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FBI sequestra i server di Indymedia nel Regno Unito

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2004 23:05
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09/10/2004 13:57
 
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Riporto interamente dal sito di Indymedia.

7 Ottobre 2004

FBI sequestra i server di Indymedia nel Regno Unito

Le autorità statunitensi hanno emesso un ordine federale imponendo all'ufficio di Rackspace negli Stati Uniti di consegnare loro l'hardware di Indymedia situato a Londra. Rackspace e' uno dei providers che ospitano il web di Indymedia con uffici negli Stati Uniti e a Londra. Rackspace ha acconsentito, senza prima renderlo noto a Indymedia, e ha consegnato i server di Indymedia nel Regno Unito. Questo atto ha colpito più di 20 siti di Indymedia in tutto il mondo.

Dal momento che l'ingiunzione e' stata inoltrata a Rackspace e non a Indymedia sono ancora ignote a Indymedia le ragioni di quest'azione. Parlando ai volontari di Indymedia, Rackspace ha affermato che " non possono fornire a Indymedia nessuna informazione riguardante l'ordine ricevuto". Altri Internet service Providers hanno ricevuto in simili situazioni obblighi di riservatezza che impediscono alle parti coinvolte di ricevere aggiornamenti su quello che sta succedendo.

A Indymedia non e' chiaro come e perchè un server che e' fuori dalla giuridisdizione statunitense possa essere sequestrato dalle autorità degli Stati Uniti.

Allo stesso tempo, sempre a Rackspace, un secondo server e' stato disconnesso: si tratta di un server che ospita trasmissioni live di diverse stazioni radio, BLAG (linux distro), e un'altra serie di cose utili.

Negli ultimi mesi il governo federale degli Stati Uniti ha condotto numerosi attacchi ai danni di vari Indymedia nel mondo. In agosto i servizi segreti hanno cercato di interrompere il NYC IMC prima della convention repubblicana provando a sequestrare i logs da un provider internet negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi. Il mese scorso la Commissione Federale per le Comunicazioni (FCC) ha chiuso numerose radio comunitarie in tutti gli Stati Uniti.

Due settimane fa l' FBI ha chiesto che Indymedia rimuovesse un messaggio su Nantes IMC che conteneva delle foto di alcuni agenti della polizia svizzera sotto copertura. Altri attivisti di IMC Seattle sono stati visitati dall' FBI per lo stesso motivo. Per contro, Indymedia ed altre organizzazioni di media indipendenti hanno recentemente vinto importanti cause, come ad esempio contro la Diebold (compagnia che fornisce sistemi di votazione elettronica, coinvolta nei conteggi scandalo delle ultime elezioni USA) e contro il "Patriot Act" (una legge che consente all'FBI in nome della sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo di monitorare sistematicamente, senza richiedere l'autorizzazione della magistratura, la corrispondenza ordinaria ed elettronica, la navigazione sul Web, e perquisire le case dei cittadini americani e non, negli Usa e all'estero). In questo quadro le autorità degli Stati Uniti hanno deciso di chiudere decine di "Indymedia Centers" in tutto il mondo

La lista degli IMC locali colpiti da questa operazione include Ambazonia, Uruguay, Andorra, Polonia, Massachusetts occidentale, Nizza, Nantes, Lilles, Marsiglia (tutta la Francia), Euskal Herria (paese Basco), Liegi, Vlaanderen est, Antwerpen (tutto il Belgio), Belgrado, Portogallo, Praga, Galiza, Italia, Brasile, Regno Unito parte del sito della Germania ed il sito della radio on-line di Indymedia.org.


www.indymedia.org
vai al sito di Indymedia Italia
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09/10/2004 14:00
 
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INTERNET: INDYMEDIA; FBI, INTERVENUTI SU RICHIESTA ITALIA

Tratto da www.italy.indymedia.org/news/2004/10/660096.php

INTERNET: INDYMEDIA; FBI, INTERVENUTI SU RICHIESTA ITALIA (ANSA) - NEW YORK, 8 OTT - L'intervento dell'Fbi per bloccare i server del sito Indymedia e' avvenuto su richiesta dell'Italia e della Svizzera. Lo ha detto un portavoce dell'Fbi, Joe Parris, spiegando che l'iniziativa non e' stata presa in prima battuta dal ministero della Giustizia americano. Replicando alle polemiche che ha suscitato in Italia la vicenda del blocco del sito Internet popolare nell'ambiente noglobal e alternativo, il Bureau da Washington ha fatto sapere che quella legata a Indymedia ''non e' un'operazione dell'Fbi''. L'intervento, ha detto Parris alla Afp, e' stato fatto ''a nome di paesi terzi da parte di responsabili del ministero della Giustizia contro un server, Rackspace, che fornisce spazio sul web a Indymedia''. Parris ha precisato che i paesi terzi sono l'Italia e la Svizzera e ha aggiunto che l'iniziativa del ministero della Giustizia americana non e' stata altro che ''un aderire agli obblighi legali contenuti nei nostri trattati di assistenza reciproca''. (ANSA). BM 08-OTT-04 22:38 NNN





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11/10/2004 02:37
 
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FAR WEB - CHI HA OSCURATO INDYMEDIA? TUTTI NEGANO, LA DESTRA APPLAUDE - LANDOLFI, AN: «AVER OSCURATO IL SITO È STATA UNA COSA BUONA E GIUSTA: NON SI TRATTAVA DI CONTROINFORMAZIONE, MA DI UN SITO CHE SPUTAVA FANGO E VELENO»…




Valentina Petrini per l’Unità

Quattro Stati, diverse Procure, 20 Paesi che in Rete non hanno più le pagine di Indymedia, centinai e centinai di migliaia di «media-attivisti» che non possono più consultare il loro sito. Il caso di Independent media center si allarga a dismisura. Giovedì 7 ottobre la resa dei conti: la più nota agenzia di informazione indipendente della Rete cancellata con un doppio blitz dell’Fbi a Londra e in Texas, dove risiedeva la Rackspace, l’agenzia proprietaria del server.

Subito la corsa alla ricerca delle cause ma soprattutto del «mandante» del provvedimento. Un salto nel vuoto, visto che nella tarda serata di sabato restano solo tante ipotesi e poche certezze. Che per Indymedia si riducono essenzialmente ad una: il sequestro, «un atto intimidatorio, teso ad inviare un chiaro segnale a Indymedia e a tutti coloro i quali immaginano una realtà altra, impedendoci tra l'altro di ripristinare rapidamente i siti».
Ieri a Genova gli operatori di Indymedia Italy si sono incontrati con gli avvocati del Legal Forum. Da Genova due avvocati sono partiti subito per Londra: «Forse lì riusciremo a saperne di più», dice Laura Tartarini, uno dei legali del Social Forum. Chi ha ordinato il sequestro dei server di Indymedia? Perché? Si tratta di un provvedimento governativo o giudiziario?

L’Fbi non ci sta ad assumersi da sola ogni responsabilità: «Noi abbiamo solo operato per conto di Paesi terzi - dice Joe Parris, portavoce della polizia federale americana - La richiesta di sequestro è arrivata dall’Italia e dalla Svizzera». Ma il ministero dell’Interno italiano è lapidario: «Non siamo a conoscenza delle motivazioni alla base del sequestro. Non siamo noi ad averlo ordinato». Smentisce di avere qualcosa a che fare con la vicenda anche il Dipartimento della Pubblica Sicurezza della Polizia: «Nessuno dei nostri settori è coinvolto, ci dispiace non ne sappiamo di più», dicono dopo una ricerca tra i vari uffici durata più di 3 ore.

Esclusa l’ipotesi del provvedimento politico, la strada alternativa è quella di un sequestro ordinato da una Procura, magari nell’ambito di indagini. In cima alla lista la Procura di Genova. Forse per l’inchiesta sui fatti del G8 del luglio 2001. «Tra i dati contenuti nei server sequestrati dalle Autorità statunitensi ve ne sono di riservati e certamente totalmente estranei alle motivazioni del provvedimento, tra cui la banca dati dei legali contenente gli atti attualmente depositati dal pubblico ministero nel processo genovese sull'irruzione alla scuola Diaz che vede imputati numerosi appartenenti alla Polizia di Stato», affermano infatti i ds Walter Vitali e Katia Zanotti in un’interrogazione a Pisanu e Castelli. Ma da Genova arriva la smentita di ogni coinvolgimento: «No, non sappiamo nulla - commenta il procuratore capo Giancarlo Pellegrino - Abbiamo già acquisito tutte le prove che ci servivano».
(Mario Landolfi-U.Pizzi)

Ma allora chi? Un salto indietro nel tempo, al 20 novembre 2003, a pochi giorni dalla strage di Nassiriya. Alleanza nazionale allora chiese in un’interrogazione parlamentare la chiusura di Indymedia per alcuni commenti pubblicati sulla morte dei militari italiani. Fu Mario Landolfi (An) a interpellare il ministro delle Comunicazioni Gasparri e quello della Giustizia Castelli.

A lui rispose il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Valentino (An) ricordando che la procura di Bologna aveva avviato una procedura contro ignoti per questi commenti apparsi su Independent media center, con l’accusa di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze armate. Uno spiraglio, forse questa è la strada giusta. Ma dalla procura di Bologna, il pm Morena Plazzi, che si occupa delle indagini, dice solo «di aver chiesto informazioni. Non sono io ad aver ordinato il sequestro».
(Giuseppe Valentino con la moglie Pia-U.Pizzi)

Insieme a Bologna altre due procure in Italia avevano aperto inchieste sulla stessa vicenda: Napoli e Salerno. «Confermo - dice l’avvocato Tartarini, ricontattata in serata - anche noi siamo arrivati alla stessa conclusione». Se non queste procure, chi ha ordinato il sequestro? Da Ginevra alle 20.30 il procuratore Daniel Zappelli fa sapere, anche lui, di aver aperto un’inchiesta su alcuni fatti del G8 di Evian 2003: «Dirò solo questo». L’ipotesi più attendibile è che Zappelli stia lavorando sul caso di due poliziotti le cui foto furono pubblicate da Indymedia l’8 settembre scorso. Intanto la destra soffia sul fuoco e plaude all’oscuramento. «E così conferma una irresistibile vocazione alle liste di proscrizione in Italia e all'estero», commenta Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21.

LA DESTRA MALDESTRA
È partita dalla Svizzera l´inchiesta su Indymedia, la rete on line di controinformazione oscurato giovedì scorso. La conferma arriva dalla procura generale di Ginevra. Dall´Italia invece ricordano: nessuna richiesta di sequestro del sito Indymedia è partita dal nostro paese, avvisano dal Viminale e dal ministero di Grazia e Giustizia. La procura di Bologna, ad esempio, aveva chiesto informazioni con una rogatoria, ma nessuna richiesta di sequestro. La rete di controinformazione si è fermata giovedì pomeriggio quando sono stati spenti i server di Londra e di San Antonio, nel Texas.
(Pietro Folena)

Molte le reazioni di segno opposto. «La chiusura del sito di Indymedia è un grave precedente per la libertà di informazione. Non si capiscono ancora chiaramente i contorni della vicenda, ma se in questa chiusura avesse avuto qualche parte il governo italiano ciò sarebbe davvero molto grave», dice Pietro Folena (Ds). «Aver oscurato il sito è stata una cosa buona e giusta: non si trattava di controinformazione, ma di un sito che sputava fango e veleno», attacca il portavoce di An, Mario Landolfi.


Dagospia 10 Ottobre 2004
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11/10/2004 05:24
 
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L'Italia ha oscurato Indymedia?
Questo quanto sostenuto dalle (scarne) dichiarazioni dell'FBI. Insorgono i verdi ma l'indignazione per l'oscuramento dei siti è generale. C'è chi ripubblica online le foto sospette. Da Bologna: forse siamo stati noi

Il sequestro (pagina 1 di 2)



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Indymedia senza precauzioni?
11/10/04 - News - Roma - Reazioni forti, fortissime, quelle che dentro e fuori dalla rete hanno accompagnato in questi giorni il susseguirsi delle notizie attorno ad un sequestro che ha portato, nei fatti, all'oscuramento di una ventina di siti internazionali del network dell'informazione indipendente Indymedia. Un atto che la stessa Indymedia considera "intimidatorio".

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Le prime avvisaglie che stava accadendo qualcosa sono arrivate in Italia lo scorso giovedì notte, notizie confermate nelle ore successive: l'FBI ha sequestrato negli uffici britannici del provider americano Rackspace su cui si appoggia Indymedia, due server o i loro hard disk, 300 gigabyte di materiale Indymedia.

Stando a quanto dichiarato dalla stessa FBI dopo le pressioni di parlamentari, giornalisti e mediattivisti italiani e americani, ed è una tesi che ben si integra con nota striminzita di Rackspace, il sequestro sarebbe avvenuto su richiesta delle autorità italiane e svizzere. Il provider - che è tenuto dalla legge a non fornire dettagli su quanto accaduto - aveva avvertito di aver dovuto ottemperare in ossequio agli accordi multilaterali di collaborazione su alcuni fronti tra le diverse polizie, a cui aderiscono anche Italia ed USA. Sul ruolo effettivamente svolto dall'FBI nella vicenda, sebbene un suo portavoce continui a parlare di "un'operazione che non è dell'FBI", sono in molti in Italia a nutrire ancora forti dubbi. Paolo Serventi Longhi del sindacato dei giornalisti italiani, parlando di misteriose manovre statunitensi, ha pubblicamente chiesto al ministro delle Comunicazioni italiano come sia possibile "che i siti Indymedia nel nostro Paese possano essere così facilmente oscurati".

Ma se il Governo italiano, chiamato a rispondere in Parlamento dai Verdi, ancora non ha raccontato la propria versione dei fatti, sono in molti a chiedersi perché mai le autorità italiane avrebbero richiesto l'esecuzione di una misura così drastica ai danni di Indymedia. Fin qui ha parlato solo il ministro all'Innovazione Lucio Stanca secondo cui "Internet non è una zona franca per alcun genere di reato. Internet è un grande spazio di libertà e come tale va salvaguardato".

Su quanto accaduto le ipotesi sono moltissime e le formulano anche quelli di Indymedia ricordando i casi di censura a cui sono stati sottoposti con la preoccupazione dovuta al fatto che sui server sequestrati erano presenti numerosissimi materiali relativi ai fatti del G8 di Genova oggetto peraltro di procedimenti legali tuttora in corso.

Un'ulteriore ipotesi sul sequestro è legata alla possibilità che tutto sia stato scatenato da un'inchiesta sulla pubblicazione di "nomi e facce di poliziotti svizzeri in borghese". Che questo sia il motivo lo credono in molti, come quelli che in queste ore su Usenet stanno chiedendo di ripubblicare quei materiali, cosa che sta puntualmente avvenendo su diversi siti web, come sempre accade quando la rete ritiene di dover reagire ad una ingiusta censura.

Va detto che Indymedia, che da anni pubblica un'informazione scomoda, ricorda anche come "non passa giorno che qualcuno non cerchi di censurare o chiedere comunque la rimozione di articoli o notizie pubblicate sul sito di Indymedia".

Alla confusione sembrerebbero voler porre rimedio proprio i magistrati della procura generale di Ginevra che hanno aperto un'inchiesta sull'intera vicenda. Il procuratore ginevrino Daniel Zappelli ha confermato l'apertura di un'inchiesta sul caso ma si è sottratto a qualsiasi commento su quali siano le ipotesi in campo.

Il capo della procura di Bologna, Enrico di Nola, invece, ha dichiarato nelle scorse ore di non escludere che l'oscuramento di Indymedia "sia stato eseguito in conseguenza della nostra inchiesta": la Procura si occupa infatti di un caso di vilipendio delle istituzioni e della Repubblica per i commenti apparsi su Indymedia all'indomani del sanguinoso attentato di Nassiryah.

Ore convulse (pagina 2 di 2)



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Indymedia senza precauzioni?
Sia come sia, come ha sottolineato in una nota la storica associazione Peacelink, il sequestro avrebbe potuto essere condotto in ben altra maniera, ad esempio copiando i dati di interesse anziché rendere inservibili dei server sui quali, oltre ai servizi web, erano evidentemente attivi altri servizi, come la posta elettronica. A rischio dunque, per ragioni ancora tutte da capire, anche il diritto alla privacy oltre al diritto all'informazione.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Mentre scriviamo, sulla home page di Indymedia Italia, si avverte che il sito, come tanti suoi omologhi in giro per il mondo, è online in versione minimale su una macchina di riserva. Proprio Indymedia in queste ore difficili tiene a sottolineare che sugli hard disk sequestrati non sono presenti i log degli accessi: il network dell'informazione indipendente infatti non tiene traccia degli accessi ai propri siti.

In queste ore ovviamente gli operatori e i legali di Indymedia sono in contatto continuo per cercare di ricostruire gli avvenimenti oltreché riportare al più presto il network internazionale alla sua normalità. A sostenere Indymedia in queste ore ci sono numerosissime dichiarazioni di solidarietà che piovono da dentro e fuori dalla rete e iniziative come il banner messo su da Radio Onda Rossa sul proprio sito.

Intanto la Federazione internazionale dei giornalisti ha chiesto l'apertura di un'indagine approfondita sull'iniziativa delle autorità americane. E ha definito il sequestro "un'intollerabile e invasiva operazione internazionale di polizia contro una rete specializzata nel giornalismo indipendente. Il modo in cui si è agito ha il sapore più dell'intimidazione contro una legittima inchiesta giornalistica che non della repressione di un crimine".

Per la cronaca, il caso Indymedia sta dividendo i politici italiani. Da destra Mario Landolfi (portavoce di Alleanza Nazionale) ha fatto sapere di ritenere l'oscuramento "cosa buona e giusta: non si trattava di controinformazione, ma di un sito che sputava fango e veleno, pieno di oscenità". Da sinistra, invece, Paolo Cento (Verdi) ha chiesto che il Governo riferisca al Parlamento sui fatti. "Ancora più inquietante - ha dichiarato Cento - è il fatto che in seguito all' azione repressiva contro Indymedia sembrano essere andati dispersi numerosi documenti e immagini audiovisive relativi al G8 di Genova, oltre che ad altri vertici internazionali come quello di Evian".

Un altro esponente dei Verdi, Mauro Bulgarelli, ha insistito sul fatto che "occorre anche sapere che ruolo il nostro governo ha giocato in questa aggressione, se esistono inchieste della magistratura o se l'iniziativa rientri nella politica di subalternità dello stato italiano nei confronti degli Stati uniti". Una domanda che in queste ore si pongono per il Regno Unito anche alcuni inglesi, visto che gli hard disk erano nella filiale britannica di Rackspace.

punto-informatico.it/p.asp?i=49959
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13/10/2004 23:05
 
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Indymedia e il Corriere
Sul Corriere della Sera di oggi, ho letto un articolo di Gianni Riotta che mi fa pensare e sperare che ci siano ancora validi giornalisti in circolazione. Lo riporto per intero dal sito www.corriere.it.

TITANIC
Indymedia, il «lupo» e il server sequestrato
Sul loro sito campeggio come «nemico» ma la libertà di informazione è sacra

Il nemico numero uno di questo Titanic non è un iceberg, ma un sito Internet, Indymedia. La versione italiana dell’agenzia stampa internazionale dei no global, da anni pratica una campagna contro le 3900 battute settimanali della rubrica. Una mia foto, in compagnia di un bravo collega del Corriere , ha decorato la homepage, la copertina di Indymedia, aizzando i lettori a messaggi di odio. Un grafico mi incide la svastica sul viso, ignorando i miei cari familiari che nei lager nazisti hanno, per le loro idee, patito. Con alcuni ragazzi dell’area di Autonomia di Milano il confronto è stato, come dire?, meno dialettico e più, da parte loro dieci contro uno, manesco. Uno dei fondatori di Indymedia ha colto una mia immagine durante un convegno per ribadire la necessità di «affrontare gli scribi». Nel passaparola tra gli Indyani la mia partecipazione a un dibattito internazionale viene indicata come «evidenza che Riotta è tra i 50 padroni del mondo» (se fosse così, cara Indy, come mai l’Inter non vince lo scudetto dal 1989?). Avrei avuto dunque motivo di accogliere la notizia dell’oscuramento di Indymedia con sollievo.

Giovedì scorso, infatti, agenti dell’Fbi hanno sequestrato i server di Londra, i motori che lanciano su Internet il sito no global e le chiacchierate degli estremisti sono sparite dal Web. Per i gestori di Indy si tratta di censura preventiva alla vigilia del Social Forum di Londra, per Joe Parris, portavoce dell’Fbi, di un mandato internazionale di un paese del Terzo Mondo che si ritiene minacciato da notizie apparse sul sito. Altre informazioni parlano di sollecitazioni di Italia e Svizzera per il provvedimento.
Forte della velenosa campagna di calunnie sofferta ad opera Indymedia, Titanic denuncia la chiusura del forum no global come ingiustificata, ne auspica l’immediata riapertura, si associa alla protesta internazionale dei giornalisti e spera presto di tornare a leggerne i toni estremisti. La libertà di informazione non tutela me e i miei amici lasciando scoperti gli altri. Essa è sacra, unica garanzia del convivere civile. Senza libertà di espressione, anche le forme più rozze di espressione, il rauco, energico, frizzante dibattito che assicura linfa alla democrazia, langue e degenera in autoritarismo. Il premio Nobel Amartya Sen dice qualcosa che Indymedia non sa accettare, ma che è cruciale «Nessun paese che gode di libera stampa soffre di carestia». Sviluppo, democrazia e libertà sono rami della stessa pianta.

Non equivochino i lettori. Ragioni e tecniche di Indymedia sono errate.
Non pubblicare i bilanci e i nomi dei finanziatori, ospitare notizie anonime e commenti violenti, «godere» per l’esplosione dello Shuttle, la strage di Nassirya o la morte del povero Quattrocchi, essere persuasi che Cia, Berlusconi e Mossad siano dietro ogni nequizia umana è ingenuo ma può suscitare in tante coscienze di ragazzi risentimento e confusione. Questo è quel che io penso, ma Indymedia ha lo speculare diritto di pensarla in modo opposto. Preferirei discutessero di concetti senza offese, ma la Costituzione non scende nel dettaglio di «come» informare.
Se qualcuno a Indymedia ha violato la legge paghi come individuo, se ci sono diffamazioni vengano esaminate in giudizio, ma cancellare un sito senza motivo è grave, sciocco e inaccettabile. Siamo in guerra contro il terrorismo e il consenso democratico si crea ragionando non oscurando. Oggi il sito appare in rete a www.indymedia.it ridotto a volantino. Chiunque lo aggiorni sappia che il carissimo nemico Gianni Riotta farà di tutto perché torniate sul Web, pronto a ripetervi senza soste e senza requie, ma senza censure, che il vostro stile è negativo, le vostre idee perniciose per i poveri e lo sviluppo, la crudeltà di certi dispacci inaccettabile. Polemiche da fare a viso aperto, non tagliando i cavi.
In bocca al lupo Indymedia, parola di lupo.

di Gianni Riotta
gianni.riotta@rcsnewyork.com

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