Racconto: MDZ - Apologia delle Muse

Probabilmente si erano fatti un’impressione sbagliata di lui. Avrebbero presto scoperto qual era il suo vero volto.
La porta si aprì, e Lui entrò strascicando i passi, infestando l’aria con la sua decadente e arrogante presenza. Al suo fianco, come al solito, tre donne. Totalmente diverse per attitudine, incomprensibilmente attaccate a quel relitto umano. Le uniche persone che avevano sopportato le sue alterazioni emotive, il suo contraddittorio cinismo, il suo esasperato edonismo.
Lui sedette al centro della sala insieme alle tre donne. Gli sguardi dei produttori lo penetravano come chiodi. Non capivano. Analizzavano la sua postura volgare, il suo lieve ansimare, il colorito malsano per l’abuso d’alcool. Nel suo corpo, come nei suoi scritti, non trovavano alcun segno delle Muse.
Dovevano scegliere. Scegliere se affossare o sostenere questo figlio di una gran puttana.
“Sei stato condannato per eresia, scrittore, come ti dichiari?” disse uno dei produttori, avvolto in una pesante tonaca inquisitoria.
La prima donna si alzò. Era conosciuta come Nat. Disse: “Puttanate. Questa non è un’eresia, non mi pentirò. Voglio vivere una vita d’incoerenza e morire ad un’età ragionevole. Chiedo troppo ?!?!?”. L’inquisitore tacque.
Subito dopo, altri tre produttori parlarono in coro. Tre scimmie, in abito da sera. Dalle loro tasche rigonfie cadevano sporadicamente banconote. Sulle loro labbra, era indelebile il puzzo di sigaro stantio. Una si copriva gli occhi, la seconda la bocca e la terza le orecchie. Dissero, frenetiche: “Qui si svolge un lavoro, chico. E’ un lavoro divertente, ma è pur sempre un lavoro. La merda che secerni dal culo vale quanto le righe che scrivi. Fanno ridere, ma nient’altro. Conigli. Clown. Tutte stronzate comiche. Ti do al massimo 1.000 copie. Qua non abbiamo sottomano l’Autore, ma solo un altro pipparolo underground. Non ne vale la pena.”
La seconda donna si alzò. Era conosciuta come Ely. Disse: “E con questo? L’inganno è alla base di ogni favola. Il mio lavoro è la dimostrazione che delle scimmie borghesi possono essere intrattenute con successo da uno stupido gioco di pupazzi... non è quello che le genti meccaniche desiderano ardentemente?” Le scimmie tacquero, pensose.
Il successivo produttore a parlare fu un’artista affermato, ineguagliato nella sua alta raffinatezza.
“Volete mettere l’oro nella polvere, seppellire l’Arte nella retorica. Dove sono gli Dei, l’Amore, le più alte metafore? Dov’è il bello, l’assidua ricerca estetica del sublime? C’è ingenuità, carenza tecnica nei tuoi mali scritti, giovinastro.”
La terza donna si alzò. Era conosciuta come Valentina. Rimase in silenzio a lungo, imbarazzata. Sussurrò, infine: “La bellezza è solo superficiale. La mia bruttura, al contrario, arriva fin sotto la pelle, scava tra i segreti perversi di voi poeti new age del cazzo.” L’artista tacque.
Dal suo seggio, al centro della stanza, Lui rise grottescamente. Le parole fluivano strascicanti dalla sua bocca, roche, spezzate, fastidiose.
“E’ tutta vanità. Solo vanità.” disse alla fine “Facciamoci una birra.”.