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A volte buddhista...fa rima con razzista

Ultimo Aggiornamento: 18/04/2006 21:24
18/04/2006 21:24
 
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@Ljuba@
Eh si, mi dispiace togliere un alone di.....santità a questa filosofia che tante persone ha conquistato (tra cui la sottoscritta, affascinata da un mondo per me fino a poco tempo fa sconosciuto), ma approfitto di questa cartella per denunciare....questi avvenimenti, che stanno passando...sottobanco.


Centomila profughi cacciati dal Bhutan perché induisti e di sangue "non puro". E rinchiusi in una città lager. Reportage su un caso di pulizia etnica quasi sconosciuto in Occidente


di Alessandro Gilioli da Damak (Nepal orientale)


Il campo profughi di Beldangi è una distesa di fango e di filo spinato dove vivono, se questo è vivere, quasi 20 mila persone. Uomini, vecchi, donne e bambini, in sei o sette per stanza, accatastati l'uno sull'altro nelle baracche di paglia e bambù senza luce né acqua. Quando è tempo di monsone si combatte per un cellophane o una tela cerata, ma la melma sale comunque a inghiottire ogni casa e ogni cosa, compresi i piedi fino al polpaccio.

Gli abitanti di Beldangi sono bhutanesi etnicamente non puri per questo cacciati, 15-20 anni fa, dal piccolo regno himalayano. Sono da allora prigionieri di un sogno, quello di tornare nel proprio paese, e di un incubo, quello che vedono ogni mattina quando aprono gli occhi e per loro inizia un altro giorno uguale agli altri di caldo insopportabile, di assurda detenzione, di attesa senza speranza.

Come Beldangi, altri sei campi profughi punteggiano la pianura aquitrinosa del Nepal orientale. Messi insieme, fanno una città di oltre 100 mila abitanti, tutti scappati o deportati tra la fine degli anni '80 e i primi '90, quando in Bhutan ha preso il via una gigantesca e misconosciuta operazione di pulizia etnica voluta dal regime di Thimphu per preservare la purezza delle proprie tradizioni buddhiste e del proprio sangue tibetano

I Lotshampas, come vengono chiamati, hanno vissuto per generazioni nelle piane meridionali del Bhutan senza instaurare rapporti con la gente delle montagne, i Drukpas, padroni del paese, a cui le paludi non interessavano proprio. Le due comunità hanno continuato a ignorarsi felicemente fino a quando una ventina d'anni fa il governo di Thimpu si è accorto che i "nepalesi" a fondo valle erano aumentati un po' troppo, vuoi per riproduzione vuoi per nuova immigrazione, fino a costituire un terzo della popolazione totale.(solita vecchia storia.. [SM=g27825] )

Spaventati dal rischio di una contaminazione,(la sola parola mi fa orrore) i bhutanesi del nord si sono inventati un paio di leggi capestro imponendo ai Lotshampas di abbandonare i loro usi, la loro lingua e la loro religione. Ne sono seguite infinite discriminazioni, minacce, violenze, scontri di piazza. Fino alle deportazioni forzate e alla nascita, appena al di là del confine nepalese, di questa città di capanne dispersa tra i banani del Terai.

Quello che rende ancora meno sopportabile l'esistenza a Beldangi è l'ingorgo di corpi umani, di cose e di fango a cui tutti sono costretti, in un'assenza di spazio che è tortura quotidiana specie nei vicoli, ridotti nei giorni di pioggia a rigagnoli affollati e puzzolenti. «E pensare che in Bhutan io avevo dieci acri di terra tutta mia», sussurra Dil Bahadur Karki, vecchio contadino magrissimo e vestito di stracci che esibisce orgoglioso un liso passaporto del paese che non lo vuole più. «

I ragazzi dei campi vengono sedotti in numero crescente dalle sirene della guerriglia maoista: i seguaci del "compagno Prachanda", che combattono da dieci anni sulle montagne a pochi passi da qui per rovesciare il re del Nepal, non chiedono documenti a nessuno e sanno incanalare benissimo la rabbia di questi emarginati totali nei loro miti rivoluzionari.

Il Nepal, che ospita i rifugiati ma vorrebbe tanto vederli tornare a casa, è ovviamente assai teso per questa crescente illegalità. Qualcuno nel paese pensa a una politica di riassorbimento graduale dei profughi nella società civile, ma sono gli stessi rifugiati a continuare a rivendicare la propria identità e a non rinunciare all'idea di tornare un giorno in Bhutan. Probabilmente ignorano che nella loro patria d'origine in questi ultimi 15 anni la cultura della supremazia Drukpa ha fatto passi da gigante. Nei pomposi discorsi sul progresso e sulla democrazia che ogni tanto pronuncia il re Jigme Singye Wangchuck non c'è nemmeno un accenno a questi ex compatrioti ripudiati, e nuove norme scoraggiano i bhutanesi doc a mescolarsi con gli altri popoli dell'area.

Ben agghindati nelle loro linde vesti tradizionali, orgogliosi della propria purezza etnica, entusiasti della loro ritrovata specificità buddhista, i notabili di Thimphu e dintorni non hanno la minima intenzione di far tornare mai più i profughi a casa.


Ciao
Ljuba



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