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Ivonne

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2004 19:45
13/12/2004 19:47
 
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Plongée= una delle angolazioni più estreme che la macchina da presa può assumere in cui la macchina da presa si trova esattamente sopra il soggetto rappresentato. Mdp=macchina da presa

Campo Lungo: la mdp a plongée sulla tua camera color pastello. Sembra appena uscita da un delirio di Warhol. E invece sono solo pezzi Ikea ben assemblati. L’odore dei tuoi incensi, quello non si può riprendere anche se meriterebbe, confuso sul tuo corpo di cannella e vaniglia. Il mio sguardo è perso, il mio pensiero invece ha un suo orientamento. Mi inquieta la locandina sopra il tuo letto “ Jules et Jim” che sembrano arrivare, che sembrano scappare.

Figura intera decisamente su di te. Ti passo sopra come se le mie mani fossero occhi di un incessante cercare. Non si parla in questa sequenza. Al massimo possiamo ascoltare “ By this river”. Il tuo corpo pare uscito da un sogno di Gauguin. E le tue rotondità le ripasso senza sfiorarle quasi soffrendo. Mi scoppia il cuore. Nemmeno so chi sei eppure sei pienamente dentro di me. Il tuo corpo è ancora caldo, si capisce dall’espressione del tuo viso, su cui mi avvicino.

Primissimo piano: La tua espressione fra dolore e piacere, nel primo sonno, parla di questa notte. Domattina ti sembrerà amore, e io invece sarò nuovamente in viaggio. Nemmeno i colori ci sono, anzi a volte si. Quando mi fermo su di te il mondo mi sembra in bianco e nero, forse perché è proprio così spento, opaco, riflesso rispetto a te. Tu che sei forte, magari più di me.

Inquadratura dal basso con inclinazione obliqua I movimenti di macchina li lasciamo, voglio essere io a muovermi su di te. Ma che hai capito, non voglio fare ancora l’amore. Voglio starti dentro, dolce stupidina, voglio addentrarmi nei tuoi pensieri, conoscerli, voglio arrivare nel fondo della tua anima che hai precluso a ogni uomo. Sto perdendo colpi Ivonne. Non ricordo più i nomi delle donne con cui sono stato, le città che ho visitato nell’ultimo mese, in quale rassegna del cavolo ho ancora smarrito il mio sentire per poi ritrovarlo palpitante su un telo immenso e grande, al buio di una sala, con personaggi così grandi che sembrano inghiottirti e ti fanno sentire sicuro, che infondo almeno la tua storia poteva essere diversa. Apri gli occhi, si meritano di più del mio sguardo malato. Malato dentro, anima in cancrena che perde pezzi senza porvi rimedio.

Dettaglio a schermo intero : gli occhi di Ivonne. Hanno troppa forza i tuoi occhi, eppure li vorrei, perché sono forti, a volte sfuggenti, distratti, lontani, eppure si capisce pienamente su quali strade si vendono, sono veri, offri il fianco negli sguardi. Vorrei vedere il mondo con i tuoi occhi per ritrovarne le sfumature, tu che indossi biancheria colorata e carezzevole, che non fumi da chissà quanto, che nella tua confusione resti in piedi, che non ti definisci se non minuto per minuto, che ti stupisci sempre, che hai il coraggio di non chiedere a nessuno di rimanere qui in questo letto di amplessi elettrici.

Panoramica orizzontale sul tuo corpo Non è sadismo, ma masochismo: allontanare la sigaretta dalle mie dita, stendere l’odore dell’ennesimo mozzicone sulla tua pelle ancora calda di voglia e piumone, sentirti tra la pelle ma soprattutto dentro. Impenetrabile Ivonne. Non dirai mai di quanti altri corpi la tua anima ha sofferto, non griderai mai i nomi dei congedi che ancora ti scottano dentro, di tutta la vita che continuamente fai e disfai, cambiando prospettiva, a volte ingannandoti a volte difendendoti non dirai mai. Di me che costruisco castelli di carta per distruggerli e sentire il delirio del vuoto, di te che costruisci castelli di carta per farne di nuovi mordendo la voglia di essere. Sorridi, sento il mondo crollarmi addosso perché non ho voglia di affrontarlo, di guardarlo, di perderlo. Sono in bilico, e cedo. Salvami Ivonne. Salvami in volo. Il folle volo di Ulisse è per te un modo di vivere. Voglio venirti addosso, ma non voglio guardarmi. Voglio che si veda solo la tua mano.

Dettaglio: l’avambraccio di Ivonne. Sembra l’unico modo per arrivarti dentro. I tuoi pensieri fanno rumore, ma si nascondono. Averti ancora, in questi attimi divaricati, batterti fino a stare male, insieme. Niente di tutto questo si vede, se non la tua mano protesa fuori da letto, il palmo rivolto all’occhio spietato della cinepresa che ti prende dall’alto, la tua mano con le sue righe, i suoi anelli, la tua mano che attende, che freme, che si contorce, che si agita, che mi chiama, che ti sostiene, che cerca di arrivare, che si tende con dita lunghe stese nell’eccitazione, che arriva, che estenuata cede, che si rilassa, morbida. I tuoi respiri interrotti dal mio nome non li mettiamo: li voglio tenere per te, insieme al tuo bacino avido, al sudore mischiato con la pelle. E’ un dettaglio nostro, anche per ricordarmi quando sarò in volo il senso del mattino.

Campo controcampo: su primi piani laterali dei nostri visi, il mio in penombra. Mi stai addosso. Perché non mi dici che non puoi stare senza di me? Perché non mi afferri? Perché non mi tieni? Perché non mi fermi? Ti prego, fermami. Sono stanco di cambiare paese, lingua, testata, lenzuola, supermercato, francobolli. Ti prego Ivonne fermami. Perché non sei forte anche per me? Perché non dici le parole che tengo rinchiuse dentro di me? Perché tu non dici di aver bisogno di qualcuno? Di me, anzi, di me. Resti silenziosa davanti al mio parlare di occhi.
Saranno i miei anni in più che mi rendono vulnerabile, o sarà che mi stai dentro e non ricordo più come si fa, in casi come questo, mi chiedo se mai l’abbia saputo. Sarà che davvero sei tu che hai bisogno di notti rapide da afferrare ed io più fragile già non so farne a meno. Mi ascolti. Sei con me a Berlino, a Amsterdam, a Santa Clara, a Tokyo. Hai fatto tuo ogni pezzo della mia vita, quasi crudelmente. Io di te non so niente, alla fine. Descrivi, senza farti penetrare.

Primo Piano sguardo in macchina, il mio: mi passo il dito sul labbro come quel film che trattiene respiro. Mi faccio guardare, ma non smetto di chiedere. Tienimi, dimmi che mi vuoi tenere, anche solo per un giorno. Continuo a guardare anche ora che mi torno sopra, anche ora che ricominci a danzare sul mio petto e ti muovi lenta. Il tuo gemito misto di piacere e dolore. Hai gli occhi più grandi, mi stringi le mani. Tutto ciò non si può vedere ma solo vivere.

Panoramica orizzontale: la mdp torna a plongèe come nella prima inquadratura. Non si distinguono i personaggi. Visto dall’alto il letto è un quadrato entro cui si cerchia la vita. Ogni cosa vista così cambia forma, dimensione, solo linee che intersecandosi ci inscatolano. Adesso siamo una cosa sola, l’una sull’altro, nel tempo di un grido che scalda il cuore e che rompe i vetri. Tutto intorno sparisce. Solo noi. Fuori nevica ma non ha importanza. Noi di due uno solo. Per quanto Ivonne? Non è lecito chiedertelo né chiedermelo. Per quanto Ivonne? Il tempo di un' inquadratura. Il tempo di dire che è stato e morirne ogni volta, e ogni volta viverne il ricordo accomodandolo sui propri deliri. Per quanto Ivonne, resisteremo a questo gelo dove il sole sembra esplodere per lasciare ancora pezzi taglienti?

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La vera autenticità non sta nell'essere come si è ma riuscire ad assomigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi. (P.Almodovar)
13/12/2004 19:49
 
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Route 66
“ Quando tu avrai un cuore, Ivonne”.
Non so quante volte gliel’ho sputato in faccia questa autodistruzione in cinque lettere inframezzate da una pausa breve.
Adesso lo ripeto a bassa voce, masticando i suoni implosi col sapore di Jack Daniel. "Are you the one that I have been waiting for?"
Fuori è un freddo micidiale, di quelli per cui comunque sbagli sempre giacca. C’è poca gente in giro a quest’ora, e quelli dentro come me han tutti il viso che si specchia in un bicchiere.
Sto qui, tuttosommato resto qui. Odiavi l’odore di alcool sulle tue cosce.
“ Quando tu avrai un cuore, Ivonne riconoscerai che in ogni punto di sutura ci sono fili eterogenei, finemente metallici, tanto stretti che ti parrà di scoppiare.” Sere mi porta un altro bicchiere. Quanto è che ci conosciamo? Tante vite: è sempre bella Sere, anche ora a quaranta anni, le sue tette in questo rancido odore della notte risaltano al buio affumicato di tiri troppi corti.
“ Non esagerare, che poi ti scoppia il cuore” dice Sere ridendo.
“ Come ti va?”
” Bene … molto bene.”
“ Matteo e Luca?”
“ A casa, dormivano già quando ho attaccato”.
Quando tu avrai un cuore, Ivonne non sarà proprio tuo. Perché tu prendi brandelli di carne e te li appiccichi addosso. Magari credi di essere la regina di cuori. Senza calcolare il male che ti fai. Si, un bellissimo copridivano di brandelli di carne, non sto parlando di corpo mia cara Ivonne, ma di anima. Ti prendi i brandelli altrui, di quelli che ovviamente meritano, per imbastirci una coperta rammendata. Poi la coperta scoppia perché i pezzi sono insolenti, battono ciascuno quando gli pare, e ti sembrerà allora quasi di impazzire. Sarà un cuore certo a forma di revolver. Credendo di averlo tra le mani, ti sfiorerai invece la nuca. Per un brivido. Anche.
Sere aveva bisogno di questo lavoro. E’ rimasta incinta di Gianni quattro anni fa, due gemelli, diversi. Poco dopo le cose non sono migliorate. La loro storia non aveva progetti, ma i figli son più di un progetto. Sere ha visto le botte, le ha sentite, ha creduto per un po’ che fosse l’unico modo con cui un uomo la poteva toccare. Botte sul muro, lividi sulla pelle, botte fra le parole. E Sere silenziosa, per non svegliare i bambini.
“ Sei triste. Che hai?”
“ Niente, tu invece…Sei bellissima Sere, che hai?”
Quando tu avrai un cuore, Ivonne comprenderai che l’amore è uno solo ma di tanti tipi. Sono patetico col mio incipit? Si. Perché tu un cuore ce l’hai Ivonne, ed io lo so bene. Te ne ho mangiato un pezzetto, lì sotto al tuo neo nero. E ogni tanto mi sembra di morderlo ancora. Però ti dimentichi di averlo. Credi di essere una replicante, con batterie esaurite e allora lo metti via, come un abito inadatto e passato. Poi arriva il terremoto, e lo rindossi. Fa male Ivonne, fa male al suo motore questo sbatterlo sugli scaffali con la tua poca non curanza. Guardalo, piange. Ma non ti ami, e allora come puoi sentirlo?Ti prego, dagli il mio nome. Se puoi. Mi fai sentire tutto di te, tutto l’amore che hai in ogni tuo millimetro. Per questo dagli il mio nome.
Sere ha fatto tutto da sola all’inizio. Ha detto basta. E lui ha capito, lentamente. Sono separati tra 4 mura, ognuno sta su un piano. Perché chi deve soffra di meno. Mi ha chiesto aiuto, voleva lavorare e mi son ricordato di questo bancone. Adesso è più bella, da un paio di mesi. Accendo un sigaro, l’ultimo Havana. Per mesi Sere non si colorava più i capelli, erano bianchi alle radici, e i suoi occhi neri spenti. Vestiti da stirare, sempre gli stessi. Non era più una donna, ma un’ombra.
“ Devo dirti una cosa…”
“ Si…”
“ Ho iniziato a frequentare una persona…non è niente di importante per ora…”
“ Ma è bellissimo!!! Te lo meriti!!!”
“ Parla piano…shhhh” Mi tira la giacca “ Non lo sa nessuno ma avevo proprio bisogno di dirlo.”
“ Sono felice per te…”
“ Sai ancora è tutto da definire, è un mio vecchio amico, ci vado piano…i bimbi…”
Quando ricorderai di avere un cuore, Ivonne, ricordati io lo amo più della mia stessa vita e che il tuo modo di amarmi, di essere è la mia stessa vita, ricordati che non sarà importante averlo fatto rotolare andata e ritorno sulla Route 66 ormai in sfacelo, né in quanti aeroporti si è fermato per sentirlo battere e che sei speciale, anche se non lo credi. Perché non sei più forte ? Perché non guardi le cose senza poi starci male? Difendilo il tuo cuore, Ivonne. Difendilo. Senza smettere di sentire.
“ E’ bellissimo Sere….Bellissimo.”.
“ Si…poi vedremo…” Sorride e sparisce nel fumo. Cave: “ Into my arms “
L’ultima saracinesca si abbassa. Sere mi ha emozionato. Le cose accadono. Il mio cuore mi ha tradito spesso. Non parlo di sentimenti. Parlo di patologia. Ho visto la morte e son tornato. Ho visto da vicino cosa non è la vita. A 20 anni e certo non si dimentica, ci si scorda cosa vuol dire vivere e al tempo stesso si desidera di più. L’ultimo controllo non era per niente lieto. Si sta rompendo di nuovo, proprio lì nel mezzo, ma tu non lo sai. Attraverso la strada. Un’auto mi sfanala. E’ ferma e appannata. Scendi. Insisti a metterti le gonne nel mezzo della notte, poi prendi freddo e perdi la voce. Mi vieni incontro. Ti fermi davanti a me. Ora sentirai che ho bevuto. Ti alzi sulle punte, mi stringi le mani, le tue dita freddissime tradite dall’emozione, sento la tua bocca cedere sulla mia. Allora ti stringo forte, e mi sento più sicuro, mi confondo nel tuo odore, niente è una frontiera. Sento stelle negli occhi e profumi dentro. Tu lo tieni insieme, il mio cuore.
Quando sentirò il mio cuore affaticarsi, Ivonne, sentirò una fitta tremenda. Eppure non avrò paura. Io lo vedo il mio cuore, è una sola carne con te e tu lo sai meglio di me. E questo alla fine è che ci lascia senza parole eppure bisognosi ancora di sentirla questa vita scoppiarci nelle vene?
Sere poco distante si allontana nella notte, passi leggeri, pensieri come musiche cantano sui suoi ritmi. E’ possibile.
Torniamo a casa Ivonne, ho voglia di dormirti sul cuore, di guardarti, di morderti, di viverti. Mi sfiori con le labbra l’orecchio per dirmi solo “ Amore “ e non è poco. “ Yes, you are.”
Ora sento di due un battito solo, siamo noi, non solo tu, non solo io, siamo io e te, mia Ivonne. Mia.
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13/12/2004 19:50
 
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Berlino Blues
Cosa cerchi a Berlino, Ivonne?
Davvero credi che potrai chiuderti fra numerosi scaffali in infinite lingue per sentire il tocco degli angeli guardarti dentro e quindi capire che tutto è migliore di come sembra?
Cosa c’è a Berlino, Ivonne? E’ sotto quel che cielo che mi stai scivolando lenta via dalle mani, forse o è solo il mio gusto di sentirti quasi indispensabile?
Di quale azzurro diventerai, in quell’amaro film con Marlene? Volerai via da me, senza che io abbia interrotto il tuo volo nemmeno per un secondo.
E se poi mi tradisci, Ivonne? Non con un uomo, ma con altri valori, con altri pensieri, con altre strade.
Tra poco parti, subito dopo la doccia che stai facendo, il biglietto per l’aereo è andata e ritorno. E’ sulla scrivania, dove c’è tutto il resto della tua vita, sembra di passarti in rassegna: lo smalto trasparente, il telefono scarico, i tuoi incensi, le cartucce della stilo, fogli di ogni tipo con messaggi numeri e incomprensioni, antiemicranici, tazze di caffè svuotate, numeri di telefono volanti, libri ammucchiati, pastelli, rullini da sviluppare, la tua videocamera in carica.
Un giorno abbiamo litigato di brutto. La tua gelosia a volte rasenta la disperazione. Io non la comprendo: avevi appena fatto una scenata in pieno stile teatrale a causa di alcuni miei apprezzamenti su un’amica ora lontana, eravamo tra amici, ti ho fatto male. Hai preso poche cose, hai riempito una delle tue borse e sei andata via, piangendo, hai chiuso la porta, senza sbatterla e quindi con un dolore maggiore, via, sei andata via, sei tornata da tua madre. A volte mi sembri piccola Ivonne, e fragile. Con i tuoi jeans troppo consumati e i maglioni così corti, che nel piegarti si scoprono i lombi, un brivido di freddo.
Non ti ho fermato quella volta, volevo provare il delirio del verbo andarsene. Sono rimasto a casa, con la tua videocamera. Era troppo forte la voglia. Ho cercato di capirti, di entrarti più dentro. Ho attaccato la videocamera alla Tv, mi sono seduto comodo, con in mano tutte le tue mini cassette. Volevo vederti come eri, come guardavi il mondo, volevo vedere la tua vita prima, quando non c’ero, ma soprattutto volevo vedere cosa guardavi, cosa della tua realtà era importante da volerlo selezionare e incidere su nastro. Ho visto i tuoi anni, in cui eravamo lontani, ma mi piace pensare che ci stavamo aspettando. Frammenti di te. Viaggi, vacanze, il tuo lavoro al centro, una mostra di pittura su Escher, tante città, visi sconosciuti, visi amici, visi dimenticati. Tu non ci sei quasi mai, ma c’è il tuo occhio che guarda e sceglie e per me questo è importante. Non ti ho mai rivelato questo episodio, l’ho sempre custodito dentro di me, gelosamente. Davanti alla Tv vedevo i tuoi occhi catturare il tempo e lo spazio, e io allora mi sentivo in un misto desiderio di proseguire o di fermarmi, quasi sul limite tra dolore di violentarti l’anima senza permesso e il piacere di entrarti più dentro. Ricordo nitidamente quelle immagini. Pensavo che sarei stato geloso del tuo passato Ivonne, ma quella mia visione in tua assenza mi ha fatto sentire ancora più felice di appartenerti. Poco dopo ti ho chiamato, sono venuto sotto casa dei tuoi, sei salita in auto, mi hai baciato e dato un bacio, siamo andati al cinema come se non fosse accaduto niente. Sapevo che ancora altre volte saresti stata gelosa, ma mi sentivo più forte.
Per me non è banale guardarti. Forse perché ci siamo conosciuti e anche innamorati senza guardarci troppo.
Altre volte ho guardato anche nella tua agenda. L’agenda per te è un appunto continuo, anche se ora ci scrivi sempre troppo poco. Ci scrivi l’embrione di ciò che poi dirai, sarai, farai. Un lavoro in corso continuo. Tu raramente fai leggere ciò che sei, tanto è che anche all’inizio era spiazzato. Non è mai scontato ciò che davvero provi. Le cose importanti son quelle che dici poco, per esempio. Vorrei sapermi spiegare meglio, arrivarti di più, capirti, o forse capirmi.
La tua agenda è piena di disegni, di scarabocchi, di parole scritte con diversi ma casuali colori.
Quando stai bene scrivi dritto. Quando stai male inclini la calligrafia pendendo verso destra.
Le memorie delle persone sono sempre più intense, più piccole, più portatili, più compresse, persino tascabili se scandite in bytes. A volte Ivonne tu invece cerchi di togliertela la memoria, e vai al contrario.

Ho trovato un pezzo che pendeva verso destra, forse parlavi di me.
“ Dimmi ti prego dimmi.
Come faccio a crederti se ogni tuo gesto conferma i tuoi dubbi?
Come faccio a dirti quanto a volte il tuo atteggiamento sia tumorale sul mio essere?
Come faccio a essere più forte più grande più perfetta di quanto non lo sappia essere?
Come faccio a smettere di amarti da un giorno all’altro se davvero io ti amavo e ti amo?
Come faccio a riprendermi ogni cosa che magari troppo presto troppo leggera troppo sbagliata ti ho dato con l’intenzione di non richiedertela mai indietro?
Come faccio a riavere la parte di me che non ti ho dato, più importante e più persa del mio corpo stesso?
Come faccio a stare senza di te?
Come?”
Chirurgica vivisezione di un amplesso mentale mancato.
Dammi tempo e mi capirò, e allora le tue domande saranno le mie risposte.
Ho bisogno di guardare il tuo mondo Ivonne, non portarlo via.
Poi entri, scalza, l’odore di bagnoschiuma sulla pelle. Indugi con l’asciugamano appoggiandoti al tavolo, ti porti il dito alla bocca, mi guardi, poi guardi in basso, ti sleghi i capelli.
Ti avvicini. Ti siedi sopra di me. Sbotti, come quando una bambina ha combinato un guaio.
“ Non vado.”
“ Perché ?”
“ Perché non mi interessa un cavolo di feste allucinate, di opinioni slavate, in realtà a nessuno gliene fotte niente, tanto vale che me ne stia qui, non ho voglia.”
Dovrei dirti di andare, o di restare.
“ E che gli racconti?”
“ Che son malata.”
“ Di cosa?”
“ Di te “.
Capisco che il tempo per le domande è finito. Ti pieghi sulla mia spalla, non posso che abbracciarti. Infondo Ivonne non posso dirti altro. Sono io che ti ho detto di mettere al primo posto te stessa facendo quello che più ti pare. Stringimi Ivonne, che se il mondo si spezza, almeno tu mi tieni legato a te come una parte stessa naturale e immancabile del tuo corpo. Stringimi. Che davvero è la volta buona che ci siamo trovati.

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15/12/2004 18:31
 
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L’ultimo treno della notte
Aspetto in questa stazione che fuori dall’estate è triste e solitaria, scaldo la panchina tremando d’attesa.
Ivonne, di quale altro ritardo ancora si macchierà la nostra storia? Il tuo amico scriveva di musica sui quotidiani, ultimi trafiletti prima di costume e società, diceva: è tutta una questione di timing.
Se l’esserci trovati alla fine dei conti varrà più del troppo presto, del troppo tardi, Ivonne?
Negli anni ti avrei disegnato così, senza aggiungere tocchi o pennellate.
Quasi ti vedo sul tuo treno, confondendo la partenza con il ritorno, tu che fai di ogni dove la tua dimora, senza contare la spesa affettiva dell’abitare. Appunti fosforescenti fra le mani, e occhi che scolpiscono il buio, pensieri troppo grandi su cui limi gli artigli dell’ ansia. Magari ti specchi nel vetro riflesso di facce sconosciute e dentro ai tuoi occhi trovi il mio nome.
Mi invii messaggi illuminando il led di questo vecchio cuore, dimentico che per delle buone ragioni ci vuole spesso ottima fantasia.
Arriva Ivonne, arriva.
Poco fa qui c’era una bambina seduta su questa panchina di marmo ghiacciato. Ti sarebbe piaciuta, per la bambina che sei e perché ami i bambini, per il tuo modo di essere madre nel portare la vita.
Sua madre poi ti somigliava: le sopraciglia scure, ben disegnate, la pelle quasi d’ebano, solo diversi anni in più di te. Il padre taciturno, sorrideva in disparte, poi ho compreso che era delle Baviera. La bimba si chiama Sarah Jane. Sua madre mi ha chiesto una sigaretta, e si è messa a parlare del ponte sullo stretto.
“ Sai per noi isolani, cioè io abito a Ischia, insomma per noi è stupendo pensare di poter arrivare a terra senza aspettare traghetti, orari, che ne dici?”
“ Credo che sia uno scempio, ma anche se non sto su un’isola posso capire il desiderio di legarsi anche per pochi km alla terra ferma.”
Vorrei portarti su un’isola Ivonne, qualsiasi isola, senza ponti per la terra ferma, mi basteresti tu, Ivonne.
Sarah Jane giocava con il portachiavi che mi hai regalato. Capisce il tedesco, parla italiano, inglese, ischitano ed ha 4 anni. Nel suo nome c’è mezzo mondo. Ride poco.
“ Sai ero andata a Tenerife, in vacanza. La mia prima vacanza. Dopo dieci giorni ho aperto un ristorante e ho deciso di restare lì. Poi due anni più tardi ho conosciuto Franz e tre mesi dopo Sarah Jane esisteva già…Stavo da 10 anni con un altro uomo, è questo il bello, poi davanti ai bambini non si può mai sapere…Non si può mai sapere la vita cosa ti riservi.”
Sono partiti scomparendo nel treno della notte.
Ti sarebbe piaciuta questa storia Ivonne, perché sogni sempre di rovesciare tutto quel che hai e ami quando ti racconto storie. Allora la ripasso pensando a quando mi ascolterai.
Con te stessa tutto ciò non vale.
A volte sai essere molto crudele che non mi pare nemmeno di conoscerti.
Così una sera ho capito il tuo strano rapporto con le storie.
Mi stavi raccontando del tuo flirt con lo scrittore, cioè Luca, a volte hai bisogno di provocare l’altro o forse te stessa per testare i limiti.
In un mese leggesti i tre romanzi di Luca, la sua edizione critica, in un mese vi innamoraste come un flirt dai colori acidi, in un mese vi siete appuntati sulla pelle. Lo studiasti parola per parola, così entrasti nel suo mondo. Quello scritto e quello non scritto. Il suo mondo di festival, di cene assurde, di finzione nella finzione, conoscesti i suoi amici, le sue amiche, le sue amanti, capendo per ogni volto la pagina su cui Luca aveva scritto. Lo sguardo, Ivonne, è la cosa che ti rende stupenda e al tempo stesso ciò che più ti fa male.
Hai conosciuto il suo mondo, guardandolo, entrandovi, poi sarebbe diventato tuo, visto però da dentro e con vigore indipendente. La tua scelta iniziò da lì.
Finito il flirt davanti a una granita con panna, nel cocente azzurro di agosto, senza troppi riti come una degna coppia politicamente corretta, vi stavate salutando, chiudendo la storia. Sapevi che lui aveva appuntato su tovaglie da tavola calda e su moleskine erranti ogni attimo di voi.
Tirasti su con la cannuccia, facendo appositamente rumore, per sbottare poi: “ Certo Luca, grazie di tutto. “ Lo guardi negli occhi e prosegui con lo stesso tono di voce: “ Fammi un piacere se puoi, non mettermi in nessuno dei tuoi personaggi, né in alcun racconto”.
Credo che per uno scrittore come Luca che riversa ogni cosa nei romanzi per trattenerla, sia una crudeltà profonda. Ho letto i suoi libri, per conoscerti, i libri che tieni sul secondo scaffale a sinistra nella letteratura italiana tra la A di Ammanniti e la C di Cassola. Ti rispose da uomo ferito “ Ok, stai tranquilla, non lo farò”. Mi sono chiesto spesso perché reagisti così, se la tua è paura di essere cristallizzata, di appartenere, di essere definita, di essere passata, o se ti piace stare dall’altra parte della pagina senza entrarvi e ho pensato a come si sia sentito Luca nel momento. Di quanti conti in sospeso ancora Ivonne fai pagare le persone che più ami, con cui poi sei più crudele. Per tutte quelle volte che al contrario di Luca, non hai alzato la testa, e ti sei lasciata usare, vivere, permettendo che le persone accadessero nella tua vita.
Eppure io amore mio ti metto in ogni racconto che pronuncio a me stesso per sentirmi più vivo.
Non si può mai sapere la vita cosa ti riservi. Magari hai deciso di vendicarti proprio con me, animale ferito che sei, Ivonne, e forse non arriverai su quel treno. Quale è la tua casa?
Magari non esisti, non ci sei, magari sei vissuta e ora non più, magari sei solo un’invenzione della mia follia, o il vuoto che chiamo amnesia, o lo stato di coma che marcisce d’amore o la fantasia con cui ricalco sul vetro tiepido la mia fredda storia. Magari.
Ma il tempo io lo misuro in mozziconi che mi gioco a calcio sul bordo del binario.
Andremo a casa, amo cucinare per te, ma stasera volevo farti sorridere e ho preso il pollo alla rosticceria e ti viene da ridere ogni volta che mangiandolo ti ricordi di quando mi hai conosciuto. Voglio sentirti ridere.
Sento il fischio della notte e anche il mio cuore si squarcia in due. Ti prego, arriva veloce, voglio vedere il tuo sguardo che mi cerca dal finestrino, voglio vederti scendere e fendere il vuoto, stringerti, sapere che ci sei, che non sei il sogno, voglio tornare nella nostra casa. E poi dopo tutto finire sotto al piumone e addormentarti sul mio petto Ivonne, mentre schiarisco la voce per sussurrarti una storia inventata solo per te che nessuno al mondo ha mai raccontato. Nessun ritardo, stanotte.
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15/12/2004 21:31
 
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molto belli i racconti, soggetto eccezionale
brava è dire poca
superbrava

nel primo racconto ci si immagina dietro la mdp (termine tecnico immediatamente appreso [SM=g27817] ), ma probabilmente è normale per chi legge il racconto, o meglio per chi ci si tuffa

le parole scivolano con piacere

supervoto 10 (probabilmente dovuto ad Ivonne[SM=g27824] )

ciao ciao
chicom[SM=g27822]
19/12/2004 18:29
 
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Ivonne non lo sa
6- Ivonne non lo sa


Ivonne aveva dimenticato il calore bruciante delle lacrime che si vomitano dritte dalle budella.
Per questo ripassò le mie parole. Ancora, fino a solcarsi il volto di bruciante trasparenza, perchè voleva ricordare il fuoco del pianto che fa stringere gli occhi e che al tempo stesso apre il cuore per accogliere una grandezza inaspettata. E si sorprese pensando che per la prima volta quel fuoco non fosse figlio del dolore, ma di un intenso amore.
Io tornerò da te Ivonne, quando mi dirai “ Vieni”. E ti aspetterò, fino a impazzire. Come fai a resistere Ivonne? Risiedi nelle mie rughe, e senza di te è un vivere a metà, mi cerchi mi chiedi mi insegui, come del resto io con te.
Ti bacerò con gli occhi chiusi. Ricordi la promessa sul nostro primo bacio. Io scenderò dal treno e sentirò la tua voce al telefono che mi guida nella stazione, tra piedi veloci e odore di caffè. Arriverò alle tue spalle e non ti volterai, io allora ti abbraccerò da dietro sfiorandoti prima le mani, perdendomi nel tuo profumo, e il mio respiro ti solleticherà fra i capelli, tremando insieme.
Con gli occhi chiusi ti girerò verso di me, e ti bacerò a lungo, sulla bocca sotto al tuo sguardo chiuso e potrò toccarti nel fondo dove nessuno è stato mai, , per gustarti e starti vicino perché è così che si deve vivere. Sei mia Ivonne, voglio essere il sorriso del tuo tempo, del tuo silenzio, il percorso dei brividi che asciugano dolore, ma tu non lo sai che nel dirti “ ti amo” c’è tutta la mia vita, la mia forza, tutto ciò che esiste, ciò che sono, il mio tempo, la ragione del mio vivere, il mio sogno: voglio amarti, fino a quando lo vorrai, credimi mai così forte ho detto “amore”.
E Ivonne mi abita nell’anima, è il ritmo dei miei battiti, le date dei miei viaggi, è il pulsare di ciò che non si è mai conosciuto, è il mettersi in gioco ogni istante e restare appesi a una scogliera, scegliendo di bagnarsi i piedi prima di sprofondare nel blu. E’è il graffio della mia matita in bianco e nero che si contorce come una curva che si ciba di rischio senza abbassare lo sguardo. Ivonne non lo sa che tutto ciò è oltre, oltre il corpo, oltre l’aspetto, oltre, che tutto è davvero più grande del suo modo di guardarmi, di prendermi. Ma io l’amo e la prendo così, così come è perché non posso farne a meno. Ivonne non lo sa perché non vuole saperlo. Ascolta le parole della mia notte, frammenti importanti e resta in silenzio, nessun commento, solo il suo respiro più largo che mi divide la pelle e la prendo così, come nudamente si offre, perché è bella e la scopro debole piccola e fragile, e non posso stare senza, perché ho bisogno di lei, di stringerla a me, la voglio sentire come se lei fosse il mio corpo, la voglio proteggere. Ivonne non lo sa, perché non lo vuole sapere. Perché ha paura, perché è in guerra con se stessa. Ivonne non lo sa. Ivonne non lo sa che è il mio tremore che scivola via, la mia commozione appassionata che annoda gli istanti col sangue, la terra dove il mio mare penetra. Vedo partire l’aereo che mi portava da lei, ma io stasera resto a piedi. Lo vedo allontanarsi, come uno sparo a salvo puntato dritto. E anche questo Ivonne non lo sa.

Ma io ti aspettavo, perché ci credevo. Non mangio, non bevo perché ho aperto gli occhi, e ti vedo, dentro perfettamente la forma della mia storia. D’improvviso un giorno ho compreso di appartenerti. Mi sveglio e sei la prima immagine, io e te pensiamo per fotogramm:ti sogno, ti vivo, mi addormento sul fiato delle tue parole. Non lo sapevo che non si può fermare il pensiero e l’onda travolgente del sentimento. Oltre, va oltre, ora sei la mia vita, ora. Non ho paura. Non mi ero accorta di averti schiuso la porta completamente, perché così veramente volevo, contro la mia razionalità, il mio terrore, io ti stavo accogliendo. Quindi. Quindi io c’ero.
Ti aspettavo asciugandomi i capelli e immaginando le tue mani annodarsi su di me, chiedendomi con quale riflesso sul mio viso avrei accarezzato il tuo sorriso.
Ho ingannato il tempo nell’orario dei binari, leggendo storie che non c’entrano niente con il mio cuore. Mi sono specchiata per guardarmi l’ultima volta a metà prima di ricongiungermi all’uno che siamo. Ti ho dedicato canzoni perché fosse più veloce la distanza di un volo, e ho pensato che questa pioggia aspettava solo i tuoi colori per dissetarmi e scaldarmi. Ho pensato che poteva essere diverso. Poi non sei arrivato. Mi hai lasciato con la tristezza mordente sulle unghie senza trasparenze: questa volta sei tu che sei irraggiungibile, e ho fatto a pugni con la tua segreteria, perché se non capisco io mi taglio. Ho perso le tue tracce eppure lo sai che non sono forte. Eppure. Eppure io mi appoggio a te. Non dirmi che ho sbagliato a crederti, anzi non parlare. Torna. Dovevo non trovarti per capire di non poter fare a meno di te? E questo tu lo sai. Torno a casa senza di te. Passo tra le pozzanghere bagnandomi, voglio sentire freddo, e confondere la pioggia sulle gote, e sentirmi morire di te qua nel fondo. Ho acceso una candela per esalare essenze, l'olio di cannella rimasto sulle dita mi confonde i contrasti che la tua mancanza genera qui sulle corde tese del cuore. Eppure ti sento, anche in questo silenzio, anche in questa assenza, anche in questa mancanza, anche in questo scarto di tempo non trovato, io sento intimamente che ancora ci sei.

[Modificato da erikaluna 19/12/2004 21.35]

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La vera autenticità non sta nell'essere come si è ma riuscire ad assomigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi. (P.Almodovar)
19/12/2004 23:04
 
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La trama..
erika diquesto bellisimo racconto ammiro moltissimo la trama che a mio giudizio è tutto..
Complimenti a te... e a Ivonne.

Loshrike.
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21/12/2004 19:45
 
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....
grazie losh.
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eri
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