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Bruce Springsteen Speciale Devils & Dust

Ultimo Aggiornamento: 01/05/2005 18:58
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Bruce Springsteen
Speciale Devils & Dust

Il nuovo album, canzone per canzone. E la storia di una carriera unica: dischi, libri, vita.

di Ermanno Labianca

C'è un'America che manda i propri diciottenni a uccidere e a uccidersi in un campo di battaglia lontano da casa, dove i diavoli e la polvere metterebbero paura a chiunque. E' quell'America che impedisce agli stessi diciottenni di bersi una birra in strada per festeggiare il fatto di aver riportato la pelle a casa. Quell'America che porta al disgusto e che Springsteen e altri musicisti hanno provato a ribaltare senza successo nello scorso ottobre, cantando forte durante il Vote For Change Tour.

Quell'America l'abbiamo già frequentata in Nebraska e in The Ghost Of Tom Joad. Quei dischi - dimensione casalinga per il primo, pochi collaboratori nel secondo - rovistavano il retrobottega, appunto, di un'America malmessa, tra disoccupazione, crimini e i sogni da esportazione dei messicani nati per trovare la morte al confine, abbagliati del loro american dream.

Se poi a quei fratelli che arrivano dal Sud, stanchi e fradici delle acque luride del Rio Grande, capita di trovare un varco di luce che gli consenta di infiltrarsi tra i gringos e di farsi una casa in California, in qualche comunità di conterranei, le prospettive non sono granché. Basta accendere il televisore a Los Angeles: un reality show, Gana La Verde (Guadagnati la Verde), a cui partecipano per lo più ispanici, offre un anno di assistenza legale per inseguire il sogno di ottenere un permesso di soggiorno. Per il permesso serve l'agognata carta verde, un miraggio per milioni di disgraziati clandestini che a casa, quella vera, facendo il percorso al contrario, non ci vogliono tornare. Ecco la necessità di pagarsi un buon avvocato. I soldi, in contanti, cash da mettere in altre mani, lì offre la rete televisiva, basta partecipare al giochino e farsi infilare un serpente nella camicia, farsi inchiodare in una bara di legno piena di topi, o mangiare scarafaggi vivi.

Evviva l'America del 2005, a ben vedere non migliore, forse anche peggiore, di quella cantata in punta di voce da Springsteen su The Ghost Of Tom Joad nel 1995, poi in tour fino al 1997. Nessuna concessione al mercato, allora. A Bruce bastarono una camicia, un paio di pantaloni da lavoro e i capelli tirati indietro per farsi ancora più operaio e riempire i teatri, chitarra acustica e armonica, proprio come aveva fatto il Dylan imberbe innamorato di Woody Guthrie. Nessuna concessione oggi, mentre le canzoni di Devils & Dust si fanno largo.

Il Bruce Springsteen del 2005, nervoso e fiero come Johnny Cash, Steve Earle e John Steinbeck in un corpo solo, ha messo in tavola niente altro che folk e country, speziando con il suo corroborante rock alcune tra le dodici canzoni del suo nuovo disco. Dodici, e non tredici come qualche voce aveva anticipato. La tredicesima non è mai stata in discussione, mai Springsteen aveva previsto una traccia "fantasma" che giustificasse l'adesivo "parental advisory", quello che avvisa i possibili acquirenti della presenza di espressioni non adatte ai minori.

Si era parlato di Santa Claus Gets A Blow Job, anche conosciuta come Pilgrim In The Temple Of Love, una canzone dal testo "forte", eseguita nel tour acustico seguito a The Ghost Of Tom Joad. Il protagonista è in macchina, nel parcheggio antistante un Topless Bar, nell'auto accanto un uomo vestito da Babbo Natale viene "intrattenuto" da una "danzatrice". La storia sembra proseguire in Reno, canzone inclusa nel nuovo album, ambientata nel Nevada, dove i Topless Bar proliferano accanto ai casinò. Qui si consuma un'altra storia "piccante" tra il protagonista e una prostituta. Precede l'incontro una contrattazione a dir poco esplicita ("Duecento dollari vanno bene /con duecentocinquanta puoi mettermelo dietro").

Questo spiega la presenza dell'adesivo e ci conduce subito al cuore del disco, visto che Reno porta, come diversi altri brani, un vestito country-folk e che, affiancato al resto, metterà d'accordo chi ha trovato affascinante la colonna sonora del film O' Brother Where Art Thou? dei fratelli Coen, con un vispo George Clooney, e chi scommette ogni sei mesi su Ryan Adams e sui suoi ruvidi dischi che mescolano Hank Williams e Rolling Stones.

"Storie di singoli individui, di uomini e donne in lotta con i propri demoni" aveva avvertito Springsteen annunciando settimane fa il suo nuovo lavoro. Non un concept come The Rising questa volta, ma poco ci manca, perché torna protagonista per intero, come nei due altri dischi realizzati in semi solitudine nel 1982 e nel 1995, un'America di periferia, piccola e dolente, vista attraverso storie e linguaggi che si assomigliano.

Si ha a che fare con la morte dal brano di apertura - Devils Dust, il primo ad aver circolato in radio - fino a quello di chiusura, Matamoras Banks, che viaggia sulle strade melodiche che furono di Hank Williams (Wedding Bells) e Johnny Cash (Give My Love To Rose, peraltro ripresa dal Boss per il tributo a The Man In Black). Dal sangue di chi continua a uccidersi in Iraq del primo brano ("Ho il dito sul grilletto ma non so di chi fidarmi" e "ti ho sognata la scorsa notte da un campo di ossa e melma") si arriva dritti a quello di un corpo riverso nel Rio Grande (echi dei temi toccati in The Ghost Of Tom Joad) e a quei due occhi mangiucchiati dalle tartarughe marine.

Se Matamoras Banks, con quel ritornello ripetuto più volte, starebbe bene nella voce di Tom Waits (pensare a Tom Traubert's Bluescon i toni più oscuri del Waits anni Novanta), tutto ciò che scorre tra l'apertura e la chiusura del disco strizza ben bene il repertorio messo insieme da Springsteen negli ultimi quindici anni. Quasi avesse preso coscienza dei limiti delle sue prove del 1992, da Human Touch e Lucky Town si riporta a casa la crema, ovvero la gioiosità country-gospel che fu di Leap Of Faith, Better Days e Local Hero, con le "red headed women" di casa (la moglie Patti più Soozie Tyrell e Lisa Lowell) a cantare dietro di lui.

Accade in Long Time Coming, qui più veloce e suonata che non nel tour acustico di dieci anni fa in cui esordì, tra violini alla Mellencamp, la pedal steel di Marty Rifkin a ricamare sotto e un ritornello fatto per alzare il volume. C'è anche Danny Federici, altro superstite della E Street Band, che suona l'organo come lui sa mentre il protagonista parla di ricominciare ("Questa notte rinascerò nudo e sotterrerò la mia vecchia anima, per ballare sulla sua tomba") e riaversi da un'infanzia che riecheggia i conflitti già espressi da Independence Day (qui si ascolta "mio padre era uno straniero per me / viveva in un motel downtown / potevo incrociarlo, come fosse uno qualunque").

C'erano forti tracce di redenzione e fede negli album "gemelli" del 1992. Come qui, dove si incrocia spesso, ma soprattutto in Jesus Was An Only Son, quel California Pop Gospel a cui Springsteen si era riferito nel suo discorso di introduzione del collega Jackson Browne nella Rock'n'Roll Hall of Fame. "Se Warren Zevon poteva essere Caino, chi se non Jackson Browne potremmo eleggere ad Abele, con quella sua voce dolce sempre alle prese con le difficoltà dell'amore e sugli ostacoli della vita da superare con fatica?".

Quel giorno Bruce evidenziò il valore di quello stile caldo e gentile. Si riferì - sempre parlando di Browne - a "quegli accordi che cambiano in Rock Me On The Water e Before The Deluge, canzoni gospel, nent'altro che gospel". Il suo gospel di Devils & Dust, Springsteen lo incastra nella melodia di questa bella canzone, con gli appoggi del pianoforte a farti venire i brividi che diedero The Price You Pay e Factory e con una scrittura a metà strada tra quella di "Abele" Browne e di "Caino" Zevon. L'immagine di apertura, "Gesù figlio unico, in salita verso il Monte Calvario e Maria alle sue spalle su un sentiero sporco di sangue", è evangelica e apre stupendamente le porte di un brano che parla di un distacco atroce da sopportare ma sereno ("Dormi tranquillo figliolo / resterò al tuo fianco /nessuna ombra e nessuna oscurità disturberà i tuoi sogni stanotte").

Chi aveva temuto un album molto diretto verso la direzione di The Ghost Of Tom Joad, con pochi cambi di marcia e una voce narrante forse un po' piatta, dovrà ricredersi saltando da Maria's Bed a All The Way Home, fino al falsetto di All I'm Thinkin' About Is You. I tre brani incrociano con vivacità blues, rock e folk, privilegiando una ritmica decisa e facendo spuntare anche una chitarra elettrica (nel primo caso).

Sul terreno dell'alt-country Bruce si muove finalmente a suo agio, senza induigiare troppo e finalmente mescolando il tutto con grande efficacia grazie al lavoro del produttore Brendan O'Brien, che dalle esperienze con i Pearl Jam si era riportato a casa, e l'aveva fatta fruttare anche in The Rising, la capacità di tenere molti strumenti stretti tra loro con bella forza rock in un mix assai compatto. Maria's Bed arriva vergine a questo disco, le altre due composizioni no, perché All The Way Home è la versione trasfigurata di una bellissima ballata ceduta nel 1991 a Southside Johnny. Qui si perde la melodia, la canzone è tutt'altra cosa, a tal punto che sarà difficile seguirla per chi avesse familiarità con la prima incarnazione.

Anche All I'm Thinkin' About Is You, quasi un gioco, un rock'n'roll dalle tinte blues cantato a bassa voce, quasi nella stanza accanto riposassero dei bambini, rispolvera una vecchia idea, nata sul palco del tour di Tom Joad con un altro titolo (There Will Never Be Any Other For Me But You). Combaciano parti di testo, spunti e vocalizzi e anche la chitarra conduce allo stesso modo. Naturalissimo, molto apprezzabile nei tre episodi il drumming di Steve Jordan, batterista che dopo aver visto accanto a Keith Richards, James Taylor e molti altri avremmo sicuramente apprezzato sul palco al fianco di Springsteen (che arriva in tour in perfetta solitudine).

Una chiara conferma che i semi di questo disco sono stati piantati dieci anni fa arriva anche da The Hitter, praticamente intoccata rispetto alle sue prime uscite nei teatri. Siamo al Sud, dove un pugile suonato, tradito e ingrigito, ma privo di rimpianti, rilegge la sua vita con docile rassegnazione ("non ho nulla da chiederti / non c'è niente che tu debba dire, ragazza / lasciami soltanto sdraiare e troverò la mia strada"). A qualcuno il soggetto ricorderà Hurricane di Bob Dylan, che nel 1975 invocava la libertà per Rubin Carter, tirapugni professionista accusato di omicidio. E proprio a Dylan e alla sua scrittura di metà Settanta (Blood On The Tracks e dintorni) Springsteen si rifà nell'esecuzione, supportato da una sezione fiati leggerissima, dagli archi dei Nashville String Machine (che compaiono anche altrove) e pronto a tornare sul terreno di Morricone quando di tratta di lanciare ancora il falsetto che porta lontano, verso C'era una volta il West.

Appartengono alla stessa genia Black Cowboys e Silver Palomino, scenari desertici, lo spagnolo a colorare i versi, dove la prateria diventa "pradera" e i monti sono "serrania". Fa tutto Bruce, l'aria è quella dei film musicati da Ry Cooder, possibili dischi di riferimento Paris, Texas e Alamo Bay. Ancora una vita che se ne va, una madre che muore, un figlio giovanissimo che si confronta con la vita e un senso di sconfitta palpabile. E' border music, quella che Joe Ely e Tom Russell suonano da sempre, e che Dave Alvin ha scoperto dopo aver lasciato i Blasters.

La California soul di Zevon e Jackson Browne si è spinta anche fin qui tempo fa, con canzoni come Carmelita e Linda Paloma. E' un grande cerchio che si chiude. Va ricordato che Browne e Bruce sono amici dalla notte dei tempi (fu Bonnie Raitt a farli conoscere al concerto acustico di uno dei due, anno 1972) e che Springsteen e Zevon hanno composto insieme (Jeannie Needs A Shooter) e insieme hanno vissuto l'ultima pagina (l'album The Wind) della carriera dello sfortunato californiano scomparso nel 2003.

Leah, che ha il titolo "indossato" anche da un vecchio brano di Roy Orbison (altra importante frequentazione musicale di casa Springsteen) ma che è composizione originale, è molto godibile. Ancora una volta Springsteen è polistrumentista (a lui chitarra, tastiere e percussioni), pronto a guidare una melodia gentile che il tocco della tromba di Mark Pender (reclutato dai Jukes di Southside Johnny) sposta nuovamente verso il confine col Messico. "Vorrei trovarmi un mondo dove l'amore sia l'unico suono" canta il protagonista, che poi aspira a "una vita nella stessa casa, nello stesso letto, accanto a Leah".

A qualcuno mancherà lo Springsteen muscolare visto recentemente in tour. Devils & Dust, più ancora di dischi che almeno concettualmente gli assomigliano, lo scopre cantautore a tutto tondo ed è raccolta di canzoni più articolata e variopinta che in altri casi. Un tour con al fianco una piccola band country-folk come quella con la quale era stato fatto un tentativo di prova un mese fa (O'Brien al basso, Nils Lofgren alle chitarre, Soozie Tyrell al violino, Danny Federici all'organo e Steve Jordan alla batteria) avrebbe fatto brillare ulteriormente queste canzoni preziose. Avremmo rivissuto forse il clima della Rolling Thunder Revue. Ma come sempre l'ultima parola spetta all'autore.

Springsteen si è meritato la nostra fiducia con una carriera accorta, senza sprechi (vale il ritardo con cui ha pubblicato Tracks, canzoni che potevano riempire tre, quattro dischi di successo) e con una coerenza che merita rispetto. Continuare a camminargli accanto, scrutandone silenziosi ogni movimento, soprattutto quando riesce a essere ancora così convincente dopo tanta strada, è un dovere.

Sito ufficiale Bruce Springsteen

- DISCOGRAFIA 1973-87
- DISCOGRAFIA 1987-2005

- Vita da boss - Da Kataweb Musica

01/05/2005 18:58
 
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