sanno che se non cambia la nostra durata dei processi, l’indulto è un rimedio di brevissimo periodo. Comunque, ho preso atto della volontà del Parlamento».

Nessuna obiezione?
«Sono rimasto colpito dal fatto che ne beneficeranno anche i condannati per i reati finanziari e contro la pubblica amministrazione, colletti bianchi che non necessariamente affollano le carceri. Un indulto ha senso, è più comprensibile e spiegabile, se riguarda i poveracci, quelli che sono costretti a un furtarello o tossicodipendenti che avrebbero bisogno di una terapia di disintossicazione. Mi rendo conto, però, che certi reati previsti dall’indulto sono stati il prezzo pagato a quel terzo di parlamentari dell’opposizione che hanno consentito di approvarlo. Il che, non va negato, suscita un giudizio un po’ amaro nel cittadino. Ma altro è dire che l’indulto ha scatenato la criminalità contro i portafogli e la sicurezza dei cittadini. Sono due cose diverse, la prima è più vera della seconda. Certo mi ha colpito il silenzio della Chiesa, dalla quale mi sarei aspettato un invito agli italiani a gestire con cristiana carità un atto di clemenza che essa ha chiesto e che considera giusto».

L’indulto ci riporta all’immigrazione clandestina. Gran parte dei 5.300 «indultati» sono infatti stranieri irregolari, clandestini o con il permesso di soggiorno scaduto. Che fine faranno? Tutti rimpatriati?
«No. Sicuramente non lo saranno i 1.405 marocchini perché l’accordo di riammissione con il loro Paese non è funzionante. E siccome quei marocchini non si muovono dall’Italia, partiranno soltanto quelli che siamo in grado di rimandare nei loro Paesi. Applico alla lettera la Bossi-Fini che prevede l’ordine di allontanamento dal territorio nazionale. Sicuramente lo saranno quelli provenienti da Paesi con i quali c’è e funziona un accordo di riammissione. Non in Libia, io lì non ce li mando. E saranno espulsi quelli da espellere, a partire da quelli sospetti di commistione con il terrorismo. Per gli altri ci potrà essere o il Ctp o immediatamente l’ordine di allontanamento da parte del questore. Insomma, sarà applicata alla lettera la legge Bossi-Fini».

Il che equivale a riconoscere che appena usciti dal carcere alcuni, i marocchini per esempio, si eclisseranno con un ordine di allontanamento. Che intende fare?
«Passarli per le armi non posso. Ripeto, applico rigorosamente la Bossi-Fini».

Due mesi al Viminale. Un bilancio. E’ cambiata la percezione della sicurezza?
«Sono arrivato al Viminale dopo che era già stato arrestato Provenzano. Una delle cose che mi avevano sempre colpito era la sensazione che nonostante si vincessero le battaglie, contro la mafia la guerra non finiva mai. Con l’arresto del capo di Cosa nostra, e pochi giorni dopo con la cattura dei 42, operazione “Gotha”, mi sono sentito rassicurato. Ma questo non comporta che la guerra sia finita. Sono molto sensibile a ciò che significa microcriminalità, alle signore che escono per strada stando ben attente a non mettere il borsellino nella borsa ma nel taschino della sottana. Sento però tutta la debordante importanza della mafia, della camorra e della ‘ndrangheta, che hanno un peso sulla vita nazionale che noi non vediamo neppure: e cioè la loro capacità di gestire magistralmente gli strumenti della finanza internazionale per investire in affari leciti, in Italia e altrove, i proventi delle loro attività. Come ministro dell’Interno ho anche il compito di sciogliere i consigli comunali per infiltrazioni malavitose, e vedo in Calabria scioglimenti che talvolta si susseguono in uno stesso Comune. Siamo davanti a un tema che investe non solo la sicurezza del proprio borsellino, ma la sicurezza di una parte delle istituzioni democratiche. Questa criminalità che stiamo combattendo si sta espandendo, ci circonda, si ripulisce sempre di più evocando il tema della legalità in tutta la sua concretezza».

Eppure, nell’opinione pubblica nazionale il pericolo che viene percepito di più è quello rappresentato dalle rapine nelle ville ad opera di slavi o albanesi...
«Fenomeno gravissimo, sia chiaro, che le forze dell’ordine stanno imparando a contrastare sempre meglio. A me però inquieta profondamente l’anomala normalità di quelle zone del Sud dove si percepisce la contiguità permanente tra il ricatto del delitto e la vita delle persone. Un fenomeno ben rappresentato nella sceneggiatura di Claudio Fava dei “Cento passi”, dove il protagonista, Peppino Impastato, coglie nella famiglia i vincoli di questa contiguità. Mi interrogo sugli effetti devastanti che produce la ribellione diffusa nei confronti della legalità, in qualunque forma si manifesti e chiunque la manifesti. Sento molto la responsabilità che hanno le élites, quando anche loro entrano in rapporto con l’illegalità. E’ il vecchio cancro di parti del Mezzogiorno: l’intreccio tra amministrazioni pubbliche e criminalità organizzata».





INES TABUSSO
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