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BASEBALL
IL DOMINICANO DEI NEW YORK METS HA BATTUTO IL FUORICAMPO PIU’ VECCHIO DEL MONDO
Franco, home run a 48 anni
E’ ancora sport quello in cui è decisivo un uomo di quasi mezzo secolo? Lui è sereno: «Giocherò almeno fino a 50 anni»
24/4/2006
di Paolo Mastrolilli
NEW YORK. Supponiamo che un signore cicciottello di 47 anni entri in campo al Delle Alpi con la maglia della Juve, nel ruolo di centravanti titolare. Supponiamo che dopo una durissima battaglia contro il Milan, proprio lui scaraventi in porta il pallone della vittoria, con una pedata da metà campo. I tifosi, dopo la comprensibile esultanza, continuerebbero a credere che il calcio è uno sport?
La domanda viene posta pari pari agli appassionati di baseball, dopo che giovedì scorso Julio Cesar Franco è diventato il più vecchio giocatore della Major League americana a centrare un home run. Significa che il signore rotondetto ha caricato la mazza sopra le spalle, l'ha abbattuta come un boscaiolo sulla palla, e ha scagliato l'oggetto circolare pieno di piombo fuori dal Pecto Park di San Diego, dove i suoi New York Mets se la stavano vedendo con i Padres. Poi Franco si è fatto pure il giretto di campo intorno alle basi, raccogliendo l'applauso della folla. Complimenti per l'energia e la longevità, naturalmente. Ma lo sport? Una disciplina che consente ad un signore di 47 anni, quasi 48, di essere protagonista al massimo livello, è uno sport o un dopolavoro?
Julio è nato il 23 agosto del 1958 a Hato Mayor, nella Repubblica Dominicana. Come tutti i ragazzini del suo paese sognava di riscattarsi dalla povertà prendendo a mazzate le palle da baseball, e pareva capace. Perciò il sogno si era realizzato nel 1982, quando i Philadelphia Phillies avevano deciso di dargli la chance della sua vita nella Major League americana. Lui non se l'era fatta scappare. Aveva incassato convocazioni alle partite All Star e vinto premi come miglior giocatore, restando nel campionato più ricco del mondo fino al 1994. Allora, quando aveva 36 anni, i White Sox di Chicago lo avevano scaricato. Un altro avrebbe capito che era ora di andare in pensione e si sarebbe tolto di mezzo. Lui no. Si era fatto assumere dai Chiba Lotte Mariners, in Giappone, dove aveva continua la carriera. Lo considerava un esilio temporaneo, e infatti nel 1997 era già tornato a Milwaukee con i Brewers. Altro giro, altro taglio. Nel 1999 lo avevano scaricato i Tampa Bay Devil Rays, ma Julio aveva scrollato le spalle. Aveva fatto di nuovo le valige, prima per la Corea e poi per il Messico, dove con i Tigers era tornato a colpire come un ragazzino. Andava tanto bene che nel 2001, a 43 anni, lo avevano ingaggio gli Atlanta Braves per non mollarlo più, fino a quando nel 2005 i Mets gli hanno offerto un contratto biennale.
«Quello di giovedì - ha promesso serio Julio - non sarà il mio ultimo home run. Conto di farne un altro a cinquantanni». Significherebbe restare in campo fino al 2008, ma lui ci crede: «Il buon Dio mi ha dato il dono di saper giocare a baseball. Se mi regala altri due anni con i Mets, può tranquillamente arrivare anche a tre, e lasciarmi andare in pensione quando avrò mezzo secolo». Roba da bocce.
Se vai a guardare bene, però, capisci che Franco non è pazzo. Il migliore di tutti, Babe Ruth, andò in pensione a quarant'anni, e agli amanti del baseball sembrava ancora un ragazzino. Julio in questo momento è il titolare più anziano della Mlb, ma alcuni lanciatori come Phil Nierko e Hoyt Wilhelm lo avevano battuto. La regola, per chi sa di diamanti e mazze, è che fino a trent'anni puoi sempre sperare di cominciare la tua carriera nella serie A del baseball. E non è difficile crederci, perché se uno incontrasse fuori dal campo lanciatori di grido tipo Pedro Martinez o David Wells, al massimo potrebbe supporre che sono campioni mondiali di ingollamento birra. Senza offesa, hanno il girovita di un camionista di Brooklyn. Per non parlare poi dei sospetti di doping, che hanno già allungato un'ombra infame su carriere prestigiose e longeve come quella di Barry Bonds.
Ora i puristi del baseball perderanno la pazienza, urlando che il loro è uno sport di abilità e di testa, che non richiede di fare i cento metri in dieci secondi. Se uno ha la classe, il tocco, e le qualità mentali di concentrazione e furbizia necessarie a vincere, può restare un grande campione anche dopo i cinquant'anni. D'accordo. Ma sono tutti argomenti che potrebbero sostenere legittimamente anche i fuoriclasse degli scacchi, senza per questo pretendere una medaglia alle Olimpiadi.