C'è una bella differenza tra un fallimento e un fiasco. Con queste testuali parole parte la nuova fatica di Cameron Crowe, ex free lance del Rolling Stone Magazine ormai da anni impegnato nel cinema, che c'ha raccontato la storia della sua vita nel carinissimo ALMOST FAMOUS. Questo nuovo lavoro può forse entrare nella seconda categoria, quella dei fiaschi (o sòle, fate voi). Un tempo avevo detto che Crowe ha talento da buttare come sceneggiatore, ma la concezione di macchina da presa per lui è troppo "liceale", troppo unilaterale, spesso priva di profondità e personalità. Anche qui non fa eccezione, con la differenza che dirige uno script lento e macchinoso, con qualche intuizione buona, ma poco pimpante e a tratti davvero poco interessante. Bloom è una chiavica, inespressivo fino al midollo (coinvolto oltretutto in un personaggio che ha dell'idiota, giusto per confondersi spesso tra California e Oregon), la Dunst è succube di un personaggio insopportabile che rende automaticamente insopportabile pure lei (l'avrei fucilata all'istante, appena compare in scena sull'aereo), si salva la Sarandon ma non è uno sforzo poi così grande visto l'apporto dei due tizi sopracitati. Alla fine la musica con il cinema di Crowe c'entra sempre, e ci ritroviamo a Beale Street a Memphis a parlare di blues, passando per l'Oklahoma e il Kansas a gettare le ceneri di padre di cotanto figlio (idiota). Fin troppo presente e pesante l'uso delle musiche, Crowe esagera manco fosse un D.J., abusando anche forse della sua stessa passione. C'è però da dire che c'è una bellissima versione acustica di BIG LOVE di Lindsey Buckingham. Ma questo non basta.
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They say he travels fastest who travels alone
But tonight I miss my girl, Mister, tonight I miss my home