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LE LETTERE di santa Caterina da Siena Dottore della Chiesa (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2012 17:01
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19/10/2012 16:15

185. Al padre santo Gregorio XI.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce, madre del Figlio di Dio

A voi, dilettissimo e reverendo padre in Cristo Gesù: la vostra indegna misera miserabile figlia Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno arbolo fruttifero, pieno di dolci e soavi frutti, piantato in terra fruttifera - ché se fusse fuore de la terra seccarebbe e non farebbe frutto -, cioè la terra del vero cognoscimento di noi.

L'anima che conosce sé medesima s'umilia, poiché non vede di che insuperbire; notrica in sé lo frutto dolce dell'ardentissima carità, conoscendo in sé la smisurata bontà di Dio; conoscendo sé non essere, ogni essare che ha retribuisce poi a colui che è. Allora l'anima pare che sia costretta ad amare quello che Dio ama, e a odiare quello che egli odia. O dolce e vero cognoscimento, lo quale porti con te lo coltello dell'odio, e con esso odio distendi la mano del santo desiderio a trare e a uccidare lo verme dell'amore proprio di sé medesimo! - lo quale è uno verme che guasta e rode la radice dell'arbolo nostro, sì e per sì-fatto modo che neuno frutto di vita può produciare -.

I frutti suoi si seccano e non dura la verdura sua, poiché colui che ama sé, vive in lui la perversa superbia, la quale è capo e principio d'ogni male, in ogni stato che egli è, o prelato o suddito. Ché se egli è solo ed egli è amatore di sé medesimo, cioè che ami sé per sé e non sé per Dio, non può fare altro che male, e ogni virtù è morta in lui. Costui fa come la donna che parturisce i figli morti, e così è veramente, perché in sé non ha avuta la vita de la carità d'intendare solo a la loda e gloria del nome di Dio.

Dico che, se egli è prelato, fa male, poiché per l'amore proprio di sé medesimo, e per non cadere in pentimento de le creature - nel quale egli è legato per piacimento e amore proprio di sé - muore in lui la giustizia santa: poiché vede commettare i difetti e peccati ai sudditi suoi, e pare che facci vista di non vedere, e non gli corregge. E se gli corregge, corregge con tanta freddezza e tepidità di cuore che non fa nulla, ma è uno rappiastrare lo vizio; sempre teme di non dispiacere e di non venire in guerra: tutto è perché egli ama sé. Alcune volte è che volrebbero fare pure con pace; io dico che questa è la più pessima crudeltà che si possa usare. Se la piaga quando viene non s'incende col fuoco o non si taglia col ferro, ma ponvi solo l'unguento, non tanto che egli abbi sanità, ma egli imputridisce tutto e spesse volte ne riceve la morte.

Oimé oimé, dolcissimo babbo mio, questa è la cagione ch'i sudditi sono tutti corrotti, pieni di immondizia e di iniquità; oimé, piangendo lo dico, quanto è pericoloso questo verme detto, che non tanto che dia la morte al pastore, ma tutti gli altri ne vengono in morte e in infermità. Perché segue costui tanto unguento? perché non ne li viene pena, poiché dell'unguento che pongono sopra l'infermi non ne li cade dispiacere neuno né neuno male volere, poiché non ha fatto contro la sua volontà: ché egli voleva unguento, e unguento gli ha dato. O miseria umana, cieco è lo infermo che non conosce lo suo bisogno, cieco è il pastore che è medico che non vede né raguarda se non al piacere e a sua propria utilità, che, per non perdarlo, non ci usa né coltello di giustizia né fuoco d'ardentissima carità. Ma costoro fanno come dice Cristo che, se l'uno cieco guida l'altro, amendue ne vanno ne la fossa, e lo infermo e il medico ne vanno all’inferno.

Costui è dritto pastore mercennaio, che non tanto che esso traga le pecorelle sue di mano del lupo, ma egli è divoratore d'esse pecorelle. Tutto n'è cagione perché ama sé senza Dio; non segue il dolce Gesù pastore vero, che ha data la vita per le pecorelle sue. Bene è dunque pericoloso in sé e in altrui questo perverso amore; bene è da fuggirlo, ché a ogni generazione di gente fa tanto male. Spero per la bontà di Dio, venerabile padre mio, che questo spegnarete in voi, e non amarete voi per voi, né il prossimo per voi, né Dio: ma amaretelo perché è somma eterna bontà e degno da essere amato; voi e il prossimo a onore e gloria del dolce nome di Gesù. Voglio che siate quello vero e buono pastore che, se aveste cento migliaia di vite, vi disponiate tutte a darle per l'onore di Dio e salute de le creature.

O babbo mio, dolce Cristo in terra, seguitate quello dolce Gregorio, ché così sarà possibile a voi come a lui, poiché egli non fu d'altra carne che voi, e quello Dio è ora che era allotta: non ci manca se non virtù e fame de la salute delle anime. Ma a questo c'è lo remedio, padre: leviamo l'amore detto di sopra da noi e da ogni creatura fuore di Dio, che i non s'attenda più né ad amici né a parenti né a sua necessità temporale: solo a virtù e ad essaltazione de le cose spirituali: ché per altro non ci vengono meno le temporali, se non per abbandonare la cura de le spirituali.

Or vogliamo noi avere quella gloriosa fame che hanno avuta quelli santi e veri pastori passati, e spegnare in noi questo fuoco, cioè dell'amore di sé? Facciamo come ellino, che col fuoco spegnevano lo fuoco; tanto era lo fuoco de la inestimabile e ardentissima carità che ardeva nei cuori e nell'anime loro, che erano tutti affamati, fatti gustatori e mangiatori delle anime. Odi dolce e glorioso fuoco, che è di tanta virtù che spegne lo fuoco d'ogni disordenato diletto e piacere e amore di sé medesimo: fa come la gocciola dell'acqua, che tosto si consuma ne la fornace. Chi mi dimandasse come ci vennero a questo dolce fuoco e fame, non so vedere, ché noi siamo pure arboli infruttiferi, per noi. Ma io m'avego che modo tennero, ché, veduto ch'egli ebbero l'arbolo fruttifero de la santissima e dolcissima croce, mai da essa non si partiro, dove trovaro l'Agnello dissanguato con tanto fuoco d'amore de la nostra salute che non pare che si possa saziare, anco grida che ha sete, quasi dica: «Io ho maggiore ardore e sete e desiderio de la salute vostra che io non vi mostro con questa passione finita».

O dolce e buono Gesù, vergogninsi pontefici e pastori e ogni creatura, dell'ignoranza e superbia e piacimenti nostri, a raguardare tanta larghezza e bontà e amore inestimabile del nostro Creatore, lo quale s'è mostrato a noi arbolo ne la nostra umanità, pieno di dolci e soavi frutti, perché noi arboli salvatichi ci potessimo inestare in lui. Or questo fu lo modo che tenne lo inamorato di Gregorio e gli altri buoni pastori che, conoscendo loro senza nessuna virtù non essere, raguardaro lo Verbo arbolo nostro, e fecero uno inesto in lui, legati e uniti col legame dell'amore, ché di quello che l'occhio vede, di quello si diletta, quando è cosa bella e buona. Perciò videro e, vedendo, si legaro sì e per sì-fatto modo che non vedevano loro, ma ogni cosa vedevano e gustavano in Dio; non era né vento né grandine, né demonio né creatura che lo' potesse tòllare che non producessero frutti dimestichi, perché erano innestati nel midollo dell'arbolo nostro Gesù. I frutti loro producevano ellino per lo midollo de la dolce carità, ne la quale erano uniti: non ci ha altro modo, e questo è quello che io voglio vedere in voi.

Se per fino a qui non ci fusse stato bene fermo in verità, voglio e prego che si facci, questo punto del tempo che c'è rimaso, virilmente e come uomo virile, seguitando Cristo di cui vicario sete. E non temete, padre, per veruna cosa che avenga, di questi venti tempestosi che ora vi sono venuti, cioè di questi putridi membri che hanno ribellato a voi: non temete, ché l'aiuto divino è presso. Procurate pure a le cose spirituali, a buoni pastori e buoni rettori ne le città vostre, poiché per li mali pastori e rettori avete trovata ribellione: poneteci remedio e confortatevi in Cristo Gesù, e non temete.

Mandate inanzi e compite, con vera e santa sollicitudine, quello che per santo proponimento avete cominciato, de l'avvenimento vostro e del santo e dolce passaggio, e non tardate più, ché per lo tardare sono avenuti molti inconvenienti e il demonio s'è levato e leva per impedire che questo non si faccia, perché s'avede del danno suo. Su, padre, non più negligenzia; rizzate lo gonfalone de la santissima croce, ché con l'odore de la croce acquistarete la pace. Pregovi che coloro che vi sono ribelli voi gl'invitiate a una santa pace, sì che tutta la guerra caggia sopra gl'infedeli. Spero, per la infinita bontà di Dio, che tosto mandarà l'aiutorio suo. Confortatevi confortatevi, e venite venite a consolare i povarelli servi di Dio e figli vostri. Aspettianvi con affettuoso e amoroso desiderio. Perdonatemi, padre, che tante parole v'ho dette; sapete che per l'abbondanza del cuore la lingua favella. Sono certa che, se sarete quello arbolo che io desidero di vedervi, che nessuna cosa v'impedirà.

Pregovi che vi mandiate profferendo come padre, in quello modo che Dio v'amaestra, a Lucca e a Pisa, sovenendoli in ciò che si può e invitandoli a stare fermi e perseveranti. Sono stata a Pisa e a Lucca fino a qui, invitandoli, quanto posso, che lega non faccino coi membri putridi che sono ribelli a voi: stanno in grande pensiero, perché da voi non hanno conforto e da la contraria parte sempre sono stimolati e minacciati che la faccino; per fino a qui al tutto non hanno consentito. Pregovi che ne scriviate anco strettamente a missere Piero, e fatelo sollicitamente e non v'indugiate. Non dico più qui.

Ho inteso che avete fatti cardinali: credo che sarebbe onore di Dio e meglio di voi, che attendeste sempre di fare uomini virtuosi; se si farà lo contrario, sarà grande vituperio di Dio e guastamento de la santa Chiesa.

Non ci maravigliamo poi se Dio ci manda le discipline i flagelli suoi, ché giusta cosa è. Pregovi che facciate virilmente ciò che avete a fare, e con timore di Dio.

Ho inteso che il Maestro dell'ordine nostro voi il dovete premuovare ad altro beneficio. Pregovi, per l'amore di Cristo Crocifisso, che, se egli è così, che voi procuriate di darci uno buono e virtuoso vicario, poiché l'ordine n'ha bisogno, perché egli è troppo insalvatichito. Potretene ragionare con missere Nicola da Osimo e con l'arcivescovo d'Otronto, e io ne scrivarò a loro.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio.

Dimandovi umilemente la vostra benedizione e perdonate a la mia presunzione, che presummo di scrivare a voi. Gesù dolce, Gesù.





186. A Neri di Landoccio.

Al nome di Gesù Cristo Crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dilettissimo figlio in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti disponere il vasello del cuore e dell'anima tua a ricevare quello che la divina bontà ti vuole dare col mezzo dell'orazione.

Perché voglio che ti disponga? Perché in altro modo nol potresti ricevere, ché, come Dio da la parte sua è sempre disposto a dare, così l'anima debba sempre disponere sé medesima a ricevere. Con che si dispone? Con quella disposizione che ha ricevuta da Dio, la quale ricevemmo quando fummo creati a la imagine e similitudine sua (Gn 1,26). Allora ricevemmo lo vasello e la disposizione, e il lume: cioè la memoria, la quale è quello vasello che ritiene; e l’intelletto, ricevendo lo lume de la fede nel santo baptesmo; e la volontà, la quale è disposta e atta ad amare, poiché senza amore non può vivere.

Sì che la disposizione dell'amore aviamo avuta da Dio per l'essere, poiché siamo fatti per amore; e però doviamo col libero arbitrio parare e offrire nel conspetto di Dio questo essere dato a noi per amore, e con l'amore ricevere l'amore: l'amore, dico, generale che Dio ha ad ogni creatura ragionevole, e i doni e le grazie particulari, le quali l'anima si sente ricevere in sé medesima. Allora invitiamo Dio a traboccare sopra di noi lo fuoco e l'abisso della sua inestimabile carità, con uno lume sopranaturale, e con una plenitudine di grazia, e con uno adornamento di virtù, lavando la faccia dell'anima nel prezioso sangue de l'umile e immacolato Agnello.

Con una fame de l'onore di Dio e salute delle anime corre in su la mensa del cruciato desiderio, e ine mangia questo dolce e soave cibo tanto abondantemente che scoppia e criepa la propria sensualità; e così rimane morta la volontà ad ogni amore proprio e appetito sensitivo. Così si dispone, come sposo fedele de la verità, a morire e a dare mille volte la vita, se fusse possibile, per essa verità. Ora è il tempo, carissimo e dilettissimo figlio, da ponerla; e allora sarai atto a ponerla, quando averai per sempre la sopradetta disposizione. Non dico più.

Permane ne la santa e dolce carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.







187. A don Giovanni dei Sabbatini da Bologna e don Thadeo dei Malavolti da Siena monaci di Certosa al Belriguardo.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimi figli in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo crocifisso, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con disiderio di vedervi cavalieri virili senza nessuno timore servile.

Così vuole lo nostro dolce Salvatore, che noi temiamo lui, e no gli uomini del mondo (così disse egli: «Non timete coloro che possono uccidare il corpo, ma me, che posso l'anima e il corpo mettare all’inferno»). E però voglio che siate anegati nel sangue del Figlio di Dio, arsi nel fuoco de la divina carità, poiché ine si perde ogni timore servile, rimane solo timore di riverenzia. Or che può fare il mondo, lo demonio, i servi suoi a colui che si trova in questo ismisurato amore, che s'ha posto per oggetto lo sangue? Non nulla. Anco sonno strumento di darci e di provare in noi la virtù, poiché la virtù si prova per lo suo contradio. E però debba l'anima godere ed essultare, e cercare con sua pena sempre Cristo crocifisso, e per lui anichilare e avilire se medesimo; dilettarsi sempre di pena e di croce. Volendo pena, tu ha' diletto, e volendo diletto, tu hai pena. Perciò meglio ci è anegarci nel sangue, e uccidare le nostre perverse volontà con cuore libero al suo Creatore, senza veruna compassione di sé medesimo.

Allora sarà pieno lo gaudio e la letizia in voi: aspettarete senza fatica afligitiva. Di nessuno comandamento che ci fusse fatto doviamo sentire pena, ma più tosto diletto; poiché non è veruno comandamento fatto per gli uomini che ci possa togliere Dio, ma sono cagione di darci la virtù de la pazienza, e fannoci più soliciti a correre in cella ad abraciarci co l'arboro de la croce, ine cercare la visione invisibile che non vi può essere tolta: poiché l'affetto e la carità, se noi non voliamo, mai non si perde.

Oh che dolce diletto sarebbe, essere perseguitato per Cristo crocifisso! Di questo voglio che vi dilettiate per qualunche modo Dio vi dà croce, non elegendola a vostro modo, ma a modo di colui che ve la dà, riputandovi indegni di tanta grazia quant'è essere perseguitato per Cristo crocifisso. Sappiate, figli miei dolci in Cristo Gesù, che questa è la via dei santi che seguitarono la via di Cristo: altra via non ci è, che ci menasse a vita. E però voglio che cor ogni solicitudine e con odio santo di voi medesimi voi vi studiate di seguire questa dolce e dritta via. Al luogo santo de l'orazione date buona solicitudine e perseveranza, mentre che lo Spirito santo ve la porge: non sia schifata né fugita da voi, se la vita ne dovesse andare. Per tenerezza né per compassione di corpo non lassate mai - perché il demonio non vorebbe altro se no privarci da l'orazione -, e per compassione di noi, del corpo propio, o per tedio di mente. E però, per veruna di queste cose doviamo lasciare l'essercizio de l'orazione, ma col pensiero de la bontà di Dio, conoscendo noi difettuosi, cacciamo le cogitazioni del demonio e la tenerezza di noi, nascondendovi ne le piaghe di Cristo crocifisso: amaretevi insieme per Cristo crocifisso; non temete di cosa che avenga. Ogni cosa potrete per Cristo crocifisso, che sarà in voi, che vi confortarà.

Siate obedienti fino a la morte, di ciò che vi fusse imposto, che vi fusse più grave. Non schifate il frutto per fugire fatica, poniamo che d'alcuna cosa lo demonio ve la farebbe sentire, e schifare sotto colore di virtù, dicendo: «Questa era la consolazione de l'anima mia, e acrescimento di virtù in me». Non gli credete, ma confidatevi, e tenete che quello che Dio vi donava per mezzo di quella consolazione, vi darà puramente per se medesimo, per la sua bontà. Sapete bene ch'una foglia d'arboro non cade in terra senza la provedenzia sua: sì che ciò che lui permette o al demonio, o a le creature, che facciano a noi, è fatto con sua provedenzia per necessità de la nostra salute, e per acrescimento di perfezione. Perciò a reverenzia voglio che l'abiate.

Spogliatevi lo cuore, e l'affetto eziandio, de le cose temporali, di fuore da quello che vi bisogna per la vostra necessità. Vestitevi di Cristo crocifisso, e 'nebriatevi del sangue suo: e ine trovarete la letizia e pace compiuta. Non dico più.

Rimanete ne la santa e dolce carità di Dio. Amatevi amatevi amatevi insieme. Gesù dolce, Gesù Gesù.







188. A suora Bartolomea della Seta nel monasterio di santo Stefano in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figlia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava dei servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume: lo quale lume ci priva delle tenebre, e drizzaci per la via de la verità; facci conosciare la nostra imperfezione, e il danno che ce ne segue, e l'eccellenza della perfezione, e quanto è utile a noi e piacevole a Dio.

E però da questo lume veniamo a odio perfetto della propria sensualità e della nostra imperfezione, e veniamo ad amore della virtù; in tanto che nessuna cosa può cercare, volere, o desiderare l'anima, se non quello che la facci venire a virtù. Non rifiuta pene né fatiche, anco l'abraccia e dilettasi in esse, perché vede bene che per altra via non può compire lo desiderio suo d'acquistare quella virtù che ama. Ella si fa una strada della dottrina di Cristo crocifisso, seguitandola con ansietato desiderio; ella non si reputa di sapere altro che Cristo crocifisso (1Co 2,2); la sua volontà non è sua, però ch'ella l'ha morta e abnegata nella dolce volontà di Dio, nella quale volontà s'è unita per affetto d'amore, e con lui fa mansione: poiché allora Dio è ne l'anima per grazia, e l'anima è in Dio.

Ella leva sé sopra di sé, cioè sopra lo sentimento suo sensitivo, e gusta la dolcezza della verità eterna, la quale conobbe nella dolce volontà di Dio col lume della fede; e vide nel sangue de l'Agnello che la sua volontà non vuole altro che la nostra santificazione. La verità sua è questa: ch'egli ha creato l'uomo a la immagine e similitudine sua (Gn 1,26) per darli vita eterna, e affinché renda gloria e loda al nome suo.

Per la colpa d'Adam questa verità non s'adempiva nell’uomo, e però egli ci donò lo Verbo de l'unigenito suo Figlio, ponendogli quella grandeobbedienza: che col sangue suo ricomprasse lo figlio de l'umana generazione; ed egli, come inamorato, corse a l'obrobriosa morte della santissima croce, e non ritrasse la suaobbedienza per morte, per pena, né per rimproverio, né per lusinghe che ricevesse, ma - come valente e virile capitano - fece ancudine del corpo suo, né anco si ritrasse per nostra ingratitudine.

Così fa l'anima che col lume ha conosciuta questa verità: ella non si ritrae per mormorazioni, non per bataglie del demonio, né per tenebre di mente, né per la fragile carne che combatte contro lo spirito; ma tutte queste cose si mette sotto i piei de l'affetto. Ella è costante e perseverante, che tanto gode quanto si vede sostenere. Bene è Perciò da cercare questo vero e perfetto lume, e con odio levare da noi quella cosa che cel tolle, cioè l'amore proprio di noi medesimi. A questo odio verremo, quando staremo serrati nella casa del conoscimento di noi; dove trovaremo l'amore inefabile che Dio ci ha, col quale amore cacciaremo l'amore proprio di noi: poiché l'anima che si vede amare, non può fare che non ami. Allora s'infonde uno lume sopranaturale ne l'occhio dell’intelletto nostro, col quale lume veniamo ad ogni perfezione: ma senza lo lume non vi verremo mai. E però dissi ch'io desideravo di vedervi con vero e perfettissimo lume: di questo voglio che vi studiate, quantunque potete, d'averlo in voi etc.

Rimanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.

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