Parlano tutti bene anche di questo MEN.
Il regista è quello di EX Machina, che mi aveva lasciata freddina, e di Annihilation che non ho mai visto per via del poster bruttissimo e della presenza di Natalie Portman che detesto.
Mi era sfuggito che fosse anche il regista della serie DEVS, che mi avevano straconsigliato e che dopo qualche puntata, guardata con sforzo enorme, ho piantato lì con un senso di liberazione.
Non è proprio il mio genere, non è proprio il mio regista, questo Alex Garland, uno che non si scomoda a spiegare niente, lasciando allo spettatore la fatica di cercare di capire cosa cazzo volesse dire.
Che poi in realtà la prima parte del film mi è anche piaciuta: Harper, la protagonista, si rifugia in una bella casa nella campagna inglese, per ritrovare sé stessa e riprendersi dallo shock della morte del marito, da cui si stava separando con sommo disappunto di quest’ultimo. Qui la donna comincia a fare la conoscenza di alcuni abitanti del posto, tra cui il suo padrone di casa, tontolone e un po’ naif, un prete un po’ stronzo e visibilmente arrapato, un ragazzino scontroso dalla parolaccia facile, un vagabondo nudo che comincia a seguirla e cerca pure di entrarle in casa, e altri personaggi, tutti uomini, come da titolo, tutti a loro modo piuttosto ambigui, quando non apertamente ostili.
E fin qui tutto ok, fotografia spettacolare, bellissime ambientazioni, musiche azzeccate, atmosfera angosciante, bravi gli attori.
Se non che, al terzo MAN che incontriamo, mi accorgo che l’attore è sempre lo stesso e interpreta tutti i ruoli maschili.
Al di là dell’inequivocabile messaggio, per forza di cose mi è venuta in mente la scena del film “Essere John Malkovich” in cui Malkovich entra nel tunnel e trova un mondo in cui tutti, uomini, donne, bambini hanno la sua faccia. Se avete visto “Essere John Malkovich”, sapete che l’effetto è buffo, e questo film di buffo in teoria non dovrebbe avere nulla. Ma oggettivamente, la faccia di Rory Kinnear appiccicata sul corpo di un ragazzino fa ridere.
Procedendo per simbolismi, metafore più o meno criptiche e riferimenti biblici, che diventano (che palle) la principale preoccupazione del regista (a discapito dello sviluppo della trama), si approda all’ultima delirante mezz’ora, in cui Alex (a sto punto più Visani che Garland) decide che deve scioccare il pubblico a tutti i costi (sempre senza smettere di comunicare a lettere cubitali il suo messaggio) e quindi ci piazza una geniale sequenza splatter/grottesca che, me cojoni, pare uscita dritta dritta dall’ammucchiata di Society.
Ora, non è che a me disturbi l’eccesso, tutt’altro, ma a parte che il film sembra girato da due persone diverse (tipo i fratelli Pang, ve li ricordate?), dopo un’ora di metaforoni dovermi puppare anche una sequenza infinita di parti maschili in cui il nascituro ha sempre la faccia di Rory Kinnear, beh, è effettivamente eccessivo anche per me.
Giudizio finale: pretenzioso, criptico, discontinuo, palloso.
Per farmi tornare il buonumore ho dovuto guardare Hellraiser 5.
A mai più, Alex Garland.