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[fanfiction] Il contest di G

Ultimo Aggiornamento: 25/01/2019 18:56
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Giudice*****
08/09/2018 22:49
 
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The boy and the beast di Fuuma


Valutazione


Titolo:
Ormai conosci la mia ritrosia per i titoli inglesi, ma anche io ho le mie eccezioni… e questo, con il suo evidente richiamo al celebre “The beauty and the beast”, ci rientra di diritto.
È un titolo semplice ma pregno di significato, evoca un’atmosfera favolistica che ritroviamo in tutta la parte del flash-back e sicuramente attira l’attenzione del lettore, stuzzicando la sua curiosità.



Caratterizzazione dei personaggi:
Per potermi spiegare al meglio, ho deciso di suddividere la caratterizzazione tra passato e presente, oltre che per personaggi, quindi tratterò prima tutta la parte flash-back e poi il resto.


Partiamo quindi dall’inizio, col piccolo Phil, e lo conosciamo mentre tutto orgoglioso dice il suo primo “non” senza neppure comprenderne fino in fondo il significato, forse.
Mi è piaciuta questa scelta perché, oltre che molto carina dal punto di vista stilistico, è anche realmente plausibile: un bambino pende dalle labbra dei genitori, e se suo padre ripete “non” ad ogni piè sospinto non c’è da meravigliarsi che Philip assimili proprio quella parola per prima, tra tutte le altre.

Senza contare che il fatto che “madre” e “padre” siano venuti dopo insinua anche molti dubbi su quanto scarso potesse essere il livello di affettività presente in famiglia.
Non che Philip venisse fisicamente maltrattato, ovviamente, ma già in quel semplice “non” è presente un velo di malinconia che lo seguirà ovunque, anche da grande.

Onestamente però mi fa un po’ strano immaginarmi Philip come un bambino così precoce e intelligente come l’hai descritto tu. Non che sia uno stupido, assolutamente, ma nel film lo abbiamo conosciuto come un giovane uomo con milioni di buone qualità, certo, ma i suoi continui fallimenti per il dramma che aveva messo in scena non ne danno l’idea di qualcuno particolarmente brillante.

Ma questa ovviamente è solo una mia idea, può benissimo essere che Phil è davvero super intelligente e ha avuto solo sfortuna in quel campo, oppure che è “nella media” ma da piccolo aveva così tanta voglia di compiacere i genitori da sforzarsi all’inverosimile per essere “la piccola, perfetta copia di suo padre”, come tutti si aspettavano da lui.
Sì, forse quest’ultima opzione è la più plausibile (me la suono e me la canto, vabbè).

Invece, quello che è certo – o almeno certo per me, e immagino anche per te – è che Philip è sempre stato attratto dall’ignoto, da quel “salto nel buio” per scoprire cose nuove… e soprattutto da tutto ciò che gli potesse dare anche solo una parvenza di libertà dalla gabbia dorata in cui era rinchiuso, per quanto effimera potesse essere.

Per questo, trovo assolutamente perfetto un piccolo Phil che prende di nascosto la bacchetta di suo nonno e si lascia vincere dalla curiosità, uscendo ad esplorare il bosco.

Eppure, per quanto curioso e smanioso di esplorare, Philip è solo un bambino, e ho apprezzato moltissimo che tu abbia sottolineato l’inquietudine che strisciava in sottofondo… e anche che usasse la bacchetta a mo’ di spada come amuleto contro la paura: dannatamente tenero e anche molto verosimile.

Come verosimile è, a mio modesto parere, il suo scoppiare a piangere all’apparire della “bestia”, nonostante la regola di suo padre.
Indicativo a tal proposito che, nonostante il terrore – perché di sicuro era terrorizzato, povero piccolo – comunque sia nella sua mente trova ancora un angolino da dedicare al padre e ai suoi insegnamenti: anche da cose come queste si vede quanto a fondo, nonostante la giovanissima età, erano già penetrate le regole e i pregiudizi della sua famiglia, in primis proprio di suo padre.

Che poi i pregiudizi ha saputo per fortuna metterli da parte, probabilmente anche proprio grazie a P.T., ma è facile immaginare che abbiano condizionato a lungo la sua esistenza (esattamente come vediamo nel canon).

E poi, devo dirtelo, ho adorato il punto in cui immediatamente dopo il pianto disperato Philip “dovette coprirsi la bocca con entrambe le mani per ricacciare indietro la risata”: può sembrare folle dall’esterno, ma è indubbio che i bambini – come dici tu stessa nella storia – sono un agglomerato di emozioni intense, e riescono a passare dalla disperazione più nera al divertimento in un battito di ciglia.
Soprattutto se si trovano davanti una “bestia feroce” che cade goffamente a terra, perdendo di colpo tutta l’aria minacciosa di poco prima.

Altrettanto verosimile (ma stavolta mi ha fatto male al cuore leggerlo) che Philip riesca solo a dire alla “bestia” di non piangere perché “non c’era conforto in quelle parole, ma era tutto quello a cui era abituato”… ma poi – e qui viene fuori tutta la bontà d’animo di Philip – continua a parlarle e a consolarla, facendosi forza per farne anche al suo nuovo amico peloso. Adorabile. Adorabile e basta.

Mi è anche piaciuto che, una volta deciso che “dato che non vuoi mangiarmi, possiamo diventare amici”, Philip si sia rassettato ben bene così da potersi presentare come si conviene a un Carlyle – come gli ha insegnato suo padre.

Quindi, senza più traccia alcuna di paura, si arrampica tra le sue zampe come se fosse un peluche troppo cresciuto, e continua quel dialogo a senso unico che in realtà a senso unico non è, perché a modo suo la volverina risponde sempre e Philip riesce a capirla – e se non capisce finge di farlo, proprio come se stesse giocando con un cagnolino a “facciamo finta che”.

Altra noticina realistica e strappalacrime, il pensiero fugace che attraversa la mente di Philip quando sente la “risata” del suo amico, paragonandola a quella dei bambini che vedeva a volte da lontano, che suo padre gli aveva insegnato a ignorare perché inferiori… che però Philip invidiava per quella loro spensieratezza che a lui invece era sempre stata negata.

L’immagine di Philip che si addormenta “addossandosi completamente a quella bestia gentile” è davvero dolcissima e naturale: la sensazione di fiducia assoluta che emana un bambino quando si addormenta tra le tue braccia non si può descrivere a parole… ma qui ci sei andata molto vicina.


Due parole sul padre di Philip: pur non comparendo mai direttamente, la sua è una presenza costante in tutto il flash-back. Costante e ben strutturata, perché attraverso le sue regole e credenze – che Phil ha diligentemente assimilato – ritroviamo un uomo aristocratico e superbo, consapevole di essere “una spanna sopra agli altri” e fiero di sottolinearlo ogni volta che ne capita l’occasione.

Un uomo che, invece di “perdere tempo” a giocare con il proprio bambino, gli insegna invece a “comportarsi come si deve”, non tanto per essere fiero di lui quando per non esserne deluso.

Può sembrare una differenza sottile, eppure c’è ed è lampante: ogni volta che Philip richiama le regole del padre o le infrange, nella sua testa non c’è il pensiero di farlo felice o al contrario di deluderlo, ma solo la consapevolezza che ubbidire è un suo preciso obbligo, e la conseguente paura del padre quando non rispetta tale imposizione.


E infine veniamo a P.T. versione wolverine volverina.
Pur non avendo ovviamente la possibilità di parlare nel senso stretto del termine, sei riuscita a renderlo altamente espressivo attraverso gli occhi e quei versi ora rauchi e tristi, ora così simili a una risata.

Sì, è vero che è necessaria la spiegazione finale per capire appieno questi indizi, ma riguardandolo a posteriori direi che è ben descritta la sua angoscia per quella trasformazione a dir poco inaspettata.

Mi è anche piaciuto il modo in cui riesca a calmarsi grazie a quel bambino sconosciuto che nonostante tutto riesce a vedere oltre la sua apparenza di “bestia”, trattandolo come un amico e non qualcuno da temere.

Infine, la delicatezza con cui trascina Philip fino ai gradini di casa e gli struscia il muso sulla guancia è probabilmente uno dei più famosi marchi di fabbrica di Phineas, secondo solo al suo amore per il freak… e per tutto ciò che va oltre le regole e la morale comuni.


Adesso, passiamo alla parte “presente” della storia.

Inizia con un dialogo tra Philip e Charles, e nelle parole che si scambiano – veloci, ironiche e talvolta pungenti – ho rivisto per filo e per segno i personaggi che abbiamo imparato ad amare in TGS: Charles, scontroso e sarcastico, e Philip che rinuncia alla propria cena tranquilla – o meglio, alla propria cena in generale – per cercare di smorzare la tensione del suo amico.

Emblematico quel “Solo un orso? Solo?” con cui Charles lo sfotte perché, in effetti, nessun adolescente con un senso del pericolo adeguato alla media direbbe “solo un orso” della bestia che passeggia allegramente nei giardini della sua scuola.
Nessun adolescente che non sia abituato alle pazze avventure in cui P.T. lo coinvolge una settimana sì e l’altra pure, probabilmente.

Oh, e c’è quel “Per te è Signorina Wheeler!” urlato sguaiatamente da Lettie dall’altra parte della sala che mi ha fatto morire dal ridere e che è così da lei da sentire la sua voce mentre la stavo leggendo.


E poi entra in scena Barnum, con gli occhi gonfi e arrossati, e ovviamente Philip si preoccupa. E, ovviamente, lui sdrammatizza con una battuta (“fortunatamente il rosso mi dona”… che faccia da schiaffi!).

Mi piace la reazione che a quel punto ha avuto Philip: sa che c’è qualcosa che non va ma non insiste per non essere invadente, preferendo aspettare che sia Barnum a parlargliene con i suoi tempi. Una delicatezza che rivela al tempo stesso tutta la sensibilità di Phil e tutto l’enorme affetto che prova per Barnum.

Più di tutto, però, mi è piaciuto quel “se proprio morissi dalla voglia di disobbedire, almeno fai attenzione”, perché in queste poche parole si vede sia la sincera preoccupazione per lui, che la consapevolezza che comunque sia, regole o non regole, P.T. Barnum farà sempre e comunque quello che gli pare.


Così come è assolutamente realistico, da parte sua, pensare che P.T. voglia cercare appositamente l’orso per poterlo ammaestrare. Folle, vero… ma è proprio quello a renderlo così plausibile, parlando di Barnum.


Davvero molto dolce e IC il modo in cui Anne cerca di rassicurare Philip che “se Barnum ha qualcosa in mente, sarai il primo da cui andrà a chiedere aiuto”, e anche e soprattutto il suo “affondare le unghie nella sua camicia, affinché ne sentisse la presenza” mentre cerca di consolarlo che, no, di sicuro Charity e Barnum non stanno parlando proprio di quello e sono loro ad aver capito male.
Una bugia bianca poco convinta e convincente, ma assolutamente realistica e in linea con il personaggio.

Proprio come la cocente delusione che nasce in Philip a quella scena, perché è vero che lui e P.T. non stanno insieme, ma è lui ad essere il suo confidente… lo era sempre stato, e ora Charity gli ha rubato anche quello – almeno dal suo punto di vista.
È ovvio che ci sia rimasto male, insomma, sarebbe stato strano il contrario!


Veniamo poi alla scena delle scale, e… niente, P.T. è un Idiota, con la “I” maiuscola.

Adorabile, eh, ma sempre di idiota si parla, perché nonostante sia parecchio intelligente ha il brutto vizio di pensare solo dopo aver agito, e si ritrova a fare cose folli come mettere in pericolo la vita di una delle persone a cui tiene di più solo perché non ha riflettuto che, magari, avrebbe potuto cercare un modo più consono di attirare la sua attenzione.

Ma vabbè, lui è fatto così… e Philip lo sa. Lo sa, lo capisce e lo perdona. Sempre.

… anche se una postilla acida ci sta, vista la delusione cocente ancora fresca, e a tal proposito quel “sei sicuro che non preferisci parlarne con Charity” l’ho trovato un po’ infantile, forse, ma assolutamente perfetto per quel preciso contesto.

Dopotutto, andiamo, chi non ha mai lanciato una frecciatina del genere in preda alla gelosia?


La reazione di Philip alla notizia che P.T. è un animagus è assolutamente stupenda e dannatamente realistica: oltre alla ovvia iniziale confusione, c’è quel moto di stizza per non averlo capito prima, per non aver collegato gli indizi alla consapevolezza assoluta che “se era impossibile, Barnum ci sarebbe riuscito”.
(Dio, ma quanto amore e devozione trasuda da questa singola frase?)

Dolcissima anche l’insistenza con cui P.T. lo rassicura sul fatto che è lui e lui soltanto quello a cui voleva rivelare il proprio segreto, che Charity l’ha visto per sbaglio e si è trovato costretto a parlarne con lei.

E poi, l’ultima parte… credimi, sto facendo uno sforzo sovraumano per riuscire a mettere insieme un giudizio che esuli da “ommioddio ma quanto sono belli insieme!”, ma non garantisco niente.

Scherzi a parte, ormai non so più in che salsa dirti che questi due li muovi a meraviglia, che se presi singolarmente rispecchiano alla perfezione il carattere che abbiamo conosciuto nel film, quando sono insieme le due perfezioni si elevano al quadrato, e ogni gesto, parola o pensiero risulta così naturale da sembrare quasi inevitabile.


Ultima menzione d’onore per:
«Innanzitutto, se l’avessi scelto io, sarei stato un –»
«Non dire drago.»
«…Ok.»
Tipico.

Poche parole in cui sei riuscita a riversare il fulcro di tutta la loro relazione, con P.T. che è adorabilmente folle e Philip che capisce le sue follie anche prima che lui stesso le abbia pensate – e che poi vi si ritroverà inevitabilmente coinvolto, perché in fondo sa anche che non può mai dirgli di no… e soprattutto non vuole.




Stile e trama:
Prima di cominciare, ti faccio notare un paio di errori che ho riscontrato nella storia:
- Dì, andare all’avventura con Barnum […] --> , con l’accento, significa “giorno”; l’imperativo di dire, quello che ti occorre in questo caso, è di’, con l’apostrofo.
- Il tentativo di castare un gratta&netta era fallito miseramente --> Non sono ancora certa se definirlo errore oppure no, ad ogni modo “castare” è un verbo piuttosto controverso da utilizzare in una storia scritta in italiano: ho trovato solo un paio di esempi che riportano questo verbo italianizzato dall’inglese “to cast”, ma sono tutti in ambito molto informale all’interno di dialoghi su videogiochi (anche se in effetti almeno uno si riferisce specificatamente ad un incantesimo); per il resto, in nessun dizionario che ho consultato ho trovato questo vocabolo.
Per questo ti consiglierei per una migliore fluidità di lettura di modificarlo con un sinonimo più standard come “provare” o simili… oppure potresti ovviare al problema con un semplice “Il suo tentativo di gratta&netta era fallito miseramente”.

Un ultimo piccolo, puntiglioso appunto tecnico: molti dei termini del mondo di Harry Potter inventati dalla Rowling vanno scritti con la maiuscola (come fa lei stessa nei romanzi): Babbani, Mezzosangue, Grifondoro (e tutte le Case), Prefetto ecc.
Forse sembrerà un’inezia, ma è comunque una delle regole del fandom e personalmente credo che una storia che rispetti anche questa parta di base con almeno un punto in più.


Detto questo, veniamo a noi.

Il tuo stile mi ha sempre affascinato, perché mantieni un livello sia stilistico che sintattico nella media e con un vocabolario quasi quotidiano, e poi di tanto in tanto inframmezzi il testo con piccole perle di pura poesia che, oltre a non stonare assolutamente nel contesto, arricchiscono la lettura rendendola ancora più piacevole.

Oltre a questo, ho particolarmente apprezzato il cambio stilistico che si avverte tra flash-back e presente.

Parlo soprattutto per quanto riguarda il flash-back, dove una sintassi più semplice e accorgimenti come “manine” o “boccuccia” o in generale termini che si usano prettamente per parlare di bambini, aiutano non poco il lettore a immergersi nella testa del piccolo Philip, a sentire sulle spalle il peso delle aspettative paterne e ad andare all’avventura insieme a lui, con la bacchetta del nonno usata alla stregua di un semplice bastoncino perché, in fondo, ai bambini non serve la vera magia per creare un mondo più magico, basta l’immaginazione.

In questo flash-back hai lasciato da parte tutto il sapere degli adulti per mostrare la storia con gli occhi di un bambino, ed era esattamente quello che io ricercavo in questo contest.


Ovviamente ho apprezzato anche la parte al presente, che differisce dall’altra non solo per lo stile più “adulto”, farcito di battute pungenti e riflessioni malinconiche, ma anche per la presenza di più personaggi, tutti trattati egregiamente.

Un altro punto che contraddistingue questa seconda parte è da riferirsi al gran numero di discorsi diretti: mentre nel flash-back abbiamo un solo “dialogo” a senso unico, qui i personaggi interagiscono spesso tra loro, e lo fanno – giustamente – con le parole, oltre che con le azioni.


A proposito del “dialogo a senso unico” tra il piccolo Philip e P.T. versione volverina, l’ho trovato veramente realistico e ben strutturato, e ho apprezzato l’escamotage delle intuizioni infantili di Philip per mandarlo avanti: ovviamente P.T. in quello stato non può rispondergli a parole, ma Philip usa la forza dell’immaginazione per non lasciarsi abbattere e continuare a fare la conoscenza con il suo nuovo amico peloso.


Tornando ad Hogwarts, mentre la parte al passato risulta più introspettiva e volta a studiare le reazioni di Philip in quella piccola, grande avventura, qui abbiamo un ritmo più veloce, che procede spedito tra dialoghi, dubbi e incidenti più o meno voluti, per poi arrivare dritto dritto a quel “mistero” che mistero in realtà tecnicamente non era.

Mi spiego meglio: Philip non ha mai messo in dubbio che l’animale da cui il preside li aveva messi in guardia fosse un orso vero, ma il lettore – a differenza sua – ha potuto raccogliere gli indizi dal titolo, dal flash-back e da quelle espressioni strane di P.T. messe ad hoc in punti strategici… e lui, il lettore, sì che si era insospettito, e si è ritrovato a sorridere nel trovarsi finalmente di fronte alla soluzione dell’enigma.


Prima di concludere, vorrei parlare un momento di una cosa che mi chiedo fin da quando ho letto che Philip, parlando di Anne, pensa che “lei avrebbe avuto i baci del ragazzo e i suoi abbracci, ma a lui, a Phillip, sarebbero rimasti i segreti e le confidenze”.

Da questa frase sembra quasi che P.T. e Charity abbiano una relazione, e anche se alla fine scopriamo che non è così resta comunque il fatto che P.T. e Philip sono solo amici – beh, più o meno.

E, ok, magari è un po’ OT, ma ho letto anche l’altra tua storia ambientata in questo universo e lì invece hanno una relazione – o almeno così pare – quindi mi chiedevo: le due storie sono scollegate, pur trovandosi nello stesso AU, oppure questa è una sorta di prequel dell’altra? O sono io a non aver capito niente e in realtà anche in questa storia stanno insieme ed è solo Philip a farsi un sacco di paturnie per niente?


E, soprattutto: Philip, tesoro… per quale dannatissimo motivo hai voltato la testa alla fine?
Dimmelo, perché!?

Ok, ok, giuro che mi riprendo… anche se è stata una bella delusione, eh.


Tornando seri, immaginare P.T. che si trasforma in una volverina, piccola, pelosa e dolcissima, è davvero IL fluff più estremo, e non mi stupisce che Philip si arrenda all’evidenza e ci caschi con tutte le scarpe.

In fondo, alla fine, quel segreto che aveva rischiato di dividerli adesso è diventato loro, qualcosa che li unisce ancora di più – come se ce ne fosse bisogno – e che probabilmente diventerà un ingrediente fondamentale per le loro prossime avventure.

Dopotutto, Philip e Phineas sono partners in crime, no?



Gradimento personale:
Credo di aver espresso il concetto abbastanza chiaramente, ormai, ma in ogni caso io ho amato alla follia questa tua storia: la parte flash-back per la tenerezza e la cura con cui hai saputo parlare di Philip bambino, quella al presente per l’estremo dosaggio di fangirlismo (?) che hai scatenato prima con P.T. che prende al volo Philip e lo stringe tra le braccia stile damigella in pericolo (pericolo causato proprio da lui, ma dettagli) e poi alla fine, con quella canzone sussurrata a fior di labbra che… no, non ce la faccio. Meglio chiudere qui.






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Tratto da "Cara Mathilda" di Susanna Tamaro

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