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Affascinante valutazione

Ultimo Aggiornamento: 04/09/2008 17:15
04/09/2008 13:40
 
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mamma mia che ho trovato in rete,leggetevelo,e' davvero affascinante.

da listserver.sicap.it/wa.exe?A2=ind9909&L=pm-pt&P=266

In 08.48 24/08/99 +0000, hai scritto:
......................
>Chi decidesse di non sottrarsi a queste domande, lo farebbe a proprio
>rischio. Infatti, una volta ammessa la possibilità (o riconosciuta
>l'evidenza) che l'essere umano sia (o è) portatore, oltre che di istanze
>etiche, anche di bisogni psicologici radicati nel bios, difficilmente ci si
>potrebbe sottrarre al passo successivo, che è quello di trattare tali
>bisogni in primo luogo sul piano scientifico dove possono essere esaminati
>nella loro "oggettività", e poi sul piano della relazione emotivo-affettiva
>dove possono essere reperiti i fattori essenziali alla crescita
>psicologica. Si perverrebbe quindi a riconoscere che affrancarsi dai miti
>dell'oggettività non significa negare allo scienziato qualsiasi voce nel
>capitolo analisi o terapia (che dir si voglia): significa certo negargli la
>competenza esclusiva o l'egemonia che pretende di avere sul campo (se la
>pretende), ma non quella che legittimamente gli appartiene (ma come
>intenderemo questa scienza liberata dalle sue tentazioni egemoniche?). Si
>arriverebbe probabilmente a vedere che la terapia è un'operazione
>complessa, multifattoriale, che si gioca su diversi piani o livelli.
>Occorrerebbe a questo punto una ricognizione accurata di tali livelli e
>della loro articolazione: i ruoli o le regole fondamentali della terapia,
>la sua "grammatica generativa". Impresa da far tremare le vene e i polsi, e
>da indurre molti a isolare un solo livello, quello col quale si ha maggiore
>confidenza, e ignorare il resto. E va benissimo: meglio fare una cosa sola
>e farla bene, che farne tante e pasticciare. Ma qualcuno dovrà pure
>occuparsi dell'insieme, no?
>
>Tullio Carere
>
>Caro Tullio,

Sono ben lieto di affrontare il rischio, dato che in questa mail a commento
del saggio di Benvenuto, (sul quale, preferisco, per il momento, sorvolare
perchè sto giusto cucinando un breve saggio sulla metafora) , tu tocchi il
tema che più d'ogni altro mi sta a cuore e che mi occupa da molti anni:
"...la terapia è un'operazione complessa, multifattoriale, che si gioca su
diversi piani o livelli.Occorrerebbe a questo punto una ricognizione
accurata di tali livelli e della loro articolazione: i ruoli o le regole
fondamentali della terapia, la sua "grammatica generativa".
Cercherò di dire, il più concisamente possibile, come vedo la questione,
anche se dovrò limitarmi per lo più alle premesse. Se la cosa ti (vi)
interesserà ci si potrà tornare e approfondire il resto.
Io credo che la situazione di stallo determinatasi con il venir meno della
metapsicologia e con il successivo ping pong tra "riduzionismo
(cripto)fisicalista" e "riduzionismo ermeneutico", poggi su un equivoco
fondamentale, che poggia su una serie di altri equivoci. L'equivoco
fondamentale consiste nell'abitudine a pensare che la seduta sia un
laboratorio in cui si costruisce una "scienza" e/o uno studio tecnico in
cui si applicano i metodi derivati da quella scienza. L'equivoco fu
cucinato da Freud, che non è colpevole, però, della sopravvivenza inerziale
dell'equivoco. Egli allo scopo di comprendere e spiegare le nevrosi
costruì, per via psicologica, un organo, la “psiche”, in cui lo scienziato
poteva trovare l’oggetto da studiare e il medico quello da curare. Ciò
avvenne come conseguenza dell'adozione del modello medico e del metodo
clinico. Il modello medico poteva, infatti, collocare agevolmente il
“paziente” nella doppia posizione di “vetrino” da analizzare e di “organo
malato” su cui intervenire, secondo una ripetizione metaforica
dell’intervento medico . La costruzione teorica fornì, poi, l’anello
mancante, trasformando l’ “ammalato” in “apparato psichico”; le sue parole
in “dati” e Freud stesso in "tecnico applicativo". Per questa via il metodo
clinico si trasformava non solo in un metodo di intervento sull’ ”organo
psichico”, ma anche in un immateriale laboratorio d’indagine; tramite
queste mediazioni, cioè, il metodo euristico originario si trovava
trasformato in una inattesa variante del metodo scientifico-sperimentale,
che Freud non esitò a considerare “scientifico”. (Si poptrebbe dire che la
psicoanalisi è nata da una metafora!)
Da qui una serie di altri equivoci e cioè a) che la seduta sia un luogo in
cui si “conosce” e “ricerca”, si fa "scienza" e si costruisca "teoria"; aa)
che oggetto della psiconalisi sia la “psiche” e per estensione l’
“immaginario psichico”; aaa) che la psicoanalisi sia una scienza conchiusa,
autonoma e singolare nell’oggetto, nel metodo, nell' acquisizione delle
prove; aaaa) che la forma della teoresi psicoanalitica non possa essere che
questa ecc. ecc
Questi equivoci portano all'idea che la psicoanalisi sia una singolare
scienza applicativa e che lo studio del terapista sia un laboratorio, in
cui un osservatore scienziato studia un (soggetto)-oggetto, costruisce una
teoria su tale oggetto e applica tecniche derivate da tale teoria per
modificare nel senso voluto tale (soggetto)oggetto. Non vi è alcun bisogno
di attendere a complicati studi post-heideggeriani per dimostrare l'
impraticabilità di questa Scilli naturalistica. Se ne è occupata la
psicoanalisi stessa trasformandosi ( sé stessa e tutto questo apparato)
in ... transfert e controtransfert (è un vero non voluto esperimento di
epistemoloia sperimentale!). In realtà, nella coppia terapeutica non vi è
uno scienziato-osservatore che osserva un (soggetto)oggetto bensì “un
sistema osservato-che-osserva che interagisce con un altro sistema
osservato-che-osserva”.
In questa prospettiva, oggetto di studio e di osservazione da parte dell’
osservatore-scienziato non è P, ma la coppia P-T, anzi la registrazione
degli eventi interattivi tra P ed T. La teoria emergente è t(P\T). Inoltre
l’osservatore-scienziato e il terapista non coincidono più: la costruzione
della teoria e l’azione terapeutica pertengono a due momenti e a due domini
logicamente e non solo logicamente differenti. Lo studio del terapista non
è un laboratorio né sperimentale né epistemico, ma più logicamente il luogo
in cui avviene una cura tramite una relazione interpersonale, in cui domina
la epistemologia interna del sistema (autonomia) secondo le modalità
proprie di tutte le relazioni tra soggetti, il che non impedisce che lo
stesso sistema sia studiato dallo scienziato osservatore, a partire da una
epistemologia esterna (eteronomia) e mediante l'utilizzazione di tutti i
metodi osservativi e sperimentali che riuscirà a inventarsi.
Se ci si colloca da questo punto di vista allora l’interazione rappresenta
la “cosa”, che in quanto congetturata come il tramite di un mutamento e di
un processo di cambiamento rappresenta ciò che deve essere spiegato secondo
metologie scientifiche. Supponiamo ora di avere , un nastro registrato,
eventualmente tradotto in un testo scritto. Se si prende in esame tale
nastro, si può notare che può essere osservato da almeno tre punti di vista
differenti:
1) Può essere assunto come “oggetto osservato” da uno
scienziato-osservatore indipendente. E’ questo il livello della
osservazione scientifica e dello studio scientifico dell’evento, il luogo
della formulazione di ipotesi e congetture rispetto a quanto accade in una
stanza di consultazione. Incidentalmente si può aggiungere che l’adozione
di questo punto di vista correggerebbe infine l’anomalia metodologica della
psicoanalisi, che ha sempre fatto della seduta il luogo della cura
dell’osservazione, della ricerca e della costruzione teorica.
2) Un secondo livello riguarda l’interazione effettiva tra T e P in quanto
soggetti immersi in una situazione intersoggettiva, in ragione della quale
non possono non esserci, non comportarsi, non comunicare, non interagire.
Si tratta di una interazione come "fatto" prima ancora che come vissuto,
come vissuto di un fatto o come scelta consapevole. Da questo punto di
vista l’interazione è intrinseca alla procedura come conseguenza del fatto
che la psicoterapia utilizza come metodo la relazione intersoggettiva.
Indicando questo livello della relazione intersoggettiva, come
“interattivo“ o come “interazione”, intendo sottolineare che la
partecipazione del terapista, il suo essere inesorabilmente interattivo,
prescinde dalla sua volontà perché è implicita nella struttura
intersoggettiva del metodo e nella natura dello strumento: è una mera
conseguenza del cerchio intersoggettivo.
3) Un terzo livello è quello del terapista, che nel flusso dell’accadere
della terapia si colloca in una posizione “meta” e, osservando quanto
avviene e facendo il punto su quanto accade, a partire dalle sue conoscenze
teoriche e teorico-cliniche, compie le scelte strategiche e tattiche
necessarie alla conduzione della psicoterapia. Si può fare riferimento a
questo ruolo e a questa attività del terapista con il termine
“meta-interazione” e con l’aggettivo “meta-interattivo” (ruolo, posizione o
livello meta-interattivo) per sottolineare il necessario collocarsi del
terapista in una ottica e in una posizione che, sotto molti aspetti,
implica una dislocazione in una posizione "meta", una osservazione, una
analisi, un giudizio (logico) e quindi anche una direzione rispetto al
livello della interazione. Occorre tuttavia annotare che in questa
dislocazione “meta”, T , benché assuma un punto di vista “esterno”
(rispetto alla diade, a P e a sé stesso), sotto certi aspetti analogo a
quello dell’osservatore-scienziato, si trova tuttavia collocato
inesorabilmente all’ “interno” per quanto attiene a sé stesso e per quanto
attiene alla diade e in quanto tale funziona suo malgrado secondo la logica
circolare della comunicazione tra soggetti e non secondo la logica lineare
implicita al punto di vista esterno.
Mi limito ora a indicare sinteticamente quelle che mi sembrano le regole di
funzionamento più generali di questi due livelli.
La proprietà fondamentale dell’interazione è che essa “avviene” e non può
essere cancellata o modificata dalla meta-interazione, (che la può tradire
o falsare, ma non rendere non avvenuta), ma, contemporaneamente, essa non
può essere vissuta e raccontata (a sé stessi o a un altro) se non tramite
una dislocazione “meta”, tramite una operazione meta-interattiva.
L’elemento essenziale della meta-interazione, invece, è che essa implica
sempre e comunque una interazione nel senso che anche una interpretazione,
al di là del contenuto, interviene nel contesto come azione con suoi propri
significati, che non sono necessariamente quelli previsti o voluti
dall’intenzionalità dell’agente. Di conseguenza nel corso dell’esercizio
dell’attività meta-interattiva o tecnica, T inevitabilmente e di fatto
interagisce a livello interattivo e in tal modo può involontariamente
confermare, le contestualizzazioni di base di P, fornendogli prove
ulteriori per le sue “teorie” proprio mentre si affatica a smontarle o, al
contrario, può introdurre efficaci perturbazioni, che potrebbero
permettergli di modificarle.
Ho finito. Stavolta non sono riuscito ad essere breve; spero valesse la
pena di occupare tutto questo spazio e che, di conseguenza, mi perdoni
(-ate), in caso contrario chiedo venia.
A presto,
Gian Paolo Scano
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Cardinale
04/09/2008 16:17
 
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Sesso: Maschile
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Padre Guardiano
04/09/2008 17:15
 
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RE

E' bellissimo. [SM=g1420248]

Comunque è un articolo di grande concettualità ed è difficile valutarne le sfumature. [SM=g27811]

omega [SM=x789054] [SM=x789056]



O=============O===========O

Se la vita ti sorride,ha una paresi.(Paco D'Alcatraz)

Il sonno della ragione genera mostri. (Goya)

Apocalisse Laica

Querdenker evangelico anticonvenzionale del 1° secolo. "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam!" g.b.--In nece renascor integer ./Satis sunt mihi pauci,satis est unus,satis est nullus. Seneca-Ep.VII,11


Vivo fra lo Stato Sovrano della Fica e la Repubblica Popolare del Cazzo
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