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Ambiente, clima & riscaldamento globale

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    Mezcal82
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    00 24/09/2009 20:26
    L'unico modo per salvare la Terra è estinguere il genere umano... sacrificio che nessuno è ovviamente disposto a sopportare...
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    cuix
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    00 04/10/2009 15:02
    Kalafro - Io cambio stile
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    cuix
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    00 23/10/2009 18:19
    La profezia della Nasa
    "I mari più alti di 7 metri"

    È chiamato il "padre del riscaldamento climatico". E in effetti finora James Hansen, 68 anni di cui 28 spesi alla guida del Goddard Institute for Space Studies della Nasa, le ha indovinate tutte. Nel 1981 scrisse che il decennio successivo avrebbe segnato un picco di caldo e la previsione si avverò. Poi, all'inizio dei Novanta, disse che il primo decennio del nuovo secolo avrebbe battuto il record precedente e anche stavolta i fatti gli diedero ragione. Speriamo che adesso si sbagli perché lo scenario che disegna è da incubo: un aumento del livello dei mari di sette metri a fine secolo. Possibile?

    "Non solo possibile", risponde al telefono Hansen, che nelle prossime settimane verrà in Italia invitato dal Wwf, "ma molto probabile se ci comporteremo come ha fatto l'umanità in un film appena uscito, The age of stupid: la trama è ambientata in un futuro dal clima sconvolto e si ricostruiscono le mosse dell'umanità all'inizio del ventunesimo secolo, quando ci sarebbe stato ancora il tempo per fermare la catastrofe ma nessuno agì. Noi ora viviamo quel momento, il momento in cui possiamo scegliere: imboccare la strada che ci consente di frenare il riscaldamento climatico o prendere la via che ci trascina verso un mondo simile al Pleistocene, quando il livello dei mari era più alto di 25 metri".

    Eppure l'Ipcc, la task force degli scienziati Onu, parla di una crescita degli oceani di circa mezzo metro.
    "Perché prende in considerazione, e lo precisa, solo alcuni fattori, come la dilatazione termica dell'acqua per l'aumento della temperatura. L'elemento cruciale, la deglaciazione, non viene conteggiato per una ragione molto semplice: il modello non riesce a calcolarlo in modo affidabile e, nel dubbio, il dato viene omesso".

    Lei lo ha calcolato?
    "Io non mi sono affidato ai modelli matematici ma all'analisi di quello che è realmente accaduto in passato quando la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha fatto un salto brusco. Raffrontando i dati di oggi con quelli paleo-climatici si può misurare la portata del rischio".

    Misuriamola.
    "Se non diamo un taglio drastico all'uso dei combustibili fossili, i ghiacciai della penisola antartica, che attualmente perdono 200 chilometri cubi all'anno, fonderanno nell'arco di un secolo. Il che produrrà un aumento di 6-7 metri del livello del mare a cui si dovrà aggiungere in collasso dei ghiacciai in zone come la Groenlandia".

    L'alternativa?
    "Ridurre subito in maniera radicale l'uso dei combustibili fossili, a cominciare dal carbone. Non c'è alternativa perché anche due gradi in più in un secolo sono troppi".

    Fermarsi a due gradi sembra già difficile.
    "Bisogna fare di più. Finora l'inerzia del sistema ci ha aiutato perché ad esempio la massa d'acqua degli oceani ha frenato il riscaldamento climatico. Ma l'inerzia non è un alleato nel lungo periodo: appena si rovescerà la tendenza, gli oceani cominceranno ad accelerare il processo".

    Il problema deriva dalla concentrazione in atmosfera di gas serra. Dobbiamo bloccare la crescita a 450 parti per milione di CO2?
    "No, bisogna invertire la rotta riportandoci dalle attuali 387 a 350 parti. Eliminando subito l'uso del carbone, nell'arco di una ventina di anni potrebbe iniziare la discesa per mettere in sicurezza il pianeta".

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    00 03/11/2009 14:02
    Polo Nord, è caos clima "Cambiamenti sconvolgenti"


    "Forse non ci stiamo realmente rendendo conto di cosa significa la perdita dei ghiacci del Polo Nord. L'artico infatti, è uno dei luoghi più fragili del nostro pianeta", ha detto Jane Lubchenco del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) presentando l'Artic Report Card, ossia lo stato dell'ambiente artico del 2009. Nonostante che durante l'estate appena trascorsa i ghiacci non abbiano raggiunto i livelli minimi del 2007 e del 2008, i ricercatori si trovano di fronte a cambiamenti estremamente drastici rispetto a soli 5 anni fa e con trasformazioni che avvengono assai più velocemente del previsto.

    "Lassù %u2013 ha continuato Lubchenco - i cambiamenti ambientali avvengono ad una velocità assai più elevata rispetto al resto del pianeta con ricadute che si fanno sentire anche molto lontano". Al Polo Nord dunque si sta verificando qualcosa che va ben al di là del semplice scioglimento dei ghiacci e da alcuni anni a questa parte si sono innescate situazioni che erano del tutto imprevedibili solo 5 anni fa.

    Un esempio, sono i cambiamenti su larga scala dei venti. Negli ultimi anni infatti, si è creata una anomala alta pressione sul lato artico che si affaccia al Nord America e una bassa pressione verso l'area euroasiatica. Il tutto certamente connesso con la mancanza di ghiacci durante il periodo estivo. Nella complessa evoluzione meteorologica dell'artico ciò determina la formazione di venti più prolungati che soffiano da sud verso nord, i quali incrementano il trasporto di calore sull'Oceano Artico.

    Nel Nord America vi è stata un forte riduzione delle precipitazioni nevose, mentre in Siberia si è notato un aumento delle piogge. Nell'America del Nord infatti, durante le stagioni invernali 2007/08 e 2008/09 la stagione nevosa si è notevolmente ridotta con un anticipo della primavera che ha portato allo scioglimento la poca neve caduta. La temperatura del permafrost (lo strato di terreno permanentemente ghiacciato) è salito di 2°C negli ultimi 35 anni, di cui un grado nell'arco dell'ultimo quinquennio.

    Profondi sono stati anche i cambiamenti negli ambienti ecologici. Per quanto riguarda i grossi mammiferi ad esempio, si sta notando una forte discesa nel numero di renne e caribù, anche se il fenomeno era già in atto da tempo. Tra gli scienziati c'è ancor più apprensione per la vita marina, in quanto si hanno pochi dati a disposizione per capire se le comunità di animali siano diminuite o si siano spostate. "Senza dubbio - spiega Michael Simpkins del Fisheries Service del NOAA - sono a rischio balene, beluga, narvali e orsi bianchi".

    E a cornice di tutto questo vi è lo scioglimento dei ghiacci che oltre all'artico interessa fortemente anche la Groenlandia. Ciò che ha colpito particolarmente i ricercatori è il fatto che nonostante un inverno più freddo delle medie, l'estate appena trascorsa è stata così calda da elidere totalmente la neve caduta durante la stagione invernale e ha fatto ritirare i ghiacciai che giungono in mare per oltre 106 km quadrati, portando a quasi 1.000 km quadrati quelli persi dal 2000 ad oggi.

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    00 12/02/2010 00:20
    Il clima cambierà sempre, tocca agli uomini adattarsi


    DUE NOTIZIE cattive e due buone. La prima notizia cattiva è che i cambiamenti climatici sono ormai inevitabili. La prima notizia buona è che se verranno portate avanti rigorose politiche di riduzione delle emissioni di gas serra i danni del riscaldamento globale possono essere contenuti entro una dimensione gestibile. La seconda buona notizia è che in molti paesi in giro per il mondo si sta già lavorando per realizzare le opere necessarie ad adattarsi ai cambiamenti climatici: argini e corsi dei fiumi risistemati per resistere a piene più violente in Gran Bretagna e Olanda; sbarramenti e risistemazioni delle zone costiere contro l'innalzamento del livello del mare in Olanda, Germania e in diverse isole del Pacifico; riconversione dell'agricoltura a culture più resistenti alla siccità in Africa; invasi per raccogliere l'acqua di ghiacciai destinati a sciogliersi più in fretta in Butan e in altri paesi asiatici; barriere forestali contro la desertificazioni in Cina. La mappa globale delle opere di adattamento progettate o già in cantiere è fitta, ma purtroppo - e questa è la seconda cattiva notizia - tra chi brilla per la sua assenza c'è proprio l'Italia.

    Proprio come una pentola sotto la quale si spegne il fuoco non si raffredda immediatamente, così l'inerzia del riscaldamento globale già avvenuto, anche tagliando drasticamente le emissioni di gas serra, produrrà comunque una serie di cambiamenti nel clima che abbiamo conosciuto sino ad oggi. Per questo, assieme a "mitigazione", l'altra parola d'ordine è "adattamento": la messa in cantiere di opere che l'Ipcc, l'organismo Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, definisce "aggiustamenti nei sistemi ecologici, sociali ed economici in risposta a stimoli climatici attuali o previsti". Un termine riferito "a cambiamenti in pratiche, processi o strutture per moderare o bilanciare eventuali danni o approfittare di eventuali opportunità derivanti dai cambiamenti climatici".

    Eventi estremi, siccità, innalzamento del livello del mare avranno infatti importanti ricadute su industria, agricoltura, turismo e cure sanitarie. "Nonostante la riduzione delle emissioni che siamo impegnati a conseguire - spiega il Commissario uscente all'Ambiente Stavros Dimas - i cambiamenti climatici sono in una certa misura inevitabili. È pertanto essenziale che si inizi subito il lavoro con i governi, le imprese e le comunità al fine di sviluppare una strategia di adattamento complessiva per l'Ue e fare in modo che tale adattamento sia integrato nelle politiche fondamentali dell'Unione".

    La scelta di Bruxelles è stata quindi quella di pubblicare lo scorso anno un Libro Bianco. "L'Unione europea - si legge nel documento - deve prepararsi, risultati recenti indicano che l'impatto dei cambiamenti climatici sarà più rapido e più intenso di quanto previsto". "Gli effetti avranno implicazioni diverse da una regione all'altra il che significa che la maggioranza delle misure di adeguamento va adottata a livello nazionale e regionale".

    Per questo la Commissione ha invitato i singoli governi a preparare dei piani d'azione nazionali. Sino ad oggi a presentare un documento sono state Danimarca, Finlandia, Germania, Francia, Ungheria, Olanda, Spagna, Svezia e Regno Unito. Per la maggior parte si tratta di resoconti di come e dove colpiranno i cambiamenti, ma diversi paesi hanno iniziato anche a muovere dei primi passi concreti. In alcuni casi è difficile distinguere opere che andavano comunque previste per scongiurare gli effetti catastrofici delle inondazioni o del dissesto idrogeologico da specifici interventi contro i cambiamenti climatici.

    Le due cose infatti si intrecciano e non a caso i governi hanno chiesto all'Ipcc di virare il prossimo Rapporto in chiave locale, inserendo previsioni a scadenza più ravvicinata rispetto alla fotografia del Pianeta a fine secolo scattata con il IV Assestment. Si tratta, come spiega Carlo Carraro, unico italiano del Bureau Ippc, "di concentrare l'attenzione su aree geografiche molto più ristrette, grandi circa 30 chilometri quadrati per rispondere anche alle sollecitazioni della politica e delle comunità locali, che chiedono di sapere con maggiore precisione cosa accadrà, dove accadrà e quando accadrà per pianificare gli investimenti necessari all'adattamento".

    Grazie al coordinamento del Gef, il Global Environmental Fund, i primi interventi stanno iniziando a prendere corpo anche nei paesi poveri. La lista dei progetti di adattamento già avviati per un totale di circa 280 milioni di dollari comprende 19 paesi, dalla B di Bangladesh alla Z di Zambia. Piccole opere per il momento rispetto al dettagliato programma di lavori previsto ad esempio in Gran Bretagna, uno dei paesi più intraprendenti, dove è stato messo a punto anche un accuratissimo piano d'intervento sul tratto londinese del Tamigi. Ma molto di più di quanto non sia stato fatto in Italia. Malgrado il nostro paese sia unanimemente riconosciuto come uno dei più vulnerabili, tra coste a rischio di erosione, dissesto idrogeologico, desertificazione galoppante e minacce al turismo montano.

    Una stima formulata nel volume curato da Carlo Carraro "Cambiamenti climatici e strategie di adattamento in Italia" ritiene che con un incremento della temperatura media di 1,2 gradi "nel 2050 si registrerebbe una perdita di benessere equivalente alla riduzione del reddito nazionale di circa 20-30 milioni di euro a prezzi correnti (...) una cifra rilevante pari ad un'importante manovra finanziaria, ma il valore sarebbe addirittura sei volte più grande nel 2100".

    Dopo la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici convocata nel settembre del 2007, poco o nulla si è fatto per coordinare conoscenze e interventi. L'Italia, spiega Francesco Bosello, ricercatore del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici, "soffre un grosso gap di preparazione, la nostra mappa del rischio non è stata adeguatamente aggiornata con le proiezioni delle pressioni dovute dal riscaldamento globale, così come manca una corretta organizzazione del managment. Eppure abbiamo delle eccellenze nelle ricerche su alcune minacce, come la desertificazione e gli incendi forestali". Da noi, si sa, prevenzione non è una parola che gode di grossa considerazione. Molto meglio far vedere a tutti quanto siamo bravi a cavarcela nelle emergenze.

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    00 19/02/2010 20:52
    Primati a rischio estinzione - Ecco le 25 specie in pericolo

    Al contrario dell'uomo, la cui popolazione è ormai prossima ai 7 miliardi, la metà delle 630 specie scimme, gibboni e lemuri potrebbe scomparire molto presto: di alcune esistono poche decine di unità. L'allarme dello Iucn
    di Luigi Bignami - repubblica.it




    Sono gli esseri viventi più vicini all'uomo. Molti di loro sono poco noti ai più, anche se le loro facce ci sembrano molto familiari. Ma potrebbero scomparire assai presto, molto prima che molti di noi li abbiano potuti vedere almeno una volta in fotografia. Si tratta di 25 primati che oggi un gruppo di zoologi tra i più importanti al mondo ritiene in grave pericolo di estinzione e che è stato raccolto dall'IUCN ((Union for the Conservation of Nature). Tra di loro vi sono lemuri, gibboni e le grandi scimmie.

    I nostri "cugini" contano ben 630 specie e di queste circa 300 sono vicini all'estinzione, di cui 25 di essi sono ormai prossimi a lasciarci. La lista include 5 primati del Madagascar, 6 dell'africa, 3 del centro e sud America e 11 dell'Asia. Ieri sera alle 19:00 la popolazione mondiale toccava 6.803.362.494 individui, quando solo 5 anni fa raggiungevamo i 6 miliardi di persone. Ma per gli altri primati della Terra la situazione è ben diversa. Per molti di loro infatti, il numero di individui non supera qualche decina e l'avanzare dell'orologio fa drammaticamente diminuire il loro numero.

    Questo grido d'allarme si spiega se si vanno a vedere le cose in dettaglio con qualche esempio. Il presbite dalla testa bianca, il quale vive solo sull'isola di Cat Ba nel Golfo di Tonkino, nel nordest del Vietnam, è un gruppo di primati composto da non più di 60-70 individui. Solo 5 anni fa erano circa 150. Allo stesso modo alcune specie di lemuri del Madagascar sono composte da non sono più di un centinaio di esemplari e 110 sono i gibboni di Hainan che vivono anch'essi nel nordest del Vietnam.

    "Il motivo che ci ha spinto a stilare una classifica dei 25 primati maggiormente a rischio d'estinzione è quello di attirare l'attenzione della gente al problema e di far si che i governi si sentano stimolati a fare qualcosa per tentare di far sopravvivere queste specie così importanti per la biodiversità del nostro pianeta", ha spiegato Russell Mittermeier, responsabile del Primate Specialist Group dell'Iucn.

    Le cause di tutto ciò sono da ricercare soprattutto nella distruzione degli ambienti in cui tali primati vivono e per molti di loro anche la caccia e l'esportazione illegale. La deforestazione e la trasformazione di habitat originari in più adatti alle esigenze dell'uomo sono comunque il motivo primo della loro scomparsa, a cui poi si aggiungono i problemi legati ai mutamenti climatici.

    Va sottolineato che è sempre possibile recuperare una specie vivente se questa viene protetta al meglio e vari esempi dimostrano ciò. "In Brasile - piega Mittermeier- il leontocebo dalla groppa rossa era considerato in via di estinzione fino al 2003. Di essi erano rimaste poche decine di esemplari. Ma con un'opera di protezione durata 30 anni la specie è stata tolta dalla Lista Rossa degli animali in pericolo di scomparsa".
    Il grido d'allarme dunque, può servire molto, secondo Mittermeier, se si interviene al più presto e nel giusto modo.
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    00 20/02/2010 21:38
    ENERGIA PULITA - I panorami dell'eolico. "E' bellezza moderna"

    I campi eolici come la skyline di Manhattan o i castelli medievali. Le grandi pale in grado di catturare la forza del vento possono diventare in futuro un simbolo del nostro tempo e della bellezza del progresso. Elementi integrati nel paesaggio, in grado di esaltarne l'armonia. O, ancora, giganteschi monumenti, testimonianza della forza e del carattere di una civiltà. Raggiungere questo risultato è una sfida difficile, ma secondo Legambiente occorre giocarla. "Vale davvero la pena imbracciare le armi contro l'eolico, come qualche novello Don Chisciotte propone, per salvare il paesaggio dai pericoli portati da questi "smisurati giganti?". La domanda di Edoardo Zanchini, responsabile Energia dell'associazione ambientalista, naturalmente è retorica.

    Gli impianti eolici che iniziano a costellare la Penisola, oltre ad essere indispensabili ai fini delle politiche climatiche, a suo avviso sono spesso elementi di "moderna bellezza". Per ribadire questa convinzione l'associazione ha organizzato a Roma "Il vento fa bene all'Italia", un convegno nel corso del quale oltre alle parole si è cercato di far parlare le immagini con il contributo di "Smisurati giganti?", un volume fotografico realizzato per documentare attraverso gli scatti di Pablo Balbontin e Luca Marinelli "la modernità dell'eolico nel paesaggio italiano".

    I testi, oltre che dello stesso Zanchini, sono invece di due tra i massimi paesaggisti italiani, gli architetti Bernardo Secchi e Daniela Moderini. "I rotori eolici - scrive Secchi - sono tra i pochi "materiali" costituivi di interi paesaggi che riprendono una grande tradizione del design moderno; un disegno essenziale, minimalista, rigidamente funzionale, che si affida nuovi materiali, che interpreta il nostro rapporto con la natura, in questo caso rappresentata dal vento. Per questo hanno rapidamente raggiunto una grande unificazione linguistica (...) È una grande lezione per l'architettura...". Il contributo di Daniela Moderini si richiama invece in particolare all'esperienza del foggiano, dove "un approccio progettuale adeguatamente ampio ha permesso di integrare pale realizzate nella giusta scala con un territorio ricco di tesori archeologici, creando un unico itinerario di visita in grado di promuovere un'area dell'Appennino relegata altrimenti ai margini". Più che di risultati già incassati si tratta quindi di potenzialità ancora da esprimere attraverso un diverso approccio da parte dei progettisti che tenga conto anche del "disegno del paesaggio", ma prima ancora attraverso una riforma del sistema normativo che metta definitivamente al riparo l'eolico dagli abusi e le speculazioni che pure ci sono stati. "Discussioni sull'opportunità di creare impianti in determinate zone - ricorda Zanchini - ci sono state in tutto il mondo, ma solo da noi sono stati raggiunti certi livelli di livore".

    Per questo, oltre che una battaglia culturale per sconfiggere quello che Secchi definisce l'onnipresente "sentimento di nostalgia che porta a considerare il 'primà come meglio del 'dopo'", bisogna agire sulla leva burocratica. "Occorre innanzitutto - aggiunge Zanchini - definire un quadro di regole chiare, di procedure trasparenti per capire i veri impatti sul paesaggio e l'ambiente dei progetti in modo da garantire l'interesse generale alla tutela e quello di chi vuole realizzare gli investimenti in tempi e modi certi".

    repubblica.it


    ...ma tanto adesso mettiamo le centrali nucleari... [SM=g1336780] [SM=g1336780]
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    00 21/02/2010 22:05
    Emergenza clima, scompare la nebbia


    La nebbia scompare, vittima dei cambiamenti climatici: la Pianura Padana ne regista una riduzione del 30-35% in 20 anni mentre sulle coste Usa si è calcolato che ogni giorno è presente tre ore di meno. E si parla di allarme ecosistemi. A dirlo negli Stati Uniti sono stati i ricercatori dell'Università di Berkley che hanno evidenziato come questo cambiamento potrebbe incidere negativamente sul benessere delle foreste. Lo studio, che sarà pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha sottolineato come la drastica riduzione della nebbia, accompagnato da un aumento della temperatura media, possa causare ripercussioni negative sulle foreste di sequoie che popolano la costa orientale degli Stati Uniti: la nebbia, riuscendo a prevenire la perdita di acqua dagli alberi, svolgeva un ruolo fondamentale nel mantenimento dell'ecosistema costiero, che adesso si trova in "serio" pericolo.

    FENOMEMO GLOBALE - Dalle analisi effettuate lungo la costa orientale degli Stati Uniti è stato evidenziato che, solo nell'ultimo secolo, in estate è stata riscontrata una perdita giornaliera di nebbia di circa tre ore. Un evento questo che i ricercatori ritengono "pericoloso" per il benessere ambientale: sequoie, animali e piante, non potendo più contare sul particolare clima umido delle zone costiere, non riescono a continuare il naturale processo di rigenerazione. Ma il fenomeno è "ben visibile" anche in Europa: in Italia la nebbia è in netta regressione ed è stata calcolata una riduzione del 30-35 per cento negli ultimi 20 anni in Pianura Padana, catalogata, fino agli anni '90, come una delle zone più nebbiose del mondo. «Da quell'anno in poi non sono stati più registrati i picchi massimi e i giorni di nebbia si sono notevolmente ridotti anche se gli ultimi due anni hanno fatto registrare un ritorno a una situazione simile agli anni '60-'90», ha raccontato Giampiero Maracchi ordinario di climatologia all'Università di Firenze. «Il periodo tra gli anni '60 e '90 è stato caratterizzato da valori medi di nebbia molto elevati - ha spiegato Maracchi -mentre poi la media '80-'99 è caratterizzata già da una fase di cambiamento della circolazione atmosferica e del clima».

    FORESTE A RISCHIO - I ricercatori Usa grazie alle informazione su visibilità, vento e temperatura concesse dagli aeroporti, hanno attribuito la causa alla «notevole» diminuzione, nel corso degli anni, della differenza di temperatura tra costa e interno del Paese. Processo questo che ha implicato, secondo le analisi, un calo del 33% degli eventi nebbiosi. Un esempio del cambiamento è stato registrato tra l'università di Berkley, nella Baia di san Francisco, e la città di Ukiah a nord della California: all'inizio del 20/o secolo si stimava una differenza diurna di temperatura di 17 gradi fahrenheit, mentre oggi sono solamente 11. «I dati - ha affermato James A. Johnstone, autore dello studio - supportano l'idea che la nebbia costiera della California del Nord è diminuita in connessione al calo del gradiente di temperatura tra costa e interno. Nonostante sia basso il rischio che le sequoie mature muoiano a titolo definitivo, questo processo può intaccare fortemente il reclutamento di nuovi alberi: andando a cercare altrove acqua, alti tassi di umidità e temperature più fresche - ha concluso Dawson - si avranno effetti sull'attuale gamma di sequoie, piante e degli animali che vivono in questi fragili ecosistemi». (Fonte Ansa)

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    00 22/02/2010 15:34
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    00 22/02/2010 19:07
    "Falsi i dati sulle emissioni di C02" Le auto in realtà inquinano di più


    Le case automobilistiche non dicono il vero sulle emissioni di C02. Questa la sconcertante realtà dell'inchiesta appena pubblicata da Auto Motor und Sport, la più grande rivista di settore d'Europa. Una denuncia forte, ma in qualche modo scontata considerando il fatto che tutte, o quasi, le dichiarazioni sui consumi medi sono false. Dopo la famosa inchiesta di Autobild e quella di Quattroruote venne infatti dimostrato che in fatto di consumi ci sono differenze abissali fra quelli reali e quelli dichiarati: si va dal 17 al 47% in più. Ma non è solo una questione di inchieste: on line abbiamo ormai migliaia di testimonianze dei nostro lettori che denunciano come le proprie vetture (divise per marca e modello) non rispettino i consumi dichiarati. Un gigantesco blog interattivo dove i messaggi dei nostri lettori valgono più di mille discorsi.

    Detto questo, visto che le emissioni sono legate anche ai consumi era facile immaginare che anche in fatto di C02 ci potesse essere qualcosa di "strano". Ma si trattava solo di supposizioni, appunto. Ora invece abbiamo una prima prova che testimonia come perfino le auto più virtuose in fatto di ambiente poi tanto virtuose non siano...

    I dati della tabella che pubblichiamo parlano da soli, ma - se possibile - il fatto che le case automobilistiche barino sui dati di emissioni è ancora più fastidioso. E già perché mentre con i consumi chiunque si può rendere conto che i dati dichiarai sono pressoché impossibili da replicare su strada, con la C02 queste è impossibile. Insomma, bisogna fidarsi...

    Il problema di tutto questo è il solito. Ossia la metodologia seguita per i test: la legge - in vigore in ben 50 Paesi - prevede infatti che i consumi e le emissioni di C02 per tragitti in città e su strada siano calcolati simulando il viaggio delle macchine su speciali rulli per un tempo complessivo di 1.180 secondi, circa 20 minuti: per 780 secondi si misura il consumo nel percorso urbano, per 400 secondi quello di un viaggio extraurbano; per un tempo massimo di 10 secondi si raggiunge invece la velocità di 120 chilometri orari.

    Condizioni inesistenti. Anche perché le case costruttrici hanno la possibilità di effettuare questi test con aria condizionata spenta e con modelli completamente privi di accessori, quindi in realtà non in vendita.

    repubblica.it


    Come news mi sembra abbastanza grossa, eppure e' passata come al solito inosservata...se pero' qualcuno fosse interessato vi lascio il link delle tabelle pdf coi dati in questione...

    download.repubblica.it/pdf/2010/inchiesta.pdf
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    00 23/02/2010 16:24
    "L'Italia schiava dell'auto ecco cosa si rischia in città"
    Pascal Acot, storico dell'ecologia, parla all'indomani dello stop al traffico nel nord Italia per l'aumento delle polveri sottili: gravi carenze nel trasporto pubblico - da repubblica.it



    "Abbiamo problemi anche in Francia. A Parigi, con tanto di metro che arriva ovunque e funziona perfettamente, ogni tanto bloccano almeno in parte la circolazione per frenare lo smog. In tutta Europa la battaglia contro l'inquinamento è dura. Ma certo in Italia la situazione è molto particolare, veramente allarmante". Pascal Acot, ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique e storico dell'ecologia, segue da anni le polemiche sull'inquinamento dell'atmosfera e si stupisce ancora del ritardo con cui, da questo lato delle Alpi, si risponde al pericolo costituito dalle PM10, le polveri sottili.

    Dunque lei ritiene che l'intervento sia urgente.
    "Non lo dico io. Lo dice l'Unione europea con le sue direttive. Chi non si adegua rischia sanzioni pesanti, da milioni di euro. E l'Italia è tra i paesi nei confronti dei quali è stata aperta una procedura d'infrazione in sede comunitaria proprio per la mancata definizione dei piani di intervento. In altre parole: può capitare di avere un problema. Può capitare di ereditare una situazione in cui i ritardi infrastrutturali accumulati in molti decenni sono pesanti e le condizioni meteo sfavorevoli moltiplicano le difficoltà. Ma non si può far finta di niente. Non si può andare avanti per anni evitando accuratamente di prendere le misure necessarie a tutelare un bene non negoziabile come la salute dei cittadini".

    È difficile però trovare la firma dei veleni che finiscono nei nostri polmoni. Chi non vuole staccarsi dal volante dà la colpa al riscaldamento, chi non vuole investire in una caldaia più efficiente se la prende con le centrali elettriche. C'è perfino chi dice che le polveri sottili sono un fatto naturale...
    "Un fatto naturale? Questa è straordinaria! Del resto si può dire di tutto, anche del caos climatico: c'è sempre una frazione del problema che può essere considerata naturale; il punto è che va pesata. E se si misura il ruolo delle polveri sottili prodotte da cause naturali si scopre che è del tutto marginale. I responsabili sono altri e si conoscono per nome e cognome".

    Facciamoli questi nomi.
    "Il primo responsabile è il traffico su gomma. E qui si trova una prima spiegazione delle difficoltà in cui si dibatte l'Italia: il rapporto tra l'automobile e il trasporto pubblico, dal punto di vista delle risorse investite e degli spazi dedicati, è assolutamente anomalo rispetto alla media del Centro e del Nord Europa. La prima mossa da fare per recuperare una situazione di normalità è riequilibrare il sistema: più spazio al mezzo pubblico, alle bici, alle auto in condivisione e meno spazio alle automobili, molto spesso occupate da una sola persona".

    Gli altri responsabili?
    "Il riscaldamento figura al secondo posto. Forse questo è il campo in cui l'Italia ha fatto meglio: la sostituzione dell'olio combustibile con il metano ha abbattuto in maniera significativa questo tipo di inquinamento. E lo dimostra la diminuzione dell'anidride solforosa, un tipico inquinante legato al riscaldamento. Gli altri contributi allo smog vengono da industrie e agricoltura, ma il loro contributo è, in genere, decisamente limitato".

    Cosa rischiano gli abitanti delle città costretti a respirare un'aria che per legge non è respirabile?
    "Molto, moltissimo. L'Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato in oltre 8 mila i morti causati dalle polveri sottili nelle 13 principali città italiane e in 800 mila a livello globale le vittime dello smog".

    Pensa che i sindaci o i presidenti delle Regioni abbiamo in mano gli strumenti per battere lo smog?
    "In parte sì perché quello che possono fare è molto importante. Possono, e in realtà devono per evitare il rischio di indagini giudiziarie, agire per mantenere i livelli di inquinamento entro i limiti di legge".

    I blocchi?
    "I blocchi hanno un significato importante in termini di comunicazione: fanno capire a tutti che il problema c'è ed è serio. Ma appena le auto tornano in circolazione lo smog risale. Quello che veramente serve, e che in parte possono fare anche gli amministratori locali, è migliorare il trasporto pubblico".

    Senza fondi?
    "Si possono creare spazi riservati ai mezzi pubblici rendendoli più veloci senza pagare un euro. E poi c'è la partita dei fondi che vanno trovati attraverso un coordinamento nazionale che dia alla difesa della salute e della vivibilità delle città un valore prioritario. Bisogna intervenire anche sul trasporto merci e sui pendolari".
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    cuix
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    00 24/02/2010 15:21
    Re: "Falsi i dati sulle emissioni di C02" Le auto in realtà inquinano di più


    "Falsificazione dei dati di CO2"
    in arrivo class action contro l'auto



    Dopo l'inchiesta di Repubblica.it che riportava i dati di Auto Motor und Sport (secondo cui le emissioni di CO2 dichiarati dalle compagnie automobilistiche sono falsati, risultando inferiori a quanto realmente emesso), l'Adoc, Associazione per la Difesa e Orientamento Consumatori, valuta una possibile Class Action contro le case automobilistiche per violazione contratto d'acquisto e una denuncia all'Antitrust per pubblicità ingannevole.

    "E' gravissima la falsificazione dei dati CO2 da parte delle case automobilistiche - spiega infatti Carlo Pileri, Presidente dell'Adoc - che dichiarano un valore di emissione inferiore alla realtà. Dato che il valore delle emissioni di anidride carbonica costituisce la base degli Standard Euro sulle emissioni inquinanti, chiediamo che questi vengano immediatamente aboliti, in quanto la normativa, all'atto pratico, risulta vuota di significato e dannosa per i consumatori. Costretti, quest'ultimi, a dover rinnovare il parco macchine ogni 3-4 anni per adeguarsi agli Standard europei, con costi ingenti e ingiustificati, e senza avere la certezza dell'utilità dell'investimento. I consumatori sono stati messi in ginocchio, hanno spese cifre considerevoli per comprare un'auto Euro 4, ma già si ritrovano con un mezzo svalutato, di almeno il 20%, sul mercato dell'usato, anche alla luce dell'arrivo dei nuovi modelli già omologati Euro 5, la cui normativa entrerà in vigore nel 2011. I consumatori hanno già pagato una volta. Ora non possono pagare anche per la crisi del mercato dell'auto".

    Era chiaro che sarebbe finita così, ma in realtà il confine è sottile perché le case automobilistiche di fatto si attengono a quanto dice la legge. Tuttavia poi con l'impossibilità di raggiungere i risultati dichiarati da parte dei consumatori la faccenda si complica...

    "Sul libretto di circolazione vengono dichiarati consumi non reali e non ottenibili, violando di fatto il contratto d'acquisto - continua Pileri - attraverso una completa mancanza di trasparenza e corretta informazione verso i consumatori. Per questo stiamo valutando, con il nostro pool di avvocati, la possibilità di intentare una class action contro le compagnie automobilistiche e di denunciare le stesse all'Antitrust per pubblicità ingannevole. Non c'è nulla di realmente "ecologico" nei nuovi modelli messi in commercio, una truffa bella e buona a danno degli ignari cittadini".

    Come finirà?

    repubblica.it
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    Mezcal82
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    00 24/02/2010 19:16
    Re: Re: "Falsi i dati sulle emissioni di C02" Le auto in realtà inquinano di più
    cuix, 24/02/2010 15.21:



    "Falsificazione dei dati di CO2"
    in arrivo class action contro l'auto



    Dopo l'inchiesta di Repubblica.it che riportava i dati di Auto Motor und Sport (secondo cui le emissioni di CO2 dichiarati dalle compagnie automobilistiche sono falsati, risultando inferiori a quanto realmente emesso), l'Adoc, Associazione per la Difesa e Orientamento Consumatori, valuta una possibile Class Action contro le case automobilistiche per violazione contratto d'acquisto e una denuncia all'Antitrust per pubblicità ingannevole.

    "E' gravissima la falsificazione dei dati CO2 da parte delle case automobilistiche - spiega infatti Carlo Pileri, Presidente dell'Adoc - che dichiarano un valore di emissione inferiore alla realtà. Dato che il valore delle emissioni di anidride carbonica costituisce la base degli Standard Euro sulle emissioni inquinanti, chiediamo che questi vengano immediatamente aboliti, in quanto la normativa, all'atto pratico, risulta vuota di significato e dannosa per i consumatori. Costretti, quest'ultimi, a dover rinnovare il parco macchine ogni 3-4 anni per adeguarsi agli Standard europei, con costi ingenti e ingiustificati, e senza avere la certezza dell'utilità dell'investimento. I consumatori sono stati messi in ginocchio, hanno spese cifre considerevoli per comprare un'auto Euro 4, ma già si ritrovano con un mezzo svalutato, di almeno il 20%, sul mercato dell'usato, anche alla luce dell'arrivo dei nuovi modelli già omologati Euro 5, la cui normativa entrerà in vigore nel 2011. I consumatori hanno già pagato una volta. Ora non possono pagare anche per la crisi del mercato dell'auto".

    Era chiaro che sarebbe finita così, ma in realtà il confine è sottile perché le case automobilistiche di fatto si attengono a quanto dice la legge. Tuttavia poi con l'impossibilità di raggiungere i risultati dichiarati da parte dei consumatori la faccenda si complica...

    "Sul libretto di circolazione vengono dichiarati consumi non reali e non ottenibili, violando di fatto il contratto d'acquisto - continua Pileri - attraverso una completa mancanza di trasparenza e corretta informazione verso i consumatori. Per questo stiamo valutando, con il nostro pool di avvocati, la possibilità di intentare una class action contro le compagnie automobilistiche e di denunciare le stesse all'Antitrust per pubblicità ingannevole. Non c'è nulla di realmente "ecologico" nei nuovi modelli messi in commercio, una truffa bella e buona a danno degli ignari cittadini".

    Come finirà?

    repubblica.it



    Ma è normale, idiota chi crede ancora a questa marea di cazzate! Volete svegliarvi? Vi prendono per il culo ogni giorno e nessuno dice niente porca troia! Che cazzo aspettate di crepare per accorgervi che quel che vi vendono ha il solo scopo di dare dividendi agli azionisti!
    SVEGLIA ITALIANO PERCHE' SEI UN GRAN COGLIONE!!!!





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    cuix
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    00 26/02/2010 19:58
    L’Ipcc si mette sotto esame

    Nel tentativo di uscire dall’assedio nel quale è stretto da ormai un paio di mesi, l’Intergovernmental Panel on Climate Change ha annunciato ieri che nominerà un gruppo scientifico indipendente per l’esame delle sue procedure. Il board (non è ancora stato chiarito come e da chi sarà composto) dovrà valutare la correttezza con cui l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di monitorare e sintetizzare la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici ha lavorato nella stesura del suo quarto Assessment del 2007. Nei giorni scorsi l’Ipcc ha dovuto ammettere infatti diversi errori (tutti per eccesso) nelle conclusioni del IV rapporto. A essere esagerate e prive delle necessarie credenziali scientifiche erano in particolare le previsioni sullo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya. Altri difetti di credibilità sono emersi invece sulle valutazioni dell’innalzamento del livello del mare in Olanda e sulla registrazione delle temperature in Cina. Ma la vera colpa che l’Ipcc deve espiare, accettando di essere messo sotto esame, è in realtà un’altra. Anzi, per l’esattezza, sono altre due.

    Il colpo più duro alla sua credibilità è arrivato dalla diffusione di un amplissimo scambio di email tra alcuni scienziati climatici di punta (in particolare dell’università britannica di East Anglia). Missive che in realtà non tolgono nulla al valore dei dati sul riscaldamento globale in atto e alle conclusioni sulla preponderante responsabilità umana in questo andamento, ma che hanno rivelato all’opinione pubblica un atteggiamento fanatico e settario di questi ricercatori nel mettere al riparo le loro tesi da qualsiasi studio in grado di gettare qualche seme di dubbio nel dibattito. Una vicenda molto sgradevole nella quale in realtà l’Ipcc non ha nessuna responsabilità, tanto più che le email erano riservate e sono state hackerate e rese pubbliche in maniera del tutto criminale.

    Molte più responsabilità ha invece l’organismo dell’Onu nell’altro errore che gli si sta pesantemente ritorcendo contro. Grazie al comportamento disinvolto del suo presidente, l’indiano Rajendra K. Pachauri, anziché difendere e ribadire la complessità e le tante incognite che tutt’oggi rimangono nel suo giustificato allarme sul clima, l’Ipcc ha di fatto avallato la vulgata ipercatastrofista imposta da alcuni personaggi spregiudicati e ben accetta dalla maggior parte dei mezzi d’informazione. Esemplare in questo senso è stato il premio Nobel vinto congiuntamente con Al Gore, una “star” del global warming molto spettacolare e poco scientifico.

    In questa situazione è facile accusare l’Ipcc di aver volutamente calcato la mano sui ghiacciai dell’Himalaya. La vera origine di quell’errore in realtà è però un’altra. L’Intergovernmental Panel on Climate Change è un organismo Onu e come tale deve cercare di rappresentare il mondo intero. Non che l’Ipcc non abbia apprezzato e incoraggiato una certa interpretazione ipercatastrofista delle sue conclusioni, ma se quello studio sballato è finito nel rapporto è soprattutto per ragioni di geopolitica. Le sue pubblicazioni non possono basarsi esclusivamente su studi scientifici occidentali, soprattutto nell’analizzare problematiche legate ai cambiamenti climatici nei paesi poveri o in via di sviluppo (in questo caso l’India). Ma la letteratura scientifica in grado di reggere alle valutazioni della comunità internazionale dei ricercatori prodotta da queste nazioni è in realtà molto limitata. Per questo sono state allargate le maglie della selezione, finendo per cadere in errore.

    Ben venga quindi la commissione d’esame annunciata ieri, ma non sarà sufficiente. Se vuole sopravvivere allo scetticismo e recuperare la sua credibilità in vista dell’importantissimo nuovo Assesstment in via di stesura (la pubblicazione è prevista per il 2014), l’Ipcc deve riformarsi profondamente, sia nelle modalità di selezione delle pubblicazioni scientifiche e deve rendersi molto più indipendente dal penalizzante abbraccio con la politica (non a caso si chiama “intergovernmental”). Il primo passo deve essere però il congedo di Pachauri. Le diplomazie di diversi paesi europei stanno cercando di convincerlo a farsi da parte per il bene della causa, ma non sarà facile, perché si dovranno scontrare con l’orgoglio e un certo vittimismo delle nazioni in via di sviluppo decise a difendere la presenza di un indiano in un ruolo così prestigioso.

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    VictorPhilippe
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    00 26/02/2010 23:08
    A questa gente Italiana,non gli frega niente,basta la buona pasta,la pizza,il salame e il vino buono!
    Che SCHIFO! [SM=g1336763]
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    cuix
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    00 04/03/2010 16:56
    Al Gore e la guerra del clima "Perché gli ecoscettici hanno torto"


    SAREBBE un immenso sollievo se i recenti attacchi alla scienza che studia il riscaldamento globale indicassero davvero che non ci troviamo di fronte a una calamità inimmaginabile la quale esige misure preventive su vasta scala per proteggere la nostra civiltà. Naturalmente, dovremmo comunque affrontare i rischi per la sicurezza nazionale di una sempre maggiore dipendenza da un mercato petrolifero dominato dalle riserve in diminuzione situate nella regione più instabile del mondo. E saremmo comunque all'inseguimento della Cina nella corsa allo sviluppo di reti elettriche intelligenti, treni veloci, energia solare, eolica, geotermica e di altre fonti di energia rinnovabile: le più importanti fonti di nuova occupazione del XXI secolo. Ma che peso ci saremmo tolti! Non dovremmo più preoccuparci che un giorno i nostri nipoti ci considerino una generazione criminale, che ha ignorato egoisticamente e spensieratamente i chiari segnali che il loro destino era nelle nostre mani.

    Potremmo festeggiare coloro che hanno ostinatamente continuato a sostenere che i rapporti sul cambiamento climatico delle principali Accademie nazionali delle Scienze avevano semplicemente commesso un errore enorme. Io, per esempio, mi auguro sinceramente che le crisi climatiche siano un inganno. Sfortunatamente, però, la realtà del pericolo che stiamo correndo non è stata modificata dalla scope rta di due errori tra le migliaia di pagine di uno scrupoloso lavoro scientifico svolto nel corso degli ultimi 22 anni dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc). In realtà, la crisi si sta aggravando perché ogni 24 ore continuiamo a scaricare nell'atmosfera (come se fosse una fogna a cielo aperto) 90 milioni di tonnellate di inquinanti che contribuiscono al riscaldamento globale del pianeta.

    È vero che l'Ipcc ha pubblicato un dato sovrastimato sulla velocità di scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya e che ha utilizzato delle informazioni sui Paesi Bassi fornitegli dal governo e rivelatesi, in un secondo tempo, parzialmente inesatte. Inoltre, le e-mail rubate all'università dell'East-Anglia hanno dimostrato che alcuni scienziati assediati da un'offensiva di richieste ostili da parte degli scettici del clima potrebbero non aver seguito nel modo appropriato i criteri stabiliti dalla legge britannica sulla libertà di informazione. Ma le attività scientifiche non saranno mai esenti da errori. Ciò che importa è che la schiacciante unanimità sul riscaldamento globale resti invariata. È importante anche notare che gli scienziati del comitato - agendo in buona fede, sulla base delle migliori informazioni disponibili - hanno verosimilmente sottovalutato la portata dell'aumento del livello del mare in questo secolo, la velocità con cui la calotta polare artica sta scomparendo e quella con cui alcuni dei grandi flussi glaciali in Antartide e in Groenlandia si stanno sciogliendo e riversando in mare. Poiché questi e altri effetti del riscaldamento del pianeta sono distribuiti a livello globale, è difficile individuarli e interpretarli in ogni singola località.

    Ad esempio, il mese di gennaio è stato considerato eccezionalmente freddo in gran parte degli Stati Uniti. Tuttavia, da un punto di vista globale, si è trattato del secondo gennaio più caldo dall'epoca in cui le temperature della superficie sono state misurate per la prima volta, 130 anni fa.
    Anche se coloro che negano il cambiamento climatico hanno capziosamente sostenuto per anni che nell'ultimo decennio non si è verificato alcun riscaldamento, gli scienziati hanno confermato che gli ultimi dieci anni sono stati i più caldi da quando le temperature terrestri vengono registrate. Le forti nevicate di questo mese sono state utilizzate a favore delle loro tesi da quelli che affermano che il riscaldamento del pianeta è una leggenda; tuttavia gli scienziati hanno rimarcato che le più elevate temperature globali hanno accelerato la velocità di evaporazione degli oceani, immettendo molta più umidità nell'atmosfera e provocando così le forti precipitazioni di acqua e neve in determinate aree, tra cui gli Stati Uniti nord-occidentali. Come è importante non perdere di vista l'essenziale per il particolare, così é altrettanto importante non farsi trarre in inganno dalle nevicate.

    Ecco cosa sta accadendo al nostro clima secondo gli scienziati: l'inquinamento globale prodotto dall'uomo intrappola il calore del sole e aumenta le temperature atmosferiche. Le sostanze inquinanti - soprattutto l'anidride carbonica - sono aumentate rapidamente con il diffondersi dell'uso del carbone, del petrolio, dei gas naturali e dei roghi dei boschi, e nello stesso lasso di tempo le temperature sono cresciute. Quasi tutti i ghiacci che ricoprono alcune regioni della Terra si stanno sciogliendo, provocando l'innalzamento del livello dei mari. Si prevede che gli uragani diventeranno più forti e più distruttivi, anche se il loro numero dovrebbe diminuire. I periodi di siccità diventeranno più lunghi e più gravi in molte regioni e la violenza delle alluvioni aumenterà. La prevedibilità stagionale delle piogge e delle temperature è stata stravolta, mettendo in grave rischio l'agricoltura. Il numero delle specie estinte sta crescendo a livelli pericolosi.

    Tuttavia, malgrado le iniziative del presidente Obama al summit sul clima di Copenhagen, lo scorso dicembre, i leader mondiali non sono riusciti a mettere insieme nulla più che la decisione di "prendere atto" dell'intenzione di agire. Ciò comporta dei costi dolorosi. La Cina, oggi la fonte di inquinamento più grande e a sviluppo più rapido, all'inizio dell'anno scorso aveva riservatamente fatto sapere che, se gli Stati Uniti avessero approvato una legge incisiva, avrebbe partecipato, dal canto suo, a un serio sforzo per arrivare alla elaborazione di un trattato efficace. Quando il Senato non ha seguito le indicazioni della Camera dei Rappresentanti, obbligando il presidente Obama ad andare a Copenhagen senza una nuova legge, i cinesi si sono tirati indietro. Con i due maggiori inquinatori che si rifiutavano di agire, la comunità mondiale è rimasta paralizzata.

    È importante sottolineare che l'inazione degli Stati Uniti non un caso unico. La globalizzazione dell'economia, associata alla delocalizzazione dell'occupazione da parte dei Paesi industrializzati, ha contemporaneamente fatto crescere i timori di ulteriori perdite di posti di lavoro nel mondo industriale e ha incoraggiato le aspettative delle economie emergenti. Il risultato? Una maggiore opposizione, sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, a qualunque limitazione all'uso dei combustibili fossili.
    La decisiva vittoria del capitalismo sul comunismo, negli anni Novanta, ha portato a un periodo in cui la filosofia delle economie di mercato è sembrata dominante ovunque e all'illusione di un mondo unipolare. Negli Stati Uniti, quella vittoria ha condotto anche a una tracotante "bolla" di fondamentalismo dell'economia di mercato. Leggi e regolamenti che interferivano con le operazioni del mercato, sembravano emanare il vago odore dello screditato avversario statalista che avevamo appena sconfitto.

    Questo periodo di trionfalismo del mercato ha coinciso con la conferma, da parte degli scienziati, che i primi timori sul riscaldamento globale erano stati grossolanamente sottovalutati. Ma via via che la scienza è diventata più chiara, alcune industrie e alcune società, i cui piani affaristici dipendono da un inquinamento atmosferico senza regole, si sono arroccate ancora di più sulle loro posizioni. Combattono ferocemente contro le disposizioni più miti - proprio come le aziende del tabacco per quattro decenni hanno bloccato le restrizioni alla vendita di sigarette anche dopo che la scienza aveva confermato il collegamento tra fumo e malattie polmonari e cardiache. Allo stesso tempo, i cambiamenti nel sistema politico americano - tra cui la sostituzione dei giornali e delle riviste da parte della televisione e dei mezzi di comunicazione dominanti - ha dato grandi vantaggi ai ricchi sostenitori del mercato senza restrizioni. Alcune organizzazioni mediatiche oggi presentano uomini di spettacolo mascherati da intellettuali politici che spacciano odio e divisione per intrattenimento.

    Il loro tema costante consiste nell'etichettare come "socialista" qualunque proposta di riformare i comportamenti basati sullo sfruttamento. La strada verso il successo è ancora aperta. Essa inizia con la scelta da parte degli Stati Uniti di approvare una legge che stabilisca un costo per l'inquinamento che contribuisce al riscaldamento climatico. Abbiamo già superato delle serie minacce all'esistenza. Spesso viene citato Winston Churchill quando disse: "A volte fare del nostro meglio non è sufficiente. A volte bisogna fare ciò che è necessario". Quel momento è arrivato. I funzionari pubblici devono raccogliere la sfida facendo ciò che è necessario e l'opinione pubblica deve esigere che lo facciano, oppure sostituirli.

    ©New York Times / la Repubblica
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    cuix
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    00 25/03/2010 14:49
    Le foreste riprendono fiato ma metà pianeta è a rischio

    LA buona notizia è che la deforestazione è diminuita. La cattiva notizia è che si mangia ancora ogni anno una superficie grande quanto la Grecia. Negli anni Novanta sparivano 16 milioni di ettari di alberi all'anno, nel primo decennio del nuovo secolo si è scesi a 13 milioni. Sono le cifre contenute nel rapporto che la Fao ha appena reso pubblico: uno studio condotto ogni cinque anni che ha utilizzato il contributo di 900 specialisti in 178 paesi.

    Il mantello verde del pianeta, fino a qualche decennio fa ancora dominante, si è progressivamente ristretto fino ad arroccarsi sul 31 per cento delle terre emerse. Ma questo dato, come tutti quelle precedenti, è destinato a essere rapidamente superato da un'erosione che continua a viaggiare a ritmi alti. Le perdite maggiori si sono registrate in America del Sud (4 milioni di ettari) e in Africa (3,4 milioni di ettari). In rosso anche l'Oceania, dove si continua a pagare lo scotto di un terribile periodo di siccità che ha colpito l'intero decennio. L'Asia invece ha i bilanci in positivo grazie a alla politica di rimboschimento sostenuta da Cina, India e Vietnam, anche se l'attacco alle foreste primarie non si è fermato. Stabile l'America del Centro Nord e in crescita la quota verde dell'Europa.

    Il giudizio di Eduardo Rojas, vicedirettore della Fao è complessivamente positivo: "Per la prima volta il tasso di deforestazione mondiale sta scendendo grazie a sforzi condotti sia a livello internazionale che locale. I paesi non hanno solo migliorato le loro politiche di utilizzo delle foreste ma ne hanno anche assegnato l'uso alle popolazioni locali. Il tasso di deforestazione resta comunque alto e gli sforzi vanno raddoppiati".


    In particolare vanno salvaguardate le foreste primarie, quelle non ancora intaccate, che costituiscono la roccaforte della biodiversità terrestre: oggi rappresentano il 36 per cento delle foreste totali ma hanno perso 40 milioni di ettari in 10 anni a causa del degrado, del taglio e della riconversione a usi agricoli. L'altro caposaldo della conservazione sono i boschi della rete dei parchi che dal 1990 è cresciuta di 94 milioni di ettari raggiungendo il 13 per cento della superficie complessiva delle foreste.

    Nonostante il leggero miglioramento, la situazione dunque resta preoccupante. Gli incendi e gli attacchi dei parassiti colpiscono ogni anno l'1 per cento delle foreste. E, in assenza di un valido piano di intervento, il dato è destinato ad aggravarsi a causa dei cambiamenti climatici che stanno alterando il ciclo idrico. La deforestazione a sua volta accelera il processo del cambiamento climatico: a livello globale si calcola che nel periodo 2000 - 2010 lo stock di carbonio contenuto nella biomassa delle foreste si sia ridotto di 500 milioni di tonnellate.
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    00 14/04/2010 19:32
    Cargo su barriera corallina arrestato il capitano cinese


    CANBERRA - La polizia australiana ha arrestato il capitano e un ufficiale di comando dello Sheng Neng 1, il cargo cinese che andò a incagliarsi nella barriera corallina nei primi giorni di aprile. Lo riporta il quotidiano Herald Sun.

    Il mercantile cinese, lungo 230 metri, trasportava 65mila tonnellate di carbone caricate nel porto di Gladstone e aveva a bordo 950 tonnellate di petrolio. Si era incagliato nella Grande barriera corallina australiana il 4 aprile. Dai serbatoi era uscito del carburante anche se, fortunatamente, la nave non si era spezzata. L'allarme ambientale era scattato immediatamente.

    Ieri la nave è stata riportata in galleggiamento con il favore dell'alta marea e prima di una prevista forte perturbazione che avrebbe potuto aggravare ulteriormente la situazione. La maggior parte del contenuto dei serbatoi è stata pompata in una chiatta. Il cargo, poi, è stato rimorchiato in un ancoraggio sicuro presso Great Keppel Island, al largo di Rockhampton, ma i danni allo scafo e ai banchi corallini debbono ancora essere valutati.

    Per quanto riguarda l'impatto ambientale, una prima valutazione è stata già effettuata: "Ci vorranno probabilmente 20 anni per 'guarire' la grande barriera corallina" sostiene lo scienziato a capo dell'autorità marina australiana, David Wachenfeld. Ad infliggere una ferita gravissima alla grande barriera corallina, spiega il ricercatore, sono stati i movimenti del cargo dopo l'incidente. L'imbarcazione, infatti, ha continuato a spostarsi, spinta dalle correnti, distruggendo enormi porzioni di ecosistema corallino. "Mai visto danni così ingenti, eppure non è la prima nave ad arenarsi - dice Wachenfeld all'Independent - In alcune aree la vita marina è stata letteralmente spazzata via dal fondo, e la struttura della parete corallina è stata polverizzata dal peso dell'imbarcazione".

    Per questo l'Australia ha deciso di procedere per via legali contro il cargo che sarebbe entrato in una zona non prevista dalle rotte concordate. "E' assolutamente certo che l'imbarcazione avesse imboccato un itinerario 'illegale' - afferma il ministro dei Trasporti australiano, Anthony Albanese - Procederemo per via legale contro i responsabili". Ma non saranno certo i soldi a riparare un danno ambientale di così grandi proporzioni.

    repubblica.it
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    Mezcal82
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    00 17/04/2010 13:24
    Non è da arrestare, bisognerebbe usare lui, l'armatore ed il committente del trasporto come spezzatino per squali... per altro non si è saputo più nulla..
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    00 28/04/2010 20:26
    NUCLEARE - Inutile, dannoso e costoso, ambientalisti si mobilitano
    Dodici miliardi di euro in vent'anni. E' quanto in Italia è stato speso dalla chiusura delle centrali nucleari ad oggi. Soldi utilizzati esclusivamente per gestire le scorie radioattive. E che non hanno finanziato né nuove ricerche su energie rinnovabili né la costruzione di un deposito unico nazionale. La denuncia è contenuta in un dossier presentato dai Verdi in occasione del 24° anniversario del disastro di Chernobyl: "L'Italia paga per il nucleare che non ha". E riparte la mobilitazione ambientalista. Per Legambiente "la scelta del governo di far ritornare il nucleare in Italia è rischiosa e sbagliata". E sul deposito nazionale di scorie crescono le preoccupazioni in merito all'ipotesi di costruirlo nell'area del Garigliano, tra la provincia di Caserta e quella di Latina. "Proprio in quella zona, abbiamo già avuto la nostra piccola Chernobyl".

    Il dossier dei Verdi. Novantamila metri cubi di rifiuti tossici e radioattivi. A tanto ammonta il lascito delle centrali nucleari italiane, chiuse nel 1990. Un'enorme quantità di scorie sparse in tutto il Paese. Una bomba ecologica non ancora disinnescata che lo Stato sorveglia al costo di 500 milioni di euro l'anno. Soldi, naturalmente, pubblici. Sessantacinquemila tonnellate di questi rifiuti di seconda e terza categoria "provengono dalle centrali in dismissione". Per completare il quadro, bisogna aggiungere "una produzione annuale di 1.000 metri cubi di scorie provenienti da usi medici e industriali". E le scorie non invecchiano. La loro pericolosità è quasi permanente. "Quelli di seconda categoria sono rifiuti pericolosi per circa 300 anni mentre quelli di terza rimangono carichi di radioattività anche per 250mila anni".

    L'accordo con la Francia. Al centro delle polemiche, l'accordo che il governo italiano ha sottoscritto con la Francia 1 per la costruzione di reattori nucleari. E Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, ha un sospetto: "Con Parigi potrebbero esserci altri accordi, riservati, per la costruzione di armi atomiche". Anche Legambiente critica la scelta del governo. Affidando le proprie motivazioni a uno studio condotto sulla tecnologia nucleare francese. Quella che l'Italia dovrebbe importare. E l'EPR, la sigla che identifica il reattore d'oltralpe, viene definito "un bidone".

    Verso un Comitato Nazionale Antinucleare. Le associazioni ambientaliste sono al lavoro per mettersi in rete. La cornice ideologica è indicata in un documento, sottoscritto, tra gli altri, da Wwf, Italia Nostra, Greepeace e Legambiente. Nel testo vengono elencati i motivi che rendono la svolta nucleare "inutile e pericolosa": autosufficienza energetica già raggiunta, costi eccessivi del nucleare, scarse prospettive di impiego. E poi, il nucleare non ridurrebbe la dipendenza energetica dell'Italia, perché "dovremmo importare uranio, tecnologia e brevetti".

    La piccola Chernobyl sul Garigliano. L'ipotesi di costruire il deposito nazionale di scorie nell'area del Garigliano, è molto discussa. Anche perché, ricorda il dossier dei Verdi, la zona è già stata interessata da alcuni incidenti. Una lunga e agghiacciante sequenza. Che parte dalla metà degli anni '70. E che si svolge nella centrale nucleare di Sessa Aurunca, provincia di Caserta. Nel dicembre 1976 "il fiume Garigliano in piena, entra nel locale sotterraneo raccogliendo oltre un milione di litri d'acqua contaminata". Un incidente analogo si verifica nel novembre del 1979. Poi passa un anno. E nel novembre del 1980 "le piogge abbondanti penetrano nella centrale. E fuoriescono nel fiume portandosi dietro cesio 137". Due anni dopo "un contenitore su rimorchio ferroviario da Roma perde per strada 9.000 litri di acqua con cobalto 58, cobalto 60, e manganese 54". E per il dossier sono documentabili, nel 1972 e nel 1976, due esplosioni dei filtri del camino centrale.

    Incidenti che "hanno contaminato fiumi e terreni. E 1700 chilometri quadrati di mare, come certificano studi condotti dall'ENEA tra il 1980 e il 1982", dice Giulia Casella, presidente del circolo Legambiente di Sessa Aurunca. Che, in merito all'ipotesi di costruire sul Garigliano il deposito nazionale di scorie, dice: "Si tratta di un'ipotesi sciagurata. L'area è inadatta dal punto di vista idrogeologico. E non lo diciamo noi. Lo attesta un documento del governo del 1985".

    repubblica.it
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