questo è quello che postai quando allora con Daniele (di corsa - of couse) andammo alla prima.
VEDENDO PERDUTo AMOR. Battiato non ha girato un film ma ha scritto una canzone montandoci delle immagini al posto delle note. Ha preso il pentagramma e come un album di ricordi ci ha incollato sopra le fotografie della sua infanzia a Riposto negli anni Cinquanta. Però, come dichiarato da lui stesso, non è un film autobiografico, infatti i ricordi della sua infanzia si limitano soltanto ai luoghi, agli oggetti e alle usanze che fanno da contorno alla storia dell’immaginario Ettore Corvaia. Ha usato i sogni e l’emancipazione del protagonista come un binario che ci porta attraverso tanti flash di rimembranze sul percorso Catania-Milano; e i cambi improvvisi fra la trama e le altre inquadrature non sono altro che introduzione, ritornello, refrain, ritornello, refrain, ritornello, finale, proprio come in una canzone, una canzone di quelle buone, di quelle che ti raccontano una storia invitandoti, per vederla, ad entrarci dalla porta di servizio e non da quella principale. La Madonna nera di Fossati parla di una processione religiosa, di una statua nera che si inclina, di un uomo che la sorregge e la paragona alla donna amata. Eppure è una canzone d’amore. Chi l’avrebbe mai immaginato se non l’avesse detto lo stesso Fossati? Questo è il bello di entrare dalla porta di servizio.Non pensavo che Battiato, cimentandosi al cinema quasi per gioco, riuscisse ad ottenere una fotografia degna di un regista con quattro oscar in bacheca. Ogni fotogramma è quasi un quadro. E poi i luoghi: Ragusa, Acicastello, Acitrezza, Catania e Palazzolo Acreide con i loro colori fanno già sceneggiatura; le suore con le tonache nere che si stagliano sulle facciate barocche di chiese costruite col tufo giallo, con lo sfondo del cielo azzurro… e poi la luce, l’immensa luce che c’è qui. Ungaretti deve essere passato da queste parti.Geniale la scena al macello, quando la cinepresa si sposta dalla mano armata di coltello - pronta ad uccidere l’animale – fino a salire sopra quel muretto affacciato sul mare dove si vede di spalle il piccolo Ettore, che non vuole più accettare quel mondo e sogna di veder passare il Rex dei suoi desideri e della sua fantasia, perché dentro di noi c’è sempre stato un Rex, simbolo di una partenza liberatoria che ti porta via.Gli oggetti, le situazioni, le battute necessarie per riportare lo spettatore indietro nel tempo sono tutti molto curati e, come uno storico consumato, Battiato non ha mai lasciato niente al caso. Nel bagno di casa Corvaia il padre con la brillantina in pomata davanti a un autentico specchio che si usava negli anni Cinquanta e dieci anni dopo il figlio con altro tipo di gel, altri pettini, altri specchi, altre canottiere, altro tutto (ma dove li ha trovati?). Tutto è stato messo al suo posto, minuziosamente, come in un museo di modernariato.
Ho letto della visione metafisica di Battiato riportata in questo film. Mah…io non ne capisco niente di metafisica, forse sto parlando di metafisica e nemmeno me ne rendo conto. Comunque, le immagini presentano con dovizia di particolari una generazione e un mondo che non c’è più. Alcune cose me le ricordo e sono arrivato in tempo a vederle, anche se sono più giovane di Battiato: il mangiadischi, le seicento, quelle lampade sulle scrivanie, i complessini che suonavano su un palchetto con tastiere Farfisa traballanti e con improvvisati impianti di amplificazione, le uova acquistate in campagna, ecc. E anche i modi di dire e di fare: con calma, senza fretta, senza stress; ritmi molto cadenzati, perché allora di tempo ce n’era tanto e di cose, a differenza di oggi, se ne facevano poche ma buone. Le ventiquattro ore di un giorno sembravano non finire mai e, a volte, la salutare partita a briscola nel film serviva ad esoricizzare certe situazioni. Oggi sembrerebbe una cosa inutile e noiosissima e si scapperebbe subito presso lo studio di un consulente familiare, per non perdere tempo. Sempre per non perdere tempo.Perché non lo fermiamo questo tempo? Dalle parti di Acireale, in una frazione incastonata fra giardini di limoni e il mare, c’è un bar a conduzione familiare che produce una granita di mandorla buonissima, ma il servizio è pessimo. Può capitare di ordinarla e sentirsi rispondere "Ora a voli? Si facissi du passi ca poi a facemu!". Magari poi te la preparano subito, anche a mezzanotte, ma quelle lamentele sprigionano tutto il folclore e la sottile ironia che circolano da queste parti. I catanesi lo sanno, ci vanno apposta e stando al gioco si divertono a ricevere le risposte più colorite alle loro richieste. E fanno questo anche per passare tempo, e questo da noi si chiama "sbaddu" (spiego altrove cosa significa). Il bello viene quando capita da quelle parti una famigliola del Nord che si incazza quando riceve quelle risposte, risposte che non comprendono, perché la loro vacanza è tutta programmata e il tempo destinato all’assaggio di quella prelibatezza era soltanto di venti minuti, sempre per non perdere tempo. E invece non sanno che il divertimento è proprio lì, cogliere l’attimo di certe situazioni occasionali, sfruttarne tutti i suoi aspetti positivi e spassosi, senza guardare l’orologio o il telefonino.Devo dire che il film mi ha affascinato fin dall’inizio. Tanto ne ero preso che nel finale vengo pure colto di sorpresa: "Oh, guarda chi c’è… che ci fa De Gregori qui?", quasi dimenticando il motivo della mia presenza in quel cinema. Subito dopo, però, ho sollevato istintivamente la mia mano destra quasi a cercare il testo "rewind" del telecomando. Devo dire che nella parte del musicologo che parla di catarsi e sciamani si è comportato davvero bene, complimenti.La Sicilia, chiaramente, non è più come quella descritta nel film, anche qui la gente corre e pigramente si affida alla tecnologia perché è più comodo e non fa perdere tempo. Il cucito non si fa più come in quel bellissimo cortile circondato da banani, dove le donne, fra l’ago, la lingua e il ditale (facendo finta di essere sottomesse) regolavano il destino dei loro uomini. E’ sempre stato così, in Sicilia hanno sempre comandaro loro.La battuta finale di Sgalambro, seduto al tavolino di un bar in una piazza assolata, simboleggia tutto il nostro modo di essere: "La Sicilia esercita un diritto di appartenenza. Per favore, una granita alla mandorla".
E’ vero, siamo fatti così. Seduti a un tavolino, con una granita di mandorla davanti e stavolta PER perdere tempo, volutamente, quaggiù siamo ancora capaci di consumarla impiegandoci anche due ore filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando, filosofando …
(M.R.)