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"IL RIFORMISTA" AI DS: MERCOLEDI' NON PARLATE DI COMPLOTTI E CALUNNIE, PARLATE DI FATTI

Ultimo Aggiornamento: 07/01/2006 23:55
07/01/2006 23:55
 
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DICE D'ALEMA CHE "«E' come se per il Watergate negli Usa si fosse discusso delle conversazioni tra i leader democratici e non del fatto che erano spiati dal governo».
La differenza è che le intercettazioni erano state predisposte dalla magistratura per accertare reati connessi esattamente ai contenuti delle conversazioni: e cioè se Consorte, facendo da sponda a Fiorani e soci in Antonveneta e facendosi aiutare da loro nella scalata a Bnl, avesse violato le leggi. Quando l'allora presidente di Unipol ammette con Fassino di avere già in mano insieme ai suoi alleati (e con patti segreti) il 51% di Bnl prima dell'opa ed essendo autorizzato a detenere come Unipol solo il 19%, confessa di aver violato regole e leggi.
Al di là dei complotti, dunque, discutiamo finalmente di contenuti. E ci piacerebbe che mercoledì i membri della direzione lo facessero".


"Per D'Alema, finché non c'è una regola che impedisca a un politico di parlare di un'opa, allora ogni rimprovero è pretestuoso. Ma proprio la filosofia di quella riforma mancata va nel senso di aumentare l'autonomia operativa del management, anche dalla politica, e al tempo stesso la sua responsabilità nei confronti non solo degli shareholders, ma degli stakeholders. Non si può dire che l'operato di Consorte va affidato all'indagine della magistratura. E' affidato al giudizio di shareholders e stakeholders e anche di chi con tanta passione faceva il tifo per la conquista della Bnl. «C'erano tifosi anche dall'altra parte», replica il presidente diessino. Non è una scusa né un'attenuante. E' d'accordo che si compri una banca in quel modo?"



anticipazione
IL RIFORMISTA
EDITORIALE
lunedì 9 gennaio 2006
CAMPAGNE. LA DIREZIONE DI MERCOLEDÌ DISCUTA DI FATTI NON DI COMPLOTTI E CALUNNIE
L'errore post-togliattiano dei dirigenti ds

Separare i fatti dalle calunnie. E' l'invito rivolto da Romano Prodi che Piero Fassino e Massimo D'Alema hanno voluto accogliere, lanciando la loro controffensiva. Che la calunnia sia ormai ben più del rossiniano venticello, è evidente. Stiamo già al temporale, anzi al tumulto generale. Si potrebbe rimproverare di aver atteso cinque mesi prima di capire dove sarebbe andata a parare l'auretta non proprio gentile che spirava fin dal luglio scorso. Ma la direzione Ds questa settimana non è chiamata solo a discutere di tattica o di propaganda. O almeno, non dovrebbe. Per togliere il fango dal ventilatore non basta prendersela con «la campagna a comando» come ha fatto Massimo D'Alema sabato scorso sull'Unità. I fatti vanno affrontati nel merito. Ce ne sono diversi, elusi finora dai due massimi dirigenti diessini. D'Alema dice di non conoscere né Fiorani, né Ricucci, né Gnutti. Ma Consorte sì e bene. Ammette di aver parlato con lui e che le sue conversazioni, non solo quelle di Fassino, sono state probabilmente intercettate. Lo scandalo non sta in quelle telefonate, aggiunge, ma nel fatto che vengano pubblicate e si parli del loro contenuto. «E' come se per il Watergate negli Usa si fosse discusso delle conversazioni tra i leader democratici e non del fatto che erano spiati dal governo». La differenza è che le intercettazioni erano state predisposte dalla magistratura per accertare reati connessi esattamente ai contenuti delle conversazioni: e cioè se Consorte, facendo da sponda a Fiorani e soci in Antonveneta e facendosi aiutare da loro nella scalata a Bnl, avesse violato le leggi. Quando l'allora presidente di Unipol ammette con Fassino di avere già in mano insieme ai suoi alleati (e con patti segreti) il 51% di Bnl prima dell'opa ed essendo autorizzato a detenere come Unipol solo il 19%, confessa di aver violato regole e leggi.
Al di là dei complotti, dunque, discutiamo finalmente di contenuti. E ci piacerebbe che mercoledì i membri della direzione lo facessero. Il primo contenuto riguarda proprio le regole di governance. Per le cooperative e l'insieme delle imprese. E' stato proprio il centrosinistra negli anni '90 ad aver introdotto primi elementi di riforma. Come mai non hanno funzionato? Anzi, da Cirio ai furbetti passando per Parmalat, le cose sono peggiorate. E' vero, Berlusconi ha fatto passi indietro (come sul falso in bilancio), ma non una controriforma. Ci troviamo, così, di fronte a un altro esempio di cambiamenti rimasti solo sulla carta. Per D'Alema, finché non c'è una regola che impedisca a un politico di parlare di un'opa, allora ogni rimprovero è pretestuoso. Ma proprio la filosofia di quella riforma mancata va nel senso di aumentare l'autonomia operativa del management, anche dalla politica, e al tempo stesso la sua responsabilità nei confronti non solo degli shareholders, ma degli stakeholders. Non si può dire che l'operato di Consorte va affidato all'indagine della magistratura. E' affidato al giudizio di shareholders e stakeholders e anche di chi con tanta passione faceva il tifo per la conquista della Bnl. «C'erano tifosi anche dall'altra parte», replica il presidente diessino. Non è una scusa né un'attenuante. E' d'accordo che si compri una banca in quel modo?
La replica dalemiana parte dal presupposto che in Italia esistano classi dirigenti che da sempre praticano l'antica massima «Franza o Spagna purché se magna». Capitalisti senza capitali che hanno un potere soprattutto relazionale. Per scardinare questo antico equilibrio, nefasto per l'interesse nazionale e lo sviluppo del paese, bisogna usare dei grimaldelli, se non dei cavalli di Troia. Favorire capitalisti o imprenditori amici se possibile, o chiudere gli occhi di fronte ad avventurieri che servano allo scopo, degli “utili idioti”. E' una logica che non convince in linea di principio e oltretutto s'è sempre rivelata perversa (come per Craxi e per Mitterrand). Ad essa è di gran lunga preferibile la strategia dei socialisti e laburisti nordeuropei i quali le nozze le hanno fatte con diavoli minori, ma con satana in persona e, invece di cambiare i capitalisti, hanno tentato di cambiare il capitalismo. Anziché «abbiamo una banca», Willy Brandt, Olof Palme, Tony Blair preferivano dire «abbiamo una legge bancaria». E' il modo migliore per regolare i rapporti tra affari e politica che sono sempre instabili e tendono per loro natura a farsi promiscui in qualsiasi latitudine (non siamo certo degli idealisti ingenui). Sembra quasi che in questi anni di opposizione dura, di traversata nel deserto, asperrima anche perché l'Italia è governata da Berlusconi che è uomo d'affari e politico a un tempo, i Ds e il centrosinistra in generale siano rimasti colpiti da una sindrome minoritaria, dimenticando di aver governato per cinque anni. Hanno pensato di conquistare piazzeforti e casematte, una sorta di post-togliattiana marcia dentro il capitalismo. E' qui, forse, la radice profonda degli errori. Anzi, l'errore politico principale.

INES TABUSSO
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