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Innamoriamoci della Sacra Scrittura! Essa ha per Autore Dio che, con la potenza dello Spirito Santo solo, è resa comprensibile (cf. Dei Verbum 12) attraverso coloro che Dio ha chiamato nella Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi. Predisponi tutto perché lo Spirito scenda (invoca il Veni, Creator Spiritus!) in te e con la sua forza, tolga il velo dai tuoi occhi e dal tuo cuore affinché tu possa, con umiltà, ascoltare e vedere il Signore (Salmo 119,18 e 2 Corinzi 3,12-16). È lo Spirito che dà vita, mentre la lettera da sola, e da soli interpretata, uccide! Questo forum è CONSACRATO ALLO SPIRITO SANTO e sottolineamo che questo spazio non pretende essere la Voce della Chiesa, ma che a Lei si affida, tutto il materiale ivi contenuto è da noi minuziosamente studiato perchè rientri integralmente nell'insegnamento della nostra Santa Madre Chiesa pertanto, se si dovessero riscontrare testi, libri o citazioni, non in sintonia con la Dottrina della Chiesa, fateci una segnalazione e provvederemo alle eventuali correzioni o chiarimenti!
 
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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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19/10/2012 15:16

Per leggere le Lettere di Santa Caterina da Siena dalla n. 1 alla n. 100
ricordate di cliccare qui: LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (1)

 
101 A missere Iacomo cardinale degli Orsini.

102 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

103 A Benuccio di Piero e Bernardo di missere Uberto dei Belforti da Volterra.

104 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

105 Al predetto frate Bartolomeo quando era ad Asciano.

106 A Neri predetto in Firenze.

107 A Luisi di missere Luisi dei Ga lerani in Asciano.

108 A monna Giovanna di Capo e a Francesca, in Siena.

109 Ad dominum abbatem Lesatensem nuntium apostolicum in Tuscia.

110 A madonna Stricca donna di Cione di Sandro dei Salimbeni.

111 A madonna Biancina, donna che fu di Giovanni d'Agnolino.

112 A la contessa Bandecca, figlia che fu di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni da Siena.

113 Alla contessa Bandecca figlia di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni.

114 Ad Agnolino di Giovanni d'Agnolin dei Salimbeni.

115 A madonna Isa, figlia che fu di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni.

116 A madonna Pantasilea, donna di Ranuccio da Farnese.

117 A monna Lapa sua madre e a monna Cecca nel monasterio di santa Agnesa da Montepulciano, quando essa era a la Rocca d'Agnolino predetta.

118 A monna Caterina de lo Spedaluccio e a la soprascritta Giovanna di Capo, in Siena.

119 A monna Alessa vestita dell'abito di santo Domenico, quando era a la Rocca.

120 A monna Rabe di Francesco di Tato Tolomei.

121 AI signori Defensori da Siena, essendo ella a Santo Antimo.

122 A Salvi di sere Pietro orafo in Siena.

123 AI signori Defensori da Siena.

124 Al soprascritto misser Matteio rettore della Casa della Misericordia di Siena.

125 A monna Nera priora de le mantellate di santo Domenico, quando essa Caterina era a la Rocca d'Agnolino.

126 A monna Alessa e a monna Cecca.

127 A frate Bartolomeo Dominici e a frate Tommaso d'Antonio, de l'ordine dei Predicatori, quando erano a Pisa.

128 A Gabriello di Davino dei Picogliuomini.

129 A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Firenze.

130 A Pòlito degli Ubertini, in Firenze.

131 A Nicolò Soderini in Firenze.

132 A monna Giovanna di Capo, monna Giovanna di Francesco, monna Cecca di Chimento, monna Caterina dello Spedaluccio, mantellate di santo Domenico, da Siena, etc.

133 A la reina di Napoli.

134 A Bartolomeo e Giacomo remiti in Campo santo in Pisa.

135 A Piero marchese.

136 Al vescovo di Firenze, cioè a quello da Ricasole.

137 A messer Matteo, rettore de la Misericordia di Siena, mentre che essa era a Pisa.

138 Alla reina di Napoli.

139 A frate Tommaso dalla Fonte dell'ordine dei Predicatori, in Siena.

140 A messer Giovanni Aut, e a altri capi de la compagnia che venne nel tempo de la fame,

141 A don Giovanni dei Sabbatini da Bologna, dell'ordine di Certosa, nel monasterio di Belriguardo presso a Siena, quando ella era a Pisa.

142 A Sano di Maco, mentre ch'ell'era a Pisa la prima volta.

143 Alla reina Giovanna di Napoli.

144 A monna Pavola, a Fiesole.

145 Alla reina d'Ungaria, cioè alla madre del re.

146 A frate Bartolomeo Dominici dell'Ordine dei Predicatori, quando era biblico di Firenze.

147 A Sano di Maco, essendo ella in Pisa.

148 A Piero marchese dal monte Sante Marie, quando era Sanatore di Siena.

149 A misser Piero Gambacorti, signore di Pisa.

150 A frate Francesco Tedaldi di Firenze nell'isola di Gorgona, monaco certosino.

151 A madonna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

152  A Giovanni Trenta

153 A monna Baccemea e monna Orsola, e altre donne da Pisa.

154 A Francesco Tebaldi da Firenze monaco della Certosa

155 A monna Niera donna di Gerardo Gambacorti, in Pisa.

156 A Giovanni Perotti cuoiaio da Lucca.

157 A Vanni e a Francesco figli di Nicolò dei Buonconti da Pisa.

158 A prete Nino da Pisa.

159 A frate Rinieri di Santa Cristina dei frati Predicatori in Pisa.

160 A Giovanni Perotti e monna Lipa sua donna.

161 A monna Nella donna che fu di Nicolò dei Buonconti da Pisa, e a monna Caterina donna di Gherardo di Nicolò predetto.

162 A monna Franceschina e a monna Caterina e a due altre loro compagne spirituali in Lucca.

163 A monna Franceschina in Lucca.

164 A monna Melina donna di Bartolomeo Barbani da Lucca.

165 A monna Bartolomea donna di Salvatico da Lucca.

166 A madonna Colomba da Lucca.

167 A monna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

168 Agli Anziani di Lucca.

169 1) A don Nicoloso di Francia monaco di Certosa nel monasterio di Belriguardo.

2) A frate Matheo Talomei da Siena dell'ordine dei Predicatori, in Roma.

170 A Pietro marchese predetto.

171 A Niccolò Soderini

172 A frate Nicolò dei frati di Monte Oliveto nel monasterio di Firenze.

173 A uno frate che uscì dell'Ordine.

174 A monna Agnesa predetta.

175 A non so quale monasterio di donne.

176 A Francesco da Santo Miniato sarto in Firenze.

177 A missere Pietro cardinale Portuense, da Firenze, a Vignone.

178 A Neri di Landoccio.

179 A Francesco di Pipino sarto da Firenze e a monna Agnesa sua donna.

180 A Piero marchese dal Monte Sancte Marie de la Marca, quando era sanatore di Siena.

181 A missere Nicola da Osmo, secretario e protonotario di nostro signore lo papa.

182 A suora Bartalomea della Seta monaca del monasterio di Santo Stefano di Pisa.

183 All'arcivescovo d'Otronto.

184 Al priore e fratelli della Compagnia della Vergine Maria.

185 Al padre santo Gregorio XI.

186 A Neri di Landoccio.

187 A don Giovanni dei Sabbatini da Bologna e don Thadeo dei Malavolti da Siena monaci di Certosa al Belriguardo.

188 A suora Bartolomea della Seta nel monasterio di santo Stefano in Pisa.

189 AI monaci del detto monasterio di Cervaia; A frate Giovanni di Bindo e frate Nicolò di Ghida e a certi altri suoi in Cristo figli, dei frati di Monte Uliveto, presso a Siena.

190 A Francesco e a monna Agnesa predetti.

191 A Tommaso da Alviano.

192 A Neri di Landoccio da Siena, in casa Tomasino a santo Alo in Napoli.

193 A missere Lorenzo dal Pino da Bologna dottore in Decretali.

194 A monna Tora figlia di missere Piero Gambacorti da Pisa.

195 A Stefano di Currado Maconi.

196 Al nostro signor papa Gregorio XI

197 A Matteo di Tommuccio da Orvieto.

198 A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

199 A missere Nicolò da Uzzano, canonico di Bologna.

200 A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

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19/10/2012 15:27

101. A missere Iacomo cardinale degli Orsini.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legato nel legame della divina ardentissima carità, la quale carità mosse Dio a trare noi di sé medesimo, cioè della sua infinita sapienza, perché godessimo e participassimo lo sommo bene suo.

Egli è quello legame che, poi che l'uomo perdette la grazia per lo peccato commesso, unì e legò Dio ne la natura umana; e ha fatto uno innesto in noi: la vita s'è innestata nella morte, sì che noi, morti, aviamo avuta la vita per l'unione sua, poi che Dio fu innestato nell’uomo, sì che Dio e Uomo è corso come inamorato all'obrobiosa morte de la croce. In su questo arbolo si volse innestare questo Verbo incarnato, e non l'ha tenuto né chiodi né croce, ma l'amore: poiché non erano sofficienti a tenere Dio e Uomo.

Egli è quello maestro salito in catreda a insegnarci la dottrina de la verità, che l'anima che la segue non può cadere in tenebre. Egli è la via unde andiamo a questa scuola, cioè seguire le opere sue. Così disse egli: «Io sono via, verità e vita» (Jn 14,6), e così è veramente, padre, ché colui che segue questo Verbo, per ingiurie, per strazii e scherni, con obrobii pena e tormenti, con la vera e santa povertà, umile e mansueto a sostenere ogni ingiuria e pena con vera e buona pazienza, imparando da questo maestro che n'è via - poiché egli l'ha fatta e tenuta, osservata in sé medesimo -, rende ad ognuno bene per male, e questa è la dottrina sua.

Bene vedete con quanta pazienza egli ha portate e porta le nostre iniquitadi, che pare che faccia vista di non vedere: bene che, quando verrà lo punto e il termine de la morte, allora mostrarà che egli abbi veduto, poiché ogni colpa sarà punita e ogni bene sarà remunerato. Odi grande pazienza, che non raguarda l'ingiurie che gli sono fatte! In su la croce ode lo grido dei giuderi, che da l'uno lato gridano: «Crucifigge!» (Mt 27,23 Mc 15,13-14 Lc 23,21), e dall'altro che egli discenda de la croce (Mt 27,40-42 Mc 15,30-32); ed egli grida: «Padre, perdona!» (Lc 23,34), e non si muove punto perché dicano che egli scenda, ma persevera infine all'ultimo; e con grande letizia e grido (Lc 23,46) disse: "Consumatum est" (Jn 19,30).

Poniamo che ella paresse parola di tristizia, ella era di letizia a quella anima, consumata arsa nel fuoco de la divina carità, del Verbo incarnato del Figlio di Dio. Quasi voglia dire lo dolce Gesù: «Io ho consumato e adempito ciò che è scritto di me; consumato è lo desiderio penoso che io avevo di ricomprare l'umana generazione: godo ed essulto, ché io ho consumata questa pena, sì che ho adempita l'obedienzia posta dal Padre mio, de la quale avevo tanto desiderio di compire». O maestro dolce, bene ci hai insegnata la via e la dottrina, bene dicesti verità che tu eri via verità e vita, poiché colui che segue la via e la dottrina tua, egli non può avere in sé morte, ma riceve in sé vita durabile: che non è demonio né creatura né ingiuria ricevuta che gli il possa tòllare, se egli non vuole.

Vergognisi vergognisi l'umana superbia dell'uomo, piacimento e amore proprio di sé medesimo, di vedere tanta bontà di Dio abbondare in lui, tante grazie e beneficii ricevare per grazia e non per debito. Non pare che lo stolto uomo senta né vegga tanto caldo e calore d'amore, ché, se fussimo di pietra, doveremmo già essere scoppiati. Oimé oimé, disaventurata a me, non ci so vedere altra cagione se non che l'occhio del cognoscimento non si vòlle a raguardare in suso l'arbolo de la croce, dove si manifesta tanto caldo d'amore, dolce e soave dottrina, piena di frutti che danno vita; dove è larghezza, in tanto che ha aperto e stracciato lo corpo suo: per larghezza ha dissanguato sé medesimo, e fattoci bagno e battesimo del sangue suo, lo quale battesimo ogni dì possiamo e doviamo usare con grande amore e continua memoria. Ché, sì come nel battesimo dell'acqua si purifica del peccato originale e - dàlle la grazia -, così nel sangue lavaremo le nostre iniquitadi e impazienzia; morràvi ogni ingiuria, e non la terrà a mente né vorrà vendicarla, ma ricevaremo la plenitudine de la grazia, la quale grazia lo menarà per la via dritta detta.

Dico che, vedendo, l'anima non si può tenere che al tutto non anieghi e uccida la sua perversa volontà sensitiva, che sempre ribella a sé e al suo Creatore; ma, come inamorato de l'onore di Dio e de la salute de la creatura, non raguardarà sé: farà come l'uomo che ama, che il cuore e l'affetto suo non sarebbe trovato in sé, ma in quello che egli ha posto l'amore suo. Ed è di tanta virtù l'amore, che di colui che ama e de la cosa amata sì fa uno cuore e uno affetto; e quello che ama l'uno, ama l'altro: se vi fusse altra divisione d'amore, non sarebbe perfetto. E spesse volte ho veduto che quello amore che avaremo ad alcuna cosa - o per nostra utilità o per alcuno diletto che noi trovassimo o piacere - non si cura, per venire ad effetto, né di villania né d'ingiuria né di pena che ne sostenga; non raguarda alla fatica, ma raguarda solo d'adempire la sua volontà de la cosa che egli ama.

O padre carissimo, non ci lassiamo fare vergogna ai figli de le tenebre: grande confusione è ai figli de la luce, cioè ai servi di Dio che sono eletti e tratti del mondo, e singularmente ai fiori e colonne che sono posti nel giardino della santa Chiesa. Voi dovete essere fiore odorifero e non puzzolente, vestito di bianchezza di purezza, con odore di pazienza e con ardentissima carità, largo e liberale e non stretto, imparando da la prima verità, che per larghezza dié la vita. Or questo è quello odore che dovete gittare alla sposa dolce di Cristo, che si riposa in questo giardino. O quanto si diletta questa dolce sposa in queste dolci e reali virtù! Costui l'è figlio legittimo, e però ella lo pasce e notrica al petto suo dandoli lo latte de la divina grazia, la quale è atta e sufficiente a darci la vita dell'eterna visione di Dio. Così disse Cristo a Pavoloccio: «Bastiti, Pavolo, la grazia mia» (2Co 12,9).

Dico che sete colonna posto a guardare lo luogo di questa sposa; non dovete essere debole ma forte, ché la cosa debole, ogni piccolo vento che venisse, o per tribolazioni, o per ingiuria che ci fusse fatta, o per troppa abondanzia di prosperità e delizie o grandezze del mondo, l'uno vento e l'altro la farebbe cadere. Io voglio dunque che siate forte, poi che Dio v'ha fatta colonna nella Chiesa sua. Àcci modo da fortificare la nostra debolezza? sì bene, con l'amore; ma non sarebbe ogni amore atto a fortificarci: non sarebbe lo stato né ricchezza, né le superbie nostre, né ira né odio contro coloro che ci fanno ingiuria, né essere amatore di veruna cosa creata fuore di Dio. Questo così-fatto amore, non tanto che egli ci dia forza, ma egli ci tolle quella che noi abbiamo; e tanto è misero miserabile che conduce l'uomo a la più perversa servitudine che possa avere: fallo servo e schiavo di quella cosa che non è, e tollesi la dignità e la grandezza sua; ed è cosa ragionevole che ne sostenga pena, poiché esso medesimo s'è privato di Dio.

Perciò non è da fare altro, se non di ponare l'affetto e il desiderio suo e l'amore in cosa più forte di noi, cioè in Dio, dunde noi aviamo ogni fortezza. Egli è lo Dio nostro, che ci amò senza essere amato; subito che l'anima ha trovato e gustato sì dolce amore, forte sopra ogni forte, ad altro non si può acostare né desiderare se non lui: fuore di lui non cerca né vuole nulla. Costui è allora forte, perché s'è appoggiato e legato in cosa ferma e stabile, che mai non si muta per veruna cosa ch'avenga; sempre segue le vestigie e i modi di colui che egli ama, poiché egli è fatto uno cuore e una volontà con lui. Vede che sommamente Cristo si dilettò d'ogni pena e viltà: poniamo che fusse Figlio di Dio, non di meno, come Agnello umile mansueto e dispetto, conversò con gli uomini. (Però si dilettano i servi suoi di questa via; odiano e dispiace-lo' e fugono tutto lo contrario: costoro sono fatti una cosa con lui, amano quello che Dio ama e odiano quello che Dio odia; ricevono tanta fortezza che veruna cosa lo' può nuociare. Fanno costoro come veri cavalieri, che non veggono mai apparire tanta tempesta che se ne curino.) Non teme, perché non si confida in sé, ma tutta la speranza e fede sua è posta in Dio cui egli ama, perché vede che è forte, e vuole e puollo sovvenire. Allora dice con grande umilità con santo Paulo: «Per Cristo Crocifisso ogni cosa potrò, che è in me, che mi conforta (Ph 4,13)».

Or non più dormire, padre: poi che sete colonna debole per voi, inestatevi in su l'arbolo de la croce, legatevi per affetto e per smisurata ineffabile carità nell'Agnello dissanguato, che da ogni parte del corpo suo versa sangue. Rompinsi questi cuori: non più durezza, non più negligenzia, che il tempo non dorme, ma sollicitamente fa lo corso suo. Facciamo mansione insieme con lui per amore e santo desiderio; non ci bisogna poi più temere. Questo è quel santo e dolce remedio, che la creatura conosca sé medesimo non essere, che sempre si vede fare quella cosa che non è, cioè lo peccato: ogni altra cosa ha da Dio. E come ha cognosciuto sé, ed egli conosce la bontà di Dio in sé: conoscendolo, lui ama e sé odia, non sé in quanto creatura, ma in quanto si vede ribelle al suo Creatore. Andando con questo santo e vero cognoscimento, non erra la via, ma va virilmente, poiché egli è unito e transformato in colui che è via verità e vita, e àllo sì fortificato che né demonio né creatura gli può tòllare la sua fortezza, sì s'è fatto una cosa con lui. Or questo è lo mio desiderio, di vedervi legato in questo dolce e forte legame.

A questo me n'avedrò - ed è uno dei principali segni che noi abbiamo, che ci manifesti d'essere legati e discepoli di Cristo -, se noi rendiamo bene per male; altrimenti saremmo in istato di dannazione. Molto è spiacevole a Dio d'ogni creatura, ma spezialmente nei vostri pari, che sete posti per specchio nella santa Chiesa, dove i secolari si specchiano. Bene dovaremmo raguardare che egli è maggiore la ingiuria che noi facciamo per li nostri peccati a Dio che è infinito, che la ingiuria che c'è fatta per la creatura che è finita, e nondimeno vogliamo che egli ci perdoni e faccia pace con essonoi, e vorremmo che facesse vista di non vedere l'offese nostre. Così doviamo fare noi verso i nemici nostri, e così vi prego e constringo da parte di Cristo Crocifisso che facciate, per onore di Dio e salute vostra. Non dico più. Perdonate alla mia ignoranza, ché per l'abbondanza del cuore la lingua favella troppo (Mt 12,34 Lc 6,45).

Pregovi, per quello amore ineffabile, che voi mi siate uno campione nella santa Chiesa, cercando sempre de l'onore di Dio ed essaltazione sua, e non di voi medesimo, sì come mangiatore e gustatore delle anime. Studiatevi di fare ciò che potete, pregando il padre santo che tosto ne venga e non tardi più. Confortatelo a ratto levare lo gonfalone de la santissima croce e andare sopra gl'infedeli, a ciò che la guerra che è tra' cristiani vada sopra di loro; e non temete per veruna cosa che vedeste apparire, ché l'aiuto divino è presso da noi.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.







102. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sposo vero de la verità e seguitatore e amatore da questa verità.

Ma non vedo lo modo che possiamo gustare e abitare con questa verità, se noi non cognosciamo noi medesimi, poiché nel cognoscimento di noi, in verità, cognosciamo noi non essere, ma troviamo l'essere nostro da Dio, vedendo che egli ci ha creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26). E nel cognoscimento di noi troviamo ancora la recreazione che Dio ci fece, recreandoci a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio; lo quale sangue ci manifesta la verità di Dio padre. La verità sua fu questa: che egli ci creò per gloria e loda del nome suo, e perché noi participassimo l'eterna bellezza sua, perché fussimo santificati in lui. Chi cel dimostra, che questo sia la verità? Lo sangue dello immacolato Agnello. Dove troviamo questo sangue? Nel cognoscimento di noi.

Noi fummo quella terra dove fu fitto lo gonfalone della croce; noi stemmo come vasello a ricevere lo sangue dell'Agnello, che corriva giù per la croce. Perché fummo noi quella terra? Perché terra non era sufficiente a tenere ritta la croce; anco, averebbe la terra refiutata tanta ingiustizia; né chiovo era sufficiente a tenerlo confitto e chiavellato, se l'amore ineffabile che egli aveva alla salute nostra non l'avesse tenuto. Sì che l'affocata carità verso l'onore del Padre e salute nostra lo tenne: Perciò fummo noi quella terra che tenemmo ritta la croce, e siamo lo vaso che ricevemmo lo sangue.

Chi cognosciarà e sarà sposo di questa verità, trovarà nel sangue la grazia, la ricchezza e la vita della grazia; e trovarà ricoperta la nudità sua; e vestito del vestimento nuziale del fuoco de la carità - intriso e impastato sangue e fuoco, lo quale per amore fu sparto e unito con la Deità -, nel sangue si pasciarà e notricarà di misericordia. Nel sangue dissolve le tenebre e gusta la luce, poiché nel sangue perde la nuvola dell'amore proprio sensitivo, e il timore servile che dà pena; e riceve timore santo e sicurezza nel divino amore, lo quale ha trovato nel sangue.

Ma chi non sarà trovato amatore della verità, non la cognosciarà nel cognoscimento di sé e del sangue.

Che egli vada coraggiosamente - e senza frasche o novelle o timore servile -, e senza lo lume della fede viva, non solamente in parole, ma che basti d'ogni tempo - cioè nell'aversità come nella prosperità, e nel tempo della persecuzione come della consolazione; e per nessuna cosa diminuisca la fede e il lume suo, poiché la verità ha fatto conoscere nella verità, e non tanto per gusto, ma per pruova -, dico che se questo lume e questa verità non sarà trovata nell'anima, non sarà poiché non sia vasello che avesse ricevuto lo sangue, ma per suo giudicio e sua confusione - in tenebre e dinudato del vestimento della grazia - ricevarà giustizia: non per difetto del sangue, ma perché esso spregiò lo sangue e, come acecato dal proprio amore, non vidde né cognobbe la verità nel sangue, onde l'ha ricevuto in ruina; e con grande amaritudine è privato dell'allegrezza del sangue, e della dolcezza e del frutto del sangue, perché esso non cognobbe sé né il sangue in sé, e però non fu sposo fedele della verità.

Perciò v'è bisogno di conoscere la verità, a volere essere sposo della verità. Dove? Nella casa del cognoscimento di voi medesimo, conoscendo l'essere vostro avere da Dio per grazia, e non per debito; e in voi conoscere la recreazione che v'è data, cioè d'essere recreato a grazia nel sangue dell'Agnello, e ine bagnarvi, e annegare e uccidere la propria volontà. In altro modo non sareste sposo fedele della verità, ma infedele. E però dissi che io desideravo di vedervi sposo vero della verità.

Annegatevi dunque nel sangue di Cristo crocifisso, e bagnatevi nel sangue, e inebbriatevi del sangue, e saziatevi di sangue, e vestitevi di sangue.

E se fuste fatto infedele, ribattezzatevi nel sangue; se lo demonio v'avesse offuscato l'occhio dell’intelletto, lavatevi l'occhio col sangue; se fuste caduto nella ingratitudine dei doni non cognosciuti, siate grato nel sangue; se fuste pastore vile, senza la verga della giustizia condita con prudenzia e misericordia, traetela del sangue; e con l'occhio dell'intelletto vederla dentro nel sangue, e con la mano dell'amore pigliarla, e con ansietato desiderio stregnarla; e nel caldo del sangue dissolvere la tepidezza; e nel lume del sangue caggia le tenebre: a ciò che siate sposo della verità e pastore vero e governatore delle pecorelle che vi sono messe tra le mani, e amatore de la cella dell'anima e del corpo, quanto v'è possibile nello stato vostro. Se starete nel sangue, lo farete; e se no, no. E però vi prego, per amore di Cristo crocifisso, che voi lo facciate. E spogliatevi d'ogni creatura, e io sia la primaia; e vestitevi per affetto d'amore di Dio, e d'ogni creatura per Dio: cioè d'amarne assai, e conversarne pochi, se non in quanto si vede adoperare la salute delle anime.

E così farò io, quanto Dio mi darà la grazia; e di nuovo mi voglio vestire di sangue, e spogliarmi ogni vestimento che io avesse avuto per infine a qui. Voglio sangue; e nel sangue satisfo e satisfarò all'anima mia. Ero ingannata quando la cercavo nelle creature, sì che io voglio nel tempo della solitudine acompagnarmi nel sangue; e così trovarò lo sangue e le creature; e berò l'affetto e l'amore loro nel sangue.

E così nel tempo della guerra gustarò la pace, e nell'amaritudine la dolcezza; e nell'essere privata delle creature e della tenerezza del padre, trovarò lo Creatore e il sommo ed eterno Padre. Bagnatevi nel sangue e godete, che io godo per odio santo di me medesima. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





103. A Benuccio di Piero e Bernardo di missere Uberto dei Belforti da Volterra.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi lo cuore e l'affetto e l'anima vostra pacificata con Cristo crocifisso, altrimenti non potreste participare la divina grazia.

Voi sapete, figli miei, che solo lo peccato è quello che fa cadere l'uomo ne la guerra col suo Creatore.

In che modo dunque potremo fare questa pace, poiché siamo caduti ne la guerra mortale per le colpe nostre? Condannati siamo alle pene etternali, se pace non ci ha; io voglio dunque che procacciamo lo modo, poiché siamo caduti in tanto pericolo e danno dell'anima e del corpo: modo non ci vedo altro che uno, cioè quello santo modo che tenne Dio verso di noi, quando per lo peccato d'Adam tutta l'umana generazione cadde in guerra con Dio.

Volendo la misericordia di Dio fare pace con l'uomo, de la colpa si conveniva fare vendetta; mandocci lo Verbo de l'unigenito suo Figlio come nostra pace e mediatore, e il Figlio di Dio prese le nostre iniquità, e punille sopra lo corpo suo, sì come nostra pace e mediatore che egli fu. E dove le punisce? In su la penosa dolorosa e obrobiosa morte della croce. Sì che vedete che Dio col mezzo del suo Figlio ha fatto pace con l'uomo; ed è sì perfetta questa pace, e sì compita, che - poniamo che l'uomo ricaggia in guerra per lo suo peccato e difetto - egli ha lassato lo sangue, lo quale sangue riceviamo nella santa confessione, e ogni dì lo possiamo usare e avere tanto quanto piace a noi.

Poiché tanto di grazia e misericordia aviamo ricevuta da Dio, non voglio che siamo ingrati né irriconoscenti, ma voglio che seguitiate le vestigie di Cristo crocifisso, affinché voi vi potiate pacificare con lui seguitando le sue vestigie, come detto è; altrimenti stareste in continua dannazione. Io ho detto che Dio col mezzo del Figlio suo, e il Figlio col sangue, ci ha tolta la guerra e data la pace; così dico io a voi che col mezzo della virtù vi converrà levare la guerra e fuggire l'eterna dannazione, altrimenti sareste confusi in questa vita e nell'altra.

Ma io voglio che voi sappiate che né amare Dio, né virtù si può avere nell'anima senza lo mezzo del prossimo suo, perché l'amore e le virtù si trovano nel prossimo. Come? Dicolo: non posso, l'amore che io ho al mio Creatore, mostrarlo in lui, perché a Dio non si può fare utilità; conviemmi dunque pigliare lo mezzo della sua creatura, e a la creatura sovvenire e fare quella utilità che a Dio fare non posso. Però disse Cristo a santo Pietro dimandandolo: «Pietro, àmimi tu?», ed egli rispondendo: «Sì», e Cristo rispose e disse: «Pasce le pecorelle mie» (Jn 21,15-17); quasi dica: «Dell'amore che tu mi porti, non puoi fare a me bene; fanne dunque bene al prossimo tuo». Sì che vedete che col mezzo ci conviene pacificare de la grande guerra che aviamo con Dio: sopra questo mezzo acquistarete voi lo mezzo de la virtù, la quale virtù io vi dissi che era quello dolce e glorioso mezzo lo quale tolle ogni guerra e tenebre dell'anima. Ma tenete a mente che questa virtù s'acquista e si trova nell'amore del prossimo suo - amando amici e nemici per Cristo crocifisso -, e per spegnare in sé lo fuoco dell'odio e dell'ira che avesse nel fratello suo. La virtù de la carità e de l'umilità si trova e s'acquista solo in amare lo prossimo per Dio, perché l'uomo umile e pacifico caccia l'ira e l'odio del cuore suo verso lo nemico. La carità cacciarà l'amore proprio di sé e dilargarà lo cuore con una carità fraterna, amando amici e nemici, per amore de lo dissanguato consumato Agnello, come sé medesimo; daragli una pazienza contro ogni ingiuria che gli fusse detta o fatta, una fortezza dolce in sapere portare e soportare i difetti del prossimo suo.

Allora l'anima, che sì dolcemente ha acquistata la virtù avendo seguitate le vestigie del suo salvatore, rivolle tutto l'odio che aveva al prossimo suo verso sé medesimo, odiando i vizii e difetti e peccati che ha commessi contro al suo Creatore, bontà infinita. E però egli ne vuole fare vendetta di sé, e punirli sopra la parte sensitiva sua: cioè che, come secondo la sensualità e vivere mondano egli appetisce odio e vendetta del prossimo suo, così la ragione ordenata in perfetta e vera carità vuole fare lo contrario, volendo amare e pacificarsi con lui (così tutti quanti i vizii hanno per contrario le virtù). E questa è quella virtù che fa pacificare l'anima con Dio - con la virtù vendica l'ingiuria che egli ha fatta -: però vi dissi che io desideravo di vedere lo cuore e l'affetto vostro pacificato col vostro Creatore. Questa è la via, e nessuna altra ce n'ha.

Io, figli miei, avendo desiderio de la salute vostra, vorrei che il coltello dell'odio fusse tolto da voi, e non faceste come gli stolti e matti; ché, volendo percuotare altrui, percuote sé, ed egli è lo primo morto, poiché colui che sta nell'odio mortale volendo uccidere lo suo nemico, egli s'ha dato prima per lo petto a sé, perché la punta dell'odio gli è fitta per lo cuore, lo quale l'ha morto a grazia. Non più guerra, per l'amore di Cristo crocifisso; non vogliate tenere in tormento l'anima e il corpo. Abbiate timore del divino giudicio, lo quale è sempre sopra di noi. Non voglio dire più di questo; e dell'altre materie che s'appartengono alla salute vostra vi dirò a bocca.

Ma ora vi prego e vi costringo, da parte di Cristo crocifisso, di due cose: l'una è che io voglio che facciate pace con Dio, e coi nemici vostri; altrimenti non la potreste fare coi la prima e dolce Verità, se prima non la faceste col prossimo vostro. L'altra si è che non vi sia fatica a venire un poco infine a me lo più tosto che voi potete. Se non che a me è tanto malagevole lo venire, io verrei a voi. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





104. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre, e negligente e ingrato figlio, in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vera e perfetta sollicitudine ad acquistare e conservare le virtù: poiché senza la sollicitudine l'anima non la trova; né quella che egli ha anco conserva.

L'amore è quella cosa che fa lo cuore sollicito, e muove i piei dell'affetto ad andare nel luogo dove si trova la virtù; l'anima, dunque, che non è sollicita, segno è che non ama. Convienci dunque amare virilmente e coraggiosamente, e senza mezzo o della propria sensualità o d'alcuna creatura che avesse in sé ragione; e per giognere a questo dolce amore ci conviene aprire l'occhio dell'intelletto, e conoscere e vedere quanto siamo amati da Dio. Ma ad avere questo cognoscimento, ci conviene andare coi piei dell'affetto nella casa del vero cognoscimento di noi, poiché nel cognoscimento di noi si concepe l'odio verso la propria sensualità, e concepesi amore verso di Dio per la inestimabile sua carità, che ha trovata dentro da sé.



Allora lo cuore subito si leva con uno stimolo d'ardente desiderio, e va cercando in che modo egli possa più perfettamente spendere lo tempo suo - parendoli sempre avere caro del tempo, perché nel tempo si vede acquistare lo tesoro e perdere, secondo che gli piace -, vedendo che in neuno modo può giognere a vera virtù, se non col mezzo della carità del prossimo. La quale carità trasse del cognoscimento di Dio (poiché nella bontà di Dio vidde e cognobbe che lo suo smisurato amore non si distendeva pur a lui, ma ad ogni creatura che ha in sé ragione, ad amici e a nemici - poniamo che s'ami più l'uno che l'altro, secondo che si trova l'affetto de la virtù -): e il virtuoso ama per amore de la virtù, e in quanto egli è creatura; e lo ingiusto e iniquo peccatore s'ama sì perché egli è creato da Dio, e sì perché egli si parta dal vizio, e venga alla virtù: e così diventa gustatore e mangiatore delle anime per onore di Dio; e per trare l'anime delle mani deli demoni si darebbe alla morte. E con sollicitudine fura lo tempo a sé, cioè alla propria consolazione, di qualunque consolazione si vuole, o nuova o vecchia che sia, e dàllo al prossimo suo.

E però fu detto a quella serva di Dio, dicendo ella: «Signore mio, che vuoli tu che io facci?», ed egli rispose: «Dà l'onore a me, e la fatica al prossimo tuo». «E che fatica gli do?» «Dàgli fatica corporale e mentale». Fatica mentale è di santo desiderio, e offrire sante umili e continue orazioni, con allegrezza dei virtuosi e con dolore di quelli che giacciono nella morte dei peccati mortali; sostenendo con vera pazienza gli scandali le infamie e mormorazioni loro, le quali danno a noi; non ritardando per alcuna cosa l'orazione, e l'ardente desiderio, fame e sollicitudine della salute loro. Allora si conforma l'anima con Cristo Crocifisso, mangiando questo cibo in su la penosa e ansietata croce del desiderio di Cristo, che fu maggiore e più penosa che quella del corpo.

Dico che vuole gli sia data fatica corporale: questo è quando ci affadighiamo corporalmente in servizio del prossimo, servendolo di qualunque servizio si sia; patendone noi disagi e pene corporali. E alcune volte Dio permette che sosteniamo da loro delle percosse, e fame e sete e molta persecuzione, sì come facevano i santi martiri che sostenevano pena e grandi tormenti; ma egli è tanta la nostra imperfezione che noi non siamo ancora degni di giognere a tanto bene quanto è essere perseguitati per Cristo. Or per questo modo doviamo dare la fatica al prossimo e l'onore a Dio, e fare e adoperare ogni cosa a gloria e loda del nome suo, poiché altrimenti le fatiche nostre non portarebbero frutti di vita, ma in questa vita gustaremmo la caparra della morte eterna. In Dio concepete l'amore, in cercare l'onore suo e la salute delle anime; e nel prossimo si pruova l'amore conceputo, nella virtù della pazienza.

O pazienza, quanto sei piacevole! O pazienza, quanta speranza dai a chi ti possede! O pazienza, tu sei regina, che possedi, e non sei posseduta da l'ira.

O pazienza, tu fai giustizia della propria sensualità, quando volesse mettere lo capo fuore dell'ira. Tu porti con te un coltello di due tagli per tagliare e dibarbicare l'ira e la superbia, e il midollo della impazienzia, cioè, dico, due tagli: odio e amore.

Lo vestimento tuo è vestimento di sole (Ap 12,1), col lume del vero cognoscimento di Dio e col caldo della divina carità, che gitta raggi coi quali percuoti coloro che ti fanno ingiuria, gittando lo' carboni di fuoco, acesi di carità, sopra i capi loro (Rm 12,20 Pr 25,22); lo quale arde e consuma l'odio del loro cuore: sì che, pazienza dolce fondata in carità, tu sei quella che fai frutto nel prossimo, e rendi onore a Dio. Egli è ricuperto di stelle di varie e diverse virtù; poiché pazienza non può essere nell'anima senza le stelle di tutte le virtù, con la notte del cognoscimento di sé, che quasi pare uno lume di luna. E doppo lo cognoscimento di sé medesimo viene lo dì, col grande lume e caldo del sole, lo quale è lo vestimento della pazienza, come detto è. Chi dunque non si inamorarebbe di così dolce cosa quanto è la virtù della pazienza, cioè a sostenere per Cristo Crocifisso? Portiamo, carissimo e dolcissimo padre, e non perdete lo tempo; e studiatevi a conoscere voi, a ciò che questa regina abiti nell'anima vostra, poiché ella c'è di grande necessità, e così vi trovarete in croce con Cristo Crocifisso, e notricaretevi del cibo suo, al quale Dio v'ha chiamato ed eletto: e parravi essere in lume di luna, mentre che sosterrete, ma nel sostenere trovarete lo lume del sole. L'anima vostra sarà resuscitata nella virtù, e conservaretela e cercaretela con più sollicitudine e perfezione, infine che sarete giunto al termine vostro; e conformaretevi con Cristo Crocifisso, che sostenne pena e tormenti e obrobrio. Perché sostenne? Perché cognobbe la sapienza di Dio che dell'offesa fatta al Padre doveva seguire la pena.

L'uomo era indebilito, e non poteva satisfare, e però satisfece egli con ardente amore, non essendo in lui veleno di peccato.

In questo seguitarete le vestigie sue: se sarete virtuoso, sostenendo ingiustamente, cioè in non avere offesi coloro che ci fanno ingiuria; ché in quanto da la parte di Dio, sempre la riceviamo giustamente, poiché sempre l'offendiamo. Poiché Cristo ha sostenuto infine alla morte, ed egli resuscita glorioso; così noi e gli altri servi di Dio, che sostengono con pena infine alla morte della propria sensualità: quando la propria sensualità è morta, l'anima allora n'esce resuscitata a grazia, e ha atterrato lo vizio, gloriosa con la regina della pazienza. E col vestimento della pazienza, che è detto di sopra, persevera infine all'ultimo che sale in cielo. Bene che tutte le virtù, di fuore dalla carità che è lo vestimento della pazienza, rimangono tutte di sotto, ed ella entra dentro come donna, non di meno ella trae a sé lo frutto di tutte quante le virtù, e singularmente lo frutto della pazienza, poiché ella è tutta incorporata nella carità: anco, è lo midollo della carità, poiché s'è manifestata vestita d'amore, e non innuda. (Poiché pazienza senza carità già non sarebbe virtù).

Ma perché l'amore vero e perfetto è nell'anima, ha mostrato lo segno del sostenere pene e oprobio, scherni e villania; tentazioni dal demonio e lo stimolo de la carne; le lingue dei mormoratori e le lusinghe del cuore doppio - che ha una in cuore e un'altra mostra in lingua -: e tutte l'ha passate con vera e santa pazienza, e con vera sollicitudine di servire a Dio e al prossimo suo. Ed è fatto abitatore della cella del cognoscimento di sé, ne la quale cella sta la cella del cognoscimento della bontà di Dio in sé: ine ingrassa e ine si diletta. Nella sua mangia con pena lo cibo delle anime; e così ha posta la mensa in su la croce. Ne la gloria e loda del nome di Dio si riposa; e ine ha fatto lo letto, e così ha trovata la mensa e il cibo e il servidore, cioè lo Spirito santo, e l'onore del Padre eterno, dove si riposa. E poi che ha trovata la cella dentro così dolcemente, ed egli la procaccia di fuore ancora, quanto gli è possibile.

Ricordivi, carissimo padre e negligente figlio, della dottrina di Maria, e di quella della prima dolce Verità. Sapete che vi conviene stare nel cognoscimento di voi, e offrire umili e continue orazioni. E convienvi studiare la cella, e conoscere la verità e fuggire ogni conversazione, se non quella che è di necessità per salute delle anime, per trarle delle mani de i demoni con la santa confessione. Dilettatevi per questo coi publicani e coi peccatori; degli altri amatene assai e conversatene pochi.

Non dimenticate all'ora e a tempo suo l'offizio divino; né siate lento né negligente quando avete a fare i fatti per Dio e in servizio del prossimo; ma, data che voi avete la fatica, e voi fuggite in cella e non v'andate dilargando nelle conversazioni sotto colore di virtù. Sono certa che se avarete perfetta sollicitudine e fame della virtù, che voi lo farete; e non sarete senza memoria di non tenere a mente quello che v'è stato detto. Altrimenti nol fareste mai, né conservareste quello che avete, se la sollicitudine non ci fusse. E però vi dissi che io desideravo di vedervi con vera e perfetta sollicitudine. HO speranza in quella dolce madre Maria, che adempirà il desiderio mio.

Perdete voi medesimo e cercate solo Cristo Crocifisso, e non veruna altra creatura. Pregate quelli gloriosi Paulo e Pietro che mi dieno grazia, a me e agli altri povarelli figli, che ci anneghiamo nel sangue di Cristo, e vestianci della sua dolce verità. E me, se egli è la volontà sua, tragga di questa tenebrosa vita, poiché la vita m'è impazienzia, e la morte in grande desiderio. Confortatevi e godiamo ed essultiamo; ché la allegrezza nostra sarà piena in cielo. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

OFFLINE
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19/10/2012 15:28

105. Al predetto frate Bartolomeo quando era ad Asciano.

Al nome di Gesù e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo figlio mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi con ardentissimo desiderio, e profonda umilità e sollecitudine, a ricevare lo re nostro, che viene a noi umile, e mansueto siede sopra l'asina (Mt 21,5).

O inestimabile diletta carità, oggi confondi la superbia umana, a vedere che tu, re dei re (...), vieni umiliato sopra la bestia, cacciato con tanto vitoperio! Vergogninsi coloro che cercano gli onori e la gloria del mondo; levisi, figlio mio carissimo, lo fuoco del santo desiderio, e sia privato d'ogni freddezza; salga sopra l'asina de la nostra umanità, sì ch'ella non vadi mai se non secondo che la ragione la guida, non appetisca se non l'onore di Dio e la salute de la criatura. Così voglio che facciate con grande sollecitudine, sentendo lo caldo e il calore del re nostro. In questo modo signoreggiaremo la nostra sensualità e freddezza con cuore virile; sarete gustatore del vero e amoroso cibo, lo quale lo Figlio di Dio mangiò in su la mensa de la santa croce. Questo farete voi e Neri con sollecitudine, ciò che potete fare, dando l'onore a Dio e la fatica al prossimo, con fede che lo Spirito santo farà quello che a voi pare impossibile.

Del venire costà invisibilemente, io lo fo per continua orazione, a voi e a tutto il popolo; visibilemente, quanto sarà possibile a me di fare, e quanto Dio volrà. Dell'andare a Santa Agnesa, non vego lo modo d'andarvi ora per la festa sua, ché non ho apparecchiato quello che voleva, se già Dio non provedesse. Se vedete costà l'onore di Dio, non paia fatica di stare un poco più, anco adoperate quello che v'è necessario con allegrezza, e state con ardente cuore.

Dite a frate Simone, figlio mio in Cristo Gesù, che il figlio non teme mai d'andare a la madre, anco corre a lei, singularmente quando si vede percuotare; e la madre lo riceve in braccio e tienlo al petto suo e notricalo: poniamo che gattiva madre sia, non di meno sempre lo portarò al petto de la carità. Siate sollecito e non negligente, sì che l'anima mia riceva letizia nel conspetto di Dio. Non ho avuto tempo di scrivarli. Benedicetelo cento migliaia volte da parte di Cristo Gesù.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Alessa e io Cecca vi ci mandiamo molto racomandando.







106. A Neri predetto in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere spegnere in te ogni negligenzia e ingratitudine, poiché negligenzia non è senza ingratitudine: poiché se l'anima fusse grata e conoscente verso lo suo Creatore, sarebbe sollicita, e non si lassarebbe fuggire lo tempo fra le mani, ma con fame de la virtù furerebbe lo tempo.

Voglio dunque, carissimo figlio, che col desiderio de la virtù, e con gratitudine dei beneficii ricevuti, esserciti sempre lo tempo tuo, con umile e continua orazione. Altro non dico.

Bagnati nel sangue di Cristo Crocifisso, e permani ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





107. A Luisi di missere Luisi dei Gallerani in Asciano.

Al nome di Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi cavaliere virile: che andiate inanzi come cavaliere virile non vollendovi adietro a schifare i colpi, ma sempre andiate inanzi con vera e perfetta perseveranza, ché sapete che sola la perseveranza ell'è incoronata (Mt 10,22 Mt 24,13), ma non lo cominciare.



E se vi sentiste stanco nel perseverare in questo campo de la battaglia, tollete, carissimo fratello in Cristo Gesù, tollete lo gonfalone santo de la croce, lo quale è una colonna fortissima due si riposa l'Agnello dissanguato per noi. In tanto è forte che ci tolle ogni debolezza, e tanto fortifica lo cuore dell'uomo che né dimonia né creature lo può muovare, se esso medesimo non vuole. E non me ne maraviglio, poiché la fortezza dell'amore lo teneva legato e chiavellato in sul legno de la santa croce. Ine su vi prego che vi leghiate, e così non potrete tornare indietro: ine trovarete fondate tutte le virtù; ine su trovarete Dio-Uomo, per l'unione de la natura divina con l'umana; ine trovarete l'abbondanza de la divina carità, coi la quale egli ha tratto la sposa dell'umana generazione delle mani del demonio che la possedeva come adultera. O dolcissimo amore Gesù, che con la mano disarmata e confitta e chiavellata in croce, hai sconfitti i nostri nemici! I venne come nostra pace a pacificare l'uomo con Dio; e così disse santo Pavolo: «Io sono messo e legato di Cristo per voi: prego, fratelli carissimi, che vi riconciliate e facciate pace con lui (2Co 5,20), ch'egli è venuto come mediatore a mettare pace tra Dio e l'uomo» (Col 1,20). O dolce Gesù, bene è vero che tu sei nostra pace e tranquillità e riposo di conscienzia, e veruna amaritudine né tristizia può cadere in questa anima - né povertà - ne la quale abiti per grazia. Ma ragionevole cosa è ch'egli abbi perfetta letizia e piena ricchezza, poiché Dio è somma letizia: non cade tristizia né amaritudine; è somma ricchezza la quale non viene meno: non v'ha ladri che imbolino.

Perciò io vi prego carissimamente che siate sollecito, questo ponto del tempo che v'è rimaso, ché è gran consolazione lo vivare bene e virtuosamente. E però vi dissi che io desideravo che fuste vero cavaliere, che non volleste mai indietro lo santo proponimento cominciato, armato de le vere e reali virtù, appoggiato a la colonna de la santa croce, la quale vi difendarà d'ogni morsura e molestia di demonio o di creatura che volesse ritrarvi da le virtù. Non date orecchie né crediate ai consegli de le criature che vi volessero ritrare dal santo proponimento: ma con la confessione spesso, usando con quella compagnia che v'aiti ad avere Dio per grazia. Non dico più. Bagnate la memoria vostra nell'abondanzia del sangue suo.

Confortatevi da parte di frate Bartalomeo e di Neri; racomandate loro e me a misser Biringhieri.

Rimanete ne la santa pace di Dio.







108. A monna Giovanna di Capo e a Francesca, in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissime e carissime figlie mie, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi tutte arse e consumate nel fuoco della divina carità, sì e per sì-fatto modo che ogni amore proprio e freddezza di cuore e tenebre di mente avessea a cacciare fuore.

Quale è la condizione della divina carità? è che sempre aduopera, e mai non si stanca, sì come l'usuraro: sempre guadagna lo tempo per lui - se dorme guadagna, se mangia guadagna, e ciò che fa, guadagna e non perde mai tempo -. Questo non fa l'usuraro, ma il tesoro del tempo. Così fa la sposa inamorata di Cristo, arsa nella divina carità: sempre guadagna, e mai non sta oziosa. Egli dorme, e la carità lavora; mangiando, dormendo, veghiando, ciò che fa, d'ogni cosa trae lo frutto. O carità piena di letizia, tu sei quella madre che nutrichi i figli delle virtù al petto tuo. Tu sei ricca sopra ogni ricchezza, in tanto che l'anima, che si veste di te, non può essere povara. Tu le doni la bellezza tua, poiché la fai una cosa con con te; perché, come dice san Giovanni, Dio è carità, e chi sta in carità, sta in Dio e Dio in lui (1Jn 4,16).

O figlie carissime, gaudio e letizia dell'anima mia, riguardate la eccellenza e la degnità vostra, la quale riceveste da Dio per mezzo di questa madre della carità! Ché sì forte fu l'amore che Dio ebbe alla creatura, che il mosse a trare noi di sé, e donarci a noi medesimi la immagine e similitudine sua (Gn 1,26), solo perché noi godessimo e gustassimo lui, e participassimo l'eterna sua bellezza. Non ci fece animali senza intelletto e memoria; ma egli ci dei la memoria a ritenere i beneficii suoi; e lo 'ntendimento ad intendare la somma ed eterna sua volontà, la quale non cerca né vuole altro che la nostra santificazione (1Th 4,3); e la volontà ad amarla.

Subito che l'occhio del conoscimento intende la volontà del Verbo - che vuole che il seguiamo per la via della santissima croce (Mt 16,24 Mc 8,34 Lc 9,23 Mt 10,38 Lc 14,27), portando ogni pena, strazii, scherni e rimproverii per Cristo crocifisso, che è in noi che ci conforta (Ph 4,13) -, la volontà si leva subito, riscaldata dal fuoco di questa madre della carità, e corre ad amare quello che Dio ama, e odia quello che Dio odia, in tanto che non vuole cercare né desiderare né vestirsi altro che della eterna volontà di Dio. Poi ch'egli ha inteso e veduto ch'egli non vuole altro che il nostro bene, vede che gli piace e vuole essere seguitato per la via della croce; è contento e gode di ciò che Dio permette, o per infermità o per povertà o ingiuria o villania, oobbedienza incomportabile e indiscreta: d'ogni cosa gode ed esulta, e vede che Dio lo permette per sua utilità e perfezione. Non mi maraviglio se ella è privata della pena, poiché ella ha tolto da sé quella cosa che dà pena, cioè la propria volontà fondata nell'amore proprio, e vestito della volontà di Dio, fondata in carità.

E se voi mi diceste: «Madre mia, come ci vestiremo?», rispondovi: Con l'odio e con l'amore: ché l'amore fa vestire dell'amore; sì come colui che si veste che, per odio ch'egli ha al vestimento vecchio, se lo spoglia tosto, e con l'amore si mette lo nuovo in dosso. O lo vestimento, figlie mie, è quello che veste? no, anco è l'amore, poiché il vestimento per sé medesimo non si mutarebbe, se la creatura non l'avesse preso per amore. Unde potremo ricevare questo odio? Solo dal conoscimento di noi medesime, vedendo noi non essere: lo quale tolle ogni superbia e infonde vera umilità. Lo quale conoscimento fa trovare lo lume e la larghezza della bontà di Dio e la sua inestimabile carità, lo quale non è nascoso a noi; era bene nascoso alla grossità nostra, prima che il Verbo unigenito Figlio di Dio incarnasse, ma poi che volse essere nostro fratello (Rm 8,29) - vestendosi della grossità della nostra umanità - ci fu manifesto, essendo poi levato in alto affinché il fuoco dell'amore fusse manifesto a ogni creatura, e tratto fusse il cuore per forza d'amore (Jn 12,32). Dunque bene è vero che l'amore transforma, e fa una cosa l'amato con colui che ama.

Or sollicite siate, figlie mie, a distendare lo braccio dell'amore a prendare e riponare nella memoria quello che lo intendimento ha inteso. A questo modo sarà adempito lo desiderio di Dio e mio in voi, cioè ch'io vi vedrò arse e consumate e vestite del fuoco della divina carità. Fate fate che vi notrichiate di sangue, ché tosto ne vengono i tempi nostri.

Non vi maravigliate se non ne siamo venute, ma tosto ne verremo, se piacerà alla divina bontà. Per alcuna utilità della Chiesa e volontà del padre santo ho sostentato un poco lo mio venire. Priegovi e comandovi a voi, figlie e figli, che tutti preghiate, e offeriate orazioni sante e dolci desideri dinanzi a Dio per la santa Chiesa, poiché molto è perseguitata. Non dico più.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.







109. Ad dominum abbatem Lesatensem nuntium apostolicum in Tuscia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Venerabile padre spirituale in Cristo Gesù, io Caterina, indegna serva vostra e figlia, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, racomandomi e scrivo a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero sacerdote, e membro legato nel corpo de la Chiesa santa.

O venerabile e carissimo padre in Cristo Gesù, quanto sarà beata l'anima vostra e mia, quando io vedrò che noi siamo legati nel fuoco de la divina carità, la quale carità sapete che dà lo latte ai figli suoi e notricali. Parmi che questo latte non si trae per altro modo che traga lo fanciullo lo latte del petto de la madre sua: per mezzo de la poppa trae lo latte, e così si nutre. Così sapete che l'anima nostra non può avere vita per altro modo che per mezzo di Cristo crocifisso: così disse la prima Verità: «Veruno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). In uno altro luogo dice: «Io sono via, verità e vita (Jn 14,6), e chi va per me non va per le tenebre, anco va per la luce» (Jn 8,12).

O inestimabile dolcissima carità, quale è la via tua che tu scegliesti con tanto amore? Non vego che fusse onore né delizie né gloria umana, né amore propio di te medesimo, poiché la carità non cerca le cose sue (1Co 13,5), ma solo l'onore di Dio e la salute de la creatura. La vita sua non fu altro che scherni e ingiurie e rimproveri e villanie: all'ultimo l'obrobriosa morte de la croce. Per questa via l'hanno seguitato i santi, sì come membri legati e uniti con questo dolce capo Cristo Gesù, lo quale è tanto dolce che nutre e dà vita a tutte le membra che in esso capo sono legate.

E se noi diciamo: In che modo seguito questo dolce capo e legomi in lui? Sapete che con altro modo non si lega l'uomo che con legame, né non diventa una cosa col fuoco se non vi si gitta dentro, che ponto non ne rimanga di fuore. Or questo è quello vincolo dell'amore, col quale l'anima si lega con Cristo. O quanto è dolce legame, lo quale legò lo Figlio di Dio in su lo legno de la santissima croce! Legato, si trova nel fuoco: li fa lo fuoco de la divina carità nell'anima come lo fuoco materiale, che scalda e allumina e converte in sé. O fuoco dolce trattivo, che scaldi e cacci via ogni freddezza di vizio e di peccato e d'amore proprio di sé medesimo! Questo caldo riscalda e accende questo legno arido de la nostra volontà; ella s'accende e distende ai dolci e amorosi desiderii, amando quello che Dio ama e odiando quello che Dio odia. E come l'anima vede sé essare tanto smisuratamente amata, e dato sé medesimo Agnello dissanguato in su lo legno de la croce, dico che il fuoco l'allumina e non cade tenebre in liei: così l'anima alluminata a questo venerabile fuoco e tutto il distende, lo 'ntendimento, e dilarga.

E poi ch'ha sentito e ricevuto lo lume, sì discerne e vede quello che è ne la volontà di Dio, e non vuole seguire altro che le vestigie di Cristo crocifisso, poiché vede bene che per altra via i non può andare, e non si vuole dilettare in altro che negli obbrobrii suoi. Allora, per mezzo de la carne di Cristo crocifisso, trae a sé lo latte de la divina dolcezza, lume dolce, due non cade tenebre né pena per veruna amaritudine né tristizia che venga, poiché il lume ricevuto dal fuoco vede che ogni cosa procede da Dio - eccetto che il peccato ed lo vizio -: vede che Dio non vuole altro che la santificazione nostra (1Th 4,3). E per darci questa santificazione de la grazia, unì esso Dio e umiliossi all'uomo: la sua umilità stirpa la nostra superbia, egli è regola che tutti ci conviene seguire.

Questo raguarda lo intendimento illuminato e vede, fermando l'occhio nell'occhio de la divina carità e bontà di Dio. Due la trova? dentro nel conoscimento di sé medesimo, ché vedesi non essare: l'essare suo ha da Dio e per grazia e per amore, e non per debito. Subito che il vostro intendimento entendarà a tanta bontà, nasciarà in lui una fonte viva di grazia, una vena d'oglio di profonda umilità, la quale non lassarà cadere né enfiare per superbia, né per veruno stato né gloria ched egli abbia, ma come buono pastore seguitarà le vestigie del maestro suo, sì come faceva quello santo e dolce Gregorio e gli altri che il seguiro, che, essendo i maggiori, erano i minori; non volevano essare serviti, anzi servire spiritualmente e temporalmente, più coi la buona vita che coi le parole.

Poi che lo intendimento ha ricevuto lo lume dal fuoco, nel modo che detto è, convertelo in sé medesimo e diventa una cosa con lui: così la memoria diventa una cosa con Cristo crocifisso, che altro non può ritenere né dilettare né pensare, se non che del diletto suo che egli ama; ché l'amore ineffabile lo quale i vede che egli ha a lui e a tutta l'umana generazione, subito la memoria ritiene in sé, e diventa amatore di Dio e del prossimo suo, e 'n tanto che cento migliaia di volte ponrebbe la vita per lui. E non raguarda a utilità che traga da lui; solo perché vede che sommamente Dio ama la creatura, dilettasi d'amare quello ched egli ama. Perciò ben possiamo dire ched egli è drittamente fuoco, che scalda e allumina e converte in sé.

Acordansi in questo fuoco le tre facoltà dell'anima: la memoria, a ritenere i beneficii di Dio; lo intendimento, a intendare la bontà e la volontà sua, sì come detto è; la volontà si distende ad amare per sì-fatto modo che non può altro amare, né desiderare veruna cosa fuore di lui. Tutte le sue opere sono dirizzate in lui, e non può vederle, ma sempre pensa di fare quella cosa che più piaccia al suo Creatore, perché vede che veruno sacrifizio gli è tanto piacevole quanto essare gustatore e mangiatore delle anime.

Singularmente a voi, dolce padre, richiede egli, e ai vostri pari, questo zelo e sollecitudine. Questa è la via di Cristo crocifisso, che sempre ci darà lo lume de la grazia; tenendo altra via, andaremmo di tenebre in tenebre: nell'ultimo a la morte eterna.

Ricevetti, dolce padre mio, la lettara vostra con grande consolazione e letizia, pensando che vi ricordiate di sì vile e misera creatura. Intesi ciò che diceva; rispondovi a la prima de le tre cose le quali m'adimandate: dico che il nostro dolce Cristo in terra - credo e pare nel conspetto di Dio - che due cose singulari, per le quali la sposa di Cristo si guasta, levasse via.

L'una si è la troppa tenerezza e sollecitudine dei parenti: lo quale singularmente si convenrebbe che in tutto e per tutto i vi fusse tutto mortificato; l'altra si è la troppa dolcezza fondata in troppa misericordia.

Oimé oimé, questa è la cagione ch'i membri diventano putridi: per lo non correggere. E singularmente l'ha per male Cristo tre perversi vizii: della immundizia, della avarizia e de la infiata superbia, la quale regna, ne la Sposa di Cristo, nei prelati che non attendono ad altro che a delizie, a stati e a grandissime ricchezze; vegono i dimoni infernali portarne l'anime dei sudditi loro, e non se ne curano (Jn 10,12-13), perché sono fatti lupi, rivenditori de la divina grazia. Volrebbesi una forte giustizia a correggiarli, poiché la troppa pietà è grandissima crudeltà, ma con giustizia e misericordia correggere.

Bene vi dico, padre, ch'io spero per la bontà di Dio che questo suo difetto de la tenerezza dei parenti, per le molte orazioni e stimoli ch'egli averà da' servi di Dio, si cominciarà a levare. Non dico che la Sposa di Cristo non sia perseguitata, ma credo che rimanrà en fiore come die rimanere. Egli è bisogno che, a raconciare, al tutto si guasti fino a le fondamenta. E questo è il guastare ch'io voglio che voi intendiate, e non in altro modo.

All'altra che dite, che dei peccati vostri io chieda l'abbondanza de la sua misericordia, sapete che Dio non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva (2P 3,9 Ez 33,11). Io, endegna vostra figlia, m'ho recato e recarò lo debito dei peccati vostri sopra di me - ensiememente i vostri i miei - ad ardare nel fuoco de la dolce carità, due si consumano; sì che sperate e tenete di fermo che la divina grazia ve gli ha perdonati. Or pigliate uno ordine di bene vivare con virtù, tenendo piantato nel cuore vostro lo crociato amore che egli ha a voi, scegliendo inanzi la morte che offendare lo suo Creatore, o tenere occhio che sia offeso da' sudditi vostri.

L'altra, cioè quand'io vi dissi che v'afaticaste ne la Chiesa santa, non intesi né non dico solamente de le fatiche che pigliaste sopra le cose temporali - poniamo che sia bene -, ma principalmente vi dovete fare insiememente col padre santo: farne ciò che voi potete, trare i lupi i dimoni incarnati dei pastori: a veruna cosa attendono se non in mangiare e belli palagi e belli giovini e grossi cavalli. Oimé, ché quello che Cristo acquistò in su lo legno de la croce, sì si spenderà con le meretrici.

Pregovi che, se ne doveste morire, che voi diciate al padre santo che ponga rimedio a tante iniquità, e, quando venrà lo tempo di fare i pastori i cardenali, che non si faccino per lusinghe né per denari né simonia; ma pregatelo, quanto potete, ch'egli attendi e miri se trova la virtù, e buona e santa fama nell'uomo. Non miri più a gentile che a mercennaio, ché la virtù è quella cosa che fa l'uomo gentile e piacevole a Dio. Questa è quella fatica, dolce padre, ch'io vi prego e pregai che voi sosteneste, e poniamo che l'altre fatiche sieno buone, ma questa è quella fatica che è ottima. Altro per ora non dico. Perdonate a la mia presunzione. Racomandomivi cento migliaia di volte in Cristo Gesù.

Sienvi a mente i fatti di misser Antonio. Se vedete costà l'arcivescovo, sì me li racomandate quanto più potete.

Rimanete ne la santa carità di Cristo Gesù. Gesù Gesù.

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19/10/2012 15:30

110. A madonna Stricca donna di Cione di Sandro dei Salimbeni.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva fedele del vostro Creatore, fondata in vera e santa pazienza. E pensate che in altro modo non potreste piacere a Dio.

Noi siamo pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, e senza alcuna stanzia di tempo corriamo verso lo termine de la morte, onde ci conviene avere lo lume della santissima fede, a ciò che, senza impedimento di tenebre, possiamo giognere al termine nostro. Ma vuole essere fede viva, cioè con sante e buone opere, poiché dicono i santi che la fede senza l'opera è morta (Jc 2,26).

Poi che noi aviamo creduto che Dio è Dio, e che egli ci ha creati ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e che egli ci ha dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, nato del ventre dolce di Maria, e morto in su lo legno della santissima croce per tollarci la morte e darci la vita de la grazia (la quale perdemmo per la disobbedienza di Adam; e con l'obedienzia del Verbo tutti contraiamo la grazia, sì come in prima contraemmo tutti la morte per lo primo peccato), subito allora che l'anima ha acquistato così dolcemente lo lume della fede, vedendo tanto amore ineffabile quanto Dio le porta (e per darci anco speranza della nostra resurrezione, la quale avaremo nell'ultimo dì del giudicio, egli ha manifestata la resurrezione sua), l'anima s'innamora a tanto lume e a tanta dolcezza d'amore quanto vede che Dio gli ha.

E comincia a vedere con questo medesimo occhio, che Dio non vuole altro che la nostra santificazione (1Th 4,3); e ciò che egli ci dà e permette in questa vita, dà per questo fine; e tribulazioni e consolazioni, ingiurie, scherni e villania, persecuzioni dal mondo e tentazioni dal demonio, fame e sete, infermità e povertà, prosperità e delizie, e ogni cosa, permette per nostro bene. La ricchezza ci permette perché ne siamo dispensatori ai povari; le delizie e stati del mondo, non perché noi leviamo lo capo per superbia, anco molto maggiormente ci doviamo umiliare, con uno santo ringraziamento della divina bontà; la tribolazione - da qualunque lato ella viene - e povertà, ce la dona perché noi veniamo a vera e perfetta pazienza, e perché cognosciamo la poca fermezza e stabilità del mondo, a ciò che noi ne leviamo l'affetto e il desiderio nostro e sia posto solamente in Dio, con le vere e reali virtù.

E così ricevaremo lo frutto delle nostre fatiche; poiché ogni fatica che noi sosteniamo per lo suo amore è remunerata, e serbatoci lo frutto nella vita durabile, dove ha vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio, e fame senza pena (così dice santo Agostino: dilonga è lo fastidio dalla sazietà, e dilonga è la pena da la fame): nell'altra vita ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita.

Perciò l'anima che ha questa viva fede, parturisce le vere e sante opere, ed è veramente paziente a sostenere ogni pena e fatica per Dio e per remessione dei peccati suoi; anco ha in reverenzia ogni pena, considerando chi è colui che le dà, e perché le dà, e a cui le dà. Chi è colui che le dà? è Dio, somma ed eterna bontà; non per odio, ma per singulare amore. Così disse egli ai discepoli suoi: «Io vi mando a essere perseguitati e martirizzati nel mondo, non per odio, ma per singulare amore. E di quello amore che lo Padre mio ha amato me, di quello io amo voi (Jn 15,9), poiché - perché egli m'amasse di singulare amore - egli mi mandò a sostenere la pena oprobiosa della santissima croce». Dico: perché le dà? Per amore, come detto è, e per nostra santificazione, a ciò che siamo santificati in lui. Noi chi siamo, a cui sono date queste fatiche? Siamo coloro che non siamo; ma per la colpa nostra siamo degni di cento migliaia d'onferni, se tanti ne potessimo ricevere. Poiché, perché noi offendiamo lo bene infinito, dovarebbe seguire una pena infinita; e Dio per misericordia ci punisce nel tempo finito, dandoci pena finita, poiché tanto bastano le tribulazioni in questa vita, quanto lo tempo, e più no; e però ogni grande fatica è piccola per la brevità del tempo.

Lo tempo nostro, dicono i santi, è quanto una punta d'aco; la vita dell’uomo è non nulla, tanto è poca.

Perciò ogni grande fatica è piccola: la fatica che è passata, noi non l'aviamo; e quella che deve venire, noi non siamo sicuri d'averla, perché non siamo sicuri d'avere lo tempo. Solo dunque questo punto del presente c'è, e più no. Or su, figlia dolcissima, levatevi dal sonno; e non dormiamo più, ma seguitate con fede viva le vestigie di Cristo Crocifisso, con vera e santa pazienza. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





111. A madonna Biancina, donna che fu di Giovanni d'Agnolino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato il cuore e l'affetto vostro del mondo e di voi medesima, poiché in altro modo non vi potreste vestire di Cristo crocifisso; poiché il mondo e Dio non hanno conformità insieme.

L'affetto disordinato del mondo ama la superbia, e Dio l'umilità; egli cerca onore stato e grandezza, e Cristo benedetto le dispregiò, abracciando vergogne scherni e villanie, fame e sete, freddo e caldo, fino alla obbrobriosa morte della croce: e con essa morte rendé onore al Padre e noi fummo restituiti a grazia.

Egli cerca di piacere alle creature, non curando di dispiacere al Creatore; e Cristo non cercò mai se non di compire l'obedienzia del Padre eterno per la nostra salute. Egli abracciò e vestissi della povertà voluntaria; e il mondo cerca le grandi ricchezze. Bene è dunque differente l'uno dall'altro; e però di necessità è che se il cuore è vestito del mondo, sia spogliato di Dio, e se egli è spogliato del mondo, sia pieno di Dio. Così disse il nostro Salvatore: «Nessuno può servire a due signori, ché se serve a l'uno, è in contempto a l'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13). Dobiamo dunque con grande sollicitudine levare il cuore e l'affetto da questo tiranno del mondo, e ponerlo tutto libero e schietto sanza veruno mezzo in Dio: non doppio, né amare fittivamente, poiché egli è il dolce Dio nostro, che tiene l'occhio suo sopra di noi, e vede l'occulto secreto del cuore.

Troppo è grande simplicità e mattezza la nostra, che noi vediamo che Dio ci vede ed è giusto giudice, che ogni colpa punisce e ogni bene remunera; e noi stiamo come accecati sanza veruno timore, aspettando quel tempo che noi non abiamo, né siamo sicuri d'avere. E sempre ci andiamo attaccando: se Dio ci taglia uno ramo, e noi ne pigliamo un altro. E più ci curiamo di queste cose transitorie che passano come il vento e delle creature, di non perderle, che noi non ci curiamo di perdere Dio. Tutto questo adiviene per lo disordinato amore che noi ci abiamo posto, tenendole e possedendole fuori della voluntà di Dio. In questa vita ne gustiamo la caparra de l'inferno; perché Dio ha permesso che chi disordinatamente ama, sia incomportabile a sé medesimo. Sempre ha guerra nell'anima e nel corpo. Pena porta per quello che ha, per timore che egli ha di non perderlo; e per conservarlo, che non gli venga meno, s'affatiga il dì e la notte.

Pena porta di quello che non ha, perché appetisce d'avere, e non avendo ha pena. E così l'anima mai non si quieta in queste cose del mondo, perché sono tutte meno di sé. Elle sono fatte per noi, e non noi per loro; ma noi siamo fatti per Dio, affinché gustiamo il suo sommo ed eterno bene.

Solo Perciò Dio la può saziare; in lui si pacifica, e in lui si riposa, poiché ella non può desiderare né volere veruna cosa, che ella non la truovi in Dio. Trovandola non le manca che in lui non truovi la sapienza e la bontà a sapergliele e volergliele dare. E noi il proviamo: che non tanto che egli ci dia adimandando, ma egli ci dié prima che noi fossimo, ché, non pregandolne mai, ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricreocci a grazia nel sangue del suo Figlio. Sì che l'anima si pacifica in lui, e non in altro: perché egli è colui che è somma ricchezza, somma sapienza, somma bontà e somma bellezza. Egli è un bene inestimabile, che nessuno è che possa stimare la bontà, grandezza e diletto suo; ma esso medesimo si comprende e si stima. Sì che egli sa, può e vuole saziare e adempire i santi desiderii di chi si vuole spogliare del mondo, e vestirsi di lui.

Perciò non voglio che dormiamo più, carissima madre, ma destianci dal sonno, ché il tempo nostro s'approssima verso la morte continuamente. Le cose transitorie e temporali, e le creature, voglio che teniate per uso, amandole e tenendole come cose prestate a voi, e non come cosa vostra. Questo farete traendone l'affetto, e altrimenti no. Traresene conviene, se voliamo participare il frutto del sangue di Cristo crocifisso. Considerando io che altra via non ci è, dissi che io desiderava di vedere il cuore e l'affetto vostro spogliato del mondo: a questo mi pare che Dio v'inviti continuamente etc.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





112. A la contessa Bandecca, figlia che fu di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva e sposa di Cristo Crocifisso, considerando me che il servire a Dio non è essere servo, ma regnare: non è fatta come la perversa servitudine del mondo, la quale servitudine fa invilire la creatura e falla serva e schiava del peccato e del demonio, lo quale peccato, che è non nulla, fa venire l'uomo a non nulla.

Sappi, carissima e dolce figlia, che l'anima che serve a le creature e a le ricchezze fuore di Dio - cioè che disordinatamente appetisce e desidera le ricchezze stati e delizie del mondo e vanità, con piacere di sé medesimo, che tutte sono vane e senza veruna fermezza o stabilità, sì come la foglia che si vòlle al vento -, cade ne la morte e avilisce sé medesima, poiché si sottomette a quelle cose che sono minori di sé: ché tutte quante le cose create sono fatte in servigio de la creatura, e la creatura che ha in sé ragione è fatta per servire al suo Creatore. E però noi c'inganniamo, ché quanto più l'uomo appetisce queste cose transitorie, tanto più perde quella dolce signoria che s'acquista per servire al suo Creatore, e sottomettesi a quella cosa che non è - ché amando disordinatamente fuore di Dio, offende Dio -: sì che bene è verità che per la servitudine del mondo veniamo a non nulla.

Oh come è matto e stolto colui che si dà a servire colui che non tiene signoria se non di quella cosa che non è, cioè del peccato! Lo demonio non signoreggia se non coloro che sono operatori de le iniquitadi; e in che modo gli signoreggia? Per tormento, dando-lo' suplicio ne la eterna dannazione. E il mondo - ciò sono i disordinati affetti che noi poniamo al mondo, ché le cose del mondo in sé sono buone, ma la mala volontà di chi l'usa le fa gattive, tenendole e desiderandole senza timore di Dio, le quali cose sono i famigli che ci legano in tormento col demonio: dico che questa servitudine dà la morte; tolle lo lume de la ragione, e dà tenebre; priva della ricchezza de la grazia, e dà la povertà del vizio.

Non voglio, figlia mia, poiché tanto è pericoloso, che tu ti dia a la perversa servitudine del mondo, ma voglio che tu sia vera serva di Cristo crocifisso, lo quale t'ha ricomprata del prezioso sangue suo. Egli è il dolce Dio nostro, che ci creò a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26), egli ci ha donato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio per tollerci la morte e darci la vita; col sangue suo ci tolse la servitudine del peccato, e àcci fatti liberi traendoci de la signoria del demonio che ci possedeva come suoi. Lo sangue ci ha fatti facciorti, e àcci messi in possessione di vita eterna, poiché i chiodi ci sono fatti chiave che ha disserrata la porta che stava chiusa per lo peccato che era commesso. Questo dolce Verbo, salendo a cavallo in su lo legno de la santissima croce, come vero cavaliere ha sconfitti i nemici e messi noi in possessione de la vita durabile, per sì-fatto modo che né demonio né creatura ce la può togliere se noi non vogliamo. Perciò bene è dolce questa servitudine, e senza questa servitudine non possiamo participare la divina grazia, e però dissi che io desideravo di vederti serva e sposa di Cristo crocifisso.

Subito che tu sei fatta serva - poiché lo servire a Dio è regnare - a mano a mano diventi sposa; voglio dunque che tu sia sposa fedele che tu non ti parta da lo Sposo tuo, amando né desiderando veruna cosa fuore di Dio. Ama questo dolce e glorioso Sposo che t'ha data la vita, e non muore mai; gli altri sposi muoiono, e passano come lo vento, e spesse volte sono cagione de la morte nostra. E tu hai provato che fermezza egli ha, ché in picciolo tempo due calci t'ha dato lo mondo: questo ha permesso la divina bontà perché tu fugga dal mondo, e refugga a lui sì come a padre e sposo tuo. Fugge lo veleno del mondo, che ti si mostra uno fiore; mostrasi uno fanciullo, ed egli è uno vecchio; mostra la longa vita, e ella è breve; pare che egli abbi alcuna fermezza, e egli è volubile, sì come la foglia che si vòlle al vento. Tu hai bene veduto che fermezza non ebbe in te; e così ti pensa che ti farà lo simile se tu te ne fidi più, ché così è mortale l'ultimo come lo primo.

Levati su da ogni tenerezza e amore proprio di te, e entra ne le piaghe di Cristo crocifisso, dove è perfetta e vera sicurezza. Egli è quello luogo dolce dove la sposa empie la lampana del cuore suo - ché drittamente lo cuore è una lampana -: lo quale debba essere sì come la lampana, che è stretta da piei e larga da capo; cioè che il desiderio e affetto suo sia ristretto al mondo, e largo di sopra: cioè dilargare lo cuore e l'affetto suo in Cristo crocifisso, amandolo e temendolo con vera e santa sollicitudine. Allora empirai questa lampana al costato di Cristo crocifisso, trovando lo fuoco de la divina carità lo quale t'è manifesto per le piaghe di Cristo; e il costato ti mostra lo secreto del cuore, che quello che egli ha dato e fatto a noi, ha fatto per proprio amore. Ine si trova la vera e profonda umilità, che è l'olio che nutre lo fuoco e il lume nel cuore de la sposa di Cristo.

Che maggiore larghezza d'amore puoi trovare, che vedere che egli abbi posta la vita per te? E che maggiore bassezza si può vedere o si trovò mai, che vedere Dio umiliato all'uomo, e Dio e Uomo corso alla obbrobriosa morte de la croce? Questa umilità confonde ogni superbia delizie e grandezze del mondo; questa è quella virtù piccola che è baglia e nutrice de la carità. Allora è ricevuta la sposa da lo Sposo suo, e messa ne la camera dove si trova la mensa lo cibo e il servidore. La camera è la divina essenzia, dove si notricano i veri gustatori: ine si gusta lo Padre eterno, che è mensa; e il Figlio è il cibo; e lo Spirito santo ci serve; e così gusta e si sazia l'anima, in verità, dell'eterna visione di Dio.

Or non dormire più, destati dal sonno de le delizie del mondo, e segue lo tuo diletto Cristo; e non aspettare lo tempo, ché tu non sei sicura d'averlo, poiché ti viene meno. Ché tale ora crediamo noi vivere, che ne viene la morte e tolleci lo tempo; e però chi fusse savio non perderebbe lo tempo che egli ha per quello che non ha.

Risponde a Dio che ti chiama, col cuore fermo e stabile; e non credere né a madre né a sorella né a fratello né a corpo di creatura che ti volesse impedire, ché tu sai che in questo non doviamo essere obedienti a loro. E così dice lo nostro Salvatore: «Chi non renunzia al padre e a la madre, a sorella e a fratelli (Mt 10,37 Lc 14,26), e a sé medesimo (Lc 14,26 Mt 16,24 Mc 8,34 Lc 9,23), non è degno di me».

Conviensi dunque renunziare a tutto lo mondo e a sé medesimo, e seguire lo gonfalone de la santissima croce. Altro non dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

A te dico, figlia mia, che se tu vorrai essere sposa vera del tuo Creatore, che tu esca de la casa del padre tuo; e disponti di venire, quando lo luogo sarà fatto che già è cominciato e fassi di forza - cioè lo monasterio di Santa Maria degli Angeli a Belcaro -: se tu lo farai, giognerai in terra di promissione. Altro non dico. Dio ti riempia de la sua dolcissima grazia.







113. Alla contessa Bandecca figlia di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti facciondata in vera e perfetta carità; la quale carità è uno vestimento nuziale che ricuopre ogni nostra nudità, e nasconde le vergogne nostre - cioè lo peccato lo quale germina vergogna lo spegne e consuma nel suo calore -; e senza questo vestimento non possiamo intrare alla vita durabile, a la quale noi siamo invitati (Mt 22,2 Mt 22,11-12).

Che è carità? è un amore ineffabile che l'anima ha tratto dal suo Creatore, amandolo con tutto lo cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27). Dissi che l'aveva tratto dal suo Creatore: e così è la verità. Ma come si trae? con l'amore, poiché l'amore non s'acquista se non con l'amore e da l'amore. Ma tu mi dirai, carissima figlia: «Che modo mi conviene tenere a trovare e acquistare questo amore?» Rispondoti, per questo modo: ogni amore s'acquista col lume, poiché la cosa che non si vede non si conosce; unde non conoscendosi non s'ama. Convienti dunque avere lo lume, a ciò che tu vegga e conosca quello che tu debbi amare. E perché lo lume c'era necessario, providde Dio alla nostra necessità, dandoci lo lume dell'intelletto, che è la più nobile parte dell'anima, con la pupilla, dentrovi, della santissima fede. E dicoti che, poniamo che la persona offenda lo suo Creatore, non passa però né vive senza amore, né senza lo lume; poiché l'anima, che è fatta d'amore e creata per amore ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), non può vivere senza amore, né amarebbe senza lo lume, unde, se vuole amare, sì conviene che vegga.

Ma sai che vedere è, e che amore, quello delli uomini del mondo? è uno vedere tenebroso e oscuro, e per la oscura notte non discerne la verità; ed è un amore mortale, poiché dà morte nell'anima, tollendole la vita della grazia. Perché è oscuro? Perché s'è posto nella oscurità delle cose transitorie del mondo, avendosele poste dinanzi a sé fuore di Dio, cioè che non le raguarda nella sua bontà, ma solo le raguarda per diletto sensitivo; lo quale diletto e amore sensitivo mosse l’intelletto a vedere e conoscere cose sensitive. Unde questo affetto che si notrica del lume dell'intelletto - poniamo che l'affetto prima lo movesse, come detto è - le dà morte, commettendo la colpa, e tollele la vita della grazia; poiché nessuna cosa si può amare né vedere fuore di Dio, che non ci dia morte; e però quello che s'ama, si die amare in lui e per lui: cioè riconoscere sé e ogni cosa dalla sua bontà. Sì che vedi che questi ama e vede; poiché senza amare e senza vedere non può vivere.

Ma è differente l'amore delli uomini del mondo, lo quale dà morte, da l'amore del servo di Dio, che dà vita: poiché l'amore che s' acquista dal sommo e eterno amore dà vita di grazia. Poi dunque che ha lo lume che ha l'occhio dell'intelletto, debbalo aprire col lume della santissima fede, e ponarsi per obiettivo l'amore inestimabile lo quale Dio ci ha. Allora l'affetto, vedendosi amare, non potrà fare che non ami quello che l’intelletto vidde e cognobbe in verità.

O carissima figlia, e non vedi tu che noi siamo uno albero d'amore, perché siamo fatti per amore? Ed è sì bene fatto questo albero, che non è alcuno che lo possa impedire che non cresca, né togliergli lo frutto suo, se egli non vuole; e àgli dato Dio a questo albero uno lavoratore che l'abbi a lavorare, secondo che gli piace; e questo lavoratore è lo libero arbitrio. E se questo lavoratore l'anima non l'avesse - la quale ti ho posta per uno albero - non sarebbe libera; e non essendo libera, avrebbe scusa del peccato: la quale non può avere, poiché neuno è, né il mondo né il demonio né la fragile carne, che costrignere la possa a colpa alcuna, se ella non vuole. Poiché questo arbolo ha in sé la ragione, se il libero arbitrio la vuole usare; e ha l'occhio dell’intelletto che vede e conosce la verità, se la nebbia dell'amore proprio non glili offusca. E con questo lume vede dove debba essere piantato l'albero, poiché, se nol vedesse e non avesse questa dolce potenza dell'intelletto, lo lavoratore avrebbe scusa, e potrebbe dire: «Io ero libero; ma io non vedevo in che io potesse piantare l'albero mio, o in alto o in basso». Ma questo non può dire, poiché ha l’intelletto che vede, e la ragione, la quale è uno legame di ragionevole amore, con che può legarlo e innestarlo nell'albero della vita, Cristo dolce Gesù. Debba dunque piantare l'albero suo poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto lo luogo, e in che terra egli debba stare a volere producere frutto di vita.

Carissima figlia, se il lavoratore del libero arbitrio allora lo pianta dove debba essere piantato, cioè nella terra della vera umilità - poiché nol die ponere in sul monte della superbia, ma nella valle de l'umilità -, allora produce fiori odoriferi di virtù, e singolarmente producerà quello sommo fiore della gloria e loda del nome di Dio; e tutte le sue opere e virtù, le quali sono dolci fiori e frutti, ricevaranno odore da questo. Questo è quello fiore, carissima figlia, che fa fiorire le virtù nostre, lo quale fiore Dio vuole per sé, e il frutto vuole che sia nostro.

Di questo albero egli vuole solamente questi fiori della gloria, cioè che noi rendiamo gloria e loda al nome suo; e il frutto dà a noi, poiché egli non ha bisogno di nostri frutti - perché a lui non manca alcuna cosa, poiché egli è colui che è (Ex 3,14) -, ma noi, che siamo coloro che non siamo, n'aviamo bisogno. Noi non siamo per noi, ma per lui, poiché egli ci ha dato l'essere, e ogni grazia che aviamo sopra l'essere; sì che a lui utilità non possiamo fare. E perché la somma e eterna bontà vede che l'uomo non vive dei fiori, ma solo del frutto - poiché del fiore morremmo, e del frutto viviamo -, però tolle il fiore per sé, e il frutto dà a noi. E se la ignorante creatura si volesse notricare di fiori, cioè che la gloria e la loda, che die essere di Dio, la desse a sé, sì gli priva della vita della grazia, e dàgli la morte eterna, se egli muore che non si corregga: cioè che tolla lo frutto per sé, e il fiore, cioè la gloria, dia a Dio. E poi che l'albero nostro è piantato così dolcemente, egli cresce per sì-fatto modo che la cima dell'albero, cioè l'affetto dell'anima, non si vede da creatura dove sia unito, se non l'occhio suo dell'intelletto, lo quale l'ha guidato, congiunto e unito con lo infinito Dio per affetto d'amore.

O figlia carissima, io ti voglio dire in che campo sta questa terra, a ciò che tu non errassi: la terra è la vera umilità, come detto è; lo luogo dove ella è, è il giardino chiuso (Ct 4,12) del cognoscimento di sé.

Dico che è chiuso poiché l'anima che sta nella cella del cognoscimento di sé medesima, ella è chiusa e non aperta, cioè che non si dilata nelle delizie del mondo, e non cerca le ricchezze, ma povertà voluntaria; e non le cerca per sé né per altrui, e non si distende in piacere alle creature, ma solo al Creatore. E quando lo demonio le desse laide e diverse cogitazioni con molte fatiche di mente e con disordenati timori, allora ella non s'apre, ponendoseli a investigare, né a volere sapere perché vengono, né a stare a contendere con loro; e non spande lo cuore suo per confusione né per tedio di mente, né abandona gli essercizii suoi. Anco si serra e si chiude con la compagnia della speranza e col lume della santissima fede, e con l'odio e pentimento della propria sensualità, reputandosi indegna della pace e quiete della mente; e per vera umilità si reputa degna della guerra e indegna del frutto, cioè che si reputa degna della pena che le pare ricevere nel tempo delle grandi battaglie. E ponsi sempre per obiettivo Cristo Crocifisso, dilettandosi di stare in croce con lui; e col pensiero caccia il pensiero. Or questo è il dolce luogo dove sta la terra della vera umilità.

Poi che la cima, cioè l'affetto dell'anima che va dietro all'intelletto, come detto è, ha cognosciuto l'obiettivo di Cristo Crocifisso, l'abisso e il fuoco della sua carità, lo quale cognobbe in questo Verbo (poiché per questo mezzo c'è manifestato l'amore che Dio ci ha; e questo Verbo cognobbe nel cognoscimento di sé, quando cognobbe sé creatura ragionevole creata ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), e recreata nel sangue dell'unigenito suo Figlio), allora l'affetto sta unito nell'affetto di Cristo Crocifisso; e con l'amore trae a sé l'amore, cioè con l'amore ordinato, che leva sopra il sentimento sensitivo, trae a sé l'amore ardente di Cristo Crocifisso. Poiché il cuore nostro, quando è inamorato d'un amore divino, fa come la spugna, che trae a sé l'acqua, bene che se la spugna non fusse messa nell'acqua non la trarrebbe a sé, non ostante che la spugna sia disposta dalla parte sua. E così ti dico che se la disposizione del cuore nostro, lo quale è disposto e atto ad amore, se il lume della ragione e la mano del libero arbitrio non il leva e congiugne nel fuoco della divina carità, non s'empie mai della grazia; ma se s'unisce, sempre s'empie. E però ti dissi che da l'amore e con l'amore si trae l'amore.

Poi che il vasello del cuore è pieno, e egli inacqua l'albero con l'acqua della divina carità del prossimo, la quale è una rugiada e una pioggia che inacqua la pianta de l'albero e la terra della vera umilità, e ingrassa essa terra e il giardino del cognoscimento di sé, poiché allora è condito col condimento del cognoscimento della bontà di Dio in sé. Tu sai bene che se l'albero non è inaffiato dalla rugiada e da la pioggia, e riscaldato dal caldo del sole, non producerebbe né maturerebbe il frutto, unde non sarebbe perfetto, ma imperfetto. Così l'anima, la quale è uno albero come detto è, perché fusse piantato - e non inaffiato con la pioggia de la carità del prossimo e con la rugiada del cognoscimento di sé, e scaldato col caldo del sole della divina carità - non farebbe frutto di vita, né il frutto suo sarebbe maturo. Poi che l'albero è cresciuto, e egli distende i rami suoi, porgendo del frutto al prossimo suo, cioè frutto di santissime umili e continue orazioni, dandoli essemplo di buona e santa vita. E anco gli distende sovenendolo, quando può, della sustanzia temporale, con largo e liberale cuore, schietto e non fincto - cioè che mostri una cosa in atto, e non sia in fatto -, ma coraggiosamente e con affettuosa carità lo serve di qualunque servizio egli può e che vede che egli abbi bisogno, giusta al suo potere.

La carità non cerca le cose sue (1Co 12,5) e non cerca sé per sé, ma sé per Dio, per rendere i fiori della gloria e della loda al nome suo; e non cerca Dio per sé, ma Dio per Dio, in quanto è degno d'essere amato da noi per la bontà sua; e non ama né cerca né serve lo prossimo suo per sé, ma solo per Dio, per renderli quello debito lo quale a Dio non può rendere, cioè di fare utilità a Dio. Poiché già ti dissi che a Dio utilità non possiamo fare, e però lo fa Dio fare al prossimo suo, lo quale è uno mezzo che c'è posto da Dio per provare la virtù, e per mostrare l'amore che aviamo al dolce e eterno Dio. Questa carità gusta vita eterna, consuma e ha consumate tutte le nostre iniquità, e dacci lume perfetto con pazienza vera; e facci forti e perseveranti in tanto che mai non volliamo lo capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma perseveriamo infine alla morte, dilettandoci di stare in sul campo della battaglia per Cristo Crocifisso, ponendoci lo sangue suo dinanzi a ciò che ci facci inanimare alla battaglia come veri cavalieri.

Perciò, poi che c'è tanto utile e necessaria e sì dilettevole questa carità, che senza essa stiamo in continua amaritudine, e riceviamo la morte, e sono scuperte le nostre vergogne, e nell'ultimo dì del giudicio siamo svergognati da tutto l'universo mondo, e dprima della natura angelica e a tutti i cittadini della vita durabile - dove ha vita senza morte, e luce senza tenebre, dove è la perfetta e la comune carità, participando e gustando lo bene l'uno dell'altro per affetto d'amore -, è da abracciarla questa dolce regina e vestimento nuziale della carità, e con ansietato e dolce desiderio disponarsi alla morte per potere acquistare questa regina; e poi che l'aviamo, volere sostenere ogni pena - da qualunque lato elle vengano - infine alla morte, per poterla conservare e crescere nel giardino dell'anima nostra. Altro modo né altra via non ci vedo, e però ti dissi che io desideravo di vederti facciondata in vera e perfetta carità.

Pregoti per l'amore di Cristo Crocifisso che ti studi, quanto tu puoi, di fare questo fondamento; e non ti bisognarà poi temere di timore servile, né avere paura dei venti contrarii delle molestie del demonio e delle creature, le quali tutti sono venti contrarii che vogliono impedire la nostra salute. Ma perché l'albero posto nella valle non potrà essere offeso da' venti, sia umile e mansueta di cuore. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:32

114. Ad Agnolino di Giovanni d'Agnolin dei Salimbeni.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore, e non schifare i colpi come fa lo vile cavaliere.

Figlio mio dolce, noi siamo posti in questo campo della battaglia e sempre ci conviene combattere; e d'ogni tempo e in ogni luogo noi abbiamo i nemici nostri, i quali assediano la città dell'anima: ciò sono la carne con disordenato diletto sensitivo, lo mondo con l'onore e delizie sue, ed lo demonio con la sua malizia. Lo quale, per impedire lo santo desiderio dell'anima, si pone con molti lacciuoli, o per sé medesimo o col mezzo della creatura, in su la lingua dei servi suoi, facendo dire parole piagentiere e di lusinghe o di minacce o di mormorazioni o di infamie: e questo fa per contristare l'anima e per farla venire a tedio nelle sante e buone opere.

Ma noi, come cavalieri virili, doviamo resistere, e guardare questa città, e serrare le porte dei disordenati sentimenti; e ponere per guardia lo cane della conscienzia sì che, quando lo nemico passa, sentendolo, abbai; e così destarà l'occhio dell'intelletto, e vedrà se egli è amico o nemico, cioè o vizio o virtù, che passi.

A questo cane si conviene dare bere e mangiare: bere se li conviene dare lo sangue, e mangiare lo fuoco, a ciò che si levi da la freddezza della negligenzia: e così diventarà sollecito. A te dico, figlio Agnolino, dàlli mangiare, a questo tuo cane della conscienzia, fuoco d'ardentissima carità, e bere lo sangue dell'Agnello immacolato aperto in croce, lo quale da ogni parte del corpo suo versa sangue. Perché noi abbiamo che darli bere, e facendo così sarà tutto rinvigorito; e sarete vero combattitore.

E tollete lo coltello de l'odio e dell'amore, cioè odio e pentimento del vizio, e amore della virtù; e il nemico della carne nostra, che è lo più pessimo e malvagio nemico che possiamo avere, sia ucciso, e il diletto suo, da questo coltello. E la conscienzia lo faccia vedere all'occhio dell'intelletto, quanto è pericoloso questo nemico del diletto carnale che passa nell'anima, affinché l'uccida. E raguardi la carne fragellata di Cristo Crocifisso, a ciò che si vergogni di tenere in piacere e in diletto disordenato e in delizie lo corpo suo.

E il demonio con le malizie e lacciuoli suoi, i quali egli ha tesi per pigliare l'anime, si sconfigga con la virtù della vera umilità: abbai questo cane della conscienzia, destando l'occhio dell’intelletto, e vegga quanto è pericoloso a credere agl'inganni suoi; e vòllasi a sé medesimo e conosca l'uomo sé non essere, a ciò che non venga a superbia, poiché l'umilità è quella che rompe tutti i lacciuoli del demonio. Bene averebbe da vergognarsi l'uomo d'insuperbire, vedendo sé non essere - e l'essere suo avere da Dio, e non da sé -, e vedere Dio umiliato a lui, poiché per profonda umilità discese la somma altezza a tanta bassezza quanta è la carne nostra.

Questo dolce e inamorato Agnello, Verbo incarnato, ci dà conforto, poiché da lui viene ogni conforto.

Perché egli è venuto come nostro capitano, e con la mano disarmata, confitta e chiavellata in croce, ha sconfitti i nemici nostri; e il sangue è rimaso in su lo campo, per animare noi cavalieri a combattere virilmente e senza alcuno timore. Lo demonio è diventato impotente per lo sangue di questo dolce Agnello, poiché non ci può fare più che Dio permetta; e Dio non permette che ci sia posto maggiore peso che noi possiamo portare. La carne è sconfitta coi fragelli e tormenti di Cristo; e il mondo con l'oprobrio scherni villanie e vituperio; e la ricchezza con la povertà volontaria di Cristo Crocifisso, poiché la somma ricchezza è tanto povaro, che non ha luogo dove posare lo capo suo, stando in su lo legno della santissima croce.

Quando lo nemico de l'onore e stato del mondo vuole intrare dentro, fa', figlio, che gli abbai lo cane della conscienzia tua, e desti la guardia dell'intelletto a ciò che vegga che stabilità o fermezza non ha alcuno onore o stato del mondo. E da qualunque parte elle vengono, non ne trova punto, e voi lo sapete, che l'avete veduto e provato. Poi voglio che voi vediate che lo darsi disordenatamente a queste cose transitorie che passano come lo vento, non ne segue onore, ma vituperio, perché l'uomo si sottomette a cosa meno di sé, e serve a cose finite; ed egli è infinito, poiché l'uomo non finisce mai a essere, perché finisca a grazia per lo peccato mortale. E però se noi vogliamo onore e riposo e sazietà, convienci servire e amare cosa maggiore di noi.

Dio è il nostro redentore, signore e padre, somma ed eterna bontà, degno d'essere amato e servito da noi; e per debito lo doviamo fare, se vogliamo participare la divina grazia. Egli è somma potenza e sazietà: egli è solo colui che sazia ed empie l'anima e fortifica ogni debole, sì che sta in pace e in quiete e in sicurezza, e d'altro non si può saziare. E per questa cagione è che ogni cosa creata è meno che l'uomo. Perciò lo spregiare del mondo è l'onore e la ricchezza dell'uomo, ma gli stolti e matti non cognoscono questo vero onore, ma reputanlo tutto lo contrario.

Ma voi, come vero combattitore, levate voi sopra ai sentimenti vostri sensitivi, e conoscete questa verità; e non vogliate credere ai malvagi e alli iniqui uomini, poiché favella lo demonio per la bocca loro per impedire la vita e salute vostra, e per provocarvi ad ira e a contradire alla volontà di Dio. E però non credete ai consiglieri del demonio, ma credete e rispondete allo Spirito santo che vi chiama. Traete fuore la disciplina dell'ardire, e con virile cuore rispondete a loro, e dicete che voi non sete colui che vogliate ricalcitrare a Dio, ché non potreste. So che v'è detto, e vi sarà, molto male della contessa da' fedeli e dagli altri, perché ella vuole essere serva e sposa di Cristo. Questi iniqui, per impedire liei e voi, vi porranno inanzi lo timore ed i suspetti; e porranno per vituperio e viltà quello che è il maggiore onore che avere potiate: poiché non tanto che sia onore presente, ma l'onore e il ricordo e memoria di voi sarà dinanzi a Dio e nel mondo infine all'ultimo fine, sopra tutti quanti i vostri antecessori.



Stolti e matti a noi, che vogliamo pur ponere l'affetto la sollicitudine e la speranza nel fuoco della paglia! Grande fuoco si mostrò la prima volta che la sposaste; ma subito venne meno, e non ne rimase altro che fummo di dolore. La seconda apparbe la materia del fuoco, ma non venne in effetto; poiché venne lo vento della morte e portollo via. Molto sarebbe semplice ella e voi, poiché lo Spirito santo la chiama, se ella non rispondesse. E ha veduto che lo mondo la rifiuta e cacciala a Cristo Crocifisso. Sono certa per la divina bontà, che voi non sarete quello che per neuno detto vi scordiate da la volontà di Dio; e non sarete corrente né ratto ai detti del mondo. Chiudete chiudete la bocca ai sudditi vostri, che non favellino tanto; e mostrate lo' lo volto. Non dubbito che, se lo cane della conscienzia non dorme, e l'occhio dell'intelletto, che voi il farete; ché in altro modo non sareste combattitore virile, anco mostrareste grandissima viltà contro lo mio desiderio di vedervi virile. E però vi dissi che io desideravo di vedervi vero combattitore posto in questo campo della battaglia, e singolarmente in questa battaglia nuova che ora voi avete per la disposizione della contessa. Lo demonio s'avede della perdita sua, e però vi fa dare tanta molestia alle creature. E però confortatevi e uccidete ogni parere del mondo, e viva in voi Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




115. A madonna Isa, figlia che fu di Giovanni d'Agnolino dei Salimbeni.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sposa ferma e fedele, e che non vi volliate al vento come fa la foglia.

Non voglio che così si volla l'anima vostra, né il santo desiderio, per veruno vento contrario di veruna tribulazione o persecuzione che desse lo mondo o il demonio, ma virilmente, con l'affetto de la virtù e de la perseveranza e con la memoria del sangue di Cristo, le passate tutte; né per detto di nessuna creatura si rimuova questo desiderio: ché giongono coi detti e con gl'iniqui consigli loro. Unde se voi sarete sposa fedele e ferma, fondata sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù, non perdarete lo vigore, e la parola non verrà meno ne la bocca vostra; anco l'acquistarete, poiché non debba diminuire la virtù né l'ardire in colui che desidera e vuole acquistare virtù, ma debba crescere. Ricordomi che secondo lo mondo vi sete fatta temere, e messovi sotto i piedi ogni detto e piacere degli uomini - e questo è fatto solo per lo miserabile mondo -: non debba dunque avere meno vigore la virtù, ma per una lingua ne dovete avere dodici, e rispondere arditamente ai detti del demonio che vuole impedire la salute vostra.

E se terrete silenzio sarete ripresa nell'ultimo dì, e detto sarà a voi: maladetta sia tu che tacesti! E però non aspettate quella dura reprensione. Sono certa che, se vorrete seguire l'Agnello derelitto e consumato in croce, per la via de le pene scherni obbrobrii e villanie, che non terrete silenzio. Voglio dunque che seguitiate lo Sposo vostro Cristo; e con ardito e santo desiderio intrare a combattere in questa nuova battaglia, con perseveranza fino a la morte, dicendo: «Per Cristo Crocifisso ogni cosa potrò, lo quale è in me che mi conforta» (Ph 4,13). Ora, all'entrata, sentite voi la spina, ma poi n'averete lo frutto, e ricevarete gloria de la loda di Dio. Orsù virilmente, con una vera e santa perseveranza, e non dubitate punto.

Del fatto dell'abito mi pare che sia da seguire quello che lo Spirito santo per la bocca vostra dimandò, senza essere indutta da persona; e lassate menare le lingue a modo loro. Questo non vi scemarà la devozione del glorioso padre nostro santo Francesco, anco la crescerà; non di meno voi sete libera, poniamo che fusse più tosto defetto che no a tornare a dietro quello che è cominciato.

Dei fatti de la contessa mi pare, se si potesse fare che ella venisse a la Rocca prima che io venisse, io credo che sarà bene. Poi faremo quello che lo Spirito santo ci farà fare. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.





116. A madonna Pantasilea, donna di Ranuccio da Farnese.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero lume e cognoscimento di voi e di Dio, a ciò che cognosciate la misera fragilità del mondo, poiché l'anima che conosce la miseria sua conosce bene quella del mondo; e chi conosce la bontà di Dio in sé, la quale trova nell'essere suo - cioè conoscendosi creatura ragionevole, creata all'imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26) -, subbitamente, allora che l'anima è venuta a questo santo e vero cognoscimento, ella ama e serve Dio in verità; e ciò che ella ama, retribuisce al suo Creatore, e ogni dono e grazia. E acordasi sempre con la volontà sua; e di ciò che Dio fa e permette a lei è contenta, perché vede che Dio non vuole altro che la sua santificazione.

Questo ci manifesta lo Verbo dolce del figlio di Dio, ché, a ciò che noi fussimo santificati in lui, corse come inamorato all'obrobiosa morte della croce, sostenendo morte con amari tormenti per liberare noi de la morte eterna. Dunque, poiché la morte e lo sangue di Cristo ci manifesta l'amore inestimabile che Dio ci ha, e che non vuole altro che lo nostro bene, doviamo portare con vera pazienza ogni fatica e tribulazione, e per qualunque modo egli ce le concede; e sempre pigliare una santa speranza in lui, pensando che egli provederà in ogni nostro bisogno, e non ci darà più che noi possiamo portare. A misura ce le dà; e se egli cresce fatica, ed egli dà maggiore fortezza, a ciò che noi non veniamo meno.

Convienci dunque portare e averle in reverenzia per Cristo Crocifisso, e perché elle sono cagione e strumento della nostra salute: perciò che la fatica e la tribulazione di questa vita ci fa umiliare e atutare la superbia, e facci levare lo disordinato affetto dal mondo, e ordenare l'amore nostro in Dio; e anco ci fa conformare con Cristo Crocifisso, e sentire de le pene e delli obrobrii suoi. Sì che elle sono di grande necessità a noi, se vogliamo godere nell'eterna visione di Dio: elle ci fanno sentire e destare dal sonno de la negligenzia e ignoranza, perché nel tempo del bisogno ricorriamo a Cristo conoscendo che egli solo ci può aitare.

E per questo modo diventiamo grati del beneficio ricevuto e che riceviamo, e cognosciamo meglio la sua bontà, e la nostra miseria: poiché egli è colui che è (Ex 3,14), e noi siamo coloro che non siamo, e l'essere nostro aviamo da lui. Bene lo vedete manifestamente che tale ora vorremmo la vita che ci conviene avere la morte; la sanità e noi siamo infermi; tenere i figli e le ricchezze e delizie del mondo perché ci dilettano, ed egli ce le conviene lasciare. Questa è la verità, che o elle lassano noi per divina dispensazione, o noi lassiamo loro per lo mezzo della morte, partendoci di questa tenebrosa vita. Sì che vedete che noi non siamo nulla per noi medesimi, se non pieni di peccati e di molta miseria: questo solo è nostro, e ogni altra cosa è di Dio.

Perciò, carissima sorella, aprite l'occhio dell'intelletto, e amate lo vostro Creatore e ciò che egli ama - cioè la virtù, e singularmente la pazienza -, con vera e perfetta umilità, non reputandovi alcuna cosa; ma solo rendere onore e gloria a Dio, possedendo le cose del mondo, e marito e figli e ricchezze e ogni altro diletto, come cosa prestata e non come cosa vostra, poiché, come già detto è, vengono meno, e non le potete tenere né possedere a vostro modo, se non quanto piace alla divina bontà di prestarvele. Facendo così, non vi farete Dio dei figli né di veruna altra cosa - anco amarete ogni cosa per Dio, e fuore di Dio non nulla -, e spregiarete lo peccato, e abbracciarete la virtù.

Levate, levate l'affetto e il desiderio vostro dal mondo, e ponetelo in Cristo Crocifisso, che è fermo e stabile, e che non viene mai meno, né vi può essere tolto se voi non volete. Non dico poiché voi non stiate nel mondo nello stato del matrimonio più che voi vogliate, né che voi non governiate i vostri figli e l'altra fameglia secondo che vi richiede lo stato vostro; ma dico che viviate con ordine, e non senza ordine. E in ciò che voi fate, vi ponete Dio dinanzi agli occhi: e stare nello stato del matrimonio, e andare con timore santo e come a sacramento, e avere in reverenzia i dì comandati della santa Chiesa, quanto egli è possibile a voi.

E i figli, notricarli nelle virtù e nei comandamenti dolci di Dio, poiché non basta alla madre e al padre di notricare solamente lo corpo - ché questo fa l'animale, d'allevare i suoi figli -, ma debba notricare l'anima nella grazia, giusta al suo potere, riprendendoli e gastigandoli nei difetti che commettessero. E sempre vogliate che usino la confessione spesso, e la mattina odano la messa, o almeno i dì comandati dalla Chiesa, e così sarete madre dell'anima e del corpo. Sono certa che se avarete vero cognoscimento di Dio e di voi, come detto è, voi lo farete, poiché senza questo cognoscimento nol potreste fare.

Unde, considerando me che per altra via non potete avere la grazia di Dio, dissi che io desideravo di vedervi con vero lume e cognoscimento di voi e di Dio. Pregovi, per l'amore di Cristo Crocifisso e per vostra utilità, che il facciate: e così adempirete in voi la volontà di Dio e il desiderio mio. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





117. A monna Lapa sua madre e a monna Cecca nel monasterio di santa Agnesa da Montepulciano, quando essa era a la Rocca d'Agnolino predetta.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestite del fuoco de la divina carità sì e per sì-fatto modo che ogni pena e tormento, fame e sete, persecuzioni e ingiurie, scherni strazii e villanie, e ogni cosa, portiate con vera pazienza, imparando da lo dissanguato e consumato Agnello, lo quale con tanto fuoco d'amore corse a la obbrobriosa morte de la croce.

Acompagnate dunque quella dolcissima madre Maria, la quale, affinché i discepoli santi cercassero l'onore di Dio e la salute delle anime seguitando le vestigie del dolce figlio suo, consente che i discepoli si partano da la presenza sua, avenga che sommamente gli amasse; ed ella rimane come sola ospita e perregrina. E i discepoli, che l'amavano smisuratamente, anco con allegrezza si partono, sostenendone ogni pena per onore di Dio; e vanno fra i tiranni, sostenendo le molte persecuzioni. E se voi gli dimandaste: «Perché portate voi così allegramente, e partitevi da Maria?», risponderebbero: «Perché abiamo perduti noi, e siamo inamorati de l'onore di Dio e de la salute delle anime». Così voglio dunque, carissima madre e figlia, che facciate voi. E se per fino ad ora non fuste state, voglio che siate arse nel fuoco de la divina carità, cercando sempre l'onore di Dio e la salute delle anime; altrimenti stareste in grandissima pena e tribulazione, e terrestevi me. Sappiate, carissima madre, che io, miserabile figlia, non sono posta in terra per altro; a questo mi possiede eletta lo mio Creatore: so che sete contenta che io l'obedisca.

Pregovi dunque che, se vi paresse che io stesse più che non piacesse a la vostra volontà, voi stiate contenta, poiché io non posso fare altro.

Credo che se voi sapeste lo caso, voi stessa mi ci mandareste: io sto per ponere remedio a uno grande scandalo, se io potrò. Non è però dei fatti de la contessa, e però ne pregate tutti Dio, e codesta gloriosa Vergine, che ci mandi effetto che sia buono. E tu, Cecca, e Giustina, v'annegate nel sangue di Cristo Crocifisso, poiché ora è il tempo di provare la virtù nell'anima. Dio vi doni la sua dolce ed eterna benedizione a tutte. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







118. A monna Caterina de lo Spedaluccio e a la soprascritta Giovanna di Capo, in Siena.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figlie obedienti, unite in vera e perfetta carità; la qualeobbedienza e amore vi farà smaltire ogni pena e tenebre, perché l'obedienzia tolle quella cosa che ci dà pena, cioè la propria e perversa volontà, che si anniega e uccide ne la santa e veraobbedienza.

Consuma e disolvesi le tenebre per l'affetto de la carità e unione, perché Dio è vera carità (1Jn 4,8-16) e è sommo ed eterno lume (Jn 8,12 Jn 9,5 Jn 12,46): chi ha per sua guida questo vero lume non può errare il camino.

E però, io voglio, carissime figlie, poiché tanto è necessario, che vi studiate di perdere le volontà vostre e d'avere questo lume. Questa è quella dottrina che sempre mi ricorda che v'è stata data, bene che poca n'aviate impresa. Quello che non è fatto vi prego, dolcissime figlie, che il facciate; se voi nol faceste stareste in continua pena, e terrestevi me miserabile che merito ogni pena. A noi conviene fare, per onore di Dio, come fecero gli appostoli santi: poi che ebbero ricevuto lo Spirito santo, si separaro l'uno da l'altro, e da quella dolce madre Maria. Poniamo che sommo diletto lo' fusse lo stare insieme, nondimeno essi abandonano lo diletto proprio, cercano l'onore di Dio e salute de l'anime. E perché Maria gli parta da sé, non tengono, però, che sia diminuito l'amore, né che siano privati de l'affetto di Maria. Questa è la regola che ci conviene pigliare a noi.

Grande consolazione so che v'è la mia presenza; nondimeno, come vere obedienti, dovete voi e la consolazione propria, per onore di Dio e salute de l'anime, non cercare; e non dare luogo al demonio, che vi fa vedere d'essere private de l'affetto e de l'amore che io ho a l'anime e ai corpi vostri. Se altrimenti fusse, non sarebbe fondato in Dio. E io vi fo certe di questo, ch'io non v'amo altro che per Dio. E perché pigliate pena tanto disordinata de le cose che si vogliono fare per necessità? Oh come faremo, quando ci converrà fare i gran fatti, quando nei picoli veniamo così meno? Egli ci converrà stare insieme e separati secondo ch'i tempi ci verranno.

Testé vuole e permette lo nostro dolce Salvatore che noi siamo separate per suo onore. Voi sete in Siena, e Cecca e la nonna sono a Montepulciano; frate Bartolomeo e frate Mateio vi saranno e sonvi stati. Alessa e monna Bruna sonno a Monte Giovi, di lunga da Montepulciano xviij miglia; e son con la contessa e con madonna Isa. Frate Raimondo e frate Tomaso e monna Tomma e Lisa e io, siamo a la Rocca fra mascalzoni; e mangiansi tanti demoni incarnati che frate Tomaso dice che gli duole lo stomaco, e con tutto questo non si può saziare. E più appetiscono; e trovanci lavorio per un buon prezzo. Pregate la divina bontà che lo' dia di grossi e dolci e amari bocconi. Pensate che l'onore di Dio e la salute de l'anime si vede molto dolcemente. Voi non dovete altro volere né desiderare: facendo questo, non potete fare cosa che più piaccia a la somma ed eterna volontà di Dio, e a la mia.

Orsù, figlie mie, cominciate a fare sacrificio de le volontà vostre a Dio, e non vogliate sempre stare a latte, ché ci conviene disponere i denti del desiderio ad amorsare lo pane duro e muffato, se bisognasse.

Altro non dico. Legatevi nel legame dolce de la carità: a questo mostrarete che voi siate figlie; e in altro no. Confortatevi in Cristo dolce Gesù, e confortate tutte l'altre figlie etc. Noi tornaremo più tosto che si potrà secondo che piacerà a la divina bontà.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.





119. A monna Alessa vestita dell'abito di santo Domenico, quando era a la Rocca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti seguire la dottrina de lo immacolato Agnello col cuore libero e spogliato d'ogni creatura, vestita solo del Creatore, col lume della santissima fede, poiché senza lo lume non potresti andare per la via dritta dello dissanguato e immacolato Agnello.

E però desidera l'anima mia di vedere te e l'altre schiette e virili; e che non vi volliate mai per neuno vento che vi venisse. Guarda che tu non volti mai lo capo a dietro; ma sempre va' inanzi, tenendo a mente la dottrina che t'è stata data. E ogni dì di nuovo fa' che entri nell'orto dell'anima tua, col lume de la fede, a trarne ogni spina che potesse affogare lo seme de la dottrina (Mt 13,7 Mc 4,7 Lc 8,7) data a te, e a rivoltare la terra: cioè che ogni dì spogli lo cuore di nuovo.

Questo è di necessità, di spogliarlo continuamente, poiché spesse volte ho veduto di quelli che è paruto che sieno stati spogliati, che io li ho trovati vestiti per pruova più che per parole: con la parola parrebbe lo contrario, ma l'opera dimostra l'affetto. Voglio dunque che tu in verità spogli lo cuore seguitando Cristo Crocifisso; e fa' che lo silenzio stia ne la bocca tua. Sommi aveduta che poco credo che l'altra l'abbi tenuto: di questo molto m'incresce, se egli è così come mi pare. Vuole lo mio Creatore che io porti, e io sono contenta di portare; ma non sono contenta dell'offesa di Dio.

Scrivestimi che pareva che Dio ti costrignesse nella orazione a pregarlo per me: grazia sia a la divina bontà che tanto amore ineffabile dimostra a la miserabile anima mia. Dicesti che io ti scrivesse se io avevo pene, e se io avevo de le mie infermità usate in questo tempo; a che ti rispondo che Dio ha proveduto ammirabilmente dentro e di fuore: nel corpo ha proveduto molto in questo Avvento, facendo spassare le pene con lo scrivere. è vero che, per la bontà di Dio, elle sono più agravate che elle non solevano. E se egli l'ha più agravate, ha proveduto che Lisa è guarita, subito che frate Santi infermò: che è stato in su la estremità de la morte. Ora quasi miracolosamente è tanto migliorato, che si può dire guarito.

Ma i pare che lo sposo mio della verità eterna abbi voluto fare una dolcissima e reale pruova dentro e di fuore, di quelle che si veggono e di quelle che non si veggono - che sono molto più, innumerabilmente, che quelle che si veggono -; ma egli ha tanto dolcemente proveduto, insieme con la pruova, che la lingua non sarebbe sufficiente a narrarlo. Unde io voglio che le pene mi siano cibo, le lacrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6), e il sudore uno unguento.

Le pene voglio che m'ingrassino, le pene mi guariscano; le pene mi diano lume, le pene mi diano sapienza; le pene mi rivestano la mia nudità, le pene mi spoglino d'ogni proprio amore, spirituale e temporale.

La pena de la privazione de le consolazioni d'ogni creatura m'aricchisca ne la prova de le virtù, in conoscere la imperfezione mia e il perfettissimo lume de la dolce Verità, proveditore e accettatore dei santi desiderii e non de le creature: quelli che non ha ritratto adietro la sua bontà verso di me per la mia ingratitudine, né per lo poco lume e cognoscimento mio; ma solamente ha raguardato a sé, che è sommamente buono.

Pregoti per l'amore di Gesù Cristo Crocifisso, dilettissima figlia mia, che non allenti l'orazione - anco la radoppia, poiché io n'ho maggiore bisogno che tu non vedi -; e che tu ringrazii la bontà di Dio per me. E pregalo che mi dia grazia che io dia la vita per lui, e che mi tolga, se gli piace, lo peso del corpo mio (perché la vita mia è di poca utilità altrui, ma più tosto è penosa, e gravezza a ogni persona da lunga e da presso per li peccati miei). Dio per la sua pietà mi tolga tanti defetti, e questo poco del tempo che io ho a vivere mi faccia vivere spasimata per amore de la virtù; e con pena offeri dolorosi e penosi desiderii dinanzi a lui per la salute di tutto quanto lo mondo, e per la reformazione de la santa Chiesa. Gode, gode in croce con con me, sì che la croce sia uno letto dove si riposi l'anima, una mensa dove si gusti lo cibo e il frutto de la pazienza con pace e con quiete.

Mandastimi dicendo etc. De la quale cosa fui consolata, sì per la vita sua, sperando che ella si corregga, menandola con meno vanità di cuore che fino a ora non ha fatto; e sì per li fanciulli, che erano condotti al lume del santo baptesmo. Dio lo' dia la sua dolcissima grazia; e lo' dia la morte, se non debbono essere buoni. Benedì loro, e conforta lei in Cristo dolce Gesù; e dille che ella viva col santo e dolce timore di Dio e che ella riconosca da Dio la grazia che ella ha ricevuta, che non è stata piccola, ma bene grande. E se ella ne fusse ingrata, dispiacerebbe molto a Dio; e forse che non la lassarebbe impunita. Racomandaci etc.

Di costoro novella nessuna non ho avuta; la cagione non so. Sia fatta la volontà di Dio.

Lo nostro salvatore mi possiede posta in su l'Isola, e da ogni parte i venti percuotono. Ognuno goda in Cristo Crocifisso, di longa l'uno dall'altro, serrati ne la casa del cognoscimento di noi. Altro non dico

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:34

120. A monna Rabe di Francesco di Tato Tolomei.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vivere morta a la propria sensualità; poiché in altro modo non potereste participare la vita de la grazia.

Dunque voglio che con grandissimo affetto e desiderio v'ingegniate di levare da la fragilità del mondo, ché non è cosa convenevole che noi, che siamo fatti per gustare l'abitazione del cielo e notricarsi del cibo de le virtù, che noi gustiamo la terra e notrichianci del proprio amore sensitivo, unde procedono tutti i vizii.

Ma dovianci levare e salire a l'altezza de le virtù, aprendo l'occhio dell’intelletto, e raguardare in sul legno de la croce, dove noi troviamo l'Agnello immacolato, albero di vita, che del corpo suo ha fatto scala.

Lo primo scalone che ci ha insegnato a salire sì sonno i piei, cioè l'affetto: ché come i piei portano lo corpo, così l'affetto porta l'anima. Essendo saliti lo primo, cioè coi piei confitti e chiavellati in croce, trovarete l'affetto spogliato del disordinato amore; giungendo al secondo, cioè al costato aperto di Cristo crocifisso, e vederete lo secreto del cuore: con quanto amore inefabile v'ha fatto bagno del sangue suo. Nel primo si leva e si spoglia l'affetto, nel secondo gusta l'amore che trova nel cuore aperto di Cristo.

Vedendo lo terzo scalone, e giungendo cioè a la bocca del Figlio di Dio, notricasi ne la pace. Ché, poi che l'anima è vestita d'amore di Cristo crocifisso, e spogliata del perverso amore sensitivo che gli dà guerra, ha trovata la pazienza e ogni amaritudine gli pare dolce; anco si diletta ne le persecuzioni e tribolazioni del mondo, da qualunque lato Dio le concede, perché ha trovata la pace de la bocca. La persona che dà la pace si unisce con colui a cui ella dà: così l'anima, vestita de le virtù, con affetto d'amore gusta Dio, e unisce la bocca del santo desiderio nel desiderio di Dio, e in esso desiderio di Dio si unisce con pace e quiete. Sì che vedete che Cristo crocifisso ha fatta scala del corpo suo, affinché noi saliamo a l'altezza del cielo de la vita durabile, dove ha vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio e fame senza pena: ché, come dice santo Augustino, di lunga è il fastidio da la sazietà, e di lunga è la pena da la fame, perché i cittadini che sonno a vita eterna, di quello che hanno fame e desiderio sonno saziati nella eterna visione di Dio.

Bene è ignorante e miserabile quella anima che per suo difetto perde tanto bene, e fassi degna di molto male. Levatevi su, dunque, figlia carissima, e non aspettate quello tempo che voi non avete; ma con grande affetto d'amore vi levate da la perversità de l'amore sensitivo vostro - il quale vi tolle il lume de la ragione, e favvi amare lo mondo i figli senza modo -, ché in altro modo non potereste giognere al fine per mezzo del quale sete creata. E però dissi ch'io desideravo di vedervi vivere morta a la propria volontà e al proprio amore, perché mi pare che ci sete pure assai viva.

E a questo me n'aviddi, a la lettera che voi scriveste, che il cieco amore vi faceva uscire fuore del modo ordenato secondo Dio. Mandaste dicendo che Francesca stava molto male: per la quale cosa volevate che frate Mateio ne venisse, rimossa ogni cagione, e se non ne venisse, che rimanesse con la vostra maladizione; e non potendo fare altro, tollesse uno contadino a sua compagnia. Dicovi che la mattezza e stoltizia vostra voi non la potete negare: lassiamo stare che non fusse secondo Dio, ma, secondo quello poco del senno che ci porge la natura, se l'aveste avuto non l'avareste fatto. Se avevate o avete desiderio, o è per bisogno per contentare la vostra figlia, che frate Mateio ne venga, aveste mandati una coppia di frati, che l'uno ne fusse venuto con lui e l'altro rimaso; ché voi sapete bene che né l'uno né l'altro può venire né rimanere solo, ma voi favellate come persona passionata che avete piene l'orecchie di mormorazioni.

Tutto questo v'adiviene perché non avete levata la faccia da la terra, né salito lo primo scalone dei piei; che se l'aveste salito, desiderareste solo che il vostro figlio cercasse l'onore di Dio e la salute de l'anime.

Con questo desiderio voi e l'altre e gli altri vi turareste l'orecchie e vi mozzareste la lingua, per non udire le parole che vi sonno dette, o per non dirle. Or non più così: bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e levatevi da la conversazione dei morti, e conversate coi vivi con le vere e reali virtù. Altro non vi dico.

Confortate Francesca etc.

Rimanete etc. Gesù etc.





121. AI signori Defensori da Siena, essendo ella a Santo Antimo.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi signori in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri signori e con cuore virile, cioè che signoreggiate la propria sensualità con vera e reale virtù, seguitando lo vostro Creatore; altrimenti non potreste tenere giustamente la signoria temporale, la quale Dio v'ha concessa per sua grazia.

Conviensi dunque che l'uomo che ha a signoreggiare altrui e governare, signoreggi e governi in prima sé.

Come potrebbe lo cieco vedere e guidare altrui? (Lc 6,39) Come potrà lo morto sotterrare lo morto, lo infermo governare lo infermo, e il povero sovvenire al povero? Non potrebbe. Veramente, signori carissimi, che chi è cieco e ha offuscato l'occhio dell'intelletto suo per lo peccato mortale non conosce né sé né Dio: male potrà dunque vedere o correggere lo defetto del suddito suo; e se pure lo corregge, lo corregge con quelle tenebre e con quella imperfezione che egli ha in sé. E spesse volte, per lo poco cognoscimento, ho veduto e vedo punire i defetti colà dove non sono, e non punire quelli che sono iniqui e gattivi e che meritarebbero mille morti.

Lo poco lume non lassa discernere la verità, e pone la calunnia colà dove ella non è, e genera lo sospetto in coloro dei quali egli si può sicurare e fidare - cioè dei servi di Dio, i quali gli parturiscono con lacrime e con sudori e con la continua e santa orazione, mettendosi ad ogni pericolo e pena e tormento per onore di Dio e salute loro e di tutto quanto lo mondo -, e fidandosi di coloro che sono radicati nell'amore proprio di loro medesimi, i quali per ogni vento si vollono. E tutto questo procede dal poco lume e tenebroso peccato: èvi bisogno dunque d'avere lo lume.

Dico che lo morto non può sotterrare lo morto, cioè che colui che è morto a grazia non ha né ardire né vigore di sotterrare lo morto del defetto del prossimo suo, perché si sente in quella medesima morte che è egli, e però nol vuole né sa correggere; vedesi in quella medesima infermità e non se ne cura, e non si cura del suddito suo perché egli lo vegga infermo. E anco è tanta la gravezza de la infermità del peccato mortale che non vi pone remedio, se prima non cura sé medesimo. E issofatto che egli sta in peccato mortale è venuto in povertà - perduta la ricchezza de le vere e reali virtù non seguitando le vestigie di Cristo Crocifisso -: e però non può sovvenire al povero, privato, come dissi, de la ricchezza de la divina grazia. Per le tenebre dunque ha perduto lo lume, unde non vede lo defetto colà dove egli è: e però fanno le ingiustizie, e non le giustizie. Per la infermità perde lo vigore del santo e vero desiderio in desiderare l'onore di Dio e la salute del suo prossimo; e cresce sempre questa infermità se egli non ricorre al medico, Cristo Crocifisso, vomicando lo fracidume per la bocca, usando la santa confessione. Se egli lo fa riceve la vita e la sanità; ma se egli nol fa subito riceve la morte, e allora lo morto non può sepellire lo morto, come detto è. E che maggiore povertà si può avere, che esser privato del lume de la sanità e de la vita? Non so che peggio si possa avere: questi cotali dunque non sono buoni né atti a governare altrui, poiché non governano loro. Convienvi dunque avere le predette cose; e però dissi che io desideravo di vedervi veri signori.

Ma considerando me che l'essere vero signore non si può avere, se non signoreggiasse sé medesimo - cioè signoreggiando la propria sensualità con la ragione -, però vi dico in quanti inconvenienti vengono coloro che si lassano signoreggiare a la miseria loro e non si signoreggiano, e affinché vi guardiate di non cadere voi in questo.

Vogliate vogliate aprire l'occhio dell'intelletto, e non essere tanto acecati col disordinato timore. Vogliate credere e fidarvi dei veri servi di Dio, e non degl'iniqui servi del demonio che per coprire le iniquitadi loro vi fanno vedere quello che non è. Non vogliate ponere i servi di Dio contro di voi, ché tutte l'altre cose pare che Dio sostenga più che la ingiuria gli scandali e le infamie che sono poste ai suoi servi. Facendo a loro, fate a Cristo: troppo sarebbe dunque grande ruina a farlo. Non vogliate, carissimi fratelli e signori, sostenere che né voi né altri lo faccia, ma tagliate la lingua del mormoratore - cioè riprendere e non dare fede a colui che mormora -: così facendo usarete l'atto de la virtù, e levarannosi via molti scandali.

Ma i pare che i peccati nostri non meritino ancora tanto, e tutto lo contrario pare che si faccia: cioè che i gattivi sono uditi, e i buoni sono spregiati. Unde io ho inteso che per l'arciprete di Montalcino o per altri v'è messo sospetti, e questo fa per ricoprire la sua iniquità verso missere l'abbate di santo Antimo, lo quale è così grande e perfetto vero servo di Dio, quanto già grandissimo tempo fusse in queste parti: che se aveste punto di lume, non tanto che di lui aveste sospetto, ma voi l'avereste in debita reverenzia. Pregovi per l'amore di Cristo Crocifisso che vi piaccia di non impacciarlo, ma sovenirlo e aitarlo in quello che bisogna. Tutto dì vi lagnate che i preti e gli altri cherici non sono corretti; e ora, trovando coloro che gli vogliono correggere, gl'impedite, e lagnatevi.

Del mio venire io qua con la mia famiglia anco v'è fatto richiamo e messo sospetto, secondo che m'è detto; non so però se egli è vero. Ma se voi costaste tanto a voi, quanto voi costate a me e a loro, in voi e in tutti gli altri cittadini non caderebbero le cogitazioni e le passioni tanto di leggiero; e turrestevi l'orecchie per non udire. Cercato ho io e gli altri, e cerco continuamente, la salute vostra dell'anima e del corpo, non mirando a veruna fatica, offerendo a Dio dolci e amorosi desiderii con abondanzia di lacrime e di sospiri, per riparare che i divini giudicii non vengano sopra di noi i quali meritiamo per le nostre iniquitadi. Io non sono di tanta virtù che io sappia fare altro che imperfezione; ma gli altri che sono perfetti e che attendono solo all'onore di Dio e a la salute delle anime, sono coloro che il fanno.

Ma non si lassarà però, per la ingratitudine e per l'ignoranzie dei miei cittadini, che non s'adoperi fino a la morte per la salute vostra. Impararemo da quello dolce inamorato di Paulo, che dice: «Lo mondo ci bastemmia, e noi benediciamo; egli ci perseguita e ci caccia, e noi pazientemente portiamo» (1Co 4,12); e così faremo noi, e seguitaremo la regola sua. La verità sarà quella che ci libererà (Jn 8,32). Io v'amo più che voi non v'amate voi, e amo lo stato pacifico e la conservazione vostra come voi, sì che non crediate che né per me né per veruno degli altri della mia famiglia si faccia lo contrario. Noi siamo posti a seminare la parola di Dio e ricogliere lo frutto delle anime. Ognuno die essere sollicito dell'arte sua: l'arte che Dio ci ha posta è questa, conviencela dunque essercitare e non sotterrare lo talento, poiché saremmo degni di grande reprensione (Mt 25,24-30); ma in ogni tempo e in ogni luogo adoperare, e in ogni creatura. Dio non è accettatore dei luoghi né de le creature (Rm 2,11), ma dei santi e veri desiderii, sì che con questo ci conviene adoperare.

Vedo che il demonio si duole de la perdita che in questa venuta egli ha fatta e farà per la grazia e bontà di Dio. Per altro non venni se non per mangiare e gustare anime, e tollerle de le mani de le demonia: la vita voglio lasciare per questo, se n'avessi mille; e per questa cagione andarò e starò secondo che lo Spirito santo farà fare. Diravi Petro a bocca la principale cagione per la quale io venni e sto qua. Altro non dico.

Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, se volete la vita; in altro modo caderemmo ne la morte eternale.



Non vi incresca a leggere e a udire, ma portate pazientemente poiché il dolore e l'amore che io ho mi fa abondare in parole: amore, dico, de la vostra salute, e dolore de la nostra ignoranza. Voglia Dio che per divino giudicio non ci sia tolto lo lume di non conoscere la verità. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







122. A Salvi di sere Pietro orafo in Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero servo fedele a Cristo Crocifisso, e che giamai non volliate la faccia adietro né per prosperità né per aversità, ma virilmente e con viva fede, ché in altro modo sapete che la fede senza l'opera è morta (Jc 2,26).

Questa è l'opera de la fede: che noi concepiamo in noi le virtù per affetto d'amore, e parturiscansi i frutti con vera pazienza, col mezzo del prossimo nostro, portando e sopportando i defetti l'uno dell'altro.

Non bastarebbe, a noi e a la nostra salute, avere ricevuta la forma de la fede con la divina grazia quando riceviamo lo santo baptesmo: basta bene al fanciullo parvolo ché, morendo ne la puerizia sua, riceve vita eterna solo col mezzo del sangue dell'Agnello; ma poi che siamo venuti ad età perfetta, avendo solamente lo santo baptesmo non ci bastarebbe se noi non essercitassimo lo lume de la fede con amore.

A noi adiviene come all'occhio del corpo, ché, perché l'uomo abbia l'occhio - e sia puro e sano per potere vedere -, e egli non l'apre col libero arbitrio che egli ha a poterlo aprire, e con amore de la luce, può dire che, avendo l'occhio, non abbia l'occhio. L'occhio ha per la bontà del Creatore; e non ha la virtù dell'occhio per defetto de la propria volontà che non l'apre: può dunque dire che sia morto, e non fa frutto. Così, carissimo figlio, Dio, per la sua infinita bontà, ci ha dato l'occhio dell'intelletto - lo quale occhio empie dandoci lo lume de la fede nel santo baptesmo -, e con esso lo libero arbìtro, tollendo lo legame del peccato originale. Ora richiede Dio, poi che siamo venuti a età compita d'avere cognoscimento, che questo occhio che egli ci ha dato s'apra col libero arbìtro e con amore de la luce.

Poi che l'anima vede in sé occhio dper potere vedere, debbalo aprire al suo Creatore: e che lume si debba ponare, a vedere in Dio? Solo l'amore, poiché veruna cosa si può adoperare senza amore, né spirituale né temporale: ché se io voglio amare cose sensitive, subito l'occhio si pone ine per dilettarvisi dentro. E se l'uomo vuole servire e amare Dio, l'occhio dell'intelletto s'apre, ponendoselo per obiettivo; e con l'amore trae l'amore: cioè, vedendo che Dio sommamente l'ama, non può fare che egli non renda l'amore, e che egli non l'ami. Perde allora l'amore sensitivo e concepe un amore vero, vedendosi creato a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), e recreato a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio. Questo occhio ha trovato lo lume, e avendo trovato lo lume è fatto amatore d'esso lume: e però non resta mai di cercare di fuggire e odiare quella cosa che gli tolle lo lume, e amare e desiderare quello che glili dà. Allora si leva con la fede viva, e concepe i figli de le virtù, con desiderio di vestirsi de la somma e eterna volontà di Dio; perché l'occhio e il lume de la fede ha mostrato all'affetto suo la volontà di Dio, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione.

Chi ce la manifesta bene chiara? Lo Verbo del Figlio suo, che è venuto nel carro de la nostra umanità pieno di fuoco d'amore, manifestandoci col sangue suo la volontà del Padre per adempirla in noi: ché quella volontà dolce, con la quale egli ci creò, ci creò per darci vita eterna; avendola perduta per lo peccato nostro, non si adempiva, e però ci manda lo Figlio per farcela chiara e manifesta, dandolo a la obbrobriosa morte de la croce. E ciò che egli dà e permette a noi, dà solo per questo fine, cioè perché partecipiamo la somma e eterna bellezza sua. L'anima prudente, che ha aperto l'occhio suo nel lume, come detto è, col lume de la fede, subito piglia uno santo giudicio, giudicando la santa volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene, e non la volontà degli uomini.

Sai che n'esce di questo lume? Una acqua pacifica, chiara e senza veruna macula, e non conturbata da l'aversità per impazienzia; né per molestie di demonio, né per ingiurie, né per persecuzioni, né per mormorazioni d'uomini già mai si muove, ma sta ferma, poiché già ha veduto che Dio lo permette per suo bene, e per dargli lo fine suo per mezzo del quale fu creato. Questa è la via, e nessuna altra ce n'è: con molte spine e triboli ci conviene passare, seguitando Cristo crocifisso, poiché egli è la via, e così disse egli, che egli era via verità e vita (Jn 14,6). Bene segue la verità colui che tiene per questa via, poiché s'adempie in lui la volontà del Padre eterno, conducendoci al fine per mezzo del quale fummo creati. Se altra via ci fusse stata, averebbe detto che neuno andasse al Padre se non per lo Padre, ma egli non disse così, poiché nel Padre non cadde pena, ma sì nel Figlio; e a noi conviene passare per la via de la pena: Perciò ci conviene seguire Cristo crocifisso.

Dico ancora che nol turba la prosperità del mondo per disordinato affetto e desiderio, anco la mette sotto sé, spregiandola con pentimento, vedendo col lume de la fede che queste cose sono transitorie, che passano come lo vento, e che tòllono la via e il lume de la grazia a colui che l'appetisce e possiede con disordinato affetto. Costui parturisce i figli vivi con fede viva ne l'onore di Dio e salute del prossimo, poiché nel prossimo si pruova l'amore che noi aviamo a Dio: ché del nostro amore utilità a lui non possiamo fare, ma vuole che la facciamo nel mezzo - che egli ci ha posto - del prossimo nostro, portando e soportando i defetti loro, e portandoli dinanzi a Dio per compassione, e con pazienza portando le ingiurie che essi ci fanno; e debita reverenzia usare ai servi suoi. Ogni altro modo che noi avessimo in noi, diciamo che ella è fede morta e senza opera (Jc 2,26).

Non dico poiché la sensualità non senta molte contradizioni, ma quello contradire non gli priva della perfezione, anco glil'aiuta a dare, poiché conosce più lo defetto suo e conosce la bontà di Dio, che gli conserva la volontà che non consente né va dietro ai sentimenti sensitivi per diletto, ma con odio e pentimento di sé gli corregge. Così di quello sentimento ne trae la virtù de l'umiltà per cognoscimento di sé, e la virtù de la carità per cognoscimento de la bontà di Dio in sé. Io, considerando che ella è di tanta eccellenza e di sì grande necessità che senza essa non possiamo avere vita di grazia, desidero di vedervi fondato nel lume de la viva fede; e però dissi che io desideravo di vedervi servo fedele e non infedele a Cristo Crocifisso. E però vi prego che vi leviate con vera e perfetta sollicitudine, destandovi dal sonno de la negligenzia e aprendo l'occhio dell'intelletto nell'amore che Dio v'ha, affinché adempiate la volontà sua e il desiderio mio in voi. Non dico più qui.

Rispondovi, carissimo figlio, a la lettera che mi mandaste - la quale io viddi con singulare allegrezza -, dove io viddi che si conteneva una particella di quello che Dio manifestò a una serva sua: che quelli che si chiamano figli erano scandalizzati per illusione de le demonia che stavano dintorno a loro per trarne lo seme che lo Spirito santo aveva seminato in loro; e eglino, come imprudenti e non fondati sopra la viva pietra, non facevano resistenza, ma come sentivano lo scandalo in loro così lo seminavano in altrui, colorato con colore di virtù e d'amore.

Ora vi dichiaro se volontà è di Dio che io stia: e dico che avendo io grandissimo desiderio di tornare per timore di non offendere Dio nel mio stare, per tante mormorazioni e suspetti quanti di me è preso e del padre mio frate Raimondo, fu dichiarato da quella Verità che non può mentire a quella medesima serva sua, dicendo: «Persevera di mangiare a la mensa a la quale io v'ho posti: io v'ho posti a la mensa de la croce a prendere con vostra pena e molte mormorazioni, e a gustare e a cercare l'onore di me e la salute delle anime. L'anime che in questo luogo io ti ho messe ne le mani - perché elle escano de le mani de le demonia e pacifichinsi con con me e col prossimo loro - non le lasciare fino che è compito quello che è cominciato, ché, per impedire tanto bene, lo demonio semina tanto male. Poi vi tornate, e non temete: che io sarò colui che sarò per voi». L'anima mia per lo detto di questa serva di Dio rimase pacificata.



Ingegnomi d'adoperare quello bene - per onore di Dio e salute delle anime e bene de la nostra città - che io posso, poniamo che negligentemente io lo faccia. Godo che io seguiti le vestigie del mio Creatore, e che per bene fare io riceva male: per far-lo' onore facciano a me vergogna, per dar-lo' vita vogliano dare a me la morte; ma la loro morte è a noi vita, e la loro vergogna è a noi onore, poiché la vergogna è di colui che commette la colpa; dove non è colpa non è vergogna né timore di pena. Io mi confido "in Domino nostro Jesu Christo", e non negli uomini. Io farò così: essi daranno a me infamie e persecuzioni, e io darò a loro lacrime e continua orazione, quanto Dio mi darà la grazia. E voglia lo demonio o no, io m'ingegnarò d'essercitare la vita mia nell'onore di Dio e salute delle anime per tutto quanto lo mondo, e singularmente per la mia città.

Grande vergogna si fanno i cittadini da Siena, di credere o imaginare che noi stiamo per fare i trattati ne le terre dei Salimbeni, o in veruno luogo del mondo: temono dei servi di Dio, ma non temono degl'iniqui uomini. Ma essi profetano, e non se n'avegono: hanno la profezia di Cayphas, che profetò che uno morisse per lo popolo, affinché non perisse (Jn 11,50). Egli non sapeva quello che si diceva, ma lo Spirito santo lo sapeva bene, che profetava per la bocca sua. Così i miei cittadini credono che per me o per la compagnia che io ho con con me, si facciano trattati: eglino dicono la verità, ma non la cognoscono, e profetano, ché altro non voglio io fare né voglio che faccia chi è con con me, se non che si tratti di sconfiggiare lo demonio e togliergli la signoria che egli ha presa dell’uomo per lo peccato mortale; e trargli l'odio del cuore, e pacificarlo con Cristo crocifisso e col prossimo suo. Questi sono i trattati che noi andiamo facendo, e che io voglio che si faccia per chiunque sarà con con me.

Dogliomi de la negligenzia nostra, che nol facciamo se non tiepidamente; e però ti prego, figlio mio dolce, e a tutti quanti gli altri lo di', che ne preghino che io sia bene sollicita a fare questo e ogni santa opera per onore di Dio e salute delle anime. Non dico più, ché molto averei che dire. Non è cognosciuto lo discepolo di Cristo per dire: Signore, Signore! (Mt 7,21) ma in seguire le vestigie sue.

Conforta Francesco in Gesù Cristo. Frate Raimondo, poverello calunniato, ti si racomanda che preghi Dio per lui che sia buono e paziente.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:36

123. AI signori Defensori da Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori temporali in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomini virili e non timorosi governatori de la città propria e de la città prestata, considerando me che il timore servile impedisce e avilisce lo cuore - e non lassa vivere né adoperare come uomo ragionevole, ma come animale senza veruna ragione -, poiché lo timore servile esce e procede da l'amore proprio di sé.

E quanto egli è pericoloso l'amore proprio di sé, noi lo veggiamo in signori e in sudditi, in religiosi e in secolari, e in ogni maniera di gente, poiché non attendono ad altro che a loro medesimi. Unde se egli è suddito secolare, mai non obedisce né osserva quello che gli è imposto per lo suo signore; e se egli è signore, mai non fa giustizia ragionevolmente, ma con appetito sensitivo commette molte ingiustizie: chi per propria utilità e chi per piacere agli uomini - giudicando secondo la volontà altrui e non secondo la verità -, o veramente che egli teme di dispiacere, lo quale dispiacere gli torrebbe la signoria: unde d'ogni cosa piglia timore e suspetto con molta cecità, poiché il piglia colà dove non debba e nol piglia colà dove debba.

O amore proprio e timore servile, tu aciechi l'occhio dell'intelletto e non gli lassi conoscere la verità; tu tolli la vita de la grazia, la signoria de la città propria e quella de la città prestata; tu fai incomportabile l'uomo a se medesimo, perché sempre desidera quello che non può avere, e quello che possiede, possiede con pena, poiché ha timore di non perdarlo: unde non avendo e temendo, sempre ha pena perché la volontà sua non è adempita, unde drittamente in questa vita gustall’inferno.

O cecità d'amore proprio e timore disordinato, tu giogni a tanta cecità che non tanto che tu condanni la comune gente e gli iniqui uomini - i quali giustamente si potrebbero condennare, e temere de le falsitadi loro -, ma tu lassi lo timore de lo iniquo e condanni lo giusto, recandosi a di petto i poverelli servi di Dio, i quali cercano l'onore di Dio e la salute delle anime e la pace e la quiete de le cittadi; non restando mai i dolci desiderii, e la continua orazione, lacrime e sudori, d'offrire dinanzi a la divina bontà. Come dunque ti può patire, amore proprio e timore servile, di temere e giudicare coloro che si dispongono a la morte per la tua salute, e per conservare e crescere in pace e in quiete lo stato tuo? Ma veramente, carissimi fratelli, questo è quello perverso timore e amore che uccise Cristo, poiché temendo Pilato di non perdere la signoria acecò e non cognobbe la verità, e per questo uccise Cristo. E non di meno gli venne in capo quello di che temeva, poiché poi, al tempo che piacque a Dio - non che gli piacesse lo defetto suo -, egli perdette l'anima e il corpo e la signoria. Unde a me pare che tutto lo mondo sia pieno di questi Pilati, i quali per lo timore cieco non si curano di perseguitare i servi di Dio gittando-lo' pietre di parole d'infamia e di persecuzioni. E tanta è la cecità loro che non mirano né come né a cui; ma, come la bestia, si lassano guidare a la propria sensualità, ponendo quelli colori e quella legge a loro, che si pone agli uomini che non attendono ad altro che al mondo.

Unde veramente io vi dico così: che ogni volta che questo giudicio toccasse a noi - cioè di condennare e calunniare le opere atti e costumi e conversazioni dei servi di Dio -, oimé, oimé, noi abiamo bisogno di temere lo divino giudicio che non venga sopra di noi, poiché Dio reputa fatto a sé quello che è fatto ai suoi servi: non sarebbe dunque altro se non chiamare l'ira di Dio sopra di noi. Noi abbiamo bisogno, carissimi fratelli e signori, d'acostarci a Dio col santo timore suo, e ai servi suoi non levando-lo' le carni con le molte mormorazioni e disordinati suspetti; ma lassargli stare e andare come perregrini, secondo che lo Spirito santo gli guida, cercando e adoperando l'onore di Dio e la salute delle anime - traendole de le mani de le demonia - e il bene e la pace e la quiete vostra.

Non sia veruno tanto ignorante che si voglia ponere a regolare lo Spirito santo nei servi suoi. Unde a me pare che Cristo fusse più paziente ne la ingiuria sua che in quella del suo apostolo santo Tommaso, poiché la sua non volse vendicare, ma benignamente rispose a colui che gli dié la gotata, dicendo: «Se io ho male detto, raporta che io ho detto male; ma se io ho detto bene, perché mi batti? » (Jn 18,23). A Tommaso non fece così, anco, essendo percosso ne la faccia stando a mensa, prima che se ne levasse ne fece la vendetta facendolo strangolare a uno animale, e poi gli staccò la mano che l'aveva percosso, e portolla in su la mensa dinanzi a santo Tommaso. Unde tutte l'altre cose ci saranno più tosto sostenute che queste, ché se sono tanti i nostri peccati che noi ci cadiamo, l'ultima cosa sarebbe per la quale potremmo aspettare grandissima ruina.

Tutta questa cecità procede da l'amore proprio e timore servile, e però vi dissi che io desideravo di vedervi uomini virili e non timorosi; ma bene desidera l'anima mia di vedervi fondati nel santo e vero timore di Dio, lo quale timore nutre un amore divino nell'anima. Egli è quello timore santo che si pone Dio dinanzi all'occhio suo; e inanzi sceglie la morte che offendere Dio o il prossimo suo, o, che volesse fare una ingiustizia o una giustizia, che non la rivolga e vegga bene da ogni lato prima che la faccia. Di questo santo timore avete bisogno, e così possedarete la città propria e la città prestata; e non sarà demonio né creatura che ve la possa togliere.

La città propria è la città dell'anima nostra, la quale si possiede col santo timore fondato ne la carità fraterna, pace e unità con Dio e col prossimo suo, con vere e reali virtù. Ma non la possiede colui che vive in odio e in rancore e in discordia, pieno d'amore proprio; e la vita sua mena lascivamente con tanta immondizia che da lui al porco non ha nulla. Costui non signoreggia la sua città, ma esso è signoreggiato da' vizi e da' peccati; e ha tanto avilito sé medesimo che si lassa signoreggiare a quella cosa che non è, e perde la dignità sua de la grazia. E spregia lo sangue di Cristo, lo quale fu quello prezzo pagato per noi che ci fa manifesto la divina misericordia e la somma eterna verità, amore ineffabile, lo quale amore ci creò e ricomprò di sangue e non d'argento (1P 18-19), e manifestocci la grandezza dell'anima nostra e la gentilezza sua. Unde bene è cieco colui che non vede tanto fuoco d'amore, e tanta sua miseria a la quale si conduce giacendo ne le tenebre del peccato mortale; e non possedendo sé, come detto è, male possederà la cosa prestata, se in prima non governa e signoreggia sé medesimo.

Signoria prestata sono le signorie de le cittadi o altre signorie temporali le quali sono prestate a voi e agli altri uomini del mondo, le quali sono prestate a tempo, secondo che piace a la divina bontà, o secondo i modi e i costumi dei paesi: unde o per morte o per vita elle trapassano, sì che, per qualunque modo egli è, veramente elle sono prestate. Colui che signoreggia sé la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato, come cosa prestata e non come cosa sua; guardarà la prestanza de la signoria che gli è data con timore e reverenzia di colui che glil dié. Da solo Dio l'avete avuta, sì che quando la cosa prestata c'è richiesta dal Signore, ella si possa rendere senza pericolo di morte eternale. Or con uno vero e santo timore voglio che voi possediate; e dicovi che altro remedio non hanno gli uomini del mondo a volere conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente - poiché per altro non vengono meno se non per gli peccati e defetti nostri -; e però levate via la colpa e sarà tolto via lo timore, e averete cuore vigoroso e non timoroso, e non averete paura dell'ombra vostra. Non dico più.

Perdonate a la mia presunzione: l'amore che io ho a voi e a tutti gli altri cittadini, e il dolore che io ho dei modi e costumi vostri - poco ordinati secondo Dio -, me ne scusi dinanzi a lui e a voi. HO voglia di piangere sopra la cecità nostra, poiché privati pare che siamo del lume: Dio per la sua infinita bontà e misericordia vi tolla ogni tenebre d'ignoranza, e allumini l'occhio dell'intelletto vostro a conoscere e discernere la verità; e così non potrete errare. Altro non dico qui, bene che molto averei da dire.

Rispondovi, carissimi fratelli e signori, a la lettera che ho ricevuta da Tommaso di Guelfuccio per vostra parte. Ringraziovi de la carità che io veggio che avete ai vostri cittadini, cercando la pace e la quiete loro, e verso di me miserabile, non degna che voi desideriate la venuta mia, né che voi richiediate me che io sia mezzo a questa pace, perché sono insufficiente a questo e a ogni altra minima cosa. Non di meno la sufficienzia lassarò adoperare a Dio, e io chinarò lo capo - secondo che lo Spirito santo mi concederà - all’obbedienza vostra, d'andare e stare come sarà di vostro piacere, ponendo sempre la volontà di Dio inanzi a quella degli uomini (Ac 5,29), poiché sono certa che voi non vorreste - avendo punto di cognoscimento - che io trapassasse la volontà di Dio per fare quella degli uomini. Unde io non vedo che testé a questi dì io possa venire, per alcuna cosa necessario che io ho a fare per lo monasterio di santa Agnesa; e per essere coi nipoti di missere Spinello per la pace dei figli di Lorenzo, la quale sapete che, già è buono tempo, voi la cominciaste a trattare e non si trasse mai a fine. Unde io non vorrei che per mia negligenzia e per lo subito partire ella rimanesse, poiché temerei d'esserne ripresa da Dio; ma spacciarommi lo più tosto che io potrò, secondo che Dio mi darà la grazia.

E voi e gli altri abbiate pazienza; e non vi lassate empire la mente e il cuore di molti pensieri e cogitazioni, le quali tutte procedono dal demonio, che il fa per impedire l'onore di Dio e la salute delle anime, e la pace e quiete vostra. Increscemi dell'affanno e de la fatica che i miei cittadini hanno nel pensare e menare la lingua verso di me, ché non pare che eglino abbiano a fare altro che tagliarmi le legna in capo, a me e a la compagnia che io ho con con me. Di me hanno ragione, poiché sono defettuosa; ma non di loro. Ma noi col sostenere vinciaremo, poiché la pazienza non è mai vinta, ma sempre vence e rimane donna. Increscemi che i colpi caggiono in capo di colui che gli gitta, poiché spesse volte gli rimane la colpa e la pena. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





124. Al soprascritto misser Matteio rettore della Casa della Misericordia di Siena.

A nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.

Lo quale sangue inebria l'anima sì e per sì-fatto modo che al tutto perde sé medesimo: di sé non vuole che rimanga veruna particella, fuore del sangue, cioè né tempo né luogo, né consolazione né tribolazione, né ingiurie né scherni né infamie né villanie, né veruna altra cosa, da qualunque lato ella viene; né per sé né per altrui non le vuole scegliere a suo modo, né con veruno suo parere, ma al tutto si sottopone alla volontà di Dio, la quale trova nel sangue di Cristo. Perché il sangue manifesta la dolce sua voluntà, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione, e ciò che dà e permette è dato a noi per questo fine; per amore è dato, affinché siamo santificati in lui. Così s'adempie la sua verità.

La sua verità è questa: che ci creò per gloria e loda del nome suo, e perché noi partecipassimo della sua beatitudine e la sua inestimabile carità, la quale perfettamente si gusta e riceve nella visione di Dio. Or questo ha cognosciuto l'anima, e veduto con l'occhio dell'intelletto la voluntà del Padre eterno nel sangue del Figlio; e questa è la ragione che l'anima annegata nel sangue - alluminata della dolce voluntà di Dio la quale ha trovata nel sangue - non ha mai pena, e non va a suo modo, né sé né altrui vuole mandare secondo i suoi pareri. E però non ha pena di chi non vi va, perché gli ha al tutto perduti. Ma a che attende di fare? Quel medesimo che trova nel sangue. Che trova nel sangue? L'onore del Padre eterno e la salute delle anime, perché questo Verbo non attese mai ad altro: posesi in sulla mensa della croce a mangiare lo cibo delle anime, non schifando pene.

Perciò noi, membri, gittiamo a terra noi: nutrichianci del sangue dello dissanguato e consumato Agnello.

Faccendolo aviamo la vita, e gustiamo la caparra di vita eterna: aviamo lume e perdiamo le tenebre, nel lume perdiamo ogni scandalo e mormorazione, ché non giudichiamo né con colore di male né con colore di bene. Ma come noi siamo annegati, e perduti noi nel sangue, così anneghiamo e perdiamo altrui, tenendo di fermo che lo Spirito santo gli guidi.

è il contrario di coloro che s'hanno serbato alcuna cosa, e non sono al tutto perduti: spesse volte stanno in grandi pene, faccendosi giudici dei costumi e dei modi dei servi di Dio. Vengono a scandalo e a mormorazione, e fanno mormorare, spesse volte, participando con altrui le pene e pareri loro; i quali pareri si debbono smaltire nel sangue, o con la propria persona di cui lo' pare, senza mettere mezzo di diverse creature. Se fusse illuminato e annegato nel sangue lo farebbe, ma perché non v'è anco in quella grande perfezione della voluntà annegata che si richiede nel servo di Dio - poniamo che sia al tutto perduta nel mondo -, rimangli dei pareri spirituali; e però nol fa, trovasi ignorante, e per l'ignoranza viene in molti difetti e inconvenienti.

Perciò corriamo, carissimo e dolcissimo figlio; gittianci tutti nel glorioso e prezioso sangue di Cristo, e non ne rimanga punto di fuore di noi. E con debita reverenzia e pazienza portare ogni fatica, ingiurie e mormorazioni e ogni altra cosa; i servi di Dio con amore e reverenzia consigliando, e non mormorando né affermando veruno nostro parere in loro. E per questo modo saremo materia e istrumento di togliere le mormorazioni, e non di darle. Or così facciamo, e non si facci altro che nel sangue. Non vedo che altrui si possa fare; e però dissi ch'io desideravo di vedervi inebriato del sangue di Cristo crocifisso, perché pare che sia necessario e di necessità.

Così voglio che noi facciamo; e spezialmente vi prego e costringo che ne preghiate la prima Verità per me, che n'ho bisogno, che mi v'anneghi e mi v'affoghi per sì-fatto modo ch'io riceva lume perfetto a conoscere e vedere le pecorelle mie, le perdute e l'acquistate, sì che io me le ponga in sulla spalla (Lc 15,5), e ritorni all'ovile con esse. Grande ignoranza della pecorella a non conoscere lo pastore suo alla voce! (Jn 10,4) Tanto tempo avete udita la voce del pastore che quasi ne dovareste essere maestri; ed i pare che facciate lo contrario, andando dietro alle voci vostre, belando e non sapendo quello che voi vi diciate. Andate dietro al giudizio i consigli umani; pare che tutti abbiate perduti lo lume della fede, come se il pastore che v'ha data la voce (Jn 10,3), e vuole dare la vita per la salute vostra (Jn 10,11), vi chiamasse con altra voce, cioè con quella dell’uomo e non con la divina e dolce volontà di Dio; della quale non si può scordare l'anima, per veruno detto di creature né per ignoranza delle pecorelle, che non la compia in sé e in altrui. Così fece lo dolcissimo Gesù, che non lassò per lo scandalo e mormorazione dei Giudei, né per ingratitudine nostra, che non compiesse l'onore del Padre e la salute nostra; così debba fare cui Dio ha posto che seguiti questo Agnello: non vòllare lo capo adietro (Lc 9,62) per veruna cosa che sia.

E se le 'nferme pecorelle, che debbono essere sane, mormorano come inferme, non debba però lo pastore lasciare coloro che stanno a fine di morte, vedendo di poter lo' dare la vita; coloro che son tutti ciechi, per coloro che hanno male negli occhi.

Non dovete fare così, ma imparare da' discepoli santi, che chi andava e chi rimaneva, secondo che vedevano più l'onore di Dio. Doviamo credere che chi rimaneva e chi andava suscitavano infinite mormorazione; e chi andava non lassava però d'adoperare l'onore di Dio, e chi rimaneva non si scordava però dalla pazienza e dal lume della fede, e non perdeva la memoria del ritenere e ricordare della voce del suo pastore. Anco si fortificavano con allegrezza, perché quanto è maggiore lo scandolo, tanto è più perfetta l'opera che si fa.

Perciò siate pecorelle vere, e non temete dell'ombre vostre; né crediate che io lassi le novanta e nove (Mt 18,12 Lc 15,4) per l'una. Io vi dico cotanto, che delle novanta e nove (...) - per ognuna delle novanta e nove io n'ho novanta e nove, le quali ora non si veggono se non dalla divina bontà che il sa, carità incarnata, lo quale per occulto frutto fa portare la fatica dell'andare, la gravezza della infirmità, lo peso degli scandali e mormorazioni: di tutto sia gloria e loda al nome di Dio. Sì che l'andare e lo stare non s'è fatto se non secondo la sua volontà, e non secondo quella degli uomini.

La gravezza del corpo che io ho avuta e ho, e principalmente la volontà di Dio, mi possiede tenuta ch'io non sono tornata. Lo più tosto che si potrà e lo Spirito santo cel permette, tornaremo. Godete dello stare e de l'andare; e tutte le vostre cogitazioni si riposino qui su, tenendo che ogni cosa fa e farà la divina Providenzia; se non che io sono colei che guasto ciò che Egli fa e aduopera, per la moltitudine delle iniquità mie: e così fa danno a voi e a tutto quanto lo mondo. Pregovi quanto io so e posso che preghiate Dio che mi dia lume perfetto, sì che io vadi morta per la via della verità. Altro non vi dico. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. E a tutti ci raccomandate, e singularmente al baccelliere, e a frate Antonio etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







125. A monna Nera priora de le mantellate di santo Domenico, quando essa Caterina era a la Rocca d'Agnolino.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fare come fa lo buono pastore, lo quale pone la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11).

Così dovete fare voi, carissima madre, cioè attendere all'onore di Dio e a la salute de le pecorelle che egli v'ha messe ne le mani; e non con negligenzia, poiché ne sareste ripresa da Dio, ma con buona sollicitudine, perdendo ogni amore proprio e parere de le creature. Sapete, carissima madre, che colui che ama sé sensualmente, se egli è prelato mai non corregge, poiché sempre teme; e se egli corregge, corregge secondo lo parere de le creature, e spesse volte non secondo verità, o tale volta secondo lo suo parere proprio, perché non ci piaceranno molte volte i costumi loro. Non si die fare così, poiché molte sono le vie e i modi che Dio tiene coi servi suoi (basta a noi che noi gli vediamo che vogliono seguire Cristo crocifisso), unde sarebbe più tosto ingiustizia che giustizia, poiché non si debbono correggere secondo i nostri pareri, ma secondo i defetti che noi troviamo; e dolcemente levare l'affetto nostro a l'onore di Dio, e aprire l'occhio dell'intelletto sopra i sudditi, e ad ognuno dare secondo che ha bisogno. Unde altro modo si die tenere con le meno perfette e altro con le più perfette; e sapere conscendere ai bisogni loro - sempre tenendo fermo il correggere i defetti, quando voi gli vedete -, e non lasciare, per veruna cosa che sia, che non si correggano. Spero ne la infinita e inestimabile carità di Dio che voi lo farete.

Aprite l'occhio dell'intelletto, e raguardate l'affetto dell'Agnello immacolato confitto e chiavellato in croce, e trovarete che questo vero maestro ha posta la vita per le pecorelle sue, e con quanto amore e carità ha conversato, portando e sopportando noi miserabili, sempre attendendo a l'onore del Padre e a la salute nostra. E nol ritrasse d'adoperare la nostra salute né ingratitudine nostra, né la mormorazione degli uomini, né la malizia de le demonia: questo inamorato Agnello non lassa però, anco compie l'onore del Padre e la salute nostra perfettamente. Così spero, per la sua bontà, che farete voi dolcissima madre, e non lassarete per la ingratitudine di noi miserabili figlie e di tutto lo nostro collegio, né per mormorazioni o detto de le creature, né per la malizia del demonio che si pone in su le lingue loro a dire quello che non debbono, per impedire l'onore di Dio e la salute delle anime. Adoperate dunque ciò che si può, e trapassate tutte queste cose senza veruno timore. L’intelletto e l'affetto vostro non si parta mai da la verità, poiché altro non desiderate di volere, se non che Dio sia onorato, e le figlie vostre siano specchio di virtù.

Allora Dio adempirà lo desiderio vostro, e sarete consolata e di loro e di voi medesima, poiché quando altri adopera una virtù, sempre n'ha gaudio e consolazione. Or così dunque fate, per l'amore di Gesù Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





126. A monna Alessa e a monna Cecca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costanti e perseveranti ne le virtù per sì-fatto modo che mai non volliate lo capo indietro a mirare l'arato (Lc 9,62), lo quale mirare s'intende in due modi.

L'uno è quando la persona è escita del fracidume del mondo, e poi vòlle lo capo col diletto de la propria volontà, ponendo l'occhio dell'intelletto sopra di loro. Costui non va innanzi; anco torna adietro verso lo bomico, mangiando quello che prima aveva bomicato. E però disse Cristo che neuno si debba vòllere indietro a mirare l'arato; cioè non vollersi a le prime delizie, né a raguardare alcuna opera fatta per sé medesimo; ma riconoscerla da la divina bontà. Sì che deve andare inanzi con la perseveranza de le virtù, e debba non vollersi indietro, ma dentro nel cognoscimento di sé medesimo, dove trova la larghezza de la bontà di Dio. Lo quale cognoscimento spoglia l'anima del proprio amore, e vestela d'odio santo e d'un amore divino, cercando solo Cristo Crocifisso e non le creature, né le cose create, né sé medesimo sensitivamente, ma solo Cristo Crocifisso, amando e desiderando gli obrobii suoi. Se questo è essercitato - e dibarbicata la radice dell'amore proprio - va inanzi, e non vòlle lo capo indietro. Ma se al tutto non fusse dibarbicata spiritualmente e temporalmente, cadarebbe nel secondo vòllere del capo.

E sai quando si vòlle questa seconda volta? Non a le delizie del mondo, ma quando l'anima avesse cominciato a mettere mano ad arare la grande perfezione, la quale perfezione principalmente sta in tutto annegare e uccidere la volontà sua; e più ne le cose spirituali che ne le temporali (poiché le temporali già l'ha gittate da sé, ma abbisi cura da le spirituali). In questa perfezione ama in verità lo Creatore suo, e le creature per lui, più e meno secondo la misura con che essi amano. Dico che, se la radice non è al tutto divelta dell'amore proprio di sé, che vollarà la seconda volta lo capo indietro e offendarà la sua perfezione: ch'egli l'offende amando la creatura senza modo e non con modo (lo quale amore senza modo e senza misura si debba dare solamente a Dio, ma la creatura amarla con modo e con la misura del suo Creatore); o egli si vòlle ad allentare l'amore verso la creatura, la quale esso ama di singolare amore. Lo quale allentare, non essendovi la cagione de la colpa verso la cosa amata, non può essere che non allenti quello di Dio; ma movendosi per mormorazioni e scandali, o per dilongamento de la presenza di cui egli ama, o per mancamento di propria consolazione, non è senza difetto. Questi cotali vollono lo capo indietro allentando la carità del prossimo suo: non è questa la via, ma la perseveranza. E però dissi che io desideravo di vedervi costanti e perseveranti ne le virtù, considerando me che eravate andate tra' lupi de le molte mormorazioni; e perché pare che non sia veruno che sia sì forte che non v'indebilisca.

Io ho veduto quelli del quale io pensavo che egli avesse fatti sì-fatti ripari contro a ogni vento che neuno lo potesse nuocere infine a la morte: non credevo che punto voltasse la faccia, e non tanto la faccia, ma la miratura dell'occhio. Veramente questo è segno che la radice non è divelta, poiché, se ella fusse divelta, faremmo quello che debbono fare i veri servi di Dio, i quali né per spine né per triboli né per mormorazione né per consigli de le creature né per minacce né per timore dei parenti si vollono mai indietro; ma in verità seguitaremmo Cristo Crocifisso in carcere ed in morte, e seguitaremmo le vestigie sue, non senza lo giogo de la santa e veraobbedienza dell'ordine. Di questo non dico, poiché se egli volesse, io non vorrei; ma di fuori da questo, me ne doglio non per me, ma per l'offesa che è fatta a la perfezione dell'anima; però ché verso me fanno bene, perché mi dà egli e gli altri materia di conoscere la mia ignoranza e ingratitudine di non avere cognosciuto, né conosca, lo tempo mio e le grazie ricevute dal mio Creatore: sì che a me fanno aumentare la virtù.

Ma non ho voluto tacere, perché la madre è obligata di dicere ai figli quello che l'è bisogno. Parturito è stato egli, e gli altri, con molte lacrime e sudori; e parturirò infine a la morte, secondo che Dio mi darà la grazia in questo tempo dolce de la solitudine data a me e a questa povera famegliola da la prima dolce Verità. E pare che di nuovo voglia che io fornisca la navicella dell'anima mia, ricevendo solo la satisfazione dal mio Creatore, con l'essercizio di cercare e conoscere la dolce verità, con continue mugghia e orazioni nel cospetto di Dio per salute di tutto quanto lo mondo. Dio ci dia grazia, a voi e a me e a ogni persona, di farlo con grande sollicitudine.

Racomandateci a Teopento che preghi Dio per noi, ora che egli ha lo tempo de la cella, poiché siamo pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita, e posti a gustare lo latte e le spine di Cristo Crocifisso; e diteli che legga questa lettera. Chi ha orecchie, sì oda; e chi ha occhi, sì vegga; e chi ha piei, sì vada, non vollendo lo capo indietro, anco vada inanzi, seguitando Cristo Crocifisso, e con le mani aduoperi sante e vere e buone opere, fondate in Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 15:43

127. A frate Bartolomeo Dominici e a frate Tommaso d'Antonio, de l'ordine dei Predicatori, quando erano a Pisa.

Al nome di Cristo crocifisso.

A voi, dilettissimi e carissimi padri, per riverenzia di quello dolcissimo sagramento, e carissimi fratelli in quello abbondantissimo e dolcissimo sangue, lo vostro carissimo padre e fratelli vi mandano cento migliaia di salute, confortando e benedicendo in quella ardentissima carità che tenne legato e chiavellato Cristo in su la croce.

O fuoco, o abisso di carità! tu sei fuoco che sempre ardi e non consumi (Ex 3,2), tu sei pieno di letizia, di gaudio e di soavità: lo cuore ch'è vulnerato di questa saetta, ogni amaritudine li pare dolce, ogni grande peso diventa leggiero. O carità dolce, che ingrassi e pasci l'anima nostra! Perché dicemmo che ardeva e non consumava, ora dico che egli arde e consuma, distrugge e dissolve ogni difetto e ogni ignoranza e ogni negligenzia che fusse nell'anima, in poiché la carità non è oziosa, anzi aduopera grandi cose.

Io Caterina, serva inutile, spasimo di desiderio, rivollendomi per le interiora dell'anima mia, di dolore e di pianto, vedendo e gustando la nostra ignoranza e negligenzia, e non donare amore a Dio, poi che tante grazie dona a noi con tanto amore. Perciò, carissimi fratelli, non siate ingrati né irriconoscenti, ché agevolmente si potrebbe seccare la fonte de la pietà in noi. O negligenti negligenti, destatevi da questo perverso sonno, andiamo e riceviamo lo re nostro che viene a noi umile e mansueto (Mt 21,5). O superbi noi, ecco lo maestro della umilità che viene e siede sopra l'asina! Però disse lo nostro Salvatore che una de le cagioni, infra l'altre, per la quale egli venisse sopra essa, si fu per dimostrare a noi la nostra umanità in quello che ella era venuta per lo peccato, a dimostrare che ci conviene tenere con questa asina de la nostra umanità. Drittamente senza veruna differenza, non ci ha tra noi e la bestia nulla: la ragione per lo peccato diventa animale.

O verità antica, che ci hai insegnato lo modo! Io voglio che tu salghi sopra questa asina, e possega te medesimo, umile e mansueto. Con che piei vi saliamo, dolcissimo amore? con l'odio de la negligenzia e con l'amore de la virtù. Or non diciamo più, ché troppe cose avremmo a dire - non posso più! -: ma facciamo così, figli e fratelli miei: lo canale è aperto e versa, sì che vedendo che noi aviamo bisogno di fornire la navicella dell'anima nostra, andiamo a fornirla ine, a quello dolcissimo canale, cioè lo cuore e l'anima e il corpo di Gesù Cristo. Ine trovaremo versare con tanto affetto che agevolemente potaremo empire l'anime nostre, e però vi dico: non indugiate a mettare l'occhio ne la finestra aperta, ch'io vi dico che quella somma bontà ci ha apparecchiati i modi e tempi da fare i grandi fatti per lui. E però vi dissi che fuste solleciti di cresciare lo santo desiderio, e non state contenti a le piccole cose, poiché egli le vuole grandi.

E per tanto io vi dico: lo papa mandò di qua lo suo vicario, e ciò fu lo padre spirituale di quella contessa che morì a Roma, ed è colui che renunziò lo vescovado per l'amore de la virtù: venne a me da parte del padre santo, ch'io dovesse fare speziale orazione per lui e per la santa Chiesa, e per segno mi recò la santa indulgenzia. "Gaudete et exultate", ché il padre santo ha cominciato ad eccitare l'occhio verso l'onore di Dio e de la santa Chiesa. Costà venrà uno giovane che vi darà questa lettara; dateli, di ciò ched egli vi dice, fede, in poichéd egli ha uno santo desiderio d'andare al Sepolcro, e però egli ne va ora al santo padre per la licenzia, per lui e per alquante persone, relegiosi e secolari. Io ho scritta una lettara al padre santo, e mandolo pregando che, per amore di quello dolcissimo sangue, egli ci desse licenzia, affinché noi dessimo le corpora nostre ad ogni tormento. Pregate quella somma eterna verità che, se egli è lo meglio, che ci faccia questa misericordia a noi e a voi: tutti di bella brigata diamo la vita per lui. Sono certa che, se sarà lo meglio, che la farà dare. Altro non dico.

Alessa vi si racomanda cento migliaia di volte, con desiderio di ritrovarvi e di rivedervi con quella ardentissima carità; maravigliasi molto che non ci avete mai scritto. Dio ci conduca in quello luogo due noi ci vedremo a faccia a faccia con lo Dio nostro. Alessa negligente si volrebbe volentieri invòllare in questa lettara per potere venire a voi. Monna Giovanna vi manda mille volte benedicendo che aviate memoria dinanzi da Dio. Gesù, Gesù, Gesù, Gesù.

Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, cento migliaia di volte vi conforto e benedico. Caterina Marta vi si racomanda che preghiate Dio per lei. Racomandateci a frate Tommasso e al vostro priore e a tutti gli altri.







128. A Gabriello di Davino dei Picogliuomini.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti costante e perseverante nella virtù per sì-fatto modo che mai non volla lo capo adietro, poiché in altro modo non potresti essere piacevole a Dio né ricevaresti lo frutto del sangue de l'umile e immacolato Agnello, poiché solo la perseveranza è quella che è coronata.

Perciò c'è di necessità la perseveranza, e se tu mi dicessi, carissimo figlio: «In che modo posso avere questa constanzia e perseveranza, con-ciò-sia-cosa-che io abbi molti contrarii e molti nemici atorno: lo mondo e le creature, con molte persecuzioni ingiurie e mormorazioni, e la propria mia sensualità che spesse volte combatte e ribella contro a la ragione?», rispondoti che in neuno modo si può sconfiggere i nemici se non con l'arme e senza timore; e che volontariamente entri alla battaglia, e dispongasi alla morte, e che egli ami la gloria che segue doppo la battaglia. In questo modo noi, che siamo posti nel campo a combattere contro i nostri nemici, cioè contro lo mondo, la carne ed lo demonio, senza l'arme non potremmo combattere, né ricevere i colpi che non ci offendessero.

Che arme è quella che ci conviene avere? Dicotelo: convienci avere la corazza della vera carità, la quale ripara ai colpi che ci dà lo mondo in diversi modi, e alle molte tentazioni del demonio, e ai colpi della nostra fragilità, che combatte contro lo spirito, come detto è. E conviensi che la corazza abbi la sopravesta vermiglia, cioè lo sangue di Cristo Crocifisso, unito intriso e impastato col fuoco de la divina carità. E questo sangue si conviene che sia scuperto, cioè che tu lo confessi dinanzi a ogni creatura, e nol nascondi, confessandolo per buone e sante opere, e con la parola, quando egli bisogna; sì che tu non facci come molti matti che si vergognano dinanzi al mondo di ricordare Cristo Crocifisso, e di confessarsi loro essere servi di Cristo.

Questi cotali non si vogliono mettere la sopravesta, oh confusione del mondo!, ché si vergognano di ricordare Cristo e il sangue suo, del quale sono ricomprati con tanto fuoco d'amore; e non si vergognano delle loro iniquità, che con tanta miseria si privano del frutto del sangue, e hanno tolta la bellezza dell'anima loro, e perduta la dignità; e sono fatti animali bruti, e fatti servi e schiavi del peccato. E non se n'aveggono, poiché essi hanno perduto lo lume de la ragione, e vanno come ciechi e frenetici, ataccandosi a le cose del mondo, che non si possono tenere a nostro modo perché corrono come lo vento. Poiché o elle vengono meno a noi, o noi a loro, cioè quando noi siamo richiesti dal sommo giudice, separandoci l'anima dal corpo. E se essi non si correggono o nella vita o nel punto della morte (bene che neuno debba essere tanto ignorante che pigli indugio, poiché egli non sa in che modo né in che stato si muore, né quando), non correggendosi sono privati del bene della terra e di quello del cielo, e giongono all'eterna dannazione.

Non voglio dunque, figlio, poiché stanno in tanto pericolo, che tu sia di questi cotali; ma armato nel modo detto, costante e perseverante ne la battaglia infine alla morte, e senza alcuno timore. E convienti avere lo coltello in mano con che tu ti difenda, e sia di due tagli, cioè d'odio e d'amore - amore della virtù e odio del vizio - e con questo percotarai il mondo, odiando gli stati delizie pompe e vanità sue e infiata superbia. E percotarai i persecutori con la vera pazienza che tu acquistarai da l'amore della virtù. E percotarai lo demonio, poiché la carità è sola quella che il percuote; e fugge da l'anima come la mosca da la pignatta che bolle. E percotarai la sensualità e fragilità tua con l'odio, lo quale odio traesti dal cognoscimento santo di te, e con l'amore del tuo Creatore, lo quale amore acquistasti per lo cognoscimento di Dio in te; e per questo amore intrasti ne la battaglia.

E debbiti ponere dinanzi all'occhio dell'intelletto tuo Cristo Crocifisso, gloriandoti negli obrobii e fatiche sue. In lui vederai la gloria che è apparecchiata a te e a chiunque lo servirà, ne la quale gloria trovarai e ricevarai lo frutto d'ogni fatica portata per gloria e loda del nome suo. Or questo è lo modo, carissimo figlio, da venire a perfetta virtù, e a vincere la fragilità, e a perseverare infine alla morte. Senza la perseveranza l'arbolo nostro non produciarebbe lo frutto, e però ti dissi che io desideravo di vederti costante e perseverante, a ciò che mai non vollessi lo capo adietro. Altro non ti dico.

Ho fatto menzione dell'arme, a ciò che tu sia proveduto quando si levarà lo gonfalone della santissima croce; unde io voglio che tu sappi che arme ti conviene avere. E però fa' sì che tu la procacci ora fra i cristiani; e cominciala sì ad usare, che ella non sia rugginosa quando andarai sopra gl'infedeli.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







129. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo che per noi fu crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi anegato e affogato nel fuoco dell'ardentissima carità di Dio, spogliato del vostro perverso vestimento, e vestito e ricuperto del fuoco de lo Spirito santo.

Lo quale vestimento è di tanta fortezza e durezza che non amolla mai; e il cuore che n'è vestito non diventa mai femminile, anco è atto e forte a ricevare grandissimi colpi de le molte persecuzioni del mondo e del demonio e dal corpo proprio: non gli passano dentro poiché il vestimento de la carità fa resistenza, poiché l'amore ogni cosa porta (1Co 12,7), cioè esso Spirito santo. Egli è quello lume che caccia ogni tenebre; egli è quella mano che sostiene tutto il mondo.

Così mi ricordo che poco è che egli diceva: «Io sono colui che sostengo e mantengo tutto il mondo; Io sono quel mezzo che unii la natura divina con l'umana; Io sono quella mano forte che tengo lo gonfalone de la croce, e di questo ho fatto letto: tenuto confitto e chiavellato Dio e Uomo». Egli era di tanta fortezza che, se lo vincolo de la carità, fuoco di Spirito santo, non l'avesse tenuto, i chiodi non erano sofficienti a tenerlo.

O amore dolce, inestimabile diletta carità, sei ministratore e servidore de le vilissime creature: qual cuore si difendarà che non si spogli del vestimento dell'uomo vecchio, dell'amore proprio di sé medesimo, e non corra, a tanto calore, a vestirsi dell'uomo nuovo? (Ep 4,22-24) Certo i cuori tiepidi e freddi e negligenti se ne difendono, e tutto questo nasce da la perversa radice dell'amore proprio: però vi dissi che io desideravo che fuste anegato e vestito di quella fortezza e plenitudine de lo Spirito santo, ché l'anima ch'ha levato l'affetto suo sopra di sé, e percossolo nel consumato desiderio di Dio, non cade in questo defetto, ma ènne privato.

Perciò io vi prego, figlio in Cristo Gesù: poi che dice che è vestimento forte che riceve ogni colpo, portiamo virilmente. O amore! lo Verbo s'è dato in cibo, lo Padre è letto dove l'anima si riposa. Amore amore! non ci manca nulla: vestimento di fuoco contro lo freddo, cibo contro al morire di fame, letto contro a la stanchezza. Siate siate inamorato di Dio, dilatando l'anima e la conscienzia vostra in lui, e non vogliate pigliare la stremità, poiché ella è cagione di tagliare le braccia del santo desiderio; e non ci bisogna pigliare tanta stremità, ché noi vediamo tanta larghezza che, essendo noi pellegrini, questa Parola incarnata ci ha acompagnati ne la pellegrinazione, e datocisi in cibo per farci corrire virilmente. Ed è si dolce compagno all'anima che il segue che egli è colui che, giungendo al termine de la morte, ci riposa nel letto, mare pacifico de la divina essenzia, dove riceviamo l'eterna visione di Dio. Questo parbe che volesse dire la dolce bocca de la Verità in sul legno de la santissima croce, quando disse: "In manus tuas, Domine, comendo spiritum meum" (Lc 23,46).

O Gesù dolce, tu sei nel Padre, ma non noi, ché, come membri putridi, per lo peccato eravamo privati de la grazia; sì che fu detta per noi, che, per la stretta compagnia che fece con l'uomo - che diventò una cosa con lui - reputava suo quel ch'era nostro. O fuoco d'amore! non voglio dire più, ché io non mi ristarei fino a la morte, se non che io vi vegga segato per mezzo.

Ricevetti la vostra lettara, e intesi ciò che diceva del dubbio che avete: ratto, per la grazia di Dio, lo dichiararemo insieme. Sono certa che la divina providenzia non vi farà stare senza frutto, non tollendolo con la vostra conscienzia, ma largo e in perfetta umilità: così voglio e prego teneramente, come figlio, facciate, e io, come misera miserabile madre, v'offerrò e tenrò dinanzi al Padre eterno Dio. E se mai fui affamata dell'anima vostra, singularmente sono al dì d'oggi: in questa Pasqua ve ne sete potuto avedere, e ogni dì è questa Pasqua: non potete stare senza me che continuamente per santo desiderio non sia dinanzi da voi.

Dell'andare a Roma, credo che Dio per sua grazia vi ci mandarà, però ch'io vedo la volontà di frate Tommasso inchinata a ciò. Lo nostro Cristo in terra ne viene tosto, secondo che io intendo, per la quale cosa io vi prego e constrengo che ne veniate più tosto che potete.

Mandastemi a dire ch'era morto misser Nicolaio e monna Lippa: ònne avuta grande letizia, pensando che ogni cosa è fatta con providenzia di Dio. Sappiate se monna Lippa avesse lassato per testamento nulla; se ne poteste avere nulla per Santa Agnesa, ingegnatevene, ché hanno grande bisogno. Ho scritto a monna Bilia e a Magdalena. Lo vescovo non mi rispose mai; però vi prego che v'andiate e constregniate di fare quello che io gli scrissi, e diavelo a voi, quella quantità che può, sforzando lo potere, ché è di grandissima necessità, e così dite a Nicolò Soderini; e il più tosto che potete recate ciò che vi danno. Dite a Lisabetta e a Cristofana e a tutte l'altre che si confortino in Cristo Gesù cento migliaia di volte, e che corrano virilmente dietro a lo Sposo dolce Cristo Gesù. Pregatela che mi perdoni, che io dimenticai la manna la quale io le promissi. Dite a Nicolino de li Strozzi che cresca di virtù in virtù, ché chi non cresce, torna adietro. Confortatelo molto molto da mia parte.

Sappiate che il dì che Dio sposò l'umana generazione coi la carne sua, fummo di nuovo lavati nel sangue e sposati con la carne. Anegatevi e affogatevi nel fuoco del santo desiderio. Rimanete ne la santa carità di Dio.

Alessa e Caterina e io Cecca pazza vi ci mandiamo molto racomandando. Gesù, Gesù.

Caterina, serva dei servi di Dio inutile, vi si racomanda. Frate Raimondo e frate Tommasso vi mandano molto confortando.







130. A Pòlito degli Ubertini, in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi col cuore virile, spogliato d'ogni passione e tenerezza sensitiva; la quale tenerezza, che procede dall'amore proprio, è impedimento d'ogni santo desiderio e operatore d'ogni male.

Colui che s'ama sé, sta intro una tiepidezza di cuore: dall'uno lato lo chiama Dio, faccendogli vedere lo poco tempo che ci ha a vivere, e la miseria e fragilità del mondo, e la poca fermezza e stabilità sua, e che ogni diletto minimo e sollicitudine che l'uomo piglia disordinatamente fuore di Dio, è punito miserabilemente. Viengli in odio e pentimento lo mondo e volentieri se ne vuole levare, vedendo che chi lassa lo mondo possiede lo mondo, cioè che se ne fa beffe dello stato, pompe o delizie, vedendo che ogni bene è rimunerato e saragli puoi renduto, per uno, cento (Mt 19,29 Mc 10,30). Disponsi allora in sé medesimo al tutto d'abandonarlo. Ma se l'amore proprio anco vivesse nell'anima, questo desiderio intepedisce; e con una tale tenerezza di sé si va pure attaccando, pigliando indugio di tempo. Non si die fare così, ma uccidere ogni amore proprio, considerando in sé medesimo che non è sicuro d'avere lo tempo; ché se noi ne fussimo sicuri, sarebbe da dire: «Io mi porrò a sciogliere questo legame del mondo; e quando io sarò sciolto, e io n'andarò a legarmi con Cristo col mezzo del giogo della santaobbedienza».

Carissimo fratello, poiché non sete sicuro d'avere lo tempo, gittate a terra ogni amore proprio e tenerezza sensitiva; e non vi ponete a sciogliere, ma tagliate. Recatevi nella mano del libero arbitrio un coltello che avesse due tagli, cioè di odio e d'amore: amore della virtù, odio e pentimento del vizio e del mondo e della propria sensualità. A questo mondo dimostrarrete che siate uomo virile, e non tiepido né negligente.

Rispondete, rispondete a Dio che vi chiama per sante e buone 'spirazioni; e àvi apparecchiato lo luogo, santo e devoto, separato al tutto dal secolo, con uno padre - cioè lo Priore di Gorgona - che è dirittamente uno angelo, specchio di virtù, con una buona e santa famiglia. Non fate resistenza alla divina grazia, che con tanta benignità vi domanda di volere abitare (Jn 14,23) nel cuore e nell'affetto vostro.

Secondo che io intesi per la lettera che mi mandaste, parmi che avesseate buona e santa intenzione: ma troppo la pigliate longa, domandando due anni. E questo fa lo demonio perché gl'incresce del vostro bene, ponendovi inanzi d'avere necessità per impedire la pace e la quiete vostra. Molto mi parebbe che faceste bene, lo più tosto che si potesse allogare la fanciulla vostra, e levarvi quel peso dal collo; poi, degli altri fatti, spacciatamente determinargli. Potreste, l'altre faccende che avete a fare, lassarle a fare a quel mezzo che vedeste che fusse buono e atto a fatigarsi per l'amore di Dio e per voi; ma quel della fanciulla fate voi medesimo. Pregovi da parte di Cristo crocifisso che tosto vi spacciate; e non aspettate lo tempo, che il tempo non aspetta voi.

Viene a voi lo Priore di Gorgona: dite a lui pianamente la vostra intenzione, e pigliate una salda ferma e vera diliberazione. E se cosa è che voi pigliate d'essere a quel luogo santo e devoto, che sarà la vita dell'anima vostra, o per qualunque modo si sia, se voi dispensate la substanzia vostra ai povari datene in quel luogo di Gorgona, poiché il luogo ha bisogno d'essere acconciato, a volere stare secondo i costumi dell'ordine dei Certosani. Orsù virilmente, ch'io spero nella bontà di Dio che bagnandovi nel sangue di Cristo crocifisso voi farete questo, e ogni altra cosa, senza indugio di tempo. Non dico più.

Raccomandatemi a Leonardo, e Niccolò Soderini, e monna Antonia, e tutta l'altra famiglia benedite in Cristo dolce Gesù.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.



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19/10/2012 15:45

131. A Nicolò Soderini in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Reverendissimo e dilettissimo fratello in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi conforto e benedico nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero figlio e servo di Gesù Cristo crocifisso, voi e tutta la famiglia vostra, sì come servo ricomprato del sangue del Figlio di Dio, raguardando sempre sì come lo servo sta dinanzi al suo signore: sempre teme di non offendare e di non dispiacere a lui.

Così voglio che sempre vediate che il signore, a cui siamo obligati di servire, che l'occhio suo è sempre sopra di noi: doviamo sempre temere di non offendare a sì dolce e caro signore. Questo è quello santo temore ch'entra come servo nell'anima, tra'ne ogni vizio e peccato e opere che fussero contro a la volontà del signore suo. Anco desidero che siate figlio del Padre vostro celestiale, lo quale v'ha creato ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ha fatto a voi e a ogni creatura come lo padre, che mette alcuno tesoro in mano del figlio, che per farlo grande e arichirlo lo manda fuore de la città sua.

Così fa questo dolce padre, ché, avendo creata l'anima, egli le dona lo tesoro del tempo ed lo libero arbitrio de la volontà, perché aricchisca. Così vedete che così è - ché noi siamo forestieri e pellegrini (He 11,13 1P 2,11) in questa vita -: con questo tesoro del tempo e libero arbitrio guadagna, sì che in questo tempo la creatura può annegare la volontà ed lo libero arbitrio suo, e con esso comprare la perversa vanità, piacimento e spiacimento e sollecitudini e diletti del mondo, la quale è quella mercanzia che sempre l'uomo empovarisce, poiché non ha in sé veruna stabilità né fermezza; non ha se non una mostra di fuore, e dentro è guasta e làssati lo puzzo dei molti peccati. Questa mostra fa affinché s'acordi a mercato con lui.

Perciò, carissimo e venerabile fratello in Cristo Gesù, io non intendo né voglio che questo tesoro, dato dal Padre a noi per divina grazia e misericordia, noi lo spendiamo in sì vile mercanzia, poiché giustamente saremmo riprovati dal Padre. Dunque, come figli veri e con perfetta sollecitudine, spendiamo questo dolce tesoro in una mercanzia perfetta, la quale è contraria a questa, ché ha colore palido povaro e vile: dentro v'è uno tesoro che lo ingrassa e arichisce qui per grazia, e poi lo conduce ne la vita durabile del Padre a godere la eredità sua.

Or vediamo che tesoro costui - chi è arricchito - egli ha comprato: spregiamento d'onore, di delizie, di ricchezze, d'ogni consolazione e ricreazione o piacimento degli uomini; ha voluto quelle virtù vere e reali, le quali paiono piccole e di piccolo aspetto negli occhi del mondo, ma dentro v'è lo tesoro de la grazia. Ben pare piccolo al mondo a eleggiare strazii scherni e 'ngiurie e rimproverii, ed eleggiare volontaria povertà, la quale caccia a terra l'umana superbia e grandezza e stato del mondo, la quale si mostra tanto alta, e diventa umile abbassandosi per virtù. Non vuole tenere altre vestigie che del padre suo che gli ha commesso lo tesoro de la libera volontà, con la quale egli può guadagnare e perdare, secondo che vuole, la mercanzia che compra.

O dolce e santo tesoro de le virtù, che in ogni luogo andate sicure, in mare e in terra e in mezzo dei nemici: di veruna cosa temete, poiché in voi è nascoso Dio, che è eterna sicurezza. Non gli è tolta dagli uomini né da l'ingiuria: è perfetta pazienza, poiché non si trova chi voglia ingiurie, e la pazienza si pruova per mezzo de la ingiuria e de le fatiche. Così l'ardentissima e amorosa carità ha sempre per contrario l'amore proprio di se medesimo. Ma il cuore, dilargato e abbattuto a la ricchezza de la carità, vuole gaudio e letizia e ogni sicurezza: non raguarda né cerca sé per sé, ma sé per Dio e il prossimo per Dio: ogni sua opera è dirizzata in lui, non per propria utilità ma per onore del Padre, quando ritorna a la casa sua.

Or suso, non dormiamo più nel letto de la negligenzia, ch'egli è tempo da 'nvestire questo tesoro in una dolce mercanzia, e sapete quale? in pagare la vita per lo Dio nostro, dove si terminano tutte le iniquità nostre. Questo dico per l'odore del fiore che comincia a uprire: per lo santo passaggio, lo quale ora lo padre santo, lo nostro Cristo in terra, ha commesso a volere sapere la santa disposizione e volontà dei cristiani, se volranno dare la vita a racquistare la Terra-santa, e dicendo che, se trovarà le volontà disposte, che ogni aiuto, e con sollecitudine, usarà la potenza sua; e così dice la bolla che mandò al provinciale nostro e al ministro dei frati Minori e a frate Raimondo: mandò lo' comandando che fussero solleciti a investigare le buone volontadi per tutta la Toscana e ogni altro terreno; vuogli per scritto, per vedere lo loro desiderio e quanti sono, per dare poi ordine e mandare in effetto. Perciò io v'invito a le nozze de la vita durabile, che v'accendiate a desiderio a pagare sangue per sangue, e quanti ne potete invitare, tanti ne 'nvitate, poiché a le nozze non si vuole andare solo: non potete poi tornare adietro. Non vi dico altro.

Ringraziovi, con affettuoso amore, de la carità che avete mostrata, secondo che per la lettara e messo ho inteso; non sono sufficente a rimunerare l'affetto vostro, ma prego e pregarò continuamente la somma eterna bontà che vi rimuneri di sé. Racomandatemi e benedicetemi cento migliaia di volte in Cristo Gesù tutta la fameglia vostra.

Rimanete ne la santa carità. Gesù Gesù Gesù.





132. A monna Giovanna di Capo, monna Giovanna di Francesco, monna Cecca di Chimento, monna Caterina dello Spedaluccio, mantellate di santo Domenico, da Siena, etc.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissime e carissime figlie in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, e madre vostra per affetto e amore di Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue suo; lo quale fu vero Figlio di Dio e agnello mansueto e immacolato e dissanguato, non per forza dei chiodi o di lancia, ma per forza d'amore e di smisurata carità la quale aveva alla creatura.

O carità ineffabile di Dio nostro! A'mi insegnato, dolcissimo amore, a'mi dimostrato non con sole parole (poiché tu dici che non ti diletti di molte parole), ma con le opere, de le quali tu dici che ti diletti, le quali tu richiedi da' servi tuoi.

Che mi possiedei insegnato tu, carità infinita? ha'mi insegnato che io, come agnello paziente non solamente sostenga le parole aspre, ma eziandio le percosse dure e le ingiurie e danni. E con questo vuole che io sia immaculata e innocente, cioè senza nocimento a nessuno dei prossimi e frategli miei, non solamente a quelle che non ci perseguitano, ma a coloro che ci faccino ingiuria. E voglio che per loro preghiamo come per ispeziali amici, che ci danno buono e grande guadagno.

E non solo nelle ingiurie e danni temporali vuole che noi siamo paziente ma generalmente in ogni cosa la quale sia contro la nostra voluntà: sì come tu non volevi che in nessuna cosa fusse fatto alla tua voluntà, ma quella del Padre tuo. Come Perciò levaremo lo capo contro la voluntà di Dio, volendo che s'adempino le nostre voluntà perverse, e non vorremo che sia adimpiuta la voluntà di Dio? O dolcissimo amore Gesù, fai sempre in noi s'adempia la voluntà tua, come in cielo sempre si fa dagli angeli e da' santi tuoi. Questa è, dolcissime figlie in Cristo, quella mansuetudine la quale vuole lo dolce nostro Salvatore trovare in noi: cioè che noi con cuore tutto pacifico e tranquillo siamo contenti d'ogni cosa che lui dispone e opera inverso di noi, e non vogliamo né luogo né tempo a nostro modo, ma solamente al suo, e allora l'anima, spogliata d'ogni sua voluntà e vestita della voluntà di Dio, è molto piacevole a Dio. E allora, come cavallo sfrenato, corre velocissimamente di grazia in grazia, e di virtù in virtù; e non ha veruno freno che lo tenga, che non possa correre, poiché ha tagliato da sé ogni disordinato appetito e desiderio per propria voluntà, i quali sono legami che non lassano correr l'anima delle spirituali.

I fatti del passagio continuamente vanno di bene in meglio, e l'onore di Dio ogni dì cresce più. Crescete continuamente in virtù, e fornite la navicella delle anime vostre, poiché lo tempo vostro s'apressa.

Confortate Francesca da parte di Gesù Cristo e da mia parte: e ditele che sia sollecita sì che io la trovi cresciuta in virtù quando io tornarò. Benedite e confortate tutti i miei figli e figlie in Cristo.

Ora a questi dì è venuto lo imbasciadore della regina di Cipri e parlommi; e va al santo padre, Cristo in terra, a solecitarlo del fatto del passaggio. E anco lo santo padre ha mandato a Genova a pregargli che se avisano per fatto di passaggio. Lo nostro dolce Salvatore vi doni la sua eterna benedizione.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







133. A la regina di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissima e carissima madre mia in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vera e perfetta figlia di Dio.

Sapete che il servo già mai non vorrà offendare ne la presenza del signore, poiché teme la pena che segue doppo la colpa commessa; per questo timore s'ingegna di servirlo bene e diligentemente. Così dico che colui che è vero figlio sceglie inanzi la morte che offendare lo padre, non per timore di pena né per paura che avessea di lui; solo per la reverenzia sua, per l'amore che ha al padre, non gli offende. Questo è quello figlio che deve avere la eredità, ché non ha renunziato al testamento del padre, ma ha osservate e segue le vestigie sue.

Così vi prego, venerabile madre in Cristo Gesù, che facciasi a lui come servo, ché voi sapete bene che sempre stiamo dinanzi a questo signore, e l'occhio di Dio vede in occulto ed è sempre sopra di noi. E ben vede la somma eterna verità chi è colui che il serve o chi il diserve. Debba l'anima temere di non offendare lo suo Creatore, ché egli è quel vero signore che ogni peccato punisce e ogni bene remunera. E neuno né per signoria né per ricchezza né per gentilezza può fare né scusarsi che non serva a questo signore dolce Gesù.

O quanto è dolce e santa questa servitudine, che pone freno e ordine a l'anima, che non la lassa andare per la perversa servitudine del peccato; anco fugge tutte quelle cose che lo potessero induciare a peccato! Tutte le cose che vede che sieno fuore de la volontà del Signore egli le odia, perché sa bene che, s'egli l'amasse, cadrebbe nel giudicio suo. Poi che l'anima s'è levata con timore, raguardando sé essare servo, e che da l'occhio suo non si può nascondare, comincia a dibarbare l'affetto e l'amore disordenato del mondo, e ordenarli e conformarli coi la volontà del signore suo; altrimenti non potrebbe piacerli, ché, come disse Cristo, neuno può servire a due signori, ché, se serve all'uno, sì è contrario all'altro (Mt 6,24 Lc 16,13).



Poi che l'anima nostra è attratta con timore, corre con perfetta sollecitudine e caccia ogni peccato e difetto da lui. Drittamente questo amore fa come lo servo ne la casa, che è posto per lavare i vasi immondi.

Ma poi che l'anima è venuta a essare figlia, cioè da essere e stare in perfetta carità, fa come vero figlio che ama teneramente lo padre suo, e non ama per amore mercennaio, per utilità che traga dal padre, e non teme d'offendarlo per paura di pena: solo per la bontà del padre e per la sustanzia de la sua natura, che il padre gli ha data con amore. Sì che la natura e la forza dell'amore lo constregne ad amarlo e a servirlo: costui si può dire che sia vero figlio. Perciò dico che l'amore nostro verso lo Padre celestiale è che tu non ami per rispetto di nessuna utilità che tu traga da lui, né per paura di pena che ci facesse portare, ma solamente perché egli è sommo e giusto, etternalmente buono: per la sua infinita bontà è degno da essere amato. E nessuna altra cosa è degna da essere amata fuore di Dio, se non in lui e per lui amare e servire ogni creatura: questo è amore di padre. E come lo timore detto ha a mondare i vasi, così questo amore ha a empire lo vasello dell'anima de le virtù e trarne fuore ogni grandezza e pompa di vana gloria, ogni impazienzia e ingiustizia e vanità e miseria del mondo: trà'ne lo ricordo delle ingiurie ricevute: solo ci rimane lo ricordo dei beneficii di Dio e de la sua bontà, con vera e perfetta umilità, con pazienza a sostenere ogni pena per lo dolce Gesù, con una giustizia santa che giustamente rendarà ad ognuno lo debito suo.

E attendete che in due modi avete a fare giustizia: cioè prima di voi medesima, sì che giustamente rendiate la gloria e l'onore a Dio, riconoscendo da lui e per lui avere ogni grazia; e a voi rendete quello ch'è vostro, cioè lo peccato e la miseria, con vera contrizione e pentimento del peccato: che fu lo legame il quale tenne confitto e chiavellato lo Figlio di Dio in su lo legno de la santissima croce. L'altra si è una giustizia data sopra a le creature, la quale avete a fare tenere - per lo stato vostro - nel vostro reame, per la quale cosa io vi prego in Cristo Gesù che voi non teniate occhio che sia fatta ingiustizia, ma, con giustizia, giustamente ad ognuno renduto lo debito suo, così al piccolo come al grande, e al grande come al piccolo. E guardate che neuno piacimento né timore di creature vi ritraggano da questo, altrimenti non sareste vera figlia: ma se voi giustamente terrete aperto l'occhio verso l'onore di Dio, vorreste inanzi morire che passarlo mai.

Poi che il vasello dell'anima è votiato dei vizii e dei peccati, e ripieno de le virtù, non si può tenere né difendare lo cuore che non ami, sì perché egli ha trovata la vena de la bontà di Dio adoperare in lui, e per la conformità che la creatura ha col Creatore, poiché la creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26).

Questo fece non per debito, né perché ne fusse pregato, né per utilità che traesse da lui: solo l'abisso e la forza dell'amore e la ineffabile carità sua lo move. Questo fu quello amore che fece Dio unire e umiliare all'uomo. O quanto, venerabile e dolce madre, si debba vergognare la creatura d'insuperbire per neuno stato e grandezza che avesse, vedendo lo suo Creatore, tanto umiliato, con tanta ardentissima carità corrire all'obrobbiosa morte de la croce! E di questo dolcissimo amore desidera l'anima mia che siate vestita, ché senza questo non potreste piacere a Dio, né avere la vita de la grazia.

Fòvi asapere le dolci e buone novelle, e quali? Lo nostro dolce Cristo in terra, lo santo padre, sì ha mandata la bolla a tre religiosi singulari, al provinciale dei frati Predicatori e al ministro dei frati Minori e a uno nostro frate servo di Dio, e ha lo' comandato che sappino e faccino sapere per tutta la Toscana e in ogni altro paese ched essi possono, e siano solleciti ad investigare coloro che avessero desiderio di morire per Cristo oltre mare, andare sopra l'infedeli; tutti li debbano scrivare e apresentare a lui, dicendo che se trovarà la santa disposizione e l'acceso desiderio dei cristiani, che vuole dare aiuto e vigore coi la potenza sua, e andare sopra l'infedeli.

E però vi prego e constringo, da parte di Cristo crocifisso, che vi disponiate e accendiate lo vostro desiderio, ogni ora che questo ponto dolce verrà, di dare ogni aiuto e vigore che bisognarà, affinché il luogo santo del nostro dolce Salvatore sia tratto de le mani dell'infedeli, e l'anime loro sieno tratte de le mani de le demonia, affinché participino lo sangue del Figlio di Dio come noi. Pregovi umilemente, venerabile madre mia, che non schifiate di rispondare a me lo vostro stato e buono desiderio che avete verso questa santa opera. Altro non dico a voi. La pace e la grazia de lo Spirito santo sia sempre nell'anima vostra.

Rimanete ne la santa carità di Dio; perdonate a la mia presunzione. Gesù dolce, Gesù, Gesù.







134. A Bartolomeo e Giacomo remiti in Campo santo in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimi e carissimi figli miei in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi svenare e aprire il vostro corpo per lo dolce nome di Gesù.

O quanto sarà beata l'anima nostra se ricevaremo tanta misericordia che noi diamo quello, per lui, che esso dié per noi con tanto fuoco di carità! O fuoco che ardi e non consumi (Ex 3,2), e consumi ciò che è nell'anima fuore de la volontà di Dio! Questo fu quello caldo vero che cosse l'Agnello immacolato in sul legno della santissima croce. O cuori indurati e villani, come si possono tenere che non si dissolvano a questo caldo? Certo io non mi maraviglio se i santi - che non erano accecati in amore proprio di loro, ma in tutto erano annegati in conoscere la bontà di Dio e il fuoco de la sua ardentissima carità - corrivano con la memoria del sangue a spandere lo sangue, quando raguardo lo smisurato fuoco di Lorenzo che, stando in su la graticola del fuoco, stava in motti col tiranno. Doh, Lorenzo, non ti basta lo fuoco? Rispondarebbeci: «No, ché è tanto l'ardentissimo amore che è dentro che spegne lo fuoco di fuore».

Perciò, carissimi figli in Cristo Gesù, gli affetti e i desiderii vostri non siano morti di qui all'ultimo de la vita vostra. Non dormite: destatevi; e non ci vedo altro remedio a destarci se non uno continuo odio.

De l'odio nasce la fame de la giustizia, in tanto che vorrebbe che gli animali ne facessero vendetta. Come è giunto a la vendetta di sé, purgasi l'anima in questo dolce fuoco, dove trovarete in voi formata la bontà di Dio, per mezzo del quale cognoscimento de la somma bontà - quando l'anima si trova annegata in tanto abisso d'amore quanto vede che Dio ha in lei - dilargasi lo cuore e l'affetto. Unde l'occhio del cognoscimento apre ad intendere, la memoria a ritenere, e la volontà si distende ad amare quello che egli ama.

E dice e grida l'anima: «O dolce Dio, che ami tu più?». Risponde lo dolce Dio nostro: «Raguarda in te, e trovarai quello che io amo». Allora guardate in voi, figli miei carissimi, e trovarete e vedrete che quella medesima bontà e ineffabile amore che trovarete che Dio ha in voi, con quello medesimo amore ama tutte le creature che hanno in loro ragione. Unde l'anima come inamorata si leva e distendesi ad amare quello che Dio più ama, ciò sono i dolci fratelli nostri; e levasi con tanto desiderio e concepe tanto amore che volentieri darebbe la vita per la salute loro e per restituirli a la vita de la grazia, sì che diventano gustatori e mangiatori delle anime.

E fanno come l'aquila che sempre raguarda la rota del sole e va in alto, e poi raguarda la terra; e prendendo lo cibo del quale si debba notricare lo mangia in alto. Così fa la creatura, cioè che raguarda in alto, dove è il sole del divino amore, e raguarda poi verso la terra, cioè verso l'umanità del Verbo incarnato del Figlio di Dio; e raguardando in quello Verbo e umanitha tratto del ventre dolce di Maria, vede in su questa mensa lo cibo, e mangialo. E non solamente ne la terra ne la quale ella ha preso de l'umanità di Cristo, ma levasi su in alto col cibo in bocca; e levatasi su entra nell'anima consumata e arsa d'amore del Figlio di Dio, e quello affettuoso amore trova che è uno fuoco - che esce de la potenza del Padre, lo quale ci donò a noi per ardore la sapienza del Figlio suo, e una fortezza di fuoco di Spirito santo -, lo quale fu di tanta fortezza e unione che né chiodi né croce avrebbero tenuto questo Verbo, se non solo lo legame dell'amore. E l'unione fu sì-fatta che né per morte né per nessuna altra cosa la natura divina si partì da l'umana. Or qui voglio che mangiate questo dolce cibo.



E se mi diceste: «Con che ale volo?» Con l'ale de l'odio e dell'amore, con penne di strazii di scherni e rimproverii crociati per Cristo Crocifisso. E non vogliate né reputate di sapere altro che Cristo Crocifisso (1Co 2,2): in lui sia la vostra gloria e il vostro refrigerio e ogni vostro riposo. Pascetevi e notricatevi di sangue. Dio raguardi ai vostri desiderii. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





135. A Piero marchese.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, missere lo senatore: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, vi saluto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero rettore de la vera giustizia, prima in voi e poi in altrui, sì che voi possiate apparire dinanzi al giustissimo giudice con secura faccia: poiché colui che non tiene la giustizia sopra sé non può con buona faccia farla sopra altrui, poiché tanto è l'opera giusta, quanto procede da la giusta e pura volontà.

O dolcissimo fratello in Cristo Gesù, pigliate lo essemplo del prezioso Agnello, che fece giustizia dei peccati altrui sopra di sé: quanto dunque maggiormente doviamo noi fare vendetta dei peccati nostri sopra di noi? Or dunque salite sopra la sedia de la ragione, e fate che la memoria accusi i mali fatti e i mali detti e i mali pensieri vostri; e la volontà si doglia de la ingiuria del suo Creatore e domandi giustizia; e allora l’intelletto giudichi la pena che die sostenere lo cuore e il corpo, e dìaglili con grande impeto e con grande fervore: e allora sarà placato lo giudice giusto, e non solamente perdonerà l'offesa, ma farà che colui che giustamente ha giudicato sé, diventi giusto giudice degli altri; e così diventiamo veri rettori, sottomettendo noi medesimi a la regola de la giustizia. Altro non dico qui.

Pregovi che siate sollicito di spacciare con missere Matteo quello che voi avete a fare per la vostra salute, e non tardate: altrimenti vi si potrebbe fare mettare la mano a la stanga, e pagareste inanzi che voi ne la levaste. E se non avete altro modo, dateli a lui o ad uno banco, sì che stiano a sua posta, e egli troverà bene poi lo modo.

Non ci sono ora le mie compagne che mi solevano scrivere, e però è stato necessario che io abbi fatto scrivere a frate Raimondo, lo quale vi si racomanda e saluta in Cristo Gesù con tutto lo cuore, e sollìcitavi del fatto che avete a fare con missere Matteo. Se Neri vuole venire qua, pregovi che voi lo lassiate venire.

Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Fatta in Pisa lo secondo dì di settembre.

Doppo le predette cose, vi racomando lo portatore di questa lettera - lo quale è buono e dritto uomo e vive secondo Dio, ed è fratello della mia cognata secondo la carne, ma sorella secondo Cristo - che, se gli bisognasse lo vostro aiuto, che voi glili diate per amore di Cristo Crocifisso.

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19/10/2012 15:48

136. Al vescovo di Firenze, cioè a quello da Ricasole.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, venerabile e carissimo padre mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi confitto e chiavellato per santo desiderio in sul legno de la santissima e venerabile croce, dove trovaremo l'Agnello immacolato, arrostito nel fuoco de la dolcissima carità.



In su questo arboro troviamo i frutti de le virtù, poiché la carità è quello arboro fruttuoso che fu croce, e chiovo che tenne legato lo Figlio di Dio, ché altra croce né altro legame non l'avrebbe potuto tenere.

Ine trovate l'Agnello dissanguato essere mangiatore de l'onore del Padre e de la salute nostra: tanto è grande l'affetto suo che con la pena corporale nol poteva esprimere.

O inestimabile dolcissima e diletta carità, per ismisurata fame e sete che tu hai de la salute nostra, tu gridi che hai sete! (Jn 19,28) E poniamo che la sete corporale ci fusse grande per la molta fatica, ell'era maggiore la sete de la nostra salute. Oimé oimé, non si trova chi ti dia bere altro che amaritudine di molta iniquità: ma darli bere con una libera volontà, con puro e amoroso affetto, questo in pochi si trova che gli li dia.

Pregovi, dolcissimo e carissimo venerabile padre mio, che vi leviate suso dal sonno de la negligenzia, ché non è tempo più da dormire, ché il sole si comincia già a levare; e dateli bere, poi che tanto dolcemente ve ne dimanda. Se mi diceste: «Figlia mia, io non ho che darli», già v'ho detto che io desidero e voglio che siate confitto e chiavellato in croce, dove noi troviamo l'Agnello dissanguato che da ogni parte versa, che s'è fatto a noi botte, vino e celleraio. Così vediamo che quella umanità è quella botte che velò la natura divina, e il celleraio, fuoco e mani di Spirito santo, la spillò, questa botte, in su legno de la santissima croce. Questa sapienza, Parola incarnata, vino dolcissimo, ingannò e vinse la malizia del demonio, poiché egli lo prese con l'amo de la nostra umanità. Perciò non possiamo dire che non ci abbia dato bere, cioè di tòllare lo vino dell'assetato e ineffabile desiderio che egli ha de la salute nostra.

Voi, padre, come pastore vero, prego che poniate la vita per li sudditi e pecorelle vostre (Jn 10,11): uprite l'occhio dello intendimento, raguardate la fame che Dio ha del cibo dell'anima; allora s'empirà l'anima vostra di fuoco di santo desiderio, in tanto che mille volte, se fusse possibile, dareste la vita per loro. Siate gustatore e mangiatore delle anime, ché questo è lo cibo che Dio richiede. E io prego la somma eterna verità che mi conceda grazia e misericordia che io vi vega, per l'onore di Dio e per questo santo cibo, isvenare e uprire il corpo vostro, sì come egli è aperto per noi: allora sarà beata l'anima vostra, venerabile e dolcissimo padre.

Sappiate, padre, che frate Raimondo non ha fatta l'obbedienzia vostra, perché è stato molto impacciato e non ha potuto lasciare; gli è convenuto aspettare alquanti gentili uomini per lo fatto di questo santo passaggio, e anco ha molto a spacciare. Lo più tosto che si potrà ne venrà e sarà a la vostra obbedienzia. Perdonate a lui e a la mia presunzione.

Rimanete ne la santa carità di Dio.







137. A messer Matteo, rettore de la Misericordia di Siena, mentre che essa era a Pisa.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi infiamato tutto d'amoroso fuoco, sì e per sì-fatto modo che diventiate una cosa colla dolce prima Verità.

E veramente l'anima che per amore è unita e trasformata in lui, fa come il fuoco che consuma in sé l'umore de le legna, e, poi che sono riseccate, le converte in sé medesimo, dandoli quello colore e caldo e potenza che egli ha in sé medesimo. Così l'anima che raguarda lo suo Creatore e la sua inestimabile carità, coi la quale comincia l'anima a sentire lo caldo del cognoscimento di sé medesimo (lo quale consuma ogni cosa, cioè ogni umore d'amore proprio di sé medesimo), crescendo il caldo, gittasi coi l'ardente desiderio nella smisurata bontà di Dio, la quale trova in sé. Ella participa del caldo e de la virtù sua, - perciò che subito diventa gustatore e mangiatore de l'anime -, e ogni creatura ragionevole converte in sé medesimo per amore e desiderio: il colore e il sapore de le virtù (che egli ha tratto del legno de la santissima croce, che è l'arboro venerabile dove si riposa il frutto de l'Agnello immacolato, Dio e Uomo), or questo è quello frutto soavissimo, lo quale vuole dare a l'anima per participare col prossimo suo; e veramente così è, ché non potrebbe dare né producere altro frutto che quello che egli abbia tratto de l'arboro de la vita, poiché s'è inestato d'amore e desiderio in esso arboro, perché era veduta e cognosciuta la larghezza de la sua smisurata carità.

O figlio carissimo in Cristo Gesù, questo desidera l'anima mia di vedere in voi, affinché il desiderio di Dio e mio sia adempito in voi: sì vi prego e comando che sempre siate sollicito di consumare ogni umidezza d'amore proprio, di negligenzia e d'ignoranza. Cresca il fuoco e lo ismisurato desiderio; inebriatevi del sangue dello Agnello immacolato Figlio di Dio; corriamo come affamati de l'onore suo e de la salute de la creatura; arditamente gli tolliamo lo legame col quale fu legato in sul legno de la santissima croce. Leghiamoli le mani de la sua giustizia.

Ora è il tempo di gridare, di piangere, e di dolersi: lo tempo è nostro, figlio, poiché è perseguitata la Sposa di Cristo da' cristiani, falsi membri e putridi. Ma confortovi, ché Dio non dispregerà le lacrime, sudori e sospiri che sonno gittati nel conspetto suo. L'anima mia nel dolore gode e essulta, perché tra la spina sente l'odore de la rosa ch'è per aprire. Dice la prima dolce Verità che con questa persecuzione adempie la volontà sua i desiderii nostri. Ancora, godo del dolce frutto che s'è fatto in Cristo in terra sopra ai fatti del santo passagio, e ancora di quello che è fatto e fa qui ed è per fare, per la divina grazia.

Aiutatemi, figlio mio; inebriatevi del sangue de l'Agnello immacolato. Non voglio dire più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio, facendo sempre riposo ai rami de l'arboro de la santissima croce. Gesù dolce, Gesù.







138. Alla regina di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissima e reverendissima madre e sorella in Cristo Gesù, madama la regina: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi piena e unita nell'abondanzia de la grazia de lo Spirito santo, sì come terra fruttifera che renda frutto buono e soave, non produca spine rovi e triboli.

Voi sapete, carissima madre, che noi siamo come uno campo di terra, dove Dio per la sua misericordia ha gittato lo seme suo, cioè l'amore e l'affetto col quale ci creò, traendo noi di sé medesimo solo per amore e non per debito - noi nol pregammo mai che ci creasse - ma mosso dal fuoco de la sua carità, perché godessimo e gustassimo la somma eterna bellezza sua. E affinché questo seme faccia frutto e notrichinsi le piante, egli ci ha data l'acqua del santo battesimo. Bene è dolce e soave questo frutto; àcci bisogno d'uno ortolano che il governi, e conservi lo frutto suo.

O dolcissimo amore Gesù, tu ci hai dato lo più forte e grazioso ortolano che possiamo avere, cioè la ragione e la libera volontà: questo è sì forte che né demonio né creatura la può muovere né strignare a uno peccato mortale sed i non vuole. Questo parbe che dicesse quello dolce inamorato di Paulo, quando dice: «Chi sarà colui che mi parta da la carità di Cristo? non fame, non sete, non persecuzioni, né angeli, né dimonia». Quasi dica: come è impossibile che gli angeli mi partano da Cristo, così è impossibile che io mi parti mai da la divina carità, se io non vorrò: bene è forte dunque.

Anco c'è dato lo tempo, ché senza lo tempo questo lavoratore non farebbe nulla, ma nel tempo, cioè mentre che noi viviamo, questo lavoratore può rivòllare la terra e ricogliare lo frutto: allora le mani dell'amore del santo e vero desiderio piglia lo frutto e ripollo nel granaio suo, cioè in Dio, facendo e dirizzando ogni sua opera a lode e gloria di Dio.

E se voi mi diceste: Questo ortolano ha uno compagno, cioè la parte sensitiva, che spesse volte lo robba e lo 'mpedisce, seminandovi e ricogliendovi spesse volte lo seme del demonio, ponendoci i disordenati diletti e piaceri del mondo, stati, ricchezze, onore, e amore proprio di noi medesimi (il quale è uno verme pericoloso che inverminisce e guasta ogni nostra opera, poiché colui che ama sé senza Dio - che attenda solo all'onore di sé medesimo -, egli non fa mai nulla buono: se egli è signore, non tiene mai giustizia dritta né buona, ma faralla secondo lo piacere de le creature, lo quale piacere ha acquistato per l'amore proprio di sé), non voglio che questo caggia in voi: se attendarete solo all'onore di Dio e a la salute de la creatura, la giustizia e ogni vostra opera sarà fatta con ragione e giustamente: subito la forza de la libertà già detta farà stare queta la sensualità.

Confortatevi, carissima madre, ché per lo inesto che ha fatto Dio in noi arbolo infruttifero, cioè per l'unione de la natura divina con la natura umana, questo ha sì fortificata la ragione e l'amore nostro verso di lui che per forza d'amore è tratto ad amare; la sensualità è sì indebilita che, volendo usare la ragione, non ci potrà nulla. Bene vediamo che la carne nostra, cioè l'umanità di Cristo, che è de la massa d'Adam, è sì flagellata e tormentata, con tanti strazii e scherni e villania infine all'obrobiosa morte della croce, che deve fare stare suggetta la nostra che non ribelli mai né alzi lo capo contro Dio e la ragione.

O amore inestimabile, dolcissimo Gesù, come si può tenere la creatura che non si disfacci e dissolva per te? O inesto piacevole, Verbo incarnato Figlio di Dio, che traesti lo verme del vecchio peccato d'Adam, traestine lo frutto salvatico, poiché per lo peccato commesso era l'orto nostro sì insalvatichito che veruno frutto di virtù poteva produciare che gli desse vita. O dolce fuoco d'amore, hai inestato e legato Dio nell’uomo e l'uomo in Dio, sì e per sì-fatto modo che lo infruttuoso frutto che ci dava morte è fatto buono e fruttifero, in tanto che sempre ci dà vita, se noi vorremo usare sempre la forza della ragione.

Raguardate raguardate l'amore ineffabile che Dio vi porta, e la dolcezza del soave frutto dell'Agnello immacolato, lo quale fu quello seme seminato nel campo dolce di Maria! Non stia più a dormire né in negligenzia questo nostro lavoratore, poi che egli ha lo tempo, ed è forte per l'essere suo, ed è fortificato per l'unione che Dio ha fatta nell’uomo. Pregovi, in Cristo dolce Gesù, che l'amore l'affetto e il desiderio vostro si levi su e pigli l'arbolo della santissima croce, e piantisi nell'orto dell'anima vostra, poiché egli è uno arbolo pieno di frutti de le vere e reali virtù. Ché bene vedete voi che, oltre all'unione che Dio ha fatta con la creatura, egli s'è unito in su la croce santa; vuole dunque e richiede che noi ci uniamo per amore e desiderio in su questo dolce arbolo: allora l'orto nostro non potrà avere altro che dolci frutti e soavi. E però dissi che io desideravo che voi fuste campo fruttifero.

Aviamo veduto in che modo riceva in sé lo frutto e in che modo se il tolla: usare la forza e potenza del buono lavoratore de la ragione e libera volontà, con la memoria dell'Agnello dissanguato, ad abbattare la parte sensitiva. Or su virilmente, dolcissima sorella: non è più tempo da dormire, poiché il tempo non dorme ma sempre passa come lo vento. Rizzate in voi, per amore e per desiderio, lo gonfalone della santissima croce, poiché tosto si converrà rizzare: ché, secondo che mi pare intendare, lo padre santo la bandirà sopra i Turchi, e però vi prego che vi disponiate, sì che tutti di bella brigata andiamo a morire per Cristo.

Ora vi prego e constringo da parte di Cristo Crocifisso che soveniate la Sposa di Cristo nel bisogno suo, in avere e in persona e in consiglio; e in ciò che si può dimostriate che siate figlia fedele de la dolce e santa Chiesa. Ché voi sapete che ella è quella madre che notrica i figli al petto suo, dando lo' latte dolcissimo che lo' dà vita. Bene è stolto e matto quello figlio che non aita la madre, quando lo membro putrido le ribella ed è contro a lei. Voglio che siate quella figlia vera che sempre soveniate alla madre vostra. Non dico più; perdonate alla mia ignoranza.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Racomandovi frate Pietro, che vi reca questa lettara, come caro padre e figlio mio.





139. A frate Tommaso dalla Fonte dell'ordine dei Predicatori, in Siena.

Laudato sia lo nostro dolce Salvatore.

A voi, carissimo e dilettissimo padre in Cristo Gesù: Caterina serva inutile, e vostra indegna figlia, vi si racomanda nel prezioso sangue del Figlio di Dio. Con desiderio io desidero di vedervi, ma non senza me, sbradato in su l'arbolo de la dolcissima e dilettissima croce: altro refrigerio non ci veggio, carissimo padre, se non di spasimarvi su, con ardentissimo amore.

Ine non saranno dimonia visibili né invisibili che ci possino togliere la vita de la grazia, poiché, essendo levati in alto, la terra non ci potrà impedire, come disse la bocca de la verità: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me», poiché traie lo cuore e l'anima e la volontà, con tutte le forze sue. Perciò, dolcissimo padre, facciancene letto, poiché io godo ed essulto di quello che mi mandaste a dire, pensando che il mondo è contrario a noi. Non sono degna ched elle mi faccino tanta misericordia ched elle mi donino lo vestimento ch'ebbe lo nostro dolcissimo Padre eterno - bene, padre carissimo, che quest'è poca cosa, ed è tanto poca cosa che non è quasi nulla. O dolcissima eterna verità, dacci mangiare dei bocconi grossi! Io non posso più, se non che io v'invito, da parte di Cristo crocifisso, che forniate la navicella dell'anima vostra di fede e di fame.

Come lo maestro udì la vostra lettara, fece rispondare al compagno suo - non so se l'avete avuta - per sì-fatto modo ched elle si potranno bene pacificare. Di Luca vi rispondo, che, quanto a me, apareva lo meglio ched i si ricevesse per frate, per più legame di lui; non di meno, ciò che ne pare a voi e al priore, io sono molto contenta. Diteli che non si indugi più a vestirsi. Prego lo nostro dolce Salvatore che ve ne facci fare quello che sia più onore suo.

Sappiate che io temo che non mi convenga passare l'ubidienzia, poiché l'arcivescovo ha chiesto di grazia al generale ch'io rimanga anco parecchie dì; pregate quello venerabile Spagnuolo che ci accatti grazia, che noi non torniamo votie: per la grazia di Dio non credo tornare votia. Benediceteci tutte da parte vostra, e tutte vi ci mandiamo racomandando.

Confortate e benedite, da parte di Gesù Cristo e di tutte noi, monna Lapa e mona Lisa, e tutte e tutti figli e figlie nostre. Caterina serva inutile.

Amor Gesù non posso più amor Gesù non posso più amor Gesù non posso più amor Gesù non posso più amor Gesù non posso più la vita, amore!



140. A messer Giovanni Aut, e a altri capi de la compagnia che venne nel tempo de la fame,la quale lettera è di credenzia, cioè che in essa si contiene che al frate Raimondo da Capua sia data piena fede a le cose che lui dirà. Andava lo detto frate Raymondo al detto messer Giovanni e gli altri caporali, per inducergli ad andare contro a gl'infedeli (avenisse che per gli altri vi s'andasse), onde prima che si partisse ebbe da tutti piena promessa con sacramento d'andarvi: e di ciò le feceno tutti la scritta di loro mano, sugellata dei lor sugelli.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi fratelli miei in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero figlio e cavaliere di Cristo, sì tanto e per sì-fatto modo che disideriate mille volte, se tanto bisognasse, dare la vita per amore del buono e dolce Gesù, lo quale sarebbe scontamento di tutte le nostre iniquità le quali abbiamo commesso contro lo Salvatore nostro.

O carissimo e dolcissimo fratello in Cristo Gesù, or sarebbe così gran fatto che vi recaste un poco a voi medesimo, e consideraste quante sono le pene e gli affanni che voi avete durato in essere al servigio e al soldo del demonio? E già desidera l'anima mia che mutiate i modi e che pigliate lo soldo e la croce di Cristo crocifisso, voi e tutti i vostri seguaci e compagni; sì che siate una compagnia di Cristo, ad andare contro a tutti gl'infedeli che posseggono lo nostro luogo santo, dove si riposò e sostenne la prima dolce Verità morte e pena per noi. Perciò io vi prego dolcemente in Cristo Gesù che, poi che Dio ha ordinato, e anco lo santo padre, d'andare sopra gl'infedeli, e voi vi dilettate tanto di far guerra e di combattere, non guerreggiate più i cristiani, poiché offendete Dio, ma andate sopra di loro; ché grande crudeltà è che noi, che siamo cristiani, membri legati nel corpo de la santa Chiesa, perseguitiamo l'uno l'altro. Non è da fare così, ma è da levarsi con perfetta sollecitudine e levarne ogni pensiero.

Maravigliomi molto, avendo voi - secondo che ho inteso - promesso di volere andare a morire per Cristo a questo santo passaggio, e ora voi vogliate far guerra di qua. Questa non è quella santa disposizione che Dio richiede a voi, a andare in tanto santo e venerabile luogo. Parmi che vi doviate, in questo tempo, disponarvi a virtù, fino che il tempo ne venga, per voi e per gli altri che si 'sporranno a dare la vita per Cristo, e così dimostrarrete d'essere virile e vero cavaliere.

Viene a voi questo mio padre e figlio, frate Raimondo, lo quale vi reca questa lettera. Dateli fede a quello che egli vi dice, poiché egli è vero fedele servo di Dio, e non vi consiglierà se non quello che sia onore di Dio, e salute de l'anima vostra. Non dico più. Carissimo fratello, pregovi che vi rechiate a memoria la brevità del tempo vostro. Caterina inutile serva etc.

Rimanete nella santa carità di Dio. Gesù dolce, Gesù.



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19/10/2012 15:50

141. A don Giovanni dei Sabbatini da Bologna, dell'ordine di Certosa, nel monasterio di Belriguardo presso a Siena, quando ella era a Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre - per reverenzia del dolcissimo sacramento del corpo dolce del Figlio di Dio -, e figlio dico e vi chiamo, in quanto io vi parturisco per continue orazioni e desiderio nel conspetto di Dio, sì come la madre parturisce lo figlio. Perciò come madre vi conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, e desidero di vedervi abnegato e affogato nel fuoco dell'ardentissima sua carità, nel quale amore l'Agnello immacolato si svenò, e fece bagno a l'umana generazione del sangue suo.

Levisi dunque l'ardente desiderio nell'anima nostra a dare sangue per sangue, poiché i tempi nostri IT s'avvicinano, nei quali si proveranno gli arditi cavalieri. O quanto sarà beata l'anima mia quando vederò voi e gli altri corrire come inamorati a dare la vita, e non vòllere lo capo adietro! Pregovi dunque, per l'amore di Cristo Crocifisso, che, affinché siate fortificato al tempo suo, voi in questo tempo d'ora apriate l'occhio del cognoscimento, poiché io non vedo che l'anima possa avere in sé questa fortezza - la quale riceve da la dolce madre de la carità - se continuamente non tiene aperto questo occhio del cognoscimento di sé medesimo. Lo quale è una abitazione ne la quale trova la bassezza di sé medesimo, unde vi diventa umile, e trovavi lo cognoscimento de la bontà di Dio, per mezzo del quale lume e cognoscimento gli nasce uno caldo e uno fuoco d'amore, con tanta dolcezza che ogni amaritudine ine diventa dolce, ogni debole si fortifica e ogni ghiaccio d'amore proprio di sé dissolve. Unde allora non ama sé per sé, ma sé per Dio, e infonde ancora uno fiume di lacrime e distende gli amorosi desiderii sopra i fratelli suoi; e d'amore puro gli ama e non mercennaio, e ama Dio per Dio, in quanto egli è somma ed eterna bontà e degno d'essere amato.

Non tardiamo più dunque, figlio e padre carissimo in Cristo Gesù, a pigliare e abitare in questa santa abitazione del cognoscimento di noi, la quale c'è tanto necessaria e di tanta dolcezza poiché, come detto è, vi si trova la infinita e inestimabile bontà di Dio. Or questa è l'arme la quale io voglio che noi pigliamo, affinché non siamo trovati disarmati al tempo de la battaglia, dove daremo la vita per la vita e il sangue per lo sangue. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù.

Gherardo misero e frate Raimondo suo padre vi si racomandano.







142. A Sano di Maco, mentre ch'ell'era a Pisa la prima volta.

Al nome di Dio e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vi conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con disiderio di vedervi vero cavaliere, forte a combattare contro a ogni illusione di dimonia, mentre che stiamo in questo campo della bataglia, atorniati da' nemici nostri, i quali sempre impugnano contro a noi.

Voi, come cavaliere vero e virile, pianta novella, levatevi con nuovo desiderio ad andare contro a loro; non volgendo il capo adietro, poiché rimarremo morti o pregioni. Allora è detto l'uomo essere in pregione, quando egli è in alcuno luogo e non ne può uscire a sua posta. Così noi, se vollessimo lo capo della nostra volontà, levandoci dal santo proponimento e inchinandoci a mettere in effetto le cogitazioni del demonio, noi saremo nella più pessima pregione che noi potessimo essere: perduta aremo la libertà, saremo servi e schiavi del peccato.

Se mi dite, figlio dolcissimo: «Io sono debole contro tanti nemici», rispondovi e confessovi che tutti siamo debili e fragili a cadere per ogni legiera cosa, in quanto noi; ma la divina providenzia adopera nell'anima e fortificaci, tollendoci ogni debolezza. Così sperate, e credete fermamente, che l'anima che spera in lui sempre è proveduta da lui; e il demonio nessuna sua forza puote adoparare, poiché la virtù della dolcissima e santissima croce gliele tolle, unde perde le sue forze contro a noi. Ma l'uomo, per la inestimabile bontà di Dio, n'è tutto fortificato, e liberato da ogni debolezza e infermità.

Nella memoria della santa croce diventiamo amatori delle virtù e spregiatori dei vizii, e perché noi siamo quella pietra dove fu fitto quello gonfalone, non possiamo dire di non averla, però ch'ell'è formata in noi.

Sapete che né chiovo né croce né pietra avrebbe tenuto Dio e Uomo confitto in croce, se l'amore ch'egli ebbe a l'uomo non l'avesse tenuto. Perciò noi siamo coloro a cui è dato lo prezzo del sangue. In questa memoria si spregia l'onore, desiderasi scherni, strazii e vituperi; la richezza desidera povertà volontaria, e la immondizia acquista continenzia e purezza; ogni diletto e appetito disordinato vi si dispregia: solo rimane vestito delle vere e reali virtù. Non si deletta in altro che in Cristo, non riputa né vuole sapere altro che Cristo crocifisso, anco dice: «Io mi diletto e vogliomi groliare nel mio signore Gesù Cristo, per cui amore lo mondo mi possiede in dispregio, e io ho lui».

Or su, figlio mio, poi ch'ell'è tanto dolce che ci tolle ogni amaritudine e ai morti rende la vita, pigliate questa santa croce in questo cammino, dove l'uomo viandante e pellegrino (He 11,13 1P 2,11) ha bisogno d'appogiarsi a questo santo legno, fino che siamo giunti al termine nostro, dove l'anima si riposa in pace nel fine suo. O quante li sono dolci le fatiche ch'egli ha portate nel cammino! O pace, o quiete, o dolcezza, la quale gusta e riceve l'anima giunta al porto suo, a trovare l'Agnello dissanguato lo quale egli cercò in su la croce, lo quale gli è fatto mensa, cibo, e servidore! E trova lo letto della divina essenzia, dove l'anima si riposa e dorme: cioè, che ha posto fine e termine a quella legge perversa che continovamente, mentre che fu viandante, ribellava al suo Creatore. Perciò goda ed essulti l'anima, con ardentissimo e ardente disiderio, pigliando lo vero gonfalone della santissima croce, senza nessuno timore di non potere perseverare la vita cominciata, ma dire: «per Cristo crocifisso ogni cosa potrò (Ph 4,13) portare, e adoperare fino a la morte».

Mandastemi a dire della dolce providenzia che Dio nelle piciole cose adoparò, per confortarvi e acendarvi a portare ogni bataglia, e a prendare speranza nella sua providenzia. Questo vi dà materia di non rompare mai lo santo proponimento, per veruno caso che ocorrisse. Credo che non mangiaste mai i più dolci cibi. Temo che non abbiate offeso nel peccato della gola. A questa parte non dico più. Benedite tutta la vostra famiglia in Cristo Gesù.

Rimanete nella santa e dolce carità di Gesù Cristo. Gesù dolce, Gesù.







143. Alla regina Giovanna di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Venerabile e carissima madre, madonna la regina, la vostra indegna Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo scrive a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desidèro di vedervi vera figlia e sposa consecrata al dolce Dio nostro.

Figlia sete chiamata da la prima Verità, poiché siamo creati ed esciti da Dio - così disse egli: «Facciamo l'uomo all'imagine e similitudine nostra» (Gn 1,26) -; sposa fu fatta la creatura, quando Dio prese la natura umana. O dolcissimo amore Gesù, in segno che tu l'avevi presa per isposa, in capo degli otto dì (Lc 2,21) tu le donasti l'anello de la santissima e dolcissima carne tua, nel tempo de la santa circuncisione! Così sapete voi, venerabile madre mia, che 'n capo degli otto dì se gli levò tanta carne quanto uno cerchio d'anello, e cominciò a pagare la caparra per darci pienamente speranza del pagamento, lo quale ricevemmo in su' legno de la santissima croce quando questo Sposo, Agnello immacolato, fu dissanguato, che da ogni parte versa abbondanza di sangue, col quale lavò l'immondizie e peccati de la sposa sua, cioè l'umana generazione. Attendete che il fuoco de la divina carità ci ha donato l'anello non d'oro ma de la purissima carne sua: àcci fatte le nozze questo dolcissimo Padre, e non di carne d'animale, ma del prezioso corpo suo, che è, questo cibo, Agnello arrostito al fuoco de la carità in sul legno de la dolce croce.

Perciò io vi prego dolcissimamente in Cristo Gesù che il cuore e l'anima, con ogni suo affetto e movimento e sollecitudine, si levi ad amare e servire sì dolce e caro Padre e Sposo quanto è Dio, somma eterna verità, che ci amò teneramente senza essare amato. Non sia dunque nessuna creatura, né stato né grandezza né signoria, né nessuna altra gloria umana - tutte sono vane e corrono come il vento - che ci ritraga da questo vero amore, lo quale è vita e gloria e beatitudine dell'anima: allora dimostraremo da essere spose fedeli.

E quando l'anima non ama altri che il suo Creatore e non desidera nessuna cosa fuore di lui, ma ciò ch'ella ama e fa, fa per lui, tutte quelle cose che vede che sieno fuore de la sua volontà - come sono i vizii i peccati, ogni ingiustizia e ogni altro difetto -, odia in tanto che, per lo santo odio che ha conceputo contro il peccato, eleggiarebbe innanzi la morte prima che rompesse la fede allo sposo eterno suo. Siamo, siamo fedeli, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso, spregiando lo vizio e abbracciando le virtù, facendo e adoperando ogni gran fatto per lui.

Sappiate, madonna mia venerabile, che l'anima mia gode ed essulta poi ch'io ricevetti la vostra lettara, la quale mi possiede data grande consolazione per la santa e buona disposizione la quale mi pare che voi avete, di dare per gloria del nome di Cristo crocifisso la sustanzia e la vita. Maggiore sacrifizio né maggiore amore gli potete mostrare che a disponarvi a dare la vita per Cristo crocifisso, se bisogna. O quanta dolcezza sarà quella, a vedere dare sangue per sangue, ch'io vega cresciare tanto in voi lo fuoco del santo desiderio, per la memoria del sangue del Figlio di Dio, che, come voi sete intitolata regina di Jerusalem, così siate capo e cagione di questo santo passaggio; sì che quello santo luogo non fusse posseduto più da quelli pessimi infedeli, ma fusse posseduto da' cristiani onorevolemente, e da voi come cosa vostra.

Sappiate che il padre santo n'ha grandissimo desiderio, sì che, manifestando voi la vostra buona volontà, la quale lo Spirito santo ha messa nell'anima vostra, vorrei che il mandaste dicendo sì e per sì-fatto modo che gli crescesse più lo desiderio; e che dimandaste di fare questo santo passaggio, voi principalmente e tutti gli altri cristiani che vi volessero seguire, poiché, se voi vi levate su a volerlo fare, e mandare in effetto lo santo proponimento, trovarete una grande disposizione dei cristiani a volervi seguire.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che voi ne siate sollecita a questo fatto, e io pregarò, quanto sarà possibile a la mia fragilità, la somma eterna bontà di Dio ch'a questo e tutte le vostre buone opere vi dia perfettissimo lume, e cresca in voi desiderio sopra desiderio: accesa di fuoco d'amore perveniate, da la signoria di questa miseria, e caduca vita, a quella perpetua città di Gerusalem visione di pace, dove la divina clemenza ci farà tutti re e segnori e ogni fatica rimunerrà, chi per lo suo dolcissimo amore sopporta ogni fatica.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù Gesù Gesù.

Fatta a dì quattro d'agosto.







144. A monna Pavola, a Fiesole.

Al nome di Cristo e di Maria dolce.

A voi, carissima e dolcissima sorella mia in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi unita e transformata nel fuoco de la sua divina carità, lo quale fuoco unì Dio con l'uomo, e tennelo confitto e chiavellato in croce.

O ineffabile e dolcissima carità, quanto è dolce l'unione che tu hai fatta con l'uomo! Bene hai dimostrato lo inestimabile amore per molte grazie e beneficii fatti a le creature; e spezialmente de lo beneficio de la incarnazione del Figlio di Dio, di vedere la somma altezza venire a tanta bassezza quanta è la nostra umanità. Bene si die vergognare la umana superbia, di vedere Dio tanto umiliato nel ventre di Maria dolce, la quale fu quello campo dolce dove fu seminato lo seme de la parola incarnata del Figlio di Dio.

Veramente, dolcissima sorella, - questo benedetto e dolce campo di Maria! -, fece in lei questo Verbo inestato ne la carne sua come lo seme che si gitta ne la terra, che per lo caldo del sole germina e trae fuore lo fiore e il frutto, e il guscio rimane a la terra: così veramente per lo caldo e fuoco de la divina carità che Dio ebbe all'umana generazione, gittando lo seme de la parola sua nel campo di Maria.

O beata e dolce Maria, hai donato lo fiore del dolce Gesù! E quando produsse lo frutto questo benedetto fiore? quando fu inestato in sul legno de la santissima croce: allora ricevemmo vita perfetta. Poiché dicemmo che il guscio rimane a la terra, quale fu questo guscio? fu la volontà dell'unigenito Figlio di Dio, lo quale, in quanto uomo, era vestito del desiderio suo dell'onore del Padre e de la salute nostra; e tanto fu forte questo smisurato desiderio che corse come inamorato, sostenendo pene e vergogne e vitoperio, fino alla obrobriosa morte de la croce. Considerando, carissima sorella, che questo medesimo fa Maria - ché ella non poteva desiderare altro che l'onore di Dio e la salute de la creatura - però dicono i dottori, manifestando la smisurata carità di Maria, che di sé medesima avrebbe fatta scala per ponare in croce lo Figlio suo, se altro modo non avesse avuto, ché questo era perché la volontà del Figlio era rimasta in lei.

Tenete a mente, sorella mia carissima, e non v'esca mai del cuore né de la memoria né dell'anima vostra, che sete stata offerta e donata, voi e tutte le vostre figlie, a Maria, e pregatela che ella v'appresenti e doni al dolce Gesù figlio suo; ed ella, come dolce madre e benigna, madre di misericordia, vi rapresentarà. Non siate ingrata né sconoscente, poiché ella non ha schifata la petizione, anco l'acetta graziosamente. Siate tutte fedeli, non raguardando per nessuna illusione di dimonia né per detto di nessuna creatura, ma virilmente corrite, pigliando quello affetto dolce di Maria, cioè che sempre cerchiate l'onore di Dio e la salute delle anime.

E così vi prego, quanto è possibile a voi, di studiare la cella dell'anima e del corpo: ine vi studiate, per amore e per santo desiderio, di mangiare e parturire anime nel conspetto di Dio. E quando fuste richieste nell'atto de le tribolazioni da veruna persona, con perfetta sollecitudine vi studiate di trargli de le mani de i demoni, e questo sia lo segno vero che siamo veri figli, poiché a questo modo seguiamo le vestigie del Padre. Ma sappiate che a questo affetto dil grande e smisurato desiderio non potremmo pervenire senza lo mezzo de la santissima croce, cioè del crociato amore e affettuoso del Figlio di Dio, però ch'egli è quello mare pacifico che dà bere a tutti quelli che hanno sete, fame e desiderio di Dio, e dà pace a tutti coloro che sono stati in guerra e voglionsi pacificare con lui. Questo mare gitta fuoco che riscalda ogni cuore freddo, e tanto lo riscalda fortemente che ogni timore servile perde; solo rimane in perfetta carità e in vero timore, lassando di non offendare lo Creatore suo. E non temete, né voglio che voi temiate le 'nsidie e le battaglie de i demoni che venissero per robbare e tòllare la città dell'anima vostra; non temete, ma come cavalieri poste nel campo de la battaglia, con l'arme e col coltello de la divina carità: ch'egli è quello bastone che fragella lo demonio.

Sappiate che, a non volere perdare l'arme con la quale i ci conviene difendare, ce la conviene tenere nascosa ne la casa dell'anima nostra, per vero conoscimento di noi medesime, ché quando l'anima conosce sé medesima non essare, ma sempre operatore di quella cosa che non è, subito diventa umiliata a Dio e a ogni creatura per Dio; riconosce ogni grazia e ogni beneficio da lui, e vede in sé traboccare tanta bontà di Dio che per amore cresce in tanta giustizia di sé medesimo, che volentieri, non tanto che ne vogli fare vendetta, ma i desidera che tutte le creature ne gli faccino vendetta di lei. Ogni creatura giudica migliore di sé; nasce uno odore di pazienza che non ha neuno peso sì grande né tanto amaro che nol porti per amore di quello inamorato inestato Verbo.

Or oltre, carissime figlie: tutte di bella brigata corriamo e inestiamoci in su questo Verbo; e io v'invito a le nozze di questo inesto, cioè di spandare lo sangue per lui, come egli l'ha sparto per voi, cioè al santo Sepolcro, e ine lasciare la vita per lui. Lo padre santo ha mandata una lettara, con la bolla sua, al provinciale nostro e a quello dei Minori e a frate Raimondo, ched eglino abbiano a fare scrivare tutti quelli che hanno desiderio e volontà d'andare ad acquistare lo santo Sepolcro e morire per la santa fede; vuole che tutti se li mandino per iscritta, e però v'invito che v'apparecchiate.



Rimanete nella santa carità di Dio.



Confortati da parte di Cecca stolta e d'Alessa e di Giovanna pazza, e confortate tutte quante da parte di Cristo crocifisso. Gesù Gesù.







145. Alla regina d'Ungaria, cioè alla madre del re.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissima e reverenda madre in Cristo Gesù, io vostra indegna Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, mi vi racomando e scrivo a voi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi tutta accesa e infiammata di dolce e amoroso fuoco di Spirito santo; considerando me che egli è quello amore che tolle ogni tenebre e dona perfetta luce, tolle ogni ignoranza e dà perfetto cognoscimento.

Poiché l'anima che è piena di Spirito santo, cioè del fuoco de la divina carità, sempre conosce sé medesima non essere, ma conosce in sé quella cosa che non è - cioè lo peccato -; e ogni essere e ogni grazia e dono spirituale e temporale retribuisce al suo Creatore, parendoli, come egli è, avere ricevuto e ricevare per grazia e non per debito, né per servizio che facesse mai al suo Creatore. Questo è quello vero cognoscimento, venerabile madre, che aricchisce l'anima, poiché le dà la maggiore ricchezza che possa ricevare, cioè che, conoscendo sé non essere, segue a mano a mano di conoscere la bontà di Dio in sé.

Nel quale cognoscimento nasce una vena di profonda umilità, che è una acqua graziosa che spegne lo fuoco de la superbia e accende lo fuoco de la divina ardentissima carità, lo quale riceve per lo cognoscimento de la bontà di Dio in sé. Poiché l'anima, che vede tanto smisurato amore che verso di sé ricevette da Dio, non può fare che non ami, perché è condizione dell'amore d'amare ciò che colui ama lo quale egli ama, e odiare ciò che egli odia. E però subito che noi aviamo veduti noi e veduta la divina bontà, noi amiamo e odiamo, e non può essere che senza questo cognoscimento noi possiamo participare la divina grazia.

Ché colui che non conosce sé, cade in superbia e in ogni difetto; e perché la superbia acieca l'anima e impovariscela e diseccala - perché le priva della grassezza de la grazia -, non è atto a governare né sé né altrui. E però vi dissi che io desideravo di vedervi ripiena del fuoco de lo Spirito santo (vedendo che voi avete a reggiare voi i sudditi vostri: èvi bisogno di grande lume e di grande e ardentissimo amore verso l'onore di Dio e la salute de le creature, sì che non ci caggia amore proprio né timore servile, ma spogliata di voi medesima, voi e il figlio vostro), vedere e sentire accesi di questo amoroso fuoco, che, poi che aviamo odiata questa nostra parte sensitiva che sempre vuole ribellare al suo Creatore, siamo amatori de la virtù del dolce e buono Gesù.

Ma questo amore sapete che non possiamo mostrare senza alcuno mezzo, cioè del prossimo nostro; sopra questo amore sono fondati i comandamenti de la legge: amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come sé medesimo (Mt 22,37-39), d'amore puro e non mercennaio, cioè d'amare noi per Dio e Dio per Dio - in quanto è somma bontà e degno d'essere amato - e il prossimo per Dio. E veramente, madre carissima, che quando l'anima raguarda l'Agnello dissanguato in su' legno de la santissima croce per l'amore ineffabile che egli ha alla sua creatura, concepe un amore sì grande verso la salute dell'anima che darebbe sé medesimo a cento migliaia di morti, per campare una anima da la morte eterna: e neuno sacrifizio potete fare che sia più piacevole a Dio che questo. Ché voi sapete che tanto gli dilettò questo cibo che non si curò di veruna amaritudine: né pena né morte, né strazii né scherni, né ingratitudine nostra nol ritrasse che egli non corrisse, sì come ebbro e inamorato de la salute nostra, all'obrobio de la santissima croce.



Io invito voi e il vostro figlio a questo dolce cibo, e trovato aviamo lo luogo dove voi lo potiate prendare; lo tempo è già venuto, maturo è lo frutto. Lo luogo è lo giardino de la santissima Chiesa: in questo giardino si pascono tutti i fedeli cristiani, poiché ine v'è piantato l'arbolo de la croce, dove si riposa lo frutto dell'Agnello, dissanguato per noi con tanto fuoco d'amore che doverebbe accendere ogni cuore.

O frutto suavissimo, pieno di gaudio, di letizia e consolazione: quale cuore si potrebbe tenere che non scoppiasse d'amore, a raguardare questo dolce e saporoso frutto, cioè lo dolce e buono Gesù, lo quale Dio Padre ha dato per Sposo alla santa Chiesa? Doviamo dunque noi corrire come inamorati, ed essere amatori come fedeli cristiani, membri legati in questa sposa, corpo mistico.

Pregovi, per l'amore di Cristo Crocifisso, che voi soveniate a questa sposa, bagnata del sangue dell'Agnello, ché vedete che ognuno le fa noia, e cristiani e infedeli, e voi sapete che nel tempo del bisogno si debba mostrare l'amore. La Chiesa ha bisogno, e voi avete bisogno: ella ha bisogno del vostro aiuto umano, e voi del suo divino; sappiate che tanto quanto più le donarete dell'aiuto vostro, più participarete della divina grazia, fuoco di Spirito santo, che in essa sposa si contiene. O sposa dolce, ricomprata del sangue di Cristo, tu sei di tanta eccellenza che veruno membro che sia tagliato da te non può ricevare né pasciarsi del frutto detto di sopra. Bene c'è dunque, venerabile e carissima madre, necessario, a voi e a me e a ogni creatura, amarla e servirla in ogni tempo, ma singularmente al tempo del bisogno.

Io, misera miserabile, non ho di che aitarla - ché se per aiuto lo sangue mio le fusse, svenarei e aprirei lo corpo mio -, ma io farò così, di quella poca particella che Dio mi darà, che le sia pro e utile: non ci vedo altra utilità in me che io possa dare, se non lacrime sospiri e continua orazione. Ma voi, madre, e signore missere lo re vostro figlio, potete aitare con l'orazione per santo desiderio, fino che volontariamente per amore la soveniate con l'aiuto umano. Non schifate, per l'amore di Dio, questa fatica, ma abracciatela per Cristo Crocifisso e per vostra utilità, essaltazione e compimento della vostra salute.

Pregate lo caro vostro figlio strettamente che con amore si profferi e servi la santa Chiesa, che se il nostro Cristo in terra l'adimanda e volesse ponarli questa fatica, pregatelo che l'accetti fedelmente la sua petizione e adimando, confortando lo padre santo a crescerli lo santo proponimento di fare lo santo e dolce passaggio sopra li cani malvagi infedeli, che possegono lo nostro e anco più, ché, secondo che io intendo, i ne vengono oltre a più potere. Grande vergogna è dei cristiani, di lasciare possedere quello santo e venerabile luogo, lo quale per ragione è nostro. Non è più da tenere occhio, ma, come figlio affamato del servigio di Dio, è da levarsi e racquistare lo vostro, in salute delle anime loro ed essaltazione della santa Chiesa. Fatevi ragione che vi fusse tolta una de le vostre città: sono certa che ne porreste ogni rimedio e sforzo che poteste infine alla morte, per racquistare e riavere lo vostro. Or così vi prego che facciate a sovvenire quello che c'è tolto; e tanto più e con maggiore sollicitudine dovete attendare a questo, quanto qui si soviene all'anime e al luogo; e nella vostra città sarebbe solo la terra.

Credo che aviate inteso come i Turchi a più possa perseguitano i cristiani, tollendo le terre della santa Chiesa; per la qual cosa lo padre santo è disposto e apparecchiato a fare uno principio d'uno santo passaggio sopra di loro: credo per la bontà di Dio che vi disporrete, voi e gli altri, ad aitarlo e confortarlo sopra questo fatto, in ciò che potrete. Io ve ne prego e constringo da parte di Cristo Crocifisso, che ne siate sollicita e non negligente. Sia questo strumento a farvi ricevare e stare nella plenitudine della divina grazia del fuoco de lo Spirito santo, del quale l'anima mia desidera di vedervi piena.

Sappiate, carissima madre, che di questo medesimo che io prego voi, io n'ho scritto alla regina di Napoli e a molti altri signori, e tutti mi possiedenno risposto bene e graziosamente, profferendo di dare aiuto con l'avere e con la persona, accesi di grande desiderio a dare la vita per Cristo, parendo lo' mille anni che il santo padre rizzi lo gonfalone della santissima croce. Spero, per la inestimabile carità di Dio, che tosto lo levarà, e in questo vi prego che seguitiate loro. Laudato sia Gesù Cristo Crocifisso, e vi riempia della sua santissima grazia. Non dico più.



Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

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19/10/2012 15:53

146. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, quando era biblico di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo che per noi fu crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo padre - per reverenzia di quello dolcissimo sagramento - e figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi arso e affogato e consumato ne la sua ardentissima carità, sapendo che colui ch'è arso e consumato di questa vera carità, non vede sé. Questo voglio che facciate voi.

Io v'invito a entrare in uno mare pacifico, per questa ardentissima carità, e mare profondo: questo ho trovato ora di nuovo - non che sia nuovo lo mare, ma è nuovo a me nel sentimento dell'anima mia - in quella parola «Dio è amore» (1Jn 4,8). E in questa parola, sì come lo specchio rappresenta la faccia dell'uomo, e il sole la luce sua sopra la terra, così rappresenta nell'anima mia tutte quante le opere essare solamente amore, poiché non è fatta d'altro che d'amore, e però dice egli: «Io sono Dio amore».

Di questo nasce uno lume nel misterio inestimabile del Verbo incarnato, che per forza d'amore è stato dato con tanta umilità che fa confondere la mia superbia: insegnaci a non raguardare pure alle opere sue, ma all'affetto infocato del Verbo donato a noi; ma dice che facciamo come colui che ama, che, quando l'amico giogne con uno presente, non mira a le mani per lo dono ched i reca, ma uopre l'occhio dell'amore e raguarda lo cuore e l'affetto dell'amico suo. E così vuole che facciamo noi: quando la somma eterna sopradolce bontà di Dio visita l'anima nostra, ed è visitata con ismisurati beneficii, fate che subito la memoria s'uopra a ricevare quello che lo intendimento intende ne la divina carità; la volontà si leva con ardentissimo desiderio, e riceve e raguarda lo cuore consumato del dolce e buono Gesù che è donatore.

Così vi trovarete affogato e vestito di fuoco e del dono del sangue del Figlio di Dio; sarete privato d'ogni pena e malagevolezza. Questo fu quello che tolse la pena ai discepoli santi, quando lo' convenne lasciare Maria e l'uno l'altro; ma per seminare la parola di Dio volentieri lo portarono. Corrite corrite corrite.

Dei fatti di Benencasa non posso rispondare se io non sono a Siena. Ringraziate misser Nicolaio de la carità che ha adoperata per loro. Alessa e io Cecca poverella vi ci racomandiamo mille migliaia di volte.

Dio sia sempre nell'anima vostra. Amen. Gesù Gesù. Caterina, serva dei servi di Dio.







147. A Sano di Maco, essendo ella in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue suo, il quale sparse in sul legno della santissima croce, costretto solo dal legame della sua ardentissima carità, la quale avea a la creatura.

Così dice la bocca de la dolce prima Verità che, per la smisurata carità che aveva Dio a l'umana natura, mandò esso Padre celestiale il suo diletto Figlio, affinché non perisse la creatura sua, ma salvassesi lo mondo per lui. O inefabile e inistimabile carità di Dio, che, per salvare il suo ribelle e a lui disobbediente, diede sé medesimo a essere creatura, a esser spregiato, infamato e vituperato, schernito e a l'ultimo vituperosamente morto come malfattore! Con-ciò-sia-cosa-ch'egli non avesse fatto né detto cosa di nessuna riprensione; ma noi eravamo quelli che avamo comessa la colpa, per la quale egli portò la pena, per nostro amore. Bene m'amasti, dolcissimo amore Gesù, e in questo m'insegni quanto mi debbo amare me medesimo e i fratelli miei, i quali tu tanto amasti, non avendo bisogno di noi come noi di te.

E però, dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo Gesù, sempre si conviene che l'anime nostre sieno mangiatrici e gustatrici delle anime dei nostri fratelli, e di nullo altro cibo ci dobiamo mai dilettare, sempre aiutandoli con ogni solecitudine, dilettandoci di ricevare pene e tribulazioni per amore di loro: poiché questo fu il cibo del nostro dolce Salvatore. Ben vi dico che il nostro Salvatore me ne dà a mangiare. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce etc.





148. A Piero marchese dal monte Sante Marie, quando era Sanatore di Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissimo e carissimo padre e figlio: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi cavaliere virile e non timoroso: l'uomo non debba temere quando si vede l'arme forte.

O carissimo figlio, noi vediamo che Dio ha armato l'uomo d'una arme che è di tanta fortezza che né demonio né creatura lo può offendare: questa è la libera volontà dell’uomo, e per questa libertà Dio dice: «Io ti creai senza te, ma io non ti salvarò senza te». Vuole dunque Dio che noi adoperiamo l'arme la quale ci ha data, e che facciamo, con essa, resistenza ai colpi che noi riceviamo da' nemici nostri.

Tre nemici singulari abbiamo: lo mondo, la carne e il demonio. Ma non temiamo, ché la divina providenzia ci ha armati sì bene che non ci bisogna temere. Buona è l'arme, ottimo è l'aiutatore: l'aiutatore è Dio, ed è sì-fatto che neuno è che possa fare resistenza a lui; in tanto quanto l'anima raguarda sì dolce e forte aiutatore, non può cadere in debolezza per nessuna sua fragilità la quale si sentisse. Questo parbe che vedesse lo dolce inamorato di Paulo, quando dice: «Ogni cosa potrò per Cristo Crocifisso, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13); ché, quando Paulo sentiva la molestia e lo stimolo della carne, egli si conforta, non in sé, che si vede debole, ma in Cristo Gesù, e ne la buona arme forte, la quale Dio ha data, della forte libertà; e però dice: «Ogni cosa potrò», ché né demonio né creatura mi può constrignare a uno peccato mortale se io non voglio.

Ché, se l'uomo non si trae questa arme di dosso e mettela in mano del demonio, cioè per consentimento di volontà, mai non è vinto. Ché, perché le tentazioni e illusioni de i demoni e de la carne e del mondo vengano e gittino le saette avelenate (e la carne i pensieri e movimenti ladii; e il demonio con le variate tentazioni frodi ed inganni suoi; e il mondo con la pompa, vanità e superbia), la libertà, che è donna, se non consente a questi disordenati intendimenti, non offende mai, poiché il peccato sta solo nella volontà: questo ci ha dato Dio per grazia e non per debito.

Non voglio, figlio mio dolce in Cristo Gesù, che temiate per veruna cosa che sentiste, poi che Dio ci ha fatta tanta grazia che egli è nostro aitatore et àcci data buona arme, e più, che egli è rimaso morto e vincitore in sul campo della battaglia. Morto è; e morendo in su' legno della santissima croce è vincitore, poiché la morte ci ha data la vita, ed è tornato a la città del Padre eterno, con la vittoria della sposa sua, cioè dell'anima nostra, la quale Dio sposò prendendo la natura umana: ben si die l'uomo muovare e aprire l'occhio del cognoscimento e raguardare tanto fuoco d'amore! Sconfitti sono i nemici e tratti siamo de le mani deli demoni, che possedevano e tenevano l'anima come sua; sconfisse lo mondo e la superbia umiliandosi a l'uomo; sconfitto è lo corpo suo sostenendo morte, pena, obrobio, rimproverio, ingiurie, strazii, scherni e villanie per noi. Bene ci possiamo Perciò confortare, poi ch'i nemici sono sconfitti.

Seguiamo le vestigie sue, cacciando lo vizio con la virtù, la superbia con l'umilità, la impazienzia con la pazienza, la ingiustizia con la giustizia, la immundizia con la perfetta umilità e continenzia, la vana gloria con la gloria e onore di Dio, che, ciò che noi facciamo e adoperiamo, sia a gloria laude ed onore del nome del nostro Gesù. Faccisi una dolce e santa guerra contro questi vizii, e tanto quanto noi raguardaremo lo dolce sangue, tanto più sarà inanimata l'anima a fare più grossa guerra, vedendo che per lo peccato lo padre è rimaso morto. E farà come il figlio, che vede lo sangue del padre, che cresce in odio verso lo nemico che l'ha morto. Così fa l'anima che raguarda lo sangue del suo Creatore: cresce e concepe in sé uno odio e pentimento verso lo nemico suo che l'ha morto.

E se voi mi diceste «Chi l'ha morto?», vediamo che solo lo peccato è cagione della morte di Cristo, e l'uomo è quello che commette lo peccato; Perciò si può dire che noi siamo coloro che avesseamo morto lo Figlio di Dio: ogni ora che pecchiamo mortalmente lo possiamo dire. Doviamo dunque fare vendetta di noi medesimi, cioè delle perverse cogitazioni vizii e peccati, ché lo maggiore nemico che avessea l'uomo è esso medesimo. Quando l'anima raguarda lo suo Padre e la sua sensualità che l'ha morto, non si può saziare di farne vendetta, per sì-fatto modo che egli è contento di vederli sostenere ogni pena e tormento, sì come suo nemico mortale.

Or così voglio che facciate voi, e affinché questo voi potiate bene fare, io voglio che poniate dinanzi da voi la memoria del sangue del Figlio di Dio, sparto con tanto fuoco d'amore, lo quale sarà a voi uno continuo baptesmo di fuoco, lo quale purifica e scalda sempre l'anima nostra in tollendole ogni freddezza di peccato. Raguardate figlio lo dolce Agnello in su la croce, che vi s'è fatto cibo, mensa e servidore.

Troppo sarebbe grande ignoranza se fussimo negligenti a pascerci di questo dolce cibo.

Se mai ci fusse caduta negligenzia, io v'invito a perfetta sollicitudine per le dolci e graziose novelle, cioè del buono desiderio che io ho udito del giudice d'Alberoa, profferendosi in avere e in persona graziosamente a dare la vita per Cristo, sì che io godo ed essulto, vedendo la disposizione santa, e il tempo abreviare. Non dico più. Perdonate alla mia ignoranza. Ringraziovi molto dell'affettuoso amore e limosina che faceste a frate Iacopo. Dio vi remuneri di sé. Benedite e confortate Nieri e tutti gli altri.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





149. A misser Piero Gambacorti, signore di Pisa.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Venerabile padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi, racomandandovisi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi l'affetto e il desiderio vostro spogliato e sciolto dalle perverse delizie e diletti disordenati del mondo, le quali sono cagione e materia che parte e divide l'anima da Dio. Però ch'egli è necessario che l'anima, ch'è legata con Cristo crocifisso, somma e eterna bontà, sia sciolta e tagliata dal secolo; e colui che ha legato l'affetto suo nel secolo è tagliato da Cristo, poiché il mondo non ha nessuna conformità con Cristo, come disse la prima Verità: «Neuno può servire a due signori contrarii; poiché, se serve a l'uno, è in contempto a l'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13).



O carissimo padre, quanto è perverso questo legame! Certo è che l'uomo ch'è legato nella perversità del peccato, egli è come colui che ha legate le mani e i piei, e non si può muovare. Così l'anima ha legate le mani che non può muovare nessuna opera a Cristo, né i piei de l'affetto: non si muove a fare nessuna buona opera che sia fondata in grazia. Oimé oimé, quanto è cosa pericolosa lo peccato ne l'anima! di quanto bene priva la creatura, e di quanto male la fa degna! Falla degna della morte, e tollele la vita; tollele lo lume, e dàlle le tenebre; tollele la signoria, e dàlle la servitudine. Poiché colui che abonda nel peccato è servo e schiavo del peccato, ha perduta la signoria di sé e lassasi possedere a l'ira e agli altri difetti.

Or che sarebbe, padre carissimo, se noi signoreggiassimo tutto il mondo, e non signoreggiassimo i vizii e peccati che sono in noi? Eglino ci tolleno lo lume della ragione, che non ci lassa vedere in quanto stato di dannazione egli sta, e in quanta sicurezza sta l'anima ch'è legata col dolce Gesù. Egli ha perduto la vita della grazia, perché s'è tagliato dalla vera vita, sì come lo tralcio ch'è tagliato dalla vite, che è secco e non fa frutto; così la creatura, tagliata dalla vera vite, è secca e putrida, degna del fuoco eterna.

Oimé dolente! questa è la grande cecità: che, non essendo né dimonia né creatura che possa legare l'uomo a uno peccato mortale, esso medesimo si lega. Perciò destianci dal sonno della negligenzia e ignoranza; tagliate questo perverso legame! Tutto questo adiviene perché il peccato e il mondo non hanno conformità con Cristo crocifisso, ché il mondo cerca onore, diletti e signorie, e Cristo benedetto elesse vitoperio e strazii, villanie, e ne l'ultimo l'obrobiosa morte della croce. Volse essere servo e obediente, non trapassatore della legge né della volontà del Padre, ma sempre cercando l'onore suo e la salute nostra: or seguiamo le vestigie sue.

Con questo dolce e vero legame vi prego e voglio che siamo legati, e affinché questo meglio potiate fare, aprite l'occhio del conoscimento di voi medesimo, e vedarete voi non esser nulla, ma sempre operatore di miseria e d'iniquità. E così nascerà in voi una vena di giustizia santa, con vera e profonda umilità: giustamente darete a Dio quello che è suo, e a voi darete quello ch'è vostro. Poi riguardarete nell'abisso de la ismisurata sua carità, vedendo come l'Agnello dissanguato con pazienza e mansuetudine ha portate le nostre iniquità. O amore inestimabile, con quanta pazienza hai dato la vita, e presti lo tempo, e aspetti la creatura che corregga la vita sua! E in questo modo, conoscendo in voi la bontà di Dio come adopera, sarete legato e unito col vincolo della carità, lo quale è dolce e soave sopra ogni dolce. Non v'indugiate, ché il tempo è breve e il punto della morte ne viene che non ce n'avediamo.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che ne lo stato vostro voi teniate l'occhio dirizzato verso la santa e divina giustizia. Non per piacimento di nessuna creatura né per odio, ma solo per divina giustizia punire lo difetto quando si trova; e singularmente lo vostro peccato, quando lo trovate, punitelo e vituperatelo quanto potete: e guardate che non chiudiate li occhi per non volerlo vedere, ché molto ne sareste ripreso da Dio. Siate siate solicito quanto potete, con affettuoso amore. Tutte le vostre opere sieno legate in Cristo Gesù: questo è quello legame che l'anima mia desidera, considerando me che senza questo non potete avere la vita della grazia. Non dico più qui.

Ricevetti una vostra lettara, la quale viddi con affettuoso amore, unde io conosco che non mia virtù né mia bontà - perché sono piena di peccato e di miseria -, ma solo l'amore e bontà vostra e di coteste sante donne vi mosse umilimente a scrivare a me, pregandomi ch'io debba venire costà. Per la qual cosa io volontariamente verrei adempire lo desiderio vostro e loro; ma per ora io mi scuso, ché la impossibilità del corpo mio non mi lassa, e anco vego che per ora io sarei materia di scandolo. Ma spero nella bontà di Dio che, se vedrà che sia suo onore e salute delle anime, mi farà venire con pace e con riposo senza altre mormorazioni; e io sarò apparecchiata al comandamento della prima verità, e ubidire anco al vostro.

Rimanete etc. Cristo vi rimuneri della sua dolcissima grazia.

Racomandomi con affettuoso amore a coteste donne che preghino Dio per me, che mi faccia umile e suggetta al mio Creatore. Amen. Lauldato sia Gesù Cristo crocifisso.







150. A frate Francesco Tedaldi di Firenze nell'isola di Gorgona, monaco certosino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante nella virtù fino a la morte; poiché la perseveranza è quella virtù che è coronata.

Ella porta lo fiore e la gloria della vita dell’uomo; ella è compimento d'ogni virtù - tutte l'altre le sono fedeli -; ella non esce mai della navicella della religione, ma sempre vi naviga dentro fino che giogne a porto di salute; ella non è sola, ma accompagnata: tutte le virtù le sono compagne, ma singularmente due, cioè la fortezza e la pazienza; e ella è lunga e perseverante.

Perché è detta lunga questa perseveranza? Perché tiene, dal principio che l'anima comincia a volere Dio fino all'ultimo, che mai non si lassa scortare, per veruno inconveniente che venga. Non la scorta la prosperità per disordinata allegrezza né leggerezza di cuore, né consolazione spirituale, né verun'altra cosa che a consolazione s'appartenga; e non la scorta la tribulazione, né ingiuria, scherni o villania che le fusse fatta o detta: non per peso né gravezza de l'Ordine né per grave obbedienzia che gli fusse imposta.

Tutte queste cose non la scortano per impazienzia - ma con pazienza persevera nelle fatiche sue -: non per battaglie o molestie di demonio, con false e varie cogitazioni, o con disordinato timore o infedelità che gli mettesse verso lo suo prelato.

Non la scortano, poiché non è senza lo lume, ma lo lume della fede sempre leva inanzi; unde la perseveranza risponde al disordinato timore dicendo: «Io spero per Cristo crocifisso ogni cosper potere, e perseverare fino a la fine». Alla infedelità risponde la perseveranza all'affetto de l'anima, con fede di perseverare, dicendo: «Per veruno tuo vedere né parere non voglio diminuire la reverenzia debita, né la subiectione la quale io debbo avere e portare al prelato mio». Ella piglia uno giudicio santo nella dolce volontà di Dio affinché non le venga giudicato la volontà della creatura, poiché il lume l'ha mostrato che, facendo altrimenti, essofatto sarebbe scortata, e non sarebbe longa la reverenzia né l'obbedienzia né l'amore.

E però lo lume le mostra, affinché l'amore non allenti nel tempo che il demonio, sotto colore di fare meglio e più pace sua, gli mostra che si ritraga dalla conversazione del prelato suo e della presenza d'esso - o di chiunque avesse dispiacere che egli più s'accosti e più conversi -: sforzando sé medesimo, ricalcitrando al suo falso parere, affinché la infedelità non se gli notrichi ne l'anima e non sia scortata dallo sdegno. O dolcissimo, dilettissimo e carissimo figlio - caro mi sete quanto l'anima mia -, la lingua non potrebbe narrare quanti sono gli occulti inganni che il demonio dà sotto colore di bene, per scortare la via della longa perseveranza; e massimamente sopra questa ultima della quale io ora v'ho detto, perché da questo, se egli nel fa cadere, lo potrà poi pigliare in ogni altra cosa.

Se il suddito a qualunque obbedienzia si sia perde la fede di chi l'ha a guidare - cioè che egli seguiti quello che gli detta la infedeltà -, il demonio ha il fondamento dove si debba ponere l'edificio delle virtù, e però si pone egli ine. Poiché colui che, per sua ignoranza in non resistere, si lassa togliere questo principio, non è pronto all’obbedienza: egli è atto a giudicare gli atti e le opere secondo la sua infermità e non secondo la verità; egli è impaziente e molte volte cade ne l'ira; generagli tedio e rincrescimento in ogni sua opera. Veramente questa infedelità è uno veleno che atosca tanto il gusto de l'anima che la cosa buona gli pare gattiva, e l'amara dolce; lo lume gli pare tenebre, e quello che già vidde in bene gli pare vedere in male: sì che drittamente ella è uno veleno. Ma voi direte a me, figlio mio: «Chi camparà l'anima da questo? o per che modo? Ché io non vorrei cadere in questo, se io potesse». Dicovelo: la virtù piccola della vera umilità è quella che tutti questi lacci rompe e fracassa; e tra'ne l'anima non diminuita, ma cresciuta, poiché lo lume le mostra che elle erano permesse dalla divina bontà per farla umiliare, o per crescerla in essa virtù. Unde con affetto d'amore l'ha presa, umiliandosi e concolcando il suo parere continuamente sotto ai piedi dell'affetto: per questo modo risiste continuamente.

è vero che un altro modo c'è a risistere, il quale non esce però di questo: cioè che giamai non fugga lo luogo della presenza, poiché egli non fuggirebbe il sentimento dentro, anco lo trovarebbe sempre vivo; perché a fuggire non si stirpa, ma con la impugnazione. E però la perseveranza, che l'ha veduto col lume, sta ferma e perseverante nel campo della battaglia: non schifa colpo di veruna tentazione. Piglia bene l'arme de l'umile continua e fedele orazione, la quale orazione è una madre vestita di fuoco e inebriata di sangue, che notrica al petto suo i figli delle virtù. Unde necessario è che l'anima virtuosa participi e vestasi di questo medesimo fuoco, e l'affetto sia inebriato del sangue. Quale sarà quello demonio, o quale creatura, o noi medesimi dimoni - cioè la propria sensualità nostra -, che possino resistere a così-fatta arme? Quale sarà quello lacciuolo che possa legare l'umilità? Neuno ne sarà che resistere ci possa che la perseveranza, nel modo che detto aviamo, non basti fino all'ultimo, quando la carità metterà in possessione l'anima nella vita durabile, dove è ogni bene senza veruno male. Ine riceverà il frutto d'ogni sua fatica: questa fa l'anima forte che mai non indebilisce; fa il cuore largo e non stretto, che vi cape ogni creatura per Dio, in tanto che tutte reputa che siano l'anima sua.

Perciò levatevi su, figlio; attaccatevi al petto di questa madre orazione - se voi volete essere perseverante con vera umilità -, e non la lassate mai, sì che compiate la volontà di Dio in voi, il quale vi creò per darvi vita eterna, e àvi tratto del loto del secolo perché corriate morto per la via della perfezione.

O quanto sarà beata l'anima mia quand'io sentirò d'avere uno figlio che viva morto; e nella morte della propria volontà e parere perseveri fino a la morte corporale! Se questo non fusse non mi reputarei beata, ma molto dolorosa; e però fugo questo dolore con grande sollecitudine, nel cospetto di Dio, dove io vi tengo per continua orazione. E però dico: con desiderio io desidero di vedervi costante e perseverante nella virtù fino alla morte. E così vi prego e stringo da parte di Cristo crocifisso, che giamai non perdiate tempo, ma sempre v'annegate nel sangue de l'umile Agnello. L'amaritudine vi paia uno latte; e il latte delle proprie consolazioni, per odio santo di voi, vi paia amaro.

Fugite l'ozio quanto la morte. La memoria s'empia dei beneficii di Dio e della brevità del tempo; lo intelletto si specoli nella dottrina di Cristo crocifisso; e la volontà l'ami con tutto lo cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze vostre (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), affinché l'affetto e tutte le vostre opere siano ordinate e dirizzate ad onore e gloria del nome di Dio e in salute de l'anime. Spero nella sua infinita misericordia che a voi e a me darà grazia che voi lo farete.

Ho ricevuta grande consolazione dalle lettere che ci avete mandate, io e gli altri, perché grande desiderio aviamo di sapere novelle di voi. Parmi che il demonio non abbi dormito né dorma sopra di voi; della quale cosa ho grande allegrezza, perché vedo che per la bontà di Dio la battaglia non è stata a morte, ma a vita.

Grazia, grazia al dolce Dio eterno che tanta grazia ci ha fatta! Ora si vuole cominciare a conoscere voi non essere; ma l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere riconoscere da colui che è (Ex 3,14). A lui si renda grazia e gloria, perché così vuole egli: che a lui diamo lo fiore e nostro sia lo frutto.

Di quello che scrivete di Barduccio etc.

Rimanete nella santa e dolce etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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Sesso: Femminile
19/10/2012 15:55

151. A madonna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, iscrivo a voi nel suo sangue prezioso, con disiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienza, ché in altro modo non potremo piacere a Dio, ma gusteremo in questa vita la caparra dell’inferno.

O vera, o dolce pazienza, la quale sei quella virtù che non sei mai vinta, ma sempre vinci tu! Tu sola sei quella che mostri se l'anima ama lo suo Creatore o no, tu ci dai speranza della gloria. Tu solvi l'odio e il rancore del cuore, tu togli il dispiacere del prossimo. Tu privi l'anima della pena, e i gravi pesi delle tribulazioni sì fai leggieri; l'amaritudini per te diventano dolci. E in te pazienza, virtù reale, acquistata colla memoria del sangue di Cristo crocifisso, troviamo la vita.

O carissima madre, fra l'altre virtù questa c'è più necessaria, perché non possiamo questo mare passare sanza le molte tribulazioni, da qualunche lato noi ci volgiamo. Questo mare coll'onde sue, e'l demonio ci percuote colle molte tentazioni; e più, ché quello che non può fare per sé medesimo, egli il fa per mezzo delle creature, ponendosi in su le lingue e nei cuori degli servi suoi, e ponsi dinanzi all'occhio dell’intelletto, faccendogli vedere quello che non è. E così concepe nel cuore diverse cogitazioni e dispiaceri verso del prossimo suo, e spesse volte di quegli che esso più ama. Poi che esso l'ha dentro concepute, ed egli si pone in sulla lingua, e fagli partorire colla parola, e colla parola giugne all'effetto, per questo modo divide l'amante dalla cosa amata. Veggiamo le impazienzie, e i rancori e gli odii privarci dell'unità dell'amore.

Non è da credegli, anzi è da salire sopra alla sedia della coscienza sua e tenersi ragione, e pararsi dinanzi a questa onda pericolosa dello odio e pentimento di noi, con aprire l'occhio dell’intelletto, e conoscere Dio e la sua bontà e la sua eterna volontà, che non cerca e non vuole se non la nostra santificazione, ché permette che il demonio ci faccia tribulare e perseguitare dagli uomini solo perché in noi si pruovi la virtù dell'amore e della vera pazienza etc., e l'amore imperfetto venga a perfezione: la virtù dell'amore si pruova e si fortifica col mezzo del prossimo nostro.

Insegnaci amare Dio per Dio - in quanto è somma ed eterna bontà e è degno d'essere amato - e sé per Dio, e il prossimo per Dio, non per propia utilità, non per diletto, non per piacere che truovi in lui, ma in quanto criatura amata e creata dalla somma bontà. Servi al prossimo e servilo di quello che a Dio non possiamo servire: perché a Dio non possiamo fare utilità, dobbialla fare al prossimo nostro. Ad questo modo si pruova la perfezione dell'amore: quando egli è così perfetto, non lascia d'amare e di servire, né per ingiuria né per dispiacere che gli sia fatto, né perch'egli non truovi diletto né piacere in lui, perché solo attende a piacere a Dio; sì che per questo fine concede Dio tutte le tribulazioni che noi abbiamo. Il demonio il fa per lo contrario, e fallo per rivocarci dall'affetto della carità. Ma noi come prudenti faremo contro alla intenzione del demonio e seguiteremo la dolce volontà d'Dio. Lo mondo ha a perseguitare con tutto il suo potere con molti fragelli, colla poca fermezza e stabilità e colla povertà sua, ché è tanto povero che non può saziare l'affetto nostro, poiché tutte le cose del mondo sono meno di noi e sono fatte in nostro servigio, e noi siamo fatti solo per Dio. Perciò solo Dio serviamo con tutto il cuore e con tutto l'affetto (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), poiché è quello bene che pacifica e sazia il cuore.

Poi ch'è tanto necessaria e utile questa pazienza, conviencela acquistare. In che modo l'avremo? col lume, aprendo l'occhio dell’intelletto e conoscere sé non essere, l'essere suo retribuire alla inestimabile carità d'Dio: così conosce la sua bontà per l'essere e ogni grazia che è fondata sopra l'essere. Poi che ha veduto sé essere amato da Dio, vede che per amore ci ha dato lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, e il Figlio ci ha data la vita. Poi ch'egli ci ha data la vita con tanto fuoco d'amore, dobbiamo tenere di fermo che ogni fatica, da qualunche lato elle vengono, o prospere o avverse, sono date per amore e non per odio ma solo per nostro bene, perché abbiamo il fine per mezzo del quale siamo creati.

Anche dobbiamo vedere quanta è grande la fatica: troviamo ch'ella è piccola - tanto è grande quanto è il tempo, e il tempo quanto una punta d'ago -: né per larghezza né per lunghezza non è nulla. Sicché le nostre fatiche sono piccole e finite: la fatica che è passata non abbiamo, perché è fuggito lo tempo; quella ch'ella ha d'avere, noll'abbiamo perché non siamo sicuri d'avere lo tempo. Poi che avesseamo veduta la brievità sua, dobbiamo vedere quanto è utile; domandatene quello dolce innamorato di Pagolo appostolo, che dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria la quale Dio ha apparecchiata a coloro che il temono, e che portono con buona pazienza la disciprina santa che l'è conceduta dalla divina bontà» (Rm 8,18). Questo gusta la caparra di vita eterna in questa vita colla pazienza sua.

E se la fragilità nostra colla impazienzia volesse levare il capo contro al suo Creatore, e a non volere portare, consideri in sé medesimo, e vega dove induce la impazienzia: cominciandosi la caparra dello inferno in questa vita, giugne nell'ultimo nella eterna dannazione. Non vidi mai che per impazienzia si levassi nessuna fatica: anzi cresce, perciò che tanto è fatica quanto la volontà s'affatica. Togli addunche via la volontà propia sensitiva e vesti te della dolce volontà d'Dio, e è levata via la fatica. E questi sono i modi di venire a vera e perfetta pazienza. Priegovi per l'amore del dolce Gesù Cristo crocifisso, che non vi dilunghiate da questi dolci e suavi modi, affinché acquistiate la virtù della pazienza, perché so ch'è ella a voi di grande necessità, e a ciascuna persona. Conoscendo il bisogno, dissi che io disiderava di vedervi fondata in vera e santa pacienzia.

Pregovi, carissima madre, che per rifriggerio delle vostre fatiche e infermità temporali voi vi pognate per obbietto quello dissanguato e consumato Agnello, sicché il fuoco della sua carità riscaldi il cuore e l'anima vostra all'amore della pazienza e consumi ogni freddo e umidore d'amore propio sensitivo, passione e tenerezza di voi medesima, e vegnate a perfetto conoscimento della bontà d'Dio che v'ha conceduta la necessità e la infermità per vostro bene e vostra santificazione, perché il tempo passato nel quale offendemo tanto Dio con molta leggerezza e vanità di cuore si sconti e purghi in questo tempo finito.

Questo fa Dio per sua misericordia, che colla pena finita, ricevendola con grande amore e vera pazienza, ci perdona la pena infinita. Questo conoscimento santo troverrete nel cruciato amore dell'Agnello immacolato, lo sangue suo vi sarà uno unguento che darà refreggerio e consolazione alla anima nelle vostre infermità. E dicovi che tanto è la dolcezza che l'anima vi trova che non tanto ch'ella schifi le fatiche ma le parebbe male agevole quando ne fusse privata. Addunque poi che è di tanto diletto e di tanta necessità alla salute nostra, non aspettiamo il tempo perché non siamo sicuri d'averlo; ma con vera e santa sollecitudine leviamo lo desiderio nostro dalla propia sensualità e pognallo nel dolce Gesù benedetto crocifisso Cristo che è via e regola nostra. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità d'Dio dolce. Gesù dolce, Gesù amore.







152. A Giovanni Trenta e a monna sua donna da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Fratello e figlio carissimo, Giovanni, in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, vi benedico e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio. Con desiderio ho desiderato, caro figlio mio, di vedervi, voi e la famiglia vostra, spezialmente la sposa tua, in tanta unione e legame in virtù, sì e per sì-fatto modo che né dimonia né creatura nol possa rompare né separare da voi.

O figlia e figlio mio carissimo, non vi paia malagevole e duro a fare una cosa piccola per Cristo crocifisso. O quanto sarebbe grande ignoranza e miseria e fredezza di cuore, di vedere la somma eterna grandezza Cristo disceso a tanta bassezza quanta è la nostra umanità e non umiliarsi! Or non vedete voi Cristo povarello umiliato in uno presepio in mezzo degli animali, rifiutate ogni pompa e gloria umana? Unde dice santo Bernardo, commendando la profonda umiltà e povertà di Cristo, e a confondare la superbia nostra: «Vergognati, uomo superbo che cerchi onori e delizie e pompe del mondo. Tu credevi forse che il re tuo, agnello mansueto, avesse le grandi abitazioni e la gente onorevole». Non volse così la prima e dolce verità, anco elesse, per nostro essemplo e regola nostra, elesse ne la natività sua, la povertà tanto 'strema che non ebbe pannicello due invòllare, intanto che, essendo tempo di freddo, l'animale aciava sopra lo corpo del fanciullo; nell'ultimo de la vita sua ebbe tanta necessità, ed lo letto de la croce tanto 'stremo, che si lamenta che gli ucelli hanno lo nido e la volpe tana, e'l figlio de la Vergine non ha dove egli riposi lo capo suo (Lc 9,58).

O miseri miserabili a noi, terrannosi i cuori nostri, dolce fratello e sorella, che non si muovino e passino e rompino ogni illusione di demonia e detto di creatura? Virilmente vi date e con perfetta pace e unione a seguire le vestigie del nostro dolce salvatore, lo quale dirà a voi quella dolce parola: «Venite, figli miei, che per lo mio dolcissimo amore avete lassati gli appetiti disordenati de la terra: io vi rempirò e donaròvi i beni del cielo, darovi per uno cento e vita eterna possedarete.» Quando vi dà per uno cento la prima Verità? Quando egli infonde e dona la sua ardentissima carità nell'anima: questo è quello dolce cento, che senza esso non potremmo avere vita eterna, e con esso non ci può essare tolta la vita durabile.

Perciò io vi prego dolcemente che voi cresciate e non menoviate nel santo proponimento e buono desiderio lo quale Dio v'ha donato. Così desidera l'anima mia che facciate. Non dico più.

Dio vi doni la sua dolce eterna benedizione. Io, inutile serva, a tutti mi racomando; e io Giovanna pazza e tutte l'altre preghiamo che noi tutte moriamo infocate d'amore.





153. A monna Baccemea e monna Orsola, e altre donne da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnate e anegate nel sangue de lo dissanguato Agnello, considerando me che nel sangue aviamo la vita.

Però io voglio, dilettissime figlie, che apriate l'occhio dell'intelletto a raguardare nel vasello del cognoscimento di voi, nel quale cognoscimento trovate voi essere uno vasello dove si riceve questo glorioso e prezioso sangue, perché nel sangue è unita la natura divina intrisa col fuoco della carità. E però l'anima che raguarda nel vasello del cognoscimento di sé, trovando questo sangue, lo quale Dio ha dato per lo mezzo del Figlio suo, e perché lo sangue fu sparto solo per lo peccato, però vi trova lo cognoscimento di sé; vedendosi defettuosa, nel sangue chiama la divina giustizia: ché per fare giustizia del peccato commesso, sparse lo sangue suo. E conosce allora l'anima che l'eterna volontà di Dio non cerca né vuole altro che la sua santificazione; poiché, se egli avesse voluto altro che il nostro bene, non avrebbe data la vita. Perciò specchiatevi nel sangue, che il trovate nel vasello di voi medesime.

Aprite, aprite l'occhio dell'intelletto ne la potenza del Padre eterno, lo quale trovate in questo sangue per l'unione de la natura divina nella natura umana. Trovarete la sapienza del Figlio - nella quale sapienza cognosciarete la somma ed eterna sua bontà e la miseria vostra -, trovando la clemenza dello Spirito santo, lo quale fu quello legame che unì Dio nell’uomo, e l'uomo in Dio, e tenne confitto e chiavellato questo Verbo in su' legno de la santissima croce; e così s'empirà e distenderà la volontà vostra ad amare.

Sì e per sì-fatto modo vi legarete con Cristo crocifisso, che né demonio né creatura ve ne potranno mai separare; ma ogni contrario che a voi venisse vi fortificarà in amore e in unione con Dio e col prossimo vostro, poiché nei contrarii si pruova la virtù, e tanto quanto la virtù è più provata nell'anima, tanto è più perfetta questa unione fatta col suo Creatore. Sì che parendovi forse alcune volte che le tribolazioni siano cagione di separarvi da l'unione di Dio e da la virtù, ed i non è così; anco sono acrescimento di virtù e d'unione, ché l'anima savia, del sangue di Cristo crocifisso vestita, quanto più si vede perseguitare e scalcheggiare dal mondo, tanto più leva l'affetto dal mondo. E se elle sono battaglie che procedano dal demonio, elle ci fanno umiliare e levare dal sonno de la negligenzia, e fannoci venire a perfetta sollicitudine. Torràvi, se sarete savie e prudenti, ogni ignoranza, e conceparassi uno lume e uno cognoscimento; sì e per sì-fatto modo ricevarete grazia che non tanto che renda lume in voi, ma rendarallo di fuore nell'altre creature per essemplo e specchio di virtù, e così adempirete la parola del nostro Salvatore, che noi doviamo essere lucerna ardente, che renda lume e non tenebre.

Orsù, dilettissime figlie, fate che io non vi senta più dormire, né tenebrose per amore proprio, ma con un amore ineffabile, nel quale amore cerchiate voi per Dio, e'l prossimo per Dio, e Dio per Dio, in quanto è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato e non offeso da noi. Altro non dico. Amatevi amatevi, dilettissime e carissime figlie, insieme; legatevi nel legame de la vera e ardentissima carità.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





154. A frate Francesco Tedaldi da Firenze monaco di Certosa, nell'isola di Gorgona.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi abitare nella casa del cognoscimento di voi: nel quale cognoscimento acquistarete ogni virtù, e senza questo vivereste in ogni male e senza veruna ragione.

Ma potreste dire a me: «In che modo ci posso intrare? E come mi ci posso conservare dentro?» Rispondovi. Voi sapete che senza lo lume in nessuno luogo potremmo andare se non in tenebre, dalla quale tenebre saremmo offesi; e in questa tenebre non potreste conoscere la vostra necessità di quello che vi bisogna tra via.

Noi siamo tutti viandanti e peregrini (He 11,13 1P 2,11), posti nella strada della dottrina di Cristo crocifisso: chi va coi comandamenti nella carità comune, e chi va per li consigli, per la carità perfetta, non scordandosi però da' comandamenti. Per questa via neuno può andare senza lo lume, poiché non avendo lume non potrebbe vedere il luogo dove gli conviene riposare, nel quale luogo può discernere chi l'offende e chi lo aiuta. Questo luogo è la casa del cognoscimento santo di sé, la quale casa l'anima vede col lume della santissima fede che sta nella strada della dottrina di Cristo crocifisso, cioè che colui che il vuole seguire subito entra in sé medesimo.

In questa casa trova il principale nemico suo che il vuole offendere, cioè la propia sensualità, ricoperta col manto de l'amore propio, lo quale nemico ha due principali compagni, con molti altri vassalli d'intorno.

L'uno è il mondo con le vanità e delizie sue, lo quale s'è fatto amico dell'appetito sensitivo che disordinatamente desidera; l'altro è il demonio con suoi inganni e con false e diverse cogitazioni e molestie, alle quali la volontà sensitiva è inchinevole: che volontariamente si diletta in esse cogitazioni, per qualunque modo il demonio glile ponesse innanzi. Questi principali nemici hanno molti servitori che tutti stanno per offendere l'anima, se per lo lume non è discreta a ponarci rimedio.

E però la ragione traie fuora il lume della santissima fede, e intra in casa; e signoreggia la propia sensualità, perché ha veduto che ella non cerca né vuole altro che la morte sua e però s'è accompagnata coi falsi suoi nemici. Questo ha cognosciuto col lume, e però con impeto si leva; e traie fuora il coltello dell'odio da questa sensualità, e dell'amore delle vere e reali virtù: e con esso l'uccide. Morto questo, tutti gli altri rimangono sconfitti: ché neuno il può offendere se egli non vuole. Con questo lume vede chi è quelli che l'ha sovenuto e campato da la morte, o levato dalla morte e ridottolo a vita: vede che è il fuoco della divina carità, poiché Dio per amore dié la virtù e potenza a l'anima che con la forza della ragione salisse in su la sedia della conscienzia, e con la sapienza del Verbo, che egli le fece participare, desse la sentenzia che la sensualità fusse morta. La volontà che l'ha participa la clemenza dello Spirito santo e la dolce volontà di Dio: col coltello sopradetto e con la mano del libero arbitrio l'ucida.

Vedendo che Dio è il suo remedio e sovvenitore e aiutatore cresce l'anima, in questa casa del cognoscimento di sé, in uno lume della verità e in uno fuoco inestimabile, ineffabile e incomprensibile che arde e consuma ciò che fusse nella casa contro la ragione, consumando nella fornace della carità di Dio e del prossimo l'acqua de l'amore propio spirituale e temporale, in tanto che veruna cosa cerca l'affetto de l'anima, se non Cristo crocifisso. Volendolo seguire per la via delle pene, a modo di Dio e non a modo suo, libero libero si lassa guidare a la dolce volontà di Dio: allora i nemici nol possono offendere. è lo' bene data licenzia dal giusto Signore che percuotano a la porta: e questo permette egli perché più sia sollecita la guardia a non dormire nel letto della negligenzia, ma prudentemente vegghi; e anco per provare se questa casa è forte o no, affinché, non trovandosi forte, abbi materia di fortificarsi, e col lume vedere chi la fa forte e perseverante; e quando l’ha veduto, con grande sollicitudine la stringa a sé.

Quale è quella cosa che ci fa forti e perseveranti? è l'orazione umile e continua, fatta nella casa del cognoscimento di sé e della bontà di Dio in sé; facendola fuore di questa casa l'anima n'averebbe poco frutto. Questa orazione ha per suo fondamento l'umilità - la quale umilità s'acquista in questa casa sopradetta -, e è vestita del fuoco della divina carità, la quale se trova nel cognoscimento che aviamo di Dio, quando col lume l'anima raguarda sé essere amata inestimabilemente da lui. Il quale amore pruova, e ènne certificata, nella prima creazione, vedendosi creata per amore a la imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26); e nella seconda si vede ricreato a grazia nel sangue dello immacolato Agnello. Queste sono due principali grazie che richiudono in sé ogni altra grazia spirituale e temporale, particulare e generale: e così con questo lume si veste di fuoco.

A mano a mano segue la lagrima, perché l'occhio, quando sente il dolore del cuore, gli vuole satisfare; e geme sì come il legno verde quando è messo nel fuoco, che per lo grande calore gitta l'acqua. Così l'anima che sente il fuoco della divina carità: lo desiderio e l'affetto suo stanno nel fuoco, e l'occhio piagne mostrando di fuore quella particella che gli è possibile di quello che è dentro. Questa procede da diversi sentimenti dentro, secondo che l'è porto dall'affetto dell'anima, sì come voi sapete che si contiene nel Trattato delle lacrime; e però in questo non mi stendo più.

Ritorno breve breve a l'orazione: breve ve ne dico, perché distesamente l'avete. In tre modi possiamo intendere orare: l'uno è orazione continua - a la quale ogni creatura che ha in sé ragione è obligata -: questo è il santo e vero desiderio fondato nella carità di Dio e del prossimo, facendo per onore di Dio tutte le sue opere in sé e nel prossimo suo. Questo desiderio sempre òra; cioè òra l'affetto della carità dinanzi al suo Creatore continuamente, in ogni luogo e in ogni tempo che l'uomo è, e in ciò che egli fa.

Che frutto riceve di questo? Riceve una tranquillità serena, dentro ne l'anima, d'una volontà accordata e sottoposta alla ragione che in nessuna cosa si scandaliza. Non gli è duro a portare il giogo della vera obbedienzia, quando gli sono posti i pesi e gli essercizii manuali, o a servire il fratello suo, secondo e casi e tempi che occorrono: per questo già non viene a tedio né in afflizione di mente, e non si lassa ingannare al desiderio de l'anima che appetisce la cella, la consolazione e pace sua. Né quando egli vuole orare attualmente, ed egli gli conviene fare altro: dico che non si lassa ingannare a questo desiderio, pigliandone pena tediosa e affligitiva, ma trae fuore l'odore dellaobbedienza con vera umilità, e il fuoco della carità del prossimo suo. A questa orazione c'invita il glorioso apostolo Paulo, quando dice che noi doviamo orare senza intermessione: e chi non ha questa, nessuna ne può avere che gli dia vita; e chi volesse lasciare questo per avere la pace sua, perde la pace.

è un'altra orazione, cioè orazione vocale, quando vocalmente l'uomo dice il divino officio o altre orazioni che voglia dire. Questa è ordinata per giognere alla mentale; e questo è il frutto che ne riceve, se ella è fondata in su la prima e con essercizio vi perseveri, sforzando sempre la mente sua a pensare porgere e ricevere in sé più l'affetto della carità di Dio che il suono delle parole. E con prudenzia vada, che quando si sente essere visitato nella mente sua ponga termine alle parole; eccetto l'officio divino lo quale egli fusse obligato di dire.



E così giogne alla terza, cioè alla mentale, levando la mente e il desiderio suo sopra di sé a una considerazione dell'affetto della carità di Dio e di sé medesimo, dove conosce la dottrina della verità, gustando lo latte della divina dolcezza, lo quale latte esce delle mamelle della carità per lo mezzo di Cristo crociato e passionato: cioè che non si diletta di stare altro che in croce con lui. Da questo giogne e riceve il frutto de l'unitivo stato, dove l'anima viene a tanta unione che ella non vede più sé per sé, ma sé per Dio, e il prossimo per Dio, e Dio per la sua infinita bontà, lo quale vede che è degno d'essere amato e servito da noi: e però l'ama senza modo, ma come spasimata corre morta ad ogni volontà perversa.

Dilettasi di stare nel talamo e cubiculo dello Sposo suo, dove Dio manifesta sé medesimo a lei, e dove vede le diverse mansioni che sono nella casa del re eterno; e però gode e ha in reverenzia ogni modo differente che vedesse nelle sue creature, iudicando in ogni cosa la volontà di Dio, e non la volontà degli uomini.

Così è liberata dal falso iudicio, che non iudica né si scandelizza ne le opere di Dio, né in quelle del prossimo suo. Lo diletto e vita eterna che gusta questa anima, Dio vel facci provare per la sua infinita misericordia: con lingua né con inchiostro non il voglio né posso narrare. Sì che avete che ci fa perseverare fermi nella casa del cognoscimento di noi; e chi vi ci conduce, e dove la troviamo: detto è che il lume ci guida; trovianla nella dottrina di Cristo crocifisso, come detto è; e l'orazione vi ci serra e conserva dentro; e così è la verità.

Perciò voglio, carissimo e dolcissimo figlio, che, affinché potiate compire il voto della santa obbedienzia - alla quale novellamente sete intrato -, sempre stiate nella casa del cognoscimento di voi, perché in altro modo nol potreste osservare: e però dissi ch'io desideravo di vedervi in questa casa del cognoscimento.

Questa casa, poi ch' i nemici ne sono cacciati, e morto il principale nemico della volontà sensitiva, ella si riempie e s'adorna de l'adornamento delle virtù: a questo voglio che studiate, poiché non bastarebbe se la casa fusse vòta e non si rimpisse. Io voglio che sempre stiate in questo cognoscimento di voi, e in voi conoscere il fuoco e la bontà della carità di Dio.

Questa è quella cella la quale io voglio che per l'isola e in ogni luogo la portiate con voi in ciò che avete a fare, e non l'abandonate mai nel coro, nel refettorio, nella congregazione, negli essercizii; e in ciò che avete a fare vi strignete in essa. E voglio che ne l'orazione attuale sempre si dirizzi lo intelletto vostro a la considerazione dell'affetto nella carità di Dio, più che nel dono che vi paresse ricevere da lui, affinché l'amore sia puro e non mercennaio. E voglio che la cella attuale sia visitata da voi quanto vi permette l'obbedienzia; e più tosto vi dilettate di stare in cella con guerra, che fuore della cella in pace: poiché il demonio usa questa arte coi solitarii, per far lo' venire a tedio la cella, di dar lo' più tenebre, battaglie e molestie dentro che di fuore, affinché ella lo' venga in terrore, quasi come la cella fusse cagione delle loro cogitazioni.

Sì che per questo non voglio che voltiate lo capo adietro, ma siate costante e perseverante; non stando mai ozioso, ma esercitando lo tempo con l'orazione, con la lezione santa, o con essercizio manuale, stando sempre con la memoria piena di Dio, affinché l'anima non sia presa dall'ozio. E voglio che in ogni cosa giudichiate la volontà di Dio, come di sopra è detto, affinché pentimento né mormorazione non cadesse in voi verso i vostri fratelli. Anco voglio che l'obbedienzia pronta in tutto riluca in voi, non in parte né a mezzo, ma compitamente che in nessuna cosa ricalcitriate alla volontà de l'Ordine e del prelato vostro: facendovi specchio dell'osservanzia e dei costumi de l'Ordine, studiandovi d'osservarle fino a la morte, dispregiando e tenendo a vile voi medesimo, uccidendo la propia volontà e mortificando il corpo con quella mortificazione che ha posta l'Ordine. Anco voglio che caritativamente vi sforziate di portare i costumi e le parole le quali alcune volte, o per illusione di demonio o per la propria fragilità, o che sia pur così, paiono incomportabili.

In tutto si vuole risistere, in questo e in ogni altra cosa; e così osservarete la parola di Cristo, che dice che il reame del cielo è di coloro che fanno forza a loro medesimi con violenzia. La memoria voglio che s'empia e stia piena del sangue di Cristo crocifisso, dei beneficii di Dio, e del ricordo della morte, affinché cresciate in amore, in timore santo, e in fame del tempo; raguardandoli con l'occhio dell’intelletto, col lume della santissima fede, affinché la volontà corra prontamente senza veruno legame di disordinato amore che aveste a veruna cosa fuore di Dio.

Anco voglio che quando lo demonio invisibile o visibile o la fragile carne dessero battaglie o rebellione allo spirito, di qualunque cosa si sia o fosse, voi lo manifestiate aprendo il cuore vostro al priore, se egli v'è; e se non v'è, a un altro al quale ve sentite più disposta la mente di manifestarlo, e che vediate che sia più atto a darvi remedio. Anco voglio che guardiate che il movimento de l'ira non si porga alla lingua, gittando parole rimproccevoli che avesseno a dare scandolo o turbazione; ma la reprensione e l'odio si rivoltino verso voi medesimo. Queste sono quelle cose le quali Dio e la perfezione che avete eletta vi richiegono: e io indegna e miserabile vostra madre, cagione di male e non cagione di veruno bene, desidero di vederle ne l'anima vostra.

Pregovi dunque e stringo per parte di Cristo crocifisso, dolce e buono Gesù, che vi studiate d'oservarle fino a la morte, affinché siate la gloria mia, e voi riceviate la corona della beatitudine per la longa perseveranza, la quale è sola quella che è coronata. Altro non vi dico. Fate sì che io non abbi a piagnere e che io non mi richiami a Dio di voi. Raccomandateci al priore e a tutti cotesti figli. La famiglia tutta vi si raccomanda e io strettamente vi raccomando Barduccio.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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19/10/2012 15:58

155. A monna Nera donna di Gerardo Gambacorti, in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestita del vestimento della divina carità, vero e perfetto amore, sì e per sì-fatto modo che ogni altro amore v'esca del cuore e de l'affetto, perché l'anima insiememente di due amori non può essere vestita; sì che ella, s'è vestita del mondo, non può essere vestita di Dio, perché è molto contrario l'uno a l'altro.

L'amore e l'affetto ch'è posto nel mondo ama sé d'amore sensitivo: cerca sempre onore, stato e richezze, dilizie, piaceri, consolazioni sensitive. Li quali diletti conducono l'anima nella morte eterna, poiché colui che ama disordenatamente il mondo e i diletti suoi, sempre è radicato in superbia, e della superbia nascono tutti i vizii. Oh a quanta miseria si reca quel cuore! Tutto s'anniega nelle solecitudine perverse del mondo; egli n'acquista la morte e perdene la vita della grazia; viene in tenebre, e perdene lo lume; cade nella perversa servitudine del peccato, e così diventa servo e schiavo di quella cosa che non è; e peggio non può avere. Dirittamente questa anima piglia sé medesima e mettesi in mano dei nemici suoi.

Or non voglio così, dilettissima figlia e figlio Gerardo, ma voglio che con una santa e vera solecitudine spogliate lo cuore e l'affetto di questo perverso amore; e vestitevi de l'amore di Cristo crocifisso con perfetta e ardentissima carità, istando sempre in carità e in amore col prossimo vostro.

Questo amore è pieno di letizia, di gaudio e d'ogni soavità; egli ingrassa ed empie l'anima di virtù; e apre l'occhio de lo intelletto, e fallo riguardare, e ponare per obiettivo Cristo crocifisso e l'amore inefabile ch'egli gli ha. Così con amore s'empie d'amore, e segue subito le vestigie di quello ch'egli ama; e perché ama Cristo, segue le vestigie di Cristo, sempre dilettandosi delle virtù. E nelle fatiche si conforma con lui con pazienza; nella prosperità e diletti del mondo, stati e grandezze, si conforma in pentimento: cioè che come Cristo spregiò i diletti del mondo, così essa anima vestita d'amore li spregia con ogni santa e vera solecitudine. Questo fa lo divino e santo amore; questo è il vestimento nuziale, il quale ci conviene avere perché siamo invitati a le nozze de la vita durabile (Mt 22,11).



E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi vestiti di vero e perfetto amore, affinché pienamente potiate adempire la volontà di Dio e il desiderio mio, che non cerca né vuole altro che la vostra santificazione.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso: nel sangue trovarete lo fuoco dell'amore; nel sangue si lavano le nostre iniquità. Questo fa lo vicario di Cristo, quando absolve l'anima nostra, confessandoci noi: non fa altro se non che gitta lo sangue di Cristo sopra lo capo nostro.

Dite a Gherardo che ora ch'è tempo acettabile, mentre ch'egli vive, che non dispregi questo sangue; poiché non è sicuro quando debba morire, né quanto debba vivare. Rechisi a bomicare il fracidume dei peccati suoi per la bocca, confessandosi bene e diligentemente; ché in altro modo non potrebbe participare la divina grazia. Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso, figlia e figlio miei, che non sia né amore di figli, né amore propio di voi, né diletto del mondo, che vi ritraga da questo che per debito dovete fare.

Altro non dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





156. A Giovanni Perotti coiaio da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e carissimo figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero padre a notricare e a reggiare e governare la famiglia vostra con tanto timore di Dio che voi siate quello albero fruttifero, che lo frutto che è uscito di voi sia buono e virtuoso.

Sapete, figlio mio, che prima che l'albero renda lo frutto, egli debba essere buono e bene ordenato: così dico che l'anima vostra si debba ordenare col santo e vero timore e amore di Dio. E se dicessimo: «io non mi so ordenare», ecco lo Verbo del Figlio di Dio, che s'è fatto a noi guida, e così disse egli: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6); chi terrà per questa via non potrà errare, ma egli produciarà frutto di vita. Questo frutto sì notricarà lo figlio dell'anima vostra; eziandio i figli naturali ricevarano dell'odore e de la sustanzia di questo frutto. Che via ha fatta questo dolce maestro, Agnello immacolato? ha fatta la via della profonda e vera umilità, ché, essendo Dio, s'aumiliò agli uomini. La via sua sono obrobrii, strazii, rimproverii, pene e fatiche infine all'obrobriosa morte de la croce: spregiando ogni diletto e delizie, sempre volse tenere per la via più umile e dispetta che trovasse.

E che frutto produsse poi che ebbe fatta e ordenata la via a noi, che chiunque la vuole la può seguire? Udistelo in su lo legno della santissima croce, se fu mai uno frutto di pazienza simile al suo, che, gridando i Giuderi: «Crucifige» (Mt 27,22-23 Mc 15,13-14 Lc 23,21-23), ed egli grida: «Padre, perdona loro, che non sanno che si fare» (Lc 23,34). Odi smisurata bontà di Dio, che non tanto che perdoni, ma egli gli scusa dinanzi dal Padre. Egli è uno Agnello mansueto, che non è udito lo grido suo per veruna mormorazione. Egli ha produtto a noi lo frutto della carità, poiché l'amore ineffabile che Dio ebbe a l'uomo lo tenne confitto e chiavellato in croce: non sarebbe stato né chiodi né croce che l'avessero tenuto se non fusse lo legame della carità. Egli fu obediente al Padre suo, non raguardando a sé, ma solo a l'onore del Padre e a la salute nostra.



Or questa è la via, figlio mio dolce, che io voglio che teniate, affinché siate vero padre a notricare l'anima vostra, e i figli che Dio v'ha dati, crescendo sempre di virtù in virtù. E sappi che in neuno modo possiamo avere per noi medesimi questi frutti de le virtù, poiché noi siamo arboli salvatichi, se noi non facessimo uno innesto, per amore e desiderio di Dio, in su questo dolce albero, Cristo Crocifisso: poiché, vedendoci tanto amare da lui che ha data la vita per noi, non ci potremmo tenere che noi non siamo fatti una cosa con lui. Allora l'anima inebriata d'amore non vuole tenere per altra via che il maestro suo: ogni diletto e consolazione del mondo fugge, perché esso le fuggì, e ama ciò che Dio ama, e odia ciò che Dio odia. Ama la virtù e odia lo vizio, e inanzi sceglie la morte che offendare lo suo Creatore; e non sosterrà che i suoi figli e la famiglia sua l'offenda, anco gli correggiarà come vero padre, e giusta al suo potere vorrà che tenghino le vestigie sue. Or di questo vi prego che siate sollecito.

Confortate e benedite tutta la famiglia, e molto mi racomandate alla madre e alla donna vostra e singularmente benedite la mia figlia, quella che io desidero che sia sposa di Cristo e consecrata a lui.

Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





157. A Vanni e a Francesco figli di Nicolò dei Buonconti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi dilettissimi e carissimi fratelli in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi veri figli che sempre viviate nel vero e santo timore di Dio sì e per sì-fatto modo che voi non spregiate lo sangue di Cristo, anco vi venga in tedio e in abominazione lo fracidume del peccato mortale, lo quale fu cagione de la morte del Figlio di Dio.

Bene è degno Perciò di riprensione colui che dà lo corpo suo a tanta 'nequità e immondizia, considerando la perfetta unione che Dio fece nell'uomo. Non voglio fratelli miei carissimi, che spezialmente tu Vanni non ti tenga un altro modo di vivare che tu non hai fatto per lo tempo passato, recandoti dinanzi agli occhi l'anima tua e la brevità del tempo, pensando che diei morire e non sai quando.

O quanto sarebbe cosa scura che la morte ti trovasse in peccato mortale! e per una trista dilettazione noi perdiamo tanto bene e diletto quanto egli è avere Dio per grazia nell'anima sua, e poi nell'ultimo avere la vita durabile la quale non debba mai avere fine.

E vedete ch'io v'invito tutti e tre a fare sacrifizio dei corpi vostri, a disponarvi a morire per Cristo crocifisso se bisogno sarà, e in questo mezzo prima che venga lo tempo voglio che stiate con una virtù santa con la confessione spesso, dilettandovi sempre d'udire la parola di Dio, poiché come lo corpo non può stare senza lo cibo così l'anima non può stare senza lo cibo de la parola di Dio, cioè senza la confessione. Guardatevi da le perverse compagnie poiché molto v'impedirebbero lo santo proponimento.

Non dico più, carissimi e dolcissimi fratelli in Cristo Gesù.

Rimanete ne la santa carità. Gesù Gesù Gesù.







158. A prete Nino da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e anegato nel sangue di Cristo Crocifisso, e nascoso nel costato suo, - poiché nel sangue trovarete lo fuoco poiché per amore fu sparto -, e nel costato trovarete l'amore corale: ché tutte le opere che Cristo adoperò in noi, le mostra fatte con tanto corale amore.

Allora l'anima vostra s'accendarà a un fuoco di santo desiderio, lo quale desiderio e affetto d'amore non invecchia mai, ma sempre ringiovanisce l'anima che se ne veste, e rinfrescala in virtù, e fortifica e allumina e unisce col suo Creatore, perché in questo oggetto di Cristo Crocifisso trova lo Padre, e participa della potenza sua; trova la sapienza dell'unigenito Figlio di Dio, lo quale gli allumina lo intelletto; gusta e vede la clemenza dello Spirito santo, trovando l'affetto e l'amore con che Cristo ha donato a noi lo beneficio della sua passione, facendoci bagno di sangue dove sono lavate le nostre iniquità: del costato suo ci ha fatto abitazione e receptaculo dove l'anima si riposa, e trova e gusta Dio e Uomo.

Or questo voglio che noi facciamo, carissimo padre: che l'occhio dell'intelletto nostro non si serri mai, ma sempre vegga e raguardi quanto egli è amato da Dio; lo quale amore ci è manifestato per mezzo del Figlio suo. La volontà sempre ami, e non cessi mai né allenti l'amore verso del suo Creatore, né per diletto né per pena né per veruna altra cosa che ci fusse fatta o detta; ma, sempre con vera e perfetta perseveranza infine alla morte, se tutte l'altre opere ed essercizii corporali venissero meno, questo non debba mancare. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





159. A frate Rinieri di Santa Cristina dei frati Predicatori in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendo padre in Cristo Gesù per reverenzia di quello dolcissimo sacramento, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero cavaliere e combattitore contro ogni vizio e tentazione per Cristo crocifisso, con una santa e vera perseveranza, poiché la perseveranza è quella che è coronata.

Sapete che con la perseveranza e con la battaglia si riceve vittoria: noi siamo in questa vita posti come in uno campo di battaglia e doviamo combattere virilmente, e non schifare i colpi né vòllare lo capo adietro, ma raguardare lo nostro capitano Cristo crocifisso che sempre perseverò, e non lassò per detto dei Giuderi - quando dicevano «discendi della croce» (Mt 27,40-42 Mc 15,30-32) -, né per demonio, né per nostra ingratitudine; ma persevara e non lassa però di compire l'obbedienzia del Padre e la salute nostra fino all'ultimo che torna al Padre eterno con la vittoria ch'egli ha avuta: d'avere tratta l'umana generazione delle tenebre, e rendutale la luce della grazia, vencendo lo demonio e il mondo con tutte le delizie sue. E n'è rimaso morto questo Agnello: ha data la morte a sé per rendere la vita a noi; con la morte sua distrusse la morte nostra. Lo sangue e la perseveranza di questo capitano ci die fare inanimare a ogni battaglia, portando pene strazio e rimproverio e villania per lo suo amore, avere povertà volontaria, umiliazione di cuore, obbedienzia compita e perfetta.

A questo modo, quando sarà distrutta la nuvola del corpo suo, tornarà con la vittoria alla città di vita eterna: avarà sconfitto lo demonio, lo mondo e la carne, che son tre perversi nemici, e singularmente la carne che sempre ci stimola e combatte contro lo spirito. Conviencela domare e macerare col digiuno, vigilie e orazioni; e le cogitazioni che vengono, cacciarle con le continue e sante imaginazioni, imaginando e cogitando quanto è il fuoco della ardentissima carità, quanto egli ha fatto per noi per grazia e non per debito, ché il Padre ci ha dato lo Verbo de l'unigenito suo Figlio, e il Figlio ha data la vita: che per amore ha dissanguato e aperto lo corpo suo che da ogni parte versa sangue. Egli ha lavate le macchie delle nostre iniquità, di sangue.

Quando l'anima raguarda tanto amore, consumasi per amore e non le pare potere fare tanto - né potrebbe, se desse lo corpo suo a ogni pena e tormento -: non li pare potere, né può sodisfare a tanto amore e a tanti benefici quanto riceve dal suo Creatore. Egli è lo dolce Dio nostro, che ci amò senza essere amato. Or con questo modo cacciarete le cogitazioni del demonio.

Ma voi mi potreste dire, padre: «Poi che tu vuoli ch'io sia cavaliere virile, e io sono nel campo della battaglia combattuto da molti nemici, arme mi conviene avere: dimmi che arme io prenda». Rispondovi ch'io non voglio che siate disarmato, ma voglio che aviate l'arme di Pavoloccio, che fu uomo come voi, cioè la corazza della vera e profonda umilità, la soprasberga dell'ardentissima sua carità, che, come la corazza è unita con la soprasberga, e la soprasberga con la corazza, così l'umilità è balia e nutrice della carità, e la carità nutre l'umilità. Questa è l'arme ch'io vi do, poiché ella riceve i colpi - ché assai può gittare lo demonio lo mondo e la carne saette tanto avelenate che ce ne colga nessuna -, poiché l'anima innamorata di Cristo crocifisso non riceve in sé saetta di peccato mortale, cioè per consentimento di volontà. Egli è di tanta fortezza che né dimonia né creatura lo può constregnare più che si voglia.

Anco vi conviene avere in mano lo coltello per difendarvi da' nemici vostri, e avesse due tagli - un taglio di odio di pentimento di noi medesimi e del tempo passato speso con poca sollecitudine di virtù e con molta miseria e iniquità e offese del nostro Salvatore. Doviamo odiare questa offesa e noi medesimi che aviamo offeso, poiché la persona che ha conceputo uno odio vuole fare vendetta della vita passata, e sostenere ogni pena per amore di Cristo e scontiamento dei peccati suoi, vendicando la superbia con l'umilità, la cupidità e avarizia con la larghezza e carità, la libertà delle proprie sue volontà con l'obbedienzia. Queste sono le sante vendette che noi doviamo fare quando portiamo questo coltello de l'odio e de l'amore.

Ma io godo ed essulto delle gloriose novelle ch'io ho udite di voi, che mi pare che aviate fatta la vendetta della libertà, essendo andato al giogo dell'obbedienzia santa. Non potevate fare meglio che d'avere renunziato al mondo e ai diletti e delizie sue e alla propria volontà. Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che virilmente con una santa perseveranza stiate in questo campo della battaglia, e non volliate mai lo capo adietro a schifare neuno colpo di molestia e tentazione, ma fermo, armato dell'arme detta, con l'arme sostenete e riparate ai colpi che vengono; col coltello di due tagli di odio e d'amore vi difendarete da' vostri nemici.

L'albero della croce voglio che sia piantato nel cuore e nell'anima vostra: conformatevi con Cristo crocifisso, niscondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, inebriatevi e vestitevi di Cristo crocifisso.

Come dice Pavolo, gloriatevi nella croce di Cristo crocifisso; satollatevi d'obrobrii, di vergogne e di vituperii, sostenendo per amore di Cristo crocifisso. Conficcatevi lo cuore e l'affetto in croce con Cristo, poiché la croce v'è fatta nave e porto, ché vi conduce a porto di salute; i chiodi vi son fatti chiave a uprire lo reame del cielo. Orsù, padre e fratello carissimo, non dormite più nel letto della negligenzia, ma come cavaliere virile e non timoroso combattete contro ogni aversario, ché Dio vi darà la plenitudine della grazia, sì che, consumata la vita vostra, dipo' le fatiche giognarete al riposo e a vedere la somma eterna bellezza e visione di Dio, dove l'anima si quieta e riposa: finita ogni pena e male riceve ogni bene, sazietà senza fastidio, e fame senza pena. Finite la vita vostra in croce.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





160. A Giovanni Perotti e monna Lipa sua donna.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo figlio mio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi nel prezioso sangue del figlio di Dio, con disiderio di vedere in voi adempita quella parola del dolce apostolo Pavolo, quando diceva "Induimini Dominum nostrum Jesum Christum" (Rm 13,14), cioè spogliatevi dell’uomo vecchio e vestitevi del nuovo (Ep 4,22-24 Col 3,9-10), cioè di Cristo crocifisso, lo quale è quello vero vestimento che ricuopre la nudità dell'uomo e vestelo di virtù. O inestimabile e diletta carità che s'è fatto nostro vestimento! Poi che per lo peccato perdemmo la vita de la grazia venne come inamorato, costretto dal fuoco de la divina carità; avendo noi perduto lo detto vestimento de la grazia e il caldo de la divina carità, esso, come fuoco, ci tolse la fredezza, vestendo sé de la nostra umanità. Allora riavemmo lo vestimento de la grazia, la quale non ci può essere tolta né per dimonia né per creature, se noi medesimi non vogliamo.

Perciò vi prego, fratello e sorella mia carissimi, che siate solliciti di prendare questo santo e dolce vestimento, non comettendo negligenzia, a ciò che non vi sia detta quella parola di rimproverio: «Maladetto sia tu che ti lassasti morire di freddo e di fame», poi che Cristo è tuo vestimento ed èttisi dato in cibo. Oimé, or quale sarebbe quel cuore tanto indurato e ostinato che non si levasse a spogliarsi d'ogni ignoranza e negligenzia, e vestirsi di questo santo e dolce vestimento, lo quale dà vita a coloro che sono morti? O quanto sarà dolce e beata l'anima nostra quando verrà lo tempo nostro che saremo richiesti da la prima Verità nel tempo dolce de la morte, dove l'anima gode ed essulta quando si vede vestita del vestimento de la divina grazia! Lo quale è uno vestimento che i demoni non possono contro di lui, poiché la grazia fortifica e tolle ogni debolezza: solo lo peccato è quella cosa che indebilisce l'anima. O quanto è pericoloso e perverso lo vestimento del peccato! Bene è da fuggirlo con odio e pentimento, poi che tanto ci è nocivo, e spiacevole e abominevole a Dio. Con ardore e infiamato desiderio vi levate a strignare e vestirvi di questo dolce vestimento nuziale de la divina e dolce carità, lo quale l'anima si mette per non essere cacciata de le nozze de la vita durabile (Mt 22,1-13), a le quali Dio c'invitò e invita in sul legno de la santissima croce. Prego la somma ed eterna verità che vi faccia sì andare virilmente, che giogniate al termine e fine per mezzo del quale voi fuste creati. E sì come per carità e per amore vestiste lo Bambino di drappo, così vesta egli voi di sé medesimo uomo nuovo, Cristo crocifisso. Ringraziovi molto.

Rimanete etc. Gesù etc.



OFFLINE
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Sesso: Femminile
19/10/2012 16:00

161. A monna Nella donna che fu di Nicolò dei Buonconti da Pisa, e a monna Caterina donna di Gherardo di Nicolò predetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre monna Nella e Caterina in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo vi conforto e benedico nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi unite e legate col vincolo de la carità, lo quale tenne confitto e chiavellato lo Figlio di Dio in croce.

O inestimabile dolcissima carità, quanto è forte questo legame che tiene Dio e Uomo piagato e lacerato in sul legno de la croce: ine portò i pesi de le nostre iniquità, ine si fabbricarono; come l'ancudine sotto lo martello, così è fabbricata l'anima ne le pene di Cristo per mezzo del fuoco de la sua carità. O unione dolce e perfetta la quale tu Dio hai fatto con l'uomo! Voglio dunque che vi leviate con perfetta sollecitudine: fate una unione che non sia né dimonia né creatura che vi possa separare: questa è quella unione e quello comandamento lo quale Dio ci lassò perché non aveva più cara cosa che dare.

Or ecci più cara cosa che avere Dio e stare in questa perfetta unione de la carità di Dio? Poiché Dio è carità (1Jn 4,8), chi sta in carità sta in Dio e Dio in lui. Così disse la prima Verità: chi osservarà la mia parola, starò in lui ed egli in me, e manifestarò me medesimo a lui (Jn 14,21-23). O dolcissimo amore, che siamo noi che tu manifestarai te medesimo all'uomo? che manifestazione è questa che tu fai nell'anima? non è altro se non uno ineffabile amore lo quale è una madre che concepe l'odore de le virtù.

E come la madre notrica al petto i figli suoi, così la madre de la carità notrica i figli e raporta lo frutto ne la vita durabile.

Perciò con perfettissima sollecitudine levatevi suso, dolcissima madre e figlia, seguitate le virtù, riposatevi a questo glorioso petto de la carità. E se mi diceste: «in che modo posso trovare questa gloriosa madre?», dicovelo: in sull'albero de la venerabile e santissima croce, du' fu innestato lo Verbo incarnato del Figlio di Dio, ine trovarete aperta la vena del sangue del Figlio di Dio, sparto con tanto fuoco d'amore, vollendo l'occhio dello intendimento vostro inverso la divina carità che continuamente si riposa verso di noi: non si potrà tenere lo cuore che non ami quando tanto si vedrà amare. A mano a mano segue uno odio e pentimento di voi medesime e pentimento del mondo che spregiarete le dilizie e gli onori; abbraccicarete ingiurie e vergogne e agevolissimamente portarete, raguardando le 'ngiurie e gli scherni del vostro Creatore.

O quanto è ignorante e villano quel cuore che vuole tenere per altra via che tenesse lo maestro suo, con-ciò-sia-cosa-che chi vuole la vita durabile gli conviene seguire le vestigie sue. Così disse egli: «Io sono via verità e vita (Jn 14,6), chi va per me non va per le tenebre ma giugne a la luce» (Jn 8,12). In uno altro luogo dice: «Neuno non può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). Perciò da poi che noi vediamo tanto amore fondato nell'anima nostra, e la necessità ci stregne a levare l'affetto e'l desiderio nostro dal secolo - ch'è pieno di tenebre e d'amaritudine senza nessuna fermezza e stabilità, e nessuna conformità ha con Cristo crocifisso: Cristo è vita, egli è morte - virilmente ci leviamo, carissima madre e figlia; e abandonate la pompa e la vanità del secolo, sì che nel ponto del tempo, dolendoci del tempo perduto, lo restituiamo nel tempo presente ch'avete: pensate che il tempo ci sarà richiesto nell'ultima 'stremità de la morte.

O quanta confusione sarà a colui che negligentemente e iniquamente avrà speso lo tempo suo! Non voglio che aspettiamo questa confusione, ma che noi viviamo con tanta virtù che, consumata la vita, noi ci torniamo col frutto de le virtù, coi la madre dolce de la carità, in quella città vera di Ierusalem. Ine ci riposaremo in quella visione de la pace dove ha vita senza morte, luce senza tenebre, sazietà senza fastidio, fame senza pena. O quanto è benigno e dolce lo Dio nostro che per lasciare le cose finite ci dona le cose infinite! Non più negligenzia né ingratitudine, ma seguiamo le vestigie di Cristo Crocifisso. Amatevi amatevi insieme, dilettissima madre e sorella.

Rimanete ne la santa carità. Laudato sia Gesù Cristo.





162. A monna Franceschina e a monna Caterina e a due altre loro compagne spirituali in Lucca.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissime e carissime figlie e sorella mie in Cristo Gesù: io Caterina serva e schiava dei servi di Dio scrivo a voi e confortovi tutte nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vere figlie e spose consecrate a lo sposo eterno che con tanto fuoco di carità ha data la vita per noi.

Così fate che virilmente con ardentissimo desiderio seguitate lo gonfalone de la santissima croce: cioè seguire le vestigie sue per via di pene e di crociati e amorosi desideri, poiché la sposa e il figlio sempre si debba dilettare in seguire lo padre e sposo suo, e se egli ha pena egli si conforma con pena, e se egli ha diletto egli si conforma con diletto, sì come disse l'appostolo inamorato di Pavolo di sé medesimo: «Io godo con coloro che godono e piango con coloro che piangono». Questo fa l'anima che sta in perfetta carità: facendo così s'adempie in lei la parola d'esso Pavolo: «chi participa la tribolazione, cioè la croce di Cristo, sì participarà le consolazioni» cioè in gloria con Cristo. Ragionevolmente Dio lo' darà la eredità sua poiché per amore hanno lasciata la eredità e sollecitudine del mondo, lassato lo diletto e le consolazioni mondane, e seguitato la croce di Cristo crocifisso e abbracciate pene e obrobii e vitoperii per l'amore suo.

Or questo è quello fuoco, carissime mie figlie, in che l'anima debba ardare per infiammati e amorosi desideri; e in altro non si debba dilettare poiché ogni altra via è scura e tenebrosa a noi, e conduce l'anima in morte eterna. Non siate Perciò negligenti ma sollecite in questa dolce e dritta via, Cristo Gesù. Così disse egli: «Io sono via verità e vita, chi va per me va per la luce e non per le tenebre e perviene a la vera vita, la quale non gli sarà tolta in eterno». Non caggia ignoranza né amore propio in voi però ch'ella è quella cagione che non lassa corrire l'anima, ma rimane legata tra via e sempre si vòlle indietro a mirare l'arato. Ma la vera sposa e figlia che è sollecita non si vòlle mai indietro ma sempre corre inanzi con l'oglio de la vera umilità e col fuoco dell'ardentissima carità; questo è lo suo studio e con questo si rapresenta e sempre serve al suo dolcissimo salvatore.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che, poi che il nostro dolce e buono Gesù è tanto cortese e largo, noi non c'indugiamo più, ma rechianci per le mani la brevità del tempo nostro e ricovariamo con dolore e amaritudine santa, dolendoci del tempo perduto speso con poca sollecitudine. In questo modo racquistaremo lo tempo passato. Non dico più. Prego la prima Verità che vi cresca di virtù in virtù fino che giogniate al termine due è vita senza morte, sazietà senza fastidio, letizia senza tristizia, due è ogni bene senza alcuno male. La pace di Dio sia sempre nell'anime vostre.



Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù dolce Gesù Gesù.







163. A monna Franceschina in Lucca.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissima e carissima sorella in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo e confortovi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vera serva e figlia del dolce e buono Gesù, bagnata e vestita del sangue del Figlio di Dio, a ciò che ogni vestimento d'amore proprio sia partito da voi, e ogni negligenzia e ignoranza.

Unde io voglio che seguitiate questa dolce e inamorata di Magdalena, la quale non si staccò mai dall'albero della santissima croce, ma con perseveranza ella si bagnava e inebriava del sangue del Figlio di Dio; e tanto s'empì la memoria e il cuore e lo intendimento che mai non si poté vòllere ad amare altra cosa che Cristo Gesù. Così voglio che facciate voi infine all'ultimo de la vita vostra, crescendo di virtù in virtù e non ristandosi in perseverare le giornate, e, come vero peregrino, non vollendosi adietro per veruna stanchezza.

E non vi ponete a sedere per negligenzia, ma voglio che pigliate lo bastone della santissima croce, dove sono piantate e fondate tutte le virtù, raguardando l'Agnello dissanguato per noi con tanto ardentissimo fuoco che dovarebbe ardere e consumare ogni freddezza e durezza di cuore e amore proprio di sé medesimo lo quale fusse nell'anima. O come potrà fare la sposa che non seguiti le vestigie dello sposo suo, cioè con amore sostenere e andare per la via de le pene, per qualunque modo Dio ce le concede? Or vi levate su con una pazienza e vera umilità a seguire l'Agnello mansueto, con cuore liberale largo e caritativo, e abandonare voi per lui, imparando da esso Gesù, che per darci la vita de la grazia perdette l'amore del corpo suo; e in segno di larghezza egli aperse tutto sé medesimo, e, poi che fu morto, in segno d'amore del costato suo fece bagno.

Volete stare sicura? Or vi nascondete dentro a questo costato, e guardate che di questo cuore partito voi non siate trovata fuore. Bene che, se voi v'entrate, voi trovarete tanto diletto e dolcezza che non vi vorrete mai partire, poiché ella è una bottega aperta piena di speziaria, con abondanzia di misericordia, la quale misericordia dà grazia e conduce a la vita durabile, dove è vita senza morte, sazietà senza fastidio e fame senza pena, letizia perfetta e compita senza veruna amaritudine: ine è saziato lo gusto e l'appetito de la creatura. O inestimabile e ineffabile carità, chi ti costrinse a darci questo vero bene? solo lo smisurato tuo amore col quale tu creasti la tua creatura, non per debito che tu avessi: poiché noi siamo obligati a te, non tu a noi.

Ma pensate, dilettissima sorella in Cristo dolce Gesù, che l'anima non può venire a tanto bene di vedere Dio, se prima in questa vita non s'ingegna di gustarlo per ardentissimo e ardente amore, lo quale amore inchiude e trae a sé tutte le virtù. Non manca virtù all'anima che è ferita da la saetta de la divina carità, la quale carità s'acquista a la mensa de la santissima croce, dove è l'Agnello immacolato, lo quale è mensa cibo e servidore. Or come si potrebbe tenere l'anima che non amasse lo suo dolce Salvatore, vedendosi tanto amare da lui? Usanza e consuetudine è dell'amore che sempre rende amore per amore, e è trasformata la cosa che ama ne l'amato. Così l'anima sposa di Cristo, che si vede amata da lui, dimostra che gli voglia rendere cambio, rendendoli amore: cioè che per amore voglia portare pene e obbrobrii per lui; e così si trasforma e diventa una cosa con lui per amore e per desiderio: ama ciò che Dio ama e odia ciò che Dio odia, perciò che vede che il dolce Gesù sommamente si dilettò di portare la croce de le molte fatiche per amore de l'onore del Padre e de la nostra salute, come mangiatore e gustatore delle anime. E a questo modo cel conviene gustare a noi, e conformarci con lui. Or corriamo, e non dormiamo più nel letto de la negligenzia, ad andare a questo vero bene. Altro non dico.



Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







164. A monna Melina donna di Bartolomeo Barbani da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A te, figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo e conforto voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi unite e transformate nel fuoco della divina carità, sì e per sì-fatto modo che non sia creatura né veruna altra cosa che da essa carità vi parta.

Sai, diletta e cara figlia mia, che a volere unire due cose insieme non conviene che vi sia mezzo, ché se mezzo v'è, non può essere perfetta unione. Or così ti pensa che Dio vuole l'anima: senza mezzo d'amore proprio di sé o di creatura, poiché Dio ama noi senza veruno mezzo; largo e liberale amò per grazia e non per debito, amando senza essere amato. Di questo amore non può amare l'uomo, poiché egli è sempre tenuto d'amare di debito, participando e ricevendo sempre i beneficii di Dio e la bontà sua in lui.

Doviamo dunque amare del secondo amore, e questo sia sì netto e libero che nessuna cosa ami fuore di Dio, né creatura né cosa creata, né spiritualmente né temporalmente.

E se tu mi dici: Come posso avere questo amore? dicoti, figlia, che noi nol possiamo avere, né trare altro che dalla fonte della prima Verità. A questa fonte trovarai la dignità e bellezza dell'anima tua: vedrai lo Verbo, Agnello dissanguato, che ti s'è dato in cibo e in prezzo, mosso solo dal fuoco della sua carità, non per servizio che avesse ricevuto da l'uomo, ché non n'aveva avuto altro che offesa. Dico Perciò che l'anima, raguardando in questa fonte, assetata e affamata della virtù, beie subito, non vedendo né amando sé per sé, né veruna cosa per sé: ogni cosa vede nella fonte della bontà di Dio, e per lui ama ciò che ama, e senza lui nulla.

Or come potrebbe allora l'anima, che ha veduta tanta smisurata bontà di Dio, tenersi che non amasse? A questo parbe che la prima dolce Verità c'invitasse, quando gridò nel tempio con ardore di cuore, dicendo: «Chi ha sete venga a me e beia, ché sono fonte d'acqua viva» (Jn 7,37). Vedi, figlia, che gli assetati sono invitati; non dice: chi non ha sete, ma: chi ha sete. Richiede dunque Dio che noi portiamo lo vasello del libero arbitrio con sete e volontà d'amare. Andiamo all'amore della dolce bontà di Dio, come detto è, e in questa fonte trovaremo lo cognoscimento di noi e di Dio; nel quale attufando lo vasello suo, ne trarrà l'acqua della divina grazia, la quale è sufficiente a dargli la vita durabile. Ma pensa che per la via non potremmo andare col mezzo del peso, e però non voglio che tu ti vesta d'amore di me, né di veruna creatura, se non di Dio.

Questo ti dico perché ho udito, secondo che mi scrivi, la pena che sostenesti della mia partita: voglio che impari dalla prima dolce Verità, che non lassò per tenerezza di madre, né per veruno dei discepoli suoi, che non corrisse, come inamorato, all'obrobiosa morte della croce, lassando Maria i discepoli suoi, e non di meno gli amava smisuratamente; che per più onore di Dio e salute della creatura si partivano, perché non attendevano a loro medesimi ma rifiutavano le consolazioni proprie, per loda e gloria di Dio, sì come mangiatori e gustatori delle anime. Debbi credare che, al tempo che egli erano tanto tribulati, sarebbero stati volentieri con Maria, ché sommamente l'amavano; e non di meno tutti si partono perché non amano loro per loro, né lo prossimo per loro, né Dio per loro, ma amavanlo perché era degno d'amore e sommamente buono: ogni cosa, e il prossimo e loro, amavano in Dio. Or a questo modo tu e l'altre voglio che amiate; raguardatemi solo in dare l'onore a Dio, e dare la fatica al prossimo vostro. Ché, perché egli vi paia alcuna malagevolezza di vedere partita quella cosa che altri ama, non di meno ella si piglia senza tedio, se egli è vero amore, fondato solo nell'onore di Dio, e raguarda più alla salute delle anime che a sé medesimo.



Fate, fate che io non vegga più pene, poiché questo sarebbe uno mezzo che non vi lassarebbe unire né conformare con Cristo.

Considerando me che Dio, come egli s'è dato libero, così richiede, e però dissi che io volevo che tu e l'altre care figlie mie fuste unite e trasformate in Dio per amore, traendone ogni mezzo che l'avesse a impedire: solo lo mezzo della divina carità, che è quello dolce e glorioso mezzo che non divide ma unisce.

E veramente pare che faccia come lo maestro che edifica lo muro, che rauna molte pietre e combaciale insieme, e insiememente è chiamato pietra e muro; e questo ha fatto col mezzo della calcina: se non v'avesse posto lo mezzo, sarebbero cadute, partite e rotte più che mai. Or così ti pensa che l'anima nostra debba raunare tutte le creature, e unirsi con loro per amore e desiderio della salute loro, sì che sieno participi del sangue dell'Agnello; allora si conserva questo muro: sono molte creature e sono una. A questo parbe che c'invitasse santo Paulo, quando disse che molti corrono lo palio, e uno è quelli che l'ha (1Co 9,24), cioè colui che ha preso questo mezzo della divina carità. Ma tu potresti dire a me come dissero i discepoli a Cristo, quando disse: «Uno poco starete e voi non mi vedrete, e uno poco e voi mi vedarete».

Essi risposero: Che farà costui? che dice egli: «Uno poco e voi non mi vedarete, e uno poco e voi mi vedarete»? Così potreste dire voi: Tu ci dici che Dio non vuole mezzo, e ora dici che noi poniamo lo mezzo. Rispondoti e così ti dico, che tu vadi col mezzo del fuoco della divina carità, lo quale è quello mezzo che non è mezzo, ma fassi una cosa con lui, sì come lo legno che si mette nel fuoco. Dirai tu che lo legno sia legno? no, anco è fatto una cosa col fuoco. Ma se metteste lo mezzo dell'amore proprio di voi medesime, questo sarebbe quello mezzo che vi tolle Dio, e non di meno è non nulla, poiché il peccato è nulla, e in altro non sono fondati i peccati se non nell'amore proprio e piaceri e diletti fuore di Dio; ché, come dalla carità procede e dà vita ogni virtù, così da questo procede ogni vizio e dà morte, e consuma ogni virtù nell'anima. E però ti dissi che Dio non vuole mezzo, e ogni amore che non è fondato nel vero mezzo non dura. Corrite, dilette figlie mie, e non più dormiamo.

Ho avuta compassione alle vostre pene, e però vi dò questo remedio, che voi amiate Dio senza mezzo. E se volete lo mezzo di me misera miserabile, vogliovi insegnare dove voi mi troviate, affinché non vi partiate da questo vero amore: andatevene a quella dolcissima e venerabile croce, con quella dolce inamorata Magdalena: ine trovarete l'Agnello e me, dove si potrà pascere e notricare e adempire i vostri desiderii. A questo modo voglio che voi mi cerchiate, me e ogni cosa creata; questo sia lo gonfalone e il refrigerio vostro. E non pensate che, perché il corpo si dilunghi da voi, che sia dilungato l'affetto e la sollicitudine della salute vostra; anco è più, fuore de la presenza corporale, che ne la presenza. Non sapete voi ch'i discepoli santi ebbero più, doppo la partita del maestro, sentimento e cognoscimento di lui che prima? Poiché tanto si dilettavano de l'umanità che non cercavano più oltre. Ma poi che la presenza si fu partita, egli si dêro a intendare e cognosciare la bontà sua. E però disse la prima verità: «Egli è bisogno che io vada, altrimenti lo Paraclito non verrebbe a voi». Così dico io: egli era bisogno che io mi partisse da voi, affinché vi deste a cercare Dio in verità e non con mezzo. Dicovi che n'avarete meglio poi che prima, intrando dentro da voi a pensare le parole e la dottrina che vi fu data: a questo modo ricevarete la plenitudine della grazia per essa grazia di Dio. Non scrivo più perché io non ho più tempo da scrivare.

Mandola principalmente a te, Melina, e poi a Caterina e a monna Giovanna e a monna Chiara e a monna Bartalomea e a monna Lagina e a monna Colomba. Confortatevi da parte di tutte.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.



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19/10/2012 16:03

165. A monna Bartolomea donna di Salvatico da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.



A voi, dilettissima e carissima figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sempre pasciare e notricare al petto della dolce madre della carità, considerando me che, senza questo latte che ci dà questa gloriosa madre, neuno può avere vita.

Ella è tanto dolce e tanto soave all'anima che la gusta, che ogni cosa amara in lei diventa dolce e ogni grande peso leggiero. Non me ne maraviglio se così è, poiché stando in questa carità e amore si sta in Dio. Così dice santo Giovanni, che Dio è carità, e chi sta in carità, sta in Dio, e Dio in lui (1Jn 4,16): dunque, avendo Dio, non può avere alcuna amaritudine, ché egli è sommo diletto, somma dolcezza e letizia. E questa è la ragione per che sempre i servi di Dio godono: se essi sono infermi, godono, o in fame o in sete, o povari o afritti o tribolati o perseguitati da le creature; ché, se tutte le lingue loro tagliassero sopra lo servo di Dio, non se ne cura: d'ogni cosa gode ed essulta, poiché egli ha Dio, che è ogni suo riposo, e ha gustato lo latte de la divina carità. E sì come lo fanciullo trae a sé lo latte per mezzo del petto della madre, così l'anima inamorata di Dio lo trae a sé per mezzo di Cristo Crocifisso, seguitando sempre le vestigie sue, volendolo seguire per la via degli obrobrii, de le pene e dell'ingiurie, e in altro non si vuole dilettare se non in Cristo Crocifisso; fugge di gloriarsi altro che ne la croce. Questi cotagli dicono con santo Paulo: «Io mi glorio nelle tribolazioni (Rm 5,3) per amore del mio Signore Gesù Cristo, per cui lo mondo m'è Crocifisso, e io a lui» (Ga 6,14).

Allora l'anima s'abraccia al legno della santissima croce, vòlle in su lo volto del santo desiderio, e raguarda lo consumato ardentissimo amore, lo quale gli ha aperto lo corpo suo, che da ogni parte versa sangue per amore. Perciò non mi maraviglio se allora l'anima è paziente nelle tribolazioni, poiché per amore e con libera volontà ha refiutate le consolazioni del mondo, e ha fatta grande amistà con le fatiche e persecuzioni perché ha veduto che questo fu lo vestimento del Figlio di Dio, lo quale egli elesse per lo più prezioso e glorioso vestimento che trovare potesse.

Questo è quella margarita che dice lo nostro Salvatore che l'uomo, quando l’ha trovata, vende ciò che egli ha per comperarla (Mt 13,45-46). Quale è quella cosa che è nostra, che ci è data da Dio, che né demonio né creatura ce la può tòllare? è la volontà. A cui vendaremo questo tesoro di questa volontà? a Cristo Crocifisso, cioè che volontariamente e con buona pazienza renunziaremo a la nostra perversa volontà, la quale quando è posta in Dio è uno tesoro, e con questo tesoro compriamo la margarita delle tribolazioni, traendone lo frutto, con la virtù de la pazienza, lo quale mangiamo alla mensa della vita durabile.

Or a questo cibo, mensa e latte v'invito, figlia mia dolcissima, e pregovi che ne siate sollicita di prendarlo. Levatevi dal sonno de la negligenzia, ché non voglio che siate trovata dormire quando sarete richiesta da la prima Verità. O dolce e soave richiedimento, lo quale tolli la gravezza del corpo nostro, che è quello mezzo perverso che sempre ha ribellato al suo Creatore, coi diletti e piacimenti disordenati, facendocene per disordenato amore uno nostro Dio (Ph 3,19).

Era tanto abondata la cecità nostra che non raguardavamo noi non essere, ma come superbi credavamo passare per la porta stretta col peso dell'affettuoso perverso amore del mondo, lo quale è la morte dell'anima nostra. Voglio dunque che ci leviamo lo carico d'ogni vanità del mondo e amore proprio di te medesima. Sai tu perché dice che la porta è stretta, unde doviamo passare? (Mt 7,13-14 Lc 13,24) Perché doviamo ristregnare l'amore i desiderii nostri in ogni diletto e consolazione del mondo, trasformare sé medesimo ne la dolce madre de la carità, come detto è. Dico che deve chinare lo capo perché la porta è bassa - portandolo alto ce il romparemmo -: vuolsi chinare per vera e santa umilità, raguardando che Dio è umiliato a noi. Debbiti tenere, e voglio che ti tenga, la più vile di tutte l'altre, e guarda che tu non volla lo capo indietro per veruna cosa che sia, né per illusione di demonio, né per parole che tu udissi, o da lo sposo tuo, o da nessuna altra creatura; persevera virilmente nel santo proponimento cominciato, ché sai che disse Cristo: «Non vi vollete indietro a mirare l'arato» (Lc 9,62), poiché la perseveranza è quella cosa che è coronata.



Vòlleti con affettuoso amore con quella dolce inamorata Magdalena, abracciando quella venerabile e dolce croce, e ine trovarai tutte le dolci e reali virtù, poiché ine troviamo Dio e Uomo. Pensati che il fuoco de la divina carità ha premuto quello dolce e venerabile corpo, in tanto che da ogni parte versa sangue. Con tanto amore e pazienza sta che lo grido di questo Agnello non è udito per mormorazione, e umile e dispetto, saziato d'obrobrii. Fendasi lo cuore e l'anima tua per caldo d'amore, a questo petto de la carità, col mezzo de la carne di Cristo Crocifisso. In altro modo non potresti gustare né avere virtù, poiché egli è la via ed è la verità (Jn 14,6); e chi tiene per essa non può essere ingannato.

Fatti ragione che tutto lo mondo ti fusse contro, e tu, con uno cuore virile e reale, non vòllare lo capo indietro, ma parati inanzi con lo scudo in mano a ricevare i colpi. Sai che lo scudo ha tre canti; così ti conviene avere in te tre virtù: odio e pentimento dell'offesa che hai fatta al tuo Creatore, singularmente nel tempo passato, quando tu eri uno demonio poiché seguitavi le vestigie sue. Dico che poi ti conviene avere l'amore, raguardando nella bontà di Dio, che tanto t'ha amata, non per debito ma per sola grazia, mosso da l'amore ineffabile; non ti trasse l'anima del corpo nel tempo che tu eri ribella a lui: àtti lo dolce Gesù tratta de le mani del demonio e pòrtati la grazia. E dicoti che, subito che averai questo perfetto amore e odio, ti nasciarà la terza, cioè una pazienza che non tanto che tu ti doglia di parole o d'ingiurie che ti fussero dette o fatte, o per veruna pena che sostenessi tu non ti moverai per impazienzia, ma con letizia sosterrai, avendole in reverenzia, reputandoti indegna di tanta grazia. Non sarà veruno colpo, né di demonio né di creatura, che, avendo questo scudo de l'odio e dell'amore e de la vera pazienza, che ti possa nuociare, poiché elle sono quelle tre colonne forti che conservano e tolgono la debolezza dell'anima.

Questo prese quella dolce Magdalena, per sì-fatto modo che ella non vedeva sé: con uno cuore reale si veste di Cristo Crocifisso; non si vòlle più né a stati né a grandezze, né alle vanità sue; perduto ha ogni piacere e diletto del mondo: in lei non si trova altra sollicitudine né pensiero se non in che modo ella possa seguire Cristo. Subito che ella ha posto l'affetto in lui e cognosciuta sé medesima, ella t'abraccia e prende la via della viltà; dispregia sé per Dio, perché vede che per altra via nol può seguire né piacerli; ella si fa ragione d'essere la più vile creatura che si truovi. Costei, come ebbra, non si vede più sola che acompagnata, ché, se ella si fusse veduta, non sarebbe stata tra quella gente dei soldati di Pilato, né andata e rimasa sola al monimento (Jn 20,1); l'amore non le faceva pensare: Che parrà egli? sarà egli detto male di me, perché io sono bella e di grande affare? Non pensa qui, ma pur in che modo possa trovare e seguire lo maestro suo. Or questa è quella compagna la quale io ti do, e che io voglio che tu seguiti, poiché ella seppe sì bene la via che ella è fatta a noi maestra. Corre, figlia e figlie mie, non mi state più a dormire, che il tempo corre e non v'aspetta punto. Non voglio dire di più.

Confortate madonna Colomba, ché io mando a lei come a voi, e anco monna Giovanna d'Azzolino.

Benedimmi monna Melina e Caterina e monna Lagina e tutte l'altre figlie in Cristo Gesù. Non si maraviglino né piglino pena perché io non abbi scritto in particulare a loro: ònne fatto uno corpo di tutte quante; ho fatto questo perché le piante novelle hanno bisogno di maggior aiuto. Confortatevi in Cristo Gesù, da parte di tutte.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





166. A madonna Colomba da Lucca.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissima sorella e figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo nel prezioso sangue suo, con desiderio che voi fuste uno campo fruttifero e che faceste frutto, ricevendo lo seme de la parola di Dio, per voi e per altrui, essendo specchio di virtù, voi vecchia ogimai nel mondo, sciolta dal legame del secolo, alle giovane che anco sono legate nel mondo per gli legami degli sposi loro.



Oimé oimé, che io m'aveggo che noi siamo terra infruttifera che lassiamo affogare lo seme de la parola di Dio da le spine e pruni dei disordenati affetti e desiderii del mondo, andando per la via dei diletti e de le delizie sue, studiandoci di piacere più tosto alle creature che al Creatore. E anco è maggiore miseria che non ci basta assai lo nostro male; ché colà dove noi doviamo essere essemplo di virtù e d'onestà, e noi ci poniamo in essemplo di peccato e di vanità. E pare che come lo demonio non volse cadere solo, ma volse la molta compagnia, così noi a quelle medesime vanità e diletti e piacimenti che sono in noi, a questi medesimi invitiamo altrui.

Dovetevi dunque ritrare voi, che non ve il richiede lo stato vostro, da le vane letizie e nozze del mondo, e ingegnarvi di ritrarne coloro che vi volessero essere, per amore de la virtù e per salute vostra; e voi dicete male e invitate le giovane, che per amore de la virtù se ne vogliono ritrare e non andarvi perché veggono che è offesa di Dio. Non mi maraviglio dunque se il frutto non apparisce, poiché il seme è affogato, come detto è. Forse che pigliarete alcuna scusa in dire: «Egli mi conviene pur conscendare ai parenti e agli amici, e fare questo, se non che si turbarebbero e scandalizzarebbero contro me»; e così lo timore e piacimento perverso ci priva della vita, e spesse volte ci dà la morte; tolleci la perfezione alla quale Dio c'sceglie e ci chiama. Non accetta Dio questa scusa, poiché non doviamo conscendare agli uomini in cosa che offenda Dio e l'anima nostra; né amarli né servirli doviamo se non di quelle cose che sono in Dio, e secondo lo stato mio.

Oimé misera miserabile a me! sono stati o parenti o amici o veruna creatura che v'abbi ricomprata? no, solo Cristo crocifisso fu quello Agnello che con l'amore ineffabile esvenò e aperse lo corpo suo, dandocisi in bagno e in medicina e in cibo e in vestimento e in letto dove ci possiamo riposare. Non raguardò ad amore proprio di sé né a diletto sensitivo, ma con pena, sostenendo obrobrii e vitoperio, avilì sé medesimo, cercando l'onore del Padre e la salute nostra. Non si conviene che noi miseri miserabili teniamo per altra via che tenesse la prima dolce Verità.

Sapete che nelle delizie e nei diletti non si trova Dio. Vediamo che quando lo nostro Salvatore si smarrì nel tempio andando a la festa, Maria nol poté trovare né tra gli amici né tra parenti, ma trovollo nel tempio che disputava coi dottori; questo fece per dare essemplo a noi, poiché egli era nostra regola e via, la quale noi doviamo seguire. Odi che dice che si smarrì andando alla festa: sappiate, dilettissima sorella, che come detto è, Dio non si trova alle feste, né a balli o a giuochi o a nozze o a delizie, anco andandovi è strumento e cagione di perdarlo, cadendo in molti peccati e difetti, e in molti piacimenti di disordenati diletti.

Poi che questa è la cagione che ci ha fatto smarrire Dio per grazia, ècci modo di ritrovarlo? Sì: acompagnianci con Maria e cerchianlo con lei, cioè con l'amaritudine dolore e pentimento della colpa commessa contro al nostro Creatore per conscendare alla volontà de le creature. Convienci dunque andare al tempio, e ine si trova. Levisi lo cuore e l'affetto e il desiderio nostro con questa compagnia dell'amaritudine, e vada al tempio dell'anima sua, e ine conosca sé medesima; allora, conoscendo sé medesima non essere, cognosciarà la bontà di Dio in sé, che è colui che è.

Allora si levarà la volontà con sollicitudine, e amarà quello che Dio ama, e odiarà ciò che egli odia. Allora sì riprendarà, stando a disputare in sé medesima, la memoria che ha ricevuto in sé i diletti e piaceri del mondo, e non ha tenuto né riserbato in sé le grazie e doni e i grandi beneficii di Dio, che ha dato sé medesimo a noi con tanto fuoco d'amore. Riprendarà lo intendimento, che s'è dato più tosto a intendare la volontà delle creature e osservare i pareri del mondo che la volontà del suo Creatore, e però la volontà e l'amore sensitivo s'è volto ad amare e desiderare queste cose grosse sensitive che passano come il vento.

Non debba fare così, ma debba intendere e conoscere la volontà di Dio, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione, e però ha data la vita.

Non v'ha Dio sciolta dal mondo perché voi stiate affogata e anegata nel mondo con l'affetto e col disordenato desiderio. Or avete voi altro che una anima? No, che se ce n'avesse due, potremmo l'una dare a Dio e l'altra al mondo; né altro che uno corpo non avete, e questo d'ogni leggiera cosa si starà. Siatemi dispensatrice ai povari de le vostre sustanzie temporali; subgiogatevi al giogo della santa e veraobbedienza; uccidete uccidete la vostra volontà, affinché non stia tanto legata nei parenti; mortificate lo corpo vostro e nol vogliate tenere in tante delicatezze; disprezzate voi medesima; non raguardate né a gentilezza né a ricchezza, poiché solo la virtù è quella cosa che ci fa gentili, e le ricchezze di questa vita sono pessima povertà quando sono possedute con disordenato amore fuore di Dio.

Recatevi alla memoria quello che ne dice lo glorioso Girolamo, che non pare che se ne possa saziare, vetando che le vedove non abondino in delizie, e non portino la faccia pulita né i gentili e dilicati vestimenti; né la conversazione loro debba essere con giovane vane né dissolute. La sua conversazione debba essere in cella, e debba fare come la tortora che, poi che è morto lo compagno suo, sempre piange, e restringesi in sé medesima, e non vuole altra compagnia.

Ristrignetevi, carissima e dilettissima sorella, con Cristo crocifisso; ine ponete l'affetto e il desiderio vostro, in seguitarlo per la via degli obrobrii e de la vera umilità, e con mansuetudine, legandovi con l'Agnello col legame de la carità. Questo desidera l'anima mia, sì che voi siate vera figlia e sposa consecrata a Cristo.

Corrite corrite, ché il tempo è breve, e il camino è lungo; e se voi deste tutto l'avere del mondo, non v'aspettarebbe lo tempo che non facesse lo corso suo. Non dico più.

Perdonatemi se ho dette troppe parole, ché l'amore e la sollicitudine che io ho de la salute vostra me l'ha fatte dire, e sappiate che più tosto vi farei che io non ve il dico. Dio vi riempia de la sua dolcissima grazia.

Confortate madonna Bartolomea e tutte l'altre in Cristo Gesù.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





167. A monna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnata per santo desiderio nel sangue di Cristo Crocifisso; nel quale sangue l'anima si purifica da ogni colpa di peccato, e trovavi lo caldo de la divina carità, vedendo che per amore fu sparto.

Unde l'anima s'inebbria d'amore, e sente l'odore della pazienza; e per l'amore che ha trovato nel sangue si spoglia d'ogni amore proprio di sé, e porta con mansuetudine ogni avversità e tribulazione del mondo, trapassandole con vera pazienza. E le prosperità e delizie e stati del mondo e l'amore di figli sì trapassa, con uno vero e santo timore, amandole come cosa prestata, e non come cosa sua; e così debba fare ogni persona che ha in sé ragione. Facendo così, non offende Dio e gusta la caparra di vita eterna in questa vita, con una carità fraterna col prossimo suo; e tutto questo trova l'anima nella memoria del sangue. E veramente così è, poiché, mentre che noi terremo a mente con ansietato desiderio lo beneficio del sangue, saremo grati e conoscenti, e rendarenli lo debito dell'affetto della carità e de le vere e reali virtù.

Ché per altro non offende tanto la creatura, se non perché non ha la memoria del sangue e degli altri beneficii, e però non è grato; e non essendo grato non si cura delle virtù.

Perciò, carissima madre, poiché c'è di tanta necessità la memoria di questo sangue, strignetevi con l'umile e immacolato Agnello, bagnandovi nel sangue dolcissimo suo. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





168. Agli Anziani di Lucca.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi fratelli in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pieni de la divina grazia, lume di Spirito santo, considerando me che senza questo lume non possiamo andare.

Sapete, fratelli carissimi, che noi siamo in via pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11). In questa tenebrosa vita noi siamo ciechi per noi medesimi: come dunque potrà andare lo cieco per la via che è molto dubbiosa, senza guida, che egli non caggia? Perciò c'è bisogno d'avere lo lume e la guida che c'insegni. Ma confortatevi, fratelli carissimi, che non ci bisogna dubbitare, ché Dio, per la sua infinita bontà, ci ha dato lo lume del cognoscimento che conosce che la virtù e il servire al suo Creatore gli dà vita; e il vizio, lo peccato e l'amore proprio di sé medesimo, e la superbia in cercare o tenere e possedere le cose del mondo e gli stati suoi ingiustamente - cioè con poco timore e onore di Dio - bene vede che questo gli dà la morte, e fallo degno dell'eterna dannazione.

Dico che ci è data la guida, cioè l'unigenito Verbo incarnato Figlio di Dio, che c'insegna per che modo doviamo andare per questa via cotanto lucida. Sapete che egli dice: «Io sono via verità e vita (Jn 14,6): chi va per me non va per le tenebre, ma va per la luce» (Jn 8,12). Egli è verità che non ha in sé bugia. E che via ha fatta questo dolcissimo maestro? HA fatta una via d'odio e d'amore: odio ha avuto e pentimento del peccato, sì e per sì-fatto modo che ne fece vendetta sopra lo corpo suo, con molte pene, strazii, scherni e rimproverii, morte e passione, non per sé - ché in sé non era veleno di peccato -, ma solo in servigio della creatura, per sodisfare alla colpa commessa: rendegli lo lume della grazia e tollegli le tenebre che per lo peccato era entrata nell'anima.

Insegnaci dunque la via d'andare con odio e pentimento del vizio e del peccato; e perché l'amore proprio è quelle tenebre unde viene ogni tenebre, spiritualmente e temporalmente, colui che ama sé per sé non si cura del danno del fratello suo e del vitoperio e offesa di Dio, perché non raguarda altro che a sé medesimo d'amore sensitivo e non ragionevole. E questa è la cagione che eziandio gli stati del mondo non bastano: perché non s'attende a l'onore di Dio e alla giustizia santa altro che a sé medesimo.

Venne questo dolce Gesù, e àvi insegnata la via d'avere in odio e in pentimento questo amore proprio, tanto è pericoloso. Àcci dato lo lume dell'amore de la sua verità, poiché l'amore di Dio e della virtù santa è uno lume che ci tolle ogni tenebre d'ignoranza; donaci vita e tolleci la morte, dacci una fortezza, sicurezza e fermezza contro ogni avversario e nemico nostro, poiché, come dice santo Paulo, «se Dio è con noi, chi sarà contro a noi?» (Rm 8,31). Non demonio né creatura ci potrà tòllare questo bene e vero lume, che ci ha a conservare la grazia nell'anima e anco lo stato e la signoria sua. Egli è potente, lo Dio nostro dolce, a volerci e poterci conservare e trare de le mani dei nemici nostri, pur che voi attendiate a l'onore suo e alla essaltazione della santa Chiesa, la quale è la essaltazione vostra: in altro non riceve l'anima vita se non in essa Chiesa. Questo dolce Gesù, lo quale s'è fatto a noi via, ed è insegnatore e nostro conducitore, non mirò mai altro se non a l'onore del Padre e alla salute nostra, e prese per sposa la santa madre Ecclesia; ine misse lo frutto e il caldo del sangue suo, quasi per medicina delle nostre infermità: ciò sono i sacramenti della Chiesa, che hanno ricevuta vita nel sangue del Figlio di Dio, lo quale fu sparto con tanto fuoco d'amore. E pensate che, nel fuoco della sua carità, egli ha sì fermata questa sua sposa in sé (e tutti coloro che a essa stanno appoggiati e fannosi suoi figli legittimi, che eleggono inanzi cento migliaia di volte la morte prima che mutare lo passo senza lei), che non sarà demonio né creatura che le possi tòllare che ella non sia. Etternalmente dura questa venerabile e dolcissima sposa.

E se voi mi diceste: I pare che ella venga sì meno, e non pare che possa aitare sé, non tanto ch'i figli suoi, dicovi che non è così, ma i pare bene all'aspetto di fuore: or raguarda dentro e trovara'vi quella fortezza de la quale lo nemico suo è privato. Voi sapete bene che Dio è colui che è forte, e ogni fortezza e virtù procede da lui; questa fortezza non è tolta alla sposa, né questo aiutorio forte e fermo, che non l'abbi; ma i nemici suoi che fanno contro lei hanno perduta questa fortezza e aiutorio, poiché, come membri putridi, tagliati sono dal capo loro, unde subito che il membro è tagliato, sì è indebilito. Stolto dunque e matto è colui lo quale è uno piccolo membro e vuole fare contro uno grande capo, e spezialmente quando vede che prima verrebbe meno lo cielo e la terra, che venisse meno la virtù sua di questo capo.



E se diceste: «Io non so: io vedo pur le membra che prosperano e vanno inanzi»; aspetta un poco, ché non debba andare né può andare così, poiché dice lo Spirito santo nella Scrittura santa: «Invano e indarno s'affatica colui che guarda la città che ella non venga meno, se Dio non la guarda» (Ps 126,1).

Perciò non può durare che ella non venga meno, e non sia destrutta l'anima e il corpo, poiché sono privati di Dio, per grazia, che la guarda: perché hanno fatto contro la dolce Sposa sua, dove si riposa Dio che è essa fortezza. Non c'inganni dunque veruno timore servile, poiché il timore servile fu quello che ebbe Pilato, lo quale, per paura di non perdere la signoria, uccise Cristo, e per la sua ignoranza perdette lo stato dell'anima e del corpo. Ma se avesse mandato inanzi lo timore di Dio, non cadeva in tanto inconveniente.

Perciò io vi prego, per l'amore di Cristo Crocifisso, fratelli carissimi e figli della santa Chiesa, che sempre stiate fermi e perseveranti in quello che avete cominciato, e non vi muova né demonio né creature che sono peggio che dimoni, le quali drittamente hanno preso l'offizio loro: che non lo' basta lo male loro, sì vanno invitando e ritraendo coloro che vogliono essere e sono stati figli. Non vi movete per veruno timore di perdere la pace e lo stato vostro, né per minacce che questi dimoni facessero a voi, poiché non vi bisogna; ma confortatevi, con uno santo e dolce ringraziamento, ché Dio v'ha fatta grazia e misericordia, poiché non sete sciolti dal capo, da colui che è forte, e non sete legati nel membro debole e putrido, tagliato da la sua fortezza.

Guardate guardate che questo legame voi non faceste: prima elegete ogni pena, e vadi sempre inanzi lo timore dell'offesa di Dio oltre a ogni altra pena: non vi bisognarà poi temere. Ma io godo ed essulto in me della buona fortezza che per infine a qui avete avuta, d'essere stati facciorti e perseveranti e obedienti alla santa Chiesa. Ora, udendo lo contrario, mi contristai fortemente, e però ci venni, da parte di Cristo Crocifisso, per dire a voi che questo non doveste fare per veruna cosa che sia. E sappiate che, se questo faceste per conservarvi e avere pace, voi cadereste nella maggiore guerra e ruina che aveste mai, l'anima e il corpo: or non cadete in tanta ignoranza, ma siate figli veri e perseveranti.

Voi sapete bene che, se il padre ha molti figli, e solo l'uno rimanga fedele a lui, a colui darà la eredità.

Questo dico, che - se solo voi rimaneste - fermi state in questo campo e non vollete lo capo adietro, ché per la grazia di Dio anco ce n'è rimaso un altro, ciò sono i Pisani vostri vicini, che, colà dove voi vogliate stare fermi e perseveranti, mai non vi verranno meno, ma sempre v'aitaranno e difendaranno da chi vi volesse fare ingiuria, infine alla morte. Oimé, dolcissimi fratelli, quale sarà quello demonio che possa impedire questi due membri, che sono legati, per non offendere Dio, nel legame de la carità, appoggiati e stretti nel capo suo? non veruno.

Aviamo dunque a cercare lo lume, del quale io prego la somma eterna Verità che n'adempi e vesta l'anima vostra, poiché se questo sarà in voi, non temo che facciate lo contrario di quello che io vi prego e dico da parte di Cristo, cioè di fare altro per lo tempo avenire che avesseate fatto per lo tempo passato. Non dico più.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.



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19/10/2012 16:07

169. due Lettere:

1) A don Nicoloso di Francia monaco di Certosa nel monasterio di Belriguardo.

2) A frate Matheo Talomei da Siena dell'ordine dei Predicatori, in Roma.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore in questo campo della battaglia, sì che mai non volliate lo capo adietro per alcuna cosa che sia, ma, come cavaliere virile, state a ricevere i colpi senza timore servile, ché, essendo voi armato, i colpi non vi nociaranno.

I ci conviene armare con l'arme della fortezza, unita con l'ardentissima carità, poiché, per amore del sommo e eterno bene, ci doviamo disponere a portare volontariamente ogni pena e fatica. Questa è una arme di tanto diletto e fortezza che né dimonia, con diverse e molte tentazioni, né le creature, con molte ingiurie e beffe e scherni che facessero di noi, non ci possono togliere la fortezza né lo diletto che riceve l'anima ne la dolcezza della carità; anco, l'anima che è armata così dolcemente percuote loro, poiché il demonio - trovando l'arme della fortezza nell'anima, ne le battaglie che egli le dà - vede che con allegrezza le riceve, per odio santo che ha di sé medesima, e per desiderio che ha di conformarsi in croce con Cristo, e portare pene e fatiche per lo suo amore. E vede che con carità d'amore del suo Creatore le spregia, cioè che la volontà non consente ad alcuna sua illusione; e però di questa fortezza che lo demonio trova e vede in quella anima, n'ha pena, e vedesene rimanere sconfitto; e l'anima si rimane piena de la divina grazia, tutta affocata d'amore, e inanimata a la battaglia a combattere per Cristo Crocifisso. Sì che vedete, carissimo figlio, che voi percotarete loro.

E dicovi che percotarete lo mondo con tutte le sue delizie, e le creature che vi volessero perseguitare, in qualunque modo si fusse, con la carità della carità sostenendo con vera e santa pazienza. E con la pazienza e con la carità lo' gittarete carboni acesi, cioè un amore sopra i capi loro, che per forza d'amore si placarà l'ira e la persecuzione loro. Molto c'è dunque necessaria questa arme, poiché in altro modo non potremmo resistere.

La battaglia non possiamo noi fuggire, mentre che siamo nel corpo mortale, in qualunque stato la persona si sia; e ciascuno le porta in diversi modi, secondo che piace alla bontà di Dio di darle. Se la persona non è armata, riceve lo colpo della impazienzia, e riceve lo colpo del diletto di consentire volontariamente ai colpi de le molte battaglie che lo demonio gli dà; e così ne rimane morto, rimanendo ne la colpa del peccato mortale. Ma se egli è armato, neuno colpo gli può nuocere, come detto è.

E se voi mi diceste: «Io non la posso avere questa arme», o: «A che modo potrei fare d'averla?», io vi rispondo che non è alcuna creatura che avesse in sé ragione, che non la possi avere, se egli vuole, mediante la divina grazia. Poiché la colpa e la virtù si fa con la volontà; e tanto quanto la volontà dell’uomo consente al peccato o ad adoperare una virtù, tanto è peccato e virtù. Poiché, senza la volontà, né il peccato sarebbe peccato, né la virtù sarebbe virtù: cioè che l'anima non ricevarebbe colpa né da l'atto del peccato né da alcuna cogitazione, se la volontà non vi consente; né le buone cogitazioni né l'atto de la virtù darebbe vita di grazia, se la volontà non consente a ricevarle con affetto d'amore.

E la volontà dell’uomo è sì forte, che né demonio né creatura né alcuna cosa creata la può muovere, né fare consentire né a peccato né a virtù, più che si voglia. Questo ci mostrò Paulo, quando disse: «Né fame né sete né persecuzioni né fuoco né coltello, né cose presenti né future, né angeli né demonia mi partiranno da la carità di Dio, se io non vorrò». In queste parole lo glorioso di Paulo ci mostra quanta è la forza de la volontà che Dio ci ha data per sua misericordia, sì che neuno può dire: «Io non posso», né avere scusa di peccato. Possono bene venire i ladii e molti pensieri nel cuore - ai quali neuno può resistere che non venghino -, ma lo venire non è peccato; ma lo ricevarli con volontà, questo è peccato, e a questo si può resistere di non aconsentire.

Poi, dunque, che sì grande tesoro aviamo che neuno può essere vento se egli non vuole, non è da schifare i colpi, ma è da dilettarsi di stare sempre in battaglia, mentre che viviamo. Chi vedesse quanto è lo frutto della battaglia, non sarebbe neuno che con desiderio non l'aspettasse. Chi non ha battaglia, non ha vittoria; e chi non ha vittoria, sì è confuso. Sapete quanto bene ne viene per la battaglia? L'uomo ha materia, nel tempo delle grandi battaglie, di levarsi da la negligenzia, e d'essere più sollicito a essercitare lo tempo suo, e di non stare ozioso; e singularmente all'essercizio dell'orazione, ne la quale orazione umilemente ricorre a Dio, che vede che è sua fortezza, e dimandali l'aiutorio suo. E anco ha materia di conoscere la debolezza e fragilità della passione sensitiva sua; unde per questo concepe uno odio verso lo proprio amore, e con vera umilità dispregia sé medesimo, e fassi degno de le pene e indegno del frutto che segue doppo le pene.

E anco conosce la bontà di Dio in sé, sentendo che la buona volontà, la quale egli ha che non consente, l'ha da Dio; e però concepe amore nella bontà sua con uno santo ringraziamento, perché si sente conservato nella buona volontà. Nelle battaglie s'acquistano le grandi virtù, e ogni virtù riceve vita da la carità, e la carità è notricata da la umilità; e come già aviamo detto che nel tempo delle battaglie l'anima ha materia di conoscere più sé medesima e la bontà di Dio in sé, dico che in sé conosce sé essere fragile, unde egli s'umilia; e in sé conosce ne la buona volontà la bontà di Dio, unde viene ad amore e a carità.

Perciò bene è da godere nel tempo delle battaglie, e non venire mai a confusione, poiché alcune volte lo demonio, non potendoci ingannare coi lamo del diletto, ci vuole pigliare coi lamo della confusione - volendoci fare vedere che nel tempo delle battaglie siamo reprovati da Dio, e che l'orazione e gli altri essercizii spirituali non ci vagliono -, dicendo nella mente nostra: «Questo che tu fai, non ti vale: tu debbi fare la tua orazione e l'altre cose col cuore schietto e con mente quieta, e non con tanti disonesti e variati pensieri. Meglio t'è dunque di lassarle stare». E tutto questo fa lo demonio perché noi gittiamo a terra i santi essercizii e l'umile orazione, che è ell'arme con che noi ci difendiamo, o vogliamo dire uno legame che lega e fortifica la volontà, e cresce e notrica la fortezza con l'ardentissima carità, con che l'anima resiste ai colpi, come detto è. E però lo demonio s'ingegna, con questo lamo, che noi la gittiamo a terra; poiché potrebbe, perduto questo, a mano a mano avere di noi quello che egli vuole.

Perciò mai per nessuna battaglia doviamo venire a confusione, né lasciare alcuno essercizio; eziandio se avessimo peccato attualmente, a confusione di mente non si debba venire - poiché doviamo credere che subito che l'uomo si riconosce e ha dolore e pentimento de la colpa comessa, Dio lo riceve a misericordia -, ma con speranza e con fede viva credere in verità che Dio non vi porrà maggiore peso che voi potiate portare; poiché tanto ci molestano le demonia quanto Dio permette, e più no. E doviamo essere certi che Dio sa può e vuole deliberarci, quando egli vedrà che sia lo tempo che faccia per la salute nostra di tollarci le tentazioni e ogni altra fatica; poiché ciò che egli ci dà e permette, lo fa per nostra salute o per acrescimento di perfezione.

Or con questo lume de la fede e vera speranza passarete questo e ogni altro inganno del demonio; e con profonda umilità, inchinando lo capo a passare per la porta stretta, seguitando la dottrina di Cristo Crocifisso, acquistarete lo dono della fortezza e della carità, de la quale aviamo detto che è l'arme con che noi ci difendiamo. Con che s'acquista questa arme? col lume della santissima fede, come detto è. Sì che la fede con ferma speranza e con la carità - ché altrimenti, non sarebbe fede viva - ci darà lume in conoscere la nostra fortezza, Cristo dolce Gesù, e la debolezza dei nemici. E la speranza ci farà certi che egli è così, aspettando che ogni fatica sarà remunerata, e ogni colpa sarà punita. E la carità ci fortifica, facendoci forti contro ogni avversario.

Dunque a combattere, carissimo figlio, ponendoci lo sangue dinanzi de l'umile e immacolato Agnello, che ci farà essere forti e inanimare a la battaglia; in altro modo non tornaremmo a la città nostra di vita eterna con la vittoria. E però vi dissi che io desideravo di vedervi vero combattitore, mentre che siamo nel campo della battaglia, sì come cavaliere virile; e così vi prego che facciate, e sempre con la verga della veraobbedienza.

O carissimo figlio, parmi che lo Sposo eterno voglia che voi vi gloriate insieme col glorioso Paulo: egli si gloria nelle molte tribolazioni; fra l'altre, dello stimolo che egli ebbe poi che fu preso e battuto cotante volte da' Giuderi. E voi con lui insieme,vi gloriate, figlio carissimo, e abiatele in debita reverenzia, riputandovi indegno del frutto e degno della pena. Ora è il tempo nostro di sostenere per gloria e loda del nome suo: non dubitate, né voglio che veniate meno sotto la disciplina dolce di Dio. Confortatevi, ché tosto verrà l'aurora. Voi chiamerete, e vi sarà risposto in verità. Anegatevi anegatevi nel sangue dolce di Cristo Crocifisso, dove ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Gridate in cella, e la verità eterna udirà lo grido vostro, e io, ignorante e misera vostra madre, farò il simile: e così sarà subvenuto ai vostri bisogni. Non mancate in isperanza, ché a voi non mancherà la divina Providenzia.





170. A Pietro marchese predetto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, mi vi racomando nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero servo e cavaliere di Cristo, combattendo sempre virilmente contro i vizii e i peccati, non con negligenzia ma con vera e santa sollicitudine, sì che, venendo quello punto dolce de la morte, torniamo con la vittoria ne la città vera di Ierusalem, visione di pace, dove noi non trovaremo la carne che voglia ribellare a lo spirito.

Ma attendete, padre, che a volere la vita durabile, c'è bisogno di lasciare la carne, prima che venga la morte e che la carne abbandoni noi, cioè lasciare gli appetiti e i desiderii e i sentimenti carnali. Oimé, non ve ne fate invitare a lassargli, poichéd i non ci ha tempo, e non è nessuna cosa che faccia l'uomo bestiale quanto questo perverso vizio; e grande stoltizia è de la creatura, che si tolle tanta dignità per tanto trista cosa e diventa animale bruto. Perciò stirpiamo e combattiamo contro a questo vizio e contro ad ogni altro, con l'odore de la santa continenzia e onestà, con lo scudo de la santissima croce, e riparare ai colpi: sì che siate vero giudice e signore ne lo stato che Dio v'ha posto, e drittamente rendiate lo debito al povero e al ricco secondo che richiede la santa giustizia, la quale sempre sia condita con la misericordia. Non dico più qui.

Manifestovi uno caso che è avenuto al monasterio di Santo Michele Angelo da Vico; poiché uno giovane, lo cui nome vi dirà la lettera che la badessa del detto monasterio vi manda, lo quale già è buono tempo l'ha stimolate, e a tanto è venuto che egli vi si entra ogni ora che gli piace, avendo smurata una finestra del monasterio, minacciando quelle che non vogliono lo male, di mettere fuoco nel monasterio e ardervele dentro, secondo che esse hanno detto a me. Per la quale cosa vi prego e costringo che voi ci poniate quello remedio che vi pare, e più convenevole, sì che si ponga remedio a tanta abominazione. Non vorrei poiché egli perdesse la vita, ma d'ogni altra pena io sarei molto consolata. Non dico più sopra questa materia.

Lo Spirito santo v'allumini, di questo e d'ogni altra cosa. Laudato sia Gesù.







171. A Nicolò Soderini, essendo dei Priori di Firenze al tempo che si fece la lega.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi membro legato e unito nel legame della vera carità, sì e per sì-fatto modo che participiate di questo vero amore che, poi che sete fatto capo e posto in signoria, voi siate quello mezzo che aitiate a legare tutti i membri dei vostri cittadini, sì che non stieno a tanto pericolo e dannazione dell'anima e del corpo.

Sapete che il membro che è tagliato dal capo suo, egli non può avere in sé vita, perché non è legato con quello unde egli aveva la vita. Così vi dico ch'è l'anima che è partita da l'amore e da la carità di Dio: cioè di quelli i quali non seguitano lo loro Creatore, ma più tosto lo perseguitano con molte ingiurie e peccati mortali, i quali manifestamente si veggono per segni e modi che noi vediamo apparire e fare tutto dì; e voi mi potete intendere. Or chi siamo noi, miseri miserabili, iniqui e superbi, noi che facciamo contro lo capo nostro? Oimé oimé, la superbia e la grandezza nostra col vedere cieco ci mostra lo fiore dello stato e delle signorie, e non vediamo lo verme che è intrato sotto a questa pianta che ci dà lo fiore, che rode; e tosto verrebbe meno, se egli non s'argomenta. Conviensi dunque argomentare col lume della ragione della vera e dolce umilità, la quale virtù coloro che la possegono sempre sono essaltati, e così per lo contrario, come disse Cristo, sempre i superbi sono umiliati (Lc 14,11 Mt 23,12 Lc 18,14). Questi cotali non possono avere vita, poiché sono membri tagliati dal dolce legame della carità.

O che peggio possiamo avere che essere privati di Dio? Bene potremmo avere assai legame e, fatta lega, legati con molte città e creature: che, se non c'è lo legame e l'aiutorio di Dio, che ci vaglia nulla. Sapete che invano s'affatica colui che guarda la città, se Dio non la guarda (Ps 126,1). Che faremo dunque, disaventurati a noi, ciechi e ostinati nei difetti nostri, poi che Dio è colui che guarda e conserva la città e tutto l'universo, e io mi sono ribellato da lui, che è colui che è? E se io dicessi: «Io non fo contro lui»; dico che tu fai contro lui quando fai contro lo vicario suo, la cui vece tiene. Vedi che tu sei tanto indebilito, per questa ribellione fatta che quasi non ci ha forza veruna, perché siamo privati della nostra fortezza. Oimé, fratello e figlio carissimo, aprite l'occhio a raguardare tanto pericolo e tanta dannazione d'anima e di corpo; pregovi che non aspettiate la ruina e il divino iudizio, poiché il verme potrebbe tanto crescere che il fiore darebbe a terra. L'odore di questo fiore già è mortificato, perché siamo stati ribelli a Cristo: sapete che l'odore della grazia non può stare in colui che fa contro lo suo Creatore.

Ma lo remedio ci è, se il vorremo pigliare, e di questo vi prego quanto so e posso, in Cristo dolce Gesù, che il pigliate, voi e gli altri cittadini, e fatene ciò che potete da la parte vostra. Umiliatevi e pacificate i cuori e le menti vostre, poiché per la porta bassa non si può tenere col capo alto, poiché noi ce il romparemmo: egli ci conviene passare per la porta di Cristo Crocifisso, che s'aumiliò a noi stolti e con poco cognoscimento. E se voi v'aumiliarete, dimandarete con pace e mansuetudine la pace al nostro capo, Cristo in terra.

Vogliate dimostrare che siate figli, membri legati e non tagliati, e trovarete misericordia e benignità, essaltazione nell'anima e nel corpo. Sapete che la necessità ci debba strignare a farlo, se non ci strignesse l'amore. Non può stare lo fanciullo senza l'aiutorio del padre, poiché non ha in sé virtù né potenza veruna per sé - ciò che egli ha, ha da Dio -: conviengli dunque stare in amore del padre, ché, se egli sta in odio e in rancore, l'aiutorio suo gli verrà meno; venendoli meno l'aiutorio, conviene che venga meno egli. Percioè, e con sollicitudine, da andare e dimandare l'aiutorio del padre, cioè di Dio: conviencelo adimandare e avere dal vicario suo, poiché Dio gli ha data nelle mani sue la chiave del cielo, e a questo portinaio ti conviene fare capo, poiché quello che egli fa è fatto, e quello che egli non fa, non è fatto. Così disse Cristo a santo Pietro: «Cui tu legarai in terra, sarà legato in cielo, e cui tu sciogliarai in terra, sarà sciolto in cielo» (Mt 16,19).

Poi che egli è tanto forte questo vicario, e di tanta virtù e potenza che serra e apre la porta di vita eterna, noi membri putridi, figli ribelli al padre, saremo sì stolti che facciamo contro lui? Bene vediamo che senza lui non possiamo fare. Se tu sei contro la santa Chiesa, come potrai participare lo sangue del Figlio di Dio, ché la Chiesa non è altro che esso Cristo? Egli è colui che ci dona e ministra i sacramenti, i quali sacramenti ci danno vita per la vita che hanno ricevuta dal sangue di Cristo. Ché prima che il sangue ci fusse dato, né virtù né altro erano sufficienti a darci vita eterna. Come dunque siamo tanto arditi che noi spregiamo questo sangue? E se dicessi: «Non spregio lo sangue»; dico che non è vero, ché chi spregia questo dolce vicario spregia lo sangue: ché chi fa contro l'uno, fa contro all'altro, poiché essi sono legati insieme. Come mi dirai tu che, se tu offendi uno corpo, che tu non offendi lo sangue che è nel corpo? non sai tu che egli è uno corpo mistico, che tiene in sé lo sangue di Cristo? Intendi che adiviene come del figlio e del padre: che, assai offendesse lo padre lo figlio, che il figlio abbi mai ragione sopra di lui; e non può mai offendarlo, né debba offendare, che non sia in pericolo di morte e in stato di dannazione. Egli è sempre debitore a lui, per l'essere che egli gli ha dato: non pregò mai lo figlio lo padre che gli desse della substanzia della carne sua, e non di meno lo padre, mosso per amore che egli ha al figlio prima che egli abbi l'essere, sì gli il dà. O quanto maggiormente noi ignoranti, ingrati e irriconoscenti figli, possiamo patire d'offendere lo nostro vero padre, con-ciò-sia-cosa-che egli ci abbi amati senza essere amato, ché per amore ci creò (e anco ci recreò a grazia nel sangue suo, dando la vita con tanto fuoco d'amore che, ripensandolo, la creatura patirebbe inanzi fame e sete e ogni necessità, infine alla morte, prima che ribellasse o facesse contro lo vicario suo, per mezzo del quale c'è porto lo frutto del sangue di Cristo); e tutto ci ha dato per grazia e non per debito.

Or non più, fratelli miei: non più dormite in tanto poco lume e cognoscimento; traiamo lo verme della superbia e dell'amore proprio di noi medesimi; uccidianlo col coltello de l'odio e dell'amore, con amore di Dio e reverenzia della santa Chiesa, con odio e pentimento del peccato e difetto commesso contro Dio e contro lei. Allora avarete fatto uno innesto, piantati e innestati nell'albero de la vita: torràvi la morte e renderàvi la vita; privati sarete della debolezza - ché già abbiamo detto che siete fatti debili perché siamo privati di Dio, che è nostra fortezza, per la ingiuria che facciamo alla Sposa sua -: dunque, facendo questa unione con odio e pentimento della divisione avuta, sarete fatti facciorti nelle grazie spirituali - le quagli doviamo participare, volendo la vita della grazia - e nelle temporali, sì e per sì-fatto modo che neuno v'offendarà. Meglio v'è di stare in pace e in unione, eziandio non tanto col capo vostro ma con tutte le creature, poiché noi non siamo giudei né saracini, ma cristiani, bagnati e ricomprati nel sangue di Cristo.

Stolti a noi, che ci andiamo ravollendo per appetito di grandezza e, per timore di non perdare stato, pigliamo e facciamo l'offizio deli demoni (andando invitando l'altre creature a fare quello male medesimo che fate voi, sì come demonio): ché, quando egli erano angeli, quelli che caddero si legaro insieme e ribellaro a Dio e, volendo essere alti, diventaro bassi. Non voglio, e così vi prego, che voi non facciate lo simile: volendo fare contro la Sposa di Cristo, v'andiate legando insieme. Facendo così, quando credeste essere legati e inalzati, voi sareste più sciolti e abbassati che mai.

Non più così, fratelli carissimi; legatevi nel legame dell'ardentissima carità, dimandate di tornare a pace e a unione col capo vostro, affinché non siate membri tagliati. Voi avete uno padre tanto benigno che, volendo tornare all'amenda, non tanto che egli vi perdoni, ma egli v'invita a pace, non obstante la ingiuria che ha ricevuta da voi, bene che forse non vi pare avere fatta ingiuria ma ricevuta; se questo è, è per poco lume che è in voi, e questo è il grande pericolo, ed è la cagione che l'uomo non si corregge né torna all'amenda, perché non vede la colpa sua: non vedendola, non l'agrava per odio e pentimento; Perciò ci conviene vedere affinché cognosciamo i difetti nostri, sì che, conoscendoli, gli correggiamo.

Noi non doviamo amare i vizii che noi vedessimo nelle creature, ma doviamo amare e avere in reverenzia la creatura e l'autorità che Dio ha posta nei ministri suoi; dei peccati loro lassargli punire e gastigare a Dio, poiché egli è quello sommo giudice che drittamente dà i giudizii suoi, e a ognuno rende lo debito suo giustamente, secondo che ha meritato, e con drittura. Troppo sarebbe sconvenevole che volessimo giudicare, noi che siamo caduti in quello medesimo bando. Pregovi che non vi lassiate più guidare a tanta simplicità, ma con cuore virile e virtuoso vi legate col vostro capo, sì che, venendo lo punto della morte, dove la persona non si può scusare, noi possiamo participare e ricevare lo frutto del sangue di Cristo.

Pregovi voi, Nicolò, per quello amore ineffabile col quale Dio v'ha creato e ricomprato tanto dolcemente, che voi vi studiate, giusta al vostro potere - ché senza grande misterio non v'ha Dio posto costì -, di fare che la pace e l'unione tra voi e la santa Chiesa si faccia, affinché non siate pericolati voi e tutta la Toscana.

Non mi pare che la guerra sia sì dolce cosa che tanto la dovessimo seguire, potendola levare. Or ècci più dolce cosa che la pace? certo no. Questo fu quello dolce testamento e lezione che Cristo lassò ai discepoli suoi; così disse egli: «Voi non sarete cognosciuti che siate miei discepoli per fare miracoli, né per sapere le cose future, né per mostrare grande santità in atti di fuore, ma se avarete carità e pace e amore insieme» (Jn 13,35).

Voglio dunque che pigliate l'officio degli angeli, che sono mezzo ingegnandosi di pacificarci con Dio; fatene ciò che potete, e non mirate per veruna cosa, né per piacere né per dispiacere. Attendete solo a l'onore di Dio e a la salute vostra; eziandio se la vita ne dovesse andare, non vi ritragga mai di dire la verità per veruno timore che il demonio o le creature vi volessero mettare: ponetevi per scudo e per difesa lo timore di Dio, vedendo che l'occhio suo è sopra di noi e raguarda sempre la intenzione e volontà dell’uomo, come ella è dirizzata in lui. Facendo così, adempirete lo desiderio mio in voi, sì come io vi dissi che io desideravo che fuste membro unito e legato nel legame della carità, e non tanto in voi, ma cagione di legare tutti gli altri.

Fate lo' vedere, quanto potete, lo pericolo e malo stato che sono, ché io vi prometto che, se voi non v'argomentate in ricevare la pace e dimandarla benignamente, voi cadarete nella maggiore ruina che cadeste mai. Temo che non si potesse dire quella parola che disse Cristo quando andava all'obrobiosa morte della croce per noi, miseri miserabili, irriconoscenti di tanto beneficio, quando si volse dicendo: «Figlie di Gerusalem, non piangete sopra me, ma sopra voi i figli vostri» (Lc 23,28). E lo dì di domenica d'olivo, quando scendeva del monte, disse «Gerusalem Gerusalem, tu godi che egli è oggi lo dì tuo, ma tempo verrà che tu piagnarai» (Lc 19,41-44). Or non vogliate, per l'amore di Dio, aspettare questo tempo, ma ponete in voi la vera letizia, cioè de la pace e dell'unione. A questo modo sarete veri figli, participarete e avarete la eredità del Padre eterno.

Non dico più, ché tanto è lo duolo e la pena che io ne porto per lo danno delle anime e dei corpi vostri, che, affinché questo non fusse, io sosterrei con grande desiderio di dare mille volte la vita, se tanto potesse; sì che avesseatemi per scusata s'io abondo di parole, ché tosto lo mandarei ad effetto se io potesse. Prego la divina providenzia che a voi, figlio, e a tutti gli altri, dia lume e cognoscimento e timore e amore santo di Dio, che vi tolga ogni tenebre e amore proprio e timore servile, che è quella cagione unde procede e viene ogni male.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Mando a voi lo portatore di questa lettera, predicatore unguanno costà, dell'ordine dei frati Minori, vero e buono servo di Dio, lo quale v'aitarà a consigliare e dirizzare nella via della verità, e in tutte quelle cose che avete a fare per voi medesimo in particulare e per tutta la città in comune. Pregovi che pigliate e v'atteniate ai consigli suoi, e non sia veruna cosa sì secreta né occulta nella mente vostra che voi non gli il participiate e manifestiate a lui. Spero per la divina grazia che, per l'amore e affetto che egli ha alla salute vostra e d'ogni creatura, che ricevarà lume da Dio, sì che drittamente vi consigliarà: di costui fate ragione che sia un altro io.

Benedite e confortate monna Gostanza e tutta la famiglia.



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19/10/2012 16:08

172. A frate Nicolò dei frati di Monte Oliveto nel monasterio di Firenze.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vederci levato lo cuore e l'affetto e il desiderio nostro a questo dolce capo Cristo Gesù; con quella brigata tratti del limbo, che longo tempo in grandissima tenebre avevano aspettata la redenzione loro.

Levianci suso i cuori, e in lui raguardate l'affettuoso e consumato amore lo quale Dio ha dimostrato in tutte le sue opere all'uomo; poi raguardiamo lo dolce desiderio che ebbero que' santi e venerabili padri, solamente aspettando l'avenimento del Figlio di Dio. Confondasi dunque e spengacisi in noi la nostra ignoranza e freddezza e negligenzia, noi che aviamo gustato e veduto e sentito lo fuoco de la divina carità! O che ammirabile cosa è questa, che solo del pensiero ardevano! E vediamo Dio innestato ne la carne nostra, fatto una cosa con l'uomo: o dolce e vero inesto! L'uomo infruttifero, che non participava l'acqua de la grazia, egli è fatto fruttifero, pur che distenda l'ale del santo desiderio; appongasi in su l'albero de la santissima croce, due trovarà questo santo e dolce inesto del Verbo incarnato, Figlio di Dio. Ine trovaremo i frutti de le virtù maturati sopra il corpo dell'Agnello dissanguato e consumato per noi.

Perciò levinsi i cuori e desideri nostri con perfetta e vera sollecitudine: riceviamo questi graziosi frutti, non aspettiamo que' desiderii dei nostri padri antichi: confondasi la nostra negligenzia.

Che frutti dolci son questi i quali ci conviene cogliare? Conviene per necessità ch'egli abbia lo frutto de la vera pazienza, ché fu tanto maturo in lui questo frutto che mai non si mosse per impazienzia; non si mosse per ingratitudine né per ignoranza nostra, ma come inamorato sostenne e portò le nostre iniquitadi in sul legno de la santissima croce. Ine trovarete quello frutto che dà vita a coloro che sono morti, lume a coloro che fussero ciechi, sanità a coloro che sono infermi: questo è lo frutto de la santissima carità che fu quello legame che il tenne, che né chiodi né croce sarebbe stato sufficiente a tenerlo confitto in croce: solo il legame de la carità lo tenne. Perciò bene sono maturi questi frutti.

Non si tengano più i cuori, ma con sollecitudine si levino a raguardare questo inestimabile amore lo quale Dio ha avuto all'uomo: dicovi che non sarà né dimonia né creatura che ci possa impedire lo santo e vero desiderio, poiché i demoni fuggono dal cuore e desiderio arso nel fuoco de la divina carità, sì come la mosca fugge e non s'appone in sul pignatto che bolle, poiché vede apparecchiata la morte sua per lo caldo e calore del fuoco; ma quando lo pignatto è tiepido, elle vi corrono dentro come in casa loro, e ine si pascono. Non tepidezza Perciò, per l'amore di Dio, ma corriamo verso lo calore de la divina carità, seguitando le vestigie di Cristo Crocifisso: entriamo ne le piaghe di Cristo, affinché siamo inanimati di a portare ogni cosa per lui e fare sacrifizio de le corpora nostre. Non dico più. Fornite la navicella dell'anima vostra, che il tempo è breve.

Rimanete ne la santa carità di Dio.







173. A uno frate che escì dell'Ordine.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi illuminato della verità a ciò che, conoscendola, la potiate amare. Poiché, amandola, ve ne vestirete, e odiarete quello che è contro alla verità e che ribella a essa, e amarete quello che è nella verità e che la verità ama.

O carissimo figlio, quanto c'è necessario questo lume poiché in esso si contiene la salute nostra! Ma io non vedo che noi possiamo avere lo detto lume dell'intelletto senza la pupilla della santissima fede, la quale sta dentro nell'occhio. E se questo lume è offuscato e intenebrito da l'amore proprio di noi medesimi, l'occhio non ha lume e però non vede, unde, non vedendo, non conosce la verità. Convienci dunque levare questa nebula, a ciò che lo vedere rimanga chiaro.

Ma con che si dissolve e si leva questa nebula? con l'odio santo di noi medesimi, conoscendo le colpe nostre, e conoscendo la larghezza della divina bontà, come aduopera verso di noi. In questo cognoscimento s'acquista la virtù della pazienza, poiché colui che conosce lo suo difetto e la legge sensitiva che combatte contro allo spirito, s'odia; ed è contento che non tanto le creature che hanno in loro ragione, ma gli animali ne faccino vendetta. Questi dell'ingiurie, scherni, villanie e rimproverii ingrassa; e delle molte persecuzioni e pene si diletta, e tienle per suo refrigerio.

Questo cognoscimento che l'uomo ha di sé germina umilità profonda, e non leva lo capo per superbia, ma sempre più s'umilia. E per lo cognoscimento della bontà di Dio in sé si notrica e cresce nell'affettuosa carità; la quale carità - notricata da l'umilità - ha lo figlio suo da lato della vera discrezione. Unde discretamente rende lo debito suo a Dio, rendendo laude e gloria al nome suo; e a sé rende odio e pentimento della propria sensualità; e al prossimo rende la benevolenza, amandolo come si debba amare, con carità fraterna libera e ordinata, e non fincta né senza ordine. Poiché la virtù della discrezione ha la radice sua nella carità, e non è altro che uno vero cognoscimento che l'anima ha di sé e di Dio, unde rende a mano a mano a ciascuno lo debito suo. Ma non senza lo lume, poiché, se non avesse lo lume, ogni suo principio e opera sarebbe imperfetta; e il lume non può avere senza lo vero cognoscimento di sé - unde trae l'odio -, e della bontà di Dio in sé, unde trae l'amore. Ma quando la si trova, allora è servo fedele al suo Creatore, e stando nella notte di questa tenebrosa vita, va col lume; ed essendo nel mare tempestoso gusta e riceve in sé pace. E sempre corre alla perfezione con constanzia e perseveranza infine alla morte, e con fortezza passa l'assedio delle demonia, e non viene meno nella battaglia, in qualunque stato si sia.

Se egli è secolare, egli è buono secolare; se egli è religioso, egli è perfetto religioso, e navica nella navicella della veraobbedienza, e non se ne tolle mai. Lo suo specchio dove si specchia, è l'Ordine, i costumi e l'osservanzie sue, le quali s'ingegna sempre di compirle in sé. E non dà luogo al demonio, quando col timore servile gli volesse dare battaglie dicendoli: «Tu non potrai portare le pene dell'Ordine e le persecuzioni dei tuoi fratelli, né le penitenzie che ti saranno imposte, e l'obedienzie gravi». Ma questi, che ha lo lume, di tutte si fa beffe, rispondendo come morto alla propria voluntà, e come illuminato del lume della santissima fede: «Ogni cosa potrò per Cristo Crocifisso (Ph 4,13); poiché so veramente che egli non pone maggiore peso alle sue creature che possino portare. Unde io le voglio lasciare misurare a lui (e vole portare con vera pazienza), poiché in verità cognosco la verità, e che ciò che mi permette e dà, egli lo fa per mio bene, a ciò che io sia santificato in lui».

O quanto è beata questa anima, che per lo dolce cognoscimento della verità è venuta a tanto lume di perfezione che vede, e si dà a conoscere, che ciò che Dio permette egli lo fa per singulare amore; poiché colui che è esso amore non può fare che non ami la sua creatura che ha in sé ragione. Lo quale ci amò prima che noi fussimo, perché voleva che participassimo del suo sommo ed eterno bene; e però ciò che egli ci dà, ci dà per questo fine.

Ma i miseri che sono privati di questo lume de la fede santa non cognoscono la verità. E perché non la conosce lo misero questa verità? Perché non ha levata la nuvola dell'amore proprio, unde non conosce sé, e però non s'odia; e non conosce la divina bontà, e però non l'ama. E se egli ama alcuna cosa, l'amore suo è imperfetto - poiché tanto ama quanto si vede trare diletto e consolazione da Dio, e utilità dal prossimo -, e però non è forte né perseverante nel bene che egli ha cominciato, poiché, a mano a mano che lo latte della grande consolazione se gli leva di bocca, egli viene meno, e volta lo capo indietro a mirare l'arato.

Ma se in verità avesse cognosciuta la verità non gli adiverrebbe così, ma, essendo imperfetto, se pur gli adivenisse di voltarsi indietro, quello che non ha fatto - cioè d'avere odiato sé col lume della fede - egli ha materia di farlo doppo lo cadimento.

E debbalo fare, poiché più è spiacevole a Dio e danno a lui la lunga perseveranza nel peccato, che lo proprio peccato: poiché umana cosa è lo peccare; ma la perseveranza nel peccato è cosa di demonio.

Unde non si debba gittare tra' morti, mentre che egli ha lo tempo; né sostenere lo stimolo della conscienzia che il chiama, rodendolo continuamente. Né debba dire: «Io aspetto: forse che non è anco matura questa pera acerba». Oh quanto è matto e stolto colui che aspetta lo tempo che egli non ha, e non risponde in quello che egli ha; e fa né più né meno come se egli fusse sicuro d'avere lo tempo! Oh quanta pena e ghiado è, quando i sono veduti così matti ai servi di Dio! Oh quanto male fa costui! egli offende Dio, che è somma ed eterna verità; e offende l'anima sua facendosi male di colpa; e contrista i servi di Dio, i quali stanno come affamati de l'onore del loro Creatore e della salute delle anime.

O figlio carissimo, tornivi un poco la memoria in capo; e aprite l'occhio dell'intelletto a conoscere le colpe vostre con speranza di misericordia. Vediate, vediate questa verità, e tornate al vostro ovile; poiché in altro modo non la potreste conoscere: ché verità, con colpa, conoscere non potreste. Unde perché di fuore da l'ovile non state senza colpa di peccato mortale, e con la gravezza della scomunicazione, non potete conoscere questa verità; ma ritornando voi all'ovile la cognosciarete, poiché sarete privato della colpa. Distendete dunque la voluntà vostra ad amare e desiderare lo vostro Creatore e l'arca vostra della santa religione.

E non considerate voi, che tra gli altri che si debbono dolere a cui è avenuto questo caso, sì sete voi? Poiché nell'aspetto mostravate d'avere grande sentimento e cognoscimento di Dio, e pareva che sommamente vi dilettasse di gustare lo latte dell'orazione, e d'offrire dolci e amorosi desiderii; ma in effetto e in verità non pare che fuste fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù, cioè d'amare lui senza rispetto della propria vostra consolazione, né netto del piacere e parere umano. Poiché se in verità fusse stato fatto lo fondamento in Cristo Crocifisso e nel cognoscimento di voi, come detto è, non sareste mai caduto, né venuto in tanta inconvenienzia. Solo dunque cadiamo quando lo fondamento non è bene cavato nella valle de l'umilità, e fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù, volendo seguire le vestigie sue, non scegliendo né tempo né luogo a suo modo, ma solo come piace alla verità eterna.

O figlio carissimo, quello che non è fatto io voglio che si faccia senza alcuna confusione di mente e senza disperazione; ma con vera speranza e col lume della santissima fede. Col quale lume in verità cognosciarete la sua misericordia, e con questa misericordia miticarete la grande confusione la quale vi pare ricevere, vedendovi caduto da l'altezza del cielo nella profonda e somma miseria. Levatevi dunque con uno odio santo, reputandovi degno della vergogna e vituperio, e indegno del frutto e della gloria; nascondetevi sotto l'ale della misericordia di Dio, poiché egli è più atto a perdonare che voi a peccare.

Anegatevi nel sangue di Cristo, dove ingrasserà l'anima vostra per speranza, e non aspettarete più lo tempo, poiché lo tempo non aspetta voi. Ma fate forza e violenzia a voi medesimo, e dite: «Anima mia, riconosce lo tuo Creatore e la grande misericordia sua; lo quale t'ha conservato e prèstati lo tempo, aspettandoti per misericordia che tu ritorni al tuo ovile».

Oh dolcissimo amore, quanto t'è propria questa misericordia! Poiché, se voi raguardate bene, chi l'ha tenuto che nel primo nostro cadere egli non comandò a la terra che c'inghiottisse, e agli animali che ci devorassero? Anco ci ha prestato lo tempo, e ha aspettato con pazienza. Chi n'è cagione d'avere ricevuto tanto di grazia? le nostre virtù che non ci sono? No, ma solo la sua infinita misericordia. Poi, dunque, che nel tempo che noi giaciamo nelle tenebre del peccato mortale egli ci fa tanta misericordia, molto maggiormente doviamo sperare con fede viva che ce la farà, riconoscendo le colpe nostre, e tornando nell'arca al giogo dell’obbedienza; e ine uccidere e conculcare la propria nostra voluntà, e non dormire più.

Oimé, oimé, io credo che i miei peccati sieno cagione delle colpe.

Non vogliate, pregovi, più stare né fare danno a voi e vituperio a Dio, né più contristare i fratelli vostri; ma ripigliate lo giogo dell’obbedienza e la chiave del sangue di Cristo, la quale chiave gittaste nel profondo pozzo; e non la potete avere né usare senza colpa, perché vi partiste del giardino della santa religione nel quale fuste piantato per essere fiore odorifero, forte, e con vera perseveranza infine alla morte. Or le ripigliate con la contrizione del cuore, e con pentimento della colpa commessa e odio della sensualità, e con viva fede, specolandovi nella somma ed eterna verità; e pigliando ferma speranza che Dio e l'Ordine vi ricevarà a misericordia, e perdonaravi la colpa commessa; e faravisi a rincontra lo Padre eterno con la plenitudine e abundanzia della grazia sua. Or questa sia quella vera Gerusalem la quale voi seguitiate e vogliate andare, cioè nella religione santa; e trovarete Gerusalem visione di pace, poiché ine si pacificarà la conscienzia vostra.

E entrarete nel sepolcro del cognoscimento di voi con Magdalena e dimandarete: «Chi mi rivollarebbe la pietra del monimento? poiché la gravezza della pietra, cioè la colpa del peccato, è sì grave che io per me non la posso muovere». E subito allora, confessata e veduta la vostra imperfezione e gravezza, vedrete due angeli che rivoltaranno questa pietra: cioè l'aiutorio divino lo quale vi mandarà l'angelo del santo timore e amore di Dio - lo quale amore non è solo, ma acompagna l'anima della carità del prossimo -; e l'angelo de l'odio - lo quale Dio manda per rivoltare questa pietra - ha con sè la vera umilità e pazienza.

Unde con vera speranza e viva fede non si parte dal sepolcro del cognoscimento di sé; ma con perseveranza sta, infine che trova Cristo resuscitato nell'anima sua per grazia. E quando l’ha trovato, ella lo va ad anunziare ai fratelli suoi; e suoi fratelli sono le vere reali e dolci virtù, con le quali vuole fare e fa mansione insieme con loro. Allora Cristo, apparendo nell'anima per sentimento, si lassa toccare con l'umile e continua orazione.

Or questa è la via; e altra via non c'è. Sono certa che se avarete lo lume della santissima fede, e che in verità cognosciate la verità nel modo che detto è, voi terrete queste vie senza negligenzia, e senza mettere intervallo di tempo; ma con sollicitudine pigliarete lo punto del tempo che voi avete. Per altro modo stareste sempre in tenebre, poiché sete dilungato da la luce; e stareste in tristizia, poiché lo gaudio della grazia non sarebbe in voi, ma sareste membro tagliato dal corpo mistico della santa Chiesa. E però vi dissi, poiché altra via non c'era, che io desideravo di vedervi illuminato della verità col lume della santissima fede, la quale è la pupilla dell'occhio dell'intelletto con che si conosce la verità. Unde io vi prego per l'amore di Cristo Crocifisso, e per la salute vostra, che adempiate lo desiderio mio. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Se io vi fusse apresso, saprei qual demonio ha imbolata la mia pecorella, e quale è quello legame che la tiene legata che ella non torna alla greggia con l'altre; ma ingegnarommi di vederlo con la continua orazione, e con questo coltello tagliare lo legame che la tiene: allora sarà beata l'anima mia.

Gesù dolce, Gesù amore.





174. A monna Agnesa predetta.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vestita di vera e perfetta umilità, poiché ella è quella virtù piccola che ci fa grandi nel cospetto dolce di Dio.

Ella è quella virtù che costrinse e inchinò Dio a fare incarnare lo Figlio dolcissimo suo nel ventre di Maria, ella è essaltata sì come i superbi sono umiliati, ella riluce nel cospetto di Dio e degli uomini, ella lega le mani delo iniquo, ella unisce l'anima in Dio, ella purga e lava le macchie de le colpe nostre e chiama Dio a farci misericordia. Perciò voglio, figlia dolcissima mia, che tu t'ingegni d'abracciarla questa gloriosa virtù, affinché tu passi questo mare tempestoso di questo mondo senza tempesta o pericolo veruno.

Or ti conforta con questa dolce e reale virtù e bàgnati nel sangue di Cristo Crocifisso. E quando puoi vacare lo tempo tuo all'orazione ti prego che il faccia; e caritativamente amare ogni creatura che hae in sé ragione. Poi ti prego e ti comando che tu non digiuni, eccetto i dì comandati da la santa Chiesa quando tu puoi, e quando ti senti da non potere, non gli digiunare; e l'altro tempo non digiunare altro che il sabbato, quando ti senti dper potere. Quando questo caldo è passato e tu digiuna le Sante Marie se tu puoi, e più no; e non bere solamente acqua veruno dì; e sforzati di crescere lo santo desiderio tuo, e queste altre cose lassale ogimai stare. Non ti dare pensiero né malinconia di noi, ché noi stiamo tutti bene. Quando piacerà a la divina bontà tosto ci rivedremo insieme. Altro non ti dico.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Confortami molto molto le mie dilette figlie Orsola e Ginevra.



OFFLINE
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Sesso: Femminile
19/10/2012 16:11

175. A non so quale monasterio di donne.

Al nome di Cristo Gesù che per noi fu Crocifisso

A voi dilettissime e carissime figlie e suore mie in Cristo Gesù: io Caterina serva e schiava dei servi di Dio scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio suo, con desiderio di vedervi spogliate del vestimento vecchio e vestite del nuovo sì come dice l'apostolo dolce quando dice: "Induimini dominum nostrum Jesum Christum".

E del vecchio vestimento siate spogliate, cioè del peccato e del disordinato timore che era ne la Legge vecchia, la quale era solamente fondata in timore di pena. Non vuole così Dio, cioè che la sposa sua sia fondata sopra lo timore, ma sopra la legge santa e nuova dell'amore, poiché questo è il vestimento nuovo. Or così dunque vi prego che sia fondato lo cuore e l'anima vostra, poiché l'anima che è fondata in amore adopera grandi cose e non schifa fatica né cerca le cose sue, ma sempre cerca in che modo ella si possa unire con la cosa che ella ama. Unde questo è quello che fanno i servi di Dio.

La prima cosa che essi fanno per essere bene uniti con Cristo si è che essi levano via quello mezzo che lo' tolle Dio, cioè ogni amore proprio e piacimento che avessero al mondo o a loro medesimi. Oimé quanto è da odiare questo mezzo perverso che ci tolle lo lume e dacci le tenebre, tolleci la conversazione di Dio e dacci quella del demonio, tolleci la vita e dacci la morte. Non fa così la vera carità e il puro amore di Dio e del prossimo, anco dà lume e vita e unione perfetta con Dio, in tanto che per desiderio e amore diventa un altro lui e non può volere né amare nessuna cosa la quale sia fuore di Dio. Ma ciò che è in lui ama e ciò che è fuore di lui odia, cioè lo vizio e il peccato, e ama le virtù in tanto che dice col dolce inamorato di Pavolo: «Quelle cose che prima mi recavo a guadagno ora per Cristo mi reco a danno, e il danno a guadagno».

Cioè dice Pavolo che quando l'uomo è nell'amore proprio di sé medesimo e ha disordinati gli appetiti dell'anima, i diletti allora e le consolazioni e i piaceri del mondo gli paiono buoni, unde egli gli ama e dilettasene.

Ma subito che l'anima si spoglia di questo uomo vecchio e vuole seguire Cristo Crocifisso, subito vede il danno suo nel quale è stata, e però odia lo stato suo di prima; unde subito si trova inamorata di Dio e non vuole darsi ad altro se non ad amare la virtù in sé e nel prossimo suo. E in due cose più singularmente si diletta che in veruna altra, perché le trova più singulari in Cristo Gesù, cioè la virtù de l'umilità e de la carità, poiché vede Dio umiliato a sé uomo: e per stirpare la nostra superbia fugge l'onore e la gloria umana e abraccia le vergogne e le ingiurie, scherni e vituperi, pena fame sete e persecuzioni. Così la sposa consecrata a Cristo, la quale tutta dritta e libera s'è data a lui, in questo modo lo vuole seguire e non per diletto, e così manifesta d'avere in sé la virtù de l'umilità.

Anco dicevo che tale sposa si diletta ne la carità manifestandola in amare lo prossimo suo, intanto che volentieri darebbe la vita corporale per rendergli la vita dell'anima. E questo desiderio riceve raguardando lo sposo suo eterno confitto dissanguato e chiavellato in croce versare l'abondanzia del sangue suo, non per forza di chiodi né di croce, ma per forza di carità e d'amore che egli ebbe a l'onore del Padre e a la salute nostra. Unde l'amore fu quello forte legame che tenne Dio e Uomo confitto e chiavellato in croce.

Levatevi dunque e non dormite più in negligenzia, voi spose consecrate a Cristo, ma come lo corpo è rinchiuso dentro a le mura, così gli affetti e i desiderii vostri siano rinchiusi e serrati nel cuore consumato e aperto per noi di Cristo Crocifisso. Ine ingrassarà ed empirassi l'anima de le virtù, e di subito si troverà queste due ale che la faranno volare a vita eterna, cioè umilità e carità, dimostrando d'averle nel modo detto di sopra.

Pregovi dunque madonna, figlia mia, e tutte le vostre figlie, che siate sollicita d'adoperare la salute loro senza timore o tristizia, ma con sicurezza pensando per Cristo Crocifisso potere ogni cosa. Pensate che Dio v'abbi fatta uno ortolano a stirpare lo vizio e piantare la virtù, e così vi prego che facciate e non ci siate negligente a farlo. E così prego loro che esse siano suddite a ricevere la correzione, sapendo che egli è meglio di darla, e a noi di riceverla in questa vita che nell'altra.

Pregovi tutte, carissime suore in Cristo Gesù, che siate tutte unite e transformate ne la bontà di Dio, e ognuna conosca sé medesima e i defetti suoi; e così conservarete la pace e l'unione insieme, poiché per altro modo non nascono le divisioni se non per vedere i defetti altrui e non i suoi, e non sapere né volere portare l'uno i defetti dell'altro. Non facciamo dunque così, ma legatevi nel vincolo de la carità, amando e soportando l'una l'altra, piangendo con le imperfette e godendo con le perfette. E così vestite del vestimento nuziale perverremo con lo Sposo a le nozze di vita eterna. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. La pace di Dio sia nell'anime vostre.





176. A Francesco da Santo Miniato sarto in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere crescere in voi lo fuoco del santo desiderio, poiché, non crescendo, tornareste adietro; e tornando adietro, sareste degno di maggiore giudicio che se mai non vi fuste mosso, poiché più è richiesto a chi ha più ricevuto.

Voglio Perciò che virilmente vi leviate dal sonno de la negligenzia, e con ogni studio brighiate di crescere in voi lo lume, poiché, crescendo lo lume, cresciarà l'amore, e, crescendo l'amore, cresceranno le virtù e le opere infine a la morte. E allora renderete quello che v'è richiesto, cioè d'amare Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come voi medesimo. E così dico a te, Agnesa: fa' che io ti senta crescere in fame de l'onore di Dio e salute delle anime; e spandere fiumi di lacrime con umile e continua orazione dinanzi a Dio per salute di tutto quanto lo mondo, e spezialmente per la reformazione de la dolce Sposa di Cristo, la quale vediamo venire in tanta tenebre e in tanta ruina. Non dico più qui.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Pregovi che di subito portiate a Giannozzo la lettera che io vi mando con questa, e non manchi che non glili portiate dovunque egli è. E lui pregate che prestamente dia o faccia dare quella di Ga lo che è ne la sua, e se bisogna che voi la portiate voi, sì il fate. Altro non dico. Confortate Bartalo e monna Orsa, Ginevra e tutte l'altre figlie, e scriveteci novelle di More, e benedite Bastiano.

Fatta a dì 23 d'ottobre 1378.

Gesù dolce, Gesù amore.







177. A missere Pietro cardinale Portuense, da Firenze, a Vignone.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e reverendo padre e fratello in Cristo Gesù: io Caterina, indegna serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno agnello umile e mansueto, imparando da l'Agnello immacolato, che fu umile e mansueto in tanto che non fu udito lo grido suo per veruna mormorazione, ma, come agnello che non si difende, si lassò menare al macello de la santissima e dura croce (Is 53,7 Ac 8,32).

O inestimabile fuoco d'amore! la carne ci hai dato in cibo e il sangue in beveraggio: tu sei quello Agnello arostito al fuoco de l'ardentissima carità. Non vedo altro modo, padre, per potere avere virtù, se non ponendoci questo Agnello per obiettivo agli occhi della mente nostra, poiché in lui troviamo la vera e profonda umilità, con grande mansuetudine e pazienza; poniamo che sia Figlio di Dio, egli non viene e non sta come re, perché la superbia né l'amore proprio di sé non è in lui: e però viene come servo vile, non cerca sé per sé, attende solo a rendere onore e gloria al Padre e rendere a noi la vita, la quale per lo peccato perdemmo. E questo fa solo per amore e per adempire la volontà del Padre in noi: ché, avendo Dio creato l'uomo all'immagine e similitudine sua (Gn 1,26) solo perché godesse e gustasse Dio ne la vita durabile, ma per la ribellione che l'uomo fece a Dio gli fu rotta la via, sì che la dolce volontà di Dio, con la quale creò l'uomo, non s'adempiva, cioè d'avere vita eterna: ché non fu creato per altro fine.

Mosso dunque da quella pura e smisurata carità con la quale ci creò, per adempire la sua volontà in noi ci dié lo Verbo dell'unigenito suo Figlio. Sì che lo Figlio di Dio non raguardò a sé, ma solo d'adempire questa dolce volontà: è fatto dunque mediatore tra Dio e l'uomo; della grande guerra è fatta grande pace; con l'umilità ha vinta la superbia del mondo. Però disse egli: «Rallegratevi, ché io ho vinto lo mondo» (Jn 16,33) cioè la superbia dell’uomo. Ché non è veruno tanto enfiato superbo e sì impaziente che non diventi umile e mansueto, quando considerrà e vedrà tanta profondità e grandezza d'amore: vedere Dio - umiliato a noi - uomo (e però i santi e veri servi di Dio, volendogli rendere cambio, sempre s'aumiliano: tutta la gloria e la loda danno a Dio; ricognoscono loro e ciò che egli hanno, solo avere da Dio; veggono loro non essere, e ciò che egli amano, amano in Dio, sieno in istato o grandezza quanto si vuole), ché quanto è più grande, più si debba umiliare e cognosciare sé non essere, ché nel cognoscimento di sé egli s'umilia e non leva lo capo o enfia per superbia, ma china lo capo e riconosce la bontà di Dio adoperare in sé: così acquista la virtù dell'amore e de l'umilità, che l'una è baglia e nutrice dell'altra, e senza esse non potremmo avere la vita.

Oimé oimé, chi sarà quello stolto bestiale che, vedendosi amare, che non ami e che al tutto non levi e tolga da sé l'amore proprio perverso, che è principio e radice d'ogni nostro male? Non so vedere che sia veruno sì indurato che non ami, vedendosi amare, pur che egli non si tolga lo lume con l'amore detto. Che segno dà colui che ama? questo è lo segno che appare di fuore: domandianne e vedete Ieronimo, che fu ne lo stato vostro: mortificava la carne sua con digiuni vigilie e orazioni; con abito sempre dispetto uccideva in sé la superbia, e con grande sollicitudine non cercava ma fuggiva ogni onore e stato del mondo, e pur Dio coloro che s'aumiliano i gli essalta. Avendo lo stato, non perde però la virtù sua, ma raffina, come l'oro nel fuoco, agiugnendovi la virtù della carità. Diventa mangiatore e gustatore delle anime; non teme di perdare la vita del corpo suo, poiché egli ha presa la forma e il vestimento dell'Agnello dolce Gesù, ché non ama sé per sé, né lo prossimo per sé, né Dio per sé, ma ogni cosa ama in Dio; non si cura né di vita né di morte né di persecuzioni, né di veruna pena che sostenesse; attende solo a l'onore de la somma eterna verità.

Or questi sono i segni dei veri servi di Dio. Di questi cotali vi prego e voglio che siate voi, padre: portatemi lo segno de la vera umilità, non curioso ne lo stato vostro ma dispetto; non impaziente per veruna pena o ingiuria che sostenessimo, ma con ferma virtù di pazienza sostenere nel corpo de la santa Chiesa fino alla morte; anunziando e dicendo la verità - o consigliando o per qualunque modo l'avete a dire - senza veruno timore; attendendo solo a l'onore di Dio e salute de l'anime e essaltazione della santa Chiesa, sì come figlio vero suo notricato da sì dolce madre: in questo mostrarete la divina dolce carità, insiememente con la pazienza.

Siatemi largo caritativo, spiritualmente, come detto è, e temporalmente. Pensate che le mani dei povari v'aitano a porgiare e recare la divina grazia. Voglio che cominciate una vita e uno vivare nuovo: non più dormire nel sonno de la negligenzia e de l'ignoranza; siatemi siatemi campione vero.

Io v'ho detto che io desidero che siate uno agnello a seguire lo vero Agnello: ora vi dico che io voglio che siate uno leone, forte a gittare lo mugghio vostro nel corpo della santa Chiesa, e sia sì grande in voce e in virtù che voi aitiate a resuscitare i figli morti che dentro ci giacciono. E se diceste: «Dove averò questo grido e voce forte?»: da l'Agnello, che secondo l'umanità non grida, ma sta mansueto. Secondo la divinità dà potenza al grido del Figlio con la voce de la smisurata sua carità: sì che, per la forza e potenza della divina essenzia e dell'amore che ha unito Dio con l'uomo, con questa virtù è fatto l'agnello uno leone, e, stando in su la catreda della croce, ha fatto sì-fatto grido sopra lo figlio morto de l'umana generazione che gli ha tolta la morte e data la vita. Or da costui ricevaremo la forza, poiché l'amore che trarremo dell'oggetto del dolce Gesù ci farà participare de la potenza del Padre. Bene vedete che egli è così, ché né demonio né creatura ci può costrignare a uno peccato mortale, perché ha fatto l'uomo libero e potente sopra di sé. Nell'amore participiamo lo lume e forza dello Spirito santo, lo quale è uno mezzo che lega l'anima col suo Creatore e allumina lo intelletto e il cognoscimento, nel quale lume participa la sapienza del Figlio di Dio.

O carissimo padre, scoppino e divellinsi i cuori nostri a vedere in che stato e dignità la infinita bontà ci ha posti, sì per la creazione, dandoci la imagine sua, e sì per la ricomperazione e unione che ha fatta la natura divina ne l'umana: più non poteva dare che dare sé medesimo a coloro che per lo peccato erano fatti nemici di Dio. O ineffabile consumato amore, bene sei inamorato della fattura tua: non potendo tu, Dio, sostenere pena, e volendo fare pace con l'uomo, la colpa commessa si vuole vendicare: non è sufficiente pur uomo a sodisfare alla grande ingiuria che è fatta a te, Padre eterno, in alcuno modo. Ma tu, con l'amore che hai a noi, hai trovato lo modo vestendo lo Verbo della carne nostra, sì che insiememente t'ha renduto l'onore e ha placata l'ira tua, sostenendo la pena nella propria carne, cioè de la massa d'Adamo che commisse la colpa. Or come ti puoi tenere, uomo, che tu non abandoni te medesimo? Or tu vedi che egli ha giocato alle braccia in sulla croce, e èssi lassato vincere avendo vinto, poiché la morte vinse la morte, e la morte vinse la vita, e la vita vinse e uccise e distrusse la morte: fecero uno torniello insieme e al tutto la morte fu sconfitta e la vita resuscitò nell’uomo. Or oltre corrite, e non si tenga più lo cuore vostro; arendasi la città dell'anima vostra: se non s'arende per altro, per fuoco si debba arendare! Egli ha messo lo fuoco da ogni parte: non vi potete vòllare né spiritualmente né temporalmente che non troviate fuoco d'amore.

Pregovi e voglio che inanimiate Cristo in terra, e pregatelo dell'avenimento suo e che tosto rizzi lo gonfalone della santissima croce sopra gl'infedeli; e non mirate, né voi né gli altri, perché i cristiani si levino e sieno levati come membri putridi ribelli al loro dolce capo, ché questo sarà lo modo a placarli e fargli tornare figli. Pregatenelo e fatenelo pregare che tosto si faccia.

Perdonate alla mia ignoranza che tanto presummo di favellare; scusimi l'amore e il desiderio che io ho della salute vostra e de la renovazione e essaltazione della santa Chiesa (che è tanto impalidita che il colore della carità pare che molto sia venuto meno, ché ognuno la robba e tolle lo colore a lei e ponlo a sé, cioè per amore proprio di sé medesimo): attendare solo al bene e essaltazione sua. E questo è il segno dei superbi, che, per essere bene grandi e enfiati, non si curano che la Chiesa sia destrutta e il demonio divori l'anime. Molto è contrario lo segno loro, che sono lupi rapaci, ai servi di Dio, che sono agnelli e seguitano lo segno dell'Agnello (Ap 14,4). E così desidera l'anima mia di vedervi agnello. Non dico più, ché se io andasse alla volontà, anco non mi ristarei. Racomandatemi strettissimamente in Cristo Gesù al nostro Cristo in terra e confortatelo, e non tema per veruna cosa che avenga.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.





178. A Neri di Landoccio.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti uno vero lume, affinché col lume conosca la verità del tuo Creatore.

La verità sua è questa: che egli ci creò per darci vita eterna; ma per la rebellione che fece l'uomo a Dio non si compiva questa verità, e però discese a la maggiore bassezza che discendere potesse, cioè quando vestì la deità della nostra umanità. E così vediamo, con questo glorioso lume, Dio essere fatto uomo; e questo ha fatto per compire la verità sua in noi, e col sangue dell'amoroso Verbo ce l'ha bene manifestato, in tanto che quello che per fede tenavamo c'è certificato col prezzo del sangue. E non può la creatura che ha in sé ragione negare che questo non sia così.

Perciò io voglio che la tua confusione si consumi e venga meno nella speranza del sangue, e nel fuoco della inestimabile carità di Dio, e rimanga solo il vero cognoscimento di te; col quale cognoscimento t'aumiliarai, e cresciarai e notricarai lo lume. E non è egli più atto a perdonare che noi a peccare? E non è egli nostro medico - e noi gli infermi - e portatore delle nostre iniquità? E non ha egli per peggio la confusione della mente che tutti gli altri defetti? Sì bene. Perciò, carissimo figlio, apre l'occhio dell'intelletto tuo col lume della santissima fede, e raguarda quanto tu sei amato da Dio. E per raguardare l'amore suo, e la ignoranza e freddezza del cuore tuo, non ne intrare in confusione; ma cresca il fuoco del santo desiderio con vero cognoscimento e umilità, come detto è.

E quanto più vedi te non rispondere a tanti beneficii quanti t'ha fatti e fa lo tuo Creatore, più t'umilia e di' con uno proponimento santo: «Quello che io non ho fatto oggi, e io lo farò ora». Sai che la confusione si scorda in tutto dalla dottrina che sempre t'è stata data: ella è una lebbra che disecca l'anima e il corpo, e tienla in continua afflizione, e lega le braccia del santo desiderio, e non lassa adoperare quello che vorrebbe; fa l'anima incomportabile a sé medesima, con la mente disposta a battaglie e a diverse fantasie; tollele lo lume sopranaturale, e offuscale lo lume naturale. E così giogne a molta infedelità, perché non conosce la verità di Dio, con la quale egli l'ha creata: cioè che in verità la creò per darle vita eterna.

Perciò con fede viva, col desiderio santo, e con speranza ferma nel sangue, sia sconfitto lo demonio della confusione. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Prego lui che ti doni la sua dolce benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.







179. A Francesco di Pipino sarto da Firenze e a monna Agnesa sua donna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figlio e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi amatori de la virtù, poiché in altro modo non potreste avere la vita de la grazia, né participare lo sangue del Figlio di Dio.

Poi dunque che ella c'è tanto necessaria, convienci in tutto stirpare da noi i vizii e piantare la virtù, e fare forza a le nostre passioni sensitive e dire a noi medesimi: «inanzi voglio morire che offendare lo mio Creatore e tollarmi la bellezza dell'anima mia»; e così voglio, carissimi figli, che facciate. Siatemi specchio di virtù e mettetevi lo mondo con tutte le sue delizie sotto i piei, e voi seguitate Cristo Crocifisso.

Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Date a Francesco lo libro i privilegii, perché vi voglio scrivere alcuna cosa; lo privilegio voglio per fare dire la messa, sì che dareteglili. Cento migliaia di volte mi confortate Bartalo e monna Orsa tenerissimamente, e monna Ginevra, e benedite Bastiano e tutti gli altri figli e figlie. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 16:13

180. A Piero marchese dal Monte Sancte Marie de la Marca, quando era sanatore di Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissimo e carissimo padre mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e racomandovimi, con desiderio di vedervi sempre osservatore dei santi comandamenti di Dio, senza i quali nessuna creatura può avere in sé la vita de la grazia; e non è neuno che per gentilezza né per ricchezza né signoria, né per prosperità né grandezza, si possa ritrare né scusare che non sia servo a servire e ad osservare questi dolci e santi comandamenti, i quali sono dati a noi da la prima e dolce Verità, lo quale fu regola e via nostra, e così disse egli: «Io sono via e verità e vita».

O reverendo padre, riguardate al nostro dolce Salvatore, che fu datore de la legge, che perfettamente la volse osservare in sé! Bene è dunque grande confusione, e diesi vergognare l'uomo, che vede Dio umiliato a sé uomo: unde, se la ragione si dà a considerarlo, già mai non levarà lo capo contro Dio per superbia, né per neuno stato che avessea. O dolce e inestimabile diletta carità, che sei fatto servo per fare l'uomo libero, e hai dato a te la morte per dare a noi la vita, e sei schernito a la obbrobriosa morte de la croce, per rendere a noi l'onore lo quale noi perdemmo per lo peccato de la disobbedienza! Oimé, trovammo la morte per la rebellione che facemmo ai comandamenti di Dio, e ogni dì cadiamo in questa medesima morte eternale, trapassando la dolce volontà di Dio. Venne l'Agnello immacolato, dissanguato in su lo legno de la santissima croce, arso al fuoco de la divina carità, e àcci renduta e restuita la grazia con l'obedienzia sua. Perciò io vi prego dolcemente in Cristo Gesù che noi seguiamo questa via e regola dei veri e santi comandamenti, osservandoli fino a la morte, con la memoria del sangue del Figlio di Dio, affinché siamo più animati ad osservargli. O quanto è dolce questa servitudine, che fa l'uomo libero da la servitudine del peccato! Or ristregniamo questi comandamenti in due, padre: cioè nell'amore e carità di Dio e del prossimo; e questo amore lo fondaremo in uno timore santo di reverenzia, e eleggiaremo inanzi la morte che offendere a quella cosa che noi amiamo, non per timore di pena, ma perché egli è degno di essere amato, poiché è somma e eterna bontà. E quanto più amarete Dio, tanto più si distenderà l'amore vostro al prossimo vostro, sovenendolo spiritualmente e temporalmente, secondo che vengono i casi e il tempo che bisogna di servire al prossimo suo. E così sarà adempita la volontà di Dio in voi, che non vuole altro che la nostra santificazione. Non dico più qui.

Racomandovi, quanto l'anima mia, due piati dei quali vi parlarà sere Francesco portatore di questa lettera: l'uno si è del monasterio di Santa Marta, che sono perfettissime serve di Dio; l'altro si è di monna Tomma, grande serva di Dio e a me carissima madre. So veramente che, se non fusse di ragione, nol dimandarebbero. Pregovi caramente che le spacciate lo più tosto che potete, sì che non abbiano longhezza di tempo. Non dico più.

Inamoratevi e bagnatevi nel sangue del Figlio di Dio.

Benedicetemi lo mio singulare figlio e tutti gli altri. Gesù dolce, Gesù.





181. A missere Nicola da Osmo, secretario e protonotario di nostro signore lo papa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio

A voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una pietra ferma, fondato sopra la dolce pietra ferma Cristo Gesù.

Sapete che la pietra e lo edifizio che fusse posto e fatto sopra la rena o sopra la terra, ogni piccolo vento o pioggia che venga lo dà a terra. Così l'anima che è fondata sopra le cose transitorie di questa tenebrosa e caduca vita, che passano tosto come lo vento, e come polvere che si pone al vento: ogni piccolo contrario la dà a terra; e così quando fussimo fondati in amore proprio di noi medesimi, lo quale è la più perversa lebbra e piaga che possiamo avere. Ella è quella lebbra che tutte le virtù fa guastare, e non hanno in loro vita, poiché sono private de la madre della carità: non vivono, perché non sono acostate con la vita.

Desidera dunque l'anima mia di vederci fondati nella viva pietra.

O carissimo padre, ècci migliore e più dilettevole cosa, che d'avere a edificare lo edifizio dell'anima nostra? Dolce cosa è, ché aviamo trovata pietra, maestro e servidore, uno manuale che bisogna a questo edifizio. O come è dolce maestro lo Padre eterno, dove si riposa tutta la sapienza e scienzia e bontà infinita! Egli è lo Dio nostro, che è colui che è; tutte le cose che participano essere, escono di lui; egli è uno maestro che sa quello che ci bisogna, e non vuole altro che la nostra santificazione, e ciò che dà e permette all'uomo - o tentazione di demonio, o essere tentato e perseguitato dagli uomini, o per ingiuria o villania, o per qualunque modo ricevessimo tribolazioni - sempre lo dà e permette per nostro bene, o per purgazione dei peccati nostri, o per acrescimento di perfezione e di grazia. Bene è dunque dolce questo nostro maestro, sì bene sa edificare e ponere quello che bisogna a noi! E ha fatto più, ché, vedendo che l'acqua non era buona a intridare la calcina per ponere la pietra, cioè delle dolci e reali virtù, donocci lo sangue dell'unigenito suo Figlio.

Sapete che, inanzi all'avenimento del Figlio di Dio, nessuna virtù aveva valore di potere dare all'uomo vita, la quale per lo peccato aveva perduta. O padre, raguardiamo la inestimabile carità di questo maestro che, vedendo che l'acqua dei santi profeti non era viva che ci desse vita, ha tratto di sé e porto a noi lo Verbo incarnato unigenito suo Figlio, àgli data la potenza e virtù sua in mano, e àllo posto ne l'edifizio nostro per pietra, senza la quale pietra noi non possiamo vivere. Ed è sì dolce questo Figlio, perché egli è unito e una cosa col Padre, che ogni cosa amara, per la dolcezza sua, in lui diventa dolce. In lui è calcina viva e non terra né rena.

O fuoco dolce d'amore, hai dato per servidore e manuale l'abbondantissimo clementissimo Spirito santo, che è esso amore, lo quale è quella mano forte che tenne confitto e chiavellato in croce lo Verbo. Egli ha premuto questo dolcissimo corpo, e fattolo versare sangue, lo quale è sufficiente a darci la vita e a edeficare ogni pietra. Ogni virtù ci vale e dà vita, quando è fondata sopra Cristo, e intrisa nel sangue suo.

Spezzinsi i cuori nostri d'amore, a raguardare che quello che non fece l'acqua ha fatto lo sangue! Or chi vorrebbe meglio? chi sarà colui che si vada oggimai avollendo per gli fossati, cercando veruna trista disordenata delettazione del mondo? Dissolvinsi per caldo queste pietre degl'indurati cuori nostri! Dunque è il Padre - che è a vederlo! - che con la sapienza sua e potenza e bontà ci s'è fatto maestro (poiché il maestro è quello che lavora, cioè con la virtù che ha dentro da sé, ché con la memoria, dove sta quello che bisogna fare, e con lo intelletto, col quale ha cognosciuto, e con la mano della volontà ha adoperato) creando e edificando l'anima nostra all'imagine e similitudine sua. Perdemmo la grazia per lo peccato commesso: venne, unissi e innestossi nella natura nostra. Ci ha dato tutto a noi, ché la sua virtù la dié nel Figlio, e fecelo insiememente maestro, come detto è, dandogli la potenza; fecelo pietra - così dice santo Paulo, che la pietra nostra è Cristo -; fecelo servidore e lavoratore di questo edifizio: cioè la sua inestimabile carità e amore, col quale ha data la vita, col sangue suo ha intrisa questa calcina, sì che non ci manca nulla. Godiamo e essultiamo, poi che avesseamo sì dolce maestro e pietra e lavoratore: àcci murati col sangue suo e fatto sì forte questo nostro muro che né dimonia né creature, né grandine né tempesta né vento, potrà muovere questo edifizio, se noi non vorremo.

Levisi la memoria e ritenghi in sé tanto beneficio; levisi l’intelletto e il cognoscimento a vedere l'amore e la sua bontà, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione: non vidde sé per amore proprio di sé, ma per l'onore del Padre e salute nostra. Allora, quando la memoria terrà, lo intendimento ha inteso e cognosciuto: non si debba tenere - e non so che si possa tenere - la volontà che non corra con uno ardore, riscaldato dal caldo della carità, ad amare quello che Dio ama, e odiare quello che egli odia. Di nessuna cosa si potrà turbare, né impedirà mai lo santo proponimento, ma sarà in vera pazienza, perché sarà fondato sopra la viva pietra Cristo. E però vi dissi che io desideravo che voi fuste pietra fondata sopra la pietra detta; così vi prego, per l'amore di Cristo Crocifisso, che sempre cresciate e perseveriate nel santo proponimento. Non vi movete mai né allentate per veruno contrario che avenisse. Siatemi una pietra ferma, fondata nel corpo della santa Chiesa, cercando sempre l'onore di Dio e la essaltazione e renovazione della santa Chiesa.

Pregovi che non allenti lo desiderio vostro, né la sollicitudine, di pregare lo padre santo che tosto ne venga e che non indugi più a rizzare l'arme dei fedeli cristiani, la santissima croce. Non mirate per lo scandalo che sia ora avenuto: non tema, ma virilmente perseveri, e tosto mandi ad effetto lo santo suo e buono proponimento. Perché sentiste delle percosse che vi fussero date o per i demoni o per le creature, siatemi pietra viva, fondato nella Sposa di Cristo, anunziando sempre la verità, se ne dovesse andare la vita! Non vediate voi per voi; ma sempre attendere di vedere l'onore di Dio: tanto tempo abbiamo veduto lo vitoperio del nome suo che ora ci doviamo disponere e dare la vita per la loda e gloria del nome suo. Or sollicitamente, padre, non negligenzia! Ora, mentre che aviamo lo tempo, e il tempo è nostro, diamo la fatica al prossimo nostro e la loda a Dio. Spero, per la bontà sua, che voi lo farete: perdonate però alla mia presunzione, ché l'amore e l'affetto me n'ha colpa. HO avuta grande letizia del buono desiderio e proponimento del santo padre, sì de la venuta sua e sì del santo e glorioso passaggio, lo quale è aspettato con grande desiderio da' servi di Dio. Non dico più qui.

Ho inteso che il Maestro dell'ordine nostro lo padre santo lo vuole promuovere e dargli altro beneficio.

Pregovi ce, se così è vero, che voi preghiate Cristo in terra che procuri all'ordine d'uno buono vicario, poiché n'abbiamo grande bisogno. Pregovi che gli ragioniate, se vi pare, di maestro Stefano, che fu procuratore dell'ordine quando frate Raimondo era in corte. Credo che sappiate che egli è uomo buono e virile: spero che, se noi l'avessimo, che per la grazia di Dio e per lui l'ordine si raconciarebbe. Ònne scritto al padre santo, non però detto cui egli ci dia, ma òllo pregato che ce il dia buono, e ragionine con voi e con l'arcivescovo d'Otronto. Se bisognasse che per questo, o per veruna altra cosa in utilità della santa Chiesa, che frate Raimondo venisse a voi, padre, scrivetelo e egli sarà sempre obbediente a voi. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.



182. A suora Bartalomea della Seta monaca del monasterio di Santo Stefano di Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vestita del vestimento reale, cioè del vestimento dell'ardentissima carità, che è quello vestimento che ricuopre la nudità e nasconde la vergogna, e scalda, e consuma lo freddo.

Dico che ricuopre la nudità, cioè che l'anima creata all'imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), avendo l'essere, senza la divina grazia non avrebbe lo fine per mezzo del quale fu creata. Convienci principalmente avere lo vestimento della grazia, lo quale riceviamo nel santo battesimo mediante lo sangue di Cristo. Con questo vestimento i fanciulli che muoiono in puerizia hanno vita eterna: ma noi spose, che aviamo spazio di tempo, se non c'è posto uno vestimento d'amore verso lo sposo eterno, conoscendo la sua inestimabile carità, potremmo dire che questa grazia, che noi aviamo ricevuta nel battesimo, fusse nuda. E però è necessario che noi leviamo l'affetto e il desiderio nostro con vero cognoscimento di noi e aprire l'occhio dell'intelletto, e in noi conoscere la bontà di Dio, e l'amore ineffabile che egli ci ha. Poiché l’intelletto che conosce e vede, non può fare l'affetto che non ami, e la memoria che non ritenga lo suo benefattore.

Così con l'amore traie a sé l'amore: e trovasi vestita e ricuperta la sua nudità.

Dico che nasconde la vergogna, e questo in due modi: l'uno è che per pentimento ha gittato da sé la vergogna del peccato; come? che da la vergogna che in quella anima era venuta per l'offesa fatta al suo Creatore, è restituita per lo vestimento dell'amore delle virtù, ed è venuta a onore di Dio, e ha frutto in sé.

Perché d'ogni nostra opera e desiderio Dio ne vuole lo fiore de l'onore e a noi lassa lo frutto. Sì che vedi che nasconde la vergogna del peccato.

Dico che un'altra vergogna le tolle: cioè che di quello che la sensualità con amore proprio e parere del mondo si vergogna, la volontà, morta in sé e in tutte le cose transitorie, non vede vergogna. Anco si diletta delle vergogne, strazii, scherni, villanie e rimproverio: e tanto ha bene, quanto si vede conculcare dal mondo. Ella è contenta, per onore di Dio, che lo mondo la perseguiti con le molte ingiurie, lo demonio con le molte tentazioni e molestie, la carne con volere ribellare allo spirito. Di tutte gode per odio e vendetta di sé, per conformarsi con Cristo Crocifisso, reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E non si vergogna d'essere schernita e beffata da tutti e tre questi nemici, cioè lo mondo, la carne, e il demonio, perché la volontà sensitiva è morta - vestita del vestimento della somma ed eterna volontà di Dio -, anco l'ha in debita reverenzia, e ricevele con amore, perché vede che Dio l'ha permesse per amore, e non per odio: con quello affetto che noi vediamo che elle sono date, con quello le riceviamo. Dolce è a desiderare vergogna, ché con essa si caccia la vergogna. O quanto è beata l'anima che ha acquistato così dolce lume! ché insiememente è odiare i movimenti nostri e gli altrui, e amare le pene che per essi movimenti sosteniamo. Movimento nostro è la propria sensualità, movimenti altrui sono le persecuzioni del mondo.

Reputati, carissima figlia, degna de la pena, e indegna del frutto che segue doppo la pena: queste saranno le fregiature che tu porrai nel vestimento reale. Tu sai bene che lo sposo eterno fece lo simile, ché sopra lo vestimento suo pose le molte pene, fragelli, strazii, scherni e villanie, e nell'ultimo l'obrobiosa morte de la croce.

Dico che scalda, e consuma la freddezza: scaldasi del fuoco dell'ardentissima carità, lo quale dimostra per desiderio spasimato de l'onore di Dio nella salute del prossimo, portando e sopportando i difetti suoi. Gode coi servi di Dio che godono, e piange con gli iniqui che sono nel tempo del pianto, per compassione e amaritudine che porta dell'offesa che fanno a Dio; e dassi volentieri a ogni pena e tormento per reduciarli allo stato di coloro che godono, che vivono inamorati de le dolci e reali virtù.

Dico che consuma lo freddo, cioè la freddezza dell'amore proprio di sé medesima, lo quale amore proprio acieca l'anima e non le lassa conoscere né sé né Dio, e tollele la vita della grazia; genera impazienzia; la radice della superbia mette fuore i rami suoi. Offende Dio e offende lo prossimo con disordenato affetto, ed è incomportabile a sé medesimo, sempre ribella a l'obedienzia sua: tutto questo fa l'amore proprio di sé.

(.) Ma il vero vestimento detto tutti gli consuma e gli tolle via, e rimane nel lume della divina grazia.

Non va per le tenebre, ma in verità va per la via del consumato e immacolato Agnello; per la porta di Cristo Crocifisso entra alle nozze del Padre eterno. Ine è fermata e stabilita in Dio; non ha paura che lo mondo né lo demonio né la carne ne la possa separare; trova vita senza morte, sazietà senza fastidio, fame senza pena. Or non più! porta, porta, fa' spalle di portatore, e non refiutare peso, se vuoli bene guadagnare infine all'ultimo. Troppo sarebbe sconvenevole, che la sposa andasse per altra via che lo sposo suo. Altro modo non c'è a volere portare, se non essere vestita, come detto è; e però dissi io che io desideravo di vederti vestita del vestimento reale dell'abisso de la carità del re eterno. Altro non dico.

Nascondeti nel costato di Cristo Crocifisso, bàgnati e annégati nel sangue dolcissimo suo.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







183. All'arcivescovo d'Otronto.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e reverendo padre in Cristo Gesù: la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pastore buono e fedele a Cristo Gesù, con lume e cognoscimento de la sua bontà. Sapete che colui che va col lume, di notte, non offende; così l'anima che è alluminata di Dio, non può offendere, perché apre l'occhio del cognoscimento e de la ragione, e raguarda che via tenne questo dolce maestro. E come l'ha veduta, per volontà e desiderio che egli ha di seguire lo maestro suo, subito corre con sollicitudine e senza negligenzia: non sta a vòllare lo capo indietro, cioè a vedere sé medesimo; vede bene sé col cognoscimento dei peccati e dei difetti suoi, e confessa sé per sé non essere; allora conosce in sé la smisurata bontà di Dio, che gli ha dato ogni essere: a questo cognoscimento si debba sempre rivollare e stare.

Ma dico che non si volla né si debba vòllare a vedere sé per amore proprio o dilettazione, né per piacimento di veruna creatura. Dico che l'anima che è alluminata del vero lume, a questo non si vòlle, ma, poi che ha veduto sé e trovata la bontà di Dio, allora si dà per la via, cioè per tutte quelle vie e modi che tenne lo dolce Gesù, i santi che il seguirono. Ponsi Gesù per oggetto suo, ed è tanto lo desiderio e l'amore che ha di tenere la via dritta per giugnare al suo oggetto, fine dolce suo, che - perché truovi spine e triboli e ladri che il volessero robbare - non cura né teme di nulla, né per veruna cosa che truovi vuole tornare indietro - poiché l'amore gli ha tolto lo timore servile di paura -; e va dietro a le pedate di coloro che seguitaro Cristo, e vede bene e conosce ched i furono uomini nati come egli, pasciuti e nutreti come esso; e quella benignità e larghezza di Dio trova ora, che era allora.

Or di questo vero lume e cognoscimento desidera l'anima mia che voi, pastore e padre mio, siate ripieno, con abondantissimo fuoco d'amore, sì che né diletti né piacimenti, né stato né onore del mondo vi possino offuscare questo dolce lume, né spine né triboli né ladro veruno vi possa impedire lo corso di questa dolce via, ma sempre ci specchiamo nel Verbo incarnato unigenito Figlio di Dio, lo quale fu a noi via e regola, che, osservandola, sempre ci dà vita.

Oimé, padre, non voglio che sia tentazione o illusione di demonio, che sono posti come spine per impedire lo nostro andare; non sia lo tribolo de la carne nostra, che sempre combatte e ribella allo spirito, che è uno nemico perverso che mai non lassiamo indietro, ma sempre viene con essonoi; non sieno i ladii dimoni incarnati de le creature, che spesse volte ci vogliono tòllare l'amore e la pazienza, con molte ingiurie e persecuzioni che ci fanno: anco, alcune volte pigliano l'offizio de i demoni, volendo impedire i santi e buoni proponimenti che l'uomo averà e adopererà secondo l'onore di Dio. A costoro non basta lo loro male, che fanno in loro medesimi, ché anco ne vogliono fare in altrui. Virilmente, dunque, perseveriamo alla via nostra; confortianci, ché per Cristo Crocifisso ogni cosa potremo.

Io godo ed essulto, considerando me dell'arme forte che Dio ci ha data, e de la debolezza dei nemici. Bene sapete che né demonio né creatura può constrignare la volontà a uno minimo peccato. Questa è una mano sì forte che, tenendo lo coltello con due tagli, d'odio e d'amore, non sarà veruno nemico sì forte che si possa difendare che non sia percosso e gittato a terra. O inestimabile ardentissima e dolcissima carità che, acciò ch'i cavalieri che tu hai posti in questo campo della battaglia possino virilmente combattare - e spezialmente i pastori tuoi che hanno più percosse e più che fare che gli altri -, l’hai dato una corazza sì forte, cioè la volontà, che neuno colpo, perché percuota, lo' può nuociare, poiché egli ha con che ripararsi da' colpi, e con che difendarsi.

Guardi pur che il coltello che Dio gli ha dato, de l'odio e dell'amore, egli nol ponga ne le mani del nemico suo: la corazza poco ci varrebbe, ché, colà dove ella è forte, diverrebbe molle. Ché io m'aveggo che né demonio né creatura m'uccide mai, se non col mio coltello stesso, con quello che io uccido lui: dandoli, egli uccide me. Chi uccide lo vizio e il peccato? solamente l'odio e l'amore: lo pentimento che io ho conceputo in esso, e l'amore che io ho conceputo alla virtù per Dio. Se lo demonio e la sensualità vuole voltare questo odio e questo amore - cioè che tu odi quelle cose che sono in Dio, e ami la tua sensualità che sempre ribella a lui -, perché lo demonio voglia fare questo non potrà, se la mano forte della volontà non gli il porge, che se gli il desse, col suo medesimo l'uccidarebbe. Dunque è da vedere quanto sarebbe spiacevole a Dio e danno a noi. Ché sapete, padre, che perché voi sete pastore non sarebbe pur danno a voi, ma a tutti i sudditi vostri; e a ogni opera che aveste a fare per voi e per la dolce Sposa di Cristo, la santa Chiesa, questo sarebbe impedimento.

Su, non più dormire: rizzisi lo gonfalone della santissima croce; raguardiamo l'Agnello aperto per noi, che da ogni parte del corpo suo versa sangue. O Gesù dolce, chi t'ha premuto che in tanta abondanzia ne versi? Rispondi: l'amore di noi e l'odio del peccato ci ha dato sangue, intriso col fuoco de la sua carità. Or a questo arbolo ci appoggiamo, e con esso andiamo per la via sua detta. Bene aviamo materia di godere, e ogni nostro nemico è diventato debole e infermo per questo dolce figlio di Maria, unigenito Figlio di Dio.

Lo demonio è indebilito, che non può più tenere la signoria dell’uomo: perduta l'ha. La carne nostra, che il Figlio di Dio prese di noi, è fragellata con obrobrii, strazii, scherni e rimproverii: quando l'anima raguarda la carne sua, debba subito perdare e allentare la sua ribellione. Le lode degli uomini, o loro ingiurie che ci facessero, ogni cosa verrà meno ponendosi inanzi lo dolce Gesù, che non lassò, né per ingiuria che gli fusse fatta, né per nostra ingratitudine né per lusinghe, che non compisse l'obedienzia per onore del Padre e per salute nostra, sì che l'onore del mondo s'atterrava col desiderio e amore de l'onore di Dio.

Or corrite per questa via; siate siate gustatore e mangiatore delle anime, imparando da la prima e dolce Verità, pastore buono, che ha data la vita per le pecorelle sue. Siate siate sollicito d'adoperare per l'onore ed essaltazione della santa Chiesa, e non temete per alcuna cosa che sia avenuta, o che vedeste avenire (poiché ogni cosa è illusione di demonio, che il fa per impedire i santi e buoni proponimenti; ché, perché non si faccia quello che è cominciato, pare che s'avegga del male suo) ma confortatevi, e confortate lo nostro padre santo, e non temete di nulla, e confortatevi virilmente. Non vi ristate: fate che io senta e vegga che voi mi siate costì una colonna ferma, che per neuno vento vi moviate mai. Arditamente e senza veruno timore anunziate e dicete la verità, di quello che vi pare che sia secondo l'onore di Dio e renovazione della santa Chiesa. Or abbiamo noi altro che uno corpo? e questo si dia a cento migliaia di morti, se bisogna, e a ogni pena e fragello, per amore di Cristo, che con tanto fuoco d'amore non vidde sé per sé, ma per onore del Padre e per salute nostra. Non dico più, padre, ché io non mi ristarei mai.

Ebbi grande letizia de le buone novelle che ci mandaste, dell'avenimento di Cristo in terra e del cominciamento del santo passaggio. Non caggia tepidezza né sgomento in voi né nel santo padre, per le cose che poi sono avenute, ché, con questo che ci pare contrario, si farà ogni cosa.

Io ho inteso che il Maestro dell'ordine nostro lo santo padre lo vuole premuovare: pregovi, per l'amore di Cristo Crocifisso, che vi sia racomandato l'ordine, e che ne preghiate Cristo in terra che ci dia uno buono vicario.

Vorrei che lo 'nformaste di maestro Stefano de la Cumba, che fu procuratore dell'ordine e de la provincia di Tolosa. Credo che, se egli ce il darà, sarà grande onore di Dio e raconciamento dell'ordine, poiché i mi pare che egli sia uomo virile e virtuoso senza timore; ed i ci ha ora bisogno di medico che non abbi timore e usi lo ferro de la santa e dritta giustizia, ché tanto unguento s'è usato fino a qui che i membri sono quasi tutti imputriditi. Io n'ho scritto al padre santo, e non ho detto però cui egli ci dia, ma ho pregato che ce il dia buono, e che ne ragioni con voi e con missere Nicola da Osmo. E se vedeste che, per questo o per altro, fusse utilità o bisogno che frate Raimondo vi venisse, scrivetelo, ed egli sarà subito alla vostra obbedienzia. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Gherardo Buonconti vi si manda molto racomandando, e la madre mia come a caro padre, ed esso come indegno servo vostro.





184. Al priore e fratelli della Compagnia della Vergine Maria.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi e dolci figli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legati nel legame dolce della carità, lo quale fu quel legame che tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in sul legno della santissima croce.

Sapete che né chiodi né croce era sufficiente a tenerlo, se la carità non l'avesse tenuto: ella è quel dolce e soave legame che legò la natura divina nella natura umana. Chi ne fu cagione? Solo l'amore. L'amore fu quello che trasse noi di Dio, creandoci ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26). E per amore, avendo noi perduta la grazia, e volendoci restituire e rendere quello che avevamo perduto per lo peccato e difetto nostro, ci mandò Dio lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, e volse che col sangue suo riavessimo la grazia: ed egli, Figlio obbediente, corse all'obrobriosa morte della croce, sì come innamorato della salute nostra. Sì che ogni cosa che Dio ha fatta e fa a noi, è fatta per amore.

E però l'anima, che raguarda questo smisurato e ineffabile amore, v'uopre l'occhio dello intelletto e del cognoscimento nel suo obiettivo del sangue di Cristo crocifisso; nel quale sangue se gli rapresenta più la larghezza della ineffabile carità che in verun'altra cosa. E così disse egli, che maggiore amore non può mostrare l'uomo che dare la vita per l'amico suo (Jn 15,13). O inestimabile amore, se tu commendi che maggiore amore non può essere che dare la vita per l'amico suo, quanto maggiormente è degno di commendazione l'amore tuo inverso di noi, ché, essendo fatti nemici, tu hai data la vita e pagato lo prezzo del sangue tuo per noi? Questo eccede ogni amore.

O dolce e amoroso Verbo Figlio di Dio, tu sei fatto mediatore: hai pacificato con la morte tua l'uomo con Dio, ch'i chiodi ci son fatti chiavi che hanno diserrata vita eterna; e è aperta per sì-fatto modo che a veruno può essere chiusa se egli non vuole, poiché l'uomo non può essere costretto a veruno peccato, se egli non vuole. Lo peccato è quel che ci chiude la porta, e tolleci lo fine per mezzo del quale noi fummo creati; lo peccato ci priva della vita e dacci la morte; tolleci la luce e dacci le tenebre, perché offusca l'occhio dello intelletto, e non gli lassa vedere lo sole né le tenebre - le tenebre dico del cognoscimento di sé, dove vede e trova la tenebrosa sensualità, che sempre ribella e combatte contro lo suo Creatore -; e perché non vede le tenebre sua, però non può conoscere l'amore e il lume della divina bontà.

Dissi che l'anima che raguarda questo smisurato amore ha conceputo amore ineffabile; ha fatta e conformata la sua volontà con quella di Dio. Giudica e vede bene che Dio non vuole altro che la nostra santificazione; e ciò che egli ci dà e permette - o tribolazioni o consolazioni o persecuzioni o strazii o scherni o villanie -, ogni cosa ci è dato perché siamo santificati in lui, perché la santificazione non si può avere senza le virtù, e le virtù non si possono avere se non per lo suo contrario. E però l'anima che conosce questo amore non si può turbare né contristare di veruna cosa che avenga, di qualunque cosa si sia, perché sarebbe dolersi del suo bene, e della bontà di Dio che il permette a noi.

è vero che la sensualità si vuole sentire quando ha cosa che le dispiaccia, ma la ragione la vince, e falla stare suggetta sì come die. E con che faremo stare suggetta questa sensualità, che non ribelli al suo Creatore? Dicovelo. I diletti e tribulazioni si raffrenano con dolce e santa memoria di Dio, cioè con la continua considerazione della morte, la quale trarremo per lo cognoscimento di noi medesimi. Noi vediamo, carissimi figli e frategli in Cristo dolce Gesù, che noi siamo tutti mortali che, subito che siamo creati nel ventre della madre nostra, siamo condennati alla morte, e doviamo morire e non sappiamo quando né come.

E chi sarà colui che, se egli considererà in sé che la vita sua è tanto brieve che aspetta di dì in dì la morte - poiché la vita nostra è quanto una punta d'aco -, che non raffreni e tagli ogni disordinata letizia la quale pigliasse delle stolte e vane letizie del mondo? Dico che si raffrenarà e non cercarà né onori né stati né grandezza; né ricchezza possederà con avarizia, anco s'egli avarà la ricchezza sarà fatto dispensatore di Cristo ai povari e non le vorrà possedere, né die tenere con superbia, anco con vera e profonda umilità, vedendo e conoscendo che veruna cosa ci è ferma né stabile in questa tenebrosa vita, ma ogni cosa passa via come lo vento. Se ella è tribolazione, egli la porta pazientemente, perché vede che è piccola ogni tribolazione che in questa vita possiamo sostenere. E perché è piccola? perché è piccolo lo tempo nostro; poiché la fatica che è passata, tu non l’hai; e quelle che sonno a venire, non sei sicuro d'avere, perché non sai se la morte ti verrà e sarai privato d'ogni fatica. Hai dunque solo questo punto del tempo che t'è presente; sì che la memoria della morte priva della impazienzia nelle tribolazioni e la disordinata letizia nelle consolazioni.

è vero che non vuole essere pura la memoria della morte, perché cadrebbe in confusione: vuolsele dunque dare compagnia, e la compagnia si è l'amore ordenato col santo timore di Dio: cioè d'astenersi da' vizii e da' peccati per non offendere lo suo Creatore. Il peccato non è in Dio, e però non è degno d'essere amato né desiderato da noi che siamo figli, sue creature create ad immagine e similitudine sua. Doviamo amare quello che egli ama, e odiare quello che egli odia: allora s'uopre l'occhio dello intelletto, e vede quanto è utile lo dispregiare i vizii e amare le virtù, e quanto gli è danno lo contrario. Ché il dormire nei vizii e nei peccati, venendoli la morte di subito - che non n'è sicuro -, gli dà l'eterna dannazione, dove non ha poi remedio veruno; lo vivere virtuosamente gli dà sempre letizia, pace con Dio e pace col prossimo.

Levatosi da ogni rancore, sentesi una carità fraterna d'amare lo prossimo suo come sé medesimo ama.

E così doviamo amare amici e nemici in quanto creature ragionevoli e desiderare la salute loro, e ingegnarci, giusta il nostro potere, di portare e supportare i difetti loro, odiando lo vizio che fusse in loro, ma non loro; piangere con coloro che piangono, e godere con coloro che godeno (Rm 12,15): cioè coloro che sonno nel peccato mortale - che si può dire che sieno nel tempo del pianto e delle tenebre (Mt 22,13 Mt 25,30) -, piangere con coloro per compassione e offerirgli per santo desiderio dinanzi da Dio; rallegrare con coloro che vivano in virtù: rallegrare con loro non con invidia del loro bene, ma in un santo ringraziamento della divina bontà che gli ha tratti delle tenebre e ridotti alla luce della grazia. E a questo modo vive in unità e osserva lo comandamento di Dio, che per l'amore suo ama lo prossimo.

Questo è lo segno che c'è dato da Cristo per essere cognosciuti d'esser figli e discepoli suoi, e così disse egli ai discepoli: «Amatevi, amatevi insieme, ché a questo sarà cognosciuto che voi siate discepoli miei» (Jn 13,35). Passando per questa dolce e soave via, vive in grazia; e poi si trova nell'ultimo nell'eterna visione di Dio. Ma sopra tutte l'altre cose, figli miei, di che io vi preghi e constringa, si è che voi v'amiate insieme, poiché noi ci dobbiamo innestare lo cuore e l'affetto nell'amore di Cristo crocifisso. E perché noi vediamo che sommamente egli ha amato l'uomo, così noi doviamo trarre questo amore, e legarci stretti col prossimo nostro sì e per siffatto modo, che né demonio, né ingiuria che ci fusse fatta da esso prossimo nostro, né amore proprio di noi medesimi, ci possa mai sciogliare né rimuovare da questo legame dell'amore. Considerando me che in altro modo l'anima sta in stato di dannazione, e però dissi ch'io desideravo di vedervi legati nel legame della carità.

Ché per ogni ragione dovete essere uniti: sì perché sete tutti creati da Dio, e ricomperati d'uno medesimo sangue; e poi per la santa e dolce congregazione la quale avete fatta nel dolce nome di Maria, la quale è vostra advocata, madre di grazia e di misericordia. Ella non è ingrata a chi la serve; anco è grata e conoscente. Ella è quel mezzo che drittamente è uno carro di fuoco (2R 2,11) che, concipiendo in sé lo Verbo de l'unigenito Figlio di Dio, recò e donò lo fuoco dell'amore, poiché egli è esso amore.

Perciò servitela con tutto lo cuore e con tutto l'affetto, poiché ella è la madre dolcissima vostra.

Anco vi prego che aviate in odio e pentimento lo peccato della immondizia e ogni altro difetto; ché non sarebbe cosa convenevole che con immondizia serviste a Maria, che è somma purezza. Non dormite più, padri frategli e figli carissimi: levatevi con amore della virtù, e odio e pentimento del peccato.

Vedete che è tanto abominevole dinanzi a Dio lo peccato, che permisse che il Figlio sostenesse morte e passione, ed egli con tanto amore sostenne pena, strazii, scherni e villanie, e nell'ultimo l'obrobriosa morte della croce. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; nascondetevi nelle piaghe sue per affetto d'amore.

Maggiore amore non può mostrare l'amico, che dare la vita per l'amico suo (Jn 15,13): egli v'ha data la vita, avendo dissanguato e aperto il corpo suo. Amollinsi i cuori vostri ora in questo santo tempo, lo quale ci rapresenta questo Agnello immacolato, arrostito in sulla croce al fuoco dell'ardentissima carità; e nella Pasqua dolcemente vi si dà in cibo. E però vi prego che tutti vi disponiate alla santa comunione; se non aveste già legame che non si potesse sciogliere senza andare a Roma. Altro non dico. Amatevi, amatevi insieme.

Rimanete etc.

Io, indegna serva vostra, mi raccomando alle vostre orazioni; bene che io sono certa che il fate. E pregovi e strengovi da parte di Cristo crocifisso, che in tutte le vostre orazioni e sante opere che Dio vi concede di fare, voi l'offeriate e facciate sacrificio a Dio per la reformazione della dolce Sposa di Cristo, della santa Chiesa; per pace e unità di tutti i cristiani; e singularmente per la nostra città, che Dio ci mandi vera e perfetta unione, e che eglino escano d'ogni offesa che fatta avessero contro lo nostro Salvatore e alla Chiesa santa.

E pregate strettamente che la ruina che ci è venuta della guerra dei Fiorentini col santo padre, per li nostri peccati, che Dio, per la sua pietà, la converta in vera pace. Ch'io vi dico che se noi non ci aiutiamo con le molte e continue orazioni a chiamare la divina misericordia, noi siamo nel peggiore stato, l'anima e il corpo, che noi fussimo mai. Bussiamo alla misericordia sua con l'orazione e desiderio di pace: egli è benigno, che non spregia la voce del populo che gridarà a lui. Udite lo dolce e buono Gesù che ce lo insegna che noi doviamo bussare e chiamare a lui col lume della fede che noi crediamo essere essauditi da lui: altrementi, l'orazione non varrebbe nulla. Dice la prima dolce Verità: «Bussate, e vi sarà aperto; chiedete, e vi sarà dato (Lc 11,9 Mt 7,7); chiamate, e vi sarà risposto». Poiché egli c'insegna lo modo, pigliànlo con buona e santa sollecitudine, con longa e perfetta perseveranza; ché, come dice egli stesso, se non vel desse per altro, per la importunità della perseveranza cel darà (Lc 11,8). Altro non dico. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.

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19/10/2012 16:15

185. Al padre santo Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio

A voi, dilettissimo e reverendo padre in Cristo Gesù: la vostra indegna misera miserabile figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno arbolo fruttifero, pieno di dolci e soavi frutti, piantato in terra fruttifera - ché se fusse fuore de la terra seccarebbe e non farebbe frutto -, cioè la terra del vero cognoscimento di noi.

L'anima che conosce sé medesima s'umilia, poiché non vede di che insuperbire; notrica in sé lo frutto dolce dell'ardentissima carità, conoscendo in sé la smisurata bontà di Dio; conoscendo sé non essere, ogni essare che ha retribuisce poi a colui che è. Allora l'anima pare che sia costretta ad amare quello che Dio ama, e a odiare quello che egli odia. O dolce e vero cognoscimento, lo quale porti con te lo coltello dell'odio, e con esso odio distendi la mano del santo desiderio a trare e a uccidare lo verme dell'amore proprio di sé medesimo! - lo quale è uno verme che guasta e rode la radice dell'arbolo nostro, sì e per sì-fatto modo che neuno frutto di vita può produciare -.

I frutti suoi si seccano e non dura la verdura sua, poiché colui che ama sé, vive in lui la perversa superbia, la quale è capo e principio d'ogni male, in ogni stato che egli è, o prelato o suddito. Ché se egli è solo ed egli è amatore di sé medesimo, cioè che ami sé per sé e non sé per Dio, non può fare altro che male, e ogni virtù è morta in lui. Costui fa come la donna che parturisce i figli morti, e così è veramente, perché in sé non ha avuta la vita de la carità d'intendare solo a la loda e gloria del nome di Dio.

Dico che, se egli è prelato, fa male, poiché per l'amore proprio di sé medesimo, e per non cadere in pentimento de le creature - nel quale egli è legato per piacimento e amore proprio di sé - muore in lui la giustizia santa: poiché vede commettare i difetti e peccati ai sudditi suoi, e pare che facci vista di non vedere, e non gli corregge. E se gli corregge, corregge con tanta freddezza e tepidità di cuore che non fa nulla, ma è uno rappiastrare lo vizio; sempre teme di non dispiacere e di non venire in guerra: tutto è perché egli ama sé. Alcune volte è che volrebbero fare pure con pace; io dico che questa è la più pessima crudeltà che si possa usare. Se la piaga quando viene non s'incende col fuoco o non si taglia col ferro, ma ponvi solo l'unguento, non tanto che egli abbi sanità, ma egli imputridisce tutto e spesse volte ne riceve la morte.

Oimé oimé, dolcissimo babbo mio, questa è la cagione ch'i sudditi sono tutti corrotti, pieni di immondizia e di iniquità; oimé, piangendo lo dico, quanto è pericoloso questo verme detto, che non tanto che dia la morte al pastore, ma tutti gli altri ne vengono in morte e in infermità. Perché segue costui tanto unguento? perché non ne li viene pena, poiché dell'unguento che pongono sopra l'infermi non ne li cade dispiacere neuno né neuno male volere, poiché non ha fatto contro la sua volontà: ché egli voleva unguento, e unguento gli ha dato. O miseria umana, cieco è lo infermo che non conosce lo suo bisogno, cieco è il pastore che è medico che non vede né raguarda se non al piacere e a sua propria utilità, che, per non perdarlo, non ci usa né coltello di giustizia né fuoco d'ardentissima carità. Ma costoro fanno come dice Cristo che, se l'uno cieco guida l'altro, amendue ne vanno ne la fossa, e lo infermo e il medico ne vanno all’inferno.

Costui è dritto pastore mercennaio, che non tanto che esso traga le pecorelle sue di mano del lupo, ma egli è divoratore d'esse pecorelle. Tutto n'è cagione perché ama sé senza Dio; non segue il dolce Gesù pastore vero, che ha data la vita per le pecorelle sue. Bene è dunque pericoloso in sé e in altrui questo perverso amore; bene è da fuggirlo, ché a ogni generazione di gente fa tanto male. Spero per la bontà di Dio, venerabile padre mio, che questo spegnarete in voi, e non amarete voi per voi, né il prossimo per voi, né Dio: ma amaretelo perché è somma eterna bontà e degno da essere amato; voi e il prossimo a onore e gloria del dolce nome di Gesù. Voglio che siate quello vero e buono pastore che, se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tutte a darle per l'onore di Dio e salute de le creature.

O babbo mio, dolce Cristo in terra, seguitate quello dolce Gregorio, ché così sarà possibile a voi come a lui, poiché egli non fu d'altra carne che voi, e quello Dio è ora che era allotta: non ci manca se non virtù e fame de la salute delle anime. Ma a questo c'è lo remedio, padre: leviamo l'amore detto di sopra da noi e da ogni creatura fuore di Dio, che i non s'attenda più né ad amici né a parenti né a sua necessità temporale: solo a virtù e ad essaltazione de le cose spirituali: ché per altro non ci vengono meno le temporali, se non per abbandonare la cura de le spirituali.

Or vogliamo noi avere quella gloriosa fame che hanno avuta quelli santi e veri pastori passati, e spegnare in noi questo fuoco, cioè dell'amore di sé? Facciamo come ellino, che col fuoco spegnevano lo fuoco; tanto era lo fuoco de la inestimabile e ardentissima carità che ardeva nei cuori e nell'anime loro, che erano tutti affamati, fatti gustatori e mangiatori delle anime. Odi dolce e glorioso fuoco, che è di tanta virtù che spegne lo fuoco d'ogni disordenato diletto e piacere e amore di sé medesimo: fa come la gocciola dell'acqua, che tosto si consuma ne la fornace. Chi mi dimandasse come ci vennero a questo dolce fuoco e fame, non so vedere, ché noi siamo pure arboli infruttiferi, per noi. Ma io m'avego che modo tennero, ché, veduto ch'egli ebbero l'arbolo fruttifero de la santissima e dolcissima croce, mai da essa non si partiro, dove trovaro l'Agnello dissanguato con tanto fuoco d'amore de la nostra salute che non pare che si possa saziare, anco grida che ha sete, quasi dica: «Io ho maggiore ardore e sete e desiderio de la salute vostra che io non vi mostro con questa passione finita».

O dolce e buono Gesù, vergogninsi pontefici e pastori e ogni creatura, dell'ignoranza e superbia e piacimenti nostri, a raguardare tanta larghezza e bontà e amore inestimabile del nostro Creatore, lo quale s'è mostrato a noi arbolo ne la nostra umanità, pieno di dolci e soavi frutti, perché noi arboli salvatichi ci potessimo inestare in lui. Or questo fu lo modo che tenne lo inamorato di Gregorio e gli altri buoni pastori che, conoscendo loro senza nessuna virtù non essere, raguardaro lo Verbo arbolo nostro, e fecero uno inesto in lui, legati e uniti col legame dell'amore, ché di quello che l'occhio vede, di quello si diletta, quando è cosa bella e buona. Perciò videro e, vedendo, si legaro sì e per sì-fatto modo che non vedevano loro, ma ogni cosa vedevano e gustavano in Dio; non era né vento né grandine, né demonio né creatura che lo' potesse tòllare che non producessero frutti dimestichi, perché erano innestati nel midollo dell'arbolo nostro Gesù. I frutti loro producevano ellino per lo midollo de la dolce carità, ne la quale erano uniti: non ci ha altro modo, e questo è quello che io voglio vedere in voi.

Se per fino a qui non ci fusse stato bene fermo in verità, voglio e prego che si facci, questo punto del tempo che c'è rimaso, virilmente e come uomo virile, seguitando Cristo di cui vicario sete. E non temete, padre, per veruna cosa che avenga, di questi venti tempestosi che ora vi sono venuti, cioè di questi putridi membri che hanno ribellato a voi: non temete, ché l'aiuto divino è presso. Procurate pure a le cose spirituali, a buoni pastori e buoni rettori ne le città vostre, poiché per li mali pastori e rettori avete trovata ribellione: poneteci remedio e confortatevi in Cristo Gesù, e non temete.

Mandate inanzi e compite, con vera e santa sollicitudine, quello che per santo proponimento avete cominciato, de l'avvenimento vostro e del santo e dolce passaggio, e non tardate più, ché per lo tardare sono avenuti molti inconvenienti e il demonio s'è levato e leva per impedire che questo non si faccia, perché s'avede del danno suo. Su, padre, non più negligenzia; rizzate lo gonfalone de la santissima croce, ché con l'odore de la croce acquistarete la pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi gl'invitiate a una santa pace, sì che tutta la guerra caggia sopra gl'infedeli. Spero, per la infinita bontà di Dio, che tosto mandarà l'aiutorio suo. Confortatevi confortatevi, e venite venite a consolare i povarelli servi di Dio e figli vostri. Aspettianvi con affettuoso e amoroso desiderio. Perdonatemi, padre, che tante parole v'ho dette; sapete che per l'abbondanza del cuore la lingua favella. Sono certa che, se sarete quello arbolo che io desidero di vedervi, che nessuna cosa v'impedirà.

Pregovi che vi mandiate profferendo come padre, in quello modo che Dio v'amaestra, a Lucca e a Pisa, sovenendoli in ciò che si può e invitandoli a stare fermi e perseveranti. Sono stata a Pisa e a Lucca fino a qui, invitandoli, quanto posso, che lega non faccino coi membri putridi che sono ribelli a voi: stanno in grande pensiero, perché da voi non hanno conforto e da la contraria parte sempre sono stimolati e minacciati che la faccino; per fino a qui al tutto non hanno consentito. Pregovi che ne scriviate anco strettamente a missere Piero, e fatelo sollicitamente e non v'indugiate. Non dico più qui.

Ho inteso che avete fatti cardinali: credo che sarebbe onore di Dio e meglio di voi, che attendeste sempre di fare uomini virtuosi; se si farà lo contrario, sarà grande vituperio di Dio e guastamento de la santa Chiesa.

Non ci maravigliamo poi se Dio ci manda le discipline i flagelli suoi, ché giusta cosa è. Pregovi che facciate virilmente ciò che avete a fare, e con timore di Dio.

Ho inteso che il Maestro dell'ordine nostro voi il dovete premuovare ad altro beneficio. Pregovi, per l'amore di Cristo Crocifisso, che, se egli è così, che voi procuriate di darci uno buono e virtuoso vicario, poiché l'ordine n'ha bisogno, perché egli è troppo insalvatichito. Potretene ragionare con missere Nicola da Osimo e con l'arcivescovo d'Otronto, e io ne scrivarò a loro.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Dimandovi umilemente la vostra benedizione e perdonate a la mia presunzione, che presummo di scrivare a voi. Gesù dolce, Gesù.





186. A Neri di Landoccio.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dilettissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti disponere il vasello del cuore e dell'anima tua a ricevare quello che la divina bontà ti vuole dare col mezzo dell'orazione.

Perché voglio che ti disponga? Perché in altro modo nol potresti ricevere, ché, come Dio da la parte sua è sempre disposto a dare, così l'anima debba sempre disponere sé medesima a ricevere. Con che si dispone? Con quella disposizione che ha ricevuta da Dio, la quale ricevemmo quando fummo creati a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26). Allora ricevemmo lo vasello e la disposizione, e il lume: cioè la memoria, la quale è quello vasello che ritiene; e l’intelletto, ricevendo lo lume de la fede nel santo baptesmo; e la volontà, la quale è disposta e atta ad amare, poiché senza amore non può vivere.

Sì che la disposizione dell'amore aviamo avuta da Dio per l'essere, poiché siamo fatti per amore; e però doviamo col libero arbitrio parare e offrire nel conspetto di Dio questo essere dato a noi per amore, e con l'amore ricevere l'amore: l'amore, dico, generale che Dio ha ad ogni creatura ragionevole, e i doni e le grazie particulari, le quali l'anima si sente ricevere in sé medesima. Allora invitiamo Dio a traboccare sopra di noi lo fuoco e l'abisso della sua inestimabile carità, con uno lume sopranaturale, e con una plenitudine di grazia, e con uno adornamento di virtù, lavando la faccia dell'anima nel prezioso sangue de l'umile e immacolato Agnello.

Con una fame de l'onore di Dio e salute delle anime corre in su la mensa del cruciato desiderio, e ine mangia questo dolce e soave cibo tanto abondantemente che scoppia e criepa la propria sensualità; e così rimane morta la volontà ad ogni amore proprio e appetito sensitivo. Così si dispone, come sposo fedele de la verità, a morire e a dare mille volte la vita, se fusse possibile, per essa verità. Ora è il tempo, carissimo e dilettissimo figlio, da ponerla; e allora sarai atto a ponerla, quando averai per sempre la sopradetta disposizione. Non dico più.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







187. A don Giovanni dei Sabbatini da Bologna e don Thadeo dei Malavolti da Siena monaci di Certosa al Belriguardo.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo crocifisso, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi cavalieri virili senza nessuno timore servile.

Così vuole lo nostro dolce Salvatore, che noi temiamo lui, e no gli uomini del mondo (così disse egli: «Non timete coloro che possono uccidare il corpo, ma me, che posso l'anima e il corpo mettare all’inferno»). E però voglio che siate anegati nel sangue del Figlio di Dio, arsi nel fuoco de la divina carità, poiché ine si perde ogni timore servile, rimane solo timore di riverenzia. Or che può fare il mondo, lo demonio, i servi suoi a colui che si trova in questo ismisurato amore, che s'ha posto per oggetto lo sangue? Non nulla. Anco sonno strumento di darci e di provare in noi la virtù, poiché la virtù si prova per lo suo contradio. E però debba l'anima godere ed essultare, e cercare con sua pena sempre Cristo crocifisso, e per lui anichilare e avilire se medesimo; dilettarsi sempre di pena e di croce. Volendo pena, tu ha' diletto, e volendo diletto, tu hai pena. Perciò meglio ci è anegarci nel sangue, e uccidare le nostre perverse volontà con cuore libero al suo Creatore, senza veruna compassione di sé medesimo.

Allora sarà pieno lo gaudio e la letizia in voi: aspettarete senza fatica afligitiva. Di nessuno comandamento che ci fusse fatto doviamo sentire pena, ma più tosto diletto; poiché non è veruno comandamento fatto per gli uomini che ci possa togliere Dio, ma sono cagione di darci la virtù de la pazienza, e fannoci più soliciti a correre in cella ad abraciarci co l'arboro de la croce, ine cercare la visione invisibile che non vi può essere tolta: poiché l'affetto e la carità, se noi non voliamo, mai non si perde.

Oh che dolce diletto sarebbe, essere perseguitato per Cristo crocifisso! Di questo voglio che vi dilettiate per qualunche modo Dio vi dà croce, non elegendola a vostro modo, ma a modo di colui che ve la dà, riputandovi indegni di tanta grazia quant'è essere perseguitato per Cristo crocifisso. Sappiate, figli miei dolci in Cristo Gesù, che questa è la via dei santi che seguitarono la via di Cristo: altra via non ci è, che ci menasse a vita. E però voglio che cor ogni solicitudine e con odio santo di voi medesimi voi vi studiate di seguire questa dolce e dritta via. Al luogo santo de l'orazione date buona solicitudine e perseveranza, mentre che lo Spirito santo ve la porge: non sia schifata né fugita da voi, se la vita ne dovesse andare. Per tenerezza né per compassione di corpo non lassate mai - perché il demonio non vorebbe altro se no privarci da l'orazione -, e per compassione di noi, del corpo propio, o per tedio di mente. E però, per veruna di queste cose doviamo lasciare l'essercizio de l'orazione, ma col pensiero de la bontà di Dio, conoscendo noi difettuosi, cacciamo le cogitazioni del demonio e la tenerezza di noi, nascondendovi ne le piaghe di Cristo crocifisso: amaretevi insieme per Cristo crocifisso; non temete di cosa che avenga. Ogni cosa potrete per Cristo crocifisso, che sarà in voi, che vi confortarà.

Siate obedienti fino a la morte, di ciò che vi fusse imposto, che vi fusse più grave. Non schifate il frutto per fugire fatica, poniamo che d'alcuna cosa lo demonio ve la farebbe sentire, e schifare sotto colore di virtù, dicendo: «Questa era la consolazione de l'anima mia, e acrescimento di virtù in me». Non gli credete, ma confidatevi, e tenete che quello che Dio vi donava per mezzo di quella consolazione, vi darà puramente per se medesimo, per la sua bontà. Sapete bene ch'una foglia d'arboro non cade in terra senza la provedenzia sua: sì che ciò che lui permette o al demonio, o a le creature, che facciano a noi, è fatto con sua provedenzia per necessità de la nostra salute, e per acrescimento di perfezione. Perciò a reverenzia voglio che l'abiate.

Spogliatevi lo cuore, e l'affetto eziandio, de le cose temporali, di fuore da quello che vi bisogna per la vostra necessità. Vestitevi di Cristo crocifisso, e 'nebriatevi del sangue suo: e ine trovarete la letizia e pace compiuta. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Amatevi amatevi amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù Gesù.







188. A suora Bartolomea della Seta nel monasterio di santo Stefano in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume: lo quale lume ci priva delle tenebre, e drizzaci per la via de la verità; facci conosciare la nostra imperfezione, e il danno che ce ne segue, e l'eccellenza della perfezione, e quanto è utile a noi e piacevole a Dio.

E però da questo lume veniamo a odio perfetto della propria sensualità e della nostra imperfezione, e veniamo ad amore della virtù; in tanto che nessuna cosa può cercare, volere, o desiderare l'anima, se non quello che la facci venire a virtù. Non rifiuta pene né fatiche, anco l'abraccia e dilettasi in esse, perché vede bene che per altra via non può compire lo desiderio suo d'acquistare quella virtù che ama. Ella si fa una strada della dottrina di Cristo crocifisso, seguitandola con ansietato desiderio; ella non si reputa di sapere altro che Cristo crocifisso (1Co 2,2); la sua volontà non è sua, però ch'ella l'ha morta e abnegata nella dolce volontà di Dio, nella quale volontà s'è unita per affetto d'amore, e con lui fa mansione: poiché allora Dio è ne l'anima per grazia, e l'anima è in Dio.

Ella leva sé sopra di sé, cioè sopra lo sentimento suo sensitivo, e gusta la dolcezza della verità eterna, la quale conobbe nella dolce volontà di Dio col lume della fede; e vide nel sangue de l'Agnello che la sua volontà non vuole altro che la nostra santificazione. La verità sua è questa: ch'egli ha creato l'uomo a la immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per darli vita eterna, e affinché renda gloria e loda al nome suo.

Per la colpa d'Adam questa verità non s'adempiva nell’uomo, e però egli ci donò lo Verbo de l'unigenito suo Figlio, ponendogli quella grandeobbedienza: che col sangue suo ricomprasse lo figlio de l'umana generazione; ed egli, come inamorato, corse a l'obrobriosa morte della santissima croce, e non ritrasse la suaobbedienza per morte, per pena, né per rimproverio, né per lusinghe che ricevesse, ma - come valente e virile capitano - fece ancudine del corpo suo, né anco si ritrasse per nostra ingratitudine.

Così fa l'anima che col lume ha conosciuta questa verità: ella non si ritrae per mormorazioni, non per bataglie del demonio, né per tenebre di mente, né per la fragile carne che combatte contro lo spirito; ma tutte queste cose si mette sotto i piei de l'affetto. Ella è costante e perseverante, che tanto gode quanto si vede sostenere. Bene è Perciò da cercare questo vero e perfetto lume, e con odio levare da noi quella cosa che cel tolle, cioè l'amore proprio di noi medesimi. A questo odio verremo, quando staremo serrati nella casa del conoscimento di noi; dove trovaremo l'amore inefabile che Dio ci ha, col quale amore cacciaremo l'amore proprio di noi: poiché l'anima che si vede amare, non può fare che non ami. Allora s'infonde uno lume sopranaturale ne l'occhio dell’intelletto nostro, col quale lume veniamo ad ogni perfezione: ma senza lo lume non vi verremo mai. E però dissi ch'io desideravo di vedervi con vero e perfettissimo lume: di questo voglio che vi studiate, quantunque potete, d'averlo in voi etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 16:17

189. AI monaci del detto monasterio di Cervaia; A frate Giovanni di Bindo e frate Nicolò di Ghida e a certi altri suoi in Cristo figli, dei frati di Monte Uliveto, presso a Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi fratelli in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, lo quale sangue fu sparto con tanto fuoco d'amore, in tanto che doverebbe trare ogni cuore e affetto della creatura.

Non è grande fatto, se la memoria del sangue è nei cuori dei servi di Dio, poiché egli è mescolato con fuoco. Così mi ricordo che disse la prima Verità, una volta, a una serva sua - dimandando ella: «Poi che eravate morto, perché volesti che il costato ti fusse aperto e gittasse tanta abbondanza di sangue?» -, e diceva: «Molte sono le cagioni, ma due principali te ne dirò. L'una per che io volsi, che per l'apritura del lato vi manifestai lo secreto del cuore, poiché più era dentro l'affetto che io avevo all'uomo, che il corpo con l'atto di fuore non poteva mostrare. L'altro si fu lo baptesmo che, per li meriti del sangue mio, era dato all'umana generazione».

Sapete che egli gittò sangue e acqua: l'acqua, per lo baptesmo santo che è dato ai cristiani, lo quale ci dà la vita e la forma della grazia; e per li meriti del sangue dell'Agnello providde la divina eterna bontà, per remedio de le nostre ignoranzie e miserie. E anco, per coloro che non potessero avere lo baptesmo dell'acqua, ha posto lo baptesmo del sangue e del fuoco: lo sangue loro lo' sarebbe baptesmo, sì come fu ai santi Innocenti. Tutto questo valrebbe loro per lo sangue del Figlio di Dio: quello sangue dei martiri valse e vale per lo sangue suo.

Ma noi, miseri miserabili cristiani, ricevuta già la grazia, perché non si leva su lo cuore nostro, freddo, pieno d'amore proprio e d'ignoranza, a raguardare tanto ineffabile fuoco d'amore e la sua inestimabile prudenzia? Che, vedendo che per lo peccato noi perdiamo la grazia e la purezza - la quale riceve l'anima nel santo baptesmo - si dovarebe lo cuore nostro disolvare, per considerazione e gratitudine di tanto benifizio, lo quale è di tanta eccellenza che non si può prendare altro che una volta. Ma confortianci, fratelli in Cristo, e non veniamo meno, né per peccato commesso né per nessuna illusione né tentazione di demonio - e sia ladio sozzo e brutto quanto vuole -, poiché il medico nostro ci ha data la medicina contro ogni nostra infermità, cioè lo baptesmo del sangue e del fuoco, nel quale l'anima purifica e lava ogni peccato, consuma e arde ogni tentazione e illusione di demonio, poiché il fuoco è intriso col sangue: Perciò bene è vero che egli arde. L'amore dello Spirito santo è esso fuoco, poiché l'amore fu quella mano che percosse lo Figlio di Dio, e feceli versare sangue: unironsi insieme, e fu sì perfetta questa unione che noi non possiamo avere fuoco senza sangue, né sangue senza fuoco.

E perch'è l'uomo, mentre che vive, ne la carcere corruttibile del corpo suo - lo quale è una legge perversa che sempre lo 'nvita e inchina a peccato (Rm 7,23) -, ha posto lo dolce e buono Dio questo continuo remedio, lo quale fortifica la ragione e libertà dell’uomo, cioè di questa continua medicina del fuoco de lo Spirito santo che non gli è mai tolto, anco aduopera continuamente le grazie e doni suoi, in tanto che ogni dì puoi e debbi operare questo santo e dolce baptesmo, lo quale t'è dato per grazia e non per debito.

Quando l'anima raguarda e vede in sé tanta eccellenza e fortezza di fuoco di Spirito santo, inebbria sì e per sì-fatto modo dell'amore del suo Creatore che egli al tutto perde sé e, vivendo, vive morto: non sente in sé amore né piacimento di creatura, poiché la memoria già s'è impita dell'affetto del suo Creatore. Lo intendimento non si stende a intendare né a vedere nessuna cosa creata fuore di Dio: solo intende e vede sé medesimo non essere, e la bontà di Dio in sé; la quale bontà infinita vede che non vuole altro che il suo bene. Allora l'amore suo è diventato perfetto verso di Dio, ché, non avendo in sé altro né intendendo altro, allora non si potrebbe tenere lo veloce corso del disiderio, ma corre senza neuno peso o legame, poiché egli ha tagliato da sé e levato ogni peso che gli fusse cagione a impedire questo corso: sono sì legati nel giogo di Cristo che amano loro per Dio e Dio per Dio e il prossimo per Dio. A questa perfezione, carissimi fratelli, voi sete invitati: tratti sete da lo Spirito santo dello stato del secolo, legati col funcello della santa e veraobbedienza, menati a mangiare fiadoni di mèle nel giardino de la santa Chiesa.

Perciò io vi prego, poi che tanto è dilettevole, che già mai non volliate lo capo adietro per veruna fatica o tentazione che il demonio desse a voi; non venga mai a tristizia o a confusione l'anima vostra, poiché il demonio non vorrebbe altro. E spesse volte ci darà molte molestie e variate battaglie; ed i falsi giudicii dare contro l'obbedienzia che ci fusse imposta. E non fa questo perché di primo colpo creda che noi cadiamo, ma solo perché venga a disordenata tristizia e confusione di mente; ché, essendo condutta l'anima in su la tristizia e confusione, per tedio di sé perde e abandona i suoi essercizii spirituali, i quali faceva, parendoli che le sue opere non debbano essere accette né piacevoli a Dio - perché glil pare fare in tanta tenebre e freddezza di cuore, parendoli essere privata del calore de la carità -: parli meglio di lassarle stare che di farle. Allora lo demonio gode, ché ti vede per la via di conducerti a disperazione, ché in altro modo non può guadagnare l'anima se non per questo: ché, se tutti i peccati si raunassero in uno corpo d'uno uomo, ed i li rimanga la vera speranza e la viva fede della infinita misericordia, non ci potrà tòllare che noi non participiamo e riceviamo lo frutto del sangue del Figlio di Dio, lo quale lo dolce Gesù sparse volendo adempire l'obedienzia del Padre e la salute nostra.

E perché non aveva in sé altra volontà se non d'adempire quella del Padre suo, ogni pena strazio scherni e morte gli tornava a grandissima dolcezza, in tanto che gli parbe giognare alla Pasqua, giugnendo a le pene. Questo parbe che mostrasse ne la cena, quando disse ai discepoli suoi: «Con desiderio ho desiderato di fare questa Pasqua» (Lc 22,15); questa era la Pasqua, che vedea compiuto lo tempo e venuto quello che tanto aveva desiderato, cioè di fare sacrifizio del corpo suo al Padre per noi, in su' legno de la santissima croce.

Or così voglio che facciate voi, poiché così fa l'anima inamorata di Dio: non schifarà fatica che trovasse, né per demonio né perobbedienza, ma tanto gode quanto si vede sostenere; e tanto gode ed essulta quanto si vede più legato corto dal prelato suo perobbedienza, perché vede che tanto quanto l'affetto e la volontà è legata qua giù, e tanto è più larga e legata con Cristo. E se mi diceste: «Che modo tengo, quando sento le tenebre e la cecità de la mente, che non pare che ci sia punto di lume unde io mi possi attaccare a speranza?», dicovelo, fratelli e figli miei. Voi sapete che solo lo peccato sta ne la perversa e mala volontà: quando vede la buona volontà in sé - che sceglie inanzi la morte che offendare attualmente lo suo Creatore -, allora debba abbandonare la confusione di sé, e andare per lo lume, lo quale trova, d'una grazia nascosta nell'anima, la quale Dio gli ha data conservandoli la buona volontà.

Or a questa mensa si debba pasciare, essercitandosi in ogni opera, e risponda alla confusione del demonio: «Se la divina grazia non fusse in me, io non avarei buona volontà, ma seguitarei le malizie tue e le mie perverse cogitazioni; ma io mi confido "in domino nostro Iesu Christo", lo quale mi conservarà infine all'ultimo de la vita mia». Voglio che apriate l'occhio de la ragione, fratelli miei, ché nel cognoscimento di noi medesimi l'anima s'umilia - lo quale riceve per le molte tenebre e molestie de i demoni -, e cresce in sollecitudine e in amore di Dio, poiché vede che senza lui non si può difendare, e trova in sé Dio per santa e buona volontà.

Così abbiamo veduto in che modo troviamo Dio nel tempo de le tenebre, e come ne le cose amare l'anima trova dolcezza solo per l'affettuoso e consumato amore, lo quale l'anima concepe e trova continuamente nel baptesmo e del sangue e del fuoco de lo Spirito santo, lo quale è a noi principio, regola, mezzo e fine nostro; nel quale fine l'anima non è più viandante né (He 11,13 1P 2,11) pellegrina in questa vita, ma è fermata e stabilita ne la visione eterna di Dio, ove riceve lo frutto d'ogni sua fatica. Perciò corriamo, diletti figli miei, non schifando né fuggendo nessuna fatica, seguitando lo capo nostro Cristo Gesù.

Altro non dico. Volate con l'ale de la profonda umilità e ardentissima carità.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.





190. A Francesco e a monna Agnesa predetti.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi alluminati di vero lume, a ciò che perseveriate ne la virtù infine a la morte.

Senza lo lume, carissimi, andareste in tenebre e non cognosciareste la verità; e le cose dolci ci parrebbero amare, e le amare dolci. Ma avendo lo lume saremo cauti, e fuggiremo tutte quelle cose che avessero a diminuire in noi la virtù e l'amore che doviamo avere, schietto, al nostro Creatore. Con questo lume vedremo quanto è pericolosa cosa la conversazione di quelli che vivono senza lo timore di Dio, poiché ella è il fondamento de la nostra ruina. Ella ci fa ingrossare la conscienzia, tolleci la madre dell'orazione, leva via l'astinenzia, intepidisce il fervore, dilata l'affetto nei diletti vani del mondo, furaci l'umilità santa, tolleci l'onestà, apre i sentimenti del corpo e acieca l'occhio dell'intelletto nostro, in tanto che mai non pare che l'anima abbi cominciato a conoscere lo suo Creatore; e così a poco a poco non s'avede la creatura, e trovasi, d'uno angelo terrestro, diventato demonio d'inferno.

E dove è la purezza che tu solevi avere? Ove è lo desiderio di patire per Dio? Dove sono le lacrime che tu solevi spandere nel conspetto di Dio con umile continua e fedele orazione? Dove è la carità fraterna che tu avevi a ogni creatura ragionevole? Nulla ce n'è rimasto, poiché il demonio mi possiede rubato tutto col mezzo dei servi suoi. Non voglio, figli carissimi e dolcissimi, che questo adivenga a noi; ma la nostra conversazione sia sempre con quelli che temono e amano Dio in verità.

Questi sono cagione di riscaldare la freddezza del cuore nostro, dissolvono la durezza con dolci ragionamenti di Dio, ragionando de la grande bontà e carità sua verso di noi. L'uno è cagione di dare lume all'altro, ricercando la dottrina di Cristo Crocifisso e la vita dei santi. Ordinansi tutti i sentimenti del corpo con una modestia santa; abraccia l'umilità, e la viltà sua sorella, sprezzando sé medesimo. E così, brevemente, ogni bene segue de la conversazione dei servi di Dio; sì come ogni male ci dà quella dei servi del mondo. Unde dice lo Spirito santo per la bocca del profeta: «Tu sarai santo coi santi, innocente con gl'innocenti, eletto con gli eletti - e perverso coi perversi».

Voglio Perciò che a questo abbiate una grande avertenzia di sempre conversare coi servi di Dio e serve; e gli altri e altre fuggire come fuoco. E non vi fidate mai di voi, dicendo: «No, io sono forte e non temo che questi mi faccia cadere». Non così, per l'amore di Dio! ma con vera umilità cognosciamo che, se Dio non ci tiene egli, noi saremmo demoni incarnati: noi n'aviamo l'essemplo inanzi sì-fatto, che sempre doviamo stare in tremore. Sono certa, se avrete vero lume, che voi in questo e in ogni altra cosa compirete la volontà di Dio, e il desiderio mio; altrimenti, no. E però vi dissi che io desideravo di vedervi alluminati d'esso lume. Per fretta non dico più ora.

Racomandateci a Bartalo e a monna Orsa strettamente, e benedite Bastiano. Quando vedete More, confortatelo molto, e ditegli che ci scriva come egli sta. Lisa, Alessa e tutti gli altri vi confortano in Cristo.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Poi che io ebbi scritta questa lettera, ricevetti le vostre due, a le quali non bisogna fare altra risposta.

Confortatevi in Cristo Gesù.





191. A Tommaso da Alviano.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Gesù Cristo, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servo fedele alla santa Chiesa, sì come colonna e difenditore di questa dolce Sposa di Cristo; poiché chi sarà trovato fedele nel punto della morte sua non vederà pena eterna.

Ogni fedele cristiano è tenuto d'essere fedele e di servire alla santa Chiesa, e ciascuno secondo lo stato suo: Dio mette i suoi lavoratori in questo glorioso giardino, e noi siamo quelli lavoratori i quali doviamo servire in tre modi. L'uno modo tocca generalmente a tutti i fedeli cristiani, i quali debbono lavorare con umili e sante orazioni e con veraobbedienza, cioè d'essere obedienti e reverenti alla santa Chiesa, la quale è lo giardino dei cristiani, dove essi si dilettano e traggono la vita della grazia (quando essi non sono spregiatori del sangue, che lo spregino col peccato mortale e con la inreverenzia e disobbedienza alla santa Chiesa; ma stiamo come lavoratori, come detto è).

Lo secondo modo è di coloro che sono posti a lavorare in questo giardino per amministri, i quali hanno da amministrare i sacramenti della santa Chiesa, a pascerci e notricarci spiritualmente. I quali ci debbono notricare di dottrina e d'essemplo; e se l'essemplo loro non fusse specchio di virtù, non è però di meno la vita che noi traiamo da questi sacramenti, colà dove noi gli riceviamo degnamente. E non debba essere di meno - per alcuno defetto o malo essemplo dei pastori - la reverenzia che noi doviamo avere verso di loro, poiché la virtù del sacramento non riceve lesione per alcuno difetto loro. E però noi gli doviamo avere in reverenzia per la vertù del sacramento, e perché essi sono i suoi onti, e chiamali per la Scrittura i suoi cristi; e non vuole che essi sieno toccati, o buoni o gattivi che sieno, per mano dei seculari; e però è molto spiacevole e abominevole nel conspetto di Dio questo peccato. E gli iniqui uomini, come membri del demonio, se ne vogliono fare giudici in punire i loro defetti, e come ciechi perseguitano la santa madre Ecclesia.

E per questa malvagia e iniqua persecuzione ha proveduto Dio del terzo modo, cioè dei terzi che lavorino in questo giardino; e questi sono coloro i quali la sovengono temporalmente, servendola fedelmente dell'avere e della persona, tra i quali mi pare che Dio abbi eletto voi, perché voi le siate servo fedele ora nil grande bisogno suo. Questo servizio è tanto piacevole a Dio che la lingua nostra non sarebbe sufficiente a narrarlo, e spezialmente quando l'uomo serve non tanto per diletto o per propria utilità, quanto per zelo della santa Chiesa, cioè per lo suo acrescimento ed essaltazione. E tanto è piacevole a Dio che, eziandio se molti fussero che non avessero quella dritta e santa intenzione la quale debbono avere, anco ne saranno però remunerati d'ogni servizio che sarà fatto a questa dolce sposa; e Dio sarà per coloro che per lei s'affaticaranno, e se Dio è per loro, neuno sarà contro a loro.

E però io v'invito, carissimo fratello, ad affaticarvi virilmente, voi e gli altri che sono a vostra compagnia, affaticandovi con santa e buona intenzione per la dolce Sposa di Cristo: questa è la più dolce fatica e di più utilità che alcuna altra fatica del mondo; questa è una fatica che perdendo vincete, cioè che, perdendo la vita corporale, avete vita eterna, poiché nel sangue sparto per la santa Chiesa, si lavano tutti i difetti e le iniquità che aveste commesse; e se vince, ha già fatta l'offerta dinanzi a Dio della vita sua, perché si misse alla morte; e se egli acquista della sustanzia temporale, è sua licitamente. E chi dunque non volesse, fratello carissimo, disponersi a ogni pena e tormento per essere servo e fedele di questa dolce sposa? Non vi si mettarà colui che è acecato e spregiatore del sangue di Cristo, che la perseguita, e a uno tratto uccide l'anima e il corpo, e consuma i beni temporali.

O quanta grazia v'ha fatta Dio, a voi e agli altri che la servono, che ve n'ha fatto aitatore e non perseguitatore! Unde io vi dico che se voi deste lo corpo vostro ad ardere, non potreste satisfare a tanta grazia. E però vi prego che voi gli rispondiate con amore ineffabile; ed essere specchio di virtù nello stato vostro, a ciò che voi facciate con santa e buona intenzione; e siate colonna ferma e servo fedele, e il gonfalone della santissima croce non si parta mai dal cuore e dalla mente vostra. Non essendo virtuoso, né purificando la conscienzia con la santa confessione, non sareste servo fedele né a Dio né alla Chiesa sua, né buono lavoratore in questo giardino. E però vi dissi che io desideravo di vedervi servo fedele alla santa Chiesa. Pregovene e strengovene, voi e gli altri, da parte di Cristo Crocifisso, che così facciate; e sempre condite la virtù della giustizia con la misericordia, poiché altrimenti non sarebbe virtù.

Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, e con santa intenzione e buona sollicitudine fate quello che avete a fare; e io levarò le mani e la mente al cielo, e orarò continuamente per voi e per gli altri, pregandolo che vi guardi da ogni male e che ci dia grazia che si facci una dolce pace; e dopo la pace andiamo tutti di bella brigata sopra gl'infedeli: quello mi darà grandissima allegrezza; e questo mi dà grandissima pena, di vedere che noi siamo condotti a tanto, che l'uno cristiano combatte con l'altro, e i figli ribellano al padre, perseguitando lo sangue di Cristo Crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





192. A Neri di Landoccio da Siena, in casa Tomasino a santo Alo in Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti sempre crescere di virtù in virtù, fino che io ti vegga tornare al mare pacifico dove tu non avrai dubitazione d'essere mai separato da Dio; poiché la puzza della legge perversa che combatte contro allo spirito sarà rimasta alla terra, e avràle renduto lo debito suo.

Voglio, dolcissimo figlio, che mentre che vivi in questa vita, tu t'ingegni di vivere morto ad ogni propria voluntà, e con essa morte acquisterai le virtù. Per questo modo vivendo darai a terra la legge della perversa voluntà; e così non dubiterai che Dio permetta in te quello che permise a quell'altro, né avrai pena perché per spazio di tempo l'umanità tua sia separata da me e dall'altra congregazione. Confortati e stieti a mente quello che disse la Verità, che delle sue mani non ne sarebbe tolto veruno; dico delle sue mani, perché ogni cosa è suo, e io so che tu m'intendi sanza molte parole.

Rispondoti alla lettera che mi mandasti. Sappi che io ho ricevuti xxiiij carlini sì come tu mi scrivi; Dio retribuisca i benefattori a vita eterna, ché sicuramente lo Spirito santo fece provedere alla neccessità. p inteso quello che mi scrivi del morto: credi che alcuno frutto vi si farebbe; unde parrebbe a me che di quelli che vi sono, cioè l'abbate Lysolo principalmente, con gli altri insieme, se veruno modo possono vedere che frutto vi si faccia, e egli si possa venire, ne scrivessino lo loro parere al nostro babbo e al suo fratello, lo quale è con lui - e paia che per loro medesimi si muovano - significando quello che credeno che vi si facesse. Dell'andare a Siena ti rispondo che tu guardi due cose: l'una se costì si fa veruna utilità, e se tu vedi, che si scriva come detto egl'è di sopra; l'altra si è se tu non credessi fare utilità al padre tuo, che non ne vada, né ti parta di costì, e se le cose sopradette (.) sappi se tu puoi farlo per mezo d'uno procuratore e fallo sollicitamente; e in quanto queste cose non apparischino va' tu con consentimento e licenzia de l'abbate Lysolo, e poi che tu hai spacciato a Siena, e tu te ne vieni subito lo più che tu puoi qua; e come tu sei ine, fa' che tu mi scriva. Ho scritte altre lettere le quali non pare che tu abbi avute, e rispostoti ad ogni bisogno, e anco scrissi a Tomasino una grande lettera toccando sopra quello che m'informasti, e scrissi a Franceschello una buona lettera: Dio le facci arrivare come è suo onore. Non mi rammenta che io abbi a scriverti o vero a risponderti di nessuna cosa neccessaria, e però, se bisogna, riscrivi ché forse non ho avuta la lettera per la quale di' che mi scrivesti cose da risponderti.

Conforta l'arcivescovo, l'abbate, Tommasino, Franceschello e la donna di missere Ceccolo in Cristo dolce Gesù e ringrazia loro e gli altri benefattori. La nonna ti conforta, e tutta l'altra famiglia, e il cieco ti si raccomanda. Di frate Raimondo abiano buone novelle: che egli sta bene e lavora molto forte per la santa Chiesa; egli è vicario della provincia di Genova e tosto sarà fatto maestro in teologia. Da Siena ho avuto novelle che egli hanno avuto licenzia di murare Belcaro, e però se vedessi di costà potere avere alcuno aiuto per lo lavorio, sì lo fa. Abiamo tolta una casa presso a Santo Biagio tra Campo di Fiore e Santo Eustachio e crediamvi tornare innanzi Pasqua per la grazia di Dio.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta a dì IV di dicembre 1379.





193. A missere Lorenzo dal Pino da Bologna dottore in Decretali.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi amatore e seguitatore della verità, e spregiatore della bugia.

Ma questa verità non si può avere né amare se ella non si conosce. Chi è Verità? Dio è somma ed eterna Verità. In cui la cognosciaremo? In Cristo dolce Gesù, poiché col sangue suo ci ha manifestata la verità del Padre eterno. La verità sua è questa, verso di noi: che egli ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per darci vita eterna, e participassimo e godessimo del bene suo. Ma per la colpa dell’uomo questa verità non s'adempiva in lui, e però Dio ci donò lo Verbo del suo Figlio, e imposeli questaobbedienza: che egli dovesse restituire l'uomo a grazia con molto sostenere, purgando la colpa dell’uomo sopra di sé; e nel sangue suo manifestasse la sua verità. Unde, per l'amore ineffabile lo quale l'uomo trova mostrare a sé da Dio, con questo mezzo del sangue di Cristo conosce che Dio non cerca né vuole altro che la nostra santificazione, e per questo fine fummo creati: e ciò che Dio dà e permette a noi in questa vita, dà perché siamo santificati in lui.

Questa verità, chi la conosce, non se ne scorda, ma sempre la segue e ama, tenendo per le vestigie di Cristo Crocifisso. E sì come questo dolce e amoroso Verbo, a nostro essemplo e dottrina, spregiò lo mondo e tutte le sue delizie, e volse sostenere fame e sete, obbrobrii e rimproverii infine alla obbrobriosa morte della croce, per onore del Padre e per salute nostra, così queste vestigie e vie segue colui che è amatore della verità, la quale cognobbe col lume della santissima fede, poiché senza questo lume non si potrebbe conoscere, ma, avendolo, la conosce; e conoscendola l'ama, e diventa amatore di ciò che Dio ama, e odia ciò che Dio odia.

Questa differenza è tra colui che ama la verità, e colui che l'odia. Colui che odia la verità è quelli che giace nelle tenebre del peccato mortale. Questi odia quello che Dio ama, e ama quello che Dio odia. Dio odia lo peccato e il disordenato diletto e piacere del mondo; ed egli l'ama, notricandosi nella miseria del mondo, e in ogni stato si corrompe. Se egli ha offizio per mezzo del quale egli abbi da amministrare alcuna cosa al prossimo suo, egli nol serve se non quanto se ne vede trare utilità, e più no: e fatto è amatore di sé medesimo. Cristo benedetto dié la vita per noi, ed egli non vuole dare una parola in servizio del prossimo che non si vegga pagato e soprapagato. E se egli è povarello che non possa pagare, egli lo fa stentare prima che gli dica la verità, e spesse volte non glil dice, ma fassi beffe di lui; e dove egli debba essere pietoso e padre dei povari, ed egli è fatto crudele all'anima sua, perché offende i povarelli. Ma lo misero uomo non vede che lo sommo giudice non gli rendarà altro che quello che riceve da lui, poiché giustamente ogni peccato è punito, e ogni bene remunerato. Cristo abracciò la povertà voluntaria, e fu amatore della continenzia; e il misero uomo lo quale è fatto seguitatore e amatore della bugia, fa tutto lo contrario, poiché non tanto che egli stia contento a quello che egli ha, o che egli lo refiuti per amore della virtù, ma egli invola l'altrui. E non che egli stia contento allo stato del matrimonio nel quale, se l'osserva come die, può stare con buona conscienzia; ma egli come disordenato e animale bruto s'involle in ogni miseria, e, come lo porco s'involle nel loto, così fa egli nel loto della immondizia.

Ma noi potremmo dire: « Che farò io, che ho le ricchezze e sono nello stato del matrimonio, se queste cose sono dannazione dell'anima mia?». O carissimo fratello, in ogni stato che l'uomo è, può salvare l'anima sua e ricevere in sé la vita della grazia - ma non mentre che egli sta in colpa di peccato mortale -, poiché ogni stato è piacevole a Dio, e non è acettatore delli stati, ma del santo desiderio. Unde noi le possiamo tenere quando si tengono con ordenata voluntà, poiché ciò che Dio ha fatto, è buono e perfetto, eccetto lo peccato, che non è fatto da lui, e però non è degno d'amore. Le ricchezze e lo stato del mondo, se l'uomo le vuole tenere, egli può, e non offende Dio né l'anima sua: ma se egli le lassasse, sarebbe maggiore perfezione, poiché maggiore perfezione è a lasciare che a tenere. Ma se egli non vuole lasciare attualmente, debba lasciare e refiutarle col santo e vero desiderio, e non ponere in loro lo suo principale affetto, ma solo in Dio; e tenerle per uso ai suoi bisogni e della sua famiglia, e come cosa prestata, e non come cosa sua. Facendo così, non riceve mai pena d'alcuna cosa creata, poiché la cosa che non si possede con amore, non si perde mai con dolore.

Unde vediamo che i servi del mondo, amatori della bugia, portano nella vita loro grandissime pene, e infine all'ultimo cruciati tormenti. Chi n'è cagione? lo disordenato amore che ha a sé e alle cose create, amandole fuore di Dio, poiché la divina bontà ha permesso che ogni disordenato affetto sia incomportabile a sé medesimo. Questo cotale sempre crede la bugia, poiché in lui non è cognoscimento di verità, e credesi tenere lo mondo e stare in delizie, farsi Dio del corpo suo, e dell'altre cose che egli ama disordenatamente, ed egli glil conviene lasciare. Unde noi vediamo che o egli le lassa morendo, o Dio permette che elle ci sieno levate dinanzi, e tutto dì lo vediamo: poiché testé è l'uomo ricco, e testé povero; oggi è salito nello stato del mondo, e domane è sceso; ora sano, e ora infermo: e così ogni cosa è mutabile; e sonci levate dinanzi quando ce le crediamo bene strignere, o noi siamo tolti a loro col mezzo della morte, sì che vedete che ogni cosa passa.

Unde, vedendo che elle passano, si debbono possedere con modo e con lume di ragione, amandole con quello modo che si debbono amare; e così tenendole, non le terrà con tenimento di colpa, ma con grazia, e con larghezza di cuore e non con avarizia, con pietà dei poveri e non con crudeltà, con umilità e non con superbia, con gratitudine e non con ingratitudine; e riconosceralle dal suo Creatore, e non da sé. E con questo medesimo amore ordenato amarà i figli, gli amici i parenti, e ogni altra creatura che ha in sé ragione. E terrà lo stato del matrimonio non disordenato, ma ordenato sì come sacramento, e averà in reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa; starà e vivarà come uomo, e non come animale: e non essendo continente, sarà continente perché sarà continente e ordinata la voluntà sua. Questi sarà uno albero fruttifero che produciarà i frutti delle virtù; e sarà odorifero, poiché stando nella puzza, getterà odore; e il seme che uscirà di lui, sarà buono e virtuoso. Sì che vedete che in ogni stato voi potete avere Dio, poiché lo stato non è quello che cel tolle, ma solo la mala voluntà, la quale voluntà, essendo posta in amare la bugia, è disordenata; e con essa voluntà corrompe ogni sua opera. Ma se egli ama la verità, segue le vestigie della verità, unde odia quello che odia la verità, e ama quello che ama la verità; e allora è buona e perfetta ogni sua opera. In altro modo non gli sarebbe possibile di participare la vita della grazia; né alcuna sua opera farebbe frutto di vita. Unde, non conoscendo io altra via, dissi che io desideravo di vedervi amatore e seguitatore della verità e spregiatore della bugia: cioè che odiate lo demonio padre delle bugie, e la propria sensualità, che segue così-fatto padre; e amiate Cristo Crocifisso, che è via, verità e vita, poiché, chi va per lui, giogne alla luce, e vestesi del lucido vestimento della carità, dove sono fondate tutte le virtù.

La quale carità e amore ineffabile, quando è nell'anima, non si chiama contenta allo stato comune, ma desidera d'andare più inanzi, unde da la povertà mentale desidera d'andare a l'attuale, e da la mentale continenzia vuole andare all'attuale, per osservare i comandamenti e i consigli di Cristo, cominciandoli a venire a tedio lo fracidume del mondo. E perché molto gli pare malagevole stare nel loto e non imbrattarsi, desidera con ansietato desiderio e affocata carità di sciogliarsi a uno tratto dal mondo, in quanto gli fusse possibile; e non essendoli possibile di levarsi attualmente, si studia d'essere perfetto nello stato suo: almeno lo desiderio non gli manca. Perciò, carissimo fratello, non dormiamo più, ma destianci dal sonno. Aprite l'occhio dell'intelletto col lume della fede a conoscere e ad amare e a seguire questa verità la quale cognosciarete nel sangue de l'umile e amoroso Verbo. Lo sangue trovarete nel cognoscimento di voi, poiché la faccia dell'anima si lava col sangue: lo sangue è nostro, e neuno cel può togliere, se noi non vogliamo. Non siate dunque negligente, ma, come vasello, empitevi del sangue di Cristo Crocifisso. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 16:19

194. A monna Tora figlia di missere Piero Gambacorti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti spogliato lo cuore e l'affetto tuo del mondo e di te medesima, poiché in altro modo non ti potresti vestire di Cristo Crocifisso, perché il mondo nessuna conformità ha con Dio.

L'affetto disordenato del mondo ama la superbia, e Dio l'umilità; egli cerca onori stato e grandezza, e Cristo benedetto le dispregiò, abraciando le vergogne scherni e villanie, fame sete freddo e caldo, infine all'obbrobiosa morte de la croce; e con essa morte rendé onore al Padre, e noi fummo restituiti a grazia.

Questo affetto disordenato cerca di piacere a le creature, non curando di dispiacere al Creatore; e egli non cercò mai se non di compire l'obedienzia del Padre eterno per la nostra salute. Egli abracciò e vestissi de la povertà voluntaria; e il mondo cerca le grandi ricchezze.

Bene è dunque differente l'uno da l'altro, e però di necessità è che se lo cuore è spogliato del mondo, sia pieno di Dio; e se egli è spogliato di Dio, sia vestito e pieno del mondo. Così disse lo nostro salvatore: «Neuno può servire a due signori; ché, se serve all'uno, è in contempto all'altro». Doviamo dunque con grande sollicitudine levare lo cuore e l'affetto da questo tiranno del mondo, e ponerlo tutto libero e schietto in Dio, e senza veruno mezzo; non doppio, né amare fittivamente: poiché egli è il dolce Dio nostro che tiene l'occhio suo sopra di noi, e vede l'occulto secreto del cuore nostro. Troppo è grande simplicità e mattezza la nostra, che, vedendo noi che Dio ci vede, e è giusto giudice che ogni colpa punisce e ogni bene remunera, e noi stiamo come acecati e senza veruno timore, aspettando quello tempo che noi non aviamo né siamo sicuri d'avere. Sempre ci andiamo attaccando, e se Dio ci taglia uno ramo e noi ne pigliamo un altro; e più ci curiamo di perdere queste cose transitorie, e de le creature, che noi non ci curiamo di perdere Dio.

Tutto questo ci adiviene per lo disordenato amore che noi ci aviamo posto, tenendole e possedendole fuore de la volontà di Dio; unde in questa vita ne gustiamo la caparra dell'inferno, poiché Dio ha permesso giustamente che chi disordenatamente ama sia incomportabile a sé medesimo. E sempre ha guerra nell'anima e nel corpo: pena porta di quello che possiede - per timore che egli ha di non perdarlo -; e per conservarlo, che non gli venga meno, s'affatica lo dì e la notte; pena porta anco di quello che non ha, perché l'appetisce d'avere.

E così mai l'anima non si quieta in queste cose del mondo, perciò che sono tutte meno di sé: elle sono fatte per noi, e non noi per loro; e noi siamo fatti per Dio, affinché gustiamo lo suo sommo e eterno bene.

Solo Perciò Dio la può saziare; in lui si pacifica e in lui si riposa, poiché ella non può volere né desiderare veruna cosa che ella non truovi in Dio. Egli sa, può e vuole dare a noi più che noi non sappiamo desiderare per la nostra salute, e noi lo proviamo: poiché, non tanto che egli ci dia adimandando, ma egli ci dié prima che noi fussimo, ché, non pregandonelo mai, ci creò all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e recreocci a grazia nel sangue del suo Figlio.

Sì che l'anima si pacifica in lui, e non in altro - poiché egli è colui che è somma ricchezza, somma sapienza, somma bontà e somma bellezza, in tanto che nullo può estimare la sua bontà, grandezza e diletto, se non esso medesimo -, sì che egli può sa e vuole saziare e compire i santi desiderii di chi si vuole spogliare del mondo, e vestire di lui. Perciò io voglio che a questo poniamo ogni nostro studio: di spogliare lo cuore e l'affetto nostro di tutte le cose terrene e de le creature, amando ognuno in Dio e per Dio; e fuore di lui nulla. A questo t'invito, dolcissima figlia: a ponere e fermare lo cuore e la mente tua in Cristo Crocifisso; lui cercare e di lui pensare, dilettandoti di stare sempre dinanzi a Dio con umile e continua orazione.

La quale orazione io ti do per principale tuo essercizio, che quanto t'è possibile vi spenda entro il tempo tuo; poiché ella è quella madre che ne la carità di Dio concepe le vere virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce; in essa orazione impara l'anima a spogliarsi di sé e vestirsi di Cristo. In essa gustarai l'odore de la continenzia; in essa acquistarai una fortezza che non curerai battaglie di demonia, non rebellione de la fragile carne, né detto di creatura che ti volesse rimuovere dal santo proposito; contro tutte starai forte constante e perseverante infine a la morte. In essa orazione t'inamorrai de le pene per conformarti con Cristo Crocifisso; in essa riceverai uno lume sopranaturale, col quale caminerai per la via de la verità.

Molte cose t'avrei a dire sopra questa madre dell'orazione; ma la brevità del tempo nol patisce. Studiati pur in essa, e sempre t'ingegna di conoscere te e i difetti tuoi, e la grande bontà di Dio in te, e l'affetto de la carità sua, e gl'infiniti beneficii suoi. Altro non ti dico. Racomandaci a missere Piero, e a tutta la famiglia. La nonna ti benedice molto. Lisa, Alessa e l'altre tutte ti confortano in Cristo.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.





195. A Stefano di Currado Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti facciorte e perseverante nella bataglia, affinché ricevi la corona della gloria (1P 5,4). E tu sai bene che solo ai perseveranti è data la corona e il frutto delle sue fatiche.

Ma tu mi dirai: «In che modo posso avere questa fortezza, con-ciò-sia-cosa-ch'io sia tanto debole e fragile che ogni piciola cosa mi fa dare a terra?» Io ti rispondo e confessoti che tu sei debole e fragile sicondo la sensualità, ma sicondo la ragione e la fortezza dello Spirito non è così, poiché nel sangue di Cristo siamo fortificati: solo, la debolezza sta nella sensualità. Possiamo dunque vedere per che modo s'acquista questa fortezza, poi che ogni debolezza è nella parte sensitiva.

Dico che per questo modo acquistaremo questa gloriosa virtù della fortezza e longa perseveranza: che, poi che la ragione è fortificata nel sangue di Cristo, ci dobiamo anegare in questo dolce e glorioso prezzo, vedendolo con l'occhio de lo intelletto e il lume della santissima fede nel vasello de l'anima nostra; conoscendo l'esser nostro da Dio e la ricreazione che Dio ci fece a grazia nel sangue de l'unigenito suo Figlio, dove ci fu tolta la debolezza. O figlio carissimo, riguarda e gode, ché tu sei fatto vasello che tiene lo sangue di Cristo, se tu lo vorrai gustare per affetto d'amore.

O sangue pietoso, ché per te si distilò la pietosa misericordia: tu sei quello glorioso sangue dove lo ignorante uomo può conosciare e vedere la verità del Padre eterno, con la quale verità e amore inefabile fumo creati ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26). (La sua verità fu questa: perché participassimo e godessimo di quello sommo bene suo, lo quale egli gusta in sé. Nel sangue ci hai manifestata questa verità, e per altro fine non creasti l'omo).

O sangue, tu disolvesti le tenebre, e desti la luce a l'uomo affinché conoscesse la verità e la santa volontà del Padre eterno. Tu hai impita l'anima di grazia, ond'ella ha tratto la vita ed è privata della morte eternale.

Tu ingrassi l'anima del cibo de l'onore di Dio e salute delle anime, tu la satolli d'obrobii - desiderandoli e portandoli per amore di Cristo crocifisso -. Tu ardi e consumi l'anima nel fuoco de la divina carità, cioè che consumi ciò che trovassi nell'anima fuori della volontà di Dio, ma tu non l'affligi né disecchi per colpa di peccato mortale. O sangue dolce, tu la spogli del propio amore sensitivo - lo quale amore indebilisce l'anima che se ne veste -, e ha'la vestita del fuoco della divina carità, perché non può gustare te, sangue, che tu non la vesta di fuoco - perché tu fusti sparto per fuoco d'amore - acostandoti ne l'anima. Perché amore non è senza fortezza, né fortezza senza perseveranza: e però la fortifichi e conforti in ogni aversità.

Perciò vedi, dolcissimo figlio, che questo è il modo a venire a perfetta fortezza: che tu ti unisca nel fuoco della divina carità, la quale trovara' nel sangue; e nel sangue affoga e uccide ogni propia volontà.

Allora, essendo acostato con somma fortezza, sarai forte e perseverante, uccidarai la debolezza della propia sensualità, e nella amaritudine gustarai la dolcezza, e nella guerra la pace. Confortati, figlio, e non venire meno sotto la disciplina che Dio t'ha posta, tanto che sia venuta l'ora tua. Pensa che sempre a cavare lo fondamento si dura magior fatica: fatto lo fondamento, agevolmente si fa lo 'difizio. Tu fai lo principio tuo; poi, compitolo di fare, agevolmente farai ogn'altra cosa. Non voglio che ti paia duro, ma la durezza si disolva coi la memoria del sangue. Porta porta, sia fatto portatore.

Ma tanto ti dico, che etc. Di questo ne fa però ciò che lo Spirito santo te ne fa fare. Ma a pena mi tengo ch'io non dica quella parola che disse Cristo, etc. Spero che al luogo e tempo suo si farà; e tu briga di fornire la navicella dell'anima tua, e d'impire lo vasello del cuore di sangue. Altro non dico.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.







196. Al nostro signore lo papa Gregorio XI


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre mio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna e miserabile vostra figlia, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pastore buono, considerando me, babbo mio dolce, che lo lupo infernale ne porta le pecorelle vostre e non si trova chi le remedisca.

Ricorro dunque a voi, padre e pastore nostro, pregandovi da parte di Cristo Crocifisso che voi impariate da lui, lo quale con tanto fuoco d'amore si dié alla obbrobiosa morte della santissima croce per trare la pecorella smarrita de l'umana generazione delle mani delle demonia, poiché, per la rebellione che l'uomo fece a Dio, la possedeva per sua possessione. Viene dunque la infinita bontà di Dio e vede lo male, la dannazione e la ruina di questa pecorella, e vede che con ira e con guerra non ne la può trare. Unde, non obstante che sia ingiuriato da essa - poiché per la rebellione che l' uomo fece disobbediendo a Dio meritava pena infinita - la somma e eterna sapienza non vuole fare così, ma trova uno modo piacevole - lo più dolce e amoroso che trovare possa - poiché vede che in neuno modo si trae tanto lo cuore dell’uomo quanto per amore, poiché egli è fatto d'amore; e questa pare che sia la cagione che tanto ama, perché non è fatto altro che d'amore, secondo l'anima e secondo lo corpo: poiché per amore Dio lo creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e per amore lo padre e la madre gli dié della sua sustanzia, concependo e generando lo figlio. E però Dio, vedendo che egli è tanto atto ad amare, drittamente egli gitta ell'amo dell'amore, donandoci lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, prendendo la nostra umanità per fare una grande pace.

Ma la giustizia vuole che si faccia vendetta della ingiuria che è stata fatta a Dio. Viene la divina misericordia e ineffabile carità e, per satisfare alla giustizia e alla misericordia, condanna lo Figlio suo alla morte, avendolo vestito della nostra umanità, cioè della massa di Adam che offese: sì che per la morte sua è placata l'ira del Padre, avendo fatta giustizia sopra la persona del Figlio; e così ha satisfatto alla giustizia, e ha satisfatto alla misericordia, traendo delle mani delle demonia l'umana generazione. È giocato questo Verbo alle braccia in su lo legno della santissima croce - facendo uno torniello la morte con la vita e la vita con la morte -, sì che per la morte sua distrusse la morte nostra, e per darci la vita consumò la vita del corpo suo. Sì che con l'amore ci ha tratti e con la sua benignità ha vinta la nostra malizia, in tanto che ogni cuore doverebbe essere tratto, poiché maggiore amore non poteva mostrare, e così disse egli, che dare la vita per l'amico suo. E se egli commenda l'amore che dà la vita per l'amico, che dunque diremo dell'ardentissimo e consumato amore che dié la vita per lo nemico suo? poiché per lo peccato eravamo fatti nemici di Dio. O dolce e amoroso Verbo, con l'amore hai ritrovata la pecorella, e con la morte l’hai data la vita, e ha'la rimessa ne l'ovile, cioè rendendole la grazia la quale aveva perduta.

O santissimo babbo mio dolce, io non ci vedo altro modo né altro remedio a riavere le vostre pecorelle, le quali come ribelle si sono partite da l'ovile della santa Chiesa, non obedienti né subiecte a voi, padre.

Unde io vi prego, da parte di Cristo Crocifisso, e voglio che mi facciate questa misericordia, cioè che con la vostra benignità vinciate la loro malizia. Vostri siamo, padre, e io cognosco e so che a tutti in comune lo' pare avere male fatto. E poniamo che scusa non abbi nel male adoperare, non di meno - per le molte pene e cose ingiuste e inique che sostenevano per cagione dei mali pastori e governatori - lo' pareva non potere fare altro, poiché, sentendo lo puzzo della vita dei mali rettori - i quali sapete che sono dimoni incarnati -, vennero in tanto pessimo timore che fecero come Pilato, lo quale, per non perdere la signoria, uccise Cristo: e così fecero essi, che, per non perdere lo stato, v'hanno perseguitato.

Misericordia, dunque, padre, v'adimando per loro; e non raguardate all'ignoranza e superbia dei vostri figli, ma con l'esca dell' amore e della vostra benignità, dando quella dolce disciplina e benigna reprensione che piaciarà alla santità vostra, rendete pace a noi miseri figli, che aviamo offeso. Io vi dico, dolce Cristo in terra, da parte di Cristo in cielo, che facendo così, senza briga e tempesta, essi verranno tutti con dolore dell'offesa fatta e mettarannovi lo capo in grembo. Allora godarete e noi godaremo, perché con l'amore avarete rimessa la pecorella smarrita nell'ovile della santa Chiesa.

E allora, babbo mio dolce, adempirete lo vostro santo desiderio e la volontà di Dio, cioè di fare lo santo passaggio, al quale io vi invito, per parte sua, a tosto farlo e senza negligenzia; e essi si disporranno con grande affetto, e disposti sono a dare la vita per Cristo. Oimé, - Dio amore dolce! - rizzate, babbo, tosto lo gonfalone della santissima croce, e vedarete i lupi diventare agnelli. Pace pace pace! a ciò che non v'abbi la guerra a prolungare questo dolce tempo. Ma se volete fare vendetta e giustizia, pigliatela sopra di me, misera miserabile, e datemi a ogni pena e tormento che piace a voi, infine alla morte. Credo che per la puzza de le mie iniquità sieno venuti molti defetti e grandi inconvenienti e discordie. Dunque sopra me, misera vostra figlia, prendete ogni vendetta che volete.

Oimé, padre, io muoio di dolore e non posso morire. Venite venite, e non fate più resistenza a la volontà di Dio che vi chiama; e l'affamate pecorelle v'aspettano che veniate a tenere e possedere lo luogo del vostro antecessore e campione appostolo Pietro: voi, come vicario di Cristo, dovete riposarvi nel luogo vostro proprio. Venite dunque, venite e non più indugiate, e confortatevi e non temete d'alcuna cosa che avenire potesse, poiché Dio sarà con voi. Dimandovi umilemente la vostra benedizione, e per me e per tutti i miei figli; e pregovi che perdoniate alla mia presunzione. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







197. A Matteo di Tommuccio da Orvieto.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pietra ferma e non foglia che si volla a ogni vento.

Poiché l'anima che non è fondata sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù - cioè che l'affetto i l desiderio suo sia fondato solamente in Dio, e non nelle cose transitorie del mondo, le quali passano tutte come lo vento -, viene meno, perché è privata della divina grazia. La quale grazia conserva l'anima - ricevene la vita -, e dàlle perfetto lume, privala delle tenebre, e fondala in vera e perfetta pazienza e in vero e santo timore di Dio, con perfetta umilità e carità fraterna col prossimo suo. E non si muove per impazienzia al vento delle tribulazioni; né con disordenato diletto si muove per lo vento de le consolazioni; né non enfia di superbia per lo vento de la ricchezza e del fumo de l'onore del mondo. E tutto questo gli adiviene, che non si muove, perché lo suo fondamento è Cristo Crocifisso.

Unde, perché soffino quelli tre venti perversi principali, dunde viene ogni altro vento, non gli cura. Ciò sono: - lo demonio: che della bocca sua esce un vento di molte e diverse cogitazioni e battaglie: quando battaglia di vanità - la quale fa lo cuore leggiero, e non maturo; e per essa vanità cresce l'appetire e desiderare gli stati del mondo -; e quando con colore di virtù. E questo è lo più malagevole vento a conoscere che sia: solo l'umile è quello che lo conosce, e non può essere ingannato da loro. Lo colore della virtù che lo demonio pone, è questa: che se egli trova l'anima ignorante e senza la virtù de l'umilità e vero cognoscimento di sé (poniamo che avesse cominciato a desiderare Dio e mostrare segno di virtù; perché è ancora imperfetto non ha tanto cognoscimento che gli basti di sé, unde si dà a vedere i fatti del prossimo suo temporalmente e spiritualmente, ne le cose temporali e spirituali), allora lo demonio soffia col vento del falso giudicio: giudicando lo prossimo suo, i servi di Dio e i servi del mondo, così, iniquamente: che non se n'avede.

Unde questo cotale vuole togliere la signoria del giudicio di mano a Dio, poiché solo egli gli ha a giudicare.

Perché non se n'avede? perché lo demonio l'ha amantellato, questo giudicio, col mantello della virtù, per che gli il pare fare per bene, ed è sì doppio questo parere che spesse volte ne li pare fare sacrifizio a Dio. Ma egli s'inganna per la superbia che è in lui, poiché, se egli fusse veramente umile e fondato in vero cognoscimento di sé, egli si vergognarebbe di vedersi cadere in sì-fatto giudicio, perché vederebbe che egli è volere ponere regola a Dio. Poiché allora vuole ponere regola a Dio, quando si scandalizza nei servi suoi, volendo mandare le creature a modo suo, e non secondo che Dio le chiama.

Colui che sarà fondato sopra la viva pietra Cristo, farà resistenza a questi movimenti e non consentirà, ma con vera umilità s'ingegnarà di godere e rendere gloria a Dio dei costumi e modi dei servi suoi, e d'avere compassione ai defettuosi, pregando la divina bontà che volla l'occhio della misericordia sopra di loro, traendoli del peccato e reducendoli alle virtù. E così trae della spina la rosa; e ha la mente sua schietta; e non va fantasticando, empiendosi la memoria di diverse fantasie di cose spirituali, che gli pare ricevere nella mente, e delle temporali, come fanno i matti e stolti e presuntuosi, che non hanno ancora veduto sé, e vogliono investigare i fatti altrui con spezie di bene; e lassansi percuotere a questo perverso vento che è tanto pericoloso. O maladetta bocca, come hai atoscato lo mondo con la puzza tua in quelli che sono nel secolo, e fuore del secolo, come detto è! E poi che ha giudicato col cuore, gitta la puzza della mormorazione, e rimane scandalizzata e vòta la mente in Dio e nel prossimo suo. Bene è dunque da fuggirlo con vera e santa sollicitudine.

- L'altro pericoloso e perverso vento si è lo mondo, lo quale col disordenato amore proprio di sé si diletta, e cerca i diletti e le consolazioni sue, ponendovi l'occhio dell'intelletto su, ricoprendo le tenebre e miseria e poca fermezza e stabilità del mondo con la bellezza, mostrandoli bello e piacevole. E così lo inganna, mostrando longa vita, ed ella è breve; parendoli che tutti i diletti e consolazioni e ricchezze del mondo sieno ferme e sue, ed elle sono mutabili, e songli date in presta, e per uso a sua necessità. Poiché necessario è che o elle sieno tolte a l'uomo, o l'uomo sia tolto a loro: allora sono tolte a noi, quando alcune volte le perdiamo, o che sieno imbolate da altrui, o per altri diversi accidenti che vengono, per li quali si consumano e vengono meno. Dico che allora siamo tolti a loro, quando la prima dolce Verità ci chiama, separando l'anima dal corpo: dove s'abandona lo corpo e il mondo con tutte le sue delizie; della quale separazione neuno è che né ricchezza né onore ne il possa campare che non l'abbi. L'anima debole e acecata, che non ha tratto la terra del mondo dell'occhio suo - anco se l'ha posto per obiettivo - si vòlle, come la foglia dell'arbolo, al vento del proprio amore disordenato di sé e del mondo.

Di questa maladetta bocca esce una invidia verso del prossimo suo, con una reputazione di sé, mormorando; e assai volte ne viene in odio e in rancore col prossimo; e de le cose altrui spesse volte fa sue, e per acquistarle usarà giuri e spergiuri e falso testimonio. E in tanto cresce, che desidera la morte del prossimo e quelli che egli debba amare come sé: ch'egli n'è fatto divoratore e della carne e della sustanzia sua. Egli è senza alcuna fermezza; e cosa che cominci di virtù, rade volte la traie a fine: costui è fondato sopra l'arena, che neuno edificio vi si può fare che tosto non caggia a terra. Costui è privato della vita della grazia, e ha perduto lo lume della ragione; va come animale, e non come creatura ragionevole.

Convienci dunque, ed è di necessità, d'essere fondati ne la pietra viva, nella quale coloro che v'hanno posto l'occhio dell'intelletto, e l'affetto per santo desiderio, non possono essere percossi; né si lassano percuotare da questo malvagio vento, anco fanno resistenza, e difendonsi col pentimento del mondo, vanità e diletti suoi; e abattono la superbia con la profonda umilità, desiderando povertà volontaria. E chi ha la ricchezza e lo stato, tienlo, ma nol possiede con disordenato amore fuore della volontà di Dio, ma con amore e santo timore lo tiene, e come dispensatore di Cristo, sovenendo ai povari, e notricando i servi di Dio, e avendoli in reverenzia; considerando che sempre offerano orazioni e affocati desiderii, sudori e lacrime dinanzi da Dio per salute d'ogni creatura. Questi cotali godono in ogni tempo e stato che sono, perché sono privati dell'amaritudine della disordenata volontà, fondata in proprio amore. Poi che tanto è dilettevole questo fondamento, non è da aspettare lo tempo ad acquistarlo, perché non siamo sicuri d'averlo.

- L'altro principale vento, dico che è la carne; lo quale gitta sì-fatta puzza e miserabile, che non tanto che ella puta dinanzi da Dio, ma ella pute ali demoni; e drittamente fa l'uomo bestiale, ché quella vergogna ha, che l'animale. Costui fa come lo porco che s'involle nel loto: così egli s'involle nel loto della disonestà, e in qualunque stato egli è, guasta sé medesimo. Se egli è legato allo stato del matrimonio, con disordenato desiderio contamina lo stato suo; e dove egli debba andare a quello sacramento con timore di Dio, ed egli vi va disordenato e con poca onestà. E i miserabili non raguardano in tanta eccellenza quanto è venuta la nostra umanità, per l'unione che Dio ha fatto nella miserabile carne nostra, poiché, se essi aprissero l'occhio dell'intelletto a raguardarla, eleggiarebbero inanzi la morte prima che darsi a tanta miseria.

E sai che puzza esce di questa bocca che atosca chiunque se l'avvicina? Lo cuore ne diventa sospeccioso, la lingua mormora e bastemmia, credendo che quello che è in lui sia negli altri. Sì come lo infermo che ha guasto lo stomaco (che non parendoli buono lo cibo, perché è corrotto, e non tanto che i comuni cibi, ma lo suo particulare che lo medico gli ha dato che pigli, vedendolo prendere al gusto sano gli pare malagevole e incredibile che non gli sappi di quello sapore che a lui), così gli stolti che si danno alla delettazione carnale hanno sì guasto l'appetito loro, che non tanto che della comunità - che comunemente si veggono in questo difetto - i ne piglino male, ma nei sani si scandalizzano; e nel particulare cibo, cioè nella donna sua, si scandalizza, lo quale Dio gli ha dato per conscendere alla sua fragile infermità. Unde questo cibo gli fa male, stando disordenatamente, come detto è; e pigliando sospeccione spesse volte e gelosia, giudicando la cosa buona gattiva; venendone in odio e in pentimento colà dove debba essere amore. Costui ha uno disordenato vedere, e questo gli adiviene perché l'occhio è infermo, ché, se fusse sano, non farebbe così. O quanti miserabili difetti e inconvenienti per questo miserabile vento ne vengono! E sempre si rode in sé medesimo.

E poi che ha gittato della bocca la puzza, ed egli giogne al giudicio della Sposa sua, ne li viene questo altro difetto: che se a lui gli viene desiderio, per 'spirazione divina, di levarsi da questo e conservare lo stato perfetto, per lo verme - che già è intrato in corpo - della sospeccione se gli spegne l'odore della virtù; e ritorna al suo primo fradiciume, e quello che in prima gli piaceva, gli viene a dispiacere. E non è costante né perseverante nella virtù, anco vòlle lo capo indietro a mirare l'arato, e non raguarda sé medesimo a conoscere lo suo difetto e la sua infermità. E tutto questo gli adiviene perché non fece lo fondamento suo sopra la viva pietra, e però è stato assalito e percosso da questo malvagio vento.

è necessario, dunque, che si levi dal miserabile fondamento della carogna, e fondisi nella viva pietra, Cristo. Allora, venendo lo vento non gli potrà nuocere; anco farà resistenza con la vera virtù della continenzia e purezza, disciplinando la volontà sua disordenata con la disciplina della ragione e del santo timore di Dio, dicendo a sé medesimo: «Vergognati, anima mia, di volere lordare la faccia tua, e di corrompere lo corpo per immondizia. Poiché tu sei fatta ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26); e tu carne sei venuta a tanta dignità per l'unione della natura divina fatta in te natura umana, che sei levata sopra tutti i cori degli angeli».

Allora sentirà l'odore della purezza, e il desiderio di remediare con lo strumento dell'orazione e vigilia, e con odio e pentimento d'esso vizio, usando gli altri strumenti di fuore corporali, cioè di molestare lo corpo con la penetenzia, quando egli vuole combattere contro lo spirito. E sopra a tutti gli altri remedii contro a questo vizio è l'orazione umile e la vigilia e il perfetto cognoscimento di sé. Non sia mai alcuno che stia a contastare con esso, aviluppandosi la mente delle forti cogitazioni e movimenti che sente venire; anco intenda a pigliare i remedii, e col pensiero del remedio cacciarà le forti immaginazioni: che sarà una acqua che spegnarà lo fuoco del disordenato movimento. Allora non tema, ma virilmente pigli lo gonfalone della santissima croce; e con essa s'appoggino, e navichino coi detti remedii coloro che sono fondati in questa viva pietra, con fermezza e perseveranza infine alla morte, poiché veggono bene che sola la perseveranza è quella che è coronata, e non lo cominciare.

Voglio dunque, carissimo fratello e figlio, che vi leviate da la imperseveranza e ricominciate a entrare dentro da voi, perché mi pare, secondo che si vede dprima della divina bontà, che già buono pezzo siate escito fuore di voi. Tutto questo è perché lo principio e il fondamento non fu fatto bene in verità, fondato sopra la viva pietra, poiché per altro non adiviene che i servi di Dio non sono perseveranti se non perché sono fondati imperfettamente; ed essendo debili e giungendo i fortissimi venti - cioè lo mondo lo demonio e la carne - e trovandoli senza fortezza e senza alcuno riparo d'essercizio di virtù, vengono meno.

Unde io, considerando che i remedii del vostro cadere è bisogno di pigliarli, e di fare più perfetto principio con più profonda umilità e dispregiamento di voi, dissi che io desideravo di vedervi pietra ferma, fondato sopra la pietra viva, Cristo dolce Gesù, e non sopra l'arena. Spero nella infinita bontà di Dio che se voi vorrete umiliarvi a conoscere voi, che voi adempirete la volontà sua e il desiderio mio; e voi acquistarete la vita della grazia, e sarete privato delle tenebre, e avarete perfetto lume. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 16:21

198. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo figlio mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedere in voi tal fortezza e abbondanza e plenitudine dello Spirito santo sì come venne sopr'a discepoli santi (Ac 2,1-3), affinché potiate cresciare e fruttificare in voi e nel prossimo vostro la dolce parola di Dio.

Poi che il fuoco dello Spirito santo fu venuto sopra di loro, essi salsero in sul polpito della affocata croce: ine sentivano e gustavano la fame del Figlio di Dio e l'amore che portava all'uomo. Allora escivano le parole di loro, come lo coltello esce ardente de la fornace: con questo caldo fendevano i cuori degli uditori e cacciavano i demoni; perduti loro medesimi, non vedevano loro: solo la gloria e l'onore di Dio e la salute nostra. Così voi, dolcissimo mio figlio, vi prego, e voglio in Cristo Gesù, che vi riposiate in sul polpito de la croce: ine al tutto perdiate e aneghiate voi medesimo con lo insaziabile desiderio, traendo l'afocato coltello, percotendo i demoni visibili e lo 'nvisibile, lo quale spesse volte vuole contristare la conscienzia vostra, per impedire lo frutto che si fa ne la creatura. Non vi vollete a questo perverso demonio, e spezialmente ora ch'è il tempo di racogliare e di seminare. Dite al demonio che faccia ragione con con me e non con voi. Oltre, virilmente, e non dormiamo più, ché il tempo s'avvicina.

HO ricevuta grande letizia, perché mi pare che molto frutto vi si faccia, e d'alcuna buona novella che frate Raimondo mi mandò, che ebbe da misser Nicola da Osmo, sopra i fatti del passaggio. Godete ed essultate, ché i desiderii nostri s'adempiranno. Non ho tempo di potere scrivare. Nanni sta molto bene e gode.

Benedite lo mio figlio frate Simone; diteli che disponga la bocca del desiderio a ricevare lo latte, ché la mamma ne li mandarà. Stievi a mente quella fanciulla che vi fu racomandata di quello testamento, e anco la mia santa Agnesa, se vi venisse incerto o altro per dare.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Alessa e la perditrice del tempo molto molto vi si racomandano.





199. A missere Nicolò da Uzzano, canonico di Bologna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi constante e perseverante nella virtù, della quale Dio v'ha dato desiderio per la sua infinita misericordia.

Ma non so vedere che la persona venga a perfetta virtù con perseveranza, se non con amore schietto e liberale, e senza mezzo di sé: cioè che non voglia servire Dio a suo modo, né in parte, ma tutto, e con tutto lo cuore e con tutta l'anima e con tutte le forze sue, e senza lo mezzo della propria sensualità. La quale sensualità è degna d'odio e non d'amore, poiché sempre ricalcitra e ribella al suo Creatore. Questa è quella parte la quale sempre doviamo odiare in noi, e fare guerra con liei, e darle lo contrario di quello che ella adimanda.

Ma noi diremo: «Per che modo posso venire a questo amore e odio, poiché per altra via io non posso venire a virtù, né perseverare nel bene cominciato?». Rispondo che col lume verremo ad amore, poiché la cosa che non si vede non si può conoscere, né la malizia né la virtù sua; e non conoscendosi non s'odia e non s'ama. Unde c'è bisogno lo lume dell'intelletto, cioè che l’intelletto sia illuminato del lume della santissima fede. L'occhio aviamo noi, che è una de le facoltà dell'anima; e della fede riceviamo la impronta nel santo battesimo. Ma se questo lume, venuto al tempo della discrezione, non è essercitato con la virtù ma è offuscato con l'amore proprio e piacere del mondo, non potremmo vedere; ma, tolta questa nuvola, l'occhio vede. E se la libera voluntà vuole aprire questo occhio, e ponersi per obiettivo Cristo Crocifisso, e il puro e schietto e dolce amore che egli ci ha (ché ci ama non per sua utilità, poiché utilità non gli possiamo fare - ché non ha bisogno del nostro bene -, ma solo per fare utilità a noi, a ciò che siamo santificati in lui), dico che, vedendolo schietto, così coraggiosamente lo riceve dentro nell'affetto e voluntà sua.

E di quello amore che ha tratto del dolce e amoroso Verbo, di quello amore ama lo prossimo suo amandolo puramente, e fedelmente cercando la sua salute; sovenendolo, giusta al suo potere, di quello che Dio gli ha dato da amministrare. E con quella perfezione l'ama e serve che egli ha tratto dal cognoscimento della divina carità, poiché la carità del prossimo declina da quella di Dio. Unde, perché ama Dio ama lo prossimo suo, e ingegnasi di servirlo, perché cognobbe la verità di Dio vedendo l'amore ineffabile che egli gli ha manifestato col mezzo del sangue del suo Figlio.

E perché egli vede che Dio non cessa mai la sua bontà - cioè d'aoperare in lui e nell'altre creature la grandezza e bontà sua, facendoli molti beneficii - però non pare né può cessare d'amare lo suo Creatore, mentre che sta in questo cognoscimento, poiché condizione è dell'amore d'amare sempre, quando si vede amare. E l'amore non sta mai ozioso, ma sempre adopera grandi cose; unde l'anima viene a fortezza e a perfetta perseveranza. E per lo grande cognoscimento che trova della bontà di Dio, conosce molto più perfettamente la miseria sua, poiché ogni cosa si conosce meglio per lo suo contrario, vedendo col lume della santissima fede sé non essere, ma l'essere suo avere da Dio, e ogni grazia che è posta sopra l'essere: poiché, senza l'essere, nessuna grazia saremmo atti a ricevere.

E vedesi recreato a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figlio, e con tutto questo sempre si vede essere ribelle a Dio; unde ha materia di concepire uno santissimo odio, e odiare in sé la perversa legge che combatte contro lo spirito. E pensate che non si debba odiare solo in uno tempo, cioè quando alcune volte si vedrà assediato dalle impugne e molestie della carne, e da la negligenzia e sonnolenzia sua; ma d'ogni tempo debba odiare e ogni tempo gli debba essere tempo d'odio, poniamo che deve crescere più a una ora che a un'altra, secondo le molestie e disposizioni che egli sente in sé. E perché egli senta abassare lo fuoco, e cominci a mortificare, non debba però levare l'odio; ma nel tempo della pace s'abbi bene cura, poiché egli non se ne può fidare, ma riescali adosso con una vera e profonda umilità. Sì che con l'odio e con la umilità si levi più tosto egli contro alla sensualità, che la sensualità contro di lui, poiché se non facesse così, si destarebbe la propria passione, la quale pareva che dormisse, e quasi parendo morta è peggio che mai. Poiché, mentre che noi viviamo, ella non muore, ma bene s'adormenta - chi più sodo e chi più leggiero -: e questo è secondo l'odio e l'amore delle virtù, lo quale odio la gastiga, e l'amore l'adormenta.

Chi n'è cagione? Lo lume, poiché se non l'avesse veduto, e cognosciuta la sua fragilità, non l'avrebbe spregiata con odio; ma perché la cognobbe, come virile l'odia e ricalcitra sempre contro di liei continuamente. Unde, vedendo che ella non cessa di combattere, non vuole egli, né debba volere cessare la guerra, né volere fare pace con liei.

Questo è quello principio e reale fondamento per mezzo del quale l'uomo viene a ogni virtù; e ogni sua opera fa perfetta, di qualunque opera si vuole, o spirituale o temporale, poiché tanto è temporale quanto l'affetto la fa temporale, e più no. Egli è constante e perseverante, e non si vòlle per ogni vento, sodo sodo; e tanto gli pesa la mano manca quanto la dritta, cioè tanto la tribulazione quanto la consolazione. Se egli è secolare, egli è buono secolare nello stato suo; se egli è prelato, egli è buono e vero pastore; e se egli è cherico, egli è fiore odorifero nel giardino de la santa Chiesa, e gitta odore di virtù, e dà l'onore a Dio e la fatica al prossimo, dandoli dei frutti de l'umile e continua orazione, dispensando largamente di quelle grazie che Dio gli ha date a dispensare. E della substanzia temporale, la quale riceve dal sangue di Cristo Crocifisso, egli la spende non sceleratamente, né con vanità, né coi parenti suoi, se non in quanto essi avessero bisogno per necessità, sì come a povarelli; ma per altro modo, no. E con vera conscienzia rende lo debito ai povari, e al bene della Chiesa, e per la sua propria necessità. E se facesse altrimenti vedrebbesi stare in gravissima colpa.

Egli non si scandalizza, né fa mai guerra col prossimo suo: col peccato sì, ma non con la propria persona del prossimo, anco l'ama come sé medesimo, cercando teneramente la salute sua. E perché egli ha fatto guerra con sé medesimo e con la propria sensualità, però non la può fare, né fa, con Dio né col prossimo suo. Poiché ogni offesa che si fa a Dio o al prossimo, si fa perché egli non s'odia, ma amasi di proprio amore sensitivo; per la quale cosa mai non persevera in alcuno bene che cominciasse, poiché la perseveranza viene da l'odio e da l'amore, come detto è, e l'amore s'acquista per lo lume della santissima fede. La quale è la pupilla de l'occhio dell'intelletto, essercitato con libera voluntà, che in verità voglia conoscere sé e la bontà di Dio in sé, e riconoscere ogni grazia dal suo Creatore, e il difetto e le colpe sue dalla propria sensualità.

Altra via non ci ha, e però vi dissi che io desideravo di vedervi constante e perseverante nella virtù, considerando me che ella non si può avere se non nel modo che detto aviamo. Unde io vi prego per l'amore di Cristo Crocifisso che ora, mentre che aviamo lo tempo - lo quale è tempo di vigilia e di cognoscimento, che possiamo conoscere con frutto e con merito; e, passato lo tempo, sapete che non è così -, voi non stiate a dormire, ma vegghiate continuamente; e non solo della vigilia corporale, ma della vigilia intellettuale, alla quale vigilia segue la continua orazione, cioè l'ardente desiderio e amore delle anime, verso il suo Creatore: poiché sempre òra in onore di Dio e in salute delle anime. Bagnatevi nel sangue di Cristo Crocifisso; e ine muoia ogni piacere e parere umano, sì che, morto a ogni voluntà propria, corriate per la via della verità. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





200. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figlio mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedere in voi adempita quella parola che disse lo nostro Salvatore ai discepoli suoi: «Voi sete luce del mondo, e il sale de la terra» (Mt 5,13-14).

Così desidera l'anima mia con grandissimo desidèro che voi siate quello figlio illuminato del lume e calore de lo Spirito santo, condito col sale del vero conoscimento e sapienza, sì che cacciate con perfetta sollecitudine lo peccato i dimoni de le tenebrose anime de le creature. Ma non vego che questo poteste bene fare né avere, né adempire lo mio desiderio, se non per continuo e per ardente amore, e per lo continuo acostarvi e unirvi senza negligenzia nel vero lume e sapienza, fuoco e calore de la divina carità, lo quale fu manifestato a noi per l'unione che Dio fece con l'uomo. E dicovi, figliuol mio dolcissimo, che non sarà nessuna anima che raguardi Dio diventato uomo, corso all'obbrobio de la santa croce, versato l'abbondanza del sangue suo, che non attenga e participi ed empisi di vero amore. E così si dilettarà del cibo del quale Dio si dilettò: essare mangiatore e gustatore delle anime. Questo è uno cibo di tanta dolcezza e soavità che ingrassa l'anima, e d'altro non si può dilettare. E dicovi ch'i vostri denti debili saranno qui fortificati, sì che potrete mangiare i bocconi grossi e piccoli.

Mettetevi virilmente a fare ogni cosa: e cacciare le tenebre e fondare la luce, non raguardando a la vostra debolezza, ma pensate per Cristo crocifisso potere ogni cosa (Ph 4,13). Io vi starò dallato, e mai non mi partirò da voi, con quella visione invisibile che fa fare lo Spirito santo, ché visibilemente non vego modo, per ora, di potere venire, se già Dio non disponesse altro. Volentieri sarei venuta, se Dio l'avesse conceduto - sì per l'onore suo e recreazione di voi e di me, che grande mi sarebbe stata -; ma perché lo tempo è assai corrotto all'acqua, e il corpo mio è molto agravato già più di x dì, intanto che con fatica la domenica sono ita a la chiesa, sì che frate Tommasso ha avuto compassione di me, e non gli è paruto ch'io sia venuta. Ben che il potere non ci sia stato, farò invisibilemente ciò che io potrò; e pensate che, se Dio l'avesse ordenato ch'io venisse, che io non farei resistenza a lui né farò. Pregate Dio che faccia quello che deve essare più suo onore.

Fate che la pace di coloro che mi scriveste, ch'ella si faccia prima che ne veniate. Benedite e confortate tutte coteste pecorelle affamate e assetate in Cristo Gesù, e misser Biringhieri e tutta l'altra fameglia: che non s'indugino a tosto passare i tenebrosi affanni e sollecitudini del mondo e iniqui peccati mortali che tolgono la vita, ma acquistino la grazia e il lume de lo Spirito santo. Benedite frate Simone, figlio in Cristo Gesù.

Rimanete ne la santa carità di Dio.

Dite a Neri che sia sollecito a seguire le vestigie di Cristo crocifisso. Alessa e Lisa e Cecca vi si racomandano.

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19/10/2012 16:29

Altre 50 Lettere

201 A don Giovanni, monaco di Certosa in Santa Croce a Roma, lo quale era tentato e voleva andare al Purgatorio di santo Patrizio

202 A maestro Giacomo medico, in Asciano.

203 Ad alquanti novizii di Monte Oliveto nel convento di Perugia.

204 A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, quando predicava ad Asciano.

205 A Stefano sopradetto poverello d'ogni virtù.

206 Al santo padre papa Gregorio XI.

207 AI Signori di Firenze.

208 A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

209 Al santo padre papa Gregorio XI, poi che fu giunto a Roma.

210 A missere Matteo, rettore de la Casa de la Misericordia di Siena.

211 A maestro Raimondo, in Vignone.

212 A Neri di Landoccio - cum esset Florentie -

213 A Daniella da Orvieto vestita de l'abito di santo Domenico.

214 A Caterina dello Spedaluccio e a Giovanna di Capo.

215 A certi monasteri di donne in Bologna.

216 A Nigi di Doccio Arzocchi.

217 A la priora e l'altre suore di Santa Maria de le Vergini.

218 Al padre santo Gregorio XI.

219 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori, e a maestro Giovanni Terzo e frate Felice

220 A suora Magdalena figlia di monna Alessa, delle monache di Santa Bonda presso a Siena.

221 A sorella Bartolomea de la Seta, monaca di santo Stefano in Pisa.

222 Al soprascritto Stefano negligente.

223 A missere Giacomo cardinale degli Orsini.

224 Alla soprascritta monna Niera donna di Gherardo Gambacorti, in Pisa.

225 A frate Lazzarino da Pisa dei frati Minori.

226 A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei frati Predicatori

227 A frate Guglielmo da Lecceto, essendo essa Caterina in Firenze.

228 A Neri di Landoccio, essendo lui in Pisa, quando lei lo mandò al santo padre.

229 A papa Gregorio XI.

230 Agli Otto della guerra, eletti per lo Comune di Firenze, perché era andata a loro richiesta a Vignone, al papa Gregorio XI.


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201. A don Giovanni, monaco di Certosa in Santa Croce a Roma, lo quale era tentato e voleva andare al Purgatorio di santo Patrizio

per essere liberato dalle tentazioni, e non avendo licenzia stava in molta afflizione di mente.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vero e perfettissimo lume, poiché senza lo lume non potremmo discernere la verità.

Ma attendete che sonno due lumi, e l'uno non impedisce l'altro, ma unisconsi insieme, sì come la Legge nuova non tolse via la vecchia. (Tolsele bene la imperfezione, poiché la Legge vecchia era fondata solo in timore, unde era imperfetta; ma poi che venne la Legge nuova si conformò l'una con l'altra, la quale è Legge d'amore). Così è uno lume imperfetto, e uno lume perfetto: lo lume imperfetto è il lume che naturalmente Dio ci ha dato, col quale cognosciamo lo bene. I vero che l'uomo, offuscato della propria fragilità, non il cerca dove egli il debba cercare ma in cose transitorie, nelle quali non è perfezione di bene; e non il cerca in Dio, colà dove è sommo ed eterno bene.

Ma se questo lume naturale è essercitato con virtù, cercando il bene colà dove egli è - cioè che l'anima conosca la bontà del suo Creatore e l'amore inestimabile che egli ci ha, i quali amore e bontà trovarà nel cognoscimento di sé con questo modo: con sollicitudine e non con negligenzia esercitando la vita sua -, acquistarà il secondo lume, che è sopranaturale, non lassando però il primo; ma levarassi da la sua imperfezione e farassi perfetto col lume perfetto sopranaturale.

Che fa questo lume nell'anima, e a che si conosce che ella l'abi? Dicovelo. Lo primo lume vede le virtù: quanto elle sono piacevoli a Dio, e utili a l'anima che le possiede; e quanto è spiacevole e nocivo il vizio, lo quale priva l'anima della grazia. Lo secondo lume abbraccia le virtù, e parturiscele vive nella carità del prossimo suo. L'essere gionto al secondo lume dimostra che il primo naturale non fu impedito da l'amore proprio, e però ha ricevuto lo sopranaturale. Chi dimostra che questo lume sia infuso ne l'anima per grazia? Le virtù reali, tra le quali virtù due sonno le principali che più realmente ce il dimostrano - guidate dal lume della santissima fede, perché nel lume sonno state acquistate -: queste due virtù sono sorelle vestite di fortezza e di longa perseveranza.

La principale virtù di queste due, prima parturite dalla carità col lume della fede, è la vera e perfettaobbedienza. L'obbedienzia priva della colpa e la imperfezione, perché uccide la propria volontà unde nasce la colpa: poiché tanto è colpa o virtù quanto procede da la volontà. Unde, se l'anima fusse tutta ansietata di molte diverse cogitazioni e battaglie dal demonio, o dalle creature, o che la fragile carne impugnasse con disordenati movementi, e la volontà stia salda e ferma - che non tanto che ella non consenta, ma dispiacciale fino a la morte - non offende; anco ne merita e crescene in maggiore perfezione, colà dove ella voglia conoscere la verità, vedendo che Dio glili permette per farla venire a più perfetto cognoscimento di sé e della bontà sua in sé. Per mezzo del quale cognoscimento cresce in maggiore amore e umilità; e però dissi che cresceva in maggiore perfezione. Così la virtù non è virtù solamente l'atto, ma in quanto ella è fatta volontariamente con dritta e santa intenzione.

Perciò la volontà è quella che offende; e però l'obbedienzia, la quale uccide la propria volontà, leva via la colpa uccidendo quella che la commette. L'obbediente non si fida mai di sé, perché conosce il suo infermo e basso vedere, e però come morto si gitta ne le braccia de l'Ordine e del prelato suo con fede viva e lume sopranaturale, credendo che Dio farà discernere al prelato suo la necessità della sua salute.

Eziandio se il prelato fusse imperfetto e idioto senza lume, avarà viva fede che Dio l'alumini per la sua necessità. E perché nel lume ha veduto lume, però s'è fatto suddito. Chi manifesta questo lume? La vera obbedienzia: ella è longa e perseverante, e non corta; cioè che il vero obediente non obbedisce pure in uno modo né in uno luogo né a tempo, ma in ogni modo, in ogni luogo e in ogni tempo, secondo che piace al prelato suo. Egli non cerca le proprie consolazioni mentali, ma solo cerca d'ucidere la propria volontà: e però pone il coltello in mano all’obbedienza, e con esso coltello l'ucide, perché ha veduto nel lume che, se non l'ucidesse, sempre starebbe in pena e in offesa della perfezione a la quale Dio l'ha chiamato, e vedrebbesi privato della ricchezza del lume sopra naturale; lo quale lume è mostrato essere ne l'anima da la virtù d'obedienzia.

Quale è l'altra virtù che manifesta questo lume? I la pazienza, la quale è uno segno dimostrativo che in verità amiamo, perché ella è il midollo della carità. Ella è sorella dell’obbedienza - anco, l'obbedienzia è quella che fa paziente l'anima, perché non si scandelizza di veruna obbedienzia imposta a lui dal prelato suo -; ella è vestita di fortezza, e però porta pazientemente le riprensioni e i costumi dell'Ordine. Quando gli è rotta la propria volontà, non attedia, ma gode ed essulta con grande giocundità. Non fa come il disobbediente, che ogni cosa fa e sostiene con fatica e con molta impazienzia, in tanto che alcune volte, dimandando al prelato suo una licenzia di cosa che gli sia molto ferma nella volontà, non avendola piglia tanta pena che eziandio lo corpo pare che ne infermi. Meglio gli sarebbe con l'odio santo uccidere la propria volontà, la quale gli dà tanto tormento.

Questa pazienza sta sul campo della battaglia con l'arme della fortezza, e collo scudo della santissima fede ripara ai colpi; e sostenendo vince, e col coltello dell'odio e dell'amore percote i nemici suoi. Prima uccide il principale nemico de la perversa legge che sempre combatte contro lo spirito; e con essa uccide i diletti e piacere del mondo - i quali per amore del suo Creatore egli odia -, e le cogitazioni del demonio, lo quale ne dà molte con diverse fantasie; e con pensieri veri e santi le caccia da sé, conservando la buona e santa volontà che non vada dietro ad esse. Questa pazienza, guidata dal lume, non vuole combattere in luoghi dubbiosi con isperanza di non avere poi a combattere più. Non vuole così, poiché ella si diletta di stare in battaglie perché nella battaglia si pruova, e, provata, riceve la gloria, e in altro modo no.

Non fa come il semplice, che ancora è imperfetto in questo lume sopra naturale, e per lo poco lume, sentendosi passionato, per tollersi questa fatica e per timore di non offendere, si vorrà mettere a cosa che sarà di tanto pericolo che a un tratto ne potrebbe andare l'anima e il corpo. E faràssene sì forte imaginazione - per illusione del demonio e per volontà ch'egli ha di vivere senza passione, unde egli riceve le pene -, che colui che l'ha a governare non gli potrà trare questa fantasia. E se egli non gli dà licenzia di quello che vuole fare, ne viene a tedio, a confusione e ad impazienzia, e spesse volte entro la disperazione.

Questo gli è segno che quello che vuole fare non è secondo la volontà di Dio, ché, se così fusse, direbbe: «Signore, se questo è secondo la tua volontà, danne lume a chi mi possiede a licenziare; e quando che no, dimostralo». E con fede viva si pacificarebbe nella mente sua, vedendo che il negare o il concedere, qualunque si fusse, procedesse dalla volontà di Dio.

Non voglio, carissimo e dolcissimo figlio, che siate voi di questi cotali; ma voglio che col lume, come vero obbediente e paziente, stiate nel campo della battaglia, come detto è, dove comunemente combattono i servi di Dio, non volendo pigliare battaglia nuova né particulare la quale sia oscura e dubbiosa, ma pigliare quella che è lucida e generale; e in tutto annegare qui la vostra volontà, e in ogni altra cosa. Ma singularmente vi parlo al presente per quello che mi disse il visitatore: lassatevi guidare alla volontà sua, la quale non è sua, ma è da Dio, poiché il vostro andare credo che sia, e è, inganno di demonio, che coi l'amo del bene vi vuole pigliare. Sono certa che con questo lume conoscerete la verità; conoscendola ringraziarete il sommo ed eterno Padre, che con la santa obbedienzia v'ha campato di questo pericolo, altrementi no.

E però, considerando io quanto v'è di necessità questo lume, dissi che io desideravo di vedervene perfettamente illuminato. L'obbedienzia e la pazienza dimostraranno s'egli è in voi: cioè che non ricalcitriate a la volontà del prelato, ma con pazienza la portarete come vero obbediente, dilettandovi di rompere la vostra volontà. E se non trovaste in voi questo lume come vorreste e come si debba avere, intrate con odio santo nella cella del cognoscimento di voi e di Dio in voi; e del sangue del dolce e amoroso Verbo s'inebrii l'anima vostra. Nel quale cognoscimento s'acquista ogni grande perfezione, con fede, sperando nel sangue sparto con tanto fuoco d'amore. Senza pena o tedio di mente, figlio mio dolce, chinate il capo all'obbedienzia santa, e rimanete in cella, abbracciando l'albero della santissima croce. Altro non vi dico. Guardate - quanto avete cara la vita de l'anima vostra e quanto temete d'offendere Dio - che voi non seguitiate la vostra volontà.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





202. A maestro Giacomo medico, in Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissimo e carissimo fratello in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi vero cavaliere di Dio, sempre seguitando la via de le virtù, non vollendovi adietro a mirare l'arato, ma sempre raguardando quello che avete a fare, perciò che colui che si vòlle adietro, segno è che è stanco.

E però noi, fratello carissimo, non ci dobbiamo mai stancare ne le sante e vere opere. E veramente così è, che colui che comincia e non persevera, non è degno di corona. Così disse lo nostro dolce Salvatore: che dei perseveranti e violenti - cioè che fanno forza e violenzia a le loro male cogitazioni -, di coloro è lo reame del cielo (Mt 11,12). Dicovi, fratello e figlio carissimo, che non potreste avere voi questa perseveranza della virtù, né avere Dio nell'anima vostra, avendo le conversazioni dei dimoni visibili e incarnati, cioè de le creature che vi volessero ritrare dal santo proponimento, traendovi fuore di voi. E sappiate che il demonio non vuole altro che trarvi fuore di voi, e poi che l'anima è attratta di sé medesima, perde ogni essercizio e cade nel perverso vizio de la superbia; non può sostenere sé, né nessuna creatura con pazienza per riverenzia di quella dolce virtù piccola de la vera umilità. Colui che non è umile, non può essere obbediente a Dio. O quanto sarebbe cosa sconvenevole che voi, che sete eletto a sempre lodare Dio, voi seguitaste le perverse volontà degli uomini, essendo amatore degli uomini e non di Dio! Oimé, non sarebbe altro che diventare servo del demonio. Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso, che siate non crudele ma pietoso verso dell'anima vostra: allora dimostrarete la pietà, quando trarrete la puzza dei peccati mortali dell'anima vostra, e piantaretevi le vere e reali virtù, come uomo virile.

Non facciamo come animale che segue le sue volontà senza nessuna ragione: ma, come uomo virile, seguitate la via de le virtù. E non indugiate a dire: «Dimane farò», ché non sete sicuro d'avere lo tempo; sì come disse lo nostro Salvatore: «Non vogliate pensare del dì di domane, basti al dì la sollecitudine sua» (Mt 6,34). O quanto dolcemente ci manifestò lo poco tempo che l' uomo ha! e noi miseri miserabili, tutta la nostra sollecitudine e con molti affanni spendiamo, e il tempo nostro, che è la più cara cosa che noi abbiamo. Destianci agiumai dal sonno e non dormiamo più, ché non è tempo da dormire; ma destatevi dal sonno de la negligenzia e ignoranza.

HO inteso che voi e misser Sozzo volete andare al Santo sepolcro: la quale cosa molto mi piace. D'una cosa vi prego per l'amore di Cristo crocifisso, voi e misser Sozzo: che voi vi disponiate, prima che andiate, a questo santo viaggio, e che ordeniate prima la santa confessione; e scaricate le conscienzie vostre con modo e ordine, come se fuste ne la 'stremità de la morte: non aspettate di disponarvi per via. E se questo non faceste, meglio sarebbe che non metteste piè fuore d'uscio. Pregovi, padri e fratelli in Cristo Gesù, che non vi lassiate ingannare a la fragilità umana, né a la lebbra de la cupidità, poiché né avere né nessuna creatura rispondarà per voi: solamente la virtù virile, e la buona conscienzia. Altro non dico. Abbiate sempre Dio dinanzi agli occhi vostri. Io m'offero a voi per continua orazione.

Rimanete ne la santa carità di Dio. Gesù dolce, Gesù Gesù.



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19/10/2012 16:30

203. Ad alquanti novizii di Monte Oliveto nel convento di Perogia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e conoscenti verso il vostro Creatore degl'infiniti beneficii ricevuti da lui, affinché per ingratitudine non si disecchi in voi la fonte della pietà, ma nutrichisi con gratitudine.

Ma attendete che gratitudine solamente di parole non è quella che risponde, ma le buone e sante opere. In che la mostrarete? In osservare i dolci comandamenti di Dio, e oltre ai comandamenti osservarete i consigli mentalmente e attualmente. Voi avete eletta questa vita perfetta dei consigli, e però ve gli conviene osservare fino a la morte, altrimenti offendereste Dio; ma l'anima grata sempre gli osserva. Sapete che nella vostra professione prometteste d'osservareobbedienza continenzia e povertà volontaria; e se voi non gli osservaste diseccareste in voi la fonte della pietà.

Grande vergogna è al religioso a desiderare quello che già ha spregiato: ché non tanto che egli non debba desiderare o possedere substanzia temporale, ma della memoria si dei trare eziandio il ricordo del mondo, de le ricchezze e diletti suoi, e impirla del povero umile e immacolato Agnello; e con una carità fraterna vivere caritativamente. Così vuole la carità fare utilità al prossimo suo: che quando l'anima raguarda e vede non potere fare utilità a Dio, perché non ha bisogno di noi, e volendoli mostrare che in verità conosce le grazie che ha ricevute e riceve da lui, il mostra verso la creatura che ha in sé ragione; e in tutte quante le cose s'ingegna di mostrare nel prossimo la gratitudine a Dio.

Unde tutte le virtù sonno essercitate per gratitudine: cioè per amore che l'anima ha al suo Creatore è fatta grata, perché col lume ha ricognosciute le grazie che ha ricevute e riceve da lui in sé. Chi la fa paziente a portare le ingiurie, strazii, rimproverii e villanie dagli uomini, e le molestie e battaglie dali demoni? La gratitudine. Chi lo fa annegare la propria volontà, e soggiogarla a la santa obbedienzia, e conservare l'obbedienzia sua fino alla morte? Essa gratitudine. Chi gli fa osservare il terzo voto della continenzia? La gratitudine: ché, per osservarla, mortifica il corpo suo con la vigilia, digiuno e con l'umile fedele e continua orazione. E con l'obbedienzia ucide la propria volontà, affinché, mortificato il corpo e morta la volontà, la potesse osservare, e in essa osservanzia mostrare la gratitudine. Sì che le virtù sono uno segno dimostrativo, che dimostrano che l'anima non è sconoscente d'essere creata ad immagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), e della ricreazione che ha ricevuta nel sangue de l'umile, dolce, crociato e amoroso Agnello, ricreandola a grazia, la quale avevamo, per la colpa, perduta. E così di tutte l'altre grazie che ha ricevute, spirituali e temporali, in comune e in particulare: ma tutte con gratitudine le riconosce dal suo Creatore.

Allora cresce un fuoco nell'anima d'uno santissimo desiderio, che sempre si notrica di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, con pena, sostenendo fino a la morte. Se fusse ingrata, non tanto ch'ella si dilettasse di sostenere per onore di Dio e salute de l'anime, ma, se la paglia se gli vollesse trai piedi, sarebbe incomportabile a sé medesimo; l'onore vorrebbe dare a sé, notricandosi del cibo della morte - cioè dell'amore proprio di sé medesimo -, lo quale germina la ingratitudine privando l'anima della grazia.

Unde, considerando me quanto è pericoloso questo cibo che ci dà morte, dissi ch'io desideravo di vedervi grati e conoscenti di tante grazie quante avete ricevute dal vostro Creatore, e massimamente della smisurata grazia che v'ha fatta: d'avervi tratti fuore delle miserie del mondo, e messi nel giardino della santa religione, posti ad essere angeli terrestri in questa vita.

Questa è una grazia alla quale Dio vi richiede che gli mostriate segno di gratitudine con la vera e santaobbedienza, ché tanto dimostra lo religioso di conoscere lo stato suo quanto egli è obediente; e così per lo contrario il disobbediente dimostra la sua ingratitudine. Bene se n'avede il vero obediente, che tutta la sua sollicitudine pone in osservare l'Ordine suo, l'observanzie e costumi e ogni cerimonia, e di compire la volontà del suo prelato con allegrezza, non volendo giudicare né investigare la sua intenzione, né dire: «Perché pone egli maggiore peso a me che a colui?»; ma semplicemente obedisce con pace, quiete e tranquillità di mente. E già non è questo grande fatto; poiché egli ha tolta da sé la propria volontà che gli faceva guerra.

Non fa così il disobbediente, che dinanzi a sé non pone altro che la propria volontà, e tutti quegli modi i quali possa pigliare per compirla in quello che desidera; egli diventa non osservatore de l'Ordine ma trapassatore: fassi giudice della volontà del suo prelato. Questi gusta la caparra de l’inferno, e sempre sta in amaritudine, ed è atto a cadere in ogni male; non è constante né perseverante, ma vòlle il capo adietro a mirare l'arato. Egli cerca la congregazione e fugge la solitudine; cerca la pace della volontà sua che gli dà morte, e fugge quella che gli dà vita, cioè la pace della conscienzia, e l'abitazione della cella, e il diletto del coro. Poiché il coro gli pare che sia drittamente uno serpente venenoso, o cibo che gli abbi a dare morte: con tanto tedio vi sta e con tanta pena, perché la superbia e disobbedienzia e ingratitudine sua gli hanno ripieno lo stomaco, e guasto il gusto dell'anima.

Ma l'obbediente del coro si fa giardino; dell'officio, dolci e soavi frutti; e della cella si fa uno cielo; della solitudine si diletta per meglio accostarsi al suo Creatore, e non mettere mezzo tra lui e sé; e del cuore suo fa tempio di Dio. Col lume della santissima fede raguarda dove meglio truovi questa virtù, e con che mezzo meglio la possa imparare quando l'ha trovata. Cercando, la trova nell'umile, dissanguato e consumato per amore, dolce Agnello, lo quale per obbedienzia del Padre e salute nostra corse all'obrobriosa morte della santissima croce, con tanta pazienza che il grido suo non fu udito per veruna mormorazione.

Vergogninsi e confondansi nella superbia loro tutti i disobbedienti, a raguardare l'obbedienzia del Figlio di Dio.

Quando l’ha trovata, con che l'acquista? Col mezzo dell'orazione, la quale è una madre che concipe e parturisce le virtù ne l'anima. Poiché quanto più ci accostiamo a Dio, più participiamo della sua bontà e più sentiamo l'odore delle virtù, perché solo egli è il maestro delle virtù, e da lui le riceviamo, e l'orazione è quella che ci unisce col sommo bene. Perciò con questo mezzo acquistiamo la virtù della vera obbedienzia: ella ci fa forti e perseveranti nella santa religione, che per veruna cosa non rivoltiamo il capo adietro. Ella ci dà lume a conoscere noi medesimi, e l'affetto della carità di Dio, e gl'inganni deli demoni.

Ella ci fa umili tanto che per umilità l'anima si fa serva dei servi; fa aprire tutto sé medesimo nelle mani del suo maggiore: e se per lo tempo passato o per lo presente il demonio avesse obumbrata la conscienzia sua per battaglie, o eziandio fusse attualmente caduto in colpa di peccato mortale, umilemente manifesta la sua infirmità, sì come a medico, tante volte quante egli vi cadesse, e per vergogna non se ne ritrae, né debba ritrare; ma con pazienza riceve la medicina e correzione che il medico suo spirituale gli desse, credendo con fede viva che Dio gli darà tanto lume quanto è bisogno alla sua salute. Così debba fare a ciò che tagli la via al demonio, che non vorrebbe altro se non ponere una vergogna negli occhi nostri a ciò che tenessimo dentro ne l'anima nostra i difetti e le cogitazioni, e non gli manifestassimo. Questa madre de l'orazione ci leva questa vergogna, come detto è. Ella è di tanta dolcezza che la lingua nostra nol potrebbe narrare, Perciò doviamo con sollicitudine essercitarci in essa e riposarci al petto suo, e mai non lassarla.

E perché alcune volte lo demonio, stando noi in orazione o dicendo l'officio, obumbrasse la mente nostra d'una tenebre con diverse e laide cogitazioni, non doviamo però mai lasciare la nostra orazione ma perseverare in essa, e col pensiero santo cacciare il pensiero cattivo, e conservare la buona e santa volontà che non consenta a quelle cogitazioni. Facendo così, non cadrà mai in confusione ma pigliarà speranza in Dio, e con pazienza portarà quelle fatiche della mente. Umiliandosi, dirà: «Signore, io cognosco che io non sono degno della pace e quiete della mente come gli altri servi tuoi, pure che tu mi conservi la buona e santa volontà sì che mai io non offenda te».

Allora Dio, che raguarda alla perseveranza e umilità dei servi suoi, dona in quella anima il dono della fortezza: infunde in essa uno lume di verità e uno accrescimento di desiderio di virtù, con una allegrezza cordiale che tutto pare che vi si dissolva con uno ardore di carità verso Dio e verso lo prossimo suo. Tante sono le grazie e doni che si ricevono da Dio col mezzo de l'orazione che la lingua nostra non è sufficiente a narrarle: ma vuole essere umile, fedele e continua, cioè col continuo santo desiderio. Con questo santo desiderio fare tutte le nostre opere manuali e spirituali: facendolo, sarà uno continuo orare - perché òra nel conspetto di Dio lo santo e vero desiderio -; faràvi dilettare nelle fatiche e abracciare la viltà, dilettarvi nella mortificazione che vi fusse fatta fare per lo vostro maggiore.

Non mi distendo più sopra questa materia, ché troppo avaremmo che dire, ma pregovi che v'inebriate del sangue di Cristo crocifisso, dove trovarete l'ardore dell’obbedienza. Tiratelo a voi coi l'amo de l'orazione, affinché mostriate d'essere grati e conoscenti a Dio, sì come egli vi richiede per la grazia che avete ricevuta. Non facendolo, vi tornarebbe a morte quel che egli v'ha dato in vita. Altro non vi dico.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.







204. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, quando predicava ad Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello mio in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi tanto annegato e affogato in Cristo Gesù, sì che al tutto perdiate voi medesimo.

E questo non vego che potiate avere, se l'occhio dello intendimento del vero desiderio non si leva sopra di voi a raguardare ell'occhio ineffabile de la divina carità, col quale Dio raguardò e raguarda la sua creatura prima che ci creasse. Poi che raguardò in sé medesimo, inamorossene smisuratamente, sì che per amore ci creò; e volendo che noi godessimo e participassimo quello bene che aveva in sé medesimo, per lo peccato d'Adamo non s'adempiva lo desiderio suo. Constretto Dio dal fuoco de la divina carità, mandò lo dolce Verbo incarnato del Figlio suo a ricomprare ell'uomo e trarlo di servitudine; e il Figlio corre e dassi all'obrobio de la croce, e a conversare coi peccatori e publicani (Mt 9,11 Mc 2,16) e scomunicati, e con ogni maniera di gente, poiché a la carità non si può ponare legge né misura: non vede sé, né cerca le cose sue proprie (1Co 13,5). Perché lo primo uomo cadde dell'altezza de la grazia per l'amore proprio di sé medesimo, così fu necessario che Dio usasse uno modo contrario a questo, e però mandò questo Agnello immacolato, con una larga ineffabile carità, non cercando sé, ma solo l'onore del Padre e la salute nostra.

O dolce e amoroso cavaliere, tu non raguardi né a tua morte né a tua vita né a tuo vitoperio, anco giuochi in su la croce a le braccia coi la morte del peccato, e la morte vince la vita del corpo tuo, e la tua morte distrusse la morte nostra. L'amore n'è cagione che voi vedete: poiché l'occhio tuo non si riposava in altro che nell'onore del Padre tuo e in adempire lo desiderio suo in noi, cioè che noi godessimo Dio, per mezzo del quale fine egli ci creò.

O carissimo e dolcissimo mio figlio, io voglio che vi conformiate in questo Verbo che è nostra regola, e nei santi che l'hanno seguitato: così diventarete una cosa con lui e participarete la sua larghezza e non la 'stremità. Dicovi, come detto è, che se l'anima non si leva e v'apre ell'occhio, e pongasi per oggetto la smisurata bontà e amore di Dio lo quale dimostra a la sua creatura, mai non verrebbe a tanta larghezza e perfezione, ma sarebbe tanto stretto che non vi capirebbe né sé né il prossimo. E però vi dissi e voglio che stiate anegato e affogato in lui, raguardando sempre ell'occhio dolce de la sua carità: allora perfettamente amarete quello ched egli ama, e odiarete quello ched egli odia. Levate levate lo cuore vile e la disordenata e stretta conscienzia; non date luogo al perverso demonio che vuole impedire tanto bene: non vorrebbe essare cacciato de la città sua; ma io voglio che con cuore virile e sollecitudine perfetta vediate che altra legge è quella de lo Spirito santo che quella degli uomini.

Acordatevi con quello dolce inamorato di Pavolo: siate uno vasello di carità a portare e a bandire lo nome di Gesù. Ben mi pare che Pavolo si specchiasse in questo occhio e ine perdesse sé; e riceve tanta larghezza ched i desidera e vuole essare scomunicato e partito da Dio per li fratelli suoi (Rm 9,3). Era inamorato Pavolo di quello che Dio s'innamorò; vede che la carità non offende né riceve confusione.

Mosè guardò all'onore di Dio, e però voleva essere cacciato del libro de la vita prima che il popolo avesse morte. Per la quale cosa io vi constrengo e voglio in Cristo Gesù che stiate fermo a stirpare i vizii e a piantare le virtù, seguitando la prima verità come detto è, i santi ch'hanno seguitato le vestigie sue, non ponendo né regola né misura al desiderio che vuole essare senza misura.

Fate ragione da essere tra uno popolo infedele e scomunicato, pieno d'iniquità: convienvi per forza d'amore participare con loro, ch'io vi fo sapere che a questo modo participarete con la carità e non con loro, cioè l'amore ch'avete alla salute loro. Ché se lo vostro conversare fusse con amore proprio o diletto che ne traeste - o spirituale o temporale - che fusse fuore di questa fame, sarebbe da fuggire e temere la loro conversazione. Levate Perciò ogni amaritudine ristrettiva, e credete più altrui che a voi medesimo. E se il demonio volesse pure stimolare la conscienzia vostra, ditegli che faccia ragione con con me di questo e d'ogni cosa: la madre ha a rendare ragione del figlio. E così voglio che siate sollecito, ché veruno caso o ponto sarà sì forte che la carità non rompa, e voi fortificarà.

Benedicetemi lo mio figlio frate Simone, e dite che corra col bastone del santo desiderio, cioè de la santa croce. Mandatemi a dire come vi riposate, e come si vede l'onore di Dio. Dice Alessa grassotta che voi preghiate Dio per lei, e molto vi si racomanda che preghiate Dio per lei, e per me Cecca perditrice di tempo. Pregate Dio per Lisa.

Rimanete ne la santa pace e carità di Dio.







205. A Stefano sopradetto poverello d'ogni virtù.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti con tanto lume e conoscimento che tu vega che tu hai bisogno di tagliare, e non di sciogliere, poiché chi non taglia sempre sta legato; e chi non fugge, sempre rimane preso.

Non fare più resistenza allo Spirito santo che ti chiama, ché duro ti sarà a ricalcitrare a lui; e non ti lasciare legare alla tiepidezza del cuore, né all'amore compassionevole feminile, spesse volte colorato col colore della virtù. Ma sia uomo virile che virilmente esca al campo della battaglia, ponendoti dinanzi all'occhio dell'intelletto lo sangue sparto con tanto fuoco d'amore, affinché, tutto libero, sia inanimato alla battaglia. Risponde, risponde, figlio negligente; apre la porta del cuore tuo: ché grande villania è che Dio sta alla porta dell'anima tua, e non gli sia aperto. Non gli essere mercennaio, ma fedele.

Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, dove tu trovarai lo coltello dell'odio e dell'amore, che taglierà ogni legame - il quale fusse fuore della volontà di Dio - e impedimento di perfezione; e trovarai lo lume con che tu hai bisogno di vedere che t'è necessario il tagliare. Altro non ti dico.

Permane etc. Conforta etc. Gesù dolce, Gesù amore.







206. Al santo padre papa Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e carissimo e dolcissimo padre in Cristo Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio io ho desiderato (Lc 22,15) di vedere in voi la plenitudine della divina grazia sì e per sì-fatto modo che voi siate strumento e cagione, mediante la divina grazia, di pacificare tutto l'universo mondo.

E però vi prego, babbo mio dolce, che voi, con solecitudine e affamato desiderio della pace e onore di Dio e salute delle anime, voi usiate lo strumento della potenza e virtù vostra. E se voi mi diceste, padre: «Lo mondo è tanto travagliato: in che modo verrò a pace?», dicovi, da parte di Cristo crocifisso: tre cose principali vi conviene adoperare con la potenza vostra. Cioè, che nel giardino della santa Chiesa voi, governatore d'esso giardino, ne traiate i fiori puzzolenti, pieni d'immondizia e di cupidità, infiati di superbia: cioè i mali pastori e rettori, che atoscano e imputridiscono questo giardino.

Oimé, governatore nostro, usate la vostra potenza: divellete questi fiori, gittateli di fuori, che non abino a governare; vogliate ch'egli studino a governare loro medesimi in santa e buona vita. Piantateci in questo giardino fiori odoriferi, pastori e governatori che sieno veri servi di Gesù Cristo, che non atendano ad altro che all'onore di Dio e salute delle anime, e sieno padri dei povari. Oimé, che grande confusione è questa di vedere coloro che debano essere specchio in povertà volontaria, umili agnelli, distribuire della sustanzia della santa Chiesa ai povari: ed eglino si vegono in tante delizie e stati e pompe e vanità del mondo, più che s'eglino fussero mille volte nel secolo! Anco, molti secolari fanno vergogna a loro, vivendo in buona e santa vita.

Ma i pare che la somma ed eterna bontà facci fare per forza quello che non è fatto per amore: pare che permetta che gli stati e dilizie sieno tolti alla Sposa sua, quasi mostrasse che volesse che la Chiesa santa tornasse nel suo primo stato povarello, umile, mansueto, com'era in quello tempo santo quando non attendevano a altro che a l'onore di Dio e alla salute delle anime, avendo cura delle cose spirituali e non delle temporali; ché, poi ch'ella ha guardato più alle temporali che alle spirituali, le cose sonno andate di male in peggio. Però vedete che Dio per giusto giudicio gli ha permesso molte perseguizioni e tribulazioni.

Ma confortatevi, padre, e non temete per nessuna cosa che fusse avenuta o avenisse, ché Dio lo fa per rendarle lo stato perfetto suo; perché in questo giardino ci si paschino agnelli, e non lupi divoratori dell'onore che deba essere di Dio, lo quale furano e danno a loro medesimi. Confortatevi in Cristo dolce Gesù, ch'io spero che l'aiutorio suo, la plenitudine della divina grazia, lo sovenimento e l'aiutorio divino sarà apresso di voi. Tenendo lo modo detto di sopra, da guerra verrete a grandissima pace, da perseguizione a grandissima unione, non con potenza umana ma con la virtù santa, e sconfigiarete i dimonii visibili delle inique creature e gli invisibili dimonii, che mai non dormono sopra di noi.

Ma pensate, babbo dolce, che malagevolmente potreste far questo, se voi non adempiste l'altre due cose che avanzano a compire le tre: e questo si è dell'avenimento vostro, e del dirizzare lo gonfalone della santissima croce. E non vi manchi lo santo desiderio per neuno scandolo né ribellione di città che voi vedeste o sentiste; anco, più s'acenda lo fuoco del santo desiderio a tosto volere fare. E non tardate però la venuta vostra. Non credete al demonio, che s'avede del suo danno, e però s'ingegna di scandalezzarvi e di farvi tòllare le cose vostre, perché perdiate l'amore e la carità, e impedire lo venire vostro.

Io vi dico, padre in Cristo Gesù, che voi veniate tosto, come agnello mansueto: rispondete allo Spirito santo, che vi chiama. Io vi dico: venite venite venite e non aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi.

Allora farete come lo dissanguato Agnello, la cui vece voi tenete, che con la mano disarmata uccise i nemici nostri, venendo come agnello mansueto, usando solo l'arme della virtù dell'amore, mirando solo d'avere cura delle cose spirituali, e rendare la grazia all'uomo che l'aveva perduta per lo peccato. Oimé, dolce babbo mio, con questa dolce mano vi prego e vi dico che veniate a sconfigiare i nostri nemici: da parte di Cristo crocifisso ve il dico. Non vogliate credare ai consiglieri del demonio che volessero impedire lo santo e buono proponimento. Siatemi uomo virile, e non timoroso.

Rispondete a Dio che vi chiama che veniate a tenere e possedere lo luogo del glorioso pastore santo Piero, di cui vicario sete rimaso, e ine drizzate lo gonfalone della santa croce: ché, come per la croce fumo liberati - così disse Pavoloccio -, così levando questo gonfalone, lo quale mi pare refrigerio dei cristiani, saremo liberati: noi della guerra e divisione e molte iniquità, e il popolo infedele della sua infedelità. E con questi modi voi verrete, e arete la riformazione dei buoni pastori della santa Chiesa; riponaretele lo colore, ch'ella ha perduto, dell'ardentissima carità: ché tanto sangue l'è stato succhiato per l'iniqui divoratori che tutta è impalidita. Ma confortatevi e venite, padre, e non fate più aspettare i servi di Dio, che s'afrigono per desiderio. E io, misera miserabile, non posso più aspettare: vivendo, mi pare morire stentando, vedendo tanto vituperio di Dio. Non vi dilongate però dalla pace, per questo caso, che è avenuto, di Bologna, ma venite: ch'io vi dico ch'i lupi feroci vi mettarano lo capo in grembo come agnelli mansueti, e domandaranovi misericordia. Padre, non dico più.

Pregovi che udiate e ascoltiate quello che vi dirà frate Raimondo padre, e gli altri figli che sonno con lui, che vengono da parte di Cristo crocifisso e da mia; ché sonno veri servi di Dio e figli della santa Chiesa. Perdonate, padre, alla mia ignoranza, e scusimi dprima della vostra benignità l'amore e il dolore che me il fa dire. Datemi la vostra benedizione.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù, dolce Gesù.







207. Ai Signori di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimi e carissimi fratelli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, risovenendomi de la parola che disse lo nostro Salvatore ai discepoli suoi, quando disse: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi, prima che io muoia» (Lc 22,15).

Longo tempo aveva pasquato lo nostro Salvatore con loro, dunque di che Pasqua dice? diceva dell'ultima Pasqua, la quale fece comunicando sé medesimo a loro. Bene mostra che facci come inamorato de la salute nostra; non dice: «Io desidero», ma dice: «Con desiderio io ho desiderato»; quasi dica: «Io ho longo tempo desiderato di compire la vostra redenzione e di darmivi in cibo, e dare a me la morte per rendervi la vita».

Questa era la Pasqua desiderata da lui, e però ha letizia e gode e fa festa in sé, perché si vede adempire lo suo desiderio, lo quale tanto aveva desiderato, e, in segno che ne sente letizia, dice «Pasqua». E lassa a loro la pace (Jn 14,27) e l'unione (Jn 17,11), e che si debbino amare insieme: questo lassa per testamento e per segno, che a questo segno sono cognosciuti i figli e veri discepoli di Cristo (Jn 13,34-35).

Questo vero padre ce il dà per testamento: noi figli non doviamo renunziare al testamento del padre, ché chi renunzia non debba avere la eredità.

Però io desidero con grandissimo desiderio di vedervi figli veri e non ribelli al padre vostro, non renunziatori al testamento de la pace, ma adempitori da questa pace, legati e uniti nel legame e amore dell'ardentissima carità. Stando in questa carità, egli vi darà sé medesimo in cibo, e ricevarete lo frutto del sangue del Figlio di Dio, per lo cui mezzo riceviamo la eredità di vita eterna; poiché, inanzi che il sangue fusse sparto, vita eterna era serrata, e neuno poteva andare al fine suo, il quale fine era Dio, e però era creato l'uomo. Ma perché l'uomo non era stato al giogo dell'ubbidienzia, ma inubbidiente e ribelle al comandamento suo, però venne la morte nell'uomo.

Mosso Dio dal fuoco de la sua divina carità, donocci il Verbo dell'unigenito suo Figlio, lo quale per l'ubidienzia del Padre suo ci dié lo sangue con tanto caldo d'amore, in tanto che ogni cuore superbo e ignorante si doverebbe vergognare, non riconoscendo tanto smisurato beneficio. Lo sangue c'è fatto bagno a lavare le nostre infermitadi, e li chiodi ci sono fatti chiave che hanno diserrata la porta del cielo. Dunque, figli e fratelli miei, non voglio che siate ingrati né irriconoscenti a tanto inestimabile amore quanto Dio vi mostra: voi sapete bene che la ingratitudine fa seccare la fonte de la pietà. Questa è la Pasqua che desidera l'anima mia di fare con voi: che voi siate figli pacifici, e non siate ribelli al capo vostro, ma sudditi e obedienti infine a la morte.

Voi sapete bene che Cristo lassò il vicario suo, e questo lassò per remedio delle anime nostre; in altro non possiamo avere la salute se non nel corpo mistico de la santa Chiesa - il cui capo è Cristo, e noi siamo le membra -; e chi sarà disubediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non participarà lo sangue del Figlio di Dio, poiché Dio ha posto che per le sue mani ci sia comunicato e dato questo sangue e tutte le sacramenta de la santa Chiesa, le quali ricevono vita da esso sangue; e non possiamo andare per altra via né intrare per altra porta, poiché disse la prima verità: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6). Chi tiene per questa via, va per la verità e non per la menzogna. è una via d'odio del peccato d'amore proprio di sé medesimo, lo quale amore è cagione d'ogni male. Questa via ci dà amore delle virtù, le quali danno vita all'anima che essa riceve una unione e carità col prossimo suo, che inanzi sceglie la morte che voglia offendare lo prossimo. E bene vede che, se egli offende la creatura, egli offende lo Creatore; Perciò bene è via di verità. Parmi anco che sia porta, unde ci conviene entrare poi che aviamo fatta la via. Così disse egli: «Neuno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). Perciò vedete, figli miei dolcissimi, che colui che ribella, come membro putrido, a la santa Chiesa e padre nostro Cristo in terra, è caduto nel bando de la morte, poiché quello che facciamo a lui, facciamo a Cristo in cielo, per reverenzia o vitoperio che noi facessimo.

Vedete bene che per la disubbidienzia e persecuzione che avete fatta - credetemi, fratelli miei, che con dolore e pianto di cuore ve il dico -, voi sete caduti nella morte e in odio e in dispiacere di Dio, e peggio non potete avere che essare privati de la grazia sua: poco ci valrebbe la potenza umana, se non ci fusse la divina. Oimé, che invano s'affatica colui che guarda la città, se Dio non la guarda! (Ps 126,1) Se Dio ha fatta guerra con voi per la ingiuria che avete fatta al padre vostro, vicario suo, sete indebiliti, perdendo l'aiutorio suo; poniamo che molti sono quelli che non si credono per questo offendare Dio, ma pare a loro fare sacrifizio a lui: sì perseguitano la Chiesa i pastori suoi, e difendonsi dicendo: i sono gattivi e fanno ogni male.

E io vi dico che Dio vuole e ha comandato così che, eziandio s'i pastori e Cristo in terra fussero dimoni incarnati - non tanto che buono e benigno padre -, i ci conviene essare sudditi e ubbidienti a lui - non per loro in quanto loro, ma, per l'ubbidienzia di Dio - come vicario di Cristo, che vuole che facciamo così.

Sapete che il figlio non ha mai ragione contro del padre, sia gattivo e riceva ingiuria da lui quanta si vuole, ché è tanto smisurato lo beneficio dell'essare, che egli ha avuto del padre, che per nessuna cosa gli può rendare tanto debito. Or così pensate che egli è tanto l'essare e il beneficio de la grazia che traiamo del corpo mistico de la santa Chiesa, che nessuna reverenzia né opera che noi facessimo potrebbe essere sufficiente a rendare questo debito. Oimé oimé, figli miei, piangendo ve il dico, e ve ne prego e constringo da parte di Cristo Crocifisso, che vi riconciliate e facciate pace con lui, e non state più in guerra: non aspettate che l'ira di Dio venga sopra di voi, ché io vi dico che questa ingiuria egli la riputa fatta a sé, e così è. Vogliate ricoverare sotto l'ale dell'amore e timore di Dio, umiliandovi e volendo cercare la pace e unione del padre vostro.

Aprite aprite gli occhi del cognoscimento e non andate in tanta cecità, poiché noi non siamo giuderi né saracini, ma siamo cristiani batteggiati e ricomprati del sangue di Cristo. Non doviamo dunque andare contro al capo nostro per nessuna ingiuria ricevuta, né l'uno cristiano contro all'altro, ma doviamo fare questo contro li infedeli, che ci fanno ingiuria, poiché possegono quello che non è loro, anco è nostro.

Or non più dormire, per l'amore di Dio, in tanta ignoranza e ostinazione: levatevi su e corrite a le braccia del padre vostro, che vi ricevarà benignamente se il farete, e avarete pace e riposo spiritualmente e temporalmente, voi e tutta la Toscana; tutta la guerra che è di qua, andarà sopra l'infedeli, rizzandosi il gonfalone de la santissima croce.

E se non faceste di recarvi a buona pace, avarete il peggiore tempo, voi e tutta la Toscana, che avessero mai i nostri antichi. Non pensate che Dio dorme sopra l'ingiurie che sono fatte a la Sposa sua, ma vegghia, e non ci paia perché vediamo andare la prosperità inanzi, poiché sotto la prosperità è nascosa la disciplina de la potente mano di Dio. Poi che Dio è disposto a porgiarci la misericordia sua, non state, fratelli miei, più indurati, ma umiliatevi ora, mentre che avete lo tempo, poiché l'anima che s'umilia sarà sempre essaltata - così disse Cristo -, e chi s'essaltarà sarà umiliato (Mt 23,12 Lc 14,11 Lc 18,14) con la disciplina e flagelli e battiture di Dio.

Andate con pace e unione: questa è la Pasqua che io ho desiderio di fare con voi, considerando che in altra corte non possiamo fare questa Pasqua se non nel corpo de la santa Chiesa, ché ine è il bagno del sangue del Figlio di Dio, dove si lavano i fracidumi dei peccati nostri; ine si trova il cibo dove l'anima si sazia e si notrica; e trovianvi il vestimento nuziale, il quale ci conviene avere, se vogliamo intrare a le nozze di vita eterna (Mt 22,11), a le quali siamo invitati dall'Agnello dissanguato e derelitto in croce per noi. Questo è lo vestimento de la pace, che pacifica lo cuore e ricuopre la vergogna de la nostra nudità, cioè di molte miserie e difetti e divisioni le quali noi abbiamo l'uno con l'altro, le quali sono cagione e strumento di tollerci lo vestimento de la grazia.

Poi che la benignità dolce di Dio ci rende lo vestimento, non siate negligenti ad andare per esso con sollicitudine virile al capo vostro, affinché la morte non vi truovi nudi, poiché noi doviamo morire e non sappiamo quando. Non aspettate lo tempo, ché il tempo non aspetta voi. Grande simplicità sarebbe d'aspettare e fidarmi di quello che io non ho, né sono securo d'avere. Non dico più.

Perdonate a la mia presunzione, e incolpatene l'amore che io ho a la salute vostra e dell'anima e del corpo, e il dolore che io ho del danno che ricevete, spiritualmente e temporalmente: pensate che più tosto ve il direi a bocca che per lettara. Se per me si può adoperare alcuna cosa che sia onore di Dio e unione di voi e de la santa Chiesa, sono apparecchiata a dare la vita, se bisogna.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù.

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19/10/2012 16:33

208. A frate Bartolomeo Dominici dell'ordine dei Predicatori, in Asciano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Dilettissimo e carissimo mio figlio in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Dio, vi benedico e conforto nel prezioso sangue di Gesù Cristo. «Con desiderio io ho desiderato di fare Pasqua con voi in prima ch'io muoia»: questa è la Pasqua ch'io voglio che noi facciamo, di vederci a la mensa dell'Agnello immacolato, che è cibo mensa e servidore.

In su questa mensa sono i frutti de le vere e reali virtù; ogni altra mensa è senza frutto, e questa è con perfetto frutto, ché dà vita. Questa è una mensa forata, piena di vene che germinano sangue, e tra gli altri v'ha uno canale che gitta sangue e acqua mescolato con fuoco; l'occhio che si riposa in su questo canale, gli è manifestato lo segreto del cuore. Questo sangue è uno vino che inebbria l'anima, del quale quanto più ne beie, più ne volrebbe bere, e non si sazia mai, poiché il sangue e la carne è unita con lo infinito Dio.

O figlio dolcissimo in Cristo Gesù, corriamo con sollecitudine a questa mensa! Adempite lo mio desiderio in voi, sì ch'io faccia la Pasqua; fate come colui che molto beie, che perde sé medesimo e non si vede, e se il vino molto gli diletta, anco ne beie più, e intanto che, riscaldato lo stomaco dal vino, nol può tenere e sì il bomica fuore. Veramente, figlio, che in su questa mensa troviamo questo vino - cioè lo costato aperto del Figlio di Dio -: egli è quel sangue che scalda e caccia fuore ogni freddezza, rischiara la voce di colui che il beie, letifica l'anima e il cuore, perché questo sangue è sparto col fuoco de la divina carità. E scalda tanto l'uomo, che gitta sé fuore di sé, e quinci viene che non può vedere sé per sé, ma sé per Dio, e Dio per Dio, e il prossimo per Dio. E quando egli ha bene beiuto, egli lo gitta sopra lo capo dei fratelli suoi: ha imparato da colui che in mensa continuamente versa, non per sua utilità ma per nostra. Noi che mangiamo a la mensa, conformandoci col cibo, facciamo quello medesimo, non per nostra utilità, ma per onore di Dio e per la salute del prossimo: per questo sete mandato. Confortatevi, ché questo fuoco vi darà la voce e tollaravi la fiocaggine.

S'io potrò, io vi venrò e molto volentieri; richiamatevene a Cristo che mi faccia venire. Dite a misser Biringhieri che si conforti con Cristo Gesù, e raguardi la brevità del tempo e il prezzo ch'è pagato per lui: io lo venrò a vedere s'io potrò. Dite a frate Simone ch'io tolrò la fune de la carità, e tenrollo legato al petto mio, sì come madre lo figlio. Sono consolata di questo prete, che pare ch'abbi buona volontà; menatelo ai frati di Monte Oliveto, e brigatelo d'aconciare lo più tosto che voi potete. Siate siate sollecito.

Mona Giovanna vi conforta e benedice. Ricordivi di Giovanna pazza e 'nvasata del fuoco dell'Agnello smiraldato. Lisa e mona Alessa e Cecca cento migliaia di volte vi si racomandano. Laldato sia Gesù Gesù Gesù.



209. Al santo padre papa Gregorio XI, poi che fu giunto a Roma.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi giunto alla pace, pacificato voi i figliuogli con voi; la quale pace Dio vi richiede, e vuole che ne facciate ciò che potete.

Oimé, non pare che voglia che noi attendiamo tanto alla signoria e sustanzia temporale che non si vegga quanta è la destruzione delle anime e vitoperio di Dio, lo quale segue per la guerra. Parmi che Dio voglia che voi apriate l'occhio dell'intelletto sopra la bellezza dell'anima e sopra lo sangue del Figlio suo; del quale sangue lavò la faccia dell'anima nostra, e voi ne sete ministro. Invitavi a la fame del cibo delle anime, ché colui che ha fame de l'onore di Dio e della salute delle pecorelle, per ricoverarle e trarle delle mani deli demoni egli lassa andare la vita sua corporale, non tanto che la sustanzia.

Bene che potreste dire, santo padre: «Per conscienzia io sono tenuto di conservare e racquistare quello della Chiesa». Oimé, io confesso bene che egli è la verità, ma parmi che quella cosa che è più cara, si debba meglio guardare. Lo tesoro della Chiesa è lo sangue di Cristo, dato in prezzo per l'anima - ché lo tesoro del sangue non è pagato per la sustanzia temporale, ma per salute de l'umana generazione -, sì che, poniamo che siate tenuto di racquistare e conservare lo tesoro e la signoria de le città, la quale la Chiesa ha perduta, molto maggiormente sete tenuto a racquistare tante pecorelle che sono uno tesoro nella Chiesa, che troppo ne 'mpoverisce quando ella le perde. Non che impoverisca in sé, ché lo sangue di Cristo non può diminuire, ma perde uno adornamento di gloria, lo quale riceve da l'anime virtuose obbedienti e suddite a lei. Meglio ci è dunque lasciare andare lo loto delle cose temporali che l'oro delle spirituali. Fate quello che si può, e, fatto lo potere, scusato sete dinanzi a Dio e agli uomini del mondo. Voi gli batterete più col bastone de la benignità, dell'amore e pace, che col bastone della guerra; e verràvi riavuto lo vostro spiritualmente e temporalmente.

Ristrignendosi l'anima mia fra sé e Dio, con grande fame della salute vostra e reformazione della santa Chiesa e bene di tutto quanto lo mondo, non pare che Dio manifesti altro remedio, né io vedo altro in lui, che quello della pace. Pace, pace, per l'amore di Cristo crocifisso! Non raguardate all'ignoranza, cecità e superbia dei figli vostri; con la pace lo' trarrete la guerra e rancore del cuore e la divisione, e unireteli.

Con la virtù cacciarete lo demonio.

Apritemi bene l'occhio dell'intelletto, con fame e desiderio della salute delle anime, a raguardare due mali: male nella grandezza, signoria e sustanzia temporale, la quale vi pare essere tenuto di racquistare; l'altro male è di vedere perdere la grazia nell'anime, e l'obbedienzia la quale debbono avere alla Santità vostra. E così molto maggiormente sete tenuto di racquistare l'anime. Poi che l'occhio dell'intelletto ha veduto e discerne quale è lo meno male, voi, santissimo padre, che sete in mezzo di questi così grandi due mali, dovete eleggiare lo minore: scegliendo lo minore per fuggire lo maggiore, perderete l'uno male e l'altro; e amenduni torneranno in bene: cioè che averete in pace racquistati i figli, e avarete lo debito vostro.

Mia colpa! che io non dico questo però per insegnarvi, ma sono constretta da la prima dolce Verità e dal desiderio che io ho, babbo mio dolce, di vedervi pacificato, in quiete l'anima e il corpo; ché con queste guerre e malaventura non vedo che potiate avere una ora di bene. Distruggesi quello dei poveri nei soldati, i quali sono mangiatori de la carne degli uomini, e vedo che impedisce lo santo vostro desiderio, lo quale avete della reformazione della Sposa vostra.

Riformarla, dico, di buoni pastori e rettori; e voi sapete che con la guerra malagevolmente lo potete fare, ché - parendovi avere bisogno di principi e signori - la necessità vi parrà che vi stringa di fare i pastori a modo loro, e non vostro; bene che ella è pessima ragione che, per veruno bisogno che si vegga, io metta però pastori o altri, chi si sia, nella Chiesa, che non sia tutto virtuoso e persona che non cerchi sé per sé, ma cerchi sé per Dio, cercando la gloria e loda del nome suo. E non debba essere enfiato per superbia, né porco per immundizia, né foglia che si volla al vento delle pompe ricchezze e vanità del mondo. Oimé, non così, per l'amore di Cristo crocifisso, e per la salute dell'anima vostra! Tollete via la cagione della guerra, quanto è possibile a voi, affinché non veniate in questo inconveniente di fargli secondo la volontà degli uomini, e non secondo la volontà di Dio e desiderio vostro.

Voi avete bisogno dell'aiutorio di Cristo crocifisso: in lui ponete l'affetto e il desiderio, e non in uomo e aiutorio umano, ma in Cristo dolce Gesù, la cui vece voi tenete, ché i pare che egli voglia che la Chiesa torni al primo dolce stato suo. O quanto sarà beata l'anima vostra e mia che io vegga voi essere cominciatore di tanto bene, che alle vostre mani quello che Dio permette per forza, si facci per amore! Questo sarà lo modo a farlo: con pace, e con pastori veri e virtuosi e umili servi di Dio, ché ne trovarete, se piacerà alla Santità vostra di cercargli. Ché sono due cose per che la Chiesa perde e ha perduto i beni temporali, cioè per la guerra e per lo mancamento della virtù; ché colà dove non ha virtù, sempre ha guerra col suo Creatore, sì che la guerra n'è cagione. Ora dico che, a volere racquistare quello che è perduto, non c'è altro remedio se non col contrario di quello con che è perduto: racquistare con pace e virtù, come detto è. A questo modo adempirete l'altro santo desiderio vostro e dei servi di Dio, e di me misera miserabile: di racquistare le tapinelle anime degl'infedeli che non participano lo sangue de lo dissanguato e consumato Agnello. Or vedete, santissimo padre, quanto è lo bene che se ne impedisce, e quanto è lo male che ne segue e che se ne fa: spero per la bontà di Dio e nella Santità vostra che, giusta al vostro potere, v'ingegnarete di ponare lo remedio detto della santissima pace. Questa è la volontà di Dio.

E dicovi, da parte dolcissima sua, che di questo e dell'altre cose che avete a fare voi pigliate consiglio da' veri servi di Dio, che vi consigliaranno in verità; e di loro vi dilettate, ché n'avete bisogno. E però sarà bene, ch'è di grande necessità, che voi gli teniate allato a voi, mettendogli per colonne nel corpo mistico della santa Chiesa. Credo che frate Iacopo da Padova, portatore di questa lettera, sia uno vero dolce servo di Dio, lo quale vi racomando; e pregovi che piaccia alla Santità vostra che lui e gli altri vi vogliate sempre vedere apresso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Perdonate alla mia presunzione. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.





210. A missere Matteo, rettore de la Casa de la Misericordia di Siena.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello e figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue del Figlio di Dio, con desiderio di vedervi annegato e affogato nell'abondanzia d'esso sangue suo. La memoria del quale sangue rende calore e lume all'anime fredde e tenebrose, dona larghezza e tolle estremità, tolle superbia e infonde umilità, tolle crudeltà e dona pietà.

O inestimabile carità di carità, non mi maraviglio se nel sangue tuo io truovo la virtù de la pietà, impoiché io vedo che per divina pietà tu hai dissanguato te medesimo, e non per debito; e facesti vendetta de la crudele e pessima crudeltà che l'uomo ebbe a sé medesimo quando per lo peccato si fece degno di morte.

Perciò desidero di vedervi annegato in questo fiume, a ciò che ne traiate quella pietosa compassione e misericordia, la quale continuamente vi bisogna adoperare secondo lo stato vostro. E poniamo che io desideri di vedervi usare questa virtù inverso i povari di Cristo, de le sustanzie temporali, non sono contenta qui, ma invitovi, secondo che Dio invita l'anima mia, a distendere gli amorosi e ardentissimi desiderii, con occhi pietosi e lagrimosi, mostrando, nel conspetto de la divina pietà, compassione a tutto lo mondo. Ed egli c'insegna molto bene il modo, sì come ebbro d'amore, e per lo desiderio che ha di fare tosto l'opera sua dice: «Pigliate il corpo de la santa Chiesa coi membri legati e tagliati, e ponetelo con piatosa compassione sopra il corpo mio». Sopra lo quale corpo furono fabricate tutte le nostre iniquità, poiché egli fu quello che prese con pena la città dell'anima nostra, e il Padre fu quello che accettò il sacrificio.

Mangiamo mangiamo Perciò l'anime sopra a questa mensa del corpo del dolce Figlio di Dio, sì che, passando i penosi e ansiati desiderii con fadigosi aspettari, sopravenendo gli adempiuti dolci e inamorati desiderii - dove l'anima si pacifica quando si vede adempiuto quello che molto tempo ha desiderato -, possiamo allora, con dolci voci e soavi, gridare al Padre quello che dice la santa Chiesa: «Per Gesù Cristo nostro Signore tu ci hai fatto misericordia, levando i lupi e piantando gli agnelli». Perciò, o padre fratello e figlio in Cristo Gesù, levianci dal sonno de la negligenzia, a ciò che in poco tempo noi usciamo de le mani dei lupi e perveniamo a questa giocundità, non per noi ma solo per l'onore di Dio.

Questa è quella virtù pietosa che io voglio che noi aviamo, e però dissi che io desideravo di vedervi affogato nel sangue del Figlio di Dio, poiché ella è quella memoria che notrica la virtù de la pietà e de la misericordia nell'anima nostra. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





211. A maestro Raimondo, in Vignone.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi voi e gli altri figliuogli vestiti del vestimento nuziale, lo quale è quel vestimento che ricuopre tutte le nostre nudità.

Egli è una arme che non lassa incarnare a morte i colpi dell'avversario demonio; ma più tosto l'ha a fortificare che a 'ndebilire ogni colpo di tentazione o molestia di demonio, o di creatura, o della carne propria, che volesse ribellare allo spirito. Dico che questi colpi, non tanto che sieno nocivi, ma i saranno pietre preziose e margarite poste sopra questo vestimento dell'ardentissima carità. Or da che sarebbe l'anima che non portasse delle molte fatiche e tentazioni, da qualunque parte e per qualunque modo Dio le concede? Non sarebbe in lei virtù provata, poiché la virtù si pruova per lo suo contrario.

Con che si pruova la purezza e s'acquista? col contrario, cioè con la molestia della immondizia, poiché, chi fusse immondo, non gli bisognarebbe ricevare molestia dalle cogitazioni della immondizia; ma perché si vede che la volontà è privata dei perversi consentimenti, ed è purificata d'ogni macchia per santo e vero desiderio che ha di piacere al suo Creatore, però il demonio, lo mondo e la carne gli danno molestia. Sì che ogni cosa contraria si caccia per lo suo contrario. Vedete che per la superbia s'acquista l'umilità: quando l'uomo si vede molestare da esso vizio di superbia, subito s'umilia, conoscendosi difettuoso e superbo: che se non avesse avuta quella molestia non si sarebbe sì ben conosciuto. Poi che s'è umiliato e veduto sé, concepe uno odio per sì-fatto modo che gode ed essulta d'ogni pena e ingiuria che sostenesse. Questi fa come cavaliere verile, lo quale non ischifa i colpi, anco si riputa indegno di tanta grazia quanta gli pare, ed è, a sostenere pena, tentazioni e molestie per Cristo crocifisso. Tutto è per l'odio ch'egli ha di sé medesimo, e per amore che ha conceputo alla virtù.

Perciò vedete che non è da fuggire né dolersi nel tempo delle tenebre, poiché dalle tenebre nasce la luce. O Dio dolce amore, che dolce dottrina dai, che per lo contrario della virtù s'acquista la virtù! Della impazienzia s'acquista la pazienza: ché l'anima che sente lo vizio della impazienzia diventa paziente della ingiuria ricevuta, ed è impaziente verso il vizio della impazienzia, e più si duole che ella si duole, che di nessuna altra cosa. E così nei contrarii le viene acquistata la perfezione, e non se n'avvede; trovasi diventato perfetto nelle molte tempeste e tentazioni. E in altro modo non si giogne mai a porto di perfezione. Sicché pensatevi questo: che l'anima non può ricevare né desiderare virtù che ella non abbi i desiderii, molestie e tentazioni sostenere con vera e santa pazienza per amore di Cristo crocifisso.

Dobiamo dunque godere ed essultare nel tempo delle battaglie molestie e tenebre, poi che di loro esce tanta virtù e diletto.

Doimé, figlio dato da quella dolce madre Maria, non voglio che veniate a tedio né a confusione, per nessuna molestia che sentiste nella mente vostra; ma voglio che voi conserviate la buona e santa e vera fedele volontà, la quale io so che Dio per sua misericordia v'ha data. So che vorreste inanzi morire che offendarlo mortalmente. Sì ch'io voglio che delle tenebre esca lo conoscimento di voi medesimo, senza confusione; della buona volontà esca uno conoscimento della infinita bontà e inestimabile carità di Dio, e in questo conoscimento stia e ingrassi l'anima vostra.

Pensate che per amore egli vi conserva la buona volontà, e non la lassa corrire per consentimento e diletto dietro alle cogitazioni del demonio. E così, per amore ha permesso a voi e a me e agli altri servi suoi le molte molestie e illusioni dal demonio, dalle creature e dalla carne propria, solo perché noi ci leviamo dalla negligenzia e veniamo a perfetta sollecitudine, a vera umilità e ardentissima carità; la quale umilità viene per conoscimento di sé, e la carità per lo conoscimento della bontà di Dio. Ine s'inebria e si consuma l'anima per amore.

Godete, padre, ed essultate; e confortatevi, senza neuno timore servile, e non temete per nessuna cosa che vedeste venire o che fusse venuta, ma confortatevi, ché la perfezione è presso da voi. E rispondete al demonio, dicendo che quella virtù non ha adoperato in voi per me, poiché non era in me; ma è adoperata per grazia della infinita pietà e misericordia di Dio, sì che per Cristo crocifisso ogni cosa potrete. Fate con fede viva tutte le vostre opere, e non mirate perché vedeste apparire nessuna cosa contraria, che paresse che fusse contro la vostra opera. Confortatevi confortatevi, ché la prima e dolce Verità ha promesso d'adempire lo vostro e mio desiderio in voi. Svenatevi per ardente desiderio con lo dissanguato e consumato Agnello; riposatevi in croce con Cristo crocifisso; dilettatevi in Cristo crocifisso, dilettatevi in pene; satollatevi d'obrobrii per Cristo crocifisso; inestisi lo cuore e l'affetto in sull'albero della santissima croce con Cristo crocifisso; e nelle piaghe sue fate la vostra abitazione.

E perdonate a me, cagione e strumento d'ogni vostra pena e imperfezione, ché, se io fussi strumento di virtù, sentireste, voi e gli altri, odore di virtù. E non dico queste parole perch'io voglia che n'abbiate pena, - perché la vostra pena sarebbe mia -: perché voi abbiate compassione, voi e gli altri figli, alle mie miserie. Spero e tengo di fermo, per la grazia dello Spirito santo, che porrà fine e termine in tutte quelle cose che sono fuori della volontà di Dio. Pensate che io misera miserabile sto nel corpo, e truovomi per desiderio continovo fuori del corpo. Oimé, dolce e buono Gesù, io muoio e non posso morire, e schioppo e non posso schioppare del desiderio ch'io ho della rinovazione della santa Chiesa - per onore di Dio e salute d'ogni creatura -, e di vedere voi e gli altri vestiti di purezza, e arsi e consumati nell'ardentissima carità sua.

Dite a Cristo in terra che non mi faccia più aspettare. E quando io vedarò questo, cantarò con quello dolce vecchio di Simeone: () (Lc 2,29).

Non dico più, ché, se io seguissi la volontà, testé cominciarei.

Fate che io vi vegga e senta tutti legati e conficcati con Cristo dolce Gesù, sì e per sì-fatto modo, ché né dimonia né creatura vi possa mai partire né separare da così dolce e soave legame. Amatevi amatevi amatevi insieme.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





212. A Neri di Landoccio - cum esset Florentia-


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere crescere in te lo santo e buono desiderio, con dolce e vera perseveranza infine al fine.

Pensati, figlio mio, che ogni dì si conviene che noi c'ingegniamo di crescere in virtù, poiché non andando inanzi sarebe uno tornare adietro. Spero, per la divina bontà, che s'adempirà in te lo desiderio mio, in questo e anco in altro. Non dico al presente altro per la brevità del tempo, e per occupazione d'alcune altre cose a che mi conviene attendere.

Confortati in Cristo Crocifisso con una buona pazienza, e conforta e benedi' More molto molto per mia parte; e fa che tu preghi Dio per questi tuoi fratelli, i quali ti mandano molto confortando e singolarmente per questo negligente di Stefano. Barduccio e Francesco stanno bene, e molto ti confortano.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







213. A Daniella da Orvieto vestita de l'abito di santo Domenico.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suora e figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in te la virtù santa della discrezione, la quale virtù ci è necessaria d'avere, se voliamo la salute nostra.

Perché c'è ella tanto di necessità? Perché ella esce del cognoscimento di noi e di Dio: in questa casa tiene le sue radici. Ella è drittamente un figlio parturito dalla carità. Che è propriamente discrezione? e che principalmente adopera? Discrezione è uno lume e un cognoscimento che l'anima ha di sé e di Dio, come detto è. La principale cosa che ella aopera, è questa: che con lume discreto ha veduto a cui è obligata e quello che dovrebbe rendere. E perché l'ha veduto, però subito il rende con perfetta discrezione, rendendo a Dio gloria e loda al nome suo. E tutte le opere che fa l'affetto dell'anima, fa con questo lume, cioè che tutte sono fatte per questo fine, sì che a Dio rende il debito de l'onore.

Non fa come lo indiscreto robbatore, che lo onore vuole dare a sé; e per cercare il proprio onore e piacere, non si cura di fare vituperio a Dio, e danno al prossimo. Unde perché la radice de l'affetto dell'anima è corrotto dalla indiscrezione, sono corrotte tutte le sue opere in sé e in altrui. Come in altrui? Che indiscretamente comanda e pone i pesi ad altri, o spirituale o secolare che sia, e di qualunque stato s'è. Se egli amunisce o consiglia, indiscretamente il fa, volendo pesare ogni persona con quel peso col quale pesa sé medesimo. Il contrario fa l'anima discretamente: vede il bisogno suo e l'altrui. Unde, poi che ella ha renduto il debito de l'onore a Dio, ella rende il suo a sé, cioè odio del vizio e della propria sensualità che n'è cagione, e amore della virtù, amandola in sé.

Questo medesimo lume, col quale ella si rende il debito, rende al prossimo suo. E però dissi: in sé e in altrui. Unde rende al prossimo il debito al quale gli è obligata, cioè la benevolenza, amando in lui la virtù, e odiando il vizio, e amalo come creatura creata dal sommo eterno Padre. Meno e più perfettamente rende la carità della carità a lui, secondo che l'ha in sé. Sì che questo è il principale effetto, che adopera la discrezione nell'anima, perché con lume ha veduto che debito le conviene rendere, e a cui, e però il rende.

Questi sono tre rami principali che escono di questo glorioso figlio della discrezione, il quale esce dell'albero della carità. Di questi tre rami escono infiniti frutti, tutti suavi e di grandissima dolcezza, da nutrere e crescere l'anima nella vita della grazia, quando con la mano del libero arbitrio, e con la bocca del santo e ardente desiderio, gli prende. In ogni stato che la persona è, gusta di questi frutti, se ella ha il lume della discrezione: in diversi modi, secondo il diverso stato.

Colui che è nello stato del mondo, e ha questo lume, coglie il frutto dell’obbedienza dei comandamenti di Dio, e il dispiacere del mondo, spogliandosene mentalmente, poniamo che attualmente ne sia vestito. Se egli ha figli, piglia il frutto di nutrergli col timore santo di Dio. Se egli è signore, piglia il frutto della giustizia, perché discretamente vuole rendere a ciascuno il debito suo; unde col rigore della giustizia il giusto premia, e l'ingiusto che ha commessa la colpa punisce, gustando il frutto della ragione: che per lusinghe né per timore servile non si parte da questa via. Se egli è suddito, piglia il frutto dell’obbedienza e reverenzia verso il signore suo, schifando la cagione e le vie per le quali il potesse offendere. Se col lume non l'avesse vedute, non l'avrebbe schifate.

Se sono religiosi o prelati o sudditi, tràggonne il frutto dolce e dilettevole d'essere osservatori de l'ordine loro, portando e sopportando i difetti l'uno dell'altro, abracciando le vergogne e il dispiacere di sé, ponendosi sopra le spalle il giogo dell’obbedienza. Lo prelato piglia la fame de l'onore di Dio e salute delle anime, gittando lo' il lamo della dottrina e della vita essemplaria. In quanti diversi modi e in diverse creature si pigliano questi frutti troppo sarebbe lungo a narrare; con lingua non si potrebbono esprimere.

Ma vediamo, carissima figlia (parliamo ora in particulare, e parlando in particulare sarà parlato in generale): che regola dà questa virtù della discrezione nell'anima? Pare a me, che ella dia questa regola nell'anima e nel corpo, in persone che spiritualmente vogliono vivere, attualmente e mentalmente, benché ella ogni persona regoli nel grado e nello stato suo: ma parliamo ora a noi. La prima regola che ella dà nell'anima, è quella che detta abiamo, di rendere l'onore a Dio, al prossimo la benevolenza, e a sé odio del vizio e della propria sensualità. Questa carità nel prossimo ella l'ordina: cioè che l'uomo per lo prossimo non pone l'anima sua, ché per fargli utilità non vuole offendere Dio, ma discretamente fugge la colpa, e dispone il corpo suo ad ogni pena e tormento, per campare una anima, e quante ne potesse campare, delle mani del demonio. E disponsi a dare la substanzia temporale per subvenire e campare il corpo del prossimo suo: questo fa la carità con questo lume della discrezione, ché discretamente l'ha regolato nella carità del prossimo. Il contrario fa l'indiscreto, che non si cura d'offendere Dio, né di ponere l'anima sua per fare servigio e piacere al prossimo indiscretamente: quando in rendere falsa testimonianza, quando in farli compagnia in luoghi scelerati e miserabili; e così in molti altri modi, come tutto dì lo' vengono i casi.

Questa è la regola della indiscrezione, la quale esce della superbia e della perversità dell'amore proprio di sé, e della cecità di non avere cognosciuto né sé né Dio.

Poi che la discrezione ha regolata l'anima nella carità del prossimo, ed ella la regola in quella cosa che la conserva e cresce in essa carità, cioè nella continua umile e fedele orazione, ponendole il manto dell'affetto delle virtù, affinché non sia offesa dalla tiepidezza, negligenzia, e amore proprio di sé, spirituale né corporale: però le dà questo affetto delle virtù, affinché l'affetto suo non si ponesse in veruna altra cosa dalla quale potesse ricevere alcuno inganno.

Anco questa discrezione ordina e regola corporalmente la creatura. In che? Dicotelo: che l'anima la quale si dispone a volere Dio fa il suo principio nel modo che detto abiamo, ma, perché ella ha il vasello del corpo, si conviene che questo lume ponga la regola a lui, come l'ha posta nell'anima, sì come strumento che egli è o debbe essere ad augmentare la virtù. La regola è questa: che egli il sottrae dalle delizie e dilicatezze del mondo, e levalo dalla conversazione dei mondani, e dàgli la conversazione dei servi di Dio; levalo da' luoghi dissoluti, e tienlo nei luoghi che lo induchino a devozione. A tutte le membra del corpo dà ordine, affinché sieno modesti e temperati: l'occhio che non raguardi dove non debbe raguardare, ma dinanzi a sé ponga la terra e il cielo; la lingua fugga il parlare ozioso e vano, e sia ordinata ad annunziare la parola di Dio, confessare i peccati suoi, e in salute del prossimo; l'orecchie fugano le parole dilettevoli, lusinghevoli, e di detrazione o dissolute che gli fossino dette; e attenda ad udire la parola di Dio, e il bisogno del prossimo, cioè voluntariamente udire la sua necessità. Così la mano nel toccare e ne l'adoperare, i piedi nell'andare: a tutti dà regola. E affinché per la legge perversa della impugnazione che dà la carne contro lo spirito non si levi a disordinare questi strumenti, pone regola al corpo, macerandolo con la vigilia, col digiuno, e con gli altri essercizii, i quali hanno tutti a rifrenare il corpo nostro.

Ma attende che tutto questo fa non indiscretamente, ma con lume dolce di discrezione. E in che il dimostra? In questo: che ella non pone per principale affetto suo veruno atto di penitenza; e affinché non cadesse in questo inconveniente di ponere per principale affetto la penitenza, provide il lume della discrezione di mantellare l'anima con l'affetto delle virtù. Debbesi bene usare la penitenza come strumento, ai tempi e ai luoghi, secondo che bisogna. Unde se il corpo per troppa fortezza ricalcitrasse allo spirito, priva della verga della disciplina, il digiuno, il cilicio, le molte genue, con grande vigilia: pongli allora dei pesi assai, affinché egli stia più trito. Ma se il corpo è debole, e venuto ad infermità, non vuole la regola della discrezione che si faccia così, anco debba non solamente lasciare stare il digiuno, ma mangi della carne. E se non ha assai d'una volta o due il dì, pigline quattro. Se non può stare in terra, stia in su lo letto; se non può ginocchioni, stia a sedere, e a giacere se n'ha bisogno. Questo vuole la discrezione, e però t'ha posta la penitenza per strumento, e non per principale tuo affetto. E sai perché egli non vuole? Affinché l'anima serva a Dio con cosa che non gli possa essere tolta e che non sia finita, ma con cosa infinita, cioè col desiderio santo: il quale è infinito, per l'unione che ha fatta ne l'infinito desiderio di Dio, e nelle virtù, le quali né demonio né creatura, né infermità ci può togliere, se noi non voliamo. Anco nella infermità pruovi la virtù della pazienza; nelle battaglie deli demoni e molestie che ricevessi dalle creature pruovi la virtù della fortezza, la pazienza e la longa perseveranza. E così tutte le altre virtù permette Dio che ci sieno provate e augmentate con molti contrarii, ma non tolte mai, se noi non voliamo.

In questo dobiamo fare il nostro fondamento, e non nella penitenza. Due fondamenti non può l'anima fare: ché o l'uno o l'altro si conviene che vadi a terra, e quello che non è principio usi per strumento. Se io fo il mio principio nella penitenza corporale, io edifico la città dell'anima sopra l'arena, che ogni picciolo vento la caccia a terra, e neuno edificio vi posso ponere su. Ma se io edifico sopra la virtù, è fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù, e non è veruno edificio tanto grande che non vi stia su bene, né vento sì contrario che mai il dia a terra. Per questo e molti altri inconvenienti che ne vengono, non ha voluto che la penitenza s'usi altro che per strumento.

Molti penitenti ho già veduti, i quali non sono stati pazienti, né obedienti, né umili, perché hanno studiato ad uccidere il corpo, ma non la voluntà. Questo ha fatto la regola della indiscrezione. Sai che n'addiviene? Tutta la consolazione e l'affetto loro è posto in fare la penitenza a loro modo, e non a modo altrui. In essa nutreno la loro voluntà: mentre che essi la compiono, hanno consolazione e allegrezza, e pare a loro essere pieni di Dio, come se ogni cosa avessino compito; e non s'aveggono che caggiono nella propria reputazione, e in giudicio: che se ognuno non va per questa via, lo' pare che sieno in stato di dannazione o in stato imperfetto. Indiscretamente vogliono misurare tutti i corpi d'una misura medesima, cioè con quella che essi misurano loro stessi. E chi gli volesse ritrare da questo o per rompere la loro voluntà o per necessità che n'avessero, tengono la voluntà più dura che il diamante; vivi per sì-fatto modo che al tempo della pruova, o d'una tentazione o d'una ingiuria, si trovano in questa voluntà perversa più debili che la paglia. La indiscrezione lo' mostrava che la penitenza rifrenasse l'ira, la impazienzia e gli altri movimenti che vengono sopra ai vizii, ed egli non è così.

Mostrati questo glorioso lume che con l'odio e pentimento di te, con agravare la colpa, con rimproverio, con la considerazione di vedere chi è Dio che è offeso da te, e chi sei tu che l'offendi, con la memoria della morte, e con l'affetto delle virtù ucciderai il vizio nell'anima, e trarra'ne le barbe. La penitenza taglia, ma tu ti truovi sempre la barba, la quale è atta a fare germinare: ma questo divelle e dibarbica. è bene questa terra, dove stanno piantati i vizii, sempre atta a ricevere, se la propria voluntà col libero arbitrio ve ne mette: altrementi no, poiché la radice n'è divelta. E se caso viene che a quel corpo, per forza d'infermità, gli convenga uscire dei suoi modi, egli viene subito a uno tedio e confusione, privato d'ogni allegrezza; e pargli essere dannato e confuso, e non trova la dolcezza nell'orazione, come gli pareva avere nel tempo della sua penitenza. E dove n'è andata? nella propria voluntà, nella quale ella era fondata, la quale voluntà non potendo compire, ha pena e tristizia. E dove è la speranza che tu avevi del regno di Dio, che ora sei venuto a tanta confusione e quasi a disperazione? Èssene andata ne l'affetto della penitenza, per cui mezzo speravi d'avere vita eterna; non potendola più fare, parnegli essere privato. Questi sono i frutti della indiscrezione. Se egli avesse il lume della discrezione, vedrebbe discretamente che solo essere privato delle virtù gli tolle Dio; e col mezzo della virtù, mediante il sangue di Cristo, ha vita eterna.

Perciò ci leviamo da ogni imperfezione, e poniamo l'affetto nostro nelle virtù, come detto è; le quali sono di tanto diletto e giocundità, che la lingua nol potrebbe mai narrare. Nessuno è che a quella anima possa dare pena, né che le tolga la speranza del cielo, perché ella ha morta in sé la propria voluntà nelle cose temporali e nelle spirituali, e perché l'affetto suo è posto non in penitenza né in propria consolazione, né in revelazioni, ma nel sostenere per Cristo crocifisso e per amore della virtù. Unde ella è paziente, fedele, spera in Dio, e non in sé né in sua opera; ella è umile e obediente a credere ad altri e non a sé, e però non presumme di sé medesima. Ella si dilarga nelle braccia della misericordia, e con essa caccia la confusione della mente. Nelle tenebre e battaglie trae fuore il lume della fede, essercitandosi con vera e profonda umilità; e nell'allegrezza entra in sé medesima, affinché il cuore non venga a vana letizia. Ella è forte e perseverante, perché ha morta in sé la propria voluntà che la faceva debole e inconstante.

Ogni tempo l'è tempo e ogni luogo l'è luogo: se ella è nel tempo della penitenza, a lei è tempo d'allegrezza e consolazione, perché l'usa come strumento; e se per necessità o perobbedienza gliele conviene lasciare, ella gode perché il principale fondamento de l'affetto delle virtù non le può essere tolto, e non è tolto da lei; e anco perché si vede annegare la propria voluntà la quale ha veduto col lume che sempre l'è necessario di ricalcitrarle con grande diligenzia e sollicitudine. In ogni luogo trova l'orazione, perché sempre porta con sè il luogo dove Dio abita per grazia e dove noi oriamo, cioè la casa dell'anima nostra, dove òra il continuo santo desiderio. Lo quale desiderio si leva col lume dell’intelletto a specolarsi in sé, e nel fuoco inestimabile della divina carità, il quale trova nel sangue sparto per larghezza d'amore, e il sangue trova nel vasello dell'anima. A questo attende, e debba attendere di conoscere, affinché nel sangue s'inebrii, e nel fuoco ardi e consumi la propria voluntà, e non solamente a compire il numero dei molti paternostri.

Così faremo l'orazione nostra continua e fedele; perché nel fuoco della sua carità conosceremo che egli è potente a darci quello che adomandiamo; è somma sapienza, che sa dare e discernere quello che c'è necessario; ed è clementissimo e pietoso Padre, che ci vuole dare più che l'anima non desidera, e più che non sa adimandare per la sua salute e bisogno. E dissi che ella è umile, perché ha cognosciuto in sé il difetto suo, e sé non essere. Questa è quella orazione per cui mezzo veniamo a virtù, e conserviamo in noi l'affetto d'esse virtù. Chi è principio di tanto bene? la discrezione figlia della carità, nel modo che detto abiamo. E di quel bene che ha in sé, di quello porge al prossimo suo.

Unde l'amore, la dottrina e il fondamento che ha fatto e ricevuto in sé, quel medesimo porge alla creatura; e mostralo per essemplo di vita e per dottrina, cioè per consiglio quando vede la necessità, o quando le fosse chiesto. Ella conforta, e non confonde l'anima inducendola a disperazione quando per alcuno difetto fosse caduta, ma caritativamente si fa inferma con lei insieme, dandole il remedio che si può, e dilargandola nella speranza nel sangue di Cristo crocifisso. Questi e infiniti frutti dona al prossimo la virtù della discrezione. Perciò, poiché ella è tanto utile e necessaria, carissima e dilettissima figlia e suora mia in Cristo dolce Gesù, io invito te e me a fare quello che per lo tempo passato io confesso non avere fatto con quella perfezione che io debbo.

A te non è intervenuto quello che a me, cioè d'essere stata ed essere difettuosa, e d'essere andata con larghezza di vita, e non con estrema, per lo mio difetto; ma tu, come persona che hai voluto atterrare la gioventudine del corpo tuo, affinché non sia ribelle all'anima, hai presa la vita estrema per sì-fatto modo che pare che ella sia fuori de l'ordine della discrezione, in tanto che pare che ella ti voglia fare sentire dei frutti della indiscrezione, e fare vivere in questo la propria tua voluntà. E lassando tu quello che sei usata di fare, pare che il demonio ti voglia fare vedere che tu sia dannata. A me dispiace molto, e credo che sia grande offesa di Dio. E però voglio, e prego te, che il principio e il fondamento nostro con vera discrezione sia fatto ne l'affetto delle virtù sì come detto è. Uccide la tua voluntà, e fa' quello che t'è fatto fare: attienti all'altrui vedere più che al tuo. Sentiti il corpo debole e infermo: prendi ogni dì il cibo, quello che t'è necessario a ristorare la natura. E se la infermità e debolezza si leva, piglia una vita ordinata con modo, e non sanza modo. Non volere che il piccolo bene della penitenza impedisca il maggiore: non te ne vestire per tuo principale affetto, che tu te ne troveresti ingannata: ma voglio che per la strada battuta delle virtù noi andiamo realmente, e per questa medesima guidiamo altrui, spezzando e fracassando le nostre voluntà. Se avremo in noi la virtù della discrezione il faremo, altrimenti no. E però dissi che io desiderava di vedere in te la virtù santa della discrezione. Altro non ti dico. Perdonami se troppo presuntuosamente io avessi parlato: l'amore e il desiderio della tua salute e perfezione, me n'è cagione, per onore di Dio.

Permane nella santa e dolce carità sua. Gesù dolce, Gesù amore.

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19/10/2012 16:35

214. A Caterina dello Spedaluccio e a Giovanna di Capo.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera pazienza e con profonda umilità, a ciò che potiate seguire lo dolce e immacolato Agnello, poiché in altro modo non potreste seguitarlo.

Ora è lo tempo, figlie mie, di mostrare se noi aviamo virtù e se sete figlie, o sì o no. Con pazienza vi conviene portare le persecuzioni e le detrazioni infamie e mormorazioni de le creature, con umilità vera, e non con scandalo né con impazienzia; né levare lo capo per superbia contro ad alcuna persona.

Sapete bene che questa è la dottrina che v'è stata data: che in sulla croce si conviene pigliare lo cibo de l'onore di Dio e della salute delle anime, e con vera e santa pazienza.

Oimé, figlie dolcissime, io vi invito, da parte de la prima dolce Verità, che voi vi destiate dal sonno della negligenzia e amore proprio di voi; e offerite umili e continue orazioni, con molta vigilia e con vero cognoscimento di voi medesime, poiché lo mondo perisce per la moltitudine di molte iniquità e inreverenzia che si fa a la dolce Sposa di Cristo. Or diamo dunque l'onore a Dio e la fatica al prossimo.

Oimé, non vogliate, né voi né l'altre serve di Dio, che termini la vita vostra altro che in pianto e in sospiri, poiché con altro mezzo non si può placare l'ira di Dio, la quale manifestamente si vede venire sopra di noi. O disaventurata me, figlie mie: io credo essere quella miserabile che sono cagione di tanti mali, per la molta ingratitudine e altri defetti che io ho commessi contro lo mio Creatore.

Oimé oimé, chi è Dio che è offeso da le sue creature? è colui che è somma ed eterna bontà, lo quale per la carità sua creò l'uomo ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e recreollo a grazia doppo lo peccato, nel sangue dello immacolato e amoroso Agnello unigenito suo Figlio. E chi è l'uomo mercennaio ignorante, che offende lo suo Creatore? Siamo coloro che non siamo noi per noi, se non quanto siamo fatti da Dio, ma per noi siamo pieni d'ogni miseria. E non pare che si cerchi se non in che modo si possa offendere Dio, e l'una creatura l'altra, in dispregio del Creatore.

Vediamo coi miserabili occhi nostri perseguitare lo sangue nella santa Chiesa di Dio, lo quale sangue ci ha data la vita. Scoppino dunque i cuori nostri, per ansietato e penoso desiderio; non stia più la vita nel corpo, ma inanzi morire che vedere tanto vituperio di Dio. Io muoio vivendo e dimando la morte al mio Creatore e non la posso avere; meglio mi sarebbe a morire che a vivere, inanzi che vedere tanta ruina quanta è venuta ed è per venire nel popolo cristiano. Traiamo fuore l'arme de la santa orazione, poiché altro remedio io non ci vedo.

Venuto è quello tempo della persecuzione dei servi di Dio, i quali si conviene che si nascondano nella caverna del cognoscimento di loro e di Dio, chiamando a lui misericordia per li meriti del sangue del suo Figlio. Io non voglio dire più, poiché se io andasse alla voglia, figlie mie, io non mi ristarei mai infine che Dio mi trarrebbe di questa vita.

A te dico ora, Andrea, che colui che comincia non riceve mai la corona della gloria, ma colui che persevera infine alla morte. O figlia mia, tu hai cominciato a mettere mano all'aratro delle virtù, partendoti dal bomico del peccato mortale; convienti dunque perseverare a ricevere lo frutto della tua fatica, la quale porta l'anima, volendo raffrenare la sua gioventudine che non scorra a essere membro del demonio. Oimé, figlia mia, e non hai tu considerazione che tu eri membro del demonio, dormendo nel fracidume della immondizia, e Dio per la sua misericordia ti trasse di tanta miseria, l'anima e il corpo, nella quale tu eri? Non ti conviene dunque essere ingrata né sconoscente, poiché male te ne pigliarebbe, e tornarebbe lo demonio con sette compagni, più forte che di prima.

Allora mostrarai la grazia che hai ricevuta, d'essere grata e conoscente, quando sarai forte contro le battaglie del demonio, contro lo mondo e la carne tua, che ti dà molestia, e sarai perseverante nella virtù.

Attaccati, figlia mia, se vuoli campare da tante molestie, all'arbolo della santissima croce, con l'astinenzia del corpo tuo, con la vigilia e con l'orazione, bagnandoti per santo desiderio nel sangue di Cristo Crocifisso: e così acquistarai la vita della grazia e farai la volontà di Dio, e adempirai lo desiderio mio, lo quale desidera che tu sia vera serva di Cristo Crocifisso. Unde io ti prego che tu non sia più fanciulla, e che tu vogli per sposo Cristo, che t'ha ricomprata del sangue suo. E se tu vorrai pur lo mondo, convienti aspettare tanto che si possa avere lo modo di dartelo, per modo che sia onore di Dio e bene di te.

Sia suddita e obediente infine alla morte, e non uscire della volontà di Caterina e di Giovanna, ché so che elle non ti consigliaranno né diranno cosa che sia altro che onore di Dio e salute dell'anima e del corpo tuo; e se tu nol farai, fara'mi grandissimo dispiacere e a te poca utilità. Spero nella bontà di Dio che tu farai sì che egli n'avarà onore e tu n'avarai lo frutto, e a me darai grande consolazione.

A te dico, Caterina, e Giovanna, che per onore di Dio e salute sua adoperiate infine alla morte. Figlie dolci, ora è tempo di fatiche, le quali ci debbono essere consolazioni per Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





215. A certi monasterii di donne in Bologna.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissime suore in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta carità. La quale carità è lo vestimento nuziale lo quale debba avere l'anima che è invitata alle nozze della vita durabile, poiché senza questo vestimento saremmo sbandite da le nozze di vita eterna.

Cristo benedetto ci ha tutti invitati, e a tutti ci ha dato lo vestimento della grazia sua, la quale grazia ricevemmo nel santo battesimo. Questo è invitare e dare insiememente, poiché nel battesimo c'è tolta la marcia del peccato originale e data la grazia; poiché con quello battesimo, morendo lo fanciullo nella puerizia sua, ha vita eterna, in virtù del sangue di Cristo Crocifisso, lo quale sangue fa valere lo battesimo.

Ma vivendo la creatura che ha in sé ragione, e giugnendo al tempo della discrezione, può tenere la invitata che gli fu fatta nel santo battesimo; e se non la tiene, è reprovato dal signore delle nozze, ed è cacciato fuore, essendo trovato senza lo vestimento nuziale. Perché non l'ha? perché non volse osservare quello che promise nel santo battesimo, cioè di renunziare al mondo e alle sue delizie, al demonio e a sé medesimo, cioè alla propria sensualità. Questo debba fare ogni creatura che ha in sé ragione, in qualunque stato si sia; poiché Dio non è acettatore delli stati, ma dei santi desiderii.

E chi non rende questo debito, lo quale ha promesso d'osservare e di rendere, è furo, poiché imbola quello che non debba; e però giustamente Dio lo caccia, comandando che gli sia legato le mani e piei, e gittato nelle tenebre di fuore. Songli legati i piei de l'affetto, poiché non può desiderare Dio; e a colui che è morto in peccato mortale e gionto allo stato della dannazione, gli sono legate le mani delle sue opere, poiché non possono pigliare lo frutto di vita eterna - lo quale si dà ai veri combattitori, i quali combattono coi vizii per amore della virtù -, ma pigliano quello frutto che segue di ricevere per le sue gattive opere, lo quale è cibo di morte.

O carissime suore, e se tanto duramente sarà punito generalmente ogni persona che non renderà questo così-fatto debito, che diremo di noi misere e ignoranti spose, le quali siamo state invitate alle nozze di vita eterna, e al giardino della santa religione - la quale è uno giardino odorifero pieno di dolci e suavi frutti -, nel quale giardino la sposa, se ella attiene quello che ella ha promesso, diventa uno angelo terrestro in questa vita? Poiché, come gli altri uomini del mondo, vivendo nella carità comune, sono uomini giusti, e se fussero in peccato mortale sarebbero animali bruti, così quelli che si conservano nello stato della continenzia, ed entrano nel giardino della santa religione, sono fatti angeli, e se non osservassero quello che hanno promesso, sarebbero peggio che dimonia. (E non hanno questi cotali lo vestimento predetto).

Oh quanto sarà dura e aspra quella reprensione che sarà fatta alla sposa di Cristo dinanzi al sommo giudice! Serrata le sarà la porta da lo sposo eterno. Or che rimproverio sarà quello di vedersi privata di Dio e della conversazione delli angeli, solo per suo defetto? O carissime suore, chi punto la considerasse eleggiarebbe prima la morte che offendere la sua perfezione: non tanto che offendere Dio, ma io dico d'offendere la perfezione sua.

Poiché altro è stare in peccato mortale - per mezzo del quale allora sta in offesa di Dio -, e altro è offendere la perfezione sua, la quale ha promessa di compire: cioè, che oltre a osservare i comandamenti di Dio, ha promesso d'osservare i consigli attualmente e mentalmente. Gli uomini che stanno nella carità comune osservano i comandamenti e i consigli, poiché sono legati insieme, e non si può osservare l'uno senza l'altro; ma osservangli mentalmente. Ma quelli che ha promesso di compire la vita perfetta, gli osserva mentalmente e attualmente. Unde io dico che, se attualmente poi non gli osserva, ma osservali pur mentalmente, offende la sua perfezione, per la quale egli promisse d'osservarli attuali e mentali.

Che promettemmo noi, carissime suore? promettemmo d'osservare i consigli quando nella professione facemmo tre voti: poiché noi promettemmo povertà voluntaria,obbedienza e continenzia. I quali non osservando, offendiamo Dio per la promessione e voto fatto; e offendiamo la perfezione la quale aviamo eletta. Poiché se un altro che non gli avesse promessi d'osservare non gli osserva attualmente, non offende, ma offende la perfezione, la quale si poneva in cuore di volere tenere; ma quelli che ha fatto voto, offende.

E quale è la cagione per che, doppo lo voto fatto, i non si osserva? è per l'amore proprio di noi medesimi, lo quale amore proprio ci tolle lo vestimento nuziale; e tolleci la luce - e dacci le tenebre -; la vita, e dacci la morte e l'appetito delle cose transitorie vane e caduche; e tolleci lo desiderio santo di Dio. Oh quanto è miserabile questo amore! Poiché ci fa essere perditori del tempo, lo quale è tanto caro a noi; e partianci dal cibo delli angeli, e andiamo al cibo delli animali bruti, cioè della creatura fatta animale bruto per la sua disordenata vita, lo cui cibo sono i vizii e i peccati; e il cibo delli angeli terrestri sono le vere e reali virtù. Quanto è differente l'uno da l'altro? quanto da la morte alla vita, quanto da la cosa infinita alla cosa finita.

Or vediamo di che si diletta quella che è vera sposa di Cristo Crocifisso, la quale gusta questo dolce e amoroso cibo; e di che si diletta quella che è fatta animale bruto. La vera sposa di Cristo si diletta di cercare lo sposo suo non tra la congregazione, ma nel cognoscimento santo di sé, dove ella lo trova - cioè conoscendo e gustando la bontà dello sposo eterno in sé, amandolo con tutto lo cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze sue -; dilettandosi di stare in su la mensa della santissima croce; volendo acquistare più tosto le virtù con pena e con battaglie che con pace e senza pena, per conformarsi con Cristo Crocifisso, seguitando le vestigie sue: in tanto che, se possibile le fusse di servirli senza pene, non vuole ma, come vero cavaliere, con forza, e violenzia fare a sé medesima, gli vuole servire, perché ella è spogliata dall'amore proprio di sé, e vestita dell'affettuosa carità; e passa per la porta stretta (Mt 7,13 Lc 13,24) e bassa di Cristo Crocifisso, e però promisse e attiene d'osservare povertà voluntariaobbedienza e continenzia.

Ella ha gittato a terra lo carico e il peso delle ricchezze del mondo, delizie e stati suoi; e quanto più se ne vede privata, più gode. E perché ella è umile, àobbedienza pronta, e non ricalcitra allaobbedienza sua; né vuole passare mai lo tempo che ella non si ponga dinanzi a l'occhio suo i costumi dell'Ordine e la promessione fatta. Lo studio suo è della vigilia e dell'orazione, e della cella si fa uno cielo, con una dolce psalmodia; l'offizio suo non dice solamente con le labbra, ma coralmente; e vuole essere sempre la prima che entri in coro e l'ultima che n'esca. Ed èlle in abominazione la grate e il parlatòro, e la dimestichezza dei devoti. Non studia in fare celle murate, né fornite di molto ornamento; ma bene si studia di murare la cella del cuore suo, a ciò che i nemici non vi possano entrare; e questa cella fornisce dell'adornamento delle virtù. Ma nella cella attuale, non tanto che ella vi metta molto adornamento, ma se v'ha alcuna cosa, sì ne la trae, per desiderio della povertà, e per lo bisogno delle suore.

E per questo conserva l'anima e il corpo suo nello stato della continenzia, poiché ha tolte le cagioni per le quali la potesse perdere. E sta con una carità fraterna, amando ogni creatura che ha in sé ragione, e porta e sopporta i difetti del prossimo suo con vera e santa pazienza. Ella sta come lo riccio, con vera guerra con la propria sensualità: ella è timorosa di non offendere lo Sposo suo. Ella perde la tenerezza della patria e il ricordo dei parenti; solo coloro che fanno la volontà di Dio le sono congiunti per affetto d'amore. Oh quanto è beata l'anima sua! ella è fatta una cosa con lo Sposo suo, e non può volere né desiderare se non quello ched i vuole. Allora, mentre che così dolcemente ella passa lo mare tempestoso, e gitta odore di virtù nel giardino della santa religione, chi dimandasse Cristo Crocifisso: «Chi è questa anima?», direbbe: «è uno altro me, fatta per affetto d'amore». Questa ha lo vestimento nuziale, unde non è cacciata da le nozze, ma con gaudio e giocondità è ricevuta da lo sposo eterno. Questa gitta odore non tanto dinanzi a Dio, ma dinanzi alli iniqui uomini del mondo, poiché, voglia lo mondo o no, l'hanno in debita reverenzia.

Lo contrario è di coloro che vivono in tanta miseria, fondate in amore proprio della propria sensualità, le quali sono tutte accecate, unde la vita loro gitta puzza a Dio e alle creature; e per li loro defetti i secolari diminuiscono la reverenzia alla santa religione. Oimé, dove è lo voto della povertà? ché con disordenata sollicitudine e amore e appetito delle ricchezze del mondo cercano di possedere quello che l'è vetato, con una cupidità d'avarizia e crudeltà del prossimo. Poiché vedranno lo convento e le suore inferme e in grande necessità, e non se ne curano, come se esse avessero a reggere la brigata dei figli, e lasciare loro eredi.

O misera, tu non hai questo attacco, ma tu vuoli fare ereda la propria sensualità; e vuo'ne reggere l'amistà e la conversazione dei tuoi devoti, notricandoli con presenti, ed lo dì stare a cianciare e novellare, e perdere lo tempo tuo con parole lascive e oziose. E così non te n'avedi; o tu te ne avedi, e fai vista di non vedere, unde contamini la mente e l'anima tua. Tu diventi frenetica con le impugne e molestie della carne, consentendo con la perversa e deliberata volontà. Oh misera! E debba fare questo la sposa di Cristo? Oh vituperata a Dio e al mondo! Quando tu dici l'offizio tuo, lo cuore va a piacere a te di piacimento sensitivo, e delle creature che tu ami di quello amore medesimo. O carissime sorella, questa s'affatica nel servigio del demonio, e sta tutto dì attaccata alle grate e al parlatòro sotto colore di devozione. O maladetto vocabolo, lo quale regna oggi nella Chiesa di Dio e nella santa religione, chiamando devoti e devote quelli e quelle che fanno le opere delle demonia! Egli è demonio incarnato, ed ella demonia. Oimé, oimé, a che partito è venuto lo giardino, nel quale è seminata la puzza della immondizia! E il corpo, che deve essere mortificato col digiuno e con la vigilia, con la penitenza e con molta orazione, ed egli sta in delizie e adornato, e con lavamenti di corpo e con disordenati cibi, e con giacere non come sposa di Cristo, ma come serva del demonio, e publica meritrice. E con la puzza della disonestà sua corrompe le creature e fatta è nemica de l'onestà, e dei servi di Dio; ed è trapassatrice dellaobbedienza.

Ella non vuole legge né priora sopra a capo; lo demonio e la propria sensualità è fatta sua priora: a lei obbedisce, e cerca di servirla con ogni sollicitudine.

Ella desidera la pena e la morte di chi la volesse ritrare dalla morte del peccato mortale; e tanto è forte questa miseria che in ogni male corre sì come sfrenata e senza lo freno della ragione. Ella assottiglia lo intendimento suo per compire i suoi disordenati desiderii: lo demonio non ne trova tante, quante ne trovano queste dimonie incarnate. Elle non si curano di fare nuove fatture alli uomini per invitarli a disordenato amore verso di loro, in tanto che spesse volte s'è veduto che - dentro nel luogo che in sé è luogo di Dio - ha fatto stalla, commettendo attualmente lo peccato mortale. Questa è fatta adultera, e con molta miseria ha ribellato allo Sposo suo, unde ella cade dalla grande altezza del cielo nel profondo de l'inferno. Ella fugge la cella come nemico mortale; ella trapassa l'offizio suo; e non si diletta di mangiare in refettorio con la congregazione delle povarelle, ma per vivere più largamente e con più dilicatezza di cibi, mangia in particulare; e fatta è crudele a sé medesima, e però non ha pietà d'altrui.

Unde nascono tanti mali? da l'amore proprio sensitivo, lo quale ha offuscato l'occhio della ragione: unde non conosce, né le lassa vedere, lo suo male, né in quello che ella è venuta, né in quello che ella viene, se ella non si corregge. Poiché se ella vedesse che la colpa la fa serva e schiava di quella cosa che non è, e conducela all'eterna dannazione, eleggiarebbe prima la morte che offendere lo suo Creatore e l'anima sua.

Ma per l'amore proprio ella trapassa e non osserva lo voto promesso, poiché per amore di sé ella possede e desidera le ricchezze, e gli onori del mondo: la quale cosa è povertà e vergogna della religione.

Sapete che ne viene per possedere le ricchezze contro lo voto fatto della povertà, e contro i costumi dell'ordine? Escene disonestà e disobbedienza. Perché disonestà? per la conversazione che segue per lo possedere, poiché, se ella non avesse che dare, non avrebbe amistà altro che di servi di Dio, i quali non amano per propria utilità, ma solo per Cristo Crocifisso. E non avendo che dare, i servi del mondo, che non attendono ad altro che a propria utilità - per lo dono che ricevono, o per disordenato diletto e piacere -, se ella non ha, e non vuole piacere ad altri che a Dio, non v'andaranno mai. Unde ipso-facto che la mente sua è corrotta e superba, subito è fatta disobbediente, e non vuole credere ad altri che a sé; e così va sempre di male in peggio, in tanto che di tempio di Dio è fatto tempio del demonio. Unde è sbandita delle nozze di vita eterna, perché è spogliata del vestimento della carità.

Perciò, carissime suore, poi che tanto è pericoloso lo non rendere lo debito d'osservare lo voto promesso, studianci d'osservarlo e raguardiamo la nudità nostra, quanto ella è misera cosa, a ciò che noi l'odiamo; e vediamo lo vestimento nuziale, quanto è utile a noi e piacevole a Dio, a ciò che pienamente ne siamo vestite. E non vedendo io altro modo, però vi dissi che io desideravo di vedervi fondate in vera e perfetta carità; e così vi prego, per amore di Cristo Crocifisso, che facciate. Destatevi dal sonno; e poniamo ogimai termine e fine a la miseria e alla nostra imperfezione, poiché non ci ha tempo. Egli è sonato a condennagione, e data c'è la sentenzia che noi doviamo morire, e non sappiamo quando. Già è posta la scure alla radice dell'arbolo nostro, Perciò non è da aspettare quello tempo che noi non siamo sicuri d'avere, ma nel tempo presente annegare la nostra volontà, e morire spasimate per amore della virtù.

A voi dico, priora, che voi diate essemplo di santa e onesta vita, a ciò che in verità diate dottrina alle vostre figlie e suddite, e reprensione e punizione, quando bisogna, vietando lo' le dimestichezze dei secolari e la conversazione dei devoti, serrando la grate e il parlatòro, se non per necessità, e con modo ordenato. E invitatele a votiare le celle, a ciò che non abbiano che dare, e l'adornamento delle cortine, e i letti della piuma, e i superchi e dissoluti vestimenti, se vi sono; ché temo che non ve n'abbi. E voi siate la primaia, carissima madre, a ciò che per essemplo di voi l'altre ci si dispongano. Morda e abbai lo cane della conscienzia vostra, pensando che n'avete a rendere ragione dinanzi a Dio; e non chiudete gli occhi per non vedere, poiché Dio vi vede; e non sarete però scusata: perciò che vi conviene avere dodici occhi sopra le suddite vostre. Sono certa che se sarete vestita del vestimento detto, voi lo farete; e io ve ne prego, e obligomi a sempre pregare Dio per voi, e ad aitarvi a portare i pesi, con quello affetto della carità che Dio mi darà. Fate che io n'oda buone novelle. Altro non vi dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







216. A Nigi di Doccio Arzocchi.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi seguitatore de le vestigie di Cristo crocifisso, poiché per altra via non possiamo tenere in modo che ci desse vita.

Quale è la via sua? è questa: scherni, oprobii, ingiurie, strazii e villania, e sostenere con vera e perfetta pazienza infine alla morte, e non vòllere lo capo indietro per alcuna ingiuria o mormorazione che lo mondo ci volesse dare. E non doviamo però allentare i passi, ma con una vera perseveranza rendere bene a coloro che ci fanno male: questa è la via la quale c'insegna e ha fatta egli, questo dolce e inamorato Agnello. Così disse egli, che egli era via verità e vita (Jn 14,6), e veramente dà vita a coloro che vanno per questa via, poiché ci dà dottrina che in questa vita ci fa gustare la caparra di vita eterna, participando la vita della grazia.

Questo dolce maestro è salito in su la catreda della croce per darci dottrina fondata in verità. Noi dunque scolari doviamo stare abasso per impararla, cioè nella bassezza della vera umilità, ché con superbia non si potrebbe imparare: poiché ella ingrossa l’intelletto dell’uomo e nol lassa essere capace in conoscere Dio. Ma l'umile non è così; anco ha l'occhio dell'intelletto purificato, e ànne tratta la terra d'ogni amore proprio e tenerezza sensitiva, ed èssi fondato in vero cognoscimento di sé; nel quale cognoscimento vede meglio, e più sottilmente conosce de la somma eterna bontà di Dio. Più conoscendo, più ama, e quanto più ama, tanto acquista più perfetta umilità e pazienza, poiché l'umilità è baglia e nutrice della carità.

Sì che vedete, carissimo figlio, che i ci conviene sedere abasso come veri discepoli: e per questo modo impararemo la dottrina, e corriremo, morti a ogni propria volontà, per la via della verità dolce, e dilettarenci in croce, con ansietato e spasimato desiderio cercando l'onore di Dio e la salute delle anime.

Ora è lo tempo, carissimo figlio, di levarsi dal sonno della negligenzia e della ingratitudine, e con sollicitudine essere grato e conoscente, servendo e amando lo prossimo nostro, poiché la nostra gratitudine non possiamo mostrare a Dio per utilità che se li possa fare, ma potianla bene mostrare in servire al prossimo.

Quando fu tempo, figlio carissimo, che Dio ci richiedesse tanto lo desiderio del suo onore e de la salute delle anime, quanto ora? D'ogni tempo cel richiede Dio, poiché senza la carità del prossimo non potremmo avere vita eterna, ma quanto è più bisogno, tanto è più richiesto. Unde, perché ora vediamo i maggiori bisogni che si vedessero forse mai fra' cristiani, doviamo non ristare mai di continuamente offrire lacrime e umili orazioni: e a questo saremo cognosciuti se saremo veri servi di Dio, e che noi teniamo per la via de la verità e sappiamo bene la sua dottrina. Oimé, non è più tempo da cercare sé per sé, ma di cercare Cristo Crocifisso, e non terminare lo pianto nostro sopra le miserabili anime che si veggono ne le mani de i demoni, tanto che Dio volla l'occhio della sua misericordia, e plachisi l'ira sua verso di noi miserabili. Oimé, che lo mondo perisce per tante miserie quante si comettono, e inreverenzia e persecuzione della santa Chiesa.

Io miserabile, cagione d'ogni male, vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi e gli altri figli, con pianto e sospiri e sante e umili orazioni, preghiate lo dolce e immacolato Agnello che degni di farci misericordia e donici la reformazione della Sposa sua; e a noi miserabili cristiani dia lume e cognoscimento,obbedienza e reverenzia vera alla santa Chiesa, sì che vivino in pace e in quiete e in unione, sì come debbono fare i veri figli al padre loro, sì che noi non stiamo più come membri del demonio.

Oimé, che lo cuore scoppia e non può scoppiare! Per l'amore di Cristo crocifisso, ora che è lo tempo, date l'onore a Dio e la fatica al prossimo, e così m'avedrò se sarete veri figli o no; ché io vi prometto che, se noi nol faremo, che egli ci sarà richiesto con grande rimproverio da la prima Verità. Dio vuole che noi strettamente lo preghiamo, e così disse egli a uno servo suo: «Col mezzo delle molte orazioni e ansietati e amorosi desiderii dei servi miei farò misericordia al mondo».

Dunque non siate avari, ma siate larghi nella larghezza de la carità, dove tutte le virtù riceveno vita, e senza essa nessuna opera ci dà frutto di grazia. Per questo modo diventarete buono e perfetto, e sarà tolta da voi ogni ignoranza, negligenzia e ingratitudine, sedendo in terra umile, come detto è; e seguitarete le vestigie di Cristo Crocifisso, e adempirete lo desiderio mio che dissi che io desideravo di vedervi seguitatore delle vestigie di Cristo Crocifisso. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Racomandateci a tutti i figli e figlie, e dite lo' che egli è tempo di pianto, d'orazione e di sospiri per la dolce Sposa di Cristo e per tutto lo popolo cristiano, che si vede in tanta afflizione per li nostri peccati.

Confortate in Cristo dolce Gesù Thommè di Corradino, e diteli che sempre si ponga Dio dinanzi agli occhi suoi, a ciò che quello che egli fa, facci sempre col santo timore di Dio, portando con vera pazienza ciò che Dio permette, e spregi le consolazioni del mondo, e abraccichi le persecuzioni con santo e vero desiderio infine alla morte. Gesù dolce, Gesù amore.





217. Alla priora e alle suore di Santa Maria delle Vergini.

E alla priora di Santo Giorgio e l'altre suore, in Perugia.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figlie in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spose unite e legate nel legame della vera e ardentissima carità, lo quale legame tenne confitto e chiavellato Dio e Uomo in su lo legno della santissima croce.

Egli è quello legame che unì Dio nell’uomo e l'uomo in Dio, e unisce l'anima col suo Creatore, e falla amatrice de le vere e reali virtù. Questo legame che è? è un amore che lega, taglia e divide: poiché, come unisce e lega l'anima con Dio, così la divide e taglia dal peccato e dal proprio amore sensitivo, unde procede divisione e ogni male; e tolle l'acqua morta e dà l'acqua viva della grazia. Egli ci separa da le tenebre e dacci lo lume, lo quale lume ci fa vedere e gustare la verità. O fuoco dolcissimo d'amore, che empi l'anima d'ogni dolcezza e soavità, ché nessuna pena né amaritudine può cadere in quella mente che arde di così dolce e glorioso fuoco! La carità non giudica male: non giudica la volontà dell’uomo, ma giudica la volontà di Dio, vedendo e conoscendo che egli non vuole altro che la nostra santificazione. Poi, dunque, che egli non vuole altro che lo nostro bene, e ogni cosa procede da lui - e tribulazione e tentazione, e ogni molestia pena e tormento -, e ogni cosa permette Dio per nostro bene, di nessuna cosa l'anima può avere pena se non solo del peccato, che non è, e perché non è in Dio non è degno d'essere amato, anco die essere odiato: e inanzi scegliere la morte che offendere lo suo Creatore.

O dolcezza d'amore, come si può tenere lo cuore de la sposa tua che non t'ami, considerando che tu sei Sposo di vita? Tu, Dio eterno, ci hai creati all'imagine e similitudine tua (Gn 1,26), solo per amore; e avendo perduta la grazia per lo miserabile peccato, tu ci donasti lo Verbo dell'unigenito tuo Figlio, ed lo Figlio ci ha data la vita, e ha punite le nostre iniquitadi sopra lo corpo suo, pagando quello debito che egli non contrasse mai. Oimé oimé, miserabili a noi: noi siamo i ladri, ed esso è impiccato per noi! Vergognisi vergognisi la ignorante e indurata e acecata sposa di non amare, poi che tanto si vede amare da Dio, ed è di tanto diletto questo dolce e suave legame. Questo è lo segno dell'amore: che se ama Dio con la ragione segue le vestigie del Verbo dell'unigenito suo Figlio, e se non ama, segue lo demonio e la propria sensualità, e conformasi con gli costumi del secolo, che sono contrarii a Dio.

Unde gusta la morte e non se n'avede, e giace nelle tenebre perché s'è privato del lume, e sta in continua pena e discordia col prossimo suo e in continua divisione, perché è privato del legame de la carità. E trovasi intro le mani deli demoni perché, non come sposa di Cristo Crocifisso, ma come adultera, ha lassato lo sposo eterno; poiché per altro non è detta la sposa adultera, se non quando parte l'amore da lo sposo, e ama e uniscesi con quello che non die. Sì che bene è cosa pericolosa, ed è mercennaia colei che si vede amare e non ama. E dunque amatevi amatevi insieme, ché a questo sarete cognosciute se sete spose e figlie di Cristo o no: e non si conosce ad altro se non all'amore fondato in Dio, e ch'egli ha al prossimo suo. Con questo mezzo ci conviene giognere al termine e fine nostro, seguitando le vestigie di Cristo Crocifisso: non lo Padre ma lo Figlio, perché nel Padre non cadde pena, ma sì nel Figlio.

Perciò ci conviene seguire per la via della santissima croce - sostenendo obrobrii scherni e villanie, spregiando lo mondo con tutte le delizie e stati suoi, sostenendo fame e sete, con povertà volontaria, e conobbedienza ferma e perseverante, con purezza di mente e di corpo, con la conversazione de le persone che temano Dio in verità, e con la solitudine della cella -, e fuggire lo parlatorio come lo veleno, e la conversazione dei devoti e dei seculari, poiché non si confà a la sposa di Cristo; e non conversazione di frati incappucciati, ma dei veri servi di Dio! Non è convenevole che sotto lo capo spinato stieno i membri dilicati, come fanno le stolte che si dilungano dal loro capo Cristo, e non studiano altro che in delizie e in dilicatezze di corpo; e spezialmente noi che siamo levate dal secolo e poste nel giardino de la santa religione, spose consecrate a lui: fiori odoriferi doviamo essere. E veramente, se voi osservarete quello che prometteste per gittare bene grande odore, participarete della bontà di Dio, vivendo in grazia, e gustaretelo nell'eterna visione sua. Se nol faceste, gittareste puzza di grande vituperio, e in questa vita gustareste l’inferno e nell'ultimo la visione de i demoni.

Per seguire Cristo esciste del secolo, renunziaste al mondo e alle ricchezze sue, promettendo vera povertà, e renunziaste alla propria volontà, promettendo vera e santaobbedienza, e partistevi da lo stato comune: cioè di non volere essere sposate al mondo, per conservare la vera continenzia e virginità, che è uno odore dove Dio e gli angeli si dilettano, e lo' piace d'abitare in quella mente che sta nell'odore della purezza. Sete riunite non perché voi stiate divise, né in odio né in rancore né in pentimento l'una con l'altra, ma perché siate unite e legate nel legame della carità; poiché altrimenti non potreste piacere a Dio, né avere in voi alcuna virtù che fusse perfetta. Quanta confusione e vergogna è e sarà in quella mente e in quella anima che ha promesso e non attiene, ma fa tutto lo contrario? Questa non segue Cristo e non va per la via della croce, ma vuole andare per la via dei diletti. Non è questo lo modo; ma Cristo umile ci conviene seguire, Agnello immacolato, Agnello povero, e tanta è la povertà sua che non ha luogo dove riposare lo capo. Purissimo è, poiché in lui non ha veleno di peccato, ed è obediente al Padre per la salute nostra, infine all'obrobiosa morte della croce.

E però i santi e il glorioso padre nostro santo Domenico hanno fondati l'ordini loro in su queste tre colonne, cioè povertàobbedienza e continenzia, solo per potersi meglio conformare con Cristo e seguire la dottrina e i consigli suoi. Poiché da queste tre procede ogni virtù, e dal contrario procedono tutti i vizii. Nella povertà abandoni la superbia e la conversazione del secolo, e de le perverse amistà - che non s'acquistano se non per doni, e se tu non hai che donare non truovi amistà se non dei veri servi di Dio, i quali amano lo dono dell'anima tua -; priviti della vanità del cuore e leggerezza di mente, e vieni all'abitazione de la cella, unde gusti la madre de l'orazione - la quale ti conserva e cresce nelle virtù -, e vieni a perfetta purezza.

E così osserva lo voto della continenzia, e non tanto che da uno peccato ma da tutti s'astiene, conculcando la propria sensualità, maciarando e astenendo lo corpo da' proprii diletti sensitivi. Maciarando dico col digiuno, con la vigilia, e con l'orazione, e così diventa umile, paziente e caritativa, e porta e soporta i difetti del prossimo suo, e uniscesi col suo Creatore per amore e col prossimo per Dio, sostenendone ogni pena e disagio corporale, purché egli possa guadagnare l'anima sua. E poi che sì dolcemente, nel modo detto, è stirpato da la superbia, gusta l'odore della santaobbedienza; e tanto è obediente quanto umile, e tanto è umile quanto obediente. Chi non è superbo, segue che è umile, e se egli è umile, Percioè vero obediente.

E così ha la terza colonna che conserva la città dell'anima sua, poiché lo vero obediente osserva l'ordine e i costumi suoi. L'obediente non alza lo capo della propria volontà al prelato suo, e nol contasta di parole, ma alla prima voce l'obedisce e di subito china lo capo al giogo; e non dice: «Perché comanda a me e dice a me questo, e non a quell'altra?», ma pensa pur in che modo possa essere pronta a osservare l'obedienzia.

Obbedienza dolce, che non hai mai pena, tu fai vivere e corrire gli uomini morti, perché uccidi la propria volontà: e tanto quanto è più morto, più corre velocemente, perché la mente e l'anima che è morta all'amore proprio d'una perversa volontà sensitiva più leggiermente fa lo corso suo, e uniscesi col suo sposo eterno con affetto d'amore. E viene a tanta elevazione e dolcezza di mente che, essendo mortale, comincia a gustare l'odore e il frutto de li immortali. Perciò siate siate obedienti infine a la morte.

Amatevi amatevi insieme. Legatevi nel legame della carità, poiché in altro modo non potremmo giognere al termine nostro, né avere lo fine per mezzo del quale noi fummo creati. E però vi dissi che io desideravo di vedervi spose unite e legate nel legame de la vera e ardentissima carità. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


218. Al padre santo Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio.

A voi, dilettissimo e reverendo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, vostra indegna misera miserabile figlia, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi quello dolce e vero pastore, imparando dal pastore Cristo, lo cui luogo voi tenete, che pose la vita per le pecorelle sue, non raguardando a la nostra ingratitudine, né a persecuzioni né ingiurie, né a scherni né vitoperii che gli fussero fatti da coloro i quali egli aveva creati, e fatti molti beneficii: e non lassa però d'adoperare la nostra salute. Ma, come inamorato dell'onore del Padre e della salute nostra, non vede le pene sue, ma con la sapienza sua e pace e benignità vince la malizia nostra.

Così vi prego e dico, dolce babbo mio, da la parte di Cristo Crocifisso, che con benignità e pazienza e umilità e mansuetudine venciate la malizia e superbia dei figli vostri, i quali sono stati ribelli a voi, padre. Sapete che col demonio non si caccia lo demonio (Mc 3,23), ma con la virtù si cacciarà. Poniamo che avesseate ricevute grandissime ingiurie, avendovi fatto vitoperio e toltovi lo vostro, non di meno, padre, io vi prego che non raguardiate a le loro malizie ma alla vostra benignità, e non lassate però d'adoperare la nostra salute. La salute loro sarà questa, che voi torniate a pace con loro, poiché il figlio che è in guerra col padre, mentre che vi sta, egli lo priva della eredità sua.

Oimé, padre, pace per l'amore di Dio, affinché tanti figli non perdano la eredità di vita eterna, ché voi sapete che Dio l'ha posta ne le vostre mani, lo dare e tòllare questa eredità, secondo che piace a la vostra benignità. Voi tenete le chiavi, e a cui voi aprite, sì è aperto, e a cui voi serrate, è serrato. Così disse lo dolce e buono Gesù a Pietro, lo cui luogo voi tenete: «Cui tu sciogliarai in terra, sarà sciolto in cielo, e cui tu legarai in terra, sarà legato in cielo» (Mt 16,19). Perciò imparate dal vero padre e pastore, sì che vedete che ora è lo tempo da dare la vita per le pecorelle che sono uscite fuore de la greggia. Convienvele cercare e racquistare con la pazienza e con la guerra, andando sopra l'infedeli, rizzando lo gonfalone dell'ardentissima e dolcissima croce, al quale rizzare non si conviene più dormire ma destarsi e rizzarlo virilmente.

Spero nella smisurata bontà di Dio che racquistarete l'infedeli e correggiarete le malizie dei cristiani, poiché all'odore de la croce tutti corriranno, eziandio coloro che più sono stati ribelli a voi. O quanto diletto sarà quello, se noi vedessimo che il popolo cristiano desse lo condimento de la fede all'infedele! Perché poi, avendo ricevuto il lume, venrebbe a grande perfezione, sì come pianta novella, avendo perduta la freddezza delle infedelità e ricevendo lo caldo e lume de lo Spirito santo per la santa fede, e produciarebbe fiori e frutti delle virtù nel corpo mistico de la santa Chiesa.

Sì che con l'odore delle loro virtù, aiutarebbero a spegnare i vizii e peccati, superbia e immundizia, le quali oggi abbondano nel popolo cristiano, e singularmente nei prelati e pastori e rettori de la santa Chiesa, i quali sono fatti mangiatori e divoratori delle anime, non convertitori ma devoratori; e tutto è per l'amore proprio che hanno a loro medesimi, del quale nasce superbia e cupidità, avarizia e immundizia del corpo e della mente loro. Vegono i lupi infernali portarne i sudditi loro, e non pare che se ne curino, tanta è la cura che hanno presa in acquistare diletti e delizie, lode e piaceri del mondo. E tutto procede da l'amore proprio di sé medesimo, ché, se egli amasse sé per Dio e non sé per sé, egli attendarebbe solo all'onore di Dio e non al suo, e a utilità del prossimo e non a utilità propria sensitiva.

Oimé, babbo mio dolce, procurate e attendete sopra costoro; cercate i buoni uomini e virtuosi, e a loro date la cura delle pecorelle: questi cotali saranno agnelli e non lupi, che si notricaranno nel corpo mistico de la santa Chiesa. A noi sarà utilità e a voi sarà grande pace e consolazione: aiutarannovi a portare le grandi fatiche che io so che voi avete.

Parmi che stiate, benigno padre mio, sì come sta l'agnello nel mezzo dei lupi, ma confortatevi e non temete, ché la providenzia e l'aiutorio di Dio sarà sempre sopra di voi. Non mirate perché vedeste apparire le cose molto contrarie, e che l'aiuto umano ci venga di meno, e che quelli che ci debbono aitare più ci manchino, facendo contro di voi. Non temete, ma più vi confidate; non alienate né impedite lo vostro dolce e santo desiderio, ma più s'accenda l'uno dì che l'altro.

Su, padre, mandate in effetto lo proponimento che avete fatto, dell'avenimento vostro e del santo passaggio, al quale vedete che l'infedeli v'invitano, venendo a più possa a tollarvi lo vostro. Su, a dare la vita per Cristo! Or abbiamo noi altro che uno corpo? perché non dare la vita mille volte, se bisogna, in onore di Dio e in salute de le creature? Così fece egli, e voi, vicario, dovete fare l'offizio suo: questo è usanza, che, rimanendo lo vicario, seguiti le vestigie i modi del signore suo. Perciò venite, venite e non tardate più, affinché tosto poniate campo sopra l'infedeli, e che non riceviate, di questo fare, impedimento da questi membri putridi che sono ribelli a voi. Pregovi e voglio che usiate uno santo inganno con loro, cioè con la benignità, come detto è: questo lo' sarà uno fuoco d'amore, carboni accesi che gittarete sopra i capi loro (Rm 12,20 Pr 25,21-22), e per questo modo gli averete presi - e la substanzia temporale e le persone loro - dandovi aiuto in fare la vera guerra sopra gl'infedeli.

Così fece lo nostro dolce Salvatore, che, gittando tanto fuoco e caldo d'amore sopra coloro che erano ribelli a lui, seguitava a mano a mano che ellino erano aiutatori e portatori del nome di Dio: sì come fu quello dolce banditore di Pavolo, che, essendo lupo, diventò agnello, vasello dolce di carità, che, di quello fuoco che Cristo gli aveva pieno il vasello suo, di quello portava per tutto quanto lo mondo: i cristiani traendo dei vizii e piantando in loro la virtù, e gl'infedeli traendoli d'errori e d'infedelità, e porgendo lo' il lume de la santa fede.

Or così vi dice e vuole la prima e dolce Verità che voi facciate voi: di quello che avete ricevuto, di quello date. Pace pace pace, babbo mio dolce, e non più guerra. Andiamo sopra li nemici nostri e ine portiamo l'arme della santissima croce, portando il coltello della santa e dolce parola di Dio. Oimé, date mangiare agli affamati servi suoi, i quali aspettano voi e questo tempo, con grandissimo e ardentissimo desiderio.

Confortatevi confortatevi, padre, e non prendete amaritudine afflittiva, ma prendete amaritudine confortativa, avendo amaritudine del vitoperio che vediamo del nome di Dio; e confortatevi per isperanza che Dio provederà a le vostre necessità e bisogni. Non dico più, ché, se io andasse alla volontà, io non mi ristarei fino che io avesse la vita in corpo.

Perdonate a la mia presunzione, ma lo dolore e l'amore che io ho all'onore di Dio ed essaltazione de la santa Chiesa mi scusi dprima della vostra benignità. Più tosto vel direi a bocca che per iscritto, poiché io credarei più sfogare l'anima mia. Or non posso più; abbiate pietà dei dolci amorosi desiderii, i quali sono offerti per voi e per la santa Chiesa, per continue lacrime e orazioni. Non si spregino per negligenzia, ma con sollicitudine adoperate, poiché pare che la primavera voglia produciare i fiori: tosto dunque ne venranno i frutti, poi che il fiore comincia a venire. Or con cuore virile e non temoroso punto, seguitando l'Agnello dissanguato e consumato in croce per noi! Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Pregovi, reverendo padre, che di quello che Neri, portatore di questa lettara, vi dirà, che, se egli è possibile a voi ed è vostra volontà, voi glili diate e concediate. Pregovi che gli diate audienzia e fede a quello che egli vi dirà. E perché alcune volte non si può scrivare quello che volremmo, sì dico che, se voleste mandarmi a dire alcuna cosa segreta, voi lo manifestiate a bocca a lui securamente, ché potete. Ciò che per me si può fare, se bisognasse dare la vita, volentieri la darei, in onore di Dio e in salute delle anime. Gesù dolce, Gesù.



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19/10/2012 16:42

219. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei Predicatori, e a maestro Giovanni Terzo e frate Felice dell'ordine dei frati Eremiti di santo Augustino, e a tutti gli altri loro compagni, quando erano a Vignone.


Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimi figli miei in Cristo Gesù, io, misera madre, con desiderio spasimato ho desiderato di vedere i cuori e gli affetti vostri chiavellati in croce, uniti e legati con quello legame che legò e inestò Dio nell’uomo e l'uomo in Dio. Così desidera l'anima mia di vedere i cuori e gli affetti vostri inestati nel Verbo incarnato dolce Gesù, sì e per sì-fatto modo che né demonia né creature vi possano mai partire. Bene che io non dubbito che, se voi sarete legati e infiammati del dolce Gesù, se fussero tutti i demoni dell’inferno con tutte le malizie loro, non vi potranno partire da sì dolce unione.

Perciò io voglio - poi che è di tanta fortezza ed è di tanta necessità -, che voi non restiate mai di crescere legna al fuoco del santo desiderio - cioè legna del cognoscimento di voi medesimi: queste sono quelle legna che nutreno lo fuoco de la divina carità, la quale carità s'acquista nel cognoscimento e ne la inestimabile carità di Dio -: allora s'unisce l'anima col prossimo suo; e, quanto più dà de la materia al fuoco, cioè legna di cognoscimento di sé, tanto cresce lo caldo dell'amore di Cristo e del prossimo suo.

Perciò state nascosi nel cognoscimento di voi, e non state fuore di voi, affinché Malatasca non vi pigli con le molte illusioni e cogitazioni l'uno contro all'altro: questo farebbe per tollervi l'unione de la divina carità. E però io voglio e vi comando che l'uno sia subietto all'altro, e l'uno portatore dei defetti dell'altro, imparando da la prima dolce Verità che volse essere lo più minimo, e umilemente portò tutte le nostre iniquitadi e defetti. Così voglio che facciate voi, figli miei carissimi. Amatevi amatevi amatevi insieme.

Godete ed essultate, ché il tempo de la state ne viene, poiché lo primo dì d'aprile, la notte, più singularmente Dio aperse i segreti suoi, manifestando le mirabili cose sue - sì e per sì-fatto modo che l'anima mia non pareva che fusse nel corpo, e riceveva tanto diletto e plenitudine che la lingua non è sufficiente a dirlo -; spianando e dichiarando a parte a parte sopra lo misterio de la persecuzione che ora ha la santa Chiesa, e de la renovazione ed essaltazione sua, la quale die avere nel tempo avenire, dicendo che lo tempo presente è permesso per renderle lo stato suo; allegando la prima Verità due parole che si contengono nel santo evangelio, cioè: «Egli è bisogno che lo scandalo venga nel mondo», e poi subgiunse: «ma guai a colui per cui viene lo scandalo» (Mt 18,7 Lc 17,1). Quasi dicesse: «Questo tempo di questa persecuzione vi permetto per divellere le spine de la sposa mia, che è tutta imprunata, ma non permetto le male cogitazioni degli uomini. Sai tu come io fo? io fo come io feci quando io ero nel mondo, che feci la disciplina de le funi (Jn 2,15), e cacciai coloro che vendevano e compravano, non volendo che de la casa di Dio si facesse spelunca di ladroni (Mt 21,12-13 Mc 11,15-17 Lc 19,45-46 Jn 2,15-16). Così ti dico che io fo ora, poiché Io ho fatto una disciplina de le creature, e con essa disciplina caccio i mercatanti immondi cupidi e avari, infiati per superbia, vendendo e comprando le grazie e i doni de lo Spirito santo».

Sì che con la disciplina de le persecuzioni de le creature gli cacciava fuore, cioè che per forza di tribulazione e persecuzione lo' tolleva lo disordenato e disonesto vivere.

E crescendo in me lo fuoco del santo desiderio, mirando, vedevo nel costato di Cristo Crocifisso intrare lo popolo cristiano e lo infedele; e io passavo, per desiderio e affetto d'amore, per lo mezzo di loro, e intravo con loro in Cristo dolce Gesù acompagnata col padre mio santo Domenico e Iohanni singulare, con tutti quanti i figli miei. Allora mi dava la croce in collo e l'ulivo in mano, quasi come volesse, e così diceva, che io la portasse all'uno popolo e all'altro; e diceva a me: «Di' a loro: "Io v'annunzio gaudio magno"». Allora l'anima mia più s'empiva; abnegata era coi veri gustatori ne la divina essenzia, per unione e affetto d'amore. Ed era tanto lo diletto che aveva l'anima mia che la fatica passata, del vedere l'offesa di Dio, non vedeva, anco dicevo: O felice e aventurata colpa! Allora lo dolce Gesù sorrideva e diceva: «Or è aventurato lo peccato che non è nulla? Sai tu quello che santo Gregorio dicea, quando disse: «felice e aventurata colpa»? quale parte è quella che tu tieni che sia aventurata e felice, e che dice santo Gregorio?». Io rispondevo come esso mi faceva rispondere e dicevo: «Io veggio bene, Signore mio dolce, e bene so, che il peccato non è degno di ventura e non è aventurato né felice in sé, ma lo frutto che esce del peccato. Questo mi pare che volesse dire Gregorio: che, per lo peccato d'Adam, Dio ci dié il Verbo dell'unigenito suo Figlio e il Verbo dié il sangue; dando la vita ci rendé la vita con grande fuoco d'amore. Sì che il peccato è aventurato, non per lo peccato, ma per lo frutto e dono che abiamo d'esso peccato». Or così è, sì che dell'ofesa che fanno gl'iniqui cristiani perseguitando la Sposa di Cristo, nasce la essaltazione, lume e odore di virtù in essa sposa. Ed era questo sì dolce che non pareva che fusse nessuna comparazione da l'offesa alla smisurata bontà e benignità di Dio che in essa sposa mostrava.

Allora io godevo ed essultavo, e tanto ero vestita di certezza del tempo futuro che me il pareva possedere e gustare: dicevo allora con Simeone: «Nunc dimictis servum tuum Domine secundum verbum tuum in pace» (Lc 2,29). Facevansi tanti misterii che la lingua non è sufficiente a dirlo, né cuore a pensarlo, né occhio a vederlo (1Co 2,9). Or quale lingua sarebbe sufficiente a narrare le mirabili cose di Dio? non la mia di me misera miserabile; e però io voglio tenere silenzio e darmi solo a cercare l'onore di Dio, e la salute delle anime, e la renovazione ed essaltazione de la santa Chiesa, e per la grazia e fortezza de lo Spirito santo perseverare fino a la morte.

E con questo desiderio io chiamavo e chiamarò con grande amore e compassione lo nostro Cristo in terra, e voi, padre, con tutti i cari figli; e dimandavo e avevo la vostra petizione. Godete godete ed essultate.

O dolce Dio amore, adempie tosto i desiderii dei servi tuoi! Non voglio dire più, e non ho detto nulla.

Stentando muoio per desiderio; abbiatemi compassione. Pregate la divina bontà e Cristo in terra che tosto si spacci.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Annegatevi nel sangue di Cristo Crocifisso, e per nessuna cosa venite meno, ma più conforto pigliate.

Godete godete ne le dolci fatiche. Amatevi amatevi amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù amore.





220. A suora Magdalena figlia di monna Alessa, delle monache di Santa Bonda presso a Siena.


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vestita del vestimento reale, cioè del vestimento dell'ardentissima carità, che è quello vestimento che ricuopre la nudità, e nasconde la vergogna, e scalda, e consuma lo freddo.

Dico che ricuopre la nudità, cioè che l'anima creata all'imagine e similitudine di Dio (Gn 1,26), avendo l'essere, senza la divina grazia non avrebbe lo fine per mezzo del quale fu creata. Convienci principalmente avere lo vestimento della grazia, lo quale riceviamo nel santo battesimo mediante lo sangue di Cristo. Con questo vestimento i fanciulli che muoiono in puerizia hanno vita eterna; ma noi spose, che aviamo spazio di tempo, se non c'è posto uno vestimento d'amore verso lo sposo eterno, conoscendo la sua inestimabile carità, potremmo dire che questa grazia, che noi aviamo ricevuta nel battesimo, fusse nuda. E però è necessario che noi leviamo l'affetto e il desiderio nostro con vero cognoscimento di noi, e aprire l'occhio dell'intelletto, e in noi conoscere la bontà di Dio, e l'amore ineffabile che egli ci ha. Poiché l’intelletto che conosce e vede, non può fare l'affetto che non ami, e la memoria che non ritenga lo suo benefattore.

E così con l'amore traie a sé l'amore: e trovasi vestita e ricuperta la sua nudità.

Dico che nasconde la vergogna, e questo in due modi: l'uno è che per pentimento ha gittato da sé la vergogna del peccato; come? che da la vergogna, che in quella anima era venuta per l'offesa fatta al suo Creatore, è restituita per lo vestimento dell'amore delle virtù, ed è venuta a onore di Dio e ha frutto in sé. Perché d'ogni nostra opera e desiderio Dio ne vuole lo fiore de l'onore e a noi lassa lo frutto. Sì che vedi che nasconde la vergogna del peccato. Dico che un'altra vergogna le tolle: cioè che di quello che la sensualità con amore proprio e parere del mondo si vergogna, la volontà, morta in sé e in tutte le cose transitorie, non vede vergogna. Anco si diletta delle vergogne, strazii, scherni, villanie e rimproverio: e tanto ha bene, quanto si vede conculcare dal mondo. Ella è contenta, per onore di Dio, che lo mondo la perseguiti con le molte ingiurie, lo demonio con le molte tentazioni e molestie, la carne con volere ribellare allo spirito. Di tutte gode per odio e vendetta di sé, per conformarsi con Cristo Crocifisso, reputandosi indegna della pace e quiete della mente. E non si vergogna d'essere schernita e beffata da tutti e tre questi nemici, cioè lo mondo, la carne, e il demonio, perché la volontà sensitiva è morta - vestita del vestimento della somma ed eterna volontà di Dio -, anco l'ha in debita reverenzia, e ricevele con amore, perché vede che Dio l'ha permesse per amore, e non per odio: con quello affetto che noi vediamo che elle sono date, con quello le riceviamo. Dolce è a desiderare vergogna, ché con essa si caccia la vergogna.

O quanto è beata l'anima, che ha acquistato così dolce lume! Ché insiememente è odiare i movimenti nostri e gli altrui, e amare le pene che per essi movimenti sosteniamo. Movimento nostro è la propria sensualità, movimenti altrui sono le persecuzioni del mondo. Reputati, carissima figlia, degna de la pena, e indegna del frutto che segue doppo la pena. Queste saranno le fregiature che tu porrai nel vestimento reale. Tu sai bene che lo sposo eterno fece lo simile, ché sopra lo vestimento suo pose le molte pene, fragelli, strazii, scherni e villanie, e nell'ultimo l'obrobiosa morte de la croce.

Dico che scalda, e consuma la freddezza: scaldasi del fuoco dell'ardentissima carità, lo quale dimostra per desiderio spasimato de l'onore di Dio nella salute del prossimo, portando e sopportando i difetti suoi.

Gode coi servi di Dio che godono, e piange con gli iniqui che sono nel tempo del pianto, per compassione e amaritudine che porta dell'offesa che fanno a Dio; e dassi volentieri a ogni pena e tormento per reduciarli allo stato di coloro che godono e che vivono inamorati de le dolci e reali virtù.

Dico che consuma lo freddo, cioè la freddezza dell'amore proprio di sé medesima, lo quale amore proprio acieca l'anima e non le lassa conoscere né sé né Dio, e tollele la vita della grazia, e genera impazienzia; la radice della superbia mette fuore i rami suoi. Offende Dio e offende lo prossimo con disordenato affetto, ed è incomportabile a sé medesimo, sempre ribella a l'obedienzia sua: e tutto questo fa l'amore proprio di sé.

E però voglio, dolcissima e carissima figlia, che tu perda ogni amore proprio della propria sensualità, perché non sta bene alla sposa di Cristo d'amare altro che lo Sposo suo, e col lume della ragione abraccicare le virtù. Altrimenti, non potresti navigare in questo mare tempestoso di questa tenebrosa vita, senza la navicella de la santaobbedienza, ne la quale tu sei entrata. Senza essa, figlia carissima, non giognaresti al porto della vita durabile, dove tu t'unisci con lo sposo eterno. Pensati, che se tu con l'amore proprio la percotessi nello scoglio della disobbedienza, ella si romparebbe; e per questo modo affogaresti e perdaresti lo tesoro, cioè lo frutto del santo proponimento che tu facesti quando promettestiobbedienza, facendo professione.

Perciò levati da questo amore, a ciò che non perisca; e virilmente come vera sposa rizza nella tua navicella l'arbolo dello immacolato e umile Agnello, sposo tuo, cioè la santissima croce, e con la vela della suaobbedienza. Ché vedi bene che con questa vela dell’obbedienza del Padre suo, avendola spiegata, corse con veloce vento d'amore, e d'odio del peccato e di questo amore sensitivo, infine all'obrobiosa morte della santissima croce. Or così fa' tu, conobbedienza pronta, con umilità vera, e con amore di Dio e del prossimo portandoti, e amando caritativamente le tue sorella, e senza scandalo di mente o mormorazione di lingua. Porta e soporta ciò che tu udisse o vedesse nel prossimo tuo; e le reprensioni che ti fussero fatte ricevele con reverenzia, pensando che per amore ti dicono, ed eziandio se ti facessero, e non per odio.

Per questo modo ti levarai lo sdegno e ogni pena, e averai l'affetto delle virtù, e l'odio e il pentimento del vizio e del proprio e disordinato amore; avendo imparato dal dolce e buono Gesù, lo quale t'è regola, via e dottrina. La regola e dottrina ce la insegna con l'obedienzia sua, non schifando pene; ma con obrobrio, scherni e villanie, ingiurie e infamie, e con molte mormorazioni la compì in su lo legno della santissima croce. Ètti via ché, come egli per via di croce andò, così tu e ogni creatura che ha in sé ragione lo debba seguire, sostenendo ogni pena, tormento e molestia per lo suo amore, spiegando la vela in su questo arbolo, Cristo Crocifisso: la vela dell'amore e l'affetto del desiderio con la continua orazione.

La quale orazione porta e reca: porta i nostri desiderii pieni d'odio di noi, e amore delle virtù provate nella carità del prossimo. Dico che reca lo desiderio e la volontà di Dio, e avendolo arrecato, sel mette indosso con le mani delle sante e buone opere. Allora ti trovarai spogliata del tuo proprio amore, e vestita del vestimento nuziale. In altro modo, non saresti vera sposa né faresti resistenza alle molte mormorazioni - che io so che odi di noi - che t'hanno dato pena. Non voglio che avesse più pene; perché questa è la via unde debbono andare i veri servi di Dio. E considerando me che chi fa questo che detto è, è privato d'ogni pena e rimane in pace e in quiete, però ti dissi che io desiderava di vederti vestita del vestimento reale, cioè dell'abisso de la carità del re eterno, a ciò che tu sia privata della pena de l'obedienzia e di quella delle mormorazioni, e stia in pace e in quiete, gustando Dio per grazia, sì che nell'ultimo riceva l'eterna visione di Dio, dove sono finite tutte le pene, e dove si riceve lo frutto delle virtù, che segue doppo le fatiche.

Dio ti doni a te e all'altre la sua dolce ed eterna benedizione. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.





221. A sorella Bartolomea de la Seta, monaca di santo Stefano in Pisa.

Al nome di Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi sposa vera consecrata allo Sposo eterno.

Condizione è de la sposa di fare una volontà con lo sposo suo, e non può volere più che egli voglia, e non pare che possa pensare altro che di lui. Or così pensa tu, figlia mia, che sei sposa di Cristo crocifisso: non debbi pensare altro che di lui, cioè di consentire ai pensieri. Ch'i pensieri non venissero, questo non dico io, ché nol potresti fare né tu né creatura, poiché il demonio non dorme mai: e questo permette Dio per fare venire la sua sposa a perfetta sollicitudine e per farla essercitare in virtù. Questa è la cagione perché Dio permette alcune volte che la mente rimane sterile e tenebrosa, attorniata di molte perverse cogitazioni, che non pare che possa pensare di Dio, né ricordare apena il nome suo.

Guarda che quando tu sentissi questo in te medesima, che tu non venga a tedio né a confusione disordinata; né non lasciare l'essercizio né l'atto dell'orazione, perché il demonio ti dicesse: «Che ti giuova questa orazione, che non la fai con affetto né con desiderio? meglio ti sarebbe a non farla». Non la lasciare però, né per questo non venire a confusione, ma risponde virilmente: «Più tosto voglio essercitarmi per Cristo crocifisso sentendo pena, tenebra e battaglia, che non essercitarmi sentendo riposo». E pensa che questa è la perfetta condizione della sposa di Cristo: che se possibile fusse di campare l’inferno, e avere diletto in questa vita, e con questo avere vita eterna, ella non la vuole per questo affetto, tanto si diletta di conformarsi con Cristo crocifisso; e più tosto la vuole per via di croce e di pena che senza pena.

Or che maggior diletto può avere la sposa, che conformarsi con lo sposo, ed essere vestita di simile vestimento? Perché Cristo crocifisso ne la vita sua non elesse altro che croce e pena, e di questo vestimento si vestì, e però la sposa sua si reputa beatitudine quando si vede vestita di questo vestimento, perché vede che lo sposo l'ha amata smisuratamente, e però ella l'ama: ricevelo con tanto amore e con tanto desiderio, che non è lingua sufficiente che il potesse narrare. E però la somma ed eterna Bontà, per farla giognare a perfettissimo amore e vera umilità, permette le molte battaglie e la mente asciutta, a ciò che la creatura riconosca sé medesima e vegga sé non essare: poiché se ella fusse alcuna cosa, levarebbesi la pena quando volesse; ma perché ella non è, non può.

Conoscendo sé, s'umilia nel suo non essere, conosce la bontà di Dio, che l'ha dato l'essere, e ogni grazia che è fondata sopra l'essere. Ma tu mi dirai: «Quando io ho tante pene e tante battaglie e tenebre, io non posso vedere altro che confusione; e non pare che io possa pigliare speranza nessuna, e tutta mi veggio misera». Rispondoti, figlia mia, che se tu cercarai, trovarai Dio ne la buona volontà: poniamo che tu senta molte battaglie, tu non ti senti privata la volontà, che ella non voglia Dio. Anco, è questa la cagione perché si duole e ha pena, perché teme d'offendare Dio. Debba godere ed essultare, e non venire a confusione per battaglie, vedendo che Dio gli conserva la buona volontà, e dàgli pentimento del peccato mortale.

Questo mi ricordo che udii dire a una serva di Dio, che le fu detto da la prima e dolce Verità: essendo stata in grandissima pena e tentazioni, e fra l'altre sentì grandissima confusione, in tanto che il demonio diceva: «Che farai, che tutto lo tempo de la vita tua starai in queste pene, e poi avarai l’inferno?». Ella rispose con uno cuore virile, senza veruno timore, e con uno odio santo di sé: «Non ischifo pena, ché io ho elette le pene per mio refrigerio. E se nell'ultimo mi desse l’inferno, non lassarò che io non serva al mio Creatore, ché io sono colei che sono degna di stare nell’inferno, poiché io offesi la prima e dolce Verità; e se egli mi desse l’inferno, non mi fa ingiuria nessuna, ché io sono sua». Allora lo nostro dolce salvatore, in quella dolce e vera umilità, levò le tenebre e le molestie de i demoni, sì come fa quando cade la nuvola, che rimane il sole: di subito gionse la presenza del nostro salvatore. E infundevasi in uno fiume di lacrime con uno caldo dolce d'amore e diceva: «O dolce e buono Gesù, or dove eri tu quando l'anima mia era in tanta afflizione?». Rispondeva lo dolce Gesù, Agnello immacolato: «Io ero presso a te, poiché io sono immobile, che non mi parto mai da la creatura, se già la creatura non si parte da me per lo peccato mortale». E questa stava in uno dolce ragionamento con lui, e diceva: «Se tu eri con me, come non ti sentivo? come si può tenere che, stando al fuoco, io non senta lo caldo? E io non sentiva altro che ghiaccio tristizia e amaritudine: parevami essere piena di peccati mortali».

Ed egli rispondeva dolcemente, e diceva: «Vuogli che io ti mostri, figlia mia, come tu per queste battaglie non cadevi in peccato mortale, e come io ero presso di te? Dimmi: quale è quella cosa che fa lo peccato mortale? è solamente la volontà, ché il peccato e la virtù sta nel consentimento de la volontà: altrimenti, non è peccato né virtù, se non è volontariamente fatto. Questa volontà non c'era, ché, se ella ci fusse stata, avaresti preso diletto e piacimento ne le cogitazioni del demonio: ma perché la volontà non c'era, doleviti, e sostenevi pena per paura di non offendare. Perciò vedi che ne la volontà sta lo peccato e la virtù. Ora ti dico che tu non debbi venire per queste battaglie a disordinata confusione, ma voglio che di queste tenebre tragga la luce del cognoscimento di te, e che tu acquisti la virtù de l'umilità e ne la buona volontà godi ed essulti, conoscendo che io abito allora in te nascosamente. E la volontà t'è segno che io vi sono; ché, se tu avessi mala volontà, non sarei in te per grazia. Ma sai tu come io abito in te allora? in quello modo che io stetti in su lo legno de la croce; e quello modo tengo con voi, che tenne il Padre mio con con me. Pensati, figlia, che in sul legno della croce io ero beato ed ero doloroso: beato ero per l'unione de la natura divina ne la natura umana, e nondimeno la carne sostenne pena: ritrasse Dio eterno a sé la potenza, lassandomi sostenere pena, e non ritrasse l'unione che non fusse sempre unito con con me.

Così ti pensa che per questo modo io abito nell'anima: che ritraggo a me spesse volte lo sentimento, e non ritraggo la grazia, poiché la grazia non si perde se non per lo peccato mortale, come detto è. Ma sai tu perché io fo questo? follo solo per farla venire a vera perfezione. Tu sai che l'anima non può essere perfetta, se non con queste due ali dell'umilità e della carità: l'umilità per lo cognoscimento di sé medesimo - nel quale ella viene nel tempo delle tenebre -; la carità s'acquista vedendo che Dio per amore gli ha conservata la buona e santa volontà. Dicoti che l'anima savia, vedendo che di questo esce tanta virtù, e per altro non permetto al demonio che vi dia le tentazioni, terrà più caro quel tempo che veruno altro.

Ora ti ho detto lo modo, e pensa che questo tempo è di grande necessità per la salute vostra, ché, se l'anima alcune volte non fusse sollicitata da le molte tentazioni, ella cadrebbe in grandissima negligenzia e perdarebbe l'essercizio del continuo desiderio e orazione, poiché nel tempo de la battaglia sta più attenta per paura dei nemici, fornisce la rocca dell'anima sua, ricorre a me che sono la sua fortezza. Ma la intenzione del demonio non è così: io lo permetto a lui che vi tenti per farvi venire a virtù, ed egli vi tenta per farvi venire a disperazione.

Pensa che il demonio tentarà uno che s'è posto a servire a Dio, non perché egli creda che egli caggia attualmente in quel peccato, poiché già vede che egli elegiarebe inanzi la morte, che attualmente offendesse: ma che fa? ingegnasi di farlo venire a confusione, dicendo: «Per questi pensieri e movimenti che ti vengono, veruno bene ti giuova». Vedi quanta è la malizia del demonio, che ne la prima battaglia non ti può vinciare; ne la seconda col colore de la virtù spesse volte ti vince. Ma io non voglio che seguiti mai la maliziosa sua volontà, ma voglio che pigli la volontà mia, come io detto ti ho. E questa è la regola che io ti do, e voglio che insegni ad altrui, quando bisogna».

Or così ti dico, carissima figlia mia, che io voglio che facci tu; siami specchio di virtù, seguitando le vestigie di Cristo crocifisso. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso e fa' - ché io non voglio che tu lo cerchi né voglia altro che crocifisso - sì come sposa vera ricomprata del sangue di Cristo crocifisso.

Bene vedi tu che tu sei sposa, ché egli t'ha sposata, te e ogni creatura, non con anello d'argento, ma con l'anello de la carne sua. Vedi quello dolce pargolo, che in otto dì, ne la circuncisione, quando è circunciso, si leva tanta carne quanta è una 'stremità d'anello. O abisso, o altezza, inestimabile carità, quanto ami questa tua sposa de l'umana generazione! O vita per cui ogni cosa vive! Tu l’hai tratta de le mani del demonio che la possedeva come per sua, e tu gli l’hai tratta de le mani, pigliando lo demonio coi l'amo de la umanità, e sposila con la carne tua. E il sangue hai dato per arra; nell'ultimo, svenando lo corpo tuo, hai dato lo pagamento.

Or t'inebria, figlia mia, e non cadere in negligenzia, ma con vera sollicitudine ti leva: con questo sangue spezza la durezza del tuo cuore per sì-fatto modo che mai non si serri per veruna ignoranza né negligenzia più, né per detto di veruna creatura. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio, riposandovi sempre in sul legno della santissima croce.

Gesù dolce, Gesù amore.





222. Al soprascritto Stefano negligente.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti uscire delle tenebre e dirizzarti verso la luce senza pigliare più indugio di tempo, poiché il tempo ci viene meno, e non ce ne avediamo per la cecità nostra.

Ma egli è pure da levarsi la nuvola d'inanzi, e ponarsi per obiettivo la verità. La verità è questa, che Dio non vuole né cerca da noi altro che la nostra santificazione: per questo ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26), e però volse lo dolce e amoroso Verbo dare la vita con tanto fuoco d'amore; e così ci manifesta la sua verità. L'anima che, col lume, la raguarda, non sta a dormire; anco si desta dal sonno, cercando con grande sollecitudine il modo e la via e il luogo e il tempo per li quali la possa compire. Egli non si fida di potere aspettare lo dì di domane, perché vede che non è sicuro d'averlo. Così voglio che facci tu: caccia da te ogni tenebre, affinché non ti sia impedito questo lume.

Sai che Dio t'ha mostrato, poi che tu uscisti delle tenebre, che egli t'abbia eletto a conosciare questa verità.

Troppo saresti degno di grande riprensione se tu gli facessi resistenza: allora gli faresti resistenza, quando per negligenzia ti ponessi a sciogliare e non a tagliare. E perché egli vuole che tu tagli, però t'ha conceduto di grazia che tu abbi spacciati i fatti tuoi, del quale spaccio ho avuta grandissima allegrezza. Or sollicitamente, figlio mio, come quegli che debbono avere fame del tempo, spaccia quello che t'è rimaso a fare affinché compi la volontà di Dio in te. Non ti dico più.

Di' a Petro che non sia negligente a disobrigare sé medesimo, affinché egli corra sciolto, e non legato, per la dottrina di Cristo crocifisso. Al fatto di misseri etc.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.





223. A missere Giacomo cardinale degli Orsini.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferma e stabile, posto a notricare nel giardino della santa Chiesa: per gli molti venti contrarii che vengono, se non fusse di pietra ben fondata verrebbe meno; conviene che il fondamento sia cavato ben giù, ché se fusse poco, anco sarebbe debole.

O padre in Cristo Gesù, voi sete colonna posta per umilità, la quale umilità s'acquista nel vero cognoscimento di sé medesimo; e però cadell’uomo in superbia, perché non conosce sé: che se conoscesse sé medesimo non essere, mai non cadarebbe in superbia. Ma l'essere ch'egli ha, ha ricevuto solo da Dio, ché noi non pregammo mai Dio che ci creasse; mosso dunque dal fuoco della sua divina carità, per l'amore che egli ebbe alla sua creatura, guardandola dentro da sé innamorossi della bellezza sua e della fattura delle mani sue. A mano a mano che l'anima ha raguardato in sé, viene che trova la bontà di Dio: cresce l'anima in tanto fuoco d'amore che altro non può amare né desiderare se non solo Dio, in cui egli ha trovata tanta smisurata bontà, poiché vede in sé essere quella pietra che tenne ritto lo gonfalone della santissima croce, ché né pietra l'averebbe tenuto, né chiovo confitto, se non fusse la forza dell'amore che Dio ebbe all'uomo.

Questo mi ricordo che fu detto una volta a una serva sua, dicendo ella per smisurato desiderio che aveva: «O Signor mio, se io fossi stata della pietra e terra dove fu fitta la croce tua, quanto mi sarebbe di grazia! Che io averei ricevuto del sangue tuo, che versava giù per la croce». Rispondeva la dolce prima Verità, e diceva: «Figlia mia carissima, tu e l'altre creature che hanno in sé ragione fuste quella pietra che mi teneste, cioè l'amore che io ebbi a voi, ché verun'altra cosa era sufficiente a tenermi Dio e Uomo».

Perciò vergogninsi i cuori miseri miserabili superbi, dati solo alle grossizie e miserie di questa tenebrosa vita, alle grandezze e stati e delizie del mondo. Questo cotale fa lo fondamento tanto in su, con amore proprio di sé medesimo, perché non vuole durare fatiga, né tenere per la via delli obrobrii, de la viltà e povertà volontaria, la qual via tenne lo dolce e buon Gesù. Dico, carissimo fratello, che questo cotale non dura, ma ogni piccolo vento lo dà a terra, poiché il fondamento suo - cioè l'amore e l'affetto - è posto in cosa vana leggiera e transitoria, che passa e va via come lo vento.

Ben vedete che in sé nessuna cosa ha fermezza, se non solo Dio. Se ella è vita, ella viene meno: da vita andiamo alla morte, da sanità ad infermità, da onore a vituperio, da ricchezza a povertà: ogni cosa passa e corre via. O come è semplice colui che pone l'affetto in loro! Tutto vel pone, perch'egli ama sé medesimo d'amore sensitivo: ama quello che si conforma con quella parte sensitiva piccola. Non ama sé di ragione d'amore fondato in virtù, ché se s'amasse ragionevolmente, che ciò che ama amasse con ragione e con virtù, - e non per diletto sensitivo d'amore proprio, diletto e piacimento del mondo, piacere più a sé e alle creature che a Dio -, se venissero meno non perdarebbe nulla, né pena ne sosterrebbe, perché non vi sarebbe l'amore. Ché, solo, la pena cade in coloro che amano fuore di Dio; ma chi ha ordinato in lui, che sé e ogni cosa ama colla ragione del cognoscimento vero fondato nel suo Creatore, non cade pena in lui.

Vede bene che veruna cosa Dio gli dà o tolle spiritualmente o temporalmente: egli nol fa altro che per nostro bene e per nostra santificazione.

Allora con questo lume e cognoscimento ch'egli ha acquistato di sé e della bontà di Dio e della sua inestimabile carità, egli s'umilia, cavando con odio e pentimento di sé; nasce in lui una pazienza nelle pene, ingiurie, scherni e villanie che egli sostenesse: poiché egli è contento di sostenere pene, considerato che egli è stato ribelle al suo Creatore. Poi che egli è fatto lo fondamento, ed egli diventa pietra ferma e stabile, posto e confermato in su la pietra Cristo Gesù, seguitando le vestigie sue; e in altro non si può dilettare né amare né volere, se non quello che Dio ama; odia quello che egli odia. Allora riceve tanto diletto fortezza e consolazione, che nessuna cosa che sia, né demonio né creatura, lo può indebilire né dare amaritudine nessuna, perché colà ov'è Dio è ogni bene. Non si ritragga più lo cuore nostro da tanta carità: non più negligenzia né ignoranza.

Seguitatemi l'Agnello dissanguato, aperto in sul legno della santissima croce; altrimenti, carissimo padre, voi, colonna posto ad aiutare e sovvenire in ciò che potete la dolce sposa di questo Agnello, non rendareste a lui lo debito, ché questo Agnello solo v'ha posto non per vostra bontà, ma per sua, perché rendiate l'onore a lui e la fatiga al prossimo vostro. Siate, siate gustatore e mangiatore de l'anime, ché questo fu lo cibo suo. Ben vedete che - poi che noi perdemmo la grazia per lo peccato del nostro primo padre - non s'adempiva in noi la volontà del Padre eterno, che non ci avea creati per altro fine se non perché gustassimo e godessimo la bellezza sua, vita durabile senza morte. Non s'adempiva questa volontà: mosso dal fuoco dell'amore col quale ci avea creati, vuole mostrare che non ci ha fatti per altro fine; trova lo modo d'adempire questa volontà: dacci per amore lo Verbo dell'unigenito suo Figlio; sopra di lui punisce la nostra infirmità e iniquità.

O fuoco dolce d'amore, tu gitti uno colpo che insiememente tu punisci lo peccato sopra di te, sostenendo morte e passione, satollandoti d'obrobrii e di vergogna e vituperio, per rendarci l'onore lo quale perdemmo per lo peccato commesso; e con questo hai placato l'ira del Padre tuo. Facendo in te giustizia per me, sodisfacesti la 'ngiuria fatta al Padre eterno tuo: così hai fatta la pace della gran guerra.

Ben dice il vero quel dolce innamorato di Pavolo, che Cristo è nostra pace e mediatore: ché è stato mezzo a fare pace fra Dio e l'uomo. Or questo è il modo dolce e suave che Dio ha tenuto per darci il fine per mezzo del quale ci creò: mostrato l'ha per effetto e per opera, non obstante a quello che egli ha fatto, ma continovamente fa, mostrandoci grandissimi segni d'amore. E tutto questo trovarà l'anima se raguardarà in sé medesima, ché ogni cosa è fatta per lei. Arrendasi, arrendasi la città de l'anima nostra almeno per fuoco, se non s'arende per altro.

Oimé, oimé, non dormite più, voi e gli altri campioni della santa Chiesa; non attendete pure a queste cose transitorie, ma attendete a la salute de l'anime. Ché vedete che il demonio non si stanca mai di devorare le pecorelle ricomperate di sì dolce prezzo: e tutto è per la mala cura dei pastori, che sono fatti devoratori de l'anime. Attendeteci, per l'amore di Dio! Adoperate ciò che potete, col nostro dolce Cristo in terra, che procuri di fare buoni pastori e rettori. Doimé, Dio amore! Non fate più scoppiare e morire noi e gli altri servi di Dio; ma siate sollecito a fare ciò che potete, di mostrare che voi abbiate fame de l'onore di Dio e della salute de l'anime. E non tanto sopra lo popolo cristiano, ma anco sopra il popolo infedele: pregando Cristo in terra che tosto rizzi lo gonfalone della santissima croce sopra di loro. E non temete per veruna guerra o scandolo che venisse, ma fate virilmente; ché quello sarà lo modo di venire a pace.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che della guerra che avete con questi membri putridi, che sono ribelli al capo loro, voi preghiate lo padre santo che si rivoglia riconciliare e fare pace con essi; ché, potendo avere la pace con quegli modi debiti che si richiegono al bene della santa Chiesa, è meglio che a fare con guerra: poniamo che ingiuria abbia ricevuta da loro, nondimeno doviamo discernare quello che è maggiore bene. Di questo vi prego quanto so e posso, sì che poi possiamo andare virilmente a dare la vita per Cristo. Non dico più. Siate colonna ferma, fermato e stabilito in su la pietra ferma Cristo.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio.

Perdonate alla mia presunzione, che presummo di scrivare a voi: scusimi l'amore che io ho della dolce sposa di Gesù Cristo, e salute vostra. Gesù dolce, Gesù amore.





224. Alla soprascritta monna Niera donna di Gherardo Gambacorti, in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva fedele e figlia del Padre eterno.

Sapete che l'amore è quella cosa che ci fa fedeli: sempre in quella cosa che altri ama, egli ha fede. (Così vediamo che i veri servi di Dio, per l'amore che essi hanno al loro Creatore, perdono ogni fede e speranza di loro medesimi, che non sperano in loro virtù né in loro sapere, ché eglino cognoscono e veggono loro non essere: l'essere loro retribuiscono a Dio, d'averlo per grazia e non per debito). Subito che ama con fede, ha speranza viva, non in sé ma in Colui che è (Ex 3,14).

Questi cotali hanno fede viva e non morta, con dolci e sante opere. Quali sonno le opere che mostrano fede viva fondata in vero amore? La pazienza contro la ingiuria o pena, per qualunque modo Dio le concede a noi; la divina carità contro l'amore sensitivo proprio di sé medesimo; l'umilità contro l'gonfia superbia che l'uomo acquista per lo stato e delizie, onori e diletti del mondo. Questa umilità dispregiarà il mondo con tutte le sue pompe; ma veruno è che la possa avere, se egli non conosce sé, defettuoso, non essere, e vega Dio umiliato a sé. Come l'anima raguarda la somma altezza discesa in tanta bassezza quanta è la nostra umanità, vergognasi allora l'umana superbia vedendo Dio tanto umiliato. Or questi sonno i frutti che parturisce la fede viva, posta solo nel suo Creatore. Costoro godono e gustano Dio in verità; non sentono pena per veruna pena o tormento che sostengono, poiché credono fermamente che Dio non cerca, né vuole, né permette veruna cosa altro che per nostra santificazione. E tutto questo procede da l'amore: ché se l'amore non fusse, non avrebbero fede.

Così vedete che per lo contrario coloro che hanno al mondo posto l'affetto e la solicitudine loro, tutta la fede e la speranza si riposa in loro e nel mondo; e però stanno in continua pena e amaritudine, perché pongono l'amore in cosa che non è ferma né stabile, e così se ne trovano ingannati. Che stabilità hanno o padre o madre o onori o ricchezze o signoria? Non veruna, ché ogni cosa passa come il vento. Oggi vivo, e domane morto; testé sano, e testé infermo; testé ricco, testé povaro; ora sta in delizie coi figli suoi, testé viene meno. E però sostiene pena, ponendoci l'amore e il disordinato desiderio: perché non bastano, e non può tenere quello che ama.

E però voglio, figlia mia dolcissima, che non abbiate affetto né fede né speranza in voi, né in cosa corruttibile; ma tutta voglio che vi dilettiate di servire Cristo dolce Gesù, dove si riposa ogni diletto e consolazione. Ine s'inebria l'anima del sangue de l'Agnello immacolato; ardesi e risolvesi nel fuoco de l'ardentissima carità; riceve tanta fortezza che né demonio né creatura gli può togliere questo vero bene.

Perciò nascondetevi ne le piaghe di Cristo crocifisso; dilettatevi in Cristo crocifisso; amate e temete Cristo crocifisso; ponete l'affetto, la fede e la speranza vostra in Cristo crocifisso.

Con questo dolce e vero Agnello passerete questa tenebrosa vita, e giognarete a la vita durabile, dove si pascono i veri e dolci gustatori. Non voglio dire più.

Di quello che mi mandaste dicendo, d'allogare il vostro garzone, vi rispondo che voi attendiate non a l'avere né ai grandi parentadi, ma solo a la virtù e a la buona condizione de la fanciulla. Quando trovate questo, fatelo sicuramente. E ciò che fate, fatelo con timore di Dio, ponendolo sempre per obiettivo dinanzi agli occhi de l'anima vostra. Benedite e confortate monna Gy. in Cristo dolce Gesù. E dite a Gherardo ch'io mi richiamarò a Cristo crocifisso di lui, perché egli non ha fatto quello che deve fare ogni fedele cristiano. Dite che non aspetti l'ultimo dì de la vita sua, poiché non sa né quando né come.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.





225. A frate Lazzarino da Pisa dei frati Minori.

Al nome di Cristo Crocifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e fratello e figlio in Cristo Gesù, io Caterina scrivo risovenendomi di quella dolce parola che disse Cristo: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi in prima ched io muoia»(Lc 22,15).

Di questo santo desiderio, secondo che mi dà la divina grazia - ché io per me non sono, ma solo Dio è quello che è -, secondo che Dio ha vulnerata l'anima mia, ardisco di dire quello che disse Cristo: con desiderio io desidero che noi facciamo la Pasqua in prima che noi moriamo. Questa sarà la nostra dolce e santa Pasqua, cioè quello che dice David nel psalterio: «Gustate et videte» (Ps 33,9). Non pare che possiamo vedere Dio se in prima non facciamo questa santa Pasqua di gustare lui: di gustarlo per amore de la sua inestimabile carità de la carità, conoscendo e gustando che la bontà di Dio non vuole altro che il nostro bene, come dice quello inamorato di Pavolo: «Dio è nostra santificazione e giustizia e ogni nostro riposo» () e «la volontà di Dio non vuole altro che la nostra santificazione» (1Th 4,3).

O inestimabile carità e carità, tu dimostrasti questo ardente desiderio e corristi come ebbro e cieco all'obrobio de la croce. Come lo cieco non vede, e l'ebbro quando è bene avinazzato, così egli quasi come morto perdette sé medesimo, sì come cieco ed ebro de la nostra salute; e nol ritrasse la nostra ignoranza né la nostra ingratitudine, né l'amore proprio che noi aviamo a noi. O dolcissimo amore Gesù, tu t'hai lassato acecare all'amore che non ti lassa vedere le nostre iniquità - n'hai perduto lo sentimento, Signore dolce! - Parmi che l'abbi volute vedere e punire sopra al corpo dolcissimo suo, dandosi al tormento de la croce, stando in su la croce come innamorato, a mostrare che non n'ama per sua utilità ma per nostra santificazione. Drittamente egli sta come nostra regola, come nostra via e come libro scritto che ogni persona grossa e cieca lo può leggiare, e il primo capoverso del libro si è odio e amore: amore dell'onore del Padre e odio del peccato. Perciò, dilettissimo e carissimo fratello, e padre per reverenzia del sagramento, seguiamo questo dolce libro che così dolcemente ci mostra la via.

Se avenisse che questi tre nostri nemici si parassero ne la via, cioè lo mondo, la carne e il demonio, e noi pigliamo l'arme dell'odio, sì come fece lo padre vostro santo Francesco: perché lo mondo non gli gonfiasse lo stomaco egli elesse la santa e vera e 'strema povertà, e così voglio che facciamo noi. E se il demonio de la carne volesse ribellare allo spirito, gionga lo pentimento, affriga e maciari lo corpo nostro, sì come fece esso vostro padre, che sempre con sollecitudine e non con negligenzia corse per questa santa via. Se il demonio giognesse coi le molte illusioni e variate fantasie e timore servile, e volesseci occupare la mente e l'anima nostra, non temiamo, ché esse sono diventate impotenti per la virtù de la croce. Amore dolcissimo!, poi che non possono più se non tanto quanto Dio lo' dà, e Dio non vuole altro che lo nostro bene, Perciò non lo' darà più che noi possiamo portare.

Confortatevi confortatevi e non schifate pena, conservando sempre la santa volontà che ella non si riposi in altro se non in quello che Cristo amò e in quello che egli odiò. Così armata la nostra volontà d'odio e d'amore, ricevarà tanta fortezza che, come dice santo Pavolo, né il mondo né il demonio né la carne non ci potrà ritrare di questa via. Portiamo portiamo, fratello carissimo: quanto più pena portaremo qua giù con Cristo crocifisso, più ricevaremo di gloria, e veruna pena sarà tanto remunerata quanto la fatica del cuore e la pena mentale: perché sono le maggiori pene che sieno, sono degne di maggiore frutto. In questo modo ci conviene gustare Dio, affinché il possiamo vedere.

Altro non vi dico se non che siamo uniti e transformati in quella dolce volontà di Dio. Corriamo corriamo, dolcissimo fratello, legati tutti col vincolo de la carità con Cristo crocifisso in sul legno de la croce. Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi racomando e pregovi che preghiate Dio per me sì che io vada in verità. Gesù Gesù Gesù.

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19/10/2012 16:44

226. A frate Raimondo da Capua dell'ordine dei frati Predicatori

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce

A voi dilettissimo e carissimo padre e figlio in Cristo Gesù, dato da quella dolce madre Maria: io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e a Papo nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figli veri e banditori della parola incarnata del Figlio di Dio, non pur con voce ma con opera, imparando dal maestro de la verità, lo quale operò la virtù e poi la predicò.

A questo modo farete frutto e sarete quello condotto per cui mezzo Dio porgerà la grazia nel cuore degli uditori. Sappiate, figli miei, che la buona vita e fame de l'onore di Dio e della salute delle anime non potremmo avere né imparare, se noi non andassimo alla scuola del Verbo, Agnello esvenato e derelitto in croce, poiché ine si trova la dottrina vera. Così disse egli: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6), e neuno può andare al Padre se non per lui.

Aprasi l'occhio del cognoscimento vostro a vedere, e sturate l'orecchie e udite che dottrina vi dà. Vedete voi medesimi, poiché in lui trovate voi, e in voi trovate lui: cioè che in lui trovate voi per grazia e non per debito - creandovi all'imagine e similitudine sua -, e in voi trovate la smisurata bontà di Dio, avendo presa la similitudine nostra per l'unione che ha fatta la natura divina con la natura umana. Scoppino e fendansi i cuori nostri a raguardare tanto fuoco e fiamma d'amore che Dio è innestato nell’uomo, e l'uomo in Dio. O amore inestimabile, se l'uomo l'avesse avuto in pregione sì bastarebbe. A questa dolce scuola v'invito, figli miei, poiché questo affetto e amore vi menarà e farà la via.

Dico che apriate l'orecchie a udire la sua dottrina, che è questa: povertà volontaria; pazienza contro l'ingiurie; rendare bene a coloro che ci fanno male; essere piccolo, umile, calpestato e derelitto nel mondo; scherni, strazii, ingiurie, villanie, detrazioni, mormorazioni, tribulazioni e persecuzioni dal mondo, dal demonio visibile e invisibile e da la propria carne puzzolente, la quale, come ribalda, sempre vuole ribellare al suo Creatore e combattere contro lo spirito. Questa è la sua dottrina: portare con pazienza e resistere con l'arme de l'odio e dell'amore. O dolce e soave dottrina! Ella è quello tesoro lo quale egli elesse per sé e lassò ai discepoli suoi. Questo lassò per maggiore ricchezza che lasciare potesse, ché, se avesse veduto la divina bontà che le delizie i diletti i piaceri, e amore proprio di sé e vanità e leggerezza di cuore, fussero state buone, egli l'averebbe elette per sé. Ma perché la sapienza del Verbo incarnato vidde e cognobbe che questa era l'ottima parte, subito l'ama e per amore se ne veste; e così fanno i servi e figli suoi, seguitando le vestigie del padre loro.

Perciò non voglio che caggia ignoranza in voi, né che vi ritraiate da questa dolce e dilettevole via e soave scuola; ma come figli veri vi stregnete questo vestimento indosso, e sì e per sì-fatto modo vi sia incarnato che mai non si parta da voi, se non quando si partirà la vita. Allora abandonaremo lo vestimento de la pena e rimarremo vestiti del vestimento del diletto e mangiaremo alla mensa dell'Agnello lo frutto che segue doppo le fatiche. Così fece lo dolce banditore di Paulo, che si vestì di Cristo Crocifisso e spogliato fu del diletto de la divina essenzia. Vestesi di Cristo uomo, cioè de le pene e obrobrii di Cristo Crocifisso e in altro non si vuole dilettare, anco dice: «Io fuggo di gloriarmi se non ne la croce di Cristo Crocifisso» (Ga 6,14).

E tanto gli piacque che, come disse una volta a una serva sua: «Dolce figlia mia, tanto me gli ho stretto col legame dell'affetto e dell'amore, che mai da me non si partì, né punto allentò, se non quando mi fu tolta la vita». Bene pareva lo dolce di Paulo che egli avesse studiata questa dottrina: seppela perfettissimamente, in tanto che diventa mangiatore e gustatore delle anime, avendo fatto come fa la spugna che trae a sé l'acqua. Così egli, passando per la via degli obrobrii, trova inestimabile carità e bontà di Dio, con la quale ama sommamente la creatura; vede che la sua volontà è questa, di volere la nostra santificazione e l'onore del Padre eterno e la salute nostra - e dessi alla morte per adempire in noi questa santificazione -.

Paulo piglia questa volontà e intendela e, intesa, si dà subito a dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo.

Bandisce virilmente la verità e non tarda per negligenzia, ma è sollicito ed è fatto vasello di carità, pieno di fuoco a portare e predicare la parola di Dio.

Or così desidera l'anima mia con grandissimo e ardente desiderio, che io ho desiderato di fare Pasqua con voi, cioè di vedere compito e consumato lo desiderio mio. Or quanto sarà beata l'anima mia quando io vedrò voi, sopra tutti gli altri, essere posto fermato e stabilito nell'obiettivo vostro Cristo Crocifisso, e pascervi e nutrervi del cibo dell'anima! Poiché l'anima, che non vede sé per sé, ma vede sé per Dio e Dio per Dio, in quanto è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato da noi, raguardando in lui nell'ardente e consumato amore, trova la immagine de la creatura in lui; sé medesimo trova in Dio immagine sua, cioè che quello amore che vede che Dio ha in lui, quello medesimo amore distende in ogni creatura. E però subito si sente costretto ad amare lo prossimo come sé medesimo, perché vede che sommamente Dio l'ama, raguardandosi sé nella fonte del mare de la divina essenzia. Allora lo desiderio si dispone ad amare sé in Dio e Dio in sé, sì come colui che raguarda nella fonte, che vi vede la imagine sua; vedendosi sì s'ama e si diletta, e se egli è savio, prima si movarà ad amare la fonte che sé, poiché se egli non si fusse veduto, non s'averebbe amato né preso diletto, né corretto lo difetto della faccia sua, lo quale vedeva in essa fonte.

Or così pensate, figli miei dolcissimi, che in altro modo non potremmo vedere la nostra dignità i nostri difetti, i quali ci tolgono la bellezza dell'anima nostra, se noi non andassimo a specchiarci nel mare pacifico della divina essenzia, dove per essa ci rapresenta noi: poiché inde siamo usciti, creandoci la sapienza di Dio all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26). Ine troviamo l'unione del Verbo, innestato nella nostra umanità; troviamo e vediamo e gustiamo la fornace del fuoco de la carità sua, lo quale fu quello mezzo che dié noi a noi e poi unì lo Verbo in noi e noi nel Verbo, prendendo la nostra natura umana. Egli fu quello legame forte che il tenne confitto e chiavellato in croce. Tutto questo vedremo per lo vedere noi nella bontà di Dio, e in altro modo non potremmo mai gustarlo nella vita durabile, né vederlo a faccia a faccia, se prima nol gustassimo per affetto e amore e desiderio in questa vita, nel modo che detto è. E questo affetto non possiamo mostrare in lui per utilità che noi gli possiamo fare, ché egli non ha bisogno di nostro bene, ma possiamo e doviamo dimostrarlo nei fratelli nostri, cercando la gloria e loda del nome di Dio in loro.

Perciò non più negligenzia né dormire nell'ignoranza, ma con acceso e ardito cuore distendete i dolci e amorosi desiderii ad andare a dare l'onore a Dio e la fatica al prossimo, non partendovi mai da l'obiettivo vostro Cristo Crocifisso. Sapete che egli è quello muro dove vi conviene riposare a raguardare voi nella fonte. Corrite corrite, agiugnete e serratevi nelle piaghe di Cristo. Godete godete ed essultate, ché il tempo s'avvicina che la primavera ci porgerà i fiori odoriferi. E non mirate perché vedeste venire lo contrario: allora siate più certificato che mai. Oimè oimè, disaventurata l'anima mia, che io non mi vorrei mai ristare fino che io mi vedesse che, per onore di Dio, mi giognesse uno coltello che mi trapassasse la gola, sì che il sangue mio rimanesse sparto nel corpo mistico de la santa Chiesa. Oimè oimè, che io muoio e non posso morire! Non dico più: perdonate, padre, alla mia ignoranza, e scoppi e dissolvasi lo cuore vostro a tanto caldo d'amore. Non vi scrivo delle opere di Dio, che egli ha adoperate e adopera, ché non ci ha lingua né penna sufficiente.

Voi mi mandaste dicendo, padre, che io godesse ed essultasse, e mandastemi novelle da ciò, de le quali ho avuta singulare letizia. Bene che la prima e dolce Verità, lo dì poi che fui partita da voi, volendo fare a me lo sposo eterno come fa lo padre alla figlia o lo sposo alla sposa sua, che non può sostenere alcuna amaritudine, ma trova nuovi modi per darle letizia, così pensate, padre, che fece lo Verbo, somma eterna e alta deità, che mi donò tanta letizia che eziandio le membra del corpo si sentivano dissolvare e disfare come la cera nel fuoco. L'anima mia faceva tre abitazioni. Una con i demoni, per cognoscimento di me e per le molte battaglie e molestie e minacce le quali mi facevano, che non restavano punto di bussare alla porta della mia conscienzia, e io allora mi levai con uno odio e con esso me n'andai nell’inferno, desiderando da voi la santa confessione. Ma la divina bontà mi dié più che io non dimandavo ché, dimandando voi, mi dié sé medesimo, ed egli mi fece l'assoluzione e la remissione dei peccati miei e vostri, ripetendo le lezioni per altro tempo dette, obumbrandomi d'uno grande fuoco d'amore, con una sicurezza sì grande e purezza di mente, che la lingua non è sufficiente a poterlo dire.

E per compire in me la consolazione, diemmi l'abitazione di Cristo in terra, andando come si va per la strada. Così pareva che una strada fusse da la somma altezza, Trinità eterna, dove si riceveva tanto lume e cognoscimento ne la bontà di Dio, che non si può dire, manifestando le cose future: andando e conversando tra veri gustatori e con la famegliuola di Cristo in terra, vedevo venire novelle nuove di grande essultazione e pace, udendo la voce della prima Verità, che diceva: «Figlia mia, io non sono spregiatore dei santi e veri desiderii, anco ne sono adempitore; confortati e sia buono strumento e virile ad anunziare la verità, che sempre sarò con voi». Parevami sentire essaltazione del nostro arcivescovo; poi, quando io udii l'effetto secondo che mi scriveste, agionsemi letizia sopra letizia.

Oimè, figlio mio dolce, fovi manifesto l'ostinato e indurato cuore mio, affinché ne domandiate vendetta e giustizia per me, che non scoppia né fende lo cuore a tanto caldo d'amore. Oimé, che per amirabile modo queste tre abitazioni l'una non impediva l'altra, ma l'una condiva l'altra, sì come lo sale e l'oglio condisce e fa perfetta la cucina. Così la conversazione deli demoni, per umiltà e odio, e la fame e conversazione della santa Chiesa, per amore e desiderio, mi faceva stare e gustare nella vita durabile coi veri gustatori. Non voglio dire più: pensate che io scoppio e non posso scoppiare.

Dicovi novelle del mio padre frate Thomaso, che per la grazia di Dio, con la virtù ha vinto lo demonio. Egli è fatto tutto uno altro uomo che non soleva essere, in grande affetto e amore si riposa lo cuore suo. Pregovi che gli scriviate alcune volte manifestando voi medesimo. Fate festa,ch'i miei figli smarriti sono tornati alla greggia, esciti sono de le tenebre! Nullo è che mi dica nulla più che io mi voglia fare. Io Caterina indegna vostra figlia adimando la vostra benedizione. Racomandovi tutti i miei figli e figlie, che voi n'abbiate buona cura, sì che lo lupo infernale non me ne tolga neuno. Credo che Neri verrà costà, perché mi pare che sia bene di mandarlo a corte. Informatelo di quello che fa bisogno d'adoperare per la pace di questi membri putridi che sono ribelli alla santa Chiesa, poiché non si vede più dolce remedio a pacificare l'anima e il corpo che questo. Di questo e dell'altre cose che bisognano, farete sollicitamente, attendendo sempre a l'onore di Dio e non a veruna altra cosa. Non di meno, perché io vi dica così, fate ciò che Dio vi fa fare, e ciò che vi pare che sia lo meglio, o di mandarlo o no.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù Gesù dolce Gesù Gesù.



227. A frate Guglielmo da Lecceto, essendo essa Caterina in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue de l'umile e immacolato Agnello, lo quale sangue ci ha tolta la morte e data la vita, tolse le tenebre e diecci la luce: poiché nel sangue di Cristo Crocifisso cognosciamo la luce della somma ed eterna verità di Dio, lo quale ci creò ad immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per amore e per grazia, e non per debito.

La verità fu questa: che egli ci creò per gloria e loda del nome suo, e perché godessimo e gustassimo lo sommo ed eterno bene. Ma doppo la colpa di Adam questa verità era offuscata, unde quello amore ineffabile che constrinse Dio a trare noi di sé, cioè creandoci ad immagine e similitudine sua, questo medesimo amore lo mosse - non che si muova, ché egli è lo Dio nostro immobile, ma l'amore suo verso di noi - a darci lo Verbo dell'unigenito suo Figlio, ponendoli l'obedienzia che sopra lui punisse le colpe nostre, e nel sangue suo si lavasse la faccia dell'anima, la quale con tanto amore aveva creata tanto nobile; e nel sangue suo volse che ci manifestasse la sua verità. Bene lo vediamo manifestamente: ché se in verità non ci avesse creati per darci vita eterna perché godessimo lo suo infinito bene, non ci avrebbe dato sì-fatto ricompratore, né dato sé medesimo, tutto sé Dio e tutto uomo. Perciò bene è la verità che lo sangue di Cristo ci manifesta e fa chiari da questa verità della dolce volontà sua.

E se io considero bene, nessuna virtù ha in sé vita se non è fatta ed essercitata nell'anima con questo lume della verità. O verità antica e nuova, l'anima che ti possede è privata della povertà delle tenebre, e ha la ricchezza della luce. Non dico luce per visioni mentali, né per altre consolazioni, ma luce di verità: cioè che, cognosciuta la verità nel sangue, l'anima s'innebria, gustando Dio per affetto di carità col lume della santissima fede. Con la quale fede debbono essere condite tutte le nostre opere, dilettandoci di mangiare lo cibo delle anime per onore di Dio in su la mensa della santissima croce - non in su la mensa del diletto né di consolazione spirituale né temporale, ma in su la croce -, stirpando e rompendo ogni nostra volontà, portando strazii scherni obbrobrii e villanie per Cristo Crocifisso, e per meglio conformarsi con la dolce volontà sua.

Allora gode l'anima, quando si vede fatta una cosa con lui per affetto d'amore, e vedesi vestita del vestimento suo; e tanto gli diletta lo sostenere pene per gloria e loda del nome suo, che se possibile le fusse d'avere Dio e gustare lo cibo delle anime senza pena, più tosto la vuole con pena, per amore del suo Creatore. Unde l'ha questo desiderio? dalla verità. Con che la vidde e cognobbe? col lume della fede. In su che si pose questo occhio per vederla? nel sangue di Cristo Crocifisso. In che vasello lo trovò? nell'anima sua, quando cognobbe sé. Questa è la via a conoscere la verità, e nessuna altra ce ne vedo; e però vi dissi che io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue de l'umile dolce e immacolato Agnello. In questo sangue godiamo, e speriamo che, per amore del sangue, Dio farà misericordia al mondo e alla dolce Sposa sua: dissolvarà le tenebre della mente degli uomini.

E già mi pare che un poco dell'aurora a venire cominci, cioè che il nostro Salvatore ha illuminato questo popolo da questarsi levato dalla perversa cecità dell'offesa di Dio che facevano, facendo celebrare per forza.

Or per la divina grazia tengono lo 'nterdetto, e cominciansi a dirizzare verso l'obedienzia del padre loro.

Onde io vi prego, per l'amore di Cristo Crocifisso, che voi e frate Antonio, e il Maestro, e fra' Felice, e gli altri, facciate speziale orazione, strignendo la divina bontà che per amore del sangue mandi lo sole della sua misericordia, affinché tosto si faccia la pace, che veramente sarà uno dolce e soave sole. Altro non dico.

Rimanete nella santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



228. A Neri di Landoccio, essendo lui in Pisa, quando lei lo mandò al santo padre.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

A te dilettissimo e carissimo figlio in Cristo Gesù: io Caterina serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti unito e transformato nel fuoco dell'ardentissima carità, sì che tu sia uno vasello di carità a portare lo nome e la parola di Dio, coi misterii grandi suoi, nella presenza del nostro dolce Cristo in terra, e facci frutto con accendere lo desiderio suo.

E però io voglio, figlio mio, che apra l'occhio del cognoscimento nell'obiettivo di Cristo Crocifisso, perché egli è quella fonte dove s'inebria l'anima traendone dolci e amorosi desiderii, i quagli voglio che tu distenda sopra lo corpo della santa Chiesa per onore di Dio e salute d'ogni creatura. Facendo così egli diverrà delle opere e parole tue come della saetta che si trae del fuoco bene rovente, che gittandola ella arde dovunque si gitta, perché non può fare che non dia di quello che ella ha in sé. Così ti pensa, figlio, che se l'anima tua entrarà nella fornace del fuoco della divina carità per forza di caldo d'amore, sì converrà che tu gitti e porga quello che tu hai tratto del fuoco.

Che hai tratto dell'obiettivo di Dio? Odio e pentimento di te e amore delle virtù, fame de la salute delle anime e de l'onore del Padre eterno, poiché in questo obiettivo di questo dolce Verbo non si trova altro; così vedi tu che per fame egli muore. Ed è sì grande la fame che il fa sudare non d'acqua, ma, per forza d'amore, gocciole di sangue. Come potrebbe essere tanto duro e ostinato quello cuore che non si risentisse e scoppiasse per questo caldo, e calore del fuoco? Raguardandolo, non potrebbe essere se non come della stoppa che si mette nel fuoco, che non può essere che non arda, poiché condizione del fuoco è d'ardare e convertire in sé ciò che a lui s'accosta. Così l'anima che raguarda l'affetto del suo Creatore subito è attratta ad amarlo e convertire l'affetto suo in lui. Ine si consuma ogni umido d'amore proprio di sé medesimo, e piglia la similitudine del fuoco dello Spirito santo, e questo è il segno che egli l'ha ricevuto: che subito diventa amatore di quello che Dio ama e odiatore di quello che egli odia.

E però desidera l'anima mia di vedere in te questa vera unione d'essere unito e transformato nel fuoco della sua carità. Fa' che giusta al tuo potere te ne ingegni, figlio mio carissimo, sì che tu adempia la volontà di Dio e di me trista miserabile madre.

Permane nella santa e dolce carità di Dio.

Di' a Nanni e a Papo che gridino per sì-fatto modo che io m'avegga delle voci loro. Di' a Gherardo figlio che risponda alla voce della madre che il chiama, e spaccisi tosto ché io l'aspetto. Vanni, missere Francesco, mona Nella e Caterina stregnemeli tutti e benedice ponendovi in mezzo la santissima croce, e così mi fa al babbo. Gesù dolce Gesù. Dice Francesco che è fuore dell'obligo e dice Francesco gattivo e pigro che tu lo racomandi a frate Raimondo mille volte in Cristo Gesù, e digli che preghi Dio per lui. Gesù Gesù.

Sai che quando ebbi la indulgenzia di colpa e di pena dal santo padre, m'impose che io dovesse dire ogni venardì trenta e tre paternostri e trenta e tre avemarie e poi settanta e due avemarie. Ora mi contentarei se ti pare di dimandarli che m'imponesse che io digiunasse ogni venardì in pane e acqua, e questo non dimenticare se ti pare da chiedarlo. Gesù Gesù.





229. A papa Gregorio XI.


Al nome di Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna vostra figlia, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uomo virile e senza veruno timore servile, imparando dal dolce e buono Gesù, di cui voi vicario sete: ché tanto fu l'amore suo inestimabile verso di noi che corse a la obbrobriosa morte de la croce, non curando strazii, obbrobrii, villanie e vituperio, ma tutti gli passava e punto non gli temea, tanto era l'affamato desiderio che egli aveva de l'onore del Padre e de la salute nostra, poiché al tutto l'amore gli aveva fatto perdere sé in quanto uomo.

Or così voglio che facciate voi, padre: perdete voi medesimo a ogni amore proprio; non amate voi per voi, né la creatura per voi, ma voi e il prossimo amate per Dio, e Dio per Dio, in quanto è degno d'essere amato, e in quanto egli è sommo ed eterno bene. Ponetevi per obiettivo questo Agnello dissanguato, poiché il sangue di questo Agnello vi farà inanimare ad ogni battaglia. Nel sangue perdarete ogni timore, diventarete e sarete pastore buono, che porrete la vita per le pecorelle vostre.

Or su, padre, non state più; accendetevi di grandissimo desiderio, aspettando l'aiutorio e providenzia divina: poiché mi pare che la divina bontà venga disponendo i grandi lupi e facciali tornare agnelli. E però io ora di subito vengo costà per metterveli in grembo umiliati; voi, come padre, sono certa che gli ricevarete, nonostante la ingiuria e la persecuzione che v'hanno fatta, imparando da la dolce e prima Verità, che dice che il buono pastore, poi che egli ha trovata la pecorella smarrita, egli se la pone in sulla spalla e rimettela nell'ovile. Così farete voi, padre, poiché la vostra pecorella smarrita, poi che ella è ritrovata, la porrete in su la spalla dell'amore e mettaretela nell'ovile de la santa Chiesa.

Poi di subito vuole e vi comanda lo nostro dolce Salvatore che voi rizziate lo gonfalone de la santissima croce sopra gl'infedeli, e tutta la guerra si levi e vadane sopra di loro. La gente che avete soldata per venire di qua, sostentate e fate sì che non venga, poiché sarebbe più tosto guastare che aconciare.

Padre mio dolce, voi mi dimandate de lo avvenimento vostro: e io vi rispondo e dico, da parte di Cristo Crocifisso, che voi vegniate lo più tosto che voi potete. Se potete venire, venite prima che settembre, e se non potete prima, non indugiate più che fino a settembre. E non mirate a veruna contradizione che voi aveste, ma, come uomo virile e senza veruno timore, venite. E guardate che, per quanto voi avete cara la vita, voi non veniate con sforzo di gente, ma con la croce in mano come agnello mansueto: facendo così, adempirete la volontà di Dio, ma venendo per altro modo la trapassareste e non l'adempireste. Godete, padre, ed essultate. Venite venite!. Altro non dico.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Perdonatemi, padre. Umilemente v'adimando la vostra dolce benedizione.





230. Agli Otto della guerra, eletti per lo Comune di Firenze, perché era andata a loro richiesta a Vignone, al papa Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi padri e fratelli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri figli, umili e obedienti al padre nostro, sì e per sì-fatto modo che voi non voliate mai lo capo adietro, ma con vero dolore e amaritudine de l'offesa fatta al padre.

Poiché, se colui che offende non si rileva con dolore dell'offesa fatta, non è degno di ricevere misericordia. E io v'invito a vera umiliazione di cuore, non volendo lo capo adietro, ma andando inanzi seguitando lo proponimento santo che cominciaste, crescendolo ogni dì perfettamente, se volete essere ricevuti nelle braccia del padre. Come figli morti dimandarete la vita, e io spero per la bontà di Dio che voi l'arete, pure che voi vi vogliate bene umiliare, e conosciare i difetti vostri.

Ma io mi lagno fortemente di voi, s'egli è vero quello che di qua si dice, cioè che voi abiate posta la presta ai cherici. Se questo è vero, egli è grandissimo male per due modi. L'uno, perché n'offendete Dio, poiché nol potete fare con buona coscienza. Ma i pare a me che perdiate la coscienza e ogni cosa buona; e non pare che s'atenda ad altro che ai beni sensitivi e transitori, che passano come il vento; e non vediamo che siamo mortali e dobiamo morire, e non sapiamo quando. E però è grande stoltizia di tolarsi la vita della grazia, ed esso medesimo darsi la morte. Non voglio che facciate più così, ché a questo modo volareste lo capo adietro; e voi sapete che colui che comincia non è degno di gloria, ma la perseveranza insino alla fine. Così vi dico che voi non verresti in effetto della pace, se non con la perseveranza della umilità, non faccendo più ingiuria né scandolo ai amministri e sacerdoti della santa Chiesa.

E questa è l'altra cosa ch'io vi dicevo che v'era nociva e male, oltra il male che si riceve per l'offesa di Dio, come detto è. Dico che questo è guastamento della vostra pace, poiché, sapendolo lo santo padre, conciparebe maggiore indegnazione verso di voi. E questo è quello che ha detto alcuno cardinale, che cercano e vogliono la pace volontieri. Sentendo ora questo, dicono che non pare che questo sia vero, ch'eglino si voglino pacificare, poiché, se fusse vero, si guardarebono d'ogni minimo atto che fusse contr'a la volontà del santo padre e ai costumi della santa Chiesa. Credo che queste simili parole possa dire lo dolce Cristo in terra, e ha ragione e cagione di dirlo, se egli lo dice.

Dicovi, carissimi padri, e pregovi che non vogliate impedire la grazia dello Spirito santo, la quale, non meritandola voi, per la sua clemenza è disposto a darvela. E a me fareste vergogna e vituperio, ché non potrebe uscire altro che vergogna e confusione, dicendo una cosa, e voi ne faceste un'altra. Priegovi che non sia più così, anco v'ingegniate in detto e in fatto di dimostrare che voi volete pace e non guerra.

Ho parlato col santo padre: udìmi, per la bontà di Dio e sua, graziosamente, mostrando d'avere affettuoso amore della pace; facendo come fa lo buono padre, che non riguarda tanto a l'offesa del figlio, ch'egli ha fatta a lui, ma riguarda s'egli è umiliato, per poterli fare piena misericordia. Quanto egli ebbe singulare letizia, la lingua mia nol potrebe narrare. Avendo ragionato con lui buono spazio di tempo, nella conclusione delle parole disse che, essendo quello ch'io li ponevo inanzi di voi, egli era aconcio di ricevarvi come figli, e di farne quello che ne paresse a me. Altro non dico qui.

Altra risposta assolutamente non parbe al santo padre che si dovesse dare, fino a tanto ch'i vostri ambasciadori giognessero. Maravigliomi che anco non sonno giunti. Come saranno giunti, io sarò con loro, e poi sarò col santo padre: e com'io trovarò la disposizione, così vi scrivarò. Ma voi, con le vostre preste novelle, m'andate guastando ciò che si semina. Non fate più così, per l'amore di Cristo crocifisso e per la vostra utilità. Non dico più etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

Data in Vignone, a dì xxviij di giugno Mccclxxvj.

LA LETTURA PROSEGUE QUI: LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (3)

                                              [SM=g27998] [SM=g27998] [SM=g27998]
[Modificato da Caterina63 19/10/2012 17:01]
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