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La "macchia" di Lega

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2007 11:39
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A Forlì, nel complesso di San Domenico, una mostra celebra Silvestro Lega, protagonista tra i più suggestivi e singolari dei Macchiaioli. Circa 60 opere ripercorrono la sua vita, in un confronto inedito con i maestri del Quattrocento, fonte d'ispirazione del movimento toscano

Forlì - Solo, seduto sugli scogli, vestito di tutto punto, con tanto di giacca e cappello, intento a dipingere al riparo dal sole cocente sotto un ombrello bianco. Assorto nella contemplazione delle onde che si infrangono in quella insenatura di rocce. Calato nella natura con il corpo e l'anima, a cogliere l'essenza più autentica di quello spettacolo dal vero. Così Giovanni Fattori ritrae l'amico Silvestro Lega nel 1866, rivelando con l'abilità di brevi e rapidi tratti di colore, tutti giocati sull'intensità dei toni, la personalità genuina e solitaria di questo grande artista. Una natura particolare, un carattere bizzarro fino quasi alla patologia, un'indole introversa, seppur fervente patriota repubblicano e garibaldino, di idee laiche e progressiste, uno spiccato simpatizzante anarchico, che si lasciò sopraffare dall'entusiasmo per i moti quarantottini tanto da arruolarsi volontario nella prima guerra d'indipendenza contro l'Austria. Un fine pittore che è diventato uno dei protagonisti più suggestivi e singolari del gruppo toscano dei Macchiaioli, quel "manipolo" di artisti che diede una bella sterzata all'arte italiana dell'Ottocento, introducendo nella pittura l'ambizione a cogliere "l'impressione del vero", con il vezzo, decisamente antiaccademico, di rifiutare disegno e forma a favore dell'effetto tonale, un azzardo sperimentale che la critica più attuale, al di là di uno sciovinistico puntiglio, vuole anticipatrice dell'impressionismo francese.

Un artista, Silvestro Lega, che come scrisse nella sua commemorazione l'amico Telemaco Signorini, con cui condivise la stagione artistica di Piagentina, "rimase fedele al suo programma di produrre un'arte dove la sincerità del vero reale dovesse, senza plagio preraffaellita, ritornare ai nostri maestri del Quattrocento e continuare la sana tradizione, non più col sentimento divino di quel tempo, ma col sentimento umano dell'epoca nostra". A lui, che fece dell'esperienza del quotidiano la sua forza ispiratrice, è dedicata la bella mostra "Silvestro Lega, i Macchiaioli e il Quattrocento", che dal 14 gennaio al 24 giugno invade il complesso monumentale del San Domenico di Forlì, nuova sede della Pinacoteca e dei Musei civici, formato dalla chiesa (ancora in fase di restauro) e dal convento arditamente articolato su due chiostri, rivelato al grande pubblico dopo un lungo intervento di recupero già nel dicembre del 2005. E' la più ampia retrospettiva mai dedicata prima al pittore nato a Modigliana, proprio nel forlivese, nel cuore della cosiddetta Romagna toscana, curata da Fernando Mazzocca e Giuliano Matteucci che si avvale di un comitato scientifico coordinato da Antonio Paolucci, con Carlo Sisi, Maria Vittoria Marini Clarelli e Luisa Arrigoni. Una rassegna, organizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì, che raccoglie tutte le opere più note, i più chiacchierati capolavori, del grande macchiaiolo accanto ad una attentissima selezione di opere meno note o del tutto inedite. In tutto, una sessantina di opere di Lega, in modo da offrire, come dicono i curatori, "il meglio del meglio" dell'artista.

Lega arrivava alla "macchia" dopo una formazione tutta accademica. Da Modigliana, dove era nato nel 1826, si trasferisce a Firenze nel 1843 per iscriversi all'Accademia di Belle Arti, per poi frequentare lo studio di Luigi Mussini e la scuola di pittura purista. Dopo la parentesi del fronte, entra all'Accademia del Nudo, dove conosce Telemaco Signorini. Il suo entusiasmo romantico nella concezione di un quadro, pian piano si tramuta in interesse per lo studio dal vero, tanto che comincia a seguire i fermenti del nuovo gruppo di giovani artisti costituitosi nell'intento di liberare la pittura dai condizionamenti accademici. Ed è nel '60 che a Firenze comincia a frequentare il Caffè Michelangelo, divenuto sede privilegiata di animate discussioni artistiche, dove sfilano Fattori, Signorini, Giovanni Boldini, Raffaello Sernesi, Banti, Cecioni, Moricci, che tra serate bohèmien e solitudini bucoliche nella Maremma toscana, cambiarono in pochi anni il modo di percepire l'immagine e di dipingere, raggiungendo straordinari effetti di resa atmosferica attraverso una controllata stesura a macchie di colori intrisi di luce e di ombra. Ed è tra il '61 e il '62 che l'adesione, anzi la conversione, alla macchia, al gusto del vero, diventa ufficiale per Lega, anni in cui inizia il buen retiro nella piana di Piagentina, sotto l'accogliente ospitalità nella casa di Spirito Batelli, figlio del noto editore fiorentino Vincenzo, ritiratosi in campagna con moglie, madre e quattro deliziose figlie, in una villetta lungo l'Affrico, il piccolo affluente dell'Arno.

Il carattere introverso di Lega trovava finalmente una quiete mai conosciuta. Qui nasceranno le opere emblematiche che sfilano in mostra, e che compongono la "trilogia poetica" come "Il Canto dello stornello", il suo quadro più grande, secondo Signorini, dove l'esperienza del quotidiano viene celebrata con una gestualità quasi cerimoniale eppur naturalissima, dove Lega azzarda una arditezza metrico-prospettica con la sequenza di piani scanditi dalle tre donne davanti al pianoforte, lo strepitoso tendone cangiante sulla destra raccolto in un cordone e la finestra spalancata sul giardino a dominare tutta la parte sinistra della scena. "La visita", che appare come una sequenza fermata nel suo fotogramma più significativo, dove l'impianto sembra ricalcare una partitura quattrocentesca nella narrazione, che farà scrivere ad Adriano Cecioni nella sua recensione dell'opera: "questo artista ha il bel merito di fare un'arte locale che appartiene intimamente a Firenze. "Il pergolato", una delle raffigurazioni più poetiche e virtuosistiche della società borghese del tempo, e "La raccolta delle rose". Tutte opere dove si respira l'eleganza della vita borghese e la grazia delle fanciulle di casa Batelli, prima fra tutte Virginia, la maggiore, con cui intrecciò una forte e tenere relazione.

"Nella pittura macchiaiola convivono essenzialmente tre anime - dice il curatore Giuliano Matteucci - quella monumentale, virile e schietta di Fattori, l'altra borghese, eccentrica e raffinata di Signorini e, infine, la discreta, intima e poetica di Lega. Quest'ultima meglio delle altre riflette gli aspetti distintivi e caratterizzanti della grande tradizione dell'arte italiana, ovverosia il culto del disegno e il rispetto della forma". La caratteristica di Silvestro Lega è quella di instaurare nelle sue opere un dialogo di timbro realista in costante evoluzione. "Un dialogo che - aggiunge Matteucci - oltre ad apparire nelle sue infinite sfaccettature e implicazioni psicologiche più diretto e meno frammentario rispetto a quello di Fattori e Signorini, si rivela tanto incisivo e penetrante da costituire una sorta di trasposizione pittorica di quel grande ritratto della condizione umana lasciatoci da Cechov". Ma l'eden di Piagentina venne sconvolto dalla malattia, la tisi che, a poco a poco, contagiò e uccise tutte le donne della casa, per ultima, nel 1870, Virginia, l'amata, ritratta in tante tavolette e tele. Silvestro Lega lascerà Piagentina, dove la sua presenza aveva favorito il costituirsi in quella campagna di un cenacolo artistico dando origine alla cosiddetta "Scuola di Piagentina".

E inizieranno di nuovo gli anni di vita tribolata e solitaria. Anni lasciati sempre in disparte, nelle rievocazioni antologiche, anni che, invece, hanno accompagnato straordinarie immagini di uno stile oramai personale e che questa mostra ha il merito di proporre. Un percorso espositivo che punta a rivelare come Lega, seppur da outsider, abbia avuto la capacità di attraversare le vicende artistiche del secolo, rimanendo sostanzialmente fedele alle ragioni più intime della propria anima ed approdando al nuovo nell'arte, seguendo il filo di una intima e sofferta inquietudine. Lega ha saputo, infatti, portare avanti un cammino artisticamente fecondo quanto solitario scegliendo di vivere e lavorare nella campagna del Gabbro, nell'entroterra di Castiglioncello. Il "Dopo Piagentina" è segnato dal ritono nella natia Modigliana. Stilisticamente, il taglio verticale si sostituisce a quello orizzontale tipico di Piagentina e la tersa luminosità nonché le fini velature di colore neoquattrocentesche lasciano il posto a toni più caldi, "giorgioneschi", a nuovi impasti di colore adatti ad esprimere una più vasta gamma di sentimenti, consentendo una presa della realtà più diretta e immediata, oramai svincolata dagli amati parametri neo-rinascimentali.

Si delinea, in questi anni, lo stile dell'ultima maniera del Lega, quella qualificata come "concitata" in opposizione alla maniera "pacata" di Piagentina. Una crescente libertà di esecuzione è il carattere che distingue tutta la produzione degli anni del Gabbro, località nella quale Silvestro si stabilisce nel 1886, godendo dell'affettuosa ospitalità della famiglia Bandini, nella fattoria di Poggio Piano. Lega è attratto in particolare dalla femminilità esuberante e naturale delle popolane del luogo, le "gabbrigiane", con le loro pezzole variopinte, unico vezzo di una bellezza femminile vivace e rusticana. Le morbide colline del Gabbro, la severa dolcezza dei volti delle protagoniste di quel mondo rurale si intervallano alle immagini di "serena gaiezza" ispirate alla vita domestica delle donne di casa Bandini, raccontate con tanto colore e una fiera sicurezza di pennellata, quanto mai spettacolari per un vecchio pittore quasi cieco.

Ma al disturbo agli occhi si aggiunsero anche i primi sintomi del carcinoma allo stomaco che in due anni, nel 1895, lo porterà alla morte. Ma quando si indaga una personalità "macchiaiola" non si può non concedere udienza allo spirito collettivo e amicale che ha animato la storia del gruppo. Così, la mostra accanto ai lavori di Lega, opere di Fattori e Signorini, Cizeri, Banti, Borrani, Abbiati, Cecioni, Cabianca, Puccinelli e Zandomeneghi, protagonisti di quello spirito di un entusiastico rinnovamento. E per la prima volta, nelle rassegne dedicate al movimento, c'è anche un raffronto tra Lega, i Macchiaioli e la pittura del Quattrocento ed in particolare con Ghirlandaio e Piero della Francesca, sezione che vanta una ventina di sublimi capolavori. Scelta opportuna perché si farebbe un torto ai pittori della "macchia" non riconoscere quella ricerca della radice storico-lessicale toscana, quella intima affezione alla pittura del Quattrocento, alla sua nuova sensibilità per la ricchezza dei rapporti cromatici e per gli effetti di luce come elemento unificante della composizione, che sta alla base della loro arte "rivoluzionaria".



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"Silvestro Lega", dal 14 gennaio al 24 giugno, Musei di San Domenico, Forlì. La mostra, curata da Fernando Mazzocca e Giuliano Matteucci, è organizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì.

Orari: da martedì a venerdì 9,30 - 19, sabato, domenica, giorni festivi e il 9, 23 e 30 aprile, 9,30 - 20. La biglietteria chiude un'ora prima. Lunedì chiuso.

Ingresso: intero € 9, ridotto € 6 per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 e maggiori di 65 anni, speciale € 4 per scolaresche (scuole primarie e secondarie) e disabili. Gratuito per bambini fino ai 6 anni.

Informazioni: www. mostrasilvestrolega. it, mostra: 199.199.111, riservato gruppi e scuole (incluso visite e laboratori didattici): 02.43.35.35.22, servizi@civita. it. Alberghi: 0543 378.075 turismo@confcommercio. fo. it.
Catalogo: Silvana editoriale.



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Alcune opere di Silvestro Lega


Ritratto di Giuseppe Garibaldi, 1861


Un dopo pranzo, 1868


Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini



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