Il mistero della morte di García Lorca

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niko74mi
00venerdì 15 maggio 2009 11:11

Il mistero del poeta García Lorca ucciso perché gay

Come sempre lo studioso irlandese Ian Gibson, ora cittadino spagnolo, coglie di nuovo nel segno col suo nuovo libro su García Lorca, Caballo azul de mi locura. Lorca y el mundo gay (Planeta, pp. 466, euro 21,50), che sta già mietendo consensi a non finire. Va da sé che, dato l’argomento, l’avantitolo “Cavallo azzurro della mia follia”, che è un bel verso della poesia newyorkese “La tua infanzia a Mentone”, è pressoché scomparso dalle recensioni, tutte prevedibilmente concentrate sulla parte finale del sintagma: “Il mondo gay”.

Ma attenzione, al di là di un titolo un po’ troppo promozionale, Gibson non è persona da assecondare con banalità le sollecitudini del mercato e ci mette di fronte a un’opera seria, documentatissima e complessa. Anzitutto va detto (come mi ha assicurato, e gli credo) che questo suo libro è anche l’ultimo che farà su Lorca: d’ora in poi si dedicherà a terminare l’attesa monografia su Luis Buñuel.

L’artista da giovane

In secondo luogo, mi pare che l’opera in questione sia la naturale, nonché prevedibile, conclusione di una quasi quarantennale dedizione al poeta granadino, nata nel 1971 quando la casa editrice anarchica parigina Ruedo Ibérico pubblicò il celeberrimo studio La represión nacionalista de Granada en 1936 y la muerte de F.G.L. Già allora si intuiva che la sintesi finale - Lorca fu ucciso a causa del suo orientamento politico o sessuale - avrebbe aperto le porte non solo a una nuova storiografia lorchiana, basata sui dati e non su illazioni, ma anche al riconoscimento del ruolo determinante (sebbene non esclusivo) avuto dall’omosessualità nell’uccisione del poeta, e quindi alla ricerca sempre più in profondità della sua diversità, come infatti avvenne nella fondamentale biografia del 1985.

Impossibile cercare di glossare in dettaglio l’intera opera. Ricordiamo però gli eloquenti titoli dei 5 capitoli: “L’artista giovane”, “La Residenza a Madrid (1919-1929)”, “New York. Cuba”, “L’amore ai tempi della Repubblica” e “Ultimo atto e uscita di scena”, ai quali si aggiungono un Prologo e un Epilogo basilari.

Il Prologo, “La difficoltà di essere Lorca”, ripercorre il silenzio della critica lorchiana “ufficiale” sull’omosessualità del poeta fino al 1985, anno in cui uscì il libro di Paul Binding (Lorca o l’immaginazione gay), che per primo affrontava una lettura globale dell’opera di Lorca attraverso la chiave dell’omosessualità, presto seguito da quello di Ángel Sahuquillo (F.G.L. e la cultura dell’omosessualità maschile).

La tesi di Gibson è chiara e soprattutto lealmente dichiarata: restituire a Lorca la dimensione autobiografica omosessuale che quasi sempre gli è stata negata dalla critica e senza la quale il critico ritiene invece impossibile comprenderne l’opera.

Pure la sintesi è inequivocabile: «Lorca fu un rivoluzionario cristiano e gay che non credeva nel Dio biblico. Un rivoluzionario con la missione di difendere, con le sue opere, l’amore totale, l’amore in ogni sua forma, libero da puritanismi, proibizioni, castighi, inferni. I reazionari udirono il suo messaggio, lo capirono, lo disprezzarono e lo condannarono. Si sentirono offesi nel profondo. E quando giunse il momento opportuno, fecero pagare al poeta la sua temerarietà con la morte, perché a questo punto è innegabile che - oltre all’odio per il rosso compromesso con la Repubblica, e all’invidia per i suoi successi e anche per i suoi guadagni - l’omofobia svolse un ruolo indiscutibile nel crimine di Granada. Crimine che, come disse Pablo Neruda, fece sì che la città dell’Alhambra si affacciasse alla storia con un vessillo nero visibile da ogni punto del pianeta».

Questi discutibili ed enfatici commenti (Lorca missionario e rivoluzionario dell’amore?), per giunta fondati sullo spesso stucchevole Neruda, mettono a repentaglio la credibilità delle argomentazioni e delle conclusioni storiografiche di Gibson.

Eccesso di difesa

Ancora meno consenzienti ci trova l’Epilogo, dove una sorta di eccesso di difesa rischia di creare più danni che conferme: «L’opera di Lorca (…) oggi non esisterebbe se non fosse per la sua condizione di emarginato sessuale, per la sua identificazione, profondamente cristiana, con tutti coloro che soffrono, con tutti coloro che si sentono esclusi o rifiutati. Fu una creatura in fondo sofferente, che mise i suoi eccezionali doni al servizio degli altri nella speranza di una società più giusta. Non è onesto che si continui a negargli la sua omosessualità».

Abbandonata l’ottica della storiografia per assumere quella della letteratura, il libro finisce inevitabilmente per suffragare una delle nozioni meno affidabili introdotte dal modesto Binding, consistente nell’indimostrato assioma circa l’esistenza di una letteratura omosessuale. Dal punto di vista teorico un quesito del genere richiederebbe risposte più sottili, soprattutto perché il risultato più frequente di questo tipo di letture, oggi diffusissime in quanto facili scorciatoie ideologiche, consiste essenzialmente nel sovrapporre ai codici dell’ermeneutica letteraria un presunto protocollo psicanalitico (derivato dai noti fallimenti di Freud in tal senso) che non dimostra mai nulla, ma che, essendo fondato appunto sul nulla, si fa fatica a smentire. In sostanza, alla fine dell’opera le domande senza risposte accettabili restano le stesse di sempre: basta che lo scrivente sia omosessuale per postulare l’esistenza di una letteratura gay? Può la referenzialità (auto)biografica generare un modello creativo?

Il libro, insomma, funziona alla perfezione quando resta al proprio posto (quello storiografico), molto meno quando si avventura in quello esegetico (che diventa ideologico).

(da LIBERO-NEWS.IT )

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