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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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19/10/2012 16:33

208. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Dilettissimo e carissimo mio figlio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, vi benedico e conforto nel prezioso sangue di Gesù Cristo. «Con desiderio io ho desiderato di fare Pasqua con voi in prima ch'io muoia»: questa è la Pasqua ch'io voglio che noi facciamo, di vederci a la mensa dell'Agnello immacolato, che è cibo mensa e servidore.

In su questa mensa sono i frutti de le vere e reali virtù; ogni altra mensa è senza frutto, e questa è con perfetto frutto, ché dà vita. Questa è una mensa forata, piena di vene che germinano sangue, e tra gli altri v'ha uno canale che gitta sangue e acqua mescolato con fuoco; l'occhio che si riposa in su questo canale, gli è manifestato lo segreto del cuore. Questo sangue è uno vino che inebbria l'anima, del quale quanto più ne beie, più ne volrebbe bere, e non si sazia mai, poiché il sangue e la carne è unita con lo infinito Dio.

O figlio dolcissimo in Cristo Gesù, corriamo con sollecitudine a questa mensa! Adempite lo mio desiderio in voi, sì ch'io faccia la Pasqua; fate come colui che molto beie, che perde sé medesimo e non si vede, e se il vino molto gli diletta, anco ne beie più, e intanto che, riscaldato lo stomaco dal vino, nol può tenere e sì il bomica fuore. Veramente, figlio, che in su questa mensa troviamo questo vino - cioè lo costato aperto del Figlio di Dio -: egli è quel sangue che scalda e caccia fuore ogni freddezza, rischiara la voce di colui che il beie, letifica l'anima e il cuore, perché questo sangue è sparto col fuoco de la divina carità. E scalda tanto l'uomo, che gitta sé fuore di sé, e quinci viene che non può vedere sé per sé, ma sé per Dio, e Dio per Dio, e il prossimo per Dio. E quando egli ha bene beiuto, egli lo gitta sopra lo capo dei fratelli suoi: ha imparato da colui che in mensa continuamente versa, non per sua utilità ma per nostra. Noi che mangiamo a la mensa, conformandoci col cibo, facciamo quello medesimo, non per nostra utilità, ma per onore di Dio e per la salute del prossimo: per questo sete mandato. Confortatevi, ché questo fuoco vi darà la voce e tollaravi la fiocaggine.

S'io potrò, io vi venrò e molto volentieri; richiamatevene a Cristo che mi faccia venire. Dite a misser Biringhieri che si conforti con Cristo Gesù, e raguardi la brevità del tempo e il prezzo ch'è pagato per lui: io lo venrò a vedere s'io potrò. Dite a frate Simone ch'io tolrò la fune de la carità, e tenrollo legato al petto mio, sì come madre lo figlio. Sono consolata di questo prete, che pare ch'abbi buona volontà; menatelo ai frati di Monte Oliveto, e brigatelo d'aconciare lo più tosto che voi potete. Siate siate sollecito.

Mona Giovanna vi conforta e benedice. Ricordivi di Giovanna pazza e 'nvasata del fuoco dell'Agnello smiraldato. Lisa e mona Alessa e Cecca cento migliaia di volte vi si racomandano. Laldato sia Gesù Gesù Gesù.



209. Al santo padre papa Gregorio XI, poi che fu giunto a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi giunto alla pace, pacificato voi i figliuogli con voi; la quale pace Dio vi richiede, e vuole che ne facciate ciò che potete.

Oimé, non pare che voglia che noi attendiamo tanto alla signoria e sustanzia temporale che non si vegga quanta è la destruzione delle anime e vitoperio di Dio, lo quale segue per la guerra. Parmi che Dio voglia che voi apriate l'occhio dell'intelletto sopra la bellezza dell'anima e sopra lo sangue del Figlio suo; del quale sangue lavò la faccia dell'anima nostra, e voi ne sete ministro. Invitavi a la fame del cibo delle anime, ché colui che ha fame de l'onore di Dio e della salute delle pecorelle, per ricoverarle e trarle delle mani deli demoni egli lassa andare la vita sua corporale, non tanto che la sustanzia.

Bene che potreste dire, santo padre: «Per conscienzia io sono tenuto di conservare e racquistare quello della Chiesa». Oimé, io confesso bene che egli è la verità, ma parmi che quella cosa che è più cara, si debba meglio guardare. Lo tesoro della Chiesa è lo sangue di Cristo, dato in prezzo per l'anima - ché lo tesoro del sangue non è pagato per la sustanzia temporale, ma per salute de l'umana generazione -, sì che, poniamo che siate tenuto di racquistare e conservare lo tesoro e la signoria de le città, la quale la Chiesa ha perduta, molto maggiormente sete tenuto a racquistare tante pecorelle che sono uno tesoro nella Chiesa, che troppo ne 'mpoverisce quando ella le perde. Non che impoverisca in sé, ché lo sangue di Cristo non può diminuire, ma perde uno adornamento di gloria, lo quale riceve da l'anime virtuose obbedienti e suddite a lei. Meglio ci è dunque lasciare andare lo loto delle cose temporali che l'oro delle spirituali. Fate quello che si può, e, fatto lo potere, scusato sete dinanzi a Dio e agli uomini del mondo. Voi gli batterete più col bastone de la benignità, dell'amore e pace, che col bastone della guerra; e verràvi riavuto lo vostro spiritualmente e temporalmente.

Ristrignendosi l'anima mia fra sé e Dio, con grande fame della salute vostra e reformazione della santa Chiesa e bene di tutto quanto lo mondo, non pare che Dio manifesti altro remedio, né io vedo altro in lui, che quello della pace. Pace, pace, per l'amore di Cristo crocifisso! Non raguardate all'ignoranza, cecità e superbia dei figli vostri; con la pace lo' trarrete la guerra e rancore del cuore e la divisione, e unireteli.

Con la virtù cacciarete lo demonio.

Apritemi bene l'occhio dell'intelletto, con fame e desiderio della salute delle anime, a raguardare due mali: male nella grandezza, signoria e sustanzia temporale, la quale vi pare essere tenuto di racquistare; l'altro male è di vedere perdere la grazia nell'anime, e l'obbedienzia la quale debbono avere alla Santità vostra. E così molto maggiormente sete tenuto di racquistare l'anime. Poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto e discerne quale è lo meno male, voi, santissimo padre, che sete in mezzo di questi così grandi due mali, dovete eleggiare lo minore: scegliendo lo minore per fuggire lo maggiore, perderete l'uno male e l'altro; e amenduni torneranno in bene: cioè che averete in pace racquistati i figli, e avarete lo debito vostro.

Mia colpa! che io non dico questo però per insegnarvi, ma sono constretta da la prima dolce Verità e dal desiderio che io ho, babbo mio dolce, di vedervi pacificato, in quiete l'anima e il corpo; ché con queste guerre e malaventura non vedo che potiate avere una ora di bene. Distruggesi quello dei poveri nei soldati, i quali sono mangiatori de la carne degli uomini, e vedo che impedisce lo santo vostro desiderio, lo quale avete della reformazione della Sposa vostra.

Riformarla, dico, di buoni pastori e rettori; e voi sapete che con la guerra malagevolmente lo potete fare, ché - parendovi avere bisogno di principi e signori - la necessità vi parrà che vi stringa di fare i pastori a modo loro, e non vostro; bene che ella è pessima ragione che, per veruno bisogno che si vegga, io metta però pastori o altri, chi si sia, nella Chiesa, che non sia tutto virtuoso e persona che non cerchi sé per sé, ma cerchi sé per Dio, cercando la gloria e loda del nome suo. E non debba essere enfiato per superbia, né porco per immundizia, né foglia che si volla al vento delle pompe ricchezze e vanità del mondo. Oimé, non così, per l'amore di Cristo crocifisso, e per la salute dell'anima vostra! Tollete via la cagione della guerra, quanto è possibile a voi, affinché non veniate in questo inconveniente di fargli secondo la volontà degli uomini, e non secondo la volontà di Dio e desiderio vostro.

Voi avete bisogno dell'aiutorio di Cristo crocifisso: in lui ponete l'affetto e il desiderio, e non in uomo e aiutorio umano, ma in Cristo dolce Gesù, la cui vece voi tenete, ché i pare che egli voglia che la Chiesa torni al primo dolce stato suo. O quanto sarà beata l'anima vostra e mia che io vegga voi essere cominciatore di tanto bene, che alle vostre mani quello che Dio permette per forza, si facci per amore! Questo sarà lo modo a farlo: con pace, e con pastori veri e virtuosi e umili servi di Dio, ché ne trovarete, se piacerà alla Santità vostra di cercargli. Ché sono due cose per che la Chiesa perde e ha perduto i beni temporali, cioè per la guerra e per lo mancamento della virtù; ché colà dove non ha virtù, sempre ha guerra col suo Creatore, sì che la guerra n'è cagione. Ora dico che, a volere racquistare quello che è perduto, non c'è altro remedio se non col contrario di quello con che è perduto: racquistare con pace e virtù, come detto è. A questo modo adempirete l'altro santo desiderio vostro e dei servi di Dio, e di me misera miserabile: di racquistare le tapinelle anime degl'infedeli che non participano lo sangue de lo dissanguato e consumato Agnello. Or vedete, santissimo padre, quanto è lo bene che se ne impedisce, e quanto è lo male che ne segue e che se ne fa: spero per la bontà di Dio e nella Santità vostra che, giusta al vostro potere, v'ingegnarete di ponare lo remedio detto della santissima pace. Questa è la volontà di Dio.

E dicovi, da parte dolcissima sua, che di questo e dell'altre cose che avete a fare voi pigliate consiglio da' veri servi di Dio, che vi consigliaranno in verità; e di loro vi dilettate, ché n'avete bisogno. E però sarà bene, ch'è di grande necessità, che voi gli teniate allato a voi, mettendogli per colonne nel corpo mistico della santa Chiesa. Credo che frate Iacopo da Padova, portatore di questa lettera, sia uno vero dolce servo di Dio, lo quale vi racomando; e pregovi che piaccia alla Santità vostra che lui e gli altri vi vogliate sempre vedere apresso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate alla mia presunzione. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





210. A missere Matteo, rettore de la Casa de la Misericordia di Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi annegato e affogato nell'abondanzia d'esso sangue suo. La memoria del quale sangue rende calore e lume all'anime fredde e tenebrose, dona larghezza e tolle estremità, tolle superbia e infonde umilità, tolle crudeltà e dona pietà.

O inestimabile carità di carità, non mi maraviglio se nel sangue tuo io truovo la virtù de la pietà, impoiché io vedo che per divina pietà tu hai dissanguato te medesimo, e non per debito; e facesti vendetta de la crudele e pessima crudeltà che l'uomo ebbe a sé medesimo quando per lo peccato si fece degno di morte.

Perciò desidero di vedervi annegato in questo fiume, a ciò che ne traiate quella pietosa compassione e misericordia, la quale continuamente vi bisogna adoperare secondo lo stato vostro. E poniamo che io desideri di vedervi usare questa virtù inverso i povari di Cristo, de le sustanzie temporali, non sono contenta qui, ma invitovi, secondo che Dio invita l'anima mia, a distendere gli amorosi e ardentissimi desiderii, con occhi pietosi e lagrimosi, mostrando, nel conspetto de la divina pietà, compassione a tutto lo mondo. Ed egli c'insegna molto bene il modo, sì come ebbro d'amore, e per lo desiderio che ha di fare tosto l'opera sua dice: «Pigliate il corpo de la santa Chiesa coi membri legati e tagliati, e ponetelo con piatosa compassione sopra il corpo mio». Sopra lo quale corpo furono fabricate tutte le nostre iniquità, poiché egli fu quello che prese con pena la città dell'anima nostra, e il Padre fu quello che accettò il sacrificio.

Mangiamo mangiamo Perciò l'anime sopra a questa mensa del corpo del dolce Figlio di Dio, sì che, passando i penosi e ansiati desiderii con fadigosi aspettari, sopravenendo gli adempiuti dolci e inamorati desiderii - dove l'anima si pacifica quando si vede adempiuto quello che molto tempo ha desiderato -, possiamo allora, con dolci voci e soavi, gridare al Padre quello che dice la santa Chiesa: «Per Gesù Cristo nostro Signore tu ci hai fatto misericordia, levando i lupi e piantando gli agnelli». Perciò, o padre fratello e figlio in Cristo Gesù, levianci dal sonno de la negligenzia, a ciò che in poco tempo noi usciamo de le mani dei lupi e perveniamo a questa giocundità, non per noi ma solo per l'onore di Dio.

Questa è quella virtù pietosa che io voglio che noi aviamo, e però dissi che io desideravo di vedervi affogato nel sangue del Figlio di Dio, poiché ella è quella memoria che notrica la virtù de la pietà e de la misericordia nell'anima nostra. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





211. A maestro Raimondo, in Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi voi e gli altri figliuogli vestiti del vestimento nuziale, lo quale è quel vestimento che ricuopre tutte le nostre nudità.

Egli è una arme che non lassa incarnare a morte i colpi dell'avversario demonio; ma più tosto l'ha a fortificare che a 'ndebilire ogni colpo di tentazione o molestia di demonio, o di creatura, o della carne propria, che volesse ribellare allo spirito. Dico che questi colpi, non tanto che sieno nocivi, ma i saranno pietre preziose e margarite poste sopra questo vestimento dell'ardentissima carità. Or da che sarebbe l'anima che non portasse delle molte fatiche e tentazioni, da qualunque parte e per qualunque modo Dio le concede? Non sarebbe in lei virtù provata, poiché la virtù si pruova per lo suo contrario.

Con che si pruova la purezza e s'acquista? col contrario, cioè con la molestia della immondizia, poiché, chi fusse immondo, non gli bisognarebbe ricevare molestia dalle cogitazioni della immondizia; ma perché si vede che la volontà è privata dei perversi consentimenti, ed è purificata d'ogni macchia per santo e vero desiderio che ha di piacere al suo Creatore, però il demonio, lo mondo e la carne gli danno molestia. Sì che ogni cosa contraria si caccia per lo suo contrario. Vedete che per la superbia s'acquista l'umilità: quando l'uomo si vede molestare da esso vizio di superbia, subito s'umilia, conoscendosi difettuoso e superbo: che se non avesse avuta quella molestia non si sarebbe sì ben conosciuto. Poi che s'è umiliato e veduto sé, concepe uno odio per sì-fatto modo che gode ed essulta d'ogni pena e ingiuria che sostenesse. Questi fa come cavaliere verile, lo quale non ischifa i colpi, anco si riputa indegno di tanta grazia quanta gli pare, ed è, a sostenere pena, tentazioni e molestie per Cristo crocifisso. Tutto è per l'odio ch'egli ha di sé medesimo, e per amore che ha conceputo alla virtù.

Perciò vedete che non è da fuggire né dolersi nel tempo delle tenebre, poiché dalle tenebre nasce la luce. O Dio dolce amore, che dolce dottrina dai, che per lo contrario della virtù s'acquista la virtù! Della impazienzia s'acquista la pazienza: ché l'anima che sente lo vizio della impazienzia diventa paziente della ingiuria ricevuta, ed è impaziente verso il vizio della impazienzia, e più si duole che ella si duole, che di nessuna altra cosa. E così nei contrarii le viene acquistata la perfezione, e non se n'avvede; trovasi diventato perfetto nelle molte tempeste e tentazioni. E in altro modo non si giogne mai a porto di perfezione. Sicché pensatevi questo: che l'anima non può ricevare né desiderare virtù che ella non abbi i desiderii, molestie e tentazioni sostenere con vera e santa pazienza per amore di Cristo crocifisso.

Dobiamo dunque godere ed essultare nel tempo delle battaglie molestie e tenebre, poi che di loro esce tanta virtù e diletto.

Doimé, figlio dato da quella dolce madre Maria, non voglio che veniate a tedio né a confusione, per nessuna molestia che sentiste nella mente vostra; ma voglio che voi conserviate la buona e santa e vera fedele volontà, la quale io so che Dio per sua misericordia v'ha data. So che vorreste inanzi morire che offendarlo mortalmente. Sì ch'io voglio che delle tenebre esca lo conoscimento di voi medesimo, senza confusione; della buona volontà esca uno conoscimento della infinita bontà e inestimabile carità di Dio, e in questo conoscimento stia e ingrassi l'anima vostra.

Pensate che per amore egli vi conserva la buona volontà, e non la lassa corrire per consentimento e diletto dietro alle cogitazioni del demonio. E così, per amore ha permesso a voi e a me e agli altri servi suoi le molte molestie e illusioni dal demonio, dalle creature e dalla carne propria, solo perché noi ci leviamo dalla negligenzia e veniamo a perfetta sollecitudine, a vera umilità e ardentissima carità; la quale umilità viene per conoscimento di sé, e la carità per lo conoscimento della bontà di Dio. Ine s'inebria e si consuma l'anima per amore.

Godete, padre, ed essultate; e confortatevi, senza neuno timore servile, e non temete per nessuna cosa che vedeste venire o che fusse venuta, ma confortatevi, ché la perfezione è presso da voi. E rispondete al demonio, dicendo che quella virtù non ha adoperato in voi per me, poiché non era in me; ma è adoperata per grazia della infinita pietà e misericordia di Dio, sì che per Cristo crocifisso ogni cosa potrete. Fate con fede viva tutte le vostre opere, e non mirate perché vedeste apparire nessuna cosa contraria, che paresse che fusse contro la vostra opera. Confortatevi confortatevi, ché la prima e dolce Verità ha promesso d'adempire lo vostro e mio desiderio in voi. Svenatevi per ardente desiderio con lo dissanguato e consumato Agnello; riposatevi in croce con Cristo crocifisso; dilettatevi in Cristo crocifisso, dilettatevi in pene; satollatevi d'obrobrii per Cristo crocifisso; inestisi lo cuore e l'affetto in sull'albero della santissima croce con Cristo crocifisso; e nelle piaghe sue fate la vostra abitazione.

E perdonate a me, cagione e strumento d'ogni vostra pena e imperfezione, ché, se io fussi strumento di virtù, sentireste, voi e gli altri, odore di virtù. E non dico queste parole perch'io voglia che n'abbiate pena, - perché la vostra pena sarebbe mia -: perché voi abbiate compassione, voi e gli altri figli, alle mie miserie. Spero e tengo di fermo, per la grazia dello Spirito santo, che porrà fine e termine in tutte quelle cose che sono fuori della volontà di Dio. Pensate che io misera miserabile sto nel corpo, e truovomi per desiderio continovo fuori del corpo. Oimé, dolce e buono Gesù, io muoio e non posso morire, e schioppo e non posso schioppare del desiderio ch'io ho della rinovazione della santa Chiesa - per onore di Dio e salute d'ogni creatura -, e di vedere voi e gli altri vestiti di purezza, e arsi e consumati nell'ardentissima carità sua.

Dite a Cristo in terra che non mi faccia più aspettare. E quando io vedarò questo, cantarò con quello dolce vecchio di Simeone: () (Lc 2,29).

Non dico più, ché, se io seguissi la volontà, testé cominciarei.

Fate che io vi vegga e senta tutti legati e conficcati con Cristo dolce Gesù, sì e per sì-fatto modo, ché né dimonia né creatura vi possa mai partire né separare da così dolce e soave legame. Amatevi amatevi amatevi insieme.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





212. A Neri di Landoccio - cum esset Florentia-


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere crescere in te lo santo e buono desiderio, con dolce e vera perseveranza infine al fine.

Pensati, figlio mio, che ogni dì si conviene che noi c'ingegniamo di crescere in virtù, poiché non andando inanzi sarebe uno tornare adietro. Spero, per la divina bontà, che s'adempirà in te lo desiderio mio, in questo e anco in altro. Non dico al presente altro per la brevità del tempo, e per occupazione d'alcune altre cose a che mi conviene attendere.

Confortati in Cristo Crocifisso con una buona pazienza, e conforta e benedi' More molto molto per mia parte; e fa che tu preghi Dio per questi tuoi fratelli, i quali ti mandano molto confortando e singolarmente per questo negligente di Stefano. Barduccio e Francesco stanno bene, e molto ti confortano.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







213. A Daniella da Orvieto vestita de l'abito di santo Domenico.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suora e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in te la virtù santa della discrezione, la quale virtù ci è necessaria d'avere, se voliamo la salute nostra.

Perché c'è ella tanto di necessità? Perché ella esce del cognoscimento di noi e di Dio: in questa casa tiene le sue radici. Ella è drittamente un figlio parturito dalla carità. Che è propriamente discrezione? e che principalmente adopera? Discrezione è uno lume e un cognoscimento che l'anima ha di sé e di Dio, come detto è. La principale cosa che ella aopera, è questa: che con lume discreto ha veduto a cui è obligata e quello che dovrebbe rendere. E perché l'ha veduto, però subito il rende con perfetta discrezione, rendendo a Dio gloria e loda al nome suo. E tutte le opere che fa l'affetto dell'anima, fa con questo lume, cioè che tutte sono fatte per questo fine, sì che a Dio rende il debito de l'onore.

Non fa come lo indiscreto robbatore, che lo onore vuole dare a sé; e per cercare il proprio onore e piacere, non si cura di fare vituperio a Dio, e danno al prossimo. Unde perché la radice de l'affetto dell'anima è corrotto dalla indiscrezione, sono corrotte tutte le sue opere in sé e in altrui. Come in altrui? Che indiscretamente comanda e pone i pesi ad altri, o spirituale o secolare che sia, e di qualunque stato s'è. Se egli amunisce o consiglia, indiscretamente il fa, volendo pesare ogni persona con quel peso col quale pesa sé medesimo. Il contrario fa l'anima discretamente: vede il bisogno suo e l'altrui. Unde, poi che ella ha renduto il debito de l'onore a Dio, ella rende il suo a sé, cioè odio del vizio e della propria sensualità che n'è cagione, e amore della virtù, amandola in sé.

Questo medesimo lume, col quale ella si rende il debito, rende al prossimo suo. E però dissi: in sé e in altrui. Unde rende al prossimo il debito al quale gli è obligata, cioè la benevolenza, amando in lui la virtù, e odiando il vizio, e amalo come creatura creata dal sommo eterno Padre. Meno e più perfettamente rende la carità della carità a lui, secondo che l'ha in sé. Sì che questo è il principale effetto, che adopera la discrezione nell'anima, perché con lume ha veduto che debito le conviene rendere, e a cui, e però il rende.

Questi sono tre rami principali che escono di questo glorioso figlio della discrezione, il quale esce dell'albero della carità. Di questi tre rami escono infiniti frutti, tutti suavi e di grandissima dolcezza, da nutrere e crescere l'anima nella vita della grazia, quando con la mano del libero arbitrio, e con la bocca del santo e ardente desiderio, gli prende. In ogni stato che la persona è, gusta di questi frutti, se ella ha il lume della discrezione: in diversi modi, secondo il diverso stato.

Colui che è nello stato del mondo, e ha questo lume, coglie il frutto dell’obbedienza dei comandamenti di Dio, e il dispiacere del mondo, spogliandosene mentalmente, poniamo che attualmente ne sia vestito. Se egli ha figli, piglia il frutto di nutrergli col timore santo di Dio. Se egli è signore, piglia il frutto della giustizia, perché discretamente vuole rendere a ciascuno il debito suo; unde col rigore della giustizia il giusto premia, e l'ingiusto che ha commessa la colpa punisce, gustando il frutto della ragione: che per lusinghe né per timore servile non si parte da questa via. Se egli è suddito, piglia il frutto dell’obbedienza e reverenzia verso il signore suo, schifando la cagione e le vie per le quali il potesse offendere. Se col lume non l'avesse vedute, non l'avrebbe schifate.

Se sono religiosi o prelati o sudditi, tràggonne il frutto dolce e dilettevole d'essere osservatori de l'ordine loro, portando e sopportando i difetti l'uno dell'altro, abracciando le vergogne e il dispiacere di sé, ponendosi sopra le spalle il giogo dell’obbedienza. Lo prelato piglia la fame de l'onore di Dio e salute delle anime, gittando lo' il lamo della dottrina e della vita essemplaria. In quanti diversi modi e in diverse creature si pigliano questi frutti troppo sarebbe lungo a narrare; con lingua non si potrebbono esprimere.

Ma vediamo, carissima figlia (parliamo ora in particulare, e parlando in particulare sarà parlato in generale): che regola dà questa virtù della discrezione nell'anima? Pare a me, che ella dia questa regola nell'anima e nel corpo, in persone che spiritualmente vogliono vivere, attualmente e mentalmente, benché ella ogni persona regoli nel grado e nello stato suo: ma parliamo ora a noi. La prima regola che ella dà nell'anima, è quella che detta abiamo, di rendere l'onore a Dio, al prossimo la benevolenza, e a sé odio del vizio e della propria sensualità. Questa carità nel prossimo ella l'ordina: cioè che l'uomo per lo prossimo non pone l'anima sua, ché per fargli utilità non vuole offendere Dio, ma discretamente fugge la colpa, e dispone il corpo suo ad ogni pena e tormento, per campare una anima, e quante ne potesse campare, delle mani del demonio. E disponsi a dare la substanzia temporale per subvenire e campare il corpo del prossimo suo: questo fa la carità con questo lume della discrezione, ché discretamente l'ha regolato nella carità del prossimo. Il contrario fa l'indiscreto, che non si cura d'offendere Dio, né di ponere l'anima sua per fare servigio e piacere al prossimo indiscretamente: quando in rendere falsa testimonianza, quando in farli compagnia in luoghi scelerati e miserabili; e così in molti altri modi, come tutto dì lo' vengono i casi.

Questa è la regola della indiscrezione, la quale esce della superbia e della perversità dell'amore proprio di sé, e della cecità di non avere cognosciuto né sé né Dio.

Poi che la discrezione ha regolata l'anima nella carità del prossimo, ed ella la regola in quella cosa che la conserva e cresce in essa carità, cioè nella continua umile e fedele orazione, ponendole il manto dell'affetto delle virtù, affinché non sia offesa dalla tiepidezza, negligenzia, e amore proprio di sé, spirituale né corporale: però le dà questo affetto delle virtù, affinché l'affetto suo non si ponesse in veruna altra cosa dalla quale potesse ricevere alcuno inganno.

Anco questa discrezione ordina e regola corporalmente la creatura. In che? Dicotelo: che l'anima la quale si dispone a volere Dio fa il suo principio nel modo che detto abiamo, ma, perché ella ha il vasello del corpo, si conviene che questo lume ponga la regola a lui, come l'ha posta nell'anima, sì come strumento che egli è o debbe essere ad augmentare la virtù. La regola è questa: che egli il sottrae dalle delizie e dilicatezze del mondo, e levalo dalla conversazione dei mondani, e dàgli la conversazione dei servi di Dio; levalo da' luoghi dissoluti, e tienlo nei luoghi che lo induchino a devozione. A tutte le membra del corpo dà ordine, affinché sieno modesti e temperati: l'occhio che non raguardi dove non debbe raguardare, ma dinanzi a sé ponga la terra e il cielo; la lingua fugga il parlare ozioso e vano, e sia ordinata ad annunziare la parola di Dio, confessare i peccati suoi, e in salute del prossimo; l'orecchie fugano le parole dilettevoli, lusinghevoli, e di detrazione o dissolute che gli fossino dette; e attenda ad udire la parola di Dio, e il bisogno del prossimo, cioè voluntariamente udire la sua necessità. Così la mano nel toccare e ne l'adoperare, i piedi nell'andare: a tutti dà regola. E affinché per la legge perversa della impugnazione che dà la carne contro lo spirito non si levi a disordinare questi strumenti, pone regola al corpo, macerandolo con la vigilia, col digiuno, e con gli altri essercizii, i quali hanno tutti a rifrenare il corpo nostro.

Ma attende che tutto questo fa non indiscretamente, ma con lume dolce di discrezione. E in che il dimostra? In questo: che ella non pone per principale affetto suo veruno atto di penitenza; e affinché non cadesse in questo inconveniente di ponere per principale affetto la penitenza, provide il lume della discrezione di mantellare l'anima con l'affetto delle virtù. Debbesi bene usare la penitenza come strumento, ai tempi e ai luoghi, secondo che bisogna. Unde se il corpo per troppa fortezza ricalcitrasse allo spirito, priva della verga della disciplina, il digiuno, il cilicio, le molte genue, con grande vigilia: pongli allora dei pesi assai, affinché egli stia più trito. Ma se il corpo è debole, e venuto ad infermità, non vuole la regola della discrezione che si faccia così, anco debba non solamente lasciare stare il digiuno, ma mangi della carne. E se non ha assai d'una volta o due il dì, pigline quattro. Se non può stare in terra, stia in su lo letto; se non può ginocchioni, stia a sedere, e a giacere se n'ha bisogno. Questo vuole la discrezione, e però t'ha posta la penitenza per strumento, e non per principale tuo affetto. E sai perché egli non vuole? Affinché l'anima serva a Dio con cosa che non gli possa essere tolta e che non sia finita, ma con cosa infinita, cioè col desiderio santo: il quale è infinito, per l'unione che ha fatta ne l'infinito desiderio di Dio, e nelle virtù, le quali né demonio né creatura, né infermità ci può togliere, se noi non voliamo. Anco nella infermità pruovi la virtù della pazienza; nelle battaglie deli demoni e molestie che ricevessi dalle creature pruovi la virtù della fortezza, la pazienza e la longa perseveranza. E così tutte le altre virtù permette Dio che ci sieno provate e augmentate con molti contrarii, ma non tolte mai, se noi non voliamo.

In questo dobiamo fare il nostro fondamento, e non nella penitenza. Due fondamenti non può l'anima fare: ché o l'uno o l'altro si conviene che vadi a terra, e quello che non è principio usi per strumento. Se io fo il mio principio nella penitenza corporale, io edifico la città dell'anima sopra l'arena, che ogni picciolo vento la caccia a terra, e neuno edificio vi posso ponere su. Ma se io edifico sopra la virtù, è fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù, e non è veruno edificio tanto grande che non vi stia su bene, né vento sì contrario che mai il dia a terra. Per questo e molti altri inconvenienti che ne vengono, non ha voluto che la penitenza s'usi altro che per strumento.

Molti penitenti ho già veduti, i quali non sono stati pazienti, né obedienti, né umili, perché hanno studiato ad uccidere il corpo, ma non la voluntà. Questo ha fatto la regola della indiscrezione. Sai che n'addiviene? Tutta la consolazione e l'affetto loro è posto in fare la penitenza a loro modo, e non a modo altrui. In essa nutreno la loro voluntà: mentre che essi la compiono, hanno consolazione e allegrezza, e pare a loro essere pieni di Dio, come se ogni cosa avessino compito; e non s'aveggono che caggiono nella propria reputazione, e in giudicio: che se ognuno non va per questa via, lo' pare che sieno in stato di dannazione o in stato imperfetto. Indiscretamente vogliono misurare tutti i corpi d'una misura medesima, cioè con quella che essi misurano loro stessi. E chi gli volesse ritrare da questo o per rompere la loro voluntà o per necessità che n'avessero, tengono la voluntà più dura che il diamante; vivi per sì-fatto modo che al tempo della pruova, o d'una tentazione o d'una ingiuria, si trovano in questa voluntà perversa più debili che la paglia. La indiscrezione lo' mostrava che la penitenza rifrenasse l'ira, la impazienzia e gli altri movimenti che vengono sopra ai vizii, ed egli non è così.

Mostrati questo glorioso lume che con l'odio e pentimento di te, con agravare la colpa, con rimproverio, con la considerazione di vedere chi è Dio che è offeso da te, e chi sei tu che l'offendi, con la memoria della morte, e con l'affetto delle virtù ucciderai il vizio nell'anima, e trarra'ne le barbe. La penitenza taglia, ma tu ti truovi sempre la barba, la quale è atta a fare germinare: ma questo divelle e dibarbica. è bene questa terra, dove stanno piantati i vizii, sempre atta a ricevere, se la propria voluntà col libero arbitrio ve ne mette: altrementi no, poiché la radice n'è divelta. E se caso viene che a quel corpo, per forza d'infermità, gli convenga uscire dei suoi modi, egli viene subito a uno tedio e confusione, privato d'ogni allegrezza; e pargli essere dannato e confuso, e non trova la dolcezza nell'orazione, come gli pareva avere nel tempo della sua penitenza. E dove n'è andata? nella propria voluntà, nella quale ella era fondata, la quale voluntà non potendo compire, ha pena e tristizia. E dove è la speranza che tu avevi del regno di Dio, che ora sei venuto a tanta confusione e quasi a disperazione? Èssene andata ne l'affetto della penitenza, per cui mezzo speravi d'avere vita eterna; non potendola più fare, parnegli essere privato. Questi sono i frutti della indiscrezione. Se egli avesse il lume della discrezione, vedrebbe discretamente che solo essere privato delle virtù gli tolle Dio; e col mezzo della virtù, mediante il sangue di Cristo, ha vita eterna.

Perciò ci leviamo da ogni imperfezione, e poniamo l'affetto nostro nelle virtù, come detto è; le quali sono di tanto diletto e giocundità, che la lingua nol potrebbe mai narrare. Nessuno è che a quella anima possa dare pena, né che le tolga la speranza del cielo, perché ella ha morta in sé la propria voluntà nelle cose temporali e nelle spirituali, e perché l'affetto suo è posto non in penitenza né in propria consolazione, né in revelazioni, ma nel sostenere per Cristo crocifisso e per amore della virtù. Unde ella è paziente, fedele, spera in Dio, e non in sé né in sua opera; ella è umile e obediente a credere ad altri e non a sé, e però non presumme di sé medesima. Ella si dilarga nelle braccia della misericordia, e con essa caccia la confusione della mente. Nelle tenebre e battaglie trae fuore il lume della fede, essercitandosi con vera e profonda umilità; e nell'allegrezza entra in sé medesima, affinché il cuore non venga a vana letizia. Ella è forte e perseverante, perché ha morta in sé la propria voluntà che la faceva debole e inconstante.

Ogni tempo l'è tempo e ogni luogo l'è luogo: se ella è nel tempo della penitenza, a lei è tempo d'allegrezza e consolazione, perché l'usa come strumento; e se per necessità o perobbedienza gliele conviene lasciare, ella gode perché il principale fondamento de l'affetto delle virtù non le può essere tolto, e non è tolto da lei; e anco perché si vede annegare la propria voluntà la quale ha veduto col lume che sempre l'è necessario di ricalcitrarle con grande diligenzia e sollicitudine. In ogni luogo trova l'orazione, perché sempre porta con sè il luogo dove Dio abita per grazia e dove noi oriamo, cioè la casa dell'anima nostra, dove òra il continuo santo desiderio. Lo quale desiderio si leva col lume dell’intelletto a specolarsi in sé, e nel fuoco inestimabile della divina carità, il quale trova nel sangue sparto per larghezza d'amore, e il sangue trova nel vasello dell'anima. A questo attende, e debba attendere di conoscere, affinché nel sangue s'inebrii, e nel fuoco ardi e consumi la propria voluntà, e non solamente a compire il numero dei molti paternostri.

Così faremo l'orazione nostra continua e fedele; perché nel fuoco della sua carità conosceremo che egli è potente a darci quello che adomandiamo; è somma sapienza, che sa dare e discernere quello che c'è necessario; ed è clementissimo e pietoso Padre, che ci vuole dare più che l'anima non desidera, e più che non sa adimandare per la sua salute e bisogno. E dissi che ella è umile, perché ha cognosciuto in sé il difetto suo, e sé non essere. Questa è quella orazione per cui mezzo veniamo a virtù, e conserviamo in noi l'affetto d'esse virtù. Chi è principio di tanto bene? la discrezione figlia della carità, nel modo che detto abiamo. E di quel bene che ha in sé, di quello porge al prossimo suo.

Unde l'amore, la dottrina e il fondamento che ha fatto e ricevuto in sé, quel medesimo porge alla creatura; e mostralo per essemplo di vita e per dottrina, cioè per consiglio quando vede la necessità, o quando le fosse chiesto. Ella conforta, e non confonde l'anima inducendola a disperazione quando per alcuno difetto fosse caduta, ma caritativamente si fa inferma con lei insieme, dandole il remedio che si può, e dilargandola nella speranza nel sangue di Cristo crocifisso. Questi e infiniti frutti dona al prossimo la virtù della discrezione. Perciò, poiché ella è tanto utile e necessaria, carissima e dilettissima figlia e suora mia in Cristo dolce Gesù, io invito te e me a fare quello che per lo tempo passato io confesso non avere fatto con quella perfezione che io debbo.

A te non è intervenuto quello che a me, cioè d'essere stata ed essere difettuosa, e d'essere andata con larghezza di vita, e non con estrema, per lo mio difetto; ma tu, come persona che hai voluto atterrare la gioventudine del corpo tuo, affinché non sia ribelle all'anima, hai presa la vita estrema per sì-fatto modo che pare che ella sia fuori de l'ordine della discrezione, in tanto che pare che ella ti voglia fare sentire dei frutti della indiscrezione, e fare vivere in questo la propria tua voluntà. E lassando tu quello che sei usata di fare, pare che il demonio ti voglia fare vedere che tu sia dannata. A me dispiace molto, e credo che sia grande offesa di Dio. E però voglio, e prego te, che il principio e il fondamento nostro con vera discrezione sia fatto ne l'affetto delle virtù sì come detto è. Uccide la tua voluntà, e fa' quello che t'è fatto fare: attienti all'altrui vedere più che al tuo. Sentiti il corpo debole e infermo: prendi ogni dì il cibo, quello che t'è necessario a ristorare la natura. E se la infermità e debolezza si leva, piglia una vita ordinata con modo, e non sanza modo. Non volere che il piccolo bene della penitenza impedisca il maggiore: non te ne vestire per tuo principale affetto, che tu te ne troveresti ingannata: ma voglio che per la strada battuta delle virtù noi andiamo realmente, e per questa medesima guidiamo altrui, spezzando e fracassando le nostre voluntà. Se avremo in noi la virtù della discrezione il faremo, altrimenti no. E però dissi che io desiderava di vedere in te la virtù santa della discrezione. Altro non ti dico. Perdonami se troppo presuntuosamente io avessi parlato: l'amore e il desiderio della tua salute e perfezione, me n'è cagione, per onore di Dio.

Permane nella santa e dolce carità sua. Gesù dolce, Gesù amore.

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