Intervista commemorativa su Repubblica di oggi
Corre ancora da una porta all'altra Michelangelo Rampulla, sono trent'anni che corre incontro a quell'incredibile gol di testa.
Ma cosa ci fa laggiù un portiere? Come si permette?
"Era un sogno, una follia. Qualcosa che sentivo dentro".
Il 22 febbraio 1992 si gioca Atalanta-Cremonese, e lei è il portiere della Cremonese sotto di un gol al novantesimo. Poi?
"Stiamo attaccando disperatamente, io sto avanzando per seguire l'azione, ormai mi trovo a centrocampo. Guardo il mio allenatore Giagnoni: "Che faccio, vado"?, lui allarga le braccia, fai un po' tuo. Il mio compagno Garzilli mi dice 'vai, ti copro io'".
E lei andò.
"Correndo verso l'altra porta mi immagino di segnare in rovesciata. Se devi sognare, allora fallo in grande. Ci avevo già provato un'altra volta, ma i nostri tirarono il corner troppo alla svelta e non feci in tempo. Dunque, c'è questa punizione da destra: la batte Chiorri. Io sono al limite dell'area e nessuno mi marca: l'uomo in più. Adesso stacco alla Bettega e segno, mi dico. Però il pallone arriva più basso, basterebbe niente che me lo spostano dalla traiettoria e addio. Ma non lo spostano. Lo vedo ormai davanti alla mia faccia, lo colpisco più forte che posso, entriamo quasi in porta insieme, io e la palla. L'arbitro fischia. Paura! Stai a vedere che adesso mi dà contro un fallo di confusione, penso. Invece indica il centrocampo".
E dopo che succede?
"Torno nella mia porta sorridendo. La curva dell'Atalanta applaude: hanno capito che è successa una cosa unica, il primo gol su azione di un portiere nella storia del campionato. Ma succede anche che, da lì in avanti, la gente dica: però, questo Rampulla sa anche parare, mica solo segnare".
Essere ricordato per una cosa che in fondo le era estranea, eppure lei ha giocato 99 volte nella Juve. Ingiusto?
"No, direi invece strano e bello. Arrivai a essere titolare in B a 18 anni, in un'epoca in cui un portiere per essere considerato bravo doveva averne almeno 25. La precocità mi ha un po' fregato, perché a 25/26 anni mi credevano già un po' troppo vecchio. Però mi sono preso comunque le mie soddisfazioni in una Juve spaziale, incredibile".
Lei, tifoso bianconero.
"Mio papà Cecco aveva una Fiat 600 con il cofano a righe bianconere, ci sfilavamo sopra nei giorni degli scudetti. Il mio sogno: vedere anche una sola volta nella vita le maglie della Juventus da dietro, dal lato della schiena, quello del portiere. È accaduto ben più di una volta".
La più bella di tutte?
"La prima, a Cagliari, stagione 1992/93. Zero a zero, e io gioco al posto di Peruzzi. Ma anche al Parco dei Principi, quando alla fine i compagni mi abbracciano e io penso: ora sanno che questo qui, arrivato dalla Cremonese, è un buon portiere".
Lei è stato uno dei primi davvero moderni, gol a parte.
"Merito di Eugenio Fascetti, che quand'era al Varese voleva una squadra di ragazzi sempre in pressing. Fascetti stava vent'anni avanti di tutti. Grazie a lui, proprio a Varese imparai a giocare anche con i piedi".
Bugia: lei lo faceva, e bene, già da ragazzino.
"Tutti sognano una vita all'attacco, nessuno vuole aspettare il pallone in porta. Ma mio papà, che aveva venerato Combi e Sentimenti IV, mi disse: tu diventerai portiere. E mi insegnò a venerare Dino Zoff".
Accadeva a Patti, provincia di Messina, dove le hanno appena dedicato una cartolina postale con quella memorabile capocciata.
"Patti, il paese di Michele Sindona e di Rampulla... Ma anche di Toni Cairoli, il grande campione di motocross. In Comune sono stati molto gentili e li ringrazio".
Trenta candeline sulla torta di un gol: cosa significano?
"Una vita felice, piena. Vittorie, persone, posti visti. Esperienze. Sono stato un uomo fortunato".
Ma cos'è davvero il "dodicesimo"? Forse un numero "uno bis"?
"È una riserva che dev'essere quasi forte come il titolare, però nel rispetto dei ruoli. Perché il portiere è per l'ottanta per cento testa, e deve giocare tranquillo: non può avere paura di essere sostituito al primo sbaglio. Però il ruolo adesso è cambiato, si gioca velocissimo, ci sono più infortuni, più espulsioni e cambi, quindi il dodicesimo gioca molto di più e dev'essere una garanzia, sempre pronto".
Rampulla, ma cos'è questa benedetta costruzione dal basso?
"Chiariamo bene: non è una moda. È il tentativo di attirare l'avversario più vicino a te che inizi l'azione, per dare spazio ai tuoi centrocampisti e attaccanti. Bisogna saper variare, però funziona".
Perché la Juve non vince più la Champions? Lei c'era, in tutte quelle finali.
"È il calcio. La mia Juventus era una squadra pazzesca, pur cambiando tanto. A rotazione, e li cito così, a memoria, scusandomi con tutti quelli che dimentico: Roberto Baggio, Vialli, Peruzzi, Ravanelli, Del Piero, Deschamps, Conte, Ferrara, Paulo Sousa, Zidane, Buffon. E Marcello Lippi. Vi bastano?".
Chi le piace di più tra i portieri di oggi?
"Donnarumma, ovviamente. Ma anche Szczesny, giocatore affidabile. E poi Cragno, Musso, Audero, Meret. Soprattutto, sono contento che si possa essere considerati forti anche molto giovani, per noi non era così".
Michelangelo Rampulla, classe 1962: ad agosto saranno sessanta. Che vuol dire?
"Un compleanno che comincio a patire, lo ammetto. Avevo sempre pensato che a un certo punto mi sarei fermato in un bel posto a godermi la vita, ma sapete che c'è? Io me la godo quando annuso un campo di calcio, io sono un allenatore di portieri, io sono un portiere".