Bene, inizo con il postare qui una delel storie a cui tengo di più, e che secondo me, mi è riuscita meglio.
Penso che presto vi apporterò qualche revisione qua e là, comunque sarei felice se mi faceste sapere cosa ne pensate!
Ps: siccome il post risulterebbe tropo lungo, ne posto due di seguito, ma si tratta di un'unica storia!
SATURDAY LOVE
"Sei…"
Ecco la prima cosa che pensai in quel momento e anche dopo, quando mi ritrovai a fissare il vetro bagnato dell'auto.
Quella giornata era cominciata male e sarebbe finita anche peggio, l'avevo detto e l'avrei ripetuto fino alla fine dei miei giorni. Una di quelle giornate in cui SAI che tutto andrà male e basta, che per quanto tu tenti di cambiare le carte in tavola, non ci riuscirai mai. Ecco come definire quell'assurdo sabato di fine maggio.
Gli esami erano quanto mai prossimi, l'aria era tiepida, il sole batteva forte sulle nostre teste e noi ci sentivamo sempre più prigionieri di quelle pareti. Non vedevamo l'ora -e io più di tutti- di superare quei maledettissimi esami e lasciarci quel periodo alle spalle.
Quella mattina guardavo fuori dalla finestra, meditabonda. Non avevo alcuna voglia di ascoltare la prof. di filosofia che continuava a parlare di un certo Karl Popper, l'unica cosa che in quel momento desideravo con tutta me stessa era trovarmi su una comoda sedia a sdraio e lasciarmi cullare dal dolce tepore primaverile, dimenticando tutto e tutti: gli amici, i prof., i genitori…
Apatia, ecco l'unico termine che potrebbe descrivere il mio stato in quel momento. Apatia.
Non fu tuttavia la voce della professoressa ad attirare la mia attenzione e neanche il suono della campanella che annunciava il tanto desiderato intervallo, ma due voci alle mie spalle che sembravano litigare.
Mi voltai infastidita. 'Piantatela!' avrei voluto urlare, ma le parole mi morirono in gola.
"Sei un idiota! Non riesco a capire se tu lo faccia apposta oppure no!"
"Se ti ho detto che non voglio venirci c'è qualche problema? Io voglio solo restarmene a casa!"
"Ma avevamo programmato questa serata da due più di due settimane!"
"Vacci tu, io me ne resto a casa! Non vedo quale sia il problema…!"
"Il problema è che da un po' di tempo tu non vuoi più uscire con me! Sei freddo e distante… non mi vuoi più, non è così?"
"Miriam, ma si può sapere cosa…?"
"Alberto, so che è così. Ti conosco abbastanza bene per capirlo!"
"Ma ti sembra una discussione da fare davanti agli altri?"
"Beh, che problemi hai? Tanto ora o stasera lo verranno comunque a sapere!"
Miriam se ne andò dalla classe lasciando noi tutti come degli stupidi. Quella sera ci sarebbe stata l'inaugurazione dell'unica discoteca che esistesse nel raggio di 50 km e, caso strano in una classe come la nostra, dagli interessi eterogenei, avevamo deciso di comune accordo di andarci tutti insieme. Entrata e consumazione completamente gratis: chi avrebbe mai rifiutato una proposta così allettante? Solo Alberto, ma per una volta, avrebbe fatto uno strappo alla regola per amore di Miriam e sarebbe sceso in pista. Ma forse non era destino.
Alberto era stato mio compagno di classe fin dalle scuole elementari, eppure non avevamo mai instaurato un buon rapporto. La verità era che non avevamo mai avuto l'occasione di parlare per più di cinque minuti. Forse, se fosse accaduto, avremmo anche potuto diventare buoni amici. Chissà.
Miriam non potevo definirla la mia migliore amica, ma comunque eravamo sempre state molto legate fin da quando, tre anni prima, eravamo state compagne di banco. Era un tipo molto dolce e solare, che non amava raccontare i suoi problemi, ma che invece riusciva a sfogarsi con chi sapeva ascoltarla e consigliarla. E io ero una delle poche privilegiate in grado di farlo.
Quando entrai in bagno la trovai con la fronte appoggiata al freddo vetro della finestra, i pugni chiusi, gli occhi serrati per non permettere ad alcuna lacrima di uscire. Il tipico atteggiamento che assumeva tutte le volte, rare per fortuna, che si sentiva veramente giù.
"Miriam…"
Non ci fu bisogno che aggiungessi altro. La raggiunsi, l'abbracciai e lei scoppiò in un pianto irrefrenabile. Restammo qualche minuto così, in silenzio, poi, le chiassose urla dei ragazzi che uscivano dalle aule per affluire nei WC, ci costrinse ad allontanarci da lì. Proposi allora di fare un giro nell'atrio, all'aria aperta. La dolce aria primaverile non avrebbe potuto fare altro che giovarle.
Il luminoso sole di giugno illuminava completamente l'ala, già piena di studenti, per la maggior parte coppie. Mi guardai in giro e compresi che forse non era esattamente il luogo più salutare per lei, così, decisa, la trascinai in classe. Come avevo previsto non c'era nessuno, tutti erano fuori per l'intervallo.
"Sicura che non vuoi mangiare nulla?" le chiesi.
Miriam scosse la testa e si chiuse nel suo silenzio. Non avrebbe resistito a lungo, lo sapevo. Le sue labbra fremevano nel desiderio di parlare, ma le sue guance erano ancora umide di lacrime. Aspettai qualche minuto, semplicemente standole accanto.
"E' da un po' di tempo che l'ho notato. Per Alberto non è più la stessa cosa. Lui non mi ama più." iniziò infatti lei all'improvviso.
"Dai non dire così!" fu il mio stupidissimo commento. Era vero, Miriam aveva ragione, c'era qualcosa nel loro rapporto che stava cambiando, ma non sapevo esattamente cosa fosse.
"E invece è vero e sicuramente l'hai notato anche tu. Vorrei soltanto.. che me lo dica in faccia, che non continui a farmi soffrire in questo modo."
"Forse vuole capire ciò che prova veramente…." 'O forse non sa come dirtelo', pensai in quel momento, ma non volli considerare quell'opportunità.
"Sono settimane che gli chiedo se per caso non gli ho fatto qualcosa…. Qualcosa che l'abbia fatto arrabbiare… ma lui non mi risponde. Si limita ad andarsene, senza aggiungere nulla… e non ritorna se non vado io a cercarlo!"
"Tu… tu lo ami, vero?"
Lei mi guardò per un attimo, poi annuì. In quel momento, non so perché, la invidiai, ma cercai comunque di sorriderle. "Coraggio andrà tutto bene.. soprattutto per una coppia come la vostra. E se per caso vorrai ancora sfogarti, io sarò sempre pronta ad ascoltarti!"
La campanella segnò la fine dell'intervallo e i nostri compagni iniziarono a tornare in classe, le facce depresse al pensiero di dover trascorrere altre due ore fra quelle mura. Vidi Miriam asciugarsi velocemente le lacrime, cercando di evitare gli sguardi curiosi e preoccupati degli altri. Soltanto quando rientrò Alberto la vidi alzare lo sguardo per un secondo per incontrare il suo. I loro occhi si incontrarono per un attimo, ma Alberto fu il primo a scostare lo sguardo, incontrando invece il mio. Cosa vi si poteva leggere? Nulla, come sempre. Dopo tredici anni, quel ragazzo continuava ad essere un mistero per me.
Uno…
Aprì la porta di casa e uno strano profumo colpì i miei sensi. Non era quello di un buon piatto caldo, come invece ci si potrebbe aspettare alle 2.00 di pomeriggio, appena rientrati da scuola, ma uno completamente diverso. Un profumo di donna. Non il profumo che hai imparato a conoscere dalla nascita, inconfondibile.
Ci risiamo, sospirai. Lei è stata qui. La compagna di mio padre. La sua 'vicina' la definiva lui, ma mia madre sapeva che erano amanti, per questo lo aveva lasciato. Una donna antipatica, secondo me, ma non brutta. Una di quelle che odi per motivi privati, ma che in altre circostanze avresti anche potuto trovare simpatica. C'era una sola cosa che mi piaceva di lei: il suo profumo.
"Salve pa'" salutai.
"Cosa?" Il suo volto stupito si affacciò allo stipite. Quando i suoi occhi mi riconobbero si allargarono per la sorpresa. "Monica sei tu! Ma cosa…?" poi, come colto da una improvvisa ispirazione "Oggi è sabato!"
Già, sabato, il giorno in cui andavo da lui e poi mi riaccompagnava dalla mamma. Avevo scelto io il sabato per stare con lui: la sua casa era molto più vicina al centro e dunque era più facile raggiungere i miei amici la sera. Inoltre mio padre aveva la macchina, cosa che a mia madre invece mancava, così poteva riaccompagnarmi da lei anche sul tardi.
"Te ne sei scordato, vero?" chiesi. Inutile, neanche la vita da single gli era servita per migliorare. Forse, se non fosse stato per Tania, la sua 'vicina' non si sarebbe neanche ricordato di pagare le bollette.
Lui abbassò il capo. Colpito e affondato.
"E naturalmente hai dimenticato che oggi è il 31 maggio, vero?"
"Il 31 maggio?" Questa volta mio padre impallidì. Quella notte l'avrei trascorsa da lui, dato che la mamma era andata a Siena per trovare mia zia, che aveva appena partorito. "E ora?"
"Che succede, caro?" chiese una voce dalla cucina. Sentì dei passi avvicinarsi, finché anche la sua testa rossiccia spuntò dalla cucina. "Oh, ciao Monica!"
Mio padre guardava ora me ora Tania, senza decidersi. Non volevo dirgli ancora che quella sera mi sarei ritirata molto tardi, volevo lasciarlo sulle spine ancora per un po', dato che volevo vendicarmi per essersi scordato di me.
"Qualche problema?" chiesi angelica. Bastarda, ecco la parola giusta per definirmi in quel momento.
"No è che… stasera avevo una cena con dei colleghi di lavoro…."
Ma guarda, e da quando in qua colleghe e vicine sono sinonimi? Avrei voluto dire, ma la mia espressione perplessa doveva essere palese, infatti "E io avevo chiesto a Tania di accompagnarmi… ma visto che sei qui forse dovrei disdire….." aggiunse guardando la sua 'collega'.
"Non occorre. Sai oggi apre una discoteca e avevamo deciso di andare a vedere di cosa si tratta. Una mia amica mi aveva detto che potevo andare a dormire da lei nel caso fossimo rientrati tardi… o da noi, visto che stasera non ci sei…." Aggiunsi guardando intensamente Tania.
L'espressione sul volto di mio padre si distese all'improvviso tanto da sembrare l'uomo più felice di questa terra. "D'accordo, fa come ritieni giusto. Ma ricorda alle 5.00 massimo ti voglio a letto. E guarda che controllo."
"Ok capo!" feci imitando un marinaio, Anche se non potevo vedere quella donna, non volevo rovinare la serata a mio padre. L'importante era che non mi chiedesse di diventare sua amica o cose simili.
"Bene e ora a tavola!" esclamò raggiante Tania, contenta che la serata non avesse subito cambiamenti e ci precedette in cucina.
Guardai il piatto di fronte a me, poi guardai mio padre, ma lui scostò lo sguardo. Broccoli. Io odiavo i broccoli. Era l'unica pietanza che odiassi. Troppi ricordi mi legavano a quel piatto. Fu davanti a un piatto come quello che un giorno, quattro anni prima, mio padre mi annunciò che lui e la mamma volevano divorziare. E da allora non ero più riuscita a mandarli giù. (e io li odio semplicemente perché mi fanno schifo! NdNaco chan)
In quel momento, davanti a quel piatto, odiai mio padre, mia madre e quella donna con tutta me stessa.
"Io me ne vado in camera. Per lunedì ho molto da studiare e non vorrei non riuscire a finire in tempo." Tagliai corto alzandomi in piedi.
"Ma come Monica! Non hai assaggiato neanche una cucchiaiata!" cercò di trattenermi Tania.
"Scusami, il fatto è che non ho molta fame. Me li mangerò più tardi." Risposi e, prima che cercasse ancora di fermarmi, andai a chiudermi in bagno.
Aprì il rubinetto dell'acqua calda e lasciai che le gocce d'acqua dolce si unissero a quelle salate che bagnavano le mie guance.
Li odiavo, LA odiavo! Lei aveva distrutto la mia famiglia, diviso i miei genitori. E per quanto volessi dimenticare, per quanto volessi placare questo mio rancore, sembrava proprio destino che non ci sarei mai riuscita.
Chiusi gli occhi e restai per non so quanto tempo sotto quella doccia così rinfrescante, capace di lavare il mio dolore e la mia solitudine. In quella stanza sembrava quasi che il mondo esterno non potesse toccarmi o ferirmi in alcun modo.
Due…
Fu il suono di un cellulare a svegliarmi. Istintivamente guardai l'orologio sul comodino: le 17.30. Accidenti, mi dissi, possibile che avessi dormito così tanto? quella doccia calda, le lacrime e il dolore che mi avevano chiuso lo stomaco, avevano trasformato la fame in sonnolenza,.
Balzai in piedi e corsi ala ricerca del cellulare. Era lì, sulla scrivania di quella che ormai da tempo era la mia seconda camera, quella che mio padre mi aveva assegnato quando aveva cambiato appartamento e che quando non era occupata da me, fungeva da camera degli ospiti.
"Pronto?" chiesi.
Non mi rispose nessuno, sentivo soltanto un pianto sommesso dall'altro capo del telefono.
"Miriam?" provai titubante.
I singhiozzi si fecero sempre più sommessi, finché non si sentì il silenzio. Allora provai a richiamarla.
Nessuna risposta.
Improvvisamente una paura folle si impadronì di me. "Arrivo!" dissi soltanto prima di riagganciare.
Mi preparai in un lampo, poi corsi nel salotto per salutare mio padre. Entrai come un fulmine, senza neanche avvisare della mia presenza e questo fu il mio errore. Appena infatti fui sulla soglia una scena che non avrei mai voluto vedere si presentò ai miei occhi: stesi sul divano i due 'colleghi' si stavano baciando con passione e sicuramente, se fossi rimasta qualche secondo di più, li avrei visti iniziare a spogliarsi. Disgustata tossicchiai per mostrare la mia presenza.
Mio padre era visibilmente imbarazzato, ma cercò di non darlo a vedere. Invano.
"Che c'è?" chiese infatti con tono insolitamente brusco.
"Io vado da Miriam, tu che fai?"
"Beh, alle 19.00 ho quella cena…."
"Ho capito, allora… ci vediamo domani mattina!"
Annuì e "Mi raccomando sta attenta!" mi fece.
'Sta attento tu a non darmi un fratellino tanto presto!' avrei voluto rispondere, ma mi limitai a un semplice "Ok!"
"E con queste fanno tre!" mi trovai mio malgrado a pensare.
Neanche dieci minuti dopo suonai il campanello di casa Donetti, mentre il cuore mi batteva a mille. Non era soltanto colpa di una corsa al limite della resistenza, ma soprattutto la preoccupazione che la mia amica potesse commettere qualche stupidaggine. Conoscevo il suo carattere ipersensibile e temetti che fosse troppo tardi. Calmati, continuai a ripetermi mentre aspettavo che qualcuno mi aprisse, calmati, smettila di essere così drammatica. Miriam è sensibile, sì, ma non una stupida. No, andava tutto bene. Doveva andare tutto bene.
Suonai una seconda volta, con più forza. Possibile che non ci fosse nessuno in casa?
Stavo già per suonare una terza volta, e già ero pronta ad abbattere la porta per vedere se Miriam stava bene, quando si aprì uno spiraglio e vi apparve il volto dell'oggetto della mia preoccupazione.
"Mi… Miriam!"
I suoi grandi occhi scuri si riempirono di lacrime, un secondo dopo me la ritrovai piangente fra le braccia. La tenni stretta a me con fare protettivo, senza capirci nulla. O meglio, intuendo qualcosa, ma speranzosa di essermi sbagliata.
"Alberto non verrà stasera. Ci siamo lasciati." Mi disse all'improvviso.
Persi l'equilibrio per un attimo. 'Lasciati'. Era un verbo che non avevo mai pensato che sarebbe finito un giorno anche nella loro storia, che consideravo assolutamente perfetta, come quella dei miei genitori. Ancora una volta mi ero illusa. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Volevo piangere. Piangere per le coppie che si lasciano, per l'amore che finisce. Perché tutto prima o poi finisce. Anche le cose che sembrano dover durare per sempre.
La staccai da me per guardarla negli occhi. vi riconobbi lo stesso dolore che avevo provato quando i miei avevano deciso di separarsi. Non potevo vedere i suoi occhi colmi di quel dolore così intenso. Dovevo fare qualcosa, tirarla su.
"Ah, è così!" feci allora con l'aria più strafottente che potessi assumere. "Non sa che si perde! E noi glielo dimostreremo! Vieni dentro, che gliela facciamo vedere noi a quello stupido!" e me la trascinai in camera, fino alla sua stanza.
Guardai l'orologio. Le 18.00. "Bene, abbiamo solo tre ore prima di incontrare gli altri e abbiamo un sacco di cose da fare! Lavarci i capelli, acconciarli, trovare l'abito adatto…"
"No Monica… sei gentile a volermi tirare su, ma io non voglio venire stasera…"
Ma io non accettavo un no come riposta.
"Scordatelo!" la interruppi "Non voglio vederti morire dietro a un ragazzo che non ti merita! Ne troverai un milione migliori di lui!"
Lei si lasciò trascinare apatica, sapendo che quando mi mettevo una cosa in testa non la abbandonavo finché non l'avevo vinta.
Trascinai Miriam in bagno e la costrinsi a lavarsi e asciugarsi i capelli. Poi attaccai la presa della piastra e iniziai a stirarglieli. Non che in verità ne avesse bisogno. I suoi capelli era splendidi, ondulati, ma non crespi. Poteva andare benissimo così, ma volevo cambiarle un po' il look
La fissai nello specchio per un po'. i suoi occhi sembravano persi in chissà quali ricordi. No, non andava assolutamente bene.
"Ahi!" scattò ad un certo punto, balzando in piedi.
"Scusami! Ero soprappensiero!" feci, allontanando la piastra, ma non so perché, vedendola lì che si manteneva i capelli come se qualcuno dovesse portarglieli via, pronta a difenderli fino alla morte, le scoppiai a ridere in faccia.
"Guarda che fa male!" controbatté lei, visibilmente arrabbiata.
Lo sapevo, era capitato anche a me una volta, non c'era nulla da ridere. Eppure non riuscivo a fermarmi.
"Lo so….è che… hai un'espressione così buffa!"
La sua espressione divenne simile a quella di una belva inferocita. L'avevo fatta arrabbiare davvero stavolta, ma neppure quell'espressione riuscì a calmarmi, anzi.
All'improvviso anche la sua espressione si addolcì.
"Continui a ridere di me?" chiese con tono falsamente arrabbiato.
Per tutta risposta io continuai a ridere.
"Ah si?" fece e un lampo di malizia apparve nei suoi occhi, mentre si preparava ad attaccare. Sembrava un cane pronto ad avventarsi su una preda. E infatti un attimo dopo era già partita all'attacco, ma io la evitai anche se solo di pochi centimetri, ma lei non voleva demordere, infatti si pose nuovamente in posizione di attacco.
"BAU!" ringhiò e si lanciò contro di me. Indietreggiai, ma non mi accorsi che avevo raggiunto lo stipite della porta e che questa era chiusa.
Ci fu un tonfo e ci ritrovammo una sull'altra, la piastra volata chissà dove.
Ci guardammo per un attimo, poi scoppiammo a ridere proprio come due sceme. (Ndnaco chan: ok, la scena può sembrare un po' stupida… ma quando mi è venuta in mente, mi è piaciuta tanto che volevo inserirla! ^_^)
"Lo sai," commentai "Mi sei sembrata molto Inuyasha!"
Lei rise e una lacrima bagnò la sua guancia. Una lacrima di gioia.
"Bene, e ora torniamo al nostro lavoro!" dissi, cercando di calmare il mio attacco di riso, mentre cercavo la piastra. La ritrovai, con mio grande dispiacere nella vasca da bagno, completamente bagnata.
"O cavoli!" esclamai.
Miriam mi venne accanto "Che succede?"
Le mostrai la rovinosa fine che aveva fatto la sua amata piastra. Restammo parecchio indecise sul da farsi. La piastra era ancora accesa e cercare di recuperarla sarebbe stato un tentato suicidio. All'improvviso un'idea mi balenò in testa.
"Tua madre usa dei guanti di plastica per lavare i piatti?" chiesi.
Miriam mi guardò come se avessi parlato ostrogoto, ma annuì "E cosa c'entra ora?"
"Me li presti?" chiesi invece io e lei, anche se poco convinta andò a prendermeli.
Tornò poco dopo con due guanti verdi della Vileda.
Li indossai e per prima cosa corsi a staccare la presa della corrente, poi cercai di togliere un po' d'acqua dalla vasca.
Mi voltai verso Miriam, per spiegarle finalmente il perché della mia scelta.
"La plastica è un pessimo conduttore, così per lo meno non rischiamo di rimanere fulminate! Per ora lasciamola asciugare, poi vedremo che fare!" Ero soddisfatta: in fisica avevo preso sette, ma almeno dimostravo che nella pratica valevo almeno un po' di più.
Miriam si toccò la testa "Accidenti, non ci avevo pensato!"
"Ecco i dieci in latino che fanno!" la presi in giro io.
"Ma ora c'è un altro problema!" fece lei. Stavolta ero io che non capivo.
Lei si toccò i capelli: quelli di destra erano completamente stirati, quelli di sinistra invece no. Accidenti. Non esistevano materie per questi casi. L'unica cosa che potevo fare era usare un pizzico di fantasia. E quella fortunatamente per me, non mi è mai mancata.
"Hmm…" Non ero molto convinta, ma Miriam non ammetteva indugi. Mia era la responsabilità di quello che era successo, mio era il desiderio di vederla alla festa, quindi… che lavorassi! Mi fece capire, mentre mi metteva fra le mani spazzola e lacca con uno sguardo di sfida.
Sospirai. Non avevo scelta.
Quattro…
"Splendido!" esclamai guardando Miriam allo specchio.
Non per vantarmi, ma quel pomeriggio scoprì che avrei potuto diventare un'ottima parrucchiera. Le avevo raccolto i capelli non stirati tutti verso l'alto e glieli avevo fissati con lacca e ferretti; allo stesso tempo avevo preso quelli stirati, e dunque più lunghi, e li avevo sovrapposti agli altri, bloccandoli con un fermaglio dorato e con l'aiuto di almeno una trentina di ferretti. Risultato? Un bellissimo chignon che faceva risaltare il suo alto collo.
Miriam si guardò allo specchio e i suoi occhi si ingrandirono per la sorpresa.
"Caspita! Quando si dice che non tutto il male viene per nuocere!" esclamò guardando la piastra ancora nella vasca.
"Hai visto? Sono o no la migliore parrucchiera del mondo? E ora, forza, a scegliere un vestito per l'occasione!" e la trascinai in camera sua.
Non avrei mai creduto che sarei stata tanto veloce nel trovare un abito adatto a lei, visto che di solito per trovare qualcosa da mettermi impiegavo delle ore. Ma non appena lo vidi, quel lungo abito color della notte, stretto in vita e lungo fino alle caviglie, non troppo scollato, ma abbastanza da risultare elegante, decisi che quell'abito era adatto a lei.
"Questo!" esclamai esultante appena lo vidi.
Miriam lo guardò e i suoi occhi si velarono di tristezza. "Non posso."
Spalancai gli occhi confusa "Eh?"
"Quest'abito… me lo regalò Alberto per i miei 18 anni….."
Bei gusti davvero, pensai. Non che in generale i gusti di Alberto mi piacessero, a parte la scelta di Miriam come sua ragazza, s'intende. Ed ecco che nel momento sbagliato saltava fuori un secondo punto in comune con lui. Uffa, non era giusto.
Non potevo metterlo, era ovvio. Eppure non era giusto, era perfetta!
Iniziai a cercare qualcosa nel suo armadio facendomi beffe della sua privacy. Cercai in lungo e in largo, di abiti ne aveva tanti, ma nessuno era QUELLO.
Eppure alla fine la mia fantasia ebbe la meglio: trovai una maglietta aderente rosa con il collo a barca, nel fondo di un cassetto, dimenticata da tutto e da tutti e una gonna simile a quella dell'abito che tanto mi aveva colpito, ma nera. A completare il tutto uno splendido paio di scarpe con un tacco vertiginoso, nere.
"Ehm… Monica?"
La guardai. No, non ancora un altro regalo di Alberto!
"Quella maglia è di Carlotta. Se scopre che l'ho presa…"
"… mi uccide. Me ne assumo la più completa responsabilità." Dissi e finalmente si convinse a indossarla.
Alle 19.30 Miriam era pronta per divertirsi e dimenticare , almeno per un po' i suoi problemi. Le mancava soltanto un ultimo tocco: un filo di trucco e sarebbe stata divina. Ma a quello ci avrebbe pensato da sola, mi disse. Ora dovevo pensare a me.
Fu così che Miriam prese un jeans a zampa di elefante e un top bianco e me le mise in mano, ordinandomi di cambiarmi. Non avevo tempo di tornare a casa per vestirmi e poi, aggiunse, voleva sdebitarsi. Di cosa poi deve ancora spiegarmelo.
"Allora io vado a truccarmi!" mi disse, sparendo dietro la porta del bagno.
La guardai allontanarsi e sorrisi a me stessa. La serata si preannunciava bella… sperando che lo fosse rimasta.
Ero ancora presa da questi pensieri positivi, quando sentì il campanello suonare e dei passi correre ad aprire. Tesi l'orecchio per sentire chi fosse. Non volevo impicciarmi degli affari suoi, ma se fossero stati i suoi, sarebbe stata buona educazione salutarli, mentre, se fosse stata Carlotta, avrei evitato un fratricidio.
"A…. Alberto!" fu il nome che invece le sentì pronunciare. Non aveva urlato, ma le sottili pareti delle case odierne mi costrinsero a sentire, volente o nolente, la loro conversazione.
"Che cosa vuoi?" chiese Miriam con un tono che voleva essere distaccato, ma che tradiva la sua ansia.
"Ero venuto… quando sono passato prima ho dimenticato il cellulare…."
"Sarà qui in giro, io non ci ho fatto caso. Provo a chiamarti così lo troviamo più in fretta."
Ci furono alcuni attimi di silenzio, durante i quali probabilmente Miriam compose il numero di Alberto. E infatti pochi secondi dopo una allegra musichetta allietò l'aria, per fermarsi dopo pochi istanti.
"Cavoli! Si è scaricato!" sentì dire ad Alberto. Probabilmente lo aveva trovato.
Ci furono ancora attimi di silenzio. La tensione era talmente forte che io potevo percepirla attraverso le pareti. Fu ancora una volta la voce di Alberto a rompere il silenzio.
"Vedo che sei già pronta. Di solito ci metti delle ore a prepararti…"
"E' vero, ma sono elettrizzata per questa serata. Sono contenta di uscire un po' con gli altri."
"Se ti sentivi oppressa da me potevi dirlo anche prima, non c'era bisogno di fare tutte quelle scene stamattina!"
"Io non ho mai detto di star male con te!"
"Ma se non vedi l'ora di uscire con gli altri!"
"Possibile che tu non voglia capire?"
Il volume si faceva sempre più alto e io mi sentivo sempre più in imbarazzo. Non solo stavano litigando per colpa mia –visto che Miriam era stata così veloce grazie al mio intervento- ma stavo ascoltando i loro discorsi. Dovevo intervenire.
Velocemente indossai la maglietta e i jeans che mi aveva prestato Miriam e come se non mi fossi accorta di quello che era accaduto, uscì dalla stanza per raggiungere il salone.
La scena che mi apparve davanti mi lasciò senza fiato. Alberto, nella mano sinistra il cellulare, la destra appoggiata sulla maniglia, in procinto di andarsene; Miriam dall'altra parte della stanza, gli occhi pieni di lacrime.
No, non poteva andarsene, se fosse uscito da quella porta non sarebbe più tornato. E io non volevo che Miriam soffrisse, che loro soffrissero. Era vero, non erano affari miei, non avevo diritto di immischiarmi… eppure una voce nel mio cuore continuava a ripetermi che non era vero, che lo dovevo fermare ad ogni costo.
Tossicchiai per attirare l'attenzione dei due ragazzi su di me. Quel giorno non facevo altro.
I due si voltarono a guardarmi.
Arrossì. "Scusatemi, non volevo disturbarvi, non sapevo che ci fossi anche tu Alberto… Miriam, volevo solo dirti che la piastra si è asciugata, ora possiamo toglierla dalla vasca." Mentì spudoratamente. Cioè, dopo tutto quel tempo doveva per forza essersi asciugata,, ma non ne avevo la certezza matematica e pregai che nessuno avesse voluto controllare.
Alberto mi guadò sorpreso. "La piastra nella vasca?"
"Si." colsi la palla al volo "Avevo detto a Miriam che le avrei asciugato i capelli, però poi la piastra mi è caduta nella vasca…." Tagliai corto, evitando di dilungarmi nei particolari della nostra battaglia alla Takahashi "… così ho optato per le classiche spazzola&lacca! Ti piace il risultato?"
Alberto istintivamente guardò Miriam. Sì, stava bene, glielo si leggeva negli occhi. Fu un attimo. Poi tornò a guardare verso di me.
"Come ha fatto la piastra a finire nella vasca? Siete impazzite? E se vi foste fatte male?"
"Sta tranquillo. Per quanto possa importartene, Monica ha avuto la geniale idea di usare dei guanti di plastica per staccare la spina."
Alberto si voltò verso di lei furente. "Ma che cosa stai dicendo? Vuoi forse dire che non mi dovrei preoccupare per la vostra incolumità?"
"A me sembra che ti importi solo della tua! Prima mi scarichi, dopo avermi trattata come una pezza vecchia, poi vieni qui, come se nulla fosse, alla ricerca del tuo cellulare e pretendi che non esca neanche con i miei amici!"
"Non ho mai voluto cambiare le tue scelte!"
"Su questo comincio ad avere dei dubbi!"
Li guardavo litigare non sapendo cosa fare. Accidenti, avevo solo peggiorato le cose!
"Fa come ti pare!" fece a un tratto Alberto, poi, rivolgendosi verso di me "Sono contenta che la tua prontezza di spirito vi abbia evitato una brutta fine!" e per un attimo, solo per un breve attimo, il suo sguardo si posò su Miriam. Cosa vi potevo leggere stavolta? Paura? Amarezza? Odio? Amore? Un amore nascosto che non è ancora stato scoperto o forse…?
Alberto aprì la porta e uscì sbattendola violentemente dietro di se. Guardai Miriam. Che cosa stava facendo? Possibile che non si fosse accorta di nulla? No, non poteva lasciarlo andare via in questo modo! Non potevo permetterlo!
"Miriam, possibile che non….?" Ma la mia amica non mi stava ascoltando.
"Accidenti! Alberto aspetta!" urlai correndo fuori pregando di riuscire a fermarlo in tempo.
Cinque…
Nell'istante stesso in cui uscì di casa, lo vidi entrare in macchina. Se avesse messo in moto, non l'avrei più raggiunto. Sfidando tutti i miei professori di educazione fisica e la loro convinzione che io e lo sport non saremmo mai andati d'accordo, raggiunsi l'auto di Alberto proprio nell'istante in cui stava inserendo la chiave.
"No!" urlai. Mi lanciai verso l'automobile mentre questa si stava già mettendo in moto e con rapido quanto disperato movimento, spalancai la portella e mi accasciai sul sedile accanto al guidatore, con il cuore che mi andava a mille. Per un attimo mi ero sentita la protagonista di un film di azione all'americana. Un vero peccato che nessun produttore fosse passato di lì in quel momento.
Alberto mi guardò per un attimo, nei suoi occhi la rabbia che provava per le parole di Miriam ora era accompagnata dalla sorpresa e dall'incredulità di vedermi, al suo fianco. Certo dopo 13 anni di scuola, non si sarebbe mai aspettato un simile atto da parte mia, e per la verità, neanche io.
Tutto durò un attimo: un secondo dopo era già concentrato sulla guida, la mascella contratta dalla rabbia. Spinse il piede sull'acceleratore e partimmo.
Restammo in silenzio. Solo in quel momento capì che era l'unico modo che aveva per sfogare la sua frustrazione.
Osservai la strada correre attorno a me. Mi chiesi dove stessimo andando, anche se non sembrava che gli importasse molto la destinazione. Per un attimo ebbi persino il terrore che non gli importasse neanche di arrivare da qualche parte. Più volte standogli accanto temetti che non avrei più rivisto i miei cari, tanto alta era la velocità a cui stavamo andando. Non ero mai stata in macchina con lui, solitamente era Miriam che mi offriva un passaggio, ma giurai a me stessa che quella era la prima e unica volta che sarei salita su una macchina guidata da lui.
Corremmo per non so quanto. Le sporadiche nubi che avevano coperto il cielo nel primo pomeriggio, si stavano pericolosamente accalcando e il loro colore diventava sempre più scuro, tanto che non si riusciva a comprendere se la diminuzione di illuminazione fosse dovuta all'arrivo della sera o dal peggioramento del tempo, o ancora da tutti e due.
All'improvviso l'auto si fermò. Mi guardai intorno: eravamo ormai fuori città e la campagna ci circondava. Tuttavia non ne ebbi paura. C'era una tale tristezza, una tale malinconia nel paesaggio circostante, così come negli occhi di Alberto, che quasi mi sentì un'estranea in quella loro magica sintonia.
"Perché?" fu l'unica domanda che riuscì a porgli.
Lui si voltò verso di me e i nostri sguardi si incrociarono.
"Perché ho paura." Mi rispose semplicemente.
Avevo capito. Non ci fu bisogno di molte parole. In fondo eravamo compagni di classe da 13 anni… e avevamo una splendida persona in comune.
"Avere paura è normale. Si ha paura perché si è troppo felici o viceversa perché si ha paura di non riuscire a esserlo. Alberto," lo fissai "Tu perché hai paura?"
Non avevo mai assunto un tono così serio, non era nel mio genere. Ma forse fu proprio il trovarmi di fronte i suoi splendidi occhi castani a farmi nascere questa strana esigenza.
"Perché non ne sono degno."
"Di… di lei?"
"Di lei, di noi, del suo amore… di starle vicino…. Sono solo uno schifoso codardo."
"La ami vero?" chiesi. la sessa domanda che avevo posto a Miriam quella stessa mattina.
Mi guardò. Un'espressione dolcissima, che mi scaldò il cuore, era dipinta sul suo volto. In quel momento il cuore iniziò a battermi all'impazzata. Non ci furono bisogno di parole, la risposta potevo leggerla nei suoi occhi.
"E l'hai capito solo ora." Non era una domanda, ma una constatazione.
"Si." Rispose questa volta. Distolse lo guardo, intrecciò le braccia sul volante e vi appoggio sopra il mento. Aveva un'espressione assorta che lo faceva sembrare ancora più dolce.
"All'inizio mi sono messo con lei quasi per scherzo. Perché era bella, dolce, solare….ero attratto da lei perchè aveva quelle qualità che io non avrei mai potuto avere, ma non l'amavo, solo… mi piaceva. Poi…. Qualcosa è cambiato. Molte volte mi sono sorpreso a pensare a lei, a sognarla, a desiderarla… Credevo che si trattasse solo di un desiderio fisico, dopotutto sono un uomo… ma poi… poi due settimane fa…
Eravamo soli sul lungomare e lei all'improvviso mi disse 'Ti amo tanto Alberto… ti ho amato dalla prima volta che ti ho visto, dalla prima volta che i tuoi occhi incrociarono i miei…' "
"E tu ti sei sentito un codardo… perché ti eri reso conto che i tuoi sentimenti non erano stati così profondi."
"Si… Allora ho cominciato a vergognarmene, a sentirmi inferiore in qualche modo. Non meritavo il suo amore e così alla fine ho deciso di…"
".. di lasciarla."
Alberto annuì ancora una volta. "Pensavo che sarebbe stato facile dimenticarla… e invece quando l'ho vista così bella per uscire, quasi non le importasse di me, mi sono sentito male. E quando mi hai detto della piastra, ho avuto tanta paura per lei e ho capito che.."
"… che l'ami." Conclusi io per lui.
Lui mi guardò e sorrise, gli occhi lucidi di chi sta per piangere, ma non vuole farlo per vergogna o per pudore.
"Cosa…. Cosa hai intenzione di fare ora?" chiesi.
"Lasciarla libera e non farmi più vedere. Per fortuna che il liceo sta per finire…."
"NO!" saltai su come una molla, tanto che lo spaventai. "Miriam ha reagito così per ripicca, perché tu l'hai lasciata senza una spiegazione, ma non perché pensasse veramente quello che ha detto!"
"Davvero? A me è sembrato tutto il contrario!"
"Forse perché non sei stato con lei nelle due ore precedenti! Quando sono arrivata a casa sua era in lacrime e non voleva neanche uscire! Sono stata io a convincerla a non lasciarsi andare!"
"Se andassi da lei mi caccerebbe!"
"Basta che le spieghi la verità!"
"Si, così mi sbatte direttamente la porta in faccia! Io l'ho tradita!"
"Tradita? Solo perchè non ti eri reso conto di amarla? Ma l'avevi forse presa in giro? Non ti eri messo con lei perché ti piaceva? E' normale che l'amore nasca con il tempo, anche per Miriam sarà stata la stessa cosa! Forse lei se ne è accorta prima di te, ma non significa che per lei fosse diverso! E comunque, se proprio ti sbatte la porta in faccia, almeno lo farà dopo aver saputo tutta la verità! Tanto, peggio di così!" cercai di sdrammatizzare alla fine.
Ci fu un lungo silenzio rotto soltanto dal ticchettio della pioggia che aveva iniziato a cadere. Il ticchettio si fece sempre più forte, fino a trasformarsi in un vero e proprio acquazzone.
All'improvviso Alberto si voltò verso di me e "Lo sai? Non sapevo di avere una psicologa come compagna di classe!"
Certo che quel giorno stavo scoprendo veramente di avere doti nascoste! Beh, almeno potrò trovare facilmente lavoro, pensai.
Arrossì. Non ero abituata ai complimenti. "Allora, torniamo da Miriam?" chiesi cercando di non sembrare nervosa.
Lui non rispose, ma girò la chiave per accendere il motore.
Si sentì uno sbuffo, poi più nulla.
"Ma che succede?" chiesi, ma Alberto scosse la testa e provò di nuovo.
Questa volta neanche un piccolo segno di vita uscì dalla vettura.
"Alberto non mi dire che…" ora ero davvero preoccupata.
"Credo che si siano bagnate le candele. Siamo bloccati qui!" rispose.
"Sei…." Non potei fare a meno di commentare.