Prima della normativa sull’
archeologia preventiva dunque, fuori dalla vincolistica tradizionale e da altre forme più “leggere” come i piani paesistici o i piani comunali, l’individuazione di un concetto fluido come l’
interesse archeologico finiva spesso per essere confinato nell’ambito del “sentito dire” e quindi l’articolo 28 del Codice dei Beni Culturali risultava di fatto inapplicabile. Per questo motivo, il Codice dei Contratti ha introdotto l’obbligo di redigere,
in sede di progetto preliminare, una relazione in cui vengono analizzati e valutati gli aspetti legati alle evidenze archeologiche riscontrabili direttamente o ipotizzabili sulla base dell’indagine territoriale (Documento di valutazione archeologica preventiva). Questa relazione che costituisce il primo di una serie di adempimenti obbligatori deve essere corredata di una specifica cartografia e sottoscritta da un professionista archeologo di fiducia dei progettisti, fornito di specifici titoli universitari (Specializzazione o dottorato) e iscritto ad un apposito elenco istituito presso il
MiBACT. Essa, unitamente al progetto, viene trasmessa alla Soprintendenza archeologica e costituisce la base delle successive prescrizioni che prevederanno, secondo un approccio graduale, approfondimenti diagnostici e, se necessario, scavi estensivi ad integrazione della progettazione definitiva ed esecutiva.
La procedura, se condotta in modo non solo rigoroso ma intelligente, è l’uovo di colombo che concilia le esigenze dello sviluppo territoriale e quelli della tutela. Infatti una buona
relazione preliminare consente la stesura di prescrizioni chiare e circostanziate, fornisce gli elementi per degli approfondimenti diagnostici e quindi a valle della procedura permette di prevedere eventuali scavi estensivi adeguatamente progettati e forniti di un cronoprogramma e un quadro economico realistici. In sostanza fornisce, allo stato attuale, la migliore “polizza assicurativa” contro il cosiddetto “
rischio archeologico”, parola abusata ma che nel mondo dei lavori pubblici ha un significato abbastanza temibile che si traduce in questa ben nota sequenza: scoperta fortuita, fermo lavori, obbligo di scavi archeologici imprevisti, ricerca di fondi nelle pieghe del quadro economico, ritardi a catena e così via. Il “rischio archeologico” se mal gestito a causa di una cattiva progettazione finisce per mettere a rischio, come spesso viene strumentalmente evidenziato dai media, i posti di lavoro, e tutto ciò avviene, per sommo scorno, elemosinando scampoli di risorse che non consentono di fare una “archeologia efficace”: a fronte delle somme investite, piccole o grandi che siano, e dei disagi subiti non viene restituito valore al territorio in termini di conoscenza del proprio passato e quindi finisce per essere un mero adempimento formale o un obolo per tener buono il Ministero.
Naturalmente, perché questo percorso sia efficace, l’elemento chiave è la professionalità dell’archeologo incaricato della
verifica preventiva dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare, ovvero del
Documento di valutazione archeologica preventiva. Esso infatti ha il delicato ruolo di professionista di fiducia che ha il compito di curare gli interessi della committenza, valutare in modo rigoroso tutte le evidenze riconosciute sul terreno e trasmettere una relazione ben argomentata e dotata di una cartografia esaustiva e leggibile. Come un medico che fornisce una prima diagnosi egli orienterà tutte le successive indagini ed in sostanza il destino del progetto che viene messo nelle sue mani.
Chi decide dunque di intraprendere un percorso rigoroso di
gestione del rischio archeologico deve partire da un buon Documento di valutazione preventiva che dia l’avvio di un iter che, per quanto complesso e per i non archeologi “rischioso”, se seguito con rigore da un bravo professionista può portare oltre a considerevoli economie anche le ricadute di immagine positive che fanno da contorno ad una operazione virtuosa.
Molti aspetti sono ancora da mettere a punto: l’archeologia preventiva, che in Europa ha vent’anni, in Italia è una disciplina giovane. Quindi la maggioranza dei progettisti e delle stazioni appaltanti continua a trovarsi di fronte agli interrogativi basilari:
quando devo attivare la procedura di Verifica preventiva dell’interesse archeologico?
Quali sono i requisiti di legge del professionista da incaricare? Dove trovo un elenco o un albo di questi professionisti? Quali sono i costi di una relazione archeologica? Quali i benefici? Che succede dopo? A quali oneri andrò incontro se la diagnosi archeologica ha esito positivo?
Il volume “
Archeologia preventiva” risponde a molti di questi interrogativi, ma nel confronto tra le diverse professionalità su questo tema c’è ancora molto da fare. I benefici sono però evidenti.
Di Paolo Güll.